La scissione semplificata
La scissione semplificata
di Carlo Marchetti
Notaio in Rho
Le novità introdotte con la riforma del diritto societario in materia di fusione semplificata trovano oggi applicazione, come noto, anche alla scissione. Per la verità, all'indomani dell'entrata in vigore del D.lgs 6/2003 della riforma, l'articolo 2506-ter del codice civile contemplava il richiamo soltanto alla fattispecie di cui all'articolo 2505-bis (che a sua volta disciplina la fusione per incorporazione di una società posseduta almeno al 90%), senza invece che fosse richiamata la più comune ipotesi della fusione per incorporazione di società interamente posseduta. Si trattava, peraltro, di un mero difetto di coordinamento, puntualmente corretto dal D.lgs. 310/2004.
Tanto premesso, l'analisi della scissione semplificata richiede, anzitutto, di chiarire come i richiami alla disciplina delle fusioni semplificate trovino concreta applicazione in materia di scissione. Le ipotesi previste dagli articoli 2505 e 2505-bis riguardano l'aggregazione di società tra le quali sussiste un rapporto di controllo totalitario o superiore alla soglia del 90%: come vengono traslati tali rapporti reciproci con riferimento alla ipotesi in cui non si dia luogo ad una fusione, ma bensì ad una separazione per scissione di una società in una o più entità distinte? I presupposti per l'operare delle semplificazioni si verificano per il caso in cui la scissa detenga più del 90% del capitale sociale della beneficiaria, o è invece la beneficiaria a dover possedere almeno il 90% del capitale della società scissa?
Come la dottrina, anche di matrice notarile, ha subito avuto modo di chiarire in sede di primo commento della riforma, il criterio cui converrà ricorrere per leggere la disciplina della fusione semplificata riferita alla scissione è quello di considerare la "direzione" dello "spostamento" patrimoniale che entrambe le operazioni straordinarie producono. A prescindere dalle riflessioni circa la natura giuridica delle vicende circolatorie che si realizzano mediante la fusione o la scissione, ciò che deve rilevarsi è che, mediante la fusione, la società incorporante "riceve" il patrimonio di altra società., vale a dire la società incorporata: l'articolo 2505 richiede, pertanto, che la società "ricevente" il patrimonio detenga l'intero capitale sociale della società da cui la ricezione avviene. Così riletta (sia pure in termini assai generici) la vicenda circolatoria sottesa alla fusione, l'interprete chiamato a traslare la disciplina alla scissione acquisisce una facile chiave di lettura: la società che "riceve" poste patrimoniali è la società beneficiaria, mentre la società che di tali poste si spoglia è la società scissa.
Pertanto, il campo di applicazione espressamente contemplato dagli articoli 2505 e 2505-bis, quando riferito alla scissione, include l'ipotesi in cui la beneficiaria possieda l'intero capitale sociale della società scissa, o possieda una quota dello stesso pari almeno al 90%. La scissione semplificata, pertanto, opera laddove la società decida di scindersi a favore della propria controllante.
Passando alla analisi delle singole ipotesi di semplificazione previste dalla vigente disciplina, occorre in primo luogo richiamare quanto previsto dall'articolo 2505 a proposito, come si è visto, della scissione a favore della società che controlla totalitariamente la società scissa.
La semplificazione concessa dal legislatore consiste, in estrema sintesi: a) nell'esonero dalle indicazioni nel progetto di scissione inerenti il rapporto di cambio delle azioni o quote, b) nell'esonero dalla redazione della relazione degli amministratori, c) nella non necessità di procurarsi la relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio, ed infine, d) nella possibilità che la competenza ad approvare il progetto di scissione venga riconosciuto non già ai soci delle società partecipanti alla scissione ma, previa espressa clausola statutaria, ai rispettivi organi amministrativi.
