Le donazioni effettuate all'estero
Le donazioni effettuate all'estero
di Maria Laura Mattia
Ufficio Studi Consiglio Nazionale del Notariato
Dando per presupposte le questioni di ordine generale correlate al deposito di atti esteri presso un notaio italiano, in questa sede ci si propone di esaminare gli specifici problemi che vengono in rilievo quando, l'atto formato all'estero e che deve produrre effetti in Italia sia una donazione.
In tal caso, la questione più complessa con cui l'interprete è chiamato a confrontarsi, e su cui ci si soffermerà con maggiore attenzione, concerne l'individuazione del sistema di conflitto da applicare alla materia in esame, ciò in quanto da un lato le donazioni non sono escluse dall'ambito materiale di applicazione della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, dall'altro, ciò nonostante, il legislatore della riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, ha ritenuto, comunque, opportuno inserire nella legge n. 218/95 una disposizione ad hoc sulle donazioni, l'art. 56.
Nozione internazionalprivatistica di donazione
Tuttavia, prima di passare ad analizzare in modo più dettagliato la fondamentale questione sopra delineata, appare utile premettere alcune osservazioni sulla qualificazione internazionalprivatistica dell'istituto.
Posto che tale operazione deve effettuarsi sulla base della lex fori, e dunque nel nostro caso utilizzando la legge italiana, tuttavia, la nozione di diritto materiale predisposta dal nostro ordinamento per definire la donazione (dettata dall'art. 769 c.c.) può essere interpretata con un certo margine di autonomia e flessibilità nella sua utilizzazione in funzione internazionalprivatistica. Pertanto, ferme restando quelle che sono le caratteristiche fondamentali dell'istituto nel nostro ordinamento, ed essenzialmente l'elemento soggettivo consistente nello spirito di liberalità, il c.d. animus donandi, e l'elemento oggettivo dell'arricchimento di una parte a fronte del depauperamento dell'altra, si ritiene che nella nozione internazionalprivatistica di donazione possano rientrare anche fattispecie che restano escluse da quella materiale. Ci si è, per esempio, chiesti, con risposta prevalentemente negativa, se debba rigorosamente valere anche la specificazione di ordine strutturale dell'art. 769 c.c. che definisce la donazione come contratto. Sul punto si riscontra, infatti, una certa concordanza di opinioni nel ritenere che nella nozione di donazione adoperata ai fini internazionalprivatistici siano ricompresi negozi unilaterali quali la rinuncia abdicativa e la promessa unilaterale [nota 1].
Si omettono, invece, gli altri casi su cui la dottrina internazionalprivatistica si è in passato confrontata con opinioni spesso discordanti, e relativi, in particolare, ad alcuni atti a titolo gratuito (come comodati, depositi, mandati gratuiti, contratti a favore di terzi, ecc.) che sulla base della legge italiana non sono liberalità, ma che sono considerate tali in alcuni ordinamenti stranieri. Infatti, la discussione è stata nella maggior parte dei casi superata dall'entrata in vigore (il 1° aprile 1991) della Convenzione di Roma del 1980 [nota 2], che, nei limiti che saranno meglio delineati nel corso dell'analisi, ha uniformato le norme di conflitto applicabili alle donazioni e alle altre obbligazioni contrattuali.
Definizione dell'ambito di operatività della Convenzione di Roma
Tornando alla questione principale che ci si è proposti di affrontare, cioè quella di definire i rispettivi ambiti di operatività, in relazione alla materia trattata, delle disposizioni della Convenzione di Roma e dell'art. 56 della legge 218/95, è necessario premettere le seguenti osservazioni.
In primo luogo, la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, tra l'altro richiamata dall'art. 57 L. 218/95 con un rinvio recettizio in ogni caso in cui venga in rilievo la regolamentazione di un'obbligazione contrattuale, non esclude dal proprio campo di applicazione le donazioni. Sebbene, infatti, manchi un'espressa previsione nel senso dell'applicabilità della Convenzione, tale conclusione è supportata da circostanze certe e concordanti rintracciabili nei lavori preparatori.
