La fusione semplificata
La fusione semplificata
di Nicola Atlante
Notaio in Roma

Introduzione

La delega legislativa per la riforma del diritto societario, in tema di fusioni e scissioni (art. 7 della L. 3 ottobre 2001, n. 366) evidenzia l'istanza di «semplificazione» del procedimento, «nel rispetto, per quanto concerne le società di capitali, delle direttive comunitarie», al fine di evitare che la sua complessità e lunghezza possano comportare pesi ed oneri eccessivi, soprattutto rispetto alle fusioni cui partecipino società medio-piccole e/o a base sociale ristretta.

Si era richiesto infatti da più parti, già dopo l'attuazione della direttiva comunitaria in tema di fusioni (D.lgs 22 del 1991), di modellare complessità e conseguentemente durata e costi del procedimento, in relazione da un lato al livello di difficoltà della specifica operazione di fusione e dall'altro alle dimensioni e strutture delle imprese partecipanti.

Una prima risposta a questa istanza era stata data dal legislatore in occasione della legge 340 del 2000 (quella che ha eliminato la omologa giudiziaria degli atti societari per intenderci), con la soppressione del costoso e farraginoso adempimento della pubblicazione per estratto di progetto, delibera e atto di fusione in Gazzetta Ufficiale.

Il legislatore delegato ha ulteriormente ed in maniera più ampia recepito l'istanza in una serie di norme, alcune in verità già esistenti all'indomani dell'attuazione della direttiva comunitaria, altre (direi la maggior parte) di nuova introduzione, formulate spesso tenendo conto delle esigenze scaturite dalla esperienza applicativa in subiecta materia, maturata dal 1991 alla Riforma.

Mi riferisco in particolare alle norme degli artt. 2505 "Incorporazione di società interamente possedute", 2505-bis "Incorporazione di società possedute al 90%", 2505-quater "Fusioni alle quali non partecipino società con capitale rappresentato da azioni", ma anche a quelle di cui agli artt. 2501-ter ultimo comma (nella parte in cui consente ai soci di rinunciare con consenso unanime al termine tra iscrizione del progetto in Registro Imprese e decisione in ordine alla fusione), 2501-septies primo comma (nella parte in cui ammette che i soci possano rinunciare al termine tra il deposito degli atti presso la sede e la decisione) , 2501-sexies terzo comma (nella parte in cui, quando la incorporante o la risultante non siano società per azioni o in accomandita per azioni, consente direttamente alle parti di designare l'esperto, senza far ricorso alla nomina da parte del Presidente del Tribunale) e 2503 primo comma (nella parte in cui consente di attuare immediatamente la fusione qualora la relazione degli esperti sia stata redatta per le società partecipanti da un'unica società di revisione che abbia reso l'asseverazione di garanzia prevista da tale norma).

Si passa quindi ad esaminare alcuni dei più ricorrenti problemi applicativi, non senza avere ulteriormente premesso che, vista la quantità delle norme richiamate e la disparità di fattispecie alle quali si riferiscono, piuttosto che di "fusione semplificata" oggi si tratterà di "semplificazioni nel procedimento di fusione".

L'art. 2505 c.c.

La fattispecie legale è quella della fusione per incorporazione di una società in un'altra che ne possiede l'intero capitale.

Il contenuto della semplificazione riguarda: da un lato la possibilità di omettere la redazione di relazioni degli organi amministrativi e degli esperti e nel progetto le indicazioni circa rapporto di cambio, modalità di assegnazione di partecipazioni (azioni o quote) e data di partecipazione agli utili di tali nuove partecipazioni e dall'altro la facoltà di traslare dai soci agli amministratori la competenza a decidere circa l'approvazione del progetto di fusione.

In particolare perché si verifichi lo spostamento di competenza decisionale sull'organo amministrativo, occorre una specifica previsione dell'atto costitutivo o dello statuto, come espressamente indicato dall'incipit del secondo comma dell'art. 2505 novellato, sempre che siano rispettati, con riferimento a tutte le società partecipanti, le disposizioni dell'art. 2501-ter e, per la incorporante, anche quelle dell'art. 2501-septies primo comma n. 1 e 2.

La competenza torna ai soci su richiesta di almeno il 5% del capitale dell'incorporante, indirizzata alla stessa incorporante negli otto giorni dal deposito del progetto di fusione in Registro delle Imprese (e non dall'iscrizione, si badi bene, ricordando qui che tra protocollazione ed iscrizione può talora passare un intervallo di tempo più o meno lungo).