Le ragioni per le quali tali semplificazioni vengono concesse ripercorrono, naturalmente, quelle sottese alla corrispondente semplificazione della procedura di fusione. Se una società decide di scindersi a favore del proprio unico socio, non si realizza infatti il presupposto per l'assegnazione di azioni o quote della beneficiaria ai soci della società scissa, dal momento che, appunto, l'unico socio della società scissa è proprio la società beneficiaria. In tali operazioni, viene dunque meno la possibilità che vi sia un vero e proprio rapporto di cambio, e viene conseguentemente meno ogni ragione per imporre quelle cautele procedurali che presidiano la correttezza del rapporto di cambio medesimo. Si noti, peraltro, che non può escludersi che nel contesto di una specifica operazione di scissione a favore del proprio unico socio la beneficiaria aumenti il proprio capitale sociale: tuttavia, si tratterà di un aumento di capitale che non partecipa dell'operazione di scissione di per se stessa considerata, e che pertanto non sarà "servente" rispetto ad alcun rapporto di cambio.
D'altra parte, sotto il profilo per così dire aziendale, la scelta di collocare alcune poste patrimoniali nella società controllante, anziché nella controllata, è una scelta di mera riorganizzazione interna, è un fatto di natura puramente gestionale, che non produce alcun mutamento del profilo di rischio del gruppo di società coinvolte nella operazione, né alcuna alterazione degli equilibri patrimoniali ed organizzativi dei soci che a queste società partecipano. Di qui, la facoltà che la competenza ad avviare e portare a compimento il progetto rimanga radicata nell'organo amministrativo.
Se la possibilità di evitare l'approvazione del progetto di scissione da parte dei soci rappresenta un elemento di assoluta novità della riforma del 2003, non altrettanto può dirsi, peraltro, con riferimento all'esonero dalla relazione sulla congruità del rapporto di cambio. L'articolo 2506-ter, terzo comma infatti, replicando una disposizione già presente nella precedente disciplina, esclude la necessità della relazione sulla congruità del rapporto di cambio nelle ipotesi in cui la scissione avvenga mediante la costituzione di una o più nuove società e non siano previsti criteri di attribuzione delle azioni o quote diversi da quello proporzionale. In tali ipotesi, a differenza di quanto si è detto per il caso di scissione a favore dell'unico socio, un rapporto di cambio delle azioni o quote, naturalmente, esiste. Viene infatti costituita una nuova società, le cui azioni vengono assegnate ai soci della società scissa. Talora, a fronte dell'assegnazione delle nuove azioni o quote, i soci della scissa si vedranno annullate parte delle partecipazioni detenute nella scissa medesima; in altri casi si potrà decidere di non annullare azioni o quote della scissa procedendo, in dipendenza della scissione, alla riduzione di altre poste del patrimonio netto, oppure procedendo anche alla riduzione del capitale sociale della scissa pur senza annullare azioni, per il caso in cui queste ultime non abbiano un valore nominale esplicito. In ogni caso, rimane evidente che la scissione proporzionale a favore di una beneficiaria di nuova costituzione postula, a differenza della scissione ex art. 2505, una assegnazione di nuove partecipazioni.
La ragione per la quale l'articolo 2506-ter, terzo comma esclude la necessità della relazione di congruità del rapporto di cambio non è dunque perfettamente coincidente con quella sottesa alla disciplina di cui all'articolo 2505. Piuttosto, la logica della esenzione da tale adempimento per la scissione proporzionale a favore di nuova società risiede nella irrilevanza economica del rapporto di assegnazione delle nuove azioni o quote. Infatti, quale che sia il numero di nuove azioni (ma il discorso non cambierebbe se ci si riferisse alle quote di società a responsabilità limitata) che i soci della scissa ricevono, e quale che sia il numero di titoli cui essi rinunciano nella società scissa, in ogni caso la misura e la natura del loro investimento rimane eguale. Semplicemente, l'investimento di ogni singolo socio viene "spalmato" non più su un'unica realtà societaria, ma su due o più società. Ciascun socio, infatti, prosegue a partecipare di tutte le attività imprenditoriali già esercitate dalla società scissa, ed ora esercitate dalla società scissa e dalla beneficiaria, e nelle stesse proporzioni.
