Sentenze straniere - esecuzione in Italia, provvedimenti di volontaria giurisdizione esteri
Sentenze straniere - esecuzione in Italia, provvedimenti di volontaria giurisdizione esteri
di Emanuele Calò
Ufficio Studi Consiglio Nazionale del Notariato
Il riconoscimento delle sentenze straniere prima della riforma del diritto internazionale privato
Il codice di rito disponeva, all'art. 797 c.p.c. xxx1], (abrogato dall'art. 73 L. 31 maggio 1995, n. 218) che la Corte di Appello dichiarasse con sentenza l'efficacia nello Stato della sentenza straniera quando accertasse che il giudice dello Stato nel quale la sentenza è stata pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale vigenti nell'ordinamento italiano, purché fossero stati rispettati dei principi di seguito elencati in tema di citazione, costituzione delle parti, forza del giudicato, contrasto con sentenze italiane, litispendenza e, segnatamente, purché la sentenza non contenesse disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano xxx2]. In precedenza, nella prima legislazione postunitaria, vigeva invece il principio del riconoscimento automatico, eccetto per gli effetti esecutivi xxx3].
Inoltre l'art. 801 c.p.c. xxx4] disponeva che agli atti di giudici stranieri in materia di volontaria giurisdizione, quando si volesse farli valere in Italia, fosse attribuita efficacia nello Stato a norma degli artt. 796 e 797 c.p.c. in quanto applicabili.
Sennonché, malgrado il testo di legge e quanto in apparenza da esso discendeva, il sistema già allora consentiva di introdurre nel nostro ordinamento fattispecie aventi elementi d'estraneità mediante un duplice e diverso itinerario.
Il primo era dato dall'applicazione del nostro sistema di conflitto (norme di diritto internazionale privato, soprattutto contenute nelle disposizioni preliminari del codice civile), in forza del quale una fattispecie era posta in essere secondo la legge richiamata da tale disciplina.
Il secondo itinerario era dato dal ricorso al riconoscimento del provvedimento straniero, purché fossero stati rispettati i requisiti sopra accennati, fra i quali non vi era quello della applicazione dei criteri previsti dal nostro sistema di diritto internazionale privato xxx5].
Questo quadro, così scarno e sintetico, era reso alquanto più complesso dal corredo di un sistema in parte non scritto, desumibile da un contesto fatto, nel suo complesso, da dottrina, giurisprudenza e prassi, dal quale si evincevano interessanti conclusioni xxx6]. Le quali conclusioni erano nel senso che il ricorso al procedimento di riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di diritto di famiglia non fosse necessario laddove il giudice straniero avesse applicato a cittadini stranieri la legge richiamata dal predetto nostro sistema di conflitto xxx7]. Al riguardo, rilevava Gaja che «è nota la tendenza giurisprudenziale non già a considerare la possibilità di avvalersi come elemento di prova della narrazione di un terzo, quale è il giudice straniero, bensì a desumere dalla decisione straniera l'esistenza di un certo status; risultato che può essere giustificato soltanto sulla base delle norme di diritto internazionale privato» xxx8]. Soggiungeva l'A. che «per risolvere il problema se l'esistenza di un sistema per il riconoscimento degli atti giurisdizionali stranieri implichi l'impossibilità di un richiamo delle norme poste dalle sentenze provenienti dallo Stato il cui ordinamento è designato per regolare il rapporto dal diritto internazionale privato, occorre partire dal dato fondamentale della diversità fra le funzioni esplicate dai due modi di attribuzione di effetti alle decisioni giudiziarie straniere. Il primo considera la sentenza come un atto giurisdizionale e si propone un coordinamento fra le attività giurisdizionali dei diversi Stati; il secondo vede nella decisione straniera la norma regolatrice del rapporto» xxx9].
Nei riguardi del secondo itinerario sopra accennato, scriveva Luzzatto: «non si tratta, quindi, di aggiungere ai requisiti richiesti dall'art. 797 c.p.c. quello ulteriore dell'osservanza delle norme italiane di diritto internazionale privato, ma soltanto di valutare la compatibilità del contenuto della sentenza che si vuole dichiarare efficace con la disciplina sostanziale della situazione» xxx10].
Dal canto suo, Carella rilevava - giustamente - che andava «respinta la tendenza da parte della giurisprudenza ad allargare al massimo la nozione d'ordine pubblico includendovi ipotesi arbitrarie. Ci si riferisce, in particolare, all'orientamento che ha inglobato nell'ordine pubblico il controllo sul diritto applicabile dal giudice straniero, nonché sulla procedura seguita per giungere alla decisione. Si è pervenuti così a rifiutare la delibazione di sentenze straniere perché, facendo applicazione delle norme di conflitto dell'ordinamento di provenienza, avevano giudicato in base a norme diverse da quelle richiamate dal sistema italiano di diritto internazionale privato» xxx11].
Particolarmente significativa questa osservazione di Carella: «rispetto, invece, alle sentenze che usufruiscono del richiamo internazionalprivatistico, quest'ultimo e la delibazione principale costituiscono sistemi alternativi. Si ricorrerà al primo, quando si voglia ottenere un rapido riconoscimento degli effetti sostanziali conseguiti con la sentenza straniera ... » xxx12].
In questo senso, già Lener rilevava, nei riguardi di Cass. 13 gennaio 1977, n. 154, che era «da segnalare per la sua singolarità, perché l'asserita "reciprocità" fra il problema de diritto internazionale privato e il problema della delibazione non esiste, e per altra via dovrebbe sostenersi che nelle ipotesi in questione l'ordine pubblico esiga l'applicazione della legge nazionale» xxx13]. Non era certo una costante della giurisprudenza italiana di legittimità, la quale, ad esempio, asseriva che «la mancata osservanza da parte del giudice straniero della norma di diritto internazionale privato italiano che, come l'art. 17 disp. prel. c.c., impone l'applicazione della legge nazionale, non impedisce, di per se, la delibazione della pronuncia da lui resa fra cittadini italiani. Per aversi tale preclusione occorre invece che la sentenza straniera risulti in contrasto, nella concretezza delle statuizioni adottate, con l'ordine pubblico italiano» xxx14].
Non a caso si rileva che «l'unification des conflits de lois perd aussi une grand partie de sa raison d'être, dès lors que la reconnaissance des jugements intervient en dehors de tout contrôle de la loi appliquée, car la diversité des lois est privée alors de son impact perturbateur de l'harmonie internationale. L'agenda de la Commission prévoit cependant que la règle de conflit en matière de divorce (« Rome III ») sera bientôt en chantier» xxx15].
Questa conclusione, ancorché non univoca, non unanime e, se si vuole, anche travagliata xxx16], rafforza l'altra superiore conclusione, circa l'esistenza di un duplice itinerario per l'inserimento nella nostra giurisdizione di fattispecie aventi un elemento d'estraneità. Itinerario duplice, dicevamo, costituito, in via alternativa, dall'operatività del richiamo alla norma di conflitto oppure dal riconoscimento del provvedimento straniero.
Certamente, questi percorsi, che in parte sono anche frutto di una personale sintesi, sono, a loro volta, travagliati alquanto, per via della lettura che la giurisprudenza italiana di legittimità ha voluto fare del richiamato argine dell'ordine pubblico, così come posto dall'art. 797, comma 1, n. 7 c.p.c.
La costante giurisprudenza di legittimità richiedeva, quale requisito per la delibazione, la non contrarietà all'ordine pubblico interno italiano al posto dell'applicazione della norma di conflitto richiamata dal nostro ordinamento, mentre, nei riguardi degli stranieri, faceva riferimento all'ordine pubblico internazionale.
Ad esempio, in un matrimonio fra cittadini italiani la giurisprudenza di legittimità ha considerato suscettibile di delibazione una sentenza di divorzio pronunciata dal giudice straniero su richiesta concorde dei coniugi, in base al successivo riscontro del loro mutuo consenso, perché la non contrarietà all'ordine pubblico in materia matrimoniale andrebbe valutata in base al criterio ristretto della non manifesta incompatibilità coi principi fondamentali dell'ordinamento italiano ed alla circostanza che, anche nel nostro sistema, la volontà dei coniugi assume essenziale rilevanza per l'accertamento del venir meno della comunione spirituale e di vita tra i coniugi, specie dopo l'introduzione del divorzio su istanza congiunta xxx17].
Di conseguenza, possiamo rilevare che già nel sistema seriore era presente un duplice itinerario per l'inserimento nella nostra giurisdizione delle fattispecie aventi un elemento d'estraneità, costituito, in alternativa, dalla applicazione della norma di conflitto secondo il sistema italiano oppure dal riconoscimento del provvedimento straniero. Tuttavia, soprattutto nei riguardi dei casi in cui erano coinvolti nostri cittadini, si tendeva talvolta a condizionare il riconoscimento ai casi in cui il giudice straniero avesse fatto corretta e, soprattutto, coerente applicazione della nostra norma di conflitto.
Un'ulteriore questione che talvolta era stata posta concerne la ricerca della legge applicabile nelle more della delibazione del divorzio, nel sistema precedente alla riforma del diritto internazionale privato.
A tale riguardo, il Supremo Collegio aveva stabilito che la sentenza di delibazione, avendo la funzione di conferire efficacia nello Stato italiano ad un atto di per se perfetto, ha effetto retroattivo, nel senso che i suoi effetti risalgono alla data di formazione del giudicato straniero, pronuncia indi confermata più volte: «il riconoscimento che il giudice italiano conferisca alla sentenza straniera ha efficacia retroattiva e i suoi effetti decorrono dal momento della pronuncia della sentenza stessa» xxx18]; negli anni tale orientamento trova puntuale conferma: «dall'art. 797 n. 6 c.p.c. si desume che gli effetti della delibazione retroagiscono al momento del passaggio in giudicato della sentenza straniera» xxx19].
Il riconoscimento delle sentenze straniere nella Convenzione de L'Aja del 1° giugno 1970
La Convenzione de L'Aja del 1° giugno 1970 sul riconoscimento di divorzi e separazioni xxx20], onde evitare il forum shopping, prevede il loro riconoscimento negli altri Stati contraenti purché il convenuto sia abitualmente residente al momento della sentenza nella giurisdizione in cui la pronuncia sia stata emanata. Del pari, il riconoscimento è anche previsto se l'attore abbia la residenza abituale in detto Stato, purché tale residenza si sia protratta da almeno un anno prima della domanda oppure se i coniugi avessero avuto in detto Stato la loro ultima residenza abituale comune. Altri motivi di riconoscimento consistono nella comune cittadinanza dei coniugi oppure se l'attore fosse cittadino di tale Stato purché vi avesse la residenza abituale oppure se fosse stato residente abituale per un periodo di un anno ininterrotto negli ultimi due anni anteriori alla domanda o, infine, se l'attore in caso di divorzio fosse cittadino e, al contempo, fosse presente in tale Stato al tempo della domanda e se i coniugi avessero avuto la loro ultima residenza abituale comune in uno Stato il cui ordinamento non contempli il divorzio al tempo della domanda.
Il riconoscimento del divorzio non può essere rifiutato: a) perché la legge del foro in cui si chiede il riconoscimento non consente il divorzio o la separazione per gli stessi fatti, b) perché sono state applicate norme diverse da quelle previste dal diritto internazionale privato del foro in cui si chiede il riconoscimento. Sulla base degli articoli 17 e 18, questa Convenzione xxx21]: a) non pregiudica l'applicazione dell'ordinamento nazionale laddove sia più favorevole al riconoscimento di separazioni e di divorzi, b) è "cedevole" xxx22] rispetto ad altri strumenti internazionali, fra i quali quelli comunitari. Ai nostri fini, giova rilevare il distacco dalla legge nazionale e la prevalenza della giurisdizione di residenza abituale e l'influenza che non può aver mancato di esercitare sulla disciplina comunitaria.
