La Fusione Semplificata
La Fusione Semplificata [*]
di Filippo Zabban
Notaio in Milano
I termini del mio intervento riguarderanno, come è dovuto, le fusioni per incorporazione delle società interamente possedute o di quelle possedute almeno al 90 per cento, previste dagli articoli 2505 e 2505-bis c.c., ma cercherò di dare conto della volontà del legislatore di semplificare - con la riforma del diritto societario - l'intero sistema delle fusioni, anche al di fuori dei casi di totale o parziale possesso, disciplinati dalle due norme citate.
Indicazioni intese ad una generale semplificazione - come accennava Barzellotti - erano venute dalla prassi precedente alla riforma; la prassi di noi operatori, intendo, registi di quel magico momento in cui economia e diritto si incontrano realmente: la rinuncia ai termini dilatori che ora sono regolati dagli articoli 2501-ter e 2501-septies, la coraggiosa previsione della facoltà di rinunciare alla redazione della relazione degli esperti sul rapporto di cambio sono forme di semplificazione che - pur fondate sulle intuizioni della dottrina - erano state tradotte in fatti - ben prima della riforma Vietti - dal Notariato.
Venendo all'argomento "principale", quello delle fusioni semplificate, è corretto confermare come tale espressione debba far pensare - anche in esito alle usuali indicazioni manualistiche - alle due ipotesi, già richiamate, dell'incorporazione di società interamente possedute o possedute almeno al novanta per cento.
Mi sembra però interessante estendere la nostra verifica ad altre situazioni.
Mi voglio riferire, in primo luogo, alle (i) situazioni in cui l'incorporante - ovvero la società risultante dalla fusione, nel caso, non troppo frequente, di fusioni proprie - non sia una società azionaria e alla (ii) diversa ipotesi in cui alla fusione non partecipi alcuna società azionaria (né come incorporata, né incorporante, né come società partecipante a fusioni proprie, o dalle stesse risultante).
La prima situazione assume rilevanza ai sensi della norma contenuta nell'art. 2501-sexies. Tale norma prevede la necessaria redazione della relazione di un esperto in ordine alla congruità del rapporto di cambio. Si suppone così che si fondano due società con basi partecipative diverse, e che la incorporante debba procedere ad aumento del proprio capitale (o ad una forma redistributiva del medesimo) a beneficio dei soci dell'incorporata. Questa determinazione, chiamata rapporto di cambio, è affidata agli amministratori della società; questi, una volta elaborato il loro prodotto, lo sottopongono al vaglio di un esperto che, conseguentemente, redige una relazione che illustra ai soci la congruità di questo rapporto.
L'art. 2501-sexies sancisce, preliminarmente, quella che mi sentirei di definire una regola: prevede cioè che l'esperto sia scelto dalla società e che solo in alcuni casi - eccezionali, così, rispetto alla predetta regola, ma non infrequenti nella pratica - l'esperto non sia più scelto dalla società ma debba essere designato dall'autorità giudiziaria e precisamente dal Tribunale. Rammento incidentalmente la vexata quaestio, generata anche dall'utilizzo di timbri di cancelleria, per cui si ha impressione che la designazione avvenga a cura del Presidente del Tribunale e non dal Tribunale: sarebbe interessante approfondire, in altra sede, il tema della legittimità di un provvedimento rilasciato dal Presidente laddove la norma, invece, esplicitamente prevede la competenza del Tribunale, essendo poi altro aspetto, pur connesso, il verificare se il Tribunale stesso decida in composizione monocratica ovvero collegiale.
Tornando alla differenza fra esperto "scelto" ed esperto "designato", dalla lettura della norma si evince con chiarezza che solo la natura di società azionaria dell'incorporante ovvero della società risultante dalla fusione propria impone la nomina giudiziaria. Ciò determina la conclusione – strana, ma inequivoca – che, se si fondessero per incorporazione sette società per azioni in una società a responsabilità limitata, ciascuna potrebbe scegliere il suo esperto, senza che ciò provochi la nomina da parte dell'autorità giudiziaria.