Così individuata la logica della semplificazione contemplata dall'articolo 2506-ter, e ribadito che essa allora non si sovrappone del tutto a quella sottesa alla disciplina dell'articolo 2505, si pone, per la scissione, il problema, da tempo studiato soprattutto con riferimento alla fusione, della possibilità di estendere analogicamente la disposizione dell'articolo 2506-ter, terzo comma, anche ad ulteriori ipotesi non espressamente contemplate dalla norma. Come la prassi interpretativa, oltre che la dottrina, ha ormai acclarato, le medesime ragioni che sostengono la posizione estensiva a proposito della fusione (ragioni che qui ci si limita a richiamare) suggeriscono di ritenere ammissibile l'estensione analogica della norma anche per l'ipotesi di scissione.
Pertanto, come pure - si ripete - già sottolineato anche dagli orientamenti interpretativi espressi dal Consiglio Notarile di Milano, deve ritenersi ad esempio operante la facoltà di non redigere la relazione sulla congruità del rapporto di cambio, anzitutto, nella scissione parziale a favore di una società preesistente che sia interamente posseduta dalla scissa. Si tratta della ipotesi opposta a quella prevista dall'articolo 2505, consistendo nella scissione non già a favore della propria controllante ma della scissione a favore di una propria controllata al 100%. A differenza di quanto si diceva in sede di commento al medesimo articolo 2505, in tale tipologia di scissione, naturalmente, un rapporto di cambio esiste, dal momento che ai soci della società scissa verranno, almeno di regola, assegnate azioni della società beneficiaria. Tuttavia, la scissione non implica, proprio come accade nella scissione proporzionale a favore di nuova società, alcuna modifica nella natura e nella consistenza economica dell'investimento dei soci della società scissa. Costoro, infatti, proseguiranno a partecipare dell'attività di impresa già riferibile alla (sola) scissa, ma tale partecipazione postulerà una "presa diretta" autonoma su quella porzione di patrimonio assegnata alla beneficiaria.
Altro caso frequente nella prassi rispetto al quale si ritiene possa operare l'estensione analogica dell'esonero di cui all'art. 2506-ter, terzo comma è quello della scissione parziale a favore di una società beneficiaria preesistente posseduta totalitariamente dal medesimo socio che possiede pure il 100% del capitale della società scissa. Anche in tale ipotesi, infatti, la posizione economica dell'unico socio non subisce mutamenti, dal momento che egli vedrà solo una rimodulazione ed una diversa ripartizione nelle due società da egli possedute del proprio complessivo investimento.
Come si è già più volte accennato, giova peraltro nuovamente sottolineare che la semplificazione sulla quale ci si è da ultimo soffermati, vale a dire quella contemplata dall'articolo 2506-ter, terzo comma, consente soltanto di non munirsi della relazione sulla congruità del rapporto di cambio. Si tratta, dunque, di una semplificazione diversa e "minore" rispetto a quella prevista dall'articolo 2505 a proposito della scissione a favore della società controllante, la quale invece autorizza anche l'esonero dalla relazione degli amministratori e consente il radicamento della competenza ad approvare il progetto in capo all'organo amministrativo.
Ci si potrebbe peraltro domandare se quelle ipotesi appena richiamate (sia pure in via solo esemplificativa) alle quali si ritiene applicabile in via estensiva l'esonero ex articolo 2506-ter, terzo comma, possano considerarsi come una "proiezione analogica" non solo del medesimo articolo 2506-ter, ma anche del medesimo articolo 2505, di guisa che esse potrebbero godere anche dell'esonero dalla relazione degli amministratori oltre che della facoltà di riconoscere la competenza ad approvare il progetto di scissione ai medesimi amministratori. In altre parole: quelle ipotesi nelle quali si constata l'assenza di un sostanziale mutamento della posizione economica dei soci coinvolti dalla scissione, beneficiano soltanto dello "sconto" rappresentato dall'esonero dalla relazione sulla congruità del rapporto di cambio, o beneficiano anche delle ulteriori semplificazioni previste dall'articolo 2505?