Sulla rinunciabilità da parte dei soci, anche nell'ipotesi di fusione deliberata dagli organi amministrativi delle partecipanti, del termine di otto giorni e di quelli previsti dagli artt. 2501-ter e septies si tornerà in seguito.

Si segnala ora che:

- il legislatore ha omesso di specificare se la percentuale di possesso azionario rilevante al fine di riportare la competenza nella sede naturale, quella assembleare, debba computarsi tenendo conto solo delle azioni con diritto di voto, oppure anche di quelle che ne sono prive;

- pur in presenza di una espressa previsione statutaria che attribuisca all'organo amministrativo la competenza a deliberare/decidere la fusione nel caso dell'art. 2505 (e 2505-bis), deve comunque ritenersi vigente la competenza (concorrente) dell'assemblea dei soci, che dunque potrebbe validamente deliberare a riguardo;

- la disposizione (art. 2365 secondo comma) che consente lo spostamento della competenza a deliberare la fusione nel caso dell'art. 2505 (ed in quello dell'art. 2505-bis) sull'organo amministrativo si riferisce, com'è noto, alle SpA e non è stata espressamente richiamata o riprodotta per le Srl.

Non mi pare tuttavia si possa mettere in dubbio che la facoltà di attribuire all'organo amministrativo la competenza a deliberare l'approvazione del progetto di fusione valga anche per la società a responsabilità limitata, pur in presenza delle disposizioni di cui agli artt. 2479 (sono in ogni caso riservate alla competenza dei soci le modificazioni dell'atto costitutivo) e 2480 (le modificazioni dell'atto costitutivo rientrano fra quelle assoggettate necessariamente al metodo assembleare) e concordando sul punto che la fusione configura una fattispecie di modificazione dell'atto costitutivo.

Si è detto infatti che la mancata riproduzione del secondo comma dell'art. 2365 nelle Srl, in presenza di una norma speciale quale è per la fusione quella del secondo comma dell'art. 2505, è ascrivibile ad un difetto di coordinamento dovuto al mancato raccordo fra le sottocommissioni che hanno prodotto lo schema di decreto legislativo delegato, piuttosto che alla volontà specifica del legislatore.

Inoltre, che la disciplina ora esaminata si applichi anche alle Srl controllate totalitariamente o al 90%, si può indirettamente desumere dal fatto che sia l'art. 2505 che l'art. 2505-bis hanno riguardo al possesso (totalitario o per il 90%) di azioni o quote dell'incorporanda.

Occorre a questo punto confrontare l'ambito di applicazione dell'art. 2505 (e dell'art. 2505-bis) rispetto alla fattispecie dell'art. 2501-bis.

Le semplificazioni dell'art. 2505 (e dell'art. 2505-bis) infatti potrebbero sembrare in toto non applicabili alle fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, quando per effetto della fusione il patrimonio di quest'ultima venga a costituire la garanzia generica del creditore o la fonte dei mezzi per il rimborso dei suddetti debiti (c.d. leveraged buy-out), stante l'espressa dizione dell'ultimo comma dell'art. 2501-bis.

Ci si deve però intendere sulla portata di tale esclusione: mi sembra che ci si voglia riferire (i) alla necessità, quando il procedimento di fusione per incorporazione di società controllate al 100% o al 90% si realizzi in collegamento con operazioni di LBO, di non omettere la relazione dell'organo amministrativo ex art. 2501-quinquies (dato che la stessa, in aggiunta al contenuto suo tipico, nelle operazioni di LBO deve necessariamente indicare le ragioni giustificatrici dell'operazione e contenere un piano economico-finanziario, con indicazione delle risorse finanziarie e descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere: art. 2501-bis, comma 3), né il parere degli esperti previsto dall'art. 2501-sexies (cui è affidato il compito - diverso rispetto a quello per così dire istituzionale di valutare la congruità del rapporto di cambio - di attestare la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione relative alle risorse finanziarie previste per il soddisfacimento dei debiti della società risultante dall'operazione: art. 2501-bis, comma 4), oltre che (ii) all'impossibilità di spostare sull'organo amministrativo la competenza a decidere l'approvazione del progetto.