A tal riguardo, è da notare che, mentre nell'avant-projet le donazioni figuravano tra le materie escluse dall'ambito di applicazione della Convenzione, nella redazione definitiva, ferme restando le altre esclusioni, quella relativa alle donazioni è stata lasciata cadere. A conferma che tale circostanza debba interpretarsi come volontà di ricomprendere le donazioni nell'ambito di applicazione della Convenzione, si riporta quanto si legge nella relazione di accompagnamento alla Convenzione, curata da Giuliano - Lagarde e pubblicata in Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. C 282 del 31 ottobre 1980: «la maggior parte dei delegati si è pronunciata a favore dell'inclusione delle donazioni che derivano da un contratto nella sfera di applicazione della Convenzione, anche quando vengano effettuate nell'ambito familiare, senza per altro essere ricompresse nel diritto di famiglia. Rimangono quindi escluse dal campo di applicazione delle norme uniformi soltanto le donazioni contrattuali contemplate dal diritto di famiglia, dai regimi matrimoniali e dalle successioni».
La non inclusione delle donazioni, contemplate nei tre citati ambiti, peraltro, è diretta conseguenza della più generale esclusione dal campo di applicazione della Convenzione delle obbligazioni contrattuali relative a «testamenti e successioni; regimi matrimoniali; diritti e doveri derivanti dai rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o affinità, compresi gli obblighi alimentari in favore dei figli naturali» (art.1, par. 2, lett. b) della Convenzione).
Come accennato, tuttavia, nonostante la materia trovasse già regolamentazione nella Convenzione di Roma (almeno relativamente alle donazioni contrattuali non escluse dal suo ambito di applicazione), il legislatore del 1995, nella legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (L. 31 maggio 1995, n. 218, entrata in vigore il 1° settembre dello stesso anno), ha comunque predisposto una disciplina per le donazioni, inserendola in uno specifico capo della legge, composto dal solo art. 56. Si è trattata, sulla base di quanto si legge nella relazione ministeriale di accompagnamento al disegno di legge, di una scelta consapevole, valutata conveniente «sia in conformità alla situazione normativa attuale, sia perché la sottoposizione delle donazioni alle norme comuni in tema di contratti non è sembrata opportuna».
Ragionevolmente sembra, comunque, potersi escludere, in accordo con l'impostazione prevalente in dottrina [nota 3], che l'inserimento di una norma di conflitto ad hoc sulla donazione nella legge 218/95 debba tradursi in una deroga alla Convenzione e che tutte le donazioni (comprese quelle di natura contrattuale) debbano ricondursi all'ambito di applicazione di tale disposizione.
In proposito, deve, infatti, osservarsi che l'Italia non ha avviato, con riferimento all'adozione della legge 218/95 (e, in particolare, del suo articolo 56), la procedura espressamente prevista dall'art. 23 della Convenzione per l'adozione unilaterale, in deroga alla disciplina convenzionale, di norme di conflitto per una specifica categoria di contratti; pertanto l'applicazione dell'art. 56 alle donazioni comprese nel campo di applicazione della Convenzione rappresenterebbe una violazione degli obblighi convenzionali.
Inoltre, l'art. 2, primo comma, della stessa legge prevede che «le disposizioni della presente legge non pregiudicano l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia»; tale affermazione di principio conduce, pertanto, a concludere che «le nuove norme di conflitto di diritto comune cedono di fronte a disposizioni confliggenti contenute in strumenti internazionali» [nota 4]. Sembra, dunque, corretto affermare che la disciplina di conflitto applicabile in linea generale alle donazioni è quella dettata dalla Convenzione di Roma del 1980.
Fissato questo primo punto fermo, si rende, adesso, opportuno definire con maggiore precisione l'ambito di applicazione della Convenzione di Roma in relazione alla materia trattata e verificare di conseguenza il residuo ambito di operatività dell'art. 56 L. 218/95.
Sulla base di quanto disposto dall'art. 1 della Convenzione, affinché a una donazione sia applicabile la disciplina convenzionale è necessario che siano contemporaneamente soddisfatte due condizioni: in primo luogo la donazione deve avere natura contrattuale; in secondo luogo non deve essere relativa a rapporti successori o inerenti al diritto di famiglia o ai regimi matrimoniali [nota 5].