L'art. 6 dispone:
«La reconnaissance du divorce ou de la séparation de corps ne peut pas être refusée au motif:
a) soit que la loi interne de l'Etat où cette reconnaissance est invoquée ne permettrait pas, selon les cas, le divorce ou la séparation de corps pour les mêmes faits; ou
b) soit qu'il a été fait application d'une loi autre que celle qui aurait été applicable d'après les règles de droit international privé de cet Etat.
Sous réserve de ce qui serait nécessaire pour l'application d'autres dispositions de la présente Convention, les autorités de l'Etat où la reconnaissance d'un divorce ou d'une séparation de corps est invoquée ne peuvent procéder à aucun examen de la décision quant au fond».
L'Italia (la cui ratifica ha avuto luogo nel 1986), in ogni caso, vi ha apposto la seguente rilevante riserva: «le Gouvernement italien se réserve, aux termes de l'article 19, paragraphe 1, le droit de ne pas reconnaître un divorce ou une séparation de corps entre deux époux qui, au moment où il a été acquis, étaient exclusivement italiens, lorsqu'une loi autre que celle désignée par le droit international privé italien a été appliquée, à moins que cette application n'ait abouti au même résultat que si l'on avait observé cette dernière loi xxx23]».
Questa riserva, tuttavia, appare superata dalla riforma del diritto internazionale privato, che risponde ad un diverso ed opposto orientamento. Inoltre, l'art. 60 del regolamento 2201/2003 (vedi appresso) dispone che tale regolamento prevalga fra gli Stati che ne sono parti, nelle materie da esso disciplinate, sulla Convenzione de L'Aja del 1 giugno 1970 sul riconoscimento dei divorzi e delle separazioni personali.
L'art. 62 del regolamento 2201/2003 dispone, infine, che gli accordi e le convenzioni di cui agli articoli 59, paragrafo 1, e agli articoli 60 e 61 continuano a produrre effetti nelle materie non disciplinate dal presente regolamento.
La Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961 sulla protezione dei minori
Sovente vengono in considerazione provvedimenti emanati all'estero riguardanti minori. Al riguardo, l'art. 42 della legge di riforma dispone che la protezione dei minori è in ogni caso regolata dalla Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori del 5 ottobre 1961, resa esecutiva con la legge 24 ottobre 1980, n. 742. Le disposizioni della Convenzione si applicano anche alle persone considerate minori soltanto dalla loro legge nazionale, nonché alle persone la cui residenza abituale non si trova in uno degli Stati contraenti.
Nei suoi riguardi, dal punto di vista notarile, si affacciano diversi dubbi perché gli strumenti concepiti dalla convenzione riguardano anzitutto la persona dei minori piuttosto che i suoi beni. Al riguardo si è scritto che la protezione dei beni è una questione circoscritta alle classi sociali abbienti, in quanto presuppone che vi siano fenomeni successori o donativi, in mancanza dei quali, si soggiunge, è difficile che il minore abbia un suo patrimonio. Sennonché, sempre secondo tale avviso, donazioni e successioni seguono in diritto internazionale privato uno statuto autonomo, i cui presupposti prescindono dall'interesse del minore xxx24].
L'articolo 1 dispone che le autorità, giudiziarie o amministrative, dello Stato di residenza abituale del minore, sono, competenti all'adozione di provvedimenti miranti alla protezione della sua persona o dei suoi beni.
Talune questioni sorgono dal confronto fra l'art. 2, il quale stabilisce che le autorità competenti applicano le misure previste dalla loro legge interna quanto alle condizioni di istituzione, modifica e cessazione di tali misure, e l'art. 3, secondo il quale un rapporto d'autorità risultante di pieno diritto dalla legge interna dalla legge nazionale del minore è riconosciuto in tutti gli Stati contraenti.
Non si tratta di problemi semplici, se non altro tenuto conto che si contendono il campo la Schrankentheorie (restrittiva), la Annerkennungstheorie (teoria del riconoscimento) e la Heimatrechtstheorie xxx25].
Autorevole dottrina xxx26] considera che tale rapporto d'autorità disciplini i casi in cui occorrono o meno autorizzazioni varie nei confronti degli atti d'amministrazione del patrimonio del minore. Secondo tale dottrina, si farà quindi applicazione della legge nazionale del minore per determinare la necessità e i presupposti di applicazione delle misure protettive, mentre le misure stesse in concreto applicabili e l'autorità competente a farlo saranno determinate dalla legge dello Stato di residenza abituale. In contrario, si è sostenuto che tali misure, se si tratta di un rapporto ex lege, debbano essere disciplinate dalla stessa legge che regola il regime di protezione al quale ineriscono xxx27]. L'opinione non sembra da condividere, in quanto il citato art. 2 contiene un preciso riferimento alla legge applicabile, che non appare riferito alla stessa che regola il rapporto di autorità.
Sempre secondo tale dottrina, il rinvio operato dall'art. 42 alla protezione dei minori è completo, comprensivo quindi anche dei rapporti non discendenti direttamente dalla legge bensì da una designazione da parte di un'autorità amministrativa o giudiziale, con la conseguenza che non si applicherà alla fattispecie l'art. 3 e quindi troverà integrale applicazione la legge dello Stato di residenza abituale. Ne consegue che per il minore straniero vi sarà l'integrale applicazione del nostro diritto, se residente abituale in Italia, sia per la nomina (ad esempio) di un tutore che per l'emanazione di provvedimenti ulteriori che lo riguardino; parimenti, per il minore italiano residente abituale all'estero, troverà integrale applicazione la legge straniera xxx28].
La legge 15 gennaio 1994, n. 64 ha così disposto, all'art. 4:
«1. Il riconoscimento e l'esecuzione nel territorio dello Stato dei provvedimenti adottati dalle autorità straniere per la protezione dei minori, ai sensi dell'articolo 7 della convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961, sono disposti dal Tribunale per i minorenni del luogo in cui i provvedimenti stessi devono avere attuazione.
2. Il Tribunale decide con decreto in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e, ove del caso, il minore e le persone presso cui questi si trova, su ricorso degli interessati. Il ricorso può essere presentato anche dal pubblico ministero, d'ufficio ovvero su richiesta dell'autorità centrale. Contro il decreto del Tribunale per i minorenni può essere proposto ricorso per Cassazione.
3. Il Tribunale per i minorenni del luogo ove il minore risiede è competente ad adottare i provvedimenti provvisori ed urgenti previsti dagli articoli 8 e 9 della convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961. Del provvedimento è dato avviso all'autorità centrale.
4. L'attuazione nello Stato, ai sensi dell'articolo 6 della convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961, dei provvedimenti adottati dalle autorità straniere è di competenza del giudice tutelare del luogo ove il minore risiede, ovvero, ricorrendo l'ipotesi, del luogo ove si trovano i beni in ordine ai quali sono stati adottati i provvedimenti».
La citata dottrina considera che i commi 2 e 4 siano stati ormai implicitamente abrogati dagli articoli 65, 66 e 67 della legge n. 218/1995.
La nuova Convenzione de L'Aja del 19 ottobre 1996 xxx29] potrebbe offrire, in qualche modo, una lettura di quella precedente, nella misura in cui tende a far coincidere forum e jus. Come si evince dai due articoli sotto riportati, i principali problemi sorti nell'applicazione della Convenzione del 1961 sono stati chiariti:
«Article 15.
1 Dans l'exercice de la compétence qui leur est attribuée par les dispositions du chapitre II, les autorités des Etats contractants appliquent leur loi.
2 Toutefois, dans la mesure où la protection de la personne ou des biens de l'enfant le requiert, elles peuvent exceptionnellement appliquer ou prendre en considération la loi d'un autre Etat avec lequel la situation présente un lien étroit.
3 En cas de changement de la résidence habituelle de l'enfant dans un autre Etat contractant, la loi de cet autre Etat régit, à partir du moment où le changement est survenu, les conditions d'application des mesures prises dans l'Etat de l'ancienne résidence habituelle
Article 23.
1 Les mesures prises par les autorités d'un Etat contractant sont reconnues de plein droit dans les autres Etats contractants.
2 Toutefois, la reconnaissance peut être refusée:
a. si la mesure a été prise par une autorité dont la compétence n'était pas fondée sur un chef de compétence prévu au chapitre II;
b. si la mesure a été prise, hors le cas d'urgence, dans le cadre d'une procédure judiciaire ou administrative, sans qu'ait été donnée à l'enfant la possibilité d'être entendu, en violation des principes fondamentaux de procédure de l'Etat requis;
c. à la demande de toute personne prétendant que cette mesure porte atteinte à sa responsabilité parentale, si cette mesure a été prise, hors le cas d'urgence, sans qu'ait été donnée à cette personne la possibilité d'être entendue;
d. si la reconnaissance est manifestement contraire à l'ordre public de l'Etat requis, compte tenu de l'intérêt supérieur de l'enfant;
e. si la mesure est incompatible avec une mesure prise postérieurement dans l'Etat non contractant de la résidence habituelle de l'enfant, lorsque cette dernière mesure réunit les conditions nécessaires à sa reconnaissance dans l'Etat requis;
f. si la procédure prévue à l'article 33 n'a pas été respectée».
A dimostrazione, soggiungiamo, che i testi normativi poco chiari andrebbero sostituiti da altri, anziché affidare all'interprete la costruzione di teorie che possono essere poi in qualche modo contestate in sede contenziosa. Infine, è da ricordare che la Conferenza de L'Aja sembra ormai in qualche modo in concorrenza con l'Unione europea, per via della comunitarizzazione del diritto internazionale privato. L'allargamento dell'Unione europea sembrerebbe aver lasciato poco spazio alla Conferenza de L'Aja, le cui convenzioni, tuttavia, come sovente si ricorda, sono una fonte preziosa d'ispirazione per il legislatore comunitario.
Inoltre, l'art. 60 del regolamento 2201/2003 (vedi appresso) dispone che tale regolamento prevalga fra gli Stati che ne sono parti, nelle materie da esso disciplinate, sulla Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori. A sua volta, l'art. 61 dispone che, nelle relazioni con la convenzione de L'Aja del 19 ottobre 1996 sulla competenza giurisdizionale, la legge applicabile, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni, nonché la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure per la tutela dei minori, il presente regolamento si applica:
a. se il minore in questione ha la sua residenza abituale nel territorio di uno Stato membro;
b. per quanto riguarda il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione emessa dal giudice competente di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, anche se il minore risiede abitualmente nel territorio di uno Stato non membro che è parte contraente di detta Convenzione.
Come detto, l'art. 62 del regolamento 2201/2003 dispone, infine, che gli accordi e le convenzioni di cui agli articoli 59, paragrafo 1, e agli articoli 60 e 61 continuano a produrre effetti nelle materie non disciplinate dal presente regolamento.
Il riconoscimento delle sentenze straniere nella riforma del diritto internazionale privato italiano
Questo sistema, scritto e non, è stato rivoluzionato, nel 1995, dall'emanazione della nuova disciplina del diritto internazionale privato italiano xxx30].