Invece, nel caso di controllo totalitario fra incorporante e incorporanda, anche nella fusione con leverage sarà possibile ricorrere (i) all'art. 2505 al fine di disapplicare le regole in materia di determinazione e illustrazione del rapporto di cambio e di verifica esterna della sua congruità, proprio perché in questo caso il rapporto di cambio non potrebbe in alcun modo esprimersi nonché (ii) all'art. 2505-bis per consentire ai soci dissenzienti della incoroporanda di recedere, facendo acquistare le proprie partecipazioni dall'incorporante.

Un altro dei problemi pratici più ricorrenti è quello di stabilire in che fase del procedimento di fusione debba sussistere il possesso integrale del capitale della incorporanda da parte dell'incorporante.

In astratto l'evento potrebbe verificarsi: (i) sia, ovviamente, fin dal momento della redazione del progetto, (ii) sia anche dopo la redazione del progetto (che di tale evenienza farà necessariamente menzione) ma prima della decisione (dei soci o degli amministratori) di sua approvazione o addirittura (iii) anche dopo la decisione di approvazione del progetto (che di tale evenienza farà necessariamente menzione) ma prima della stipula dell'atto di fusione.

Nella vigenza del sistema di omologa giudiziaria degli atti societari si era sostenuto che, poiché l'assemblea di approvazione del progetto (e non l'atto di fusione) era sottoposta ad omologa, il possesso dovesse sussistere almeno al momento dell'assemblea, al fine di consentire al giudice di verificarne la sussistenza, evidentemente non reputandosi sufficiente il controllo di legalità ex art. 28 L.N. che competeva al notaio (ieri come oggi) al momento di ricevere l'atto pubblico di fusione. Oggi che è il notaio (e non più il giudice, se non in ipotesi residuale) a verificare la ricorrenza di tutti gli elementi di legge anche al momento della richiesta di iscrizione della decisione di approvazione del progetto, è a mio avviso sostenibile che, poiché l'atto di fusione è atto pubblico necessitato e dunque il notaio, in ragione della sua funzione, svolge pure in tale occasione il controllo di legalità, sia possibile ammettere la liceità di posporre fino alla stipula dell'atto di fusione l'acquisto dell'intero capitale della incorporanda da parte dell'incorporante.

Si tratta infine di individuare l'ambito applicativo dell'art. 2505, con riferimento a casi in cui il rapporto di cambio è per forza di cose rigidamente predeterminato e invariabile ovvero in qualche modo rinunciabile. Il problema già in passato evidenziato, è rimasto attuale in quanto il legislatore della riforma non vi ha dato espressa soluzione.

In altre parole ci si chiede se le semplificazioni dell'art. 2505 siano applicabili, estensivamente o analogicamente, a fattispecie diverse da quella legale ma alla stessa contigue.

Si sono così enucleati i casi di:

a. fusione tra società possedute interamente dal medesimo unico socio;

b. fusione tra società possedute dai medesimi soci nelle stesse proporzioni;

c. fusione in cui l'incorporante possiede una parte del capitale della incorporanda e la residua parte è posseduta dai medesimi soci della incorporante nelle medesime proporzioni;

d. fusione inversa (la società interamente posseduta incorpora la società che interamente la possiede);

e. fusione tra tre o più società il cui capitale sia posseduto direttamente e indirettamente dalla incorporante;

f. fusione di tre o più società possedute a cascata (la incorporante possiede l'intero capitale della prima incorporanda che a sua volta possiede l'intero capitale della seconda incorporanda).

Il dibattito verte in particolare da un lato sulla possibilità, anche in queste fattispecie, di ritenere ammissibile l'esonero dagli adempimenti in materia di determinazione, illustrazione e verifica del rapporto di cambio e dall'altro sulla ammissibilità di spostare anche in questi casi la competenza ad approvare il progetto in capo all'organo amministrativo.

Sul primo punto, mi pare si debba concordare sulla inutilità degli adempimenti concernenti il rapporto di cambio, che dunque possono essere legittimamente omessi in tutti i casi in cui appare oggettivamente superflua la sua determinazione o in cui l'omissione dovrebbe poter essere legittimamente decisa dal socio unico, in quanto non suscettibile di toccare interessi diversi dai suoi propri.