Ai fini dell'accertamento della prima delle due condizioni necessarie, l'interprete deve adoperare una nozione di obbligazione contrattuale che sia frutto di un'elaborazione il più possibile uniforme ed internazionale; la qualificazione sulla base della lex fori, infatti, produrrebbe l'effetto di una non omogenea applicazione della Convenzione [nota 6]. Poiché, come è stato rilevato [nota 7], il significato dei termini della Convenzione deve essere tratto in via principale dallo stesso sistema convenzionale, i requisiti per l'attribuzione del carattere contrattuale a una donazione possono utilmente essere individuati osservando gli stessi meccanismi posti dalla Convenzione per la designazione della legge applicabile ed al loro modo di operare. In tale prospettiva, la nozione di obbligazione contrattuale che si desume dal sistema convenzionale, in conformità con la configurazione generalmente accolta nel diritto degli Stati contraenti, è quella di fattispecie negoziale basata su un reciproco scambio di consensi tra le parti.
Nella trattazione relativa a questo primo requisito - consistente, per l'appunto, nel carattere contrattuale delle donazioni da ricomprendere nella Convenzione di Roma - è, tuttavia, doveroso segnalare, due teorie, autorevolmente sostenute, non del tutto conformi a quella esposta, l'una avente l'effetto di ampliare l'ambito operativo della Convenzione a tutte le donazioni, l'altra di restringerlo alle sole donazioni promissorie.
In base alla prima delle ricostruzioni in parola «la volontà dei delegati di assoggettare le donazioni alla disciplina convenzionale può essere interpretata come formulazione di un concetto "autonomo" di contrattualità, con la conseguenza che tutte le donazioni dovranno essere assoggettate alla disciplina convenzionale» [nota 8].
La seconda teoria, invece, distinguendo in seno alla Convenzione tra contratti ad effetti obbligatori e contratti ad effetti reali, ed elaborando un'ulteriore distinzione tra donazione promissoria e donazione traslativa (conformemente alle due ipotesi fondamentali contemplate nell'art. 769 c.c.), reputa applicabile sì all'una (obbligazione contrattuale), ma non anche all'altra (atto traslativo) la Convenzione stessa [nota 9].
Alcuni problemi interpretativi pone anche il secondo presupposto per la sottoposizione delle donazioni alla Convenzione di Roma, ovvero quello relativo alla non esclusione, ratione materiae, dalla Convenzione di determinate donazioni contrattuali.
Sulla base dell'art. 1, comma 2, lett. b) della Convenzione, infatti, come anticipato, le disposizioni della stessa non si applicano «alle obbligazioni contrattuali relative a: testamenti e successioni; regimi matrimoniali; diritti e doveri derivanti dai rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, compresi gli obblighi naturali a favore dei figli naturali».
Presupposto che, come specificato anche nella sopra citata relazione Giuliano - Lagarde, non tutte le donazioni contrattuali effettuate tra familiari devono necessariamente considerarsi escluse dalla norma convenzionale di conflitto, affinché ciò accada è, invece, necessario che tali donazioni presentino un legame stretto e imprescindibile con determinate regole materiali di diritto di famiglia o successorio.
La difficoltà maggiore, dunque, deriva proprio dalla circostanza che il presupposto innanzi detto da cui si fa dipendere l'applicazione della Convenzione di Roma (ovvero la maggiore o minore intensità del legame con le regole materiali di diritto di famiglia o successorio) è collegato a una percezione abbastanza soggettiva di taluni schemi codicistici. Per comprendere a pieno la complessità del caso basti considerare che in astratto ogni donazione sarebbe suscettibile di essere contemplata da regole di diritto successorio dati gli stretti rapporti esistenti tra scopo di liberalità e sistemazioni patrimoniali nell'ambito familiare sulle quali in prospettiva si riflette comunque il complesso di norme di diritto successorio (collazione, riduzione, ecc.) [nota 10].