L'articolo 2501-sexies, oltre a tracciare la distinzione fra (libera) scelta e designazione giudiziale dell'esperto, offre altri spunti di riflessione; mi riferisco al quarto comma. Ai sensi di questo comma, infatti, le società partecipanti alla fusione possono chiedere al Tribunale la nomina di un esperto comune.
Le parole più critiche di questo comma, per noi operatori "di prima linea" sono costituite dall'incipit «in ogni caso».
Ci si deve chiedere se ciò significhi la necessità della nomina giudiziale in tutti i casi in cui si desideri la nomina di un unico esperto, e ciò anche se, a rigore dei commi precedenti, tale designazione non sarebbe dovuta (perché incorporante è una società non azionaria). L'adesione a questa tesi indurrebbe a chiedere, anche in questi casi, la nomina al Tribunale, piuttosto che consentire libera scelta (comune) a tutte le società.
Personalmente dissento completamente da questa interpretazione e sono, invece, del parere che l'indicazione del quarto comma non escluda che, quando incorporante sia una società a responsabilità limitata (diversamente la nomina giudiziaria è giocoforza), tutte le società possano scegliere lo stesso esperto e ciò sia accordandosi, sia, paradossalmente, senza aver precedentemente concordato quella nomina: potrebbe essere non fantascientifica l'ipotesi del ricorso, da parte di tutte le società, a società di revisione di levatura internazionale, categoria che – come noto – si è ristretta a quattro nomi.
In tale ottica (che - ripeto - considero esatta, ed è condivisa da un'orientamento del Consiglio di Milano) l'inciso «in ogni caso» andrebbe relegato a casi di inidoneità degli amministratori a scegliere un unico esperto, si tratti di inidoneità legale (incorporante è una società azionaria), oppure di inidoneità di fatto (non si è raggiunto l'accordo per una nomina comune).
Le conclusioni che propongo restano valide, in mancanza di diversa indicazione da parte del legislatore, anche nel caso in cui sia applicabile la particolare disciplina prevista in tema di leveraged buy out: l'articolo 2501-bis, infatti, non modifica in alcun modo i criteri di selezione dell'esperto previsti all'articolo 2501-sexies, limitandosi, in tema di esperto, a richiedere al medesimo la particolare attestazione di ragionevolezza in ordine alla sostenibilità del passivo.
L'altro tipo di semplificazione cui ho fatto cenno è quella applicabile allorché alla fusione non partecipano affatto società azionarie (né come incorporanti, né come incorporande, né per fusione propria).
Queste fusioni beneficiano non solo delle regole di cui abbiamo parlato poc'anzi (perché, ovviamente, incorporante non è una società azionaria) ma anche delle previsioni del 2505-quater.
La genesi della norma merita di essere preventivamente scandagliata, per rammentare che essa è stata scritta sfruttando una chance prevista dalla direttiva comunitaria del 1978, chance di cui il legislatore nazionale, nel 1991, non ritenne di usufruire.
La direttiva comunitaria, infatti, consentiva agli Stati membri di non applicare alcune sue prescrizioni, con riferimento alle società non aventi natura azionaria.
Questa è dunque la "risalente" origine del 2505-quater, norma che, molto sinteticamente, afferma che si possono dare conguagli - in materia di rapporto di cambio - in misura superiore al dieci per cento, che si possono effettuare fusioni fra società in liquidazione nonostante l'inizio della distribuzione dell'attivo (situazioni entrambe meno interessanti per noi operatori quotidiani) ma soprattutto che tutti i termini della fusione sono ridotti alla metà - così i termini del 2501-ter e 2501-septies, nonché i termini dilatori rispetto alla eseguibilità della delibera, con l'effetto di ridurre alla metà i sessanta giorni fra l'iscrizione della delibera stessa e la stipula dell'atto di fusione.
La norma indica poi la possibilità di rinunciare, all'unanimità, alle disposizioni di cui al 2501-sexies, e così alla relazione degli esperti, di cui abbiamo parlato poc'anzi.
Su questa disposizione si possono innestare diverse riflessioni. Accennerò a due di esse, non avendo tempo sufficiente ad un più accurato esame.