L'opinione non è però del tutto pacifica. Si è infatti sostenuto che, anche nel caso di compagini sociali identiche nell'incorporante e nell'incorporanda, la decisione di lasciare invariato il capitale nominale della prima sarebbe suscettibile di arrecare pregiudizio ai terzi creditori, comportando una complessiva diminuzione di quel particolare vincolo del patrimonio sociale che è dato appunto dalla sua appostazione a capitale, e non sarebbe pertanto legittima se non adeguatamente motivata nel progetto e nella successiva delibera (come era tradizionalmente per tutte le riduzioni volontarie di capitale), con conseguente prolungamento del termine per le opposizioni creditorie. La tesi tuttavia non convince se solo si considera che (i) non si verificano, almeno nell'immediato, restituzioni di capitale ai soci, (ii) il capitale della incorporata andrà appostato a riserva nel bilancio post fusione della incorporante, con la stessa disciplina del sovrapprezzo quanto all'intangibilità fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il limite di legge, (iii) le norme sulla fusione sono speciali rispetto a quelle della riduzione.

Sul secondo punto, mi pare possano invece sussistere maggiori dubbi: ci si deve chiedere infatti (i) se sia lecita la clausola statutaria che estenda la norma dell'art. 2505 secondo comma a fattispecie diverse da quella del primo comma e/o (ii) se la clausola statutaria meramente riproduttiva del disposto di legge possa essere interpretata nel senso della sua applicabilità anche ai casi ulteriori di cui si è detto, diversi dalla fattispecie legale.

Mi sembra che, data la eccezionalità della norma che sposta sull'organo amministrativo la competenza a decidere sulla fusione e dato il rilevante interesse dei soci alla determinazione (almeno potenziale) del rapporto di cambio, ad entrambe le domande debba darsi risposta negativa.

L'art. 2505-bis c.c.

La disciplina dell'incorporazione di società possedute al 90% o più dall'incorporante è simile a quella della fattispecie considerata nel paragrafo precedente, ma se ne discosta in più punti.

Intanto, anche in questo caso vale il principio per cui il possesso del 90% o più del capitale non necessariamente deve sussistere al momento della redazione del progetto ma può invece intervenire anche successivamente nel corso del procedimento di fusione.

La possibile deroga alla competenza assembleare è limitata, sempre con salvezza del diritto dei soci titolari del 5% del capitale di chiedere comunque la convocazione dell'assemblea, alla sola incorporante; per le incorporande resta confermata la competenza inderogabile dei soci.

Lo spostamento di competenza a favore dell'organo amministrativo, oltre che essere limitato alla sola incorporante, è comunque sempre subordinato (come nell'art. 2505) a specifica previsione dello statuto o dell'atto costitutivo, sempre che siano rispettate le disposizioni dell'art. 2501-septies primo comma n. 1 e 2 e che la iscrizione dell'art. 2501-ter terzo comma sia fatta, per la incorporante, almeno trenta giorni prima della data fissata per la decisione di fusione della incorporanda.

La limitazione all'incorporante dello spostamento di competenza decisionale è giustificata dal fatto che nell'incorporanda vi sono soci minoritari (portatori di una percentuale del capitale pari o inferiore al 10%), che devono essere tutelati anche attraverso la possibilità di partecipare attivamente alla decisione in ordine alla fusione.

Qualora nella incorporante vi siano soci "esterni", e comunque dissenzienti rispetto alla fusione infragruppo, a tutela del loro interesse è prevista la diversa facoltà di avanzare la specifica istanza di convocazione dell'organo assembleare, come nel caso dell'art. 2505.

La presenza di soci esterni nelle incorporande (ed il conseguente conflitto d'interessi fra socio di controllo e gruppi di minoranza circa la determinazione del rapporto di cambio) giustifica l'impossibilità, e qui risiede un'altra differenza rispetto alla disciplina dell'art. 2505, di disapplicare automaticamente le regole che presiedono alla formazione, alla illustrazione ed alla verifica del rapporto di cambio delle azioni o delle quote.

è prevista però anche in questa materia una semplificazione riguardante la facoltà di non applicare le disposizioni dell'art. 2501-sexies (art. 2505-bis, comma 1), purchè sia concesso ai soci "esterni" dell'incorporanda il diritto di far acquistare le proprie partecipazioni dall'incorporante ad un prezzo da determinare con i criteri fissati per la liquidazione della quota del socio recedente.

La disposizione ha dato luogo a qualche dubbio interpretativo.

Punto fermo preliminare ritengo essere la esplicita previsione già nel progetto di fusione dell'attribuzione ai soci del diritto di far acquistare le proprie partecipazioni dalla società incorporante.