Appare alquanto chiara l'ispirazione del sistema, laddove si rileva che «l'approccio in genere manifestato dal legislatore italiano al riguardo della operatività nel foro del diritto straniero si caratterizza assai più in termini di vero e proprio riconoscimento del diritto che in termini di richiamo formale alla legislazione straniera» xxx31].
La riforma ha introdotto, da una parte, il principio del riconoscimento automatico della sentenza straniera (art. 64 L. 218/1995 xxx32]), purché il giudice che l'ha pronunciata potesse conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano, nel rispetto inoltre dei diritti essenziali della difesa, quale la rituale notifica al convenuto, della regolarità della costituzione in giudizio oppure della dichiarazione di contumacia, dei principi sul giudicato, dell'assenza di contrasto con un giudicato italiano, della litispendenza e, segnatamente, dell'assenza d'effetti contrari all'ordine pubblico. Tale riconoscimento automatico potrebbe estendersi anche alle sentenze emanate prima dell'entrata in vigore della riforma del 1995 xxx33].
A sua volta, l'art. 65 della legge dispone:
«Hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa».
Secondo una prima ricostruzione, per via della norma da ultimo riportata, l'art. 64 «potrebbe dunque produrre effetti in Italia solo per il tramite dell'ordinamento competente, in quanto in esso riconosciuto» xxx34]. Di conseguenza, una sentenza riguardante, ad esempio, rapporti di famiglia fra cittadini italiani, non potrebbe mai produrre effetti in Italia per via dell'asserita esclusività dell'art. 65, il quale quindi, funzionerebbe anche come una limitazione dell'ambito dell'art. 64, dal quale andrebbero espunti le materie della capacità, esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità xxx35].
L'art. 65, è perspicuamente detto, non è una norma speciale che deroghi quella generale (art. 64) in quanto comprende anche provvedimenti diversi dalle sentenze e il riconoscimento riguarda effetti conseguenti, anzitutto, all'operatività delle norme sostanziali xxx36]. Si tratta di una previsione che prescinde dalla competenza internazionale del giudice straniero e dalla legge da questi applicata xxx37].
In conclusione, si ritiene che l'ambito degli artt. 64 e 65 sia «concorrente e non alternativo» xxx38].
Nel caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento, oppure quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia interesse può chiedere alla Corte di Appello del luogo di attuazione l'accertamento dei requisiti del riconoscimento (art. 67 L. 218/1995) con una sentenza dalla natura di mero accertamento, perché diretta ad accertare un risultato che si è già prodotto nell'ordinamento col riconoscimento automatico xxx39].
Quanto ai provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione (art. 66 xxx40]) si è ritenuto di prescindere dai principi italiani sulla competenza giurisdizionale, laddove siano emessi dall'autorità dello Stato la cui legge sia richiamata dalle nostre norme di conflitto oppure nel caso producano effetti nell'ordinamento di tale Stato, ancorché emanati da autorità d'altro Stato, oppure se emanati da un'autorità competente in base a criteri corrispondenti a quelli propri dell'ordinamento italiano. Ciò, sempre che siano rispettate le condizioni di cui all'art. 65 (non contrarietà all'ordine pubblico e rispetto dei diritti essenziali della difesa).
Eliminato il requisito della corretta applicazione della nostra norma di conflitto da parte del giudice straniero, talvolta le parti in causa hanno provato a far rientrare dalla finestra un principio al quale era stata preclusa la porta principale. La finestra prescelta, nemmeno a dirsi, è quella dell'ordine pubblico, classico grimaldello buono per tutti gli usi.
Ne costituisce la riprova Cass. 28 maggio 2004, n. 10378 xxx41], che ha così statuito:
«Quanto poi invece al secondo profilo, relativo all'assurgibilità a principio di ordine pubblico interno italiano di tutta la più complessiva disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, così come fissata nell'art. 3 della legge n. 898/70, la risposta di ordine negativo risulta da tempo acquisita alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale (vedi, per tutte, Cass. 3709/83; Cass. 4235/91) ha reiteratamente posto in luce come non possa - di per sé - essere ritenuta contraria all'ordine pubblico italiano una sentenza di scioglimento del matrimonio resa dal giudice straniero fra cittadini italiani facendo applicazione del diritto straniero, per il solo fatto che il matrimonio sia stato sciolto con procedure e per ragioni e situazioni non identiche a quelle contemplate dalla legge italiana, costituendo in realtà profilo di ordine pubblico solo la necessità che lo scioglimento del matrimonio venga pronunciato solo all'esito di un rigoroso accertamento - condotto nel rispetto dei diritti di difesa delle parti, e sulla base di prove non evidenzianti dolo o collusione delle parti - dell'irrimediabile disfacimento della comunione familiare il quale costituisce l'unico inderogabile presupposto delle varie ipotesi di divorzio previste dall'art. 3 della legge n. 898/70. E quanto poi al più specifico profilo - in sé - della estraneità all'ordinamento italiano, di un tipo di pronuncia di divorzio contenente statuizione di "colpa" di uno dei due coniugi, e quanto alla inapprezzabilità di un tal profilo sul piano di un ipotetico contrasto con l'ordine pubblico italiano, basti rimandare, per tutte, alla risposta di tipo negativo già data da questa Corte con Cass. 25 luglio 1997, n. 6975. Del tutto infondato si rivela infine anche il VI motivo, con il quale il ricorrente, nel dedurre violazione e falsa applicazione dell'art. 64, lettere a), b), g), dell'art. 3 della legge 898/70 anche in relazione agli articoli 3, 24, 29 Costituzione, lamenta come, anche a prescindere da tutto quanto condensato nei precedenti motivi, una eventuale interpretazione dell'art. 64 della legge n. 218/95 conforme a quella fatta propria dalla Corte di Appello di Genova, determinerebbe evidenti profili di gravissima disparità tra cittadini italiani, posto che quelli residenti resterebbero vincolati ad una disciplina più severa (triennio di preventiva separazione, divieto di patti prematrimoniali) rispetto a quella di cui potrebbero godere i cittadini italiani residenti all'estero o ivi trasferitivisi strumentalmente.
Il motivo, infatti, così come concretamente concepito, già di per sé del tutto inammissibile per assoluto difetto di pertinenza rispetto ai termini del dibattito come emergenti dalla impugnata sentenza, ove teso ad ipotizzare - con deduzione del tutto nuova - la riconducibilità dell'avvenuta acquisizione della (peraltro tuttora perdurante alla luce delle stesse indicazioni contenute in ricorso) residenza in Montecarlo all'epoca del matrimonio, allo strumentale scopo di sottrarsi, in caso di dissoluzione delle ragioni della convivenza coniugale, al regime dei casi di scioglimento del matrimonio consacrato nella legge n. 898/70, si rivela in ogni caso del tutto infondato nella sua componente tesa a denunciare supposti vizi di incostituzionalità ricollegabili al profilo del diverso trattamento spuntabile, in termini di regime di scioglimento del matrimonio, dai cittadini italiani residenti all'estero. Va da sé infatti che un tal tipo di eccezione di incostituzionalità si rivelerebbe manifestamente del tutto infondato, posto che non si rendono di certo parificabili fra di loro le posizioni rispettivamente di chi, essendo già residente all'estero, abbia anche titolo per adire l'autorità giurisdizionale di quel luogo, e di chi, risiedendo in Italia ed essendosi sposato in Italia, non abbia per ciò stesso titolo per adire l'autorità giurisdizionale straniera».
Ancora, con sentenza 5 luglio 2006, n. 16978, la Cassazione ha così deciso:
«In altri termini questa Corte sia nel vigore della disciplina dettata dall'art. 797 c.p.c. sia interpretando la nuova normativa adottata con la L. n. 218 del 1995, ha ritenuto che in tema di divorzio il principio della non contrarietà all'ordine pubblico della sentenza straniera di cui si domanda il riconoscimento, ora previsto dalla L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g) comporti soltanto che non possa essere riconosciuta la sentenza straniera se non quando essa abbia accertato, pur in presenza di presupposti in parte differenti da quelli previsti dal diritto interno, il venir meno della comunione di vita e di affetti tra i coniugi. Di conseguenza la circostanza che il diritto straniero, nella specie il diritto americano, non preveda che il divorzio possa essere pronunciato soltanto dopo che sia intervenuta la separazione personale dei coniugi e che sia decorso un adeguato periodo di tempo tale da consentire ai coniugi di ritornare sulla loro decisione, non costituisce ostacolo al riconoscimento della sentenza straniera, per quanto concerne il rispetto del principio dell'ordine pubblico. Ciò che infatti rileva è che il divorzio segua all'accertamento dell'irreparabile venir meno della comunione di vita tra i coniugi, senza che sia necessario che il fallimento dell'unione familiare sia attestato dalla separazione consensuale o giudiziale e dal decorso di un termine adeguato prima della pronuncia del divorzio».
Come si può agevolmente evincere, queste sentenze consacrano, ancora una volta, il principio del doppio binario: è legittimo far valere nella nostra giurisdizione una pronuncia di scioglimento del matrimonio basata su principi non omologhi a quelli indicati dalla nostra norma di conflitto, anche se manchi l'elemento d'estraneità in quanto pacificamente riconducibile alla legge italiana. Anzi, l'unico elemento d'estraneità è costituito dall'autorità che l'ha emanata (una corte straniera), poiché il solo aspetto della residenza, anche se valorizzato nella motivazione, non può incidere sul profilo afferente alla legge applicabile. Potremmo tentare di ricondurre il tutto ad una giustificazione basata su elementi d'economia processuale, accettabili finché non vengano sconvolti i principi del nostro ordinamento, anche se va a finire che a coniugi ai quali si dovrebbe applicare il limite dell'ordine pubblico interno si applica in realtà il limite dell'ordine pubblico internazionale. Così è, tuttavia, e sarebbe poco onesto non tenerne conto.
Non sarebbe male, inoltre, spendere qualche parola sull'art. 1 della legge 1° Dicembre 1970, n. 898 ("Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio") laddove stabilisce che il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio laddove accerti che la comunione spirituale e materiale fra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita.
Cosa resta del controllo nella sostanza? Certamente, laddove siano violati, per dire, i diritti della difesa, si avrebbe facile gioco ad opporsi al riconoscimento. Desta però qualche dubbio, invece, il riferimento allo scioglimento della comunità di vita, laddove la nostra legge (L. 1° dicembre 1970, n. 898) prevede (cfr. art. 1) che il giudice accerti il venir meno della comunione spirituale e materiale fra i coniugi, la quale non possa essere mantenuta o ricostituita.
In dottrina, in una sede importante, ma destinata all'estero xxx42], si rileva che «la loi 898/1970 prévoit également que le juge doit vérifier que la communauté matérielle et spirituelle entre les conjoints peut être maintenue ou reprise. Il ne s'agit pas d'un contrôle autonome, différent du constat de l'existence d'une des clauses formellement indiquées dans l'article 3 ; il s'agit au contraire, d'une simple déclaration de principe, dépourvue de toute efficacité pratique, C'est la interprétation la plus répandue en doctrine et celle qui est soutenue par toute la jurisprudence, sur le plan des règles effectivement employées : il n'existe en effet aucun précédent dans lequel le juge ait refusé le divorce en prétendant que la vérification dont il est question aux articles 1 et 2 pouvait laisser penser que la vie en commun pouvait être reprise même si une des causes indiquées par l'article 3 existait et qu'un des conjoints insistait pour la faire valoir en justice, en refusant la conciliation. Dans les déclarations abstraites, surtout jurisprudentielles, cette condition est souvent requise; mais on lui ôte tout contenu effectif, car l'échec de la tentative de conciliation faite par le président du tribunal est unanimement considéré comme une preuve suffisante de l'impossibilité de reprendre la vie commune». Sul piano del linguaggio usato, lo stesso autore sofferma la sua attenzione sull'assenza della parola divorzio dai testi legislativi italiani, col ricorso invece ad espressioni come scioglimento del matrimonio o cessazione dei suoi effetti civili. Basta andare, d'altronde, su una qualsiasi banca dati legislativa, per vedere come la parola divorzio si trova nelle leggi di approvazione di strumenti internazionali e, tutt'al più, in qualche rilevazione statistica, ma non nei testi che riguardano il diritto di famiglia.