La prima nasce dal dubbio se queste semplificazioni (questo "pacchetto" complessivo di semplificazioni) possano essere fruite anche se, al momento iniziale della procedura (che identificherei nella predisposizione e deposito presso la sede sociale ed il Registro delle Imprese dei progetti redatti dagli organi amministrativi), una o più delle società sia ancora priva del requisito, cioè sia ancora una società azionaria, pur essendo presente indicazione - nel progetto e nei suoi pedissequi atti - della precisazione di sua trasformazione in società a responsabilità limitata nel corso della procedura. La domanda pratica, dunque, è la seguente: questo prevedere e "garantire per il futuro" la natura di Srl legittima l'applicazione complessiva del pacchetto agevolativo in esame?
Sono molto in dubbio sulla risposta e, alla domanda - non inusuale nel nostro ambiente - "lo hai già fatto o lo devi fare?" debbo rispondere che non l'ho mai fatto.
Mi lascia un po' perplesso, infatti, pensare ad una soluzione pienamente positiva.
Le facilitazioni del 2505-quater sono infatti di sapore eterogeneo, ed appaiono poste a tutela di interessi diversi; forse è più esatto dire che le deroghe che questa norma ammette incidono su interessi di natura diversa. I sessanta giorni ridotti a trenta incidono sui diritti dei creditori delle Srl (che evidentemente, secondo il legislatore comunitario ed ora anche per quello nazionale, sono un po' meno meritevoli di tutela di quelli delle SpA); il periodo dilatorio dei trenta giorni fra il deposito del progetto e la delibera assiste la posizione dei soci (tanto che questi, per disposizione generale, possono rinunciarvi).
Questa eterogeneità degli interessi coinvolti mi rende scettico circa la verosimiglianza e la legittimità di piena applicazione del 2505-quater (ivi compreso il decorso di termini abbreviati) allorché la procedura inizi con la presenza di una società azionaria, di cui pure si preveda la trasformazione in non azionaria.
Tema leggermente diverso è invece se qualcuno soltanto di questi effetti positivi (mi riferisco soprattutto alla riduzione del termine dilatorio dei sessanta giorni) possa conseguire perché, al momento dell'iscrizione delle delibere assembleari, le società sono tutte diventate a responsabilità limitata. Su questo tema mi permetto di lasciare aperto uno spiraglio di dubbio.
Anche la disposizione del 2505-quater si presta ad un confronto con il 2501-bis.
Ho avuto occasione di avvertire dubbi, da parte di terzi, circa l'applicabilità del regime facilitativo dell'art. 2505-quater allorché alla fusione fra Srl concorra la vicenda del leveraged buy out.
è sbagliato, a mio parere, dire che il 2505-quater è interamente inapplicabile alle fusioni a debito; bisogna invece chiedersi, più ponderatamente, come si intersechi la disciplina del LBO con la disciplina delle facilitazioni in esame. A mio avviso si interseca solo nella misura in cui il legislatore lo abbia espressamente previsto: il 2501-bis dice che alla fusione con la leva finanziaria non si applicano il 2505 ed il 2505-bis (ossia le facilitazioni per le interamente possedute o le possedute al novanta per cento); non si fa invece menzione alcuna di inapplicabilità del 2505-quater.
Mi pare allora ragionevole dire che, nella misura in cui, secondo i rispettivi caratteri dei due istituti (le facilitazioni ex 2505-quater e la fusione con leva) non risultino incompatibilità espresse o anche solo implicite, le facilitazioni in esame possano applicarsi: e questo è il caso della riduzione dei termini, a mio parere.
Di converso non si applicherà certamente la rinuncia all'esperto: il 2501-bis attribuisce all'esperto una funzione assolutamente ultronea, rispetto al rapporto di cambio, ed orientata più agli interessi pubblici dei creditori che agli interessi privati dei soci; alludo alla funzione di attestare - ove ricorra - la ragionevolezza della capacità di sostenere l'indebitamento.