A parte i casi delle donazioni a causa di morte e delle donazioni obnunziali, concordemente esclusi dall'ambito di applicazione della Convenzione di Roma, per le altre ipotesi bisogna cercare di individuare caso per caso i limiti di rilevanza del collegamento tra donazione e disciplina successoria o familiare: se è certo che l'esclusione dal campo di applicazione della Convenzione non può essere determinata sulla base di considerazioni astratte di un generico, possibile influsso della disciplina successoria sulla donazione, deve, al contrario, tenersi conto dei casi in cui la disciplina successoria o familiare abbia un influsso concreto sulla regolamentazione sostanziale della donazione.
Tale ordine di problemi sarebbe, tuttavia, facilmente sorpassabile se si considerasse il rinvio in ogni caso alla Convenzione di Roma, contenuto nell'art. 57 della legge 218/1995 in relazione alla disciplina di conflitto delle obbligazioni contrattuali, operare un'estensione unilaterale dell'ambito materiale della Convenzione stessa tale da ricomprendere nel suo campo di applicazione anche le donazioni connesse alle materie elencate dall'art. 1, comma 2, lett. b) [nota 11].
Tuttavia questa interpretazione svuoterebbe completamente di significato la previsione dell'autonoma disciplina delle donazioni disposta dall'art. 56 L. 218/95, alla quale occorre pertanto attribuire un valore residuale rispetto alla Convenzione di Roma [nota 12].
Definizione dell'ambito residuale di applicazione dell'art. 56 L. 218/95
Ricapitolando, sulla base dell'analisi svolta, siamo giunti a concludere che il regime ordinario delle donazioni ricade nella Convenzione di Roma, mentre l'ambito residuale di applicazione dell'art. 56 L. 218/95 riguarda da un lato gli atti unilaterali di donazione, dall'altro le donazioni strettamente legate al diritto di famiglia o successorio.
Tuttavia, anche in relazione a quest'ultima categoria di donazioni l'ambito di operatività dell'art. 56 potrebbe subire un ulteriore ridimensionamento sulla base di una considerazione di coerenza interpretativa. Infatti non sembra coerente sostenere che una determinata fattispecie debba considerarsi esclusa dall'ambito di applicazione della Convenzione di Roma perché legata prevalentemente alla disciplina successoria o matrimoniale e poi ricondurre la medesima fattispecie ad una norma di conflitto diversa da quella che regola le successioni (art. 46 L. 218/95) o i rapporti patrimoniali (art. 30 L. 218/95) [nota 13].
Tuttavia a tale esigenza di coerenza interpretativa si contrappone una diversa e altrettanto rilevante esigenza di conformità alla volontà del legislatore.
Infatti, estrapolando anche le donazioni legate al diritto successorio o familiare dall'ambito di operatività dell'art. 56 si verrebbe a dubitare circa la sua effettiva utilità, il che ha indotto alcuni autori a sostenere che il legislatore abbia voluto, «in contrasto con l'orientamento dominante in dottrina, applicare tale regolamentazione alle donazioni non aventi carattere contrattuale, nonché a quelle contrattuali strettamente collegate con il diritto di famiglia e il regime delle successioni» [nota 14].
La soluzione di quest'ultima questione, pertanto, dipende da quale delle due opposte esigenze si consideri prevalente.
I criteri di collegamento per l'individuazione della legge applicabile alle donazioni utilizzati dalla Convenzione di Roma e dall'art. 56 della legge n. 218/1995
Una volta delineate con maggiore precisione le caratteristiche che le donazioni devono presentare per rientrare nella sfera di applicazione della Convenzione di Roma, sembra utile ricordare brevemente i criteri di collegamento utilizzati dalle disposizioni convenzionali di conflitto al fine di individuare la legge competente a regolare il singolo negozio che venga in rilievo.
Sotto il profilo della legge regolatrice della sostanza l'art. 3 della Convenzione fa venire rilievo, in primo luogo, la legge scelta dalle parti, purché non violi le norme imperative dello Stato al quale si riferiscono "tutti gli altri dati di fatto" (ad eccezione, beninteso, della scelta stessa). Tale scelta deve essere espressa o risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze; inoltre le parti possono designare la legge applicabile all'intera donazione, ovvero, ad una parte soltanto di essa e possono, successivamente, decidere di applicare una legge diversa [nota 15].