Questi interessanti fenomeni, però, possono forse coinvolgere la semiotica. Dal punto di vista dell'operatore del diritto, interessa rilevare, anche sul piano giurisprudenziale, l'esistenza di un atteggiamento di favore per il riconoscimento delle pronunce straniere di divorzio.
Tutto ciò non sarebbe potuto sfuggire all'occhio di un compianto studioso il quale, annotando una pronuncia in materia xxx43], osservava come il Supremo Collegio rendesse «omaggio verbale all'esigenza che la sentenza straniera non sia stata pronunciata «per cause che non trovino sostanziale rispondenza nelle ipotesi di divorzio previste dall'ordinamento giuridico italiano» … ma lascia quest'affermazione completamente sospesa nel vuoto, in quanto si limita a richiedere che il giudice straniero abbia accertato l'irreversibile disfacimento della comunione materiale e spirituale fra i coniugi. Un simile disfacimento, comunque lo si ammanti di panni e di orpelli (l'accertamento rigoroso, il fallito tentativo di conciliazione) non è una "causa" di divorzio, ma è il fatto stesso della vita reale, potrebbe dirsi il divortium in facto esse, al quale far corrispondere il provvedimento di scioglimento del matrimonio». Beninteso, l'autore or ora richiamato è stato ben più severo, ma forse tanto basta per rendere la sua autorevole opinione xxx44]. Rimane impressa la via di una sentenza che consolida, se ve ne fosse bisogno, la possibilità di un accresciuto forum shopping in materia di divorzio; ma se viviamo davvero in tempi di globalizzazione, diventa davvero utopistico pensare che il diritto ne possa sfuggire oppure che ci si possa limitare a (alquanto inutili) giudizi di valore.
Un diritto delle circolari?
A rendere un poco più complesso il quadro, ha contribuito la circolare del Ministero di Grazia e Giustizia ai Procuratori generali della Repubblica presso le Corti di Appello, del 7 gennaio 1997, con oggetto: "Legge 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. Istruzioni per gli uffici dello stato civile" xxx45]. Questa circolare faceva seguito sia ad incertezze che ad interventi riformatori falliti xxx46]. Le incertezze riguardavano l'assenza, nell'art. 67 L. 218/1995, di indicazioni sia nei riguardi della procedura da seguire per l'esecuzione di sentenze straniere sia della necessità di seguire detta procedura anche nel caso di accesso dei provvedimenti stranieri alla pubblicità, compresa quella dello stato civile. Nel 1996 fu presentato un disegno di legge governativo (disegno n. 2200), recante un nuovo testo dell'art. 67, comma 1, nel quale si indicava la formula del procedimento camerale, precisando la necessità di ricorrervi anche per la trascrizione, iscrizione o annotazione in pubblici registri xxx47].
Sennonché, il disegno in parola non è stato approvato e la legge è entrata in vigore, compreso il titolo IV (la cui entrata in vigore era stata differita), senza che si addivenisse alla soluzione dei problemi dinanzi accennati.
Senza ricorrere a fin troppo facili ironie, possiamo limitarci a rilevare che al problema è stata data soluzione mediante la citata circolare. Le "Istruzioni" prevedono che l'ufficiale di stato civile che ritenesse che nei riguardi del provvedimento presentato per essere trascritto, iscritto o annotato, sussistano i requisiti ai quali la legge in esame subordina il riconoscimento, ai sensi degli articoli 64 - 66, lo stesso ufficiale di stato civile deve dare regolarmente corso alla richiesta, effettuando direttamente la trascrizione, l'iscrizione e l'annotazione di competenza e rilasciando i relativi atti e certificati. Se viceversa egli ritiene che il provvedimento in questione manchi dei requisiti per il riconoscimento ovvero nutra ragionevolmente dubbi in ordine alla sussistenza degli anzidetti requisiti, deve rivolgersi immediatamente al Procuratore della Repubblica, al quale, a norma dell'art. 13 capoverso, ordinamento dello Stato civile (ormai abrogato; vedi ora D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396) rappresenterà i termini della questione e invierà copia di tutti gli atti ricevuti, restando in attesa delle sue determinazioni. Se il Procuratore della Repubblica, a sua volta, accerta che gli atti giurisdizionali provenienti dalle autorità straniere possono essere riconosciuti in Italia e produrre i loro effetti nello Stato, in quanto appaiono rispettate le condizioni del riconoscimento, informa senza indugio l'ufficiale dello stato civile invitandolo a provvedere a dare attuazione ai suddetti provvedimenti. Altrimenti comunica all'ufficiale dello stato civile che non può essere data ottemperanza alla richiesta di riconoscimento automatico della sentenza straniera o del provvedimento straniero presentato per la registrazione, iscrizione o annotazione perché mancano i requisiti del riconoscimento. E l'ufficiale dello stato civile dà notizia scritta alla parte interessata della mancata ottemperanza sulla base della comunicazione pervenutagli dal p.m. In tal caso - sempre secondo la citata circolare - la parte potrà eventualmente avvalersi della facoltà di chiedere alla Corte di Appello l'accertamento dei requisiti del riconoscimento ai sensi dell'art. 67, n. 1 della legge 218/1995. Si è perspicuamente notato che questa circolare ministeriale sposa e fa suo uno dei corni del dilemma, disponendo che non sia necessaria alcuna procedura per procedere alla trascrizione delle sentenze straniere xxx48].
Il riconoscimento delle decisioni straniere nel regolamento (Ce) n. 2201/2003
Si è ricordato come, con il Trattato di Maastricht, il diritto internazionale privato sia stato ricompreso, assieme alla cooperazione giudiziaria in materia civile, nel terzo pilastro dell'Unione europea, indi, col trattato di Amsterdam, la materia è stata comunitarizzata, passando al primo pilastro xxx49]. La Costituzione europea, non entrata in vigore, infine, all'art. III-170, comma 2, lett. c, menziona specificamente "i conflitti di leggi".
In questo quadro s'inserisce la Convenzione concernente la competenza, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni nelle cause matrimoniali, adottata il 16 luglio 1998 dal Consiglio dell'Unione europea, mai entrata in vigore a causa sia della sua mancata immediata ratifica da parte degli Stati membri, che della intervenuta comunitarizzazione, secondo il Trattato di Maastricht, della cooperazione giudiziaria in materia civile xxx50]. è stato emanato, in tale contesto, il regolamento (Ce) n. 1347/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi (detto "Bruxelles II" xxx51]) a sua volta sostituito dal regolamento (Ce) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (Ce) n. 1347/2000. Lo strumento prescelto, naturalmente, ne assicura la maggiore incisività, posto che, ai sensi dell'art. 249, comma 2 del Trattato, il regolamento ha portata generale ed è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
Il regolamento 2201/2003, entrato in vigore il 1° agosto 2004, si applica dal 1° marzo 2005, ad eccezione degli articoli 67, 68, 69 e 70, che si applicano dal 1° agosto 2004. Inoltre, le sue disposizioni riguardano solo le azioni proposte, gli atti pubblici formati e gli accordi fra le parti conclusi dopo la data in cui il regolamento in parola entra in applicazione.
L'ambito d'applicazione del regolamento n. 2201/2003 è costituito dal divorzio, separazione personale e annullamento del matrimonio nonché dall'attribuzione, esercizio, delega, revoca, totale o parziale, della responsabilità genitoriale (art. 1).
Si è autorevolmente scritto che il testuale riferimento al matrimonio dovrebbe escludere dal suo oggetto le convivenze di fatto xxx52]. Se così fosse, sarebbero invece comprese nel suo ambito tutte le convivenze di diritto e sarebbe viceversa esclusa la sola convivenza more uxorio. In effetti, le ormai numerosissime leggi europee sulla registered partnership, (per usare il titolo originario, dal quale poi hanno tratto spunto le altre legislazioni) non differiscono dal matrimonio perché da ascrivere all'ambito dei fatti, bensì per la loro natura di "piccolo matrimonio", più facile da porre in essere e, soprattutto, più facile da sciogliere. Non è detto però che sia sufficiente tale natura, oppure il principio per cui nel più sta il meno, per inserire le convivenze registrate nelle fattispecie matrimoniali, se non altro perché tutte le leggi, tutti i legislatori, ad ogni latitudine, distinguono benissimo fra matrimonio e unioni civili, convivenze registrate, patti civili di solidarietà, e così via xxx53].
Potrebbe affacciarsi il dubbio, invece, che il regolamento in parola si applichi al matrimonio omosessuale, ormai previsto dalla legge olandese e dalla legge belga xxx54] e spagnola. Al riguardo, la Corte di Giustizia xxx55] ebbe ad asserire «(34) orbene, è pacifico che il termine "matrimonio", secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, designa una unione tra due persone di sesso diverso». Le cose sono però cambiate, perché nei Paesi Bassi è stata emanata la legge 21 dicembre 2000, in vigore dal 1° aprile 2001, la quale ha introdotto il matrimonio fra persone dello stesso sesso xxx56]; in Belgio è stata approvata la legge del 13 febbraio 2003 "Loi ouvrant le mariage à des personnes de même sexe et modifiant certaines dispositions du Code civil". Indi, la legge spagnola del 1° luglio 2005, n. 13, ha modificato il codice civile, stabilendo all'art. 44 che l'uomo e la donna hanno diritto di contrarre matrimonio secondo le disposizioni codicistiche; il matrimonio «avrà gli stessi requisiti ed effetti quando ambedue i contraenti siano del medesimo o di diverso sesso». Tutto ciò non si evince dalla sentenza della Corte, probabilmente redatta prima di tali modifiche.
La vicenda, però, solo col ricorso a poco convincenti forzature, potrebbe riguardare la nostra giurisdizione che, in materia matrimoniale, assume anche nelle enunciazioni, un indirizzo totalmente diverso. Fra l'altro, bisognerebbe esaminare il rapporto fra l'eccezione d'ordine pubblico e il divieto, ormai codificato nelle norme comunitarie, di discriminazioni basate sull'orientamento sessuale.
L'art. 21, primo comma, del regolamento n. 2201/2003 dispone che le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento. Rispetto al sistema generale posto dalla nostra disciplina nazionale (legge 218/1995), non vi è più alcun riferimento alla competenza giurisdizionale: è sufficiente che vi sia una decisione pronunciata in un altro Stato membro perché la si debba riconoscere. Tant'è che l'art. 24 pone un divieto di riesame della competenza giurisdizionale del giudice dello Stato membro d'origine.