Volendo chiudere sull'argomento, è interessante notare che, in realtà, anche in caso di fusione con il leveraged - ove sia previsto un rapporto di cambio - sarà consentito ai soci di rinunciare alla parte della relazione dedicata al rapporto di cambio mentre - secondo quanto ora detto - non si potrà rinunciare al giudizio in merito alla sostenibilità del debito.
Il mio intervento doveva a dire il vero trattare anche delle fusioni semplificate in senso proprio (gli articoli 2505 e 2505-bis), ovvero dell'incorporazione di società interamente possedute o possedute al novanta per cento. Mi sono invece attardato sulle tematiche precedenti, e dedicherò quindi meno attenzione alle ipotesi di semplificazione, diciamo così, più classica.
Volendo dapprima sottolineare le differenze fra le due ipotesi, vale la pena di ricordare che, nell'ipotesi di società interamente possedute, nel progetto non si inseriscono una serie di indicazioni che sono correlate all'esistenza di un rapporto di cambio (non si scrive, appunto, del rapporto di cambio, della data dalla quale le partecipazioni partecipano agli utili, né delle modalità di assegnazione delle nuove partecipazioni; si è inoltre dispensati dalla relazione degli amministratori, e non occorre la relazione degli esperti).
Nel caso invece della società posseduta almeno al novanta percento, l'agevolazione è una sola e consiste nella possibilità di non fare luogo alla relazione degli esperti allorché ai soci dell'incorporata sia concesso il diritto di vendere le proprie partecipazioni all'incorporante o ad altro soggetto designato.
Quest'ultima fusione, per il resto, rimane assoggettata a tutte le ordinarie regole, compresa la definizione del rapporto di cambio: l'entità dell'agevolazione è dunque coerente con il principio secondo cui "andarsene", per la minoranza, è un diritto e non un obbligo, per cui se il diritto (di vendere) non viene esercitato, deve restare possibile esercitare il cambio.
Sul tema delle fusioni semplificate "al cento o al novanta per cento" si possono poi svolgere delle considerazioni - mi si conceda l'espressione - a "corpo", perché alcune tematiche riguardano, indistintamente, entrambi gli istituti.
Un profilo di sicuro interesse per noi operatori è l'individuazione del momento in cui il requisito del possesso al cento o al novanta per cento deve sussistere.
Quando io ho cominciato a lavorare, molti anni fa, il Tribunale di Milano aveva rilasciato delle indicazioni preventive (denominate "massime") di giurisprudenza onoraria; una di queste richiedeva, ai fini dell'omologa dell'assemblea di fusione, l'esibizione al giudice dell'atto di acquisto del capitale della società incorporanda, allorché l'acquisto stesso fosse avvenuto in epoca successiva alla data di riferimento della situazione patrimoniale di fusione (per cui non era possibile riscontrare, nella stessa, una voce "partecipazioni" che coincidesse con il possesso dell'incorporata).
Il tribunale, quindi, escludeva che il possesso dell'incorporata potesse intervenire in epoca successiva all'assemblea.
Ritengo che esistano tutte le condizioni per rimeditare su quest'orientamento, anche se – essendo il mio tempo largamente scaduto – potrò solo maldestramente accennare ai motivi di questa diversa impostazione.
La fusione della società interamente posseduta è la fusione della società posseduta al momento dell'atto di fusione; non è conferente invece che si abbia il possesso il giorno del progetto e nemmeno il giorno della delibera. Se infatti, per assurdo, il possesso ci fosse il giorno del progetto ed il giorno della delibera, ma, per un inaudito errore degli amministratori, la partecipazione fosse successivamente venduta, la fusione non si potrebbe attuare, non esistendo un rapporto di cambio.
Pertanto, a mio modo di vedere, è fusione di società interamente posseduta o posseduta al novanta per cento, quella che concreta tale requisito al momento dell'atto di fusione.
Naturalmente, e questo deve essere fortemente sottolineato, l'acquisizione non potrà avvenire a debito, perché questo provocherebbe – pur in via anomala, ex post – l'inapplicabilità (ai sensi del 2501-bis) della disciplina semplificata, che invece è stata usufruita.
[*] Trascrizione autorizzata dell'intervento orale al Convegno.
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