E' proprio nel modo in cui è strutturata la facoltà di scelta di legge che si sostanzia l'impatto più innovativo della Convenzione, ciò nella misura in cui tale facoltà di scelta non è limitata ad alcuni ordinamenti strettamente collegati con il rapporto, ma può cadere su qualsiasi legge straniera, indipendentemente dall'esistenza di un legame obiettivo con la situazione. Come è stato osservato [nota 16], le perplessità che potrebbe destare tale ampio riconoscimento dell'autonomia privata in relazione alle donazioni, vengono meno quando si consideri che la designazione della legge applicabile deve essere esercitata di comune accordo da entrambe le parti del contratto e non deriva dalla volontà unilaterale del donante, come, invece, previsto dall'art. 56 L. 218/95, il quale sottopone le donazioni alla legge nazionale del donante al momento della donazione, facendo salva la scelta espressa e contestuale da parte del donante della legge dello Stato di residenza.
In caso di mancata manifestazione di volontà delle parti, l'art. 4, par. 1, della Convenzione stabilisce che il contratto sia regolato dalla legge (materiale) [nota 17] dello Stato con il quale presenta il collegamento più stretto, che, a sua volta, si presume essere quella del paese dove ha la residenza abituale il soggetto che deve fornire la prestazione caratteristica, nel nostro caso il donante (art. 4, par. 2). Tale soluzione, pur differendo da quella accolta dall'art. 56 L. 218/95 (che, come si è anticipato, rimanda alla legge nazionale del donante, prevedendo la possibilità di applicare la legge della residenza soltanto a seguito di una professio iuris) permette, tuttavia, di sottolineare in misura quasi corrispondente il carattere eminentemente personale della donazione [nota 18].
Nel caso di donazione immobiliare, invece, le presunzioni previste dalla Convenzione al fine di individuare lo Stato con il quale il contratto presenti il collegamento più stretto, opereranno a favore della legge del paese in cui l'immobile è situato (art. 4, comma 3).
Il par. 5 dello stesso articolo, infine, qualora dal complesso delle circostanze risulti che il contratto presenta un collegamento più stretto con un altro paese, permette di vincere le presunzioni sopra riferite e di applicare quest'ultima legge.
Quanto alla forma, l'art. 9 della Convenzione di Roma è marcatamente improntato sul principio del favor validitatis, che, anche se in misura più limitata, ispira anche il terzo comma dell'art. 56 L. 218/95, secondo cui «la donazione è valida quanto alla forma, se è considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui l'atto è compiuto».
Tornando alla regolamentazione convenzionale, la disciplina generale dettata dall'art. 9 prevede una summa divisio secondo che il contratto sia concluso tra persone che si trovano nello stesso luogo o inter absentes. In entrambi i casi l'atto è valido se soddisfa i requisiti di forma della lex substantiae (o, per meglio dire, della legge che regolerebbe il contratto se esso fosse valido quanto alla forma). Nella prima ipotesi ad essa si aggiunge la legge del luogo in cui il contratto viene concluso; nella seconda, la legge del paese in cui si trova una delle parti (par. 1 e 2). E' appena il caso di notare che le leggi richiamate dalla Convenzione sono poste tra loro in alternativa e senza un ordine gerarchico, in modo che l'accertamento della validità della donazione in base ad una di esse permette di escludere la sanzione di nullità eventualmente prevista da un'altra.
Gli atti giuridici unilaterali, prodromici alla conclusione della donazione, sono, in base al quarto paragrafo dell'art. 9, da considerarsi validi quanto alla forma se soddisfano i requisiti della legge del luogo che regola la sostanza della donazione o della legge in cui sono stati compiuti.
In base all'ultimo comma dell'art. 9, infine, in deroga alle regole sopra richiamate, la donazione che ha per oggetto un diritto reale su un immobile o un diritto di utilizzazione di un bene immobile, è sottoposta «alle regole imperative di forma della legge del paese in cui l'immobile è situato sempre che, secondo questa legge esse si applichino indipendentemente dal luogo di conclusione del contratto e della legge che ne regoli la sostanza»; si rimanda, pertanto, alle norme di applicazione necessaria dello Stato in cui l'immobile è situato.