Il regolamento (Ce) 2201/2003, fra altro, risolve, nel suo ambito d'applicazione, le questioni aperte in materia di aggiornamento nei registri dello stato civile. Infatti, all'art. 21, comma 2 dispone che non sia necessario alcun procedimento per l'aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile di uno Stato membro a seguito di una decisione di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio pronunciata in un altro Stato membro, contro la quale non sia più possibile proporre impugnazione secondo la legge di detto Stato membro. Il terzo comma del suddetto art. 21, peraltro, consente a ogni parte interessata (e quindi anche al convenuto, al pubblico ministero nonché gli eredi xxx57]) di far dichiarare che la decisione può essere o non deve essere riconosciuta.
Il riconoscimento può tuttavia essere rifiutato per altre cause non dissimili da quelle presenti nel citato art. 66 L. 218/1995, compreso il caso in cui il riconoscimento sia manifestamente contrario all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto (art. 22 reg. n. 2201/2003). Qui vi è una grossa differenza col citato art. 64 L. 218/1995, perché quest'ultimo fa riferimento a disposizioni che producono effetti contrari all'ordine pubblico; non basta quindi che la norma sia contraria all'ordine pubblico, ma occorre anche verificare se i suoi effetti possano comunque far sì che una norma in tesi innocua possa poi esplicare effetti, per così dire, indesiderabili. Il regolamento 2201/2003, invece, restringe alquanto l'ambito d'applicazione del citato contrasto con l'ordine pubblico, limitandolo ai casi in cui esso sia manifesto. Non è tuttavia senza interesse desumere da questa norma come il diritto comunitario assuma che una legge di uno Stato membro possa addirittura essere incompatibile con i principi che sono alla base della civile convivenza di un altro Stato membro.
Il riconoscimento di una decisione non può essere negato (art. 25) perché la legge dello Stato membro richiesto non prevede per i medesimi fatti il divorzio, la separazione personale o l'annullamento del matrimonio. In questo senso, non sarebbero oggi proponibili quelle posizioni che consideravano che inerisse all'ordine pubblico la previsione di un periodo di separazione personale anteriore alla domanda di scioglimento del matrimonio.
Poiché l'art. 3 stabilisce che, in caso di domanda congiunta, siano competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all'annullamento del matrimonio, anche le autorità giurisdizionali dello Stato membro nel quale uno dei coniugi abbia la residenza abituale, appare chiaro come sia possibile eludere il termine triennale italiano di separazione personale per procedere, con un forum shopping non necessariamente esoso, all'immediato scioglimento del matrimonio. Certo, non bisogna pensare che il regolamento sia terreno fertile per abusi di sorta a danni del coniuge debole. L'art. 6 dispone che il coniuge che risieda abitualmente nel territorio di uno Stato membro o che sia cittadino comunitario (oppure che abbia il domicile xxx58] nel Regno Unito o in Irlanda) può essere convenuto non in qualsiasi Stato comunitario, bensì soltanto nell'ambito delimitato dagli artt. 3, 4 e 5, e quindi, segnatamente, nello Stato di residenza abituale dei coniugi, dell'ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o della residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda o della residenza abituale se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, del domicile di entrambi i coniugi (art. 3).
Ai nostri fini, ciò che rileva è l'accresciuta portata del riconoscimento delle decisioni straniere in materia matrimoniale, resa possibile dal vasto ventaglio di alternative in tema di competenza generale, sia dalla ridotta possibilità dello Stato membro richiesto di opporsi al riconoscimento sulla sola base delle divergenze fra leggi (art. 25). Sembra molto significativo, a dire il vero, che le divergenze fra leggi siano, sia pure in misura non illimitata, rese esplicitamente irrilevanti xxx59]. Il significato dovrebbe essere chiaro: le leggi nazionali materiali ed il loro stesso sistema di diritto internazionale privato vengono bruscamente ridimensionati xxx60]. Si ricordi, come già accennato, che ai sensi dell'art. 24 non si può rifiutare il riconoscimento della decisione pronunciata in un altro Stato membro neanche se il giudice avesse equivocato anche grossolanamente xxx61] sulla propria competenza giurisdizionale. Fra altro, si rileva che il dettato del citato art. 25 non è in ogni caso tale da consentire il controllo sul rispetto delle norme di conflitto dello Stato richiesto xxx62].
Al pari del precedente regolamento 1347/2000, il regolamento 2201/2003 è imperniato sulla residenza abituale, definita in dottrina, sulla scorta di Corte Giust. 15 settembre 1994, causa 452/93 xxx63] come «il luogo in cui l'interessato ha fissato, con voluto carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi» xxx64]. Il quale concetto sembrerebbe l'equivalente del nostro concetto di domicilio, così come definito dal codice civile (art. 43, comma 1).
Il citato art. 3 dispone che siano competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all'annullamento del matrimonio le autorità giurisdizionali dello Stato membro:
a) nel cui territorio si trova:
- la residenza abituale dei coniugi, o
- l'ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o
- la residenza abituale del convenuto, o
- in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o
- la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o
- la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, ha ivi il proprio domicile;
b) di cui i due coniugi sono cittadini o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, del domicile di entrambi i coniugi.
2. Ai fini del presente regolamento la nozione di domicile cui è fatto riferimento è quella utilizzata negli ordinamenti giuridici del Regno Unito e dell'Irlanda
Quindi, il coniuge che ha la cittadinanza di uno stato membro, può essere convenuto in giudizio, fra altro, presso il foro dello Stato del quale i due coniugi sono cittadini (artt. 3, comma 1, lett. b), art. 6, lett. b)). Quest'ipotesi è un poco più ristretta di quella di cui all'art. 32 L. 218/1995, che si fa bastare (oltre ai casi di cui all'art. 3 della stessa legge il quale, all'ultimo comma, rinvia all'art. 18 c.p.c. benché art. 4 legge 898/1970 sul divorzio xxx65]), per la sussistenza della giurisdizione in materia di nullità e di annullamento del matrimonio, di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la cittadinanza di uno dei coniugi oppure la celebrazione del matrimonio in Italia.
Sono fattispecie discutibili, perché consentono ad un cittadino che risieda all'estero di convenire il coniuge, costringendolo in buona sostanza a costituirsi in una giurisdizione diversa da quella della loro residenza, con difficoltà pratiche e spese che vanno in senso contrario a quelle che dovrebbero essere le esigenze della giustizia. Sarebbe molto più logico abolire direttamente il criterio della cittadinanza, in favore del solo criterio della residenza abituale (che forse andrebbe definito) che, in ogni caso, finisce per primeggiare anche in seno al regolamento. Ciò non toglie che il regolamento restringa, rispetto al nostro ordinamento interno, il ricorso ad ipotesi diverse rispetto a quelle attinenti la residenza abituale. Sennonché, la ratio è probabilmente non del tutto dissimile da quella del citato art. 32 L. 218/1995, che aveva di mira il caso in cui in un procedimento di divorzio il coniuge straniero, privo di domicilio o residenza in Italia, si rendesse contumace, privando il coniuge cittadino della possibilità di adire il giudice italiano xxx66].
Il regolamento si applica soltanto ai cittadini comunitari nonché ai cittadini extracomunitari che hanno vincoli sufficientemente forti col territorio di uno Stato membro xxx67], in quanto l'art. 6 dispone che il coniuge residente abituale oppure cittadino comunitario (oppure avente il domicile nel Regno Unito o nell'Irlanda) possa essere convenuto soltanto in forza degli articoli 3, 4 e 5. è prevista una competenza residua, in forza della quale (art. 7) qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente secondo il regolamento, la competenza sarà stabilita da ciascuna legge nazionale.
Rispetto alla legge italiana (art. 32), il regolamento (art. 6) ridimensiona grandemente (sic) la giurisdizione italiana nei casi in cui il convenuto sia residente abituale nell'Ue oppure sia cittadino comunitario xxx68].
Questo ricorso preferenziale alla residenza abituale è stato visto come un «déclin de la nationalité» xxx69], una sorta di "nuova cittadinanza" incentrata non più sul legame fra individuo e Stato bensì su quello fra individuo e luogo in cui si svolgono i suoi interessi xxx70]. Il che somiglia parecchio alla coincidenza fra forum e ius, che Picone fa risalire al periodo tardo - medievale, nel quale però i vari diritti particolari risultano «ancora subordinati ad un diritto superiore e comune, di tradizione romanistica» xxx71]. Potremmo pure cedere ad una (facile) suggestione, rammentando come questa attuale frequente riproposizione della coincidenza fra forum e ius faccia anch'essa riscontro ad un diritto superiore e comune, che scaturisce dalle istanze comunitarie. D'altronde, l'instaurazione della cittadinanza dell'Unione (art. 18 trattato Ce), complemento di quella nazionale e non suo sostituto, non poteva essere senza conseguenze. Sarebbe stato infatti incoerente, se non addirittura incomprensibile, imperniare i regolamenti sulla nazionalità anziché sulla residenza, quando lo scopo non è quello di esaltare le differenze bensì quello di armonizzare quanto più possibile. Tuttavia, tale armonizzazione non sarebbe stata possibile o raggiungibile se non avesse investito anche chi, pur non essendo cittadino comunitario, abbia la sua residenza abituale nella giurisdizione dell'Unione europea. Dopotutto, il periodo del Risorgimento, che è quello di Pasquale Stanislao Mancini, con l'esaltazione delle nazionalità, umiliate dalla frammentazione in regni anche minuti, ha lasciato il passo, dopo la bruciante lettura che i regimi totalitari europei hanno dato della nazionalità, ad una costruzione europea via via più assorbente, nel cui seno la nazionalità viene sempre più stemperata, contemporaneamente al crescere di un localismo esasperato ma giuridicamente ininfluente. Il regolamento (Ce) 2201/2003, dice Baratta, tende a considerare in chiave quasi federativa i territori statali come un territorio unico, allo scopo di facilitare la circolazione delle sentenze fra gli Stati membri xxx72]. Se così è - ed al riguardo non è facile nutrire soverchi dubbi - bisognerà ribadire ancora che il diritto comunitario postula ora più che mai l'adozione di una diversa e rinnovata prospettiva, se non si vuole ridurre il proprio sguardo alla sola propria provincia d'appartenenza.
Infatti, il principio di nazionalità appare strettamente legato al periodo storico che lo ha visto nascere. Il periodo manciniano è quello del Risorgimento, delle rivendicazioni nazionali, della ricomposizione dello scarto fra Stato e nazione, una diversità terminologica che è senz'altro una chiave e un tema ricorrente nel pensiero dell'autore xxx73].
Appare molto significativo che si faccia notare come «Jusqu'à la fin du 18e siècle, le domicile était le facteur de rattachement admis dans presque tous les pays. Puis, avec la montée des nationalismes et la vague de codification des lois et coutumes, la nationalité a remplacé le domicile: révolution française et résistance de la France à la coalition des pays européens contre elle; unification de l'Allemagne; unification de l'Italie» xxx74].
Ora come ora, in tempi di globalizzazione, riesce davvero difficile pensare che un soggetto possa validamente portare con se per il mondo la sua legge nazionale, riesce ancora più difficile pensare che l'accettazione da parte degli altri di tale legge nazionale possa essere un atto di ossequio e di rispetto delle differenze, laddove (ed è esperienza comune) è davvero eccezionale che si sia a conoscenza del contenuto del proprio precetto materiale, per non parlare poi della norma di conflitto.
Nel Québec, ad esempio, quale terra d'immigrazione, si è giustamente posta l'esigenza di far regolare molti rapporti dalla legge del domicilio, sia per agevolare l'integrazione dei nuovi arrivati, sia perché si ritiene illogico che persone che hanno perso ogni contatto con il loro paese, del quale sono tuttora cittadini, siano ancora regolati dalle loro leggi xxx75].