è invece dubbio se tale attribuzione valga a disapplicare non tanto l'intera disciplina del rapporto di cambio, ma solo la regola che impone la redazione della relazione degli esperti sulla sua congruità, il che sembrerebbe presupporre, come mi pare corretto, che un rapporto di cambio sia stato necessariamente fissato ed indicato nel progetto, ma che esso possa essere ritenuto non congruo dai (o da alcuni dei) soci minoritari dell'incorporanda, con attribuzione agli stessi della facoltà di disinvestire la propria partecipazione.

L'art. 2505-bis rimanda alla disciplina legale del recesso riguardo ai criteri di determinazione del valore della partecipazione del socio dissenziente e tace circa la possibilità che gli stessi siano fissati preventivamente nello statuto: sarebbe invece stato preferibile, come è nell'art. 2437-ter novellato, espressamente prevedere anche nel caso dell'art. 2505-bis la possibilità di fissare statutariamente criteri di determinazione del valore di liquidazione, da riconoscere al socio recedente, pur se diversi da quelli enunciati in generale dalla norma di legge.

L'art. 2505-quater c.c.

L'art. 2505-quater apporta notevoli semplificazioni alle fusioni cui partecipino soltanto società di persone, società a responsabilità limitata o cooperative il cui capitale non sia rappresentato da azioni. Si noti che è sufficiente, secondo la testuale previsione dell'art. 2505-quater, che alla fusione partecipi una sola società con capitale rappresentato da azioni per escludere l'applicabilità della disciplina semplificata.

Tali semplificazioni sono state classificate in tre gruppi:

A. disapplicazione della regola (art. 2501, comma 2) che impedisce la partecipazione ad una fusione di società in liquidazione che abbia iniziato la distribuzione dell'attivo e della regola (art. 2501-ter, comma 2) che fissa nel 10% del valore nominale delle quote assegnate a ciascun socio la soglia massima del conguaglio in denaro attribuibile in sede di fusione (fin dora accogliendo dunque la tesi "estensiva" di cui si dirà);

B. idoneità del consenso unanime dei soci ad eliminare la redazione e dunque il deposito della relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio;

C. riduzione alla metà di alcuni termini procedimentali, precisamente quelli previsti dagli artt. 2501-ter, ultimo comma, 2501-septies, comma 1, e 2503, comma 1.

A. Nel primo gruppo sono ricomprese le "semplificazioni" che incidono non tanto sul procedimento, bensì sulla fattispecie stessa della fusione di società non azionarie.

Ci si è chiesti infatti se le disposizioni derogate non si applichino (i) per ciò che esse consentono (la partecipazione alla fusione di società che versano in stato di liquidazione, l'attribuzione di un conguaglio in contanti), o invece (ii) per ciò che esse non consentono (la partecipazione alla fusione di società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell'attivo, ovvero l'attribuzione ai soci di un conguaglio in contanti superiore al 10% del valore nominale delle quote assegnate a seguito della fusione).

Accogliendo la prima interpretazione ("riduttiva") ne conseguirebbe per le società non azionarie, una limitazione alla utilizzabilità della fusione, diversa ed ulteriore rispetto a quella fissata per le fusioni di società azionarie: le società non azionarie infatti non potrebbero partecipare ad una fusione una volta verificatasi una causa di scioglimento del rapporto sociale e/o non potrebbero, in sede di fusione, "conguagliare" in denaro le partecipazioni mancanti rispetto al coefficiente di concambio o ad un multiplo di esso.

Poiché la ratio ispiratrice della norma sembra essere piuttosto quella di facilitare le operazioni di fusione che coinvolgano società non azionarie, sembra preferibile accogliere la diversa interpretazione ("estensiva") per la quale l'accesso alla fusione viene consentito alle società non azionarie, anche dopo l'inizio della ripartizione dell'attivo sociale, così come viene consentito alle stesse società, in costanza di fusione, di liquidare parzialmente i singoli soci attraverso l'attribuzione di una somma di denaro, superiore al 10% del valore nominale delle quote assegnate (che non assolverebbe allora, o potrebbe non assolvere, soltanto alla funzione di conguaglio).

B. Nel secondo gruppo rientra la «semplificazione» che consiste nella possibilità di rinunciare, per consenso unanime dei soci, alla relazione sul rapporto di cambio, redatta dall'esperto o dagli esperti di cui all'art. 2501-sexies.