[nota 1] Si veda per tutti TONDO, Donazione nel diritto internazionale privato, in Studi e materiali, 5.1/1995-1997, p. 300.
[nota 2] Resa esecutiva con la legge 18 dicembre 1984, n. 975.
[nota 3] Si veda per tutti BALLARINO (con la collaborazione di BONOMI), Diritto internazionale privato, Padova, Cedam, 1999, p. 554. In senso contrario MANDUCA, «Il deposito di atto estero di donazione», in Vita Not., 3/2003, p. 1622, la quale afferma che l'art. 56 della L. 218/95 «costituisce l'unica, fondamentale e diretta norma voluta dal nostro legislatore per dirimere i conflitti internazionalprivatistici dell'istituto della donazione, intesa universalmente come un atto con cui si dispone a favore altrui per solo spirito di liberalità, a prescindere dalla sua natura contrattuale o meno». A sostegno delle sue affermazioni l'Autrice asserisce che «nel nostro ordinamento giuridico, anche se la donazione in realtà viene definita contratto dall'art. 769 del c.c., essa è collocata nel libro II (titolo V) del codice civile, intitolato alle successioni, per quel suo particolare legame che anche nei precedenti codici essa ha sempre avuto con la materia successoria. Pertanto, proprio in considerazione di questa singolarità del contratto di donazione, il nostro legislatore, con la legge n. 218/1995, ha espressamente stabilito una disciplina internazionalprivatistica dell'istituto della donazione, che ha voluto autonoma, sia nei riguardi della disciplina che regola i contratti, che di quella che regola le successioni, a prescindere dalla sua natura contrattuale. E l'applicazione esclusiva dell'art. 56 in materia di donazioni non significa, come da alcuni asserito, ammettere una unilaterale abrogazione della Convenzione di Roma: questa ha infatti espressamente previsto all'art. 1, comma 2, lett. b), che le disposizioni della convenzione stessa non si applicano a certe obbligazioni contrattuali, tra cui anche quelle relative a testamenti e successioni».
[nota 4] BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 556.
[nota 5] Cfr. FUMAGALLI, «La Convenzione di Roma e la legge regolatrice delle donazioni», in Riv. Int. Dir. Priv. e Proc., 1993, p. 589; BARIATTI (a cura di), «Legge 31 maggio 1995, n. 218. Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato», in Nuov. L. Civ. Comm., 1996, p. 877, spec. p. 1341 (commento all'art. 56); BOSCHIERO, «Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. Legge 31 maggio 1995, n. 218, sub art. 56», in Riv. Int. Dir. Priv. e Proc., 1995, p. 1167; VELLANO, La donazione nel diritto internazionale privato, in Bonilini (a cura di), La Donazione, II, Torino, 2001, p. 1242.
[nota 6] La necessità di un'interpretazione uniforme delle disposizioni convenzionali è stata sottolineata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee, seppure con riferimento alla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (sentenza 22 marzo 1983, causa 34/82, Martin Peters Bauunternehmung GmbH c. Zuid Nederlandse Aannemers Vereniging, in Raccolta, 1983, p. 1002; sentenza 8 marzo 1988, causa 9/87, S.pr.l. Arcado c. S.A. Haviland, in Raccolta, 1988, p. 1554).
Il ragionamento sviluppato dalla Corte di Giustizia è riferibile in via analogica anche alla Convenzione di Roma (anche in considerazione della complementarietà di quest'ultima rispetto alla Convenzione di Bruxelles), non risolve però il problema sostanziale di quali requisiti giuridici debbano sussistere affinché vi sia un'obbligazione contrattuale.
[nota 7] FUMAGALLI, «La Convenzione di Roma…», cit., p. 594.
[nota 8] BALLARINO - BONOMI, Materie escluse dal campo di applicazione della Convenzione di Roma, in Ballarino (a cura di), La Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Atti del convegno di studi tenuto a Treviso nei giorni 27-28 novembre 1992, p. 87.