Diventa quindi opportuno domandarsi se la legge attuale renda davvero un buon servizio allo straniero coniugato che acquista un immobile in Italia o se sia più opportuno esaminare la possibilità di consentirgli di procedere ad un acquisto personale e separato.
Viene in questione l'annoso problema delle norme paternalistiche, problema talvolta affrontato purtroppo con eccessiva disinvoltura e che per converso mal sopporta gli eccessi, di qualsiasi segno essi siano.
Il paternalismo, che annovera fra le sue espressioni non meno importanti, la comunione legale e la successione necessaria, trova interessanti contromisure in talune legislazioni (Portogallo e Brasile), che non applicano i suddetti istituti ai matrimoni in cui uno dei nubendi appartenga alla c.d. terza età.
La stessa poco riuscita Convenzione de L'Aia del 1978 opta per un criterio oggettivo (la prima residenza abituale) anziché per l'affermazione del principio di nazionalità. Comunque, anche se si volesse proseguire nella via dell'affermazione del principio di nazionalità, non si vede come si possa ignorare la centralità dell'esigenza di acquisire la necessaria documentazione sul diritto straniero. Questa, che è una vera e propria banalità, è anche un'esigenza inappagata, quanto meno nel senso che gli strumenti (pubblici) per provvedervi non esistono nemmeno allo stadio progettuale. Il problema si pone anche per la legislazione vigente, laddove alcuni parlamenti hanno un sito web con tutta la loro legislazione, mentre altri (anche in Europa) sottovalutano un'esigenza che invece dovrebbe essere connaturata alla democrazia stessa: non si può pretendere il rispetto di leggi che non si conoscono.
Sarebbe il caso anche di considerare che le scelte che finiscono per applicare il regime italiano della comunione legale potrebbero, in ipotesi, costituire un disincentivo nei riguardi degli investimenti stranieri, ove si tenga conto della scarsa popolarità, in taluni ambienti, delle norme c.d. paternalistiche, di cui sarebbero espressione la comunione legale e la successione necessaria xxx76].
Dal punto di vista strettamente tecnico, poi, l'applicazione della nostra comunione legale crea difficoltà allo straniero che acquisti un immobile e debba stipulare un mutuo garantito da ipoteca; in quel caso il ricorso alla figura del venditore - terzo datore d'ipoteca potrebbe alleggerire le conseguenze che comporta l'applicazione del nostro regime legale patrimoniale.
In prospettiva, una riforma del diritto internazionale privato italiano potrebbe: a) scongiurare il ricorso a soluzioni invise allo straniero, b) affrontare il problema della prova della legge straniera, trascurato in quanto si privilegia spesso la ricerca astratta, quasi che si potesse condurre senza avere dati idonei da esaminare.
Quanto alle norme di conflitto, non sembra un'eresia ipotizzare che, se il futuro dovesse confermare il carattere federale dell'Europa comunitaria, il sistema di diritto internazionale privato europeo sarà ben più semplice di quello statunitense, reso involuto dalla natura stessa della common law, dove ancora si dibatte fra criteri diversi e divergenti, e dove i Commissioners tentano, con complicate Uniform laws, di mettere ordine in ciò che, per un giurista continentale, appare spesso come l'incarnazione giuridica della disarmonia.
La responsabilità genitoriale nel regolamento (Ce) 2201/2003
L'art. 1, comma 1, lett. b) del regolamento, dispone che esso si applichi all'attribuzione, all'esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale xxx77], nel cui ambito rientrano anche (art. 1, comma 2 lett. e)) le misure di protezione del minore legate all'amministrazione, alla conservazione o all'alienazione dei beni del minore.
Sennonché, il considerando (9) del regolamento chiarisce che le misure relative ai beni del minore, ma estranee alla sua protezione, esulano dal suo ambito, e sono invece disciplinate dal regolamento (Ce) 44/2001. Come dire che il fatto che i beni siano di proprietà di un minore non è, da solo, ragione sufficiente per applicare il regolamento 2201/2003. Al riguardo il considerando suddetto stabilisce che «in tale contesto e a titolo d'esempio, il presente regolamento dovrebbe applicarsi ai casi nei quali i genitori hanno una controversia in merito all'amministrazione dei beni del minore».
Il regolamento 2201/2003 richiede (art. 28 e ss.) che le decisioni sulla responsabilità genitoriale su un minore, emesse ed esecutive in un determinato Stato membro, siano eseguite in un altro Stato membro dopo un apposito procedimento d'esecutività, e quindi se si propendesse, mediante una interpretazione meccanica, per farvi rientrare i procedimenti di volontaria giurisdizione concernenti i beni dei minori, si verrebbe ad aggiungere una procedura che in precedenza, perfino prima della riforma del nostro diritto internazionale privato, si riteneva superflua.
Sennonché, il riferimento all'esecutività, ha ad oggetto i provvedimenti suscettibili di esecuzione forzata. Ad esempio, nel nostro ordinamento, si ritiene che «l'attuazione coattiva della facoltà di visita, attribuita al coniuge affidatario con sentenza di divorzio o di separazione, deve avvenire nelle forme dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare» xxx78] e questi dovrebbero essere palesi paradigmi della fattispecie cui rinviano le citate norme comunitarie. Resta però da dire che il problema linguistico si è affacciato in questo caso. Basta pensare che nel testo inglese la terminologia usata xxx79] fa capo agli enforceable judgments, ossia, a provvedimenti suscettibili di esecuzione forzata xxx80]. Ne consegue che questa procedura di exequatur non riguarda, per intendersi, i provvedimenti coi quali si autorizzano i titolari della potestà sui minori a disporre dei loro beni.
Fra i motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale, vi è, ai sensi dell'art. 23, lett. b), salvo i casi d'urgenza, il fatto che la decisione sia stata resa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto. A tale riguardo, la Convenzione europea sui diritti dei fanciulli (legge 20 marzo 2003, n. 77) xxx81] attribuisce al minore capace di discernimento il diritto di essere ascoltato in determinate procedure, diritto che però il nostro legislatore, dovendo designare (art. 1, comma 4) almeno tre categorie di controversie famigliari dinanzi ad un'autorità giudiziaria cui la Convenzione può applicarsi, ha trovato il modo di restringerne oltremodo la portata, vanificandola. Prima ancora, la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo (legge 27 maggio 1991, n. 176) xxx82] aveva previsto, all'art. 12, il diritto del fanciullo capace di discernimento di essere ascoltato anche in sede giurisdizionale. Nemmeno a dirsi, anche questa previsione è rimasta lettera morta. Tuttavia, essendo assai discutibile che, ad esempio, un diciassettenne non possa esprimersi nei riguardi della vendita dei propri beni, non è detto che, prima o poi, la giurisprudenza ritenga di dare una diversa lettura di queste previsioni.
[nota 1] Art. 797.
CONDIZIONI PER LA DICHIARAZIONE DI EFFICACIA
[La Corte di Appello dichiara con sentenza l'efficacia nella Repubblica della sentenza straniera quando accerta:
1) che il giudice dello Stato nel quale la sentenza è stata pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale vigenti nell'ordinamento italiano;
2) che la citazione è stata notificata in conformità della legge del luogo dove si è svolto il giudizio ed è stato in essa assegnato un congruo termine a comparire;
3) che le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo o la contumacia è stata accertata e dichiarata validamente in conformità della stessa legge;
4) che la sentenza è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunciata;
5) che essa non è contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano;
6) che non è pendente davanti a un giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, istituito prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera;
7) che la sentenza non contiene disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano.
Ai fini dell'attuazione il titolo è costituito dalla sentenza straniera e da quella della Corte di Appello che ne dichiara la efficacia].
[nota 2] Sul punto, vedi S.M. CARBONE, Il nuovo spazio giudiziario europeo - Dalla Convenzione di Bruxelles al Regolamento Ce 44/2001, Torino, 2002, p. 229 e ss., il quale fa riferimento ad una nozione di ordine pubblico che: a) dipenda dai principi informatori dell'ordinamento dello Stato in cui devono essere riconosciuti gli effetti della sentenza straniera, b) non sia predeterminata in modo statico e immutabile e c) sia destinata a variare nel tempo in funzione dell'evoluzione delle concezioni economico - sociali proprie di tale ordinamento. L'ordine pubblico, rileva l'autore, opera in modo più o meno accentuato a seconda cha la sentenza straniera da riconoscere abbia già prodotto i suoi effetti all'estero oppure sia rivolta a conseguire nel foro il diritto in essa riconosciuto, nella sua integralità ed effettività. Dovrebbe trattarsi di un riferimento, da parte dell'A., alla nozione di ordine pubblico attenuato.
[nota 3] M.G. CIVININI, Il riconoscimento delle sentenze straniere, Milano, 2001, p. 30. L'A. soggiunge che la giurisprudenza e la dottrina, sotto l'influenza della dottrina nazionalistica, davano però un'interpretazione restrittiva del cennato riconoscimento automatico.
[nota 4] [Agli atti di giudici stranieri in materia di volontaria giurisdizione, quando si vuole farli valere in Italia, è attribuita efficacia nella Repubblica a norma degli artt. 796 e 797 in quanto applicabili].
[nota 5] In riferimento all'attuale sistema, invece, si è asserito che «se consideriamo una data situazione giuridica con elementi di estraneità, la medesima sulla base della attuale disciplina internazionalprivatistica può essere: a) costituita in Italia, per sentenza o altro provvedimento giurisdizionale, atto amministrativo o convenzione privata, ed in tal caso il coordinamento tra ordinamenti viene realizzato attraverso l'applicazione delle norme di conflitto che individuano la legge applicabile alla fattispecie; b) costituita o creata all'estero e più in particolare: ba) costituita ex lege o avente origine in un atto privato o in un atto amministrativo, ed in tal caso il riconoscimento della situazione viene realizzato attraverso il rinvio agli ordinamenti stranieri operato dalle norme di conflitto e dalla norma sul rinvio; bb) costituita per provvedimento emanato dall'autorità competente - individuata nel giudice sulla base dei criteri indiretti di giurisdizione dall'art. 64 e nell'autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme italiane di conflitto dagli artt. 65 e 66 -, ed in tal caso si fa luogo a riconoscimento automatico senza applicazione delle norme di conflitto» (M.G. CIVININI, Il riconoscimento delle sentenze straniere, cit., p. 37).
[nota 6] E. CALò, Delibazione e diritto internazionale privato,in Cnn Studi e materiali, Milano, 1995, IV, p. 26.
[nota 7] O. LOPES PEGNA, «Il riconoscimento delle sentenze straniere: è tempo di controriforma?», in Riv. Dir. Int., 2004, p. 473. M.G. CIVININI, dal canto suo, scrive che «ulteriore elemento di crisi del sistema (ante riforma del 1995) - in quanto andava ad incidere, attenuandola, sulla netta distinzione tra diritto internazionale privato e diritto internazionale processuale - era la ritenuta riconoscibilità di determinate situazioni di diritto sostanziale (soprattutto nei campi del diritto delle persone e della famiglia e dei diritti reali) costituite all'estero, non solo ex lege ma anche attraverso provvedimenti giurisdizionali, per il tramite dell'applicazione delle regole di conflitto … si affermava che il rinvio agli ordinamenti stranieri effettuato dalle norme di conflitto valeva a richiamare sia le norme materiali sia le situazioni giuridiche concretamente esistenti, di modo che queste potevano essere riconosciute anche senza ricorrere alla delibazione del provvedimento che le avesse costituite o accertate» (Il riconoscimento delle sentenze straniere, cit., p. 32 e ss.).