Si tratta di una semplificazione che risponde ad evidenti esigenze pratiche, già segnalate dall'esperienza applicativa del D.lgs. n. 22 del 1991, in particolare all'esigenza di evitare il costo (in termini di tempo e di denaro) della verifica esterna del rapporto di cambio, là dove questa verifica sia superflua, considerando che le compagini sociali delle due o più società partecipanti all'operazione sono del tutto unanimi nel decidere la fusione alle condizioni di cambio indicate nel progetto.

Qualche dubbio è stato rilevato in punto di procedura, in ordine al metodo e al momento di rilevazione del consenso dei soci.

Si è infatti avanzato il dubbio che la rinuncia debba essere preventiva, rispetto alla decisione di fusione, in quanto la relazione degli esperti deve normalmente essere (redatta e) depositata nella sede delle partecipanti, insieme al resto della documentazione a supporto, prima della riunione dei soci chiamata a deliberare sul progetto di fusione.

Tuttavia è sembrato sufficiente - soprattutto nel caso (e l'utilizzo di questa tecnica redazionale appare del tutto opportuna se non necessaria) in cui il progetto espressamente faccia menzione della facoltà concessa ai soci delle società partecipanti di procurarsi i consensi in occasione della riunione dei soci ex art. 2502 (ed in quella occasione verbalizzarli), anche al fine di sollevare da responsabilità gli amministratori che abbiano convocato la riunione senza essersi preventivamente procurati il parere sulla congruità del rapporto di cambio.

Dovrà dunque darsi conto nel verbale dell'esistenza del consenso unanime di tutti i soci (non solo dei presenti alla riunione): pertanto è consigliabile che gli amministratori, nel convocare la riunione, invitino coloro che non volessero o non potessero parteciparvi a far pervenire alla società, almeno per la data fissata, una dichiarazione scritta di assenso alla rinuncia; in difetto della quale secondo alcuni commentatori potrebbe non ritenersi integrato il presupposto di legge.

Da questo punto di vista non si comprende perché tale semplificazione non sia stata testualmente consentita anche alle fusioni cui partecipino società azionarie (non quotate) e nelle quali si verifichino i presupposti del consenso unanime dei soci e/o della identità delle compagini sociali. All'applicazione della regola richiamata, anche in questi casi, potrà tuttavia pervenirsi secondo alcuni commentatori, in base alla disciplina novellata, utilizzando il criterio interpretativo dell'analogia, e cioè dell'identità di ratio con la disposizione derogativa per le non azionarie, dato anche quanto espressamente previsto per la scissione dall'art. 2506-ter quarto comma. Nel caso in cui si ritenesse applicabile anche alle azionarie la semplificazione, sarà necessario il consenso dei portatori di strumenti finanziari con diritto di voto.

Infine si ricorda che l'attribuzione della facoltà di rinunciare per consenso unanime alla redazione della relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio, non varrebbe a riconoscere applicabile - neppure in presenza di una espressa clausola statutaria in tal senso, che dunque dovrebbe reputarsi illegittima - la medesima regola alla relazione di cui al settimo ed ultimo comma del medesimo art. 2501-sexies, ove è previsto che, nel caso di fusione di società di persone con società di capitali, venga redatta (dagli stessi esperti che avrebbero dovuto stendere, se il consenso unanime dei soci non li avesse esonerati da questo compito, il rapporto di congruità sul coefficiente di concambio delle partecipazioni) «la relazione di stima del patrimonio della società di persone a norma dell'art. 2343 c.c.», poiché la stessa assolve alla tutela (anche) di interessi dei terzi, come tali non disponibili da parte dei soci, almeno nel caso in cui il patrimonio della incorporanda (società di persone) sia imputato in tutto o in parte a capitale della incorporante (società di capitali).

C. Nel terzo gruppo rientra la prevista riduzione alla metà di alcuni dei termini procedimentali, che sono:

- Il termine di trenta giorni che devono intercorrere tra la iscrizione nel Registro Imprese del progetto di fusione e la decisione che lo approva;

- Il termine di trenta giorni che devono intercorrere tra il deposito presso la sede dei documenti di fusione (progetto, relazioni, situazioni patrimoniali, bilanci dei precedenti tre esercizi) e la decisione di approvazione del progetto;

- Il termine per le opposizioni creditorie di sessanta giorni dall'ultima iscrizione nel Registro Imprese delle delibere di approvazione del progetto fino alla stipula dell'atto di fusione.