[nota 9] TONDO, Donazione nel diritto internazionale privato, cit., p. 300; Vedi anche FERRI, Prime considerazioni sul regime di diritto internazionale privato delle donazioni, in Cnn Studi e materiali, Milano, 1998, p. 352.
[nota 10] FUMAGALLI, «La Convenzione di Roma…», cit., p. 595 e ss.
[nota 11] L'art. 57 dispone testualmente «Le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con la L. 18 dicembre 1984, n. 975, senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili». Evidentemente, vista la portata universale della Convenzione (per cui la legge da essa designata si applica anche se è la legge di uno Stato non contraente) l'estensione della sua applicazione non deve essere intesa con riferimento al suo profilo soggettivo, bensì oggettivo. Tuttavia, come è stato affermato in dottrina, la disciplina ricavabile dalla Convenzione di Roma e applicabile alle materie da questa escluse in base all'espressione in ogni caso di cui all'art. 57 L. 218/95 può ad esse effettivamente essere applicata solo qualora non trovino una disciplina nella legge stessa o in convenzioni internazionali applicabili in Italia. Cfr. TREVES, «Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato», in Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 1995, 4, p. 1176; BENEDETTELLI, «Legge 31 maggio 1995, n. 218 … », cit., p. 1360. Più in generale si veda DAMASCELLI, «Il rinvio "in ogni caso" a convenzioni internazionali nella nuova legge di diritto internazionale privato», in Riv. Dir. Int., 1997, p. 78.
[nota 12] BOSCHIERO, «Riforma del sistema italiano…», cit., p. 1171.
[nota 13] Sostiene questa posizione BARIATTI, «Legge 31 maggio 1995, n. 218. Riforma…», cit., p. 1352, secondo la quale la circostanza che l'ambito di operatività residuo dell'art. 56 L. 218/95 sia davvero molto limitato non giustifica una diversa interpretazione e ritiene che l'art. 56 si applichi ai rari casi di donazioni atipiche di natura non contrattuale, come la rinuncia abdicativa, e alla donazione promissoria nei limiti in cui non rientri nella Convenzione di Roma o nell'art. 58 L. 218/95; dello stesso avviso VILLANI, La Convenzione di Roma legge applicabile ai contratti, Bari, 2000, p. 41. BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 558 precisa che le norme regolatrici delle successioni ovvero del regime patrimoniale dei coniugi debbono venire in rilievo per giudicare l'ammissibilità della donazione, mentre per tutti gli altri aspetti relativi al funzionamento ed agli effetti del negozio non vi è motivo di derogare allo statuto della donazione. LEONCINI BARTOLI, Le donazioni nel diritto internazionale privato, Milano, 1978, p. 79, ha affermato più in generale che il divieto di fare donazioni a certe persone (figli non riconoscibili, tutore) rientra nella legge regolatrice della relazione che ne giustifica la sussistenza: i rapporti tra genitori e figli, la tutela. Quando, invece sono dipendenti da circostanze di fatto (divieto di ricevere per il notaio, per il medico) ricadono integralmente sotto la legge regolatrice della donazione, la quale è anche competente a stabilire se il nascituro o il concepturus possono assumere la veste di donatario.
[nota 14] In tal senso BOSCHIERO, «Riforma del sistema italiano…», cit., p. 1172; CALò, «Patto di famiglia e norma di conflitto» in Famiglia, persone e successioni, 2006, p. 629 e ss.; VELLANO, La donazione nel diritto internazionale privato, cit., p. 1254.
[nota 15] Si noti che, in virtù del combinato disposto dell'art. 3, par. 4, e dell'art. 8 della Convenzione, l'esistenza e la validità del consenso prestato dalle parti sulla legge applicabile al contratto si stabiliscono in base alla legge che sarebbe applicabile se la scelta fosse valida.
[nota 16] BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 557.
[nota 17] L'art. 15 della Convenzione, infatti, dispone che: «Quando la presente Convenzione prescrive l'applicazione della legge di un paese, essa si riferisce alle norme giuridiche in vigore in questo paese, ad eccezione delle norme di diritto internazionale privato».
[nota 18] BALLARINO, Diritto internazionale privato, cit., p. 557.
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