[nota 8] G. GAJA, «Sentenza straniera non delibata e diritto internazionale privato»,in Riv. Dir. Int., 1964, p. 410.
[nota 9] G. GAJA, «Sentenza straniera non delibata...», cit., p. 424.
[nota 10] R. LUZZATTO, «Delibazione di sentenze straniere e legge materiale applicabile nelle questioni di Stato», in Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 1996, p. 497.
[nota 11] G. CARELLA, voce Sentenza civile straniera, in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, p. 1287. Vedi anche E. CALò, Delibazione e diritto internazionale privato, in Cnn Studi e materiali, Milano, 1995, IV, p. 26.
[nota 12] G. CARELLA, Sentenza civile straniera, cit., p. 1296.
[nota 13] A. LENER, nota a Cass. 23 febbraio 1977, n. 798 e 13 gennaio 1977, n. 154, in Foro It., 1977, I, c. 605; v. anche G. DE FINA, in nota alla stessa sentenza in Giust. Civ., 1977, I, p. 953.
[nota 14] Cass. 2 novembre 1978, n. 4978, in A.A.V.V., La giurisprudenza italiana di diritto internazionale privato e processuale, Milano, 1991.
[nota 15] B. ANCEL, H. MUIR WATT, «La désunion européenne: le Règlement dit Bruxelles II», in Revue critique droit int. privé, 2001, p. 409, nota (16).
[nota 16] Sul punto vedi anche M. MARESCA, «Commento alla legge n. 218/1995, sub artt. 64-66», in Nuov. L. Civ. Comm., 1996, II, p. 1463 e ss.; in ogni caso, che la materia sia ancora in parte da sceverare è a nostro sommesso avviso reso anche, come si vedrà più estesamente nel corpo del testo, dall'opinione che considera, ad esempio, non riconoscibile in Italia un provvedimento estero che non risponda ai requisiti dell'art. 65 L. 218/1995 considerato quindi quale norma speciale, nel senso che la sua mancata applicazione non cede il passo all'applicazione dell'art. 64 L. 218/1995, quale norma generale (M.G. CIVININI, Il riconoscimento delle sentenze straniere, cit., p. 64: «allorquando ci si trovi in presenza di un provvedimento straniero, per il quale non ricorrono le condizioni prescritte dall'art. 65, non si ha una lacuna che giustifichi l'applicazione analogica dell'art. 64 bensì un caso per il quale la legge nega il riconoscimento, il che non può essere ritenuto di per se contrario allo spirito della riforma» col risultato «che possano risultare esclusi dal riconoscimento provvedimenti stranieri relativi a cittadini italiani»; nello stesso senso, ma con alcune importanti distinzioni, nei riguardi del concetto di ordinamento competente, S. BARIATTI, «Commento alla legge n. 218/1995», in Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 1995, p. 1235.). Quindi, il problema è, come poi si vedrà più diffusamente, che in quel caso la mancanza di un trattamento agevolato darebbe luogo non ad un trattamento, per dire, non agevolato, bensì alla impermeabilità della nostra giurisdizione. Vedi però le posizioni contrarie di P. PICONE «L'art. 65 della legge italiana di riforma del diritto internazionale privato e il riconoscimento delle sentenze straniere di divorzio», in Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 2000, p. 381 nonché in Studi di diritto internazionale privato, Napoli, 2003, con medesima numerazione delle pagine e di R. LUZZATTO Il riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri nella riforma del diritto internazionale privato italiano, in Istituto di D. Internazionale dell'Università di Milano, Studi e Comunicazioni, XXI, Milano, 1997, p. 81 e ss.). Vedi anche F. VISMARA, Efficacia di sentenze ed atti stranieri, in G. Conetti, S. Tonolo, F. Vismara, Commento alla riforma del d.i.p. italiano, Torino, 2001, p. 342 e ss.
[nota 17] Cass. 21 giugno 1995, n. 6973, in Giur. It., 1996, I, c. 791, con nota di G. CATTANI.
[nota 18] Cass. I, 22 luglio 1943, n. 1912, Cass. 30 maggio 1963, n. 1450, in F. Capotorti, B. Conforti, L. Ferrari Bravo, V. Starace, La giurisprudenza italiana di diritto internazionale privato e processuale, repertorio 1942-1966, Bari, 1967, p. 242.
[nota 19] Cass. 14 maggio 1975, n. 1859, in F. Capotorti, V. Starace et altri, La giurisprudenza italiana di diritto internazionale privato e processuale, repertorio 1967-1990, Milano, 1991, p. 242. Nello stesso senso, vedi poi Cass. 23 febbraio 1977, n. 798, Foro It., 1977, I, 603, con nota di A. LENER, Cass. 4 marzo 1980, n. 1436, Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 1981, p. 489. In queste ultime due pronunce, si chiarisce che (invece) il controllo della compatibilità con l'ordine pubblico deve essere condotto al tempo della delibazione.
[nota 20] R. BARATTA, Scioglimento e invalidità del matrimonio nel diritto internazionale privato, Milano, 2004, p. 130 e ss.
[nota 21] «Article 17.
La présente Convention ne met pas obstacle dans un Etat contractant à l'application de règles de droit plus favorables à la reconnaissance des divorces et des séparations de corps acquis à l'étranger.
Article 18
La présente Convention ne porte pas atteinte à l'application d'autres conventions auxquelles un ou plusieurs Etats contractants sont ou seront Parties et qui contiennent des dispositions sur les matières réglées par la présente Convention.
Les Etats contractants veilleront cependant à ne pas conclure d'autres conventions en la matière, incompatibles avec les termes de la présente Convention, à moins de raisons particulières tirées de liens régionaux ou autres; quelles que soient les dispositions de telles conventions, les Etats contractants s'engagent à reconnaître, en vertu de la présente Convention, les divorces et les séparations de corps acquis dans des Etats contractants qui ne sont pas Parties à ces conventions.
Article 19.
Tout Etat contractant pourra, au plus tard au moment de la ratification ou de l'adhésion, se réserver le droit:
1. de ne pas reconnaître un divorce ou une séparation de corps entre deux époux qui, au moment où il a été acquis, étaient exclusivement ses ressortissants, lorsqu'une loi autre que celle désignée par son droit international privé a été appliquée, à moins que cette application n'ait abouti au même résultat que si l'on avait observé cette dernière loi;
2. de ne pas reconnaître un divorce entre deux époux qui, au moment où il a été acquis, avaient l'un et l'autre leur résidence habituelle dans des Etats qui ne connaissaient pas le divorce. Un Etat qui fait usage de la réserve prévue au présent paragraphe ne pourra refuser la reconnaissance par application de l'article 7».
[nota 22] R. BARATTA, Scioglimento e invalidità del matrimonio nel diritto internazionale privato, cit., p. 134.
[nota 23] Cass. 18 ottobre 1991, n. 11044 (Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 1993, p. 94): Ai fini della delibazione della sentenza straniera di divorzio resa fra coniugi che, all'epoca della relativa pronunzia erano entrambi cittadini italiani, non è sufficiente l'accertamento - in conformità di quanto disposto dall'art. 10 della Convenzione de L'Aja 1 giugno 1970, ratificata dall'Italia con legge 10 giugno 1985 n. 301 - che la sentenza stessa non si pone in condizione di manifesta incompatibilità con l'ordine pubblico interno, ma avendo l'Italia formulato la riserva di cui all'art. 19 della medesima Convenzione - che consente allo Stato ratificante di non riconoscere la sentenza di divorzio straniera pronunciata nei confronti di suoi cittadini, allorché sia stata applicata una legge diversa da quella prevista dal proprio diritto internazionale privato, a meno che tale applicazione non abbia condotto allo stesso risultato che si sarebbe avuto nell' osservanza di quest'ultimo -, è necessario accertare altresì quale legge sia stata applicata nel caso concreto e, nell'ipotesi di applicazione di una legge diversa da quella italiana, se il divorzio poteva, comunque, essere pronunciato anche secondo la legge 1 dicembre 1970 n. 898, modificata dalla legge 6 marzo 1987 n. 74.
A. BONOMI, «La Convenzione de L'Aja del 1961 sulla protezione dei minori: un riesame dopo la ratifica italiana e l'avvio dei lavori di revisione», Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 1995, p. 625.
[nota 24] A. BONOMI, «La Convenzione de L'Aja…», cit., p. 638 e ss.
[nota 25] P. PASQUALIS, Protezione degli incapaci e obblighi alimentari, in: La condizione di reciprocità - La riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato - Aspetti di interesse notarile, a cura di M. Ieva - Quaderni del notariato, a cura di P. Rescigno, F. Galgano, M. Ieva, Milano, 2001, p. 179 e ss. e specialmente p. 187 e 189.
[nota 26] A. BONOMI, «La Convenzione de L'Aja…», cit., p. 607. Vedi però p. 639 e ss.
[nota 27] P. PASQUALIS, Protezione degli incapaci e obblighi alimentari, cit., p. 193.
[nota 28] Riserva fatta dall'Italia (non è ancora stata ratificata dal nostro paese): Déclarations
«Articles: 23, 26, 52
Les articles 23, 26 et 52 de la Convention accordent aux parties contractantes une certaine souplesse afin qu'une procédure simple et rapide puisse être appliquée à la reconnaissance et à l'exécution des décisions. Les règles communautaires prévoient un système de reconnaissance et d'exécution qui est au moins aussi favorable que les règles énoncées dans la Convention. Par conséquent, une décision rendue par une juridiction d'un Etat membre de l'Union européenne sur une question relative à la Convention, est reconnue et exécutée en Italie par application des règles internes pertinentes du droit communautaire».
[nota 29] R. BARATTA, Scioglimento e invalidità del matrimonio nel diritto internazionale privato, cit., p. 87 e ss.
[nota 30] M. MARESCA, «Commento alla legge n. 218/1995, sub artt. 64-66», cit. p. 1463 e ss.
[nota 31] «Art. 64. (Riconoscimento di sentenze straniere)
1. La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando:
a) il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano;
b) l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa;
c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge:
d) essa e' passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata;
e) essa non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato;
f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero;
g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all'ordine pubblico».
[nota 32] Sul punto, M.G. CIVININI, Il riconoscimento delle sentenze straniere, cit., p. 4.
[nota 33] S. BARIATTI, «Commento alla legge n. 218/1995, sub art. 65», cit., p. 1235.
[nota 34] R. LUZZATTO, Il riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri nella riforma del diritto internazionale privato italiano, cit., p. 101.
[nota 35] R. LUZZATTO Il riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri nella riforma del diritto internazionale privato italiano, cit.
[nota 36] P. PICONE , «L'art. 65 della legge italiana di riforma…», cit., p. 383.
[nota 37] R. LUZZATTO Il riconoscimento di sentenze…, cit., p. 102. L'A. considera, inoltre, che il richiamo di cui all'art. 65 escluda il rinvio (p. 103 e ss.).