Gli artt. 2501-ter ultimo comma e 2501-septies primo comma

Il legislatore della riforma ha espressamente risolto in senso affermativo un problema che si era posto alla attenzione dell'interprete già all'indomani dell'attuazione della direttiva in tema di fusione, quello della rinunciabilità sia (i) del termine tra la iscrizione in registro imprese (prima ancora tra la pubblicazione per estratto in Gazzetta Ufficiale) del progetto di fusione e la decisione che tale progetto approva; sia (ii) del termine tra il deposito presso la sede dei documenti di fusione (progetto, relazioni, situazioni patrimoniali, bilanci) e la decisione di approvazione del progetto.

Fermo rimanendo che si era concordi circa la rinunciabilità del secondo dei due termini, stante l'indubitabile ratio di tutela dell'interesse dei soci delle società partecipanti alla corretta informazione pre assembleare, due erano invece le opinioni che si contesero il campo successivamente alla riforma del 1991 in merito alla rinunciabilità del termine tra la pubblicazione del progetto e la assemblea: (i) quella secondo cui il termine in questione sarebbe stato disposto anche nell'interesse dei terzi, rispetto ai quali la durata ridotta della pubblicità avrebbe comportato la necessità di effettuare in tempi più ristretti le valutazioni circa la scelta di esercitare o meno l'opposizione, con la conseguente sua non rinunciabilità e (ii) quella che invece riteneva anche tale termine stabilito in funzione degli interessi dei soli soci e dunque dagli stessi rinunciabile.

In occasione della riforma è stata prevista (rispettivamente dall'art. 2501-ter, ultimo comma e dall'art. 2501-septies, primo comma) la possibilità che i soci rinuncino, con consenso unanime, sia al termine di trenta giorni fra l'iscrizione del progetto nel registro delle imprese e la data fissata per la decisione in ordine alla fusione sia al termine, pure di trenta giorni, durante il quale il progetto e gli altri documenti rilevanti devono restare depositati, a disposizione dei soci che vogliano prenderne visione, nella sede delle società partecipanti alla fusione, prima della data dell'assemblea.

è stato giustamente osservato che la rinuncia per consenso unanime non si estende al diritto di essere informati in merito alle condizioni, termini e modalità dell'operazione attraverso il progetto, la cui redazione dunque non potrà mai essere omessa, né al diritto di accedere gratuitamente agli altri documenti elencati nell'art. 2501-septies, ma investe esclusivamente la durata del periodo di pubblicazione e consultazione di detti documenti prima dell'assemblea.

Ci si è chiesti se i termini di otto giorni di cui agli artt. 2505 terzo comma e 2505-bis e quelli di cui agli artt. 2501-ter e 2501-septies siano rinunciabili dai soci (anche) nel caso di competenza degli organi amministrativi a deliberare la fusione ex artt. 2505 e 2505-bis, dando per presupposto (ma è stato anche sostenuto il contrario) che anche i termini degli artt. 2501-bis e septies siano qui normalmente applicabili. Mi pare da accogliere la risposta affermativa.

Infine ci si è interrogati circa le modalità di espressione del consenso dei soci. Si può rimandare, mi pare, a quanto sopra detto per la rinuncia alla relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio nelle fusioni di società non azionarie.

L'art. 2501-sexies terzo comma

Nelle fusioni in cui né la società incorporante né quella risultante dalla fusione siano SpA ovvero Sapa, l'esperto o gli esperti incaricati di formulare il parere sulla congruità del rapporto di cambio sono scelti fra i soggetti iscritti nell'albo dei revisori contabili o fra le società di revisione sulla base di un accordo fra le società partecipanti, senza doversi ricorrere alla nomina giudiziaria. Si prevede cioè l'adozione di una procedura del tipo di quella prevista per i conferimenti in natura in Srl dall'art. 2465, risiedendo la semplificazione nel fatto di non doversi rivolgere al Presidente del Tribunale per la designazione dell'esperto o degli esperti: art. 2501-sexies, comma 3, c.c. novellato.

Il che con ogni evidenza comporta notevole risparmio di tempo.