[nota 38] In questi termini, O. LOPES PEGNA, «Interesse ad agire per l'accertamento dell'efficacia delle sentenze straniere», in Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 1999, p. 509. Nei riguardi di stranieri, invece, si fa riferimento all'ordine pubblico internazionale «cosicché può ritenersi consentita la delibazione di una sentenza straniera di divorzio fondata su causa non prevista dalla legge italiana (nel caso, su mutuo consenso)» (C. It., 1990, I, p. 926). Palese l'identità di pronunce, a dispetto della invocata diversità del vaglio, condotto in un caso sull'ordine pubblico interno e nell'altro sull'ordine pubblico internazionale. In argomento, vedi anche R. BARATTA, Scioglimento e invalidità del matrimonio nel diritto internazionale privato, cit., p. 100 e ss.
«Art. 66
("Riconoscimento di provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria")
1. I provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione sono riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, sempre che siano rispettate le condizioni di cui all'articolo 65, in quanto applicabili, quando sono pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle disposizioni della presente legge, o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato ancorché emanati da autorità di altro Stato, ovvero sono pronunciati da un'autorità che sia competente in base a criteri corrispondenti a quelli propri dell'ordinamento italiano».
[nota 39] Riv. Dir. Int., 1995, p. 209.
[nota 40] L. LENTI, Italie - Juris Classeur Droit Comparé - Lexis nexis - 1997, par. 27.
[nota 41] A. LENER, nota a Cass. 23 febbraio 1977, n. 798 e Cass. 13 gennaio 1977, n. 154, in Foro It., 1977, I, p. 603.
[nota 42] Ci siamo anche avvalsi di una utile ricostruzione dell'itinerario concettuale che ha portato alla sentenza in commento; trattasi di G. LAGOMARSINO «Sui possibili effetti in Italia di sentenza straniera di divorzio consensuale tra cittadini italiani: questioni in tema di delibazione e di ordine pubblico anche in relazione alla L. 218 del 1995» in Giur. Mer., 1998, 1, p. 54. Vedi anche E. CALò, L'influenza del diritto comunitario sul diritto di famiglia, in Cnn Studi e materiali, 1/2005, p. 625.
[nota 43] Riv. Dir. Int. 1997, p. 269.
[nota 44] Vedi F. SALERNO, «La circolare ministeriale "esplicativa" sull'iscrizione delle sentenze straniere nei registri dello stato civile», in Riv. Dir. Int., 1997, p. 178.
[nota 45] F. SALERNO, «La circolare ministeriale "esplicativa"… », cit., p. 179.
[nota 46] F. SALERNO, «La circolare ministeriale "esplicativa"… », cit., p. 180. Inoltre, l'A. considera: a) che il procedimento da seguire possa essere quello camerale, b) adombra la possibilità di un analogo congegno per la pubblicità immobiliare.
[nota 47] L.S. ROSSI, «L'incidenza dei principi del diritto comunitario sul diritto internazionale privato: dalla "comunitarizzazione" alla "costituzionalizzazione"», in Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 2004, p. 64.
[nota 48] S.M. CARBONE, Competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi: il regolamento (Ce) n. 1347/2000, in S.M. Carbone, M. Frigo, L. Fumagalli, Diritto processuale civile e commerciale comunitario, Milano, 2004, p. 54 e ss.
[nota 49] Il riferimento a Bruxelles I riguarda, dal canto suo, il sistema costituito dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 insieme al regolamento 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (M. CARBONE, Competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale..., in S.M. Carbone, M. Frigo, L. Fumagalli, Diritto processuale civile e commerciale comunitario, Milano, 2004, p. 57).
[nota 50] R. BARATTA, Il regolamento comunitario sul diritto internazionale privato della famiglia, in Diritto Internazionale Privato e Diritto Comunitario, cit., p. 166. Vedi pure ANCEL, MUIR WATT, «La désunion européenne: le Règlement dit Bruxelles II», cit., p. 408, dove si critica tale omissione.
[nota 51] Vedi E. CALò, Le convivenze registrate in Europa - verso un secondo regime patrimoniale della famiglia - Collana Studi del Consiglio Nazionale del Notariato - Commissione Studi Unione europea, Giuffrè, Milano, 2000. Supplemento di aggiornamento - 2003. Dopo tale aggiornamento, è stato emanato il Civil Partnership Act 2004, in vigore in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord.
[nota 52] Contra: R. CONTI, «Il nuovo regolamento comunitario in materia matrimoniale e di potestà parentale», Fam. e Dir., 2004, p. 293, nota (16).
[nota 53] Sentenza 31 maggio 2001, in cause riunite C-122/99 e C-125/99, in Riv. Not., 2002, p. 1263, con nota di E. CALò, «La Corte di Giustizia accerchiata dalle convivenze».
[nota 54] M. BONINI BARALDI, «Società pluraliste e modelli familiari: il matrimonio di persone dello stesso sesso in Olanda», in Familia, 2001, p. 452.
[nota 55] C. CAMPIGLIO, F. MOSCONI, Giurisdizione e riconoscimento di sentenze straniere in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale (estratto dal) Digesto discipline pubblicistiche, aggiornamento, p. 14.
[nota 56] «Mentre il legislatore italiano definisce il domicilio come il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, nell'ordinamento inglese il domicile viene definito come il luogo (paese) dove una persona ha la permanent home, ovvero, dove ha intenzione di ritornare. Il concetto è riferito non già a un certo luogo nell'ambito di un paese, ma a un paese nel suo insieme e, in definitiva, a un determinato ordinamento giuridico al quale una persona è soggetta» (F. DE FRANCHIS, Dizionario Giuridico, I (inglese - italiano), Milano, 1984, p. 665).
[nota 57] Si è fatto anche acutamente notare come queste previsioni del regolamento 2203/2001, ed in particolar modo quelle dell'art. 25, possano in futuro influenzare anche l'atteggiamento della nostra giurisprudenza nei riguardi di pronunce extracomunitarie (C. CAMPIGLIO, F. MOSCONI, Giurisdizione e riconoscimento…, cit., p. 16).
[nota 58] Viene giustamente segnalato, ad esempio, come l'art. 27 n. 4 della Convenzione di Bruxelles annoverava le divergenze nella norma di conflitto fra le cause di rifiuto di riconoscimento, la quale previsione non ha più trovato spazio nel regolamento n. 44/2001 (C. CAMPIGLIO, F. MOSCONI, Giurisdizione e riconoscimento…, cit., p. 16, nota (49).
[nota 59] Sulla base del chiarissimo inequivoco dettato dell'art. 24 regolamento (Ce) 2201/2003, A. DI LIETO, «Il regolamento n. 2201/2003 relativo alla com-petenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale», in Dir. Comm. Scambi Int,, 2004, p. 131. Come giustamente rileva Baratta, ciò è da ascrivere al fatto che il regolamento in parola si ispira al principio di reciproca fiducia (Il regolamento comunitario sul diritto internazionale privato della famiglia, in Diritto Internazionale Privato e Diritto Comunitario, cit., p. 170).
[nota 60] R. BARATTA, Il regolamento comunitario sul diritto internazionale privato della famiglia, in Diritto Internazionale Privato e Diritto Comunitario, cit., p. 189.
[nota 61] Raccolta, 1994, p. I- 4925.
[nota 62] Richiamata da S.M. CARBONE, Competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi…, cit., p, 61; così pure ANCEL, MUIR WATT, «La désunion européenne: le Règlement dit Bruxelles II», cit., p. 418 e ss. Baratta, dal canto suo, la considera come una situazione di fatto, implicante la dimora non transitoria di un soggetto in un dato luogo (Il regolamento comunitario sul diritto internazionale privato della famiglia, in Diritto Internazionale Privato e Diritto Comunitario, cit., p. 173).
[nota 63] E quindi la residenza dell'attore in Italia, anche se non cittadino italiano, vale a fondare la giurisdizione italiana (C. CAMPIGLIO, F. MOSCONI, Giurisdizione e riconoscimento…, cit., p. 11).
[nota 64] G. CONETTI, «Commento alla legge 31 maggio 1995, n. 218», in Nuov. L. Civ. Comm., 1996, II, p. 1184.
[nota 65] C. CAMPIGLIO, F. MOSCONI, Giurisdizione e riconoscimento…, cit., p. 7.
[nota 66] C. CAMPIGLIO, F. MOSCONI, Giurisdizione e riconoscimento…, cit., p. 12.
[nota 67] ANCEL, MUIR WATT, «La désunion européenne: le Règlement dit Bruxelles II», cit., p. 417.
[nota 68] DI LIETO, «Il regolamento n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale», cit., p. 136 e ss.
[nota 69] P. PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, Padova, 1986, p. 5.
[nota 70] R. BARATTA, Il regolamento comunitario sul diritto internazionale privato della famiglia, in Diritto Internazionale Privato e Diritto Comunitario, cit., p. 169.
[nota 71] La dottrina manciniana era basata invero sulla nazionalità anziché sulla cittadinanza. Lo Stato era considerato quale creazione arbitraria ed artificiosa, mentre la nazione veniva vista quale società naturale. Si trattava di un'impostazione il cui «valore ideologico era innegabile» (così, I. CASTANGIA, Il criterio della cittadinanza nel diritto internazionale privato, Napoli, 1983, p. 17). Sul tema in generale, F. SBORDONE, La "scelta" della legge applicabile al contratto, Napoli, 2003.
[nota 72] E. GROFFIER, Précis de droit International Privé Québecois, 4e édition, Québec, 1990, p. 26.
[nota 73] E. GROFFIER, Précis de droit International Privé Québecois, cit., p. 23.
[nota 74] Si fa notare che in Germania sarebbe considerata incostituzionale la restrizione italiana della libertà testamentaria ad un quarto del proprio patrimonio (D. HEINRICH, «Autonomia testamentaria e successione necessaria», in Familia, 2001, p. 412); si consideri che in una prestigiosa pubblicazione (European Succession Laws, a cura di D. Hayton, Bristol, 1998) ciascun capitolo sul diritto nazionale contiene una sezione che riguarda in sostanza il modo di evitare l'applicazione della successione necessaria. In particolare, il curatore consiglia di intestare gli immobili ad una società, perché così si applicherà la regola del domicile che vale per personalty anziché la lex rei sitae che vale per realty (p. 18).
[nota 75] Vedi F. SALERNO CARDILLO, Regolamento comunitario 2201/2003 detto "Bruxelles II bis"- Prime note di interesse notarile in materia di "responsabilità genitoriale" (in corso di stampa).
[nota 76] Cass. 15 dicembre 1982, n. 6912, in Giust. Civ., 1983, I, p. 792; vedi anche Cass. 15 gennaio 1979, n. 292, in Giur. It., 1979, I, c. 1246 nonché Cass. 7 ottobre 1980. n. 5374, in Foro It., 1980, I, c. 2707.
[nota 77] «Il doppio rimbalzo che porta da un testo giuridico redatto in una delle lingue di lavoro delle istituzioni comunitarie alla versione italiana attuata dai traduttori di Bruxelles e, da qui, alla stesura dell'atto italiano di recepimento delle direttive lascia spazio ad un ampio numero di alterazioni di significato» (S. FERRERI, «La lingua del legislatore. Modelli comunitari e attuazione negli Stati membri», in Riv. Dir. Civ., 2004, II, p. 564). Nel nostro caso, trattandosi di regolamento, bisogna scalare un "rimbalzo".
[nota 78] Del medesimo parere, W. RIERING (lettera del Deutsches NotarInstitut del 21 ottobre 2004).
[nota 79] Vedi A. LIUZZI, «La Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli: prime osservazioni», in Fam. e Dir., 2003, p. 287.
[nota 80] Cfr. E. CALò, «Appunti sulla capacità d'agire dei minori», in Dir. Fam., 1997, p. 1604.
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