L'art. 2503 primo comma

Infine si ricorda l'ipotesi prevista per tutte le fusioni dall'art. 2503 novellato, alla fine del primo comma. La disposizione stabilisce che la fusione possa essere attuata immediatamente dopo la deliberazione dei soci, non solo nei casi già contemplati dal vecchio testo del medesimo art. 2503 ed oggi riprodotti, ma anche nel caso in cui la relazione sul rapporto di cambio ex art. 2501-sexies sia stata redatta, «per tutte le società partecipanti alla fusione, da un'unica società di revisione la quale asseveri, sotto la propria responsabilità … , che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società rende non necessarie garanzie a tutela dei creditori».

Le società hanno dunque a disposizione, oltre a quelli già previsti dalla medesima norma nel testo precedente, un ulteriore mezzo idoneo a stipulare validamente e con piena efficacia l'atto di fusione in via anticipata.

Direi che la semplificazione possa ritenersi applicabile anche al caso di fusioni in cui non sia necessaria la relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio, in quanto non previsto per legge o per interpretazione estensiva o analogica. In questo caso le società partecipanti potranno volontariamente richiedere la redazione della relazione alla società di revisione, sia pure al solo fine di abbreviare il termine per le opposizioni creditorie.

In tema di opposizioni ricordo anche la vecchia questione (non espressamente risolta dalla riforma) della possibilità di considerare la fideiussione equipollente del deposito di somme al fine di abbreviare legittimamente il termine di 60 giorni. Mi pare infatti che anche l'utilizzo di questa tecnica possa a ragione annoverarsi tra le semplificazioni procedimentali della fusione.

BIBLIOGRAFIA

Nella disciplina previgente tra gli altri:

Su problemi specifici inerenti la fusione semplificata

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P. G. MARCHETTI, «Appunti sulla nuova disciplina delle fusioni», in Riv. not., 1991.

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Sugli orientamenti giurisprudenziali in materia

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M. NOTARI, «Nuovi orientamenti del Tribunale di Milano in tema di omologazione di atti societari», in Riv. soc., 2000.

A. PICCIAU, «Osservazioni alle istruzioni del Tribunale di Milano per le omologazioni in materia di fusione», in Giur. it., 1991.

Dopo la riforma tra gli altri

Le massime del consiglio notarile di Milano, Milano, 2005.

D. BOGGIALI e A. RUOTOLO, Fusione inversa: fattispecie, Risposta a quesito Cnn, 2006.

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G. A. DI VITA, La fusione semplificata nella riforma, in Studi sulla riforma del diritto societario, Milano 2004.

F. GUERRERA, Trasformazione, fusione e scissione, in N. Abriani ed altri, Diritto delle società di capitali (manuale breve), Milano, 2003.

U. LA PORTA, «Un "caso particolare" di fusione semplificata», in Le Società, 2004.

F. MAGLIULO, La fusione di società, Milano, 2005.

A. RUOTOLO, I termini della fusione semplificata ex artt. 2505 e 2505-bis deliberata dall'organo amministrativo, Studio Cnn, 2006.

G. SCOGNAMIGLIO, «Le fusioni e le scissioni "semplificate" nella riforma del diritto societario», in Riv. not., 2003.

E nei trattati

Colombo - Portale, Trattato delle società, 7, Torino 2004: SANTAGATA, Le fusioni.

COTTINO, BONFANTE, CAGNASSO, MONTALENTI, Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004: commenti agli artt. 2501-ter e septies, 2503, 2505, 2505-bis, 2505-quater (CAGNASSO).

P.G. MARCHETTI, L.A. BIANCHI, F. GHEZZI, M. NOTARI, Commentario alla riforma delle società - Trasformazione, fusione e scissione, Milano, 2006, ed ivi i commenti agli artt. 2501-ter e septies (C. CLERICI), 2503 (S. CACCHI PESSANI), 2505, 2505-bis, 2505-quater (M.T. BRODASCA).

NICCOLINI E STAGNO D'ALCONTRES, Società di capitali. Commentario, Napoli, 2004 ed ivi i commenti agli artt. 2501-ter e septies, 2503, 2505, 2505-bis, 2505-quater (PERRINO).

M. Sandulli e V. Santoro, La riforma delle società, vol. 3, Torino 2003, ed ivi i commenti agli artt. 2501-ter e septies (P. SERRA D'AQUINO), 2503 (M.E. SALERNO), 2505, 2505-bis, 2505-quater (R. MICCOLI).

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