Ragioni fondate sia sulle consuete regole ermeneutiche sia sulla logica della disciplina rendono sul punto preferibile la posizione restrittiva. Da un lato, infatti, dall'insieme delle semplificazioni contemplate dalla disciplina emerge che nelle ipotesi in cui un rapporto di cambio comunque possa sussistere, il presidio procedurale rappresentato dalla relazione degli amministratori debba comunque ritenersi operante. E comunque, l'operatività del presidio, in concreto, non sembra grave ostacolo, considerato che i soci unanimi avranno sempre la possibilità di esonerare espressamente l'organo amministrativo anche dalla redazione di tale documento ai sensi dell'articolo 2506-ter, quarto comma. Dall'altro lato, per quanto concerne il possibile spostamento della competenza ad approvare il progetto di scissione, non può non osservarsi che si tratta di una norma di carattere eccezionale, la cui applicazione analogica richiede estrema prudenza.
Le scissione a favore di beneficiarie che detengono almeno il 90% del capitale della scissa potrà beneficiare delle semplificazioni previste dall'articolo 2505-bis. Anzitutto, tale procedura consente di sostituire all'assemblea di approvazione del progetto la determinazione dell'organo amministrativo, con l'avvertenza tuttavia che a ciò potrà procedere soltanto l'organo amministrativo della beneficiaria, mentre, per quanto riguarda la società scissa (stante la presenza di soci terzi), la competenza rimarrà esclusivamente in capo all'assemblea. In secondo luogo, viene consentito di non redigere la relazione sulla congruità del rapporto di cambio a condizione che ai soci terzi della società scissa venga concesso il diritto di fare acquistare le loro azioni o quote dalla società beneficiaria per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso. Come si vede, non si esonera invece l'organo amministrativo dalla redazione della relazione ex art. 2500-quinquies, scelta che conferma come le ipotesi di esonero di questo documento presuppongono la mancanza di un rapporto di cambio che invece, nelle scissioni di cui all'articolo 2505-bis, naturalmente esiste.
La disposizione in commento solleva peraltro alcuni dubbi interpretativi, del tutto analoghi a quelli su cui ci si interroga in sede di commento della disposizione a proposito della incorporazione di società possedute al 90%. Volendo qui soltanto richiamare alcuni degli esiti cui dottrina e prassi sono giunti, si può rammentare che la disponibilità della società beneficiaria ad acquistare le azioni o quote dei soci terzi della società scissa dovrà essere palesata già in sede di progetto di scissione; quest'ultimo, naturalmente, dovrà in ogni caso anche contenere il rapporto di cambio (che pure sarà sprovvisto della relazione di congruità), dal momento che i soci terzi della scissa potranno pur sempre preferire partecipare alla società beneficiaria, senza essere liquidati al valore di recesso. Si ritiene, inoltre, che la disponibilità ad acquistare le partecipazioni dei soci terzi della scissa possa anche provenire dai soci della beneficiaria, e non dalla beneficiaria di per se stessa considerata, sempre che si possa tuttavia accertare, sul punto, il consenso unanime dei soci della società beneficiaria, considerato che l'acquisto da parte di alcuni di essi potrà comportare una modificazione del peso reciproco delle rispettive partecipazioni.
In tema di fusione, l'applicabilità delle semplificazioni di cui agli articoli 2505 e 2505-bis incontra un limite, stabilito dall'ultimo comma dell'articolo 2501-bis, costituito dalla circostanza che si tratti di una "Fusione a seguito di indebitamento" disciplinata dalla norma da ultimo richiamata. è il caso, su cui molto si è scritto, del c.d. "leveraged buy out", operazione sulla cui liceità un tempo si dubitava e che ora è espressamente consentita previo il rispetto di determinate cautele. Tra di esse, appunto, l'impossibilità di beneficiare, ancorché possa trattarsi di una fusione per incorporazione di una società interamente controllata, della procedura semplificata prevista dagli articoli 2505 e 2505-bis.
Poiché il legislatore nulla dispone in merito alla scissione, ci si può domandare se le norme dell'articolo 2501-bis debbano applicarsi anche a determinate ipotesi di scissione o meno. L'interrogativo, si badi, trascende per la verità lo specifico problema della estensione della procedura di semplificazione: le possibili scelte interpretative, infatti, consistono o nella tesi secondo cui la disciplina dell'articolo 2501-bis ha natura eccezionale, e come tale non suscettibile di estensione analogica, oppure nella opposta tesi secondo cui i presidi relativi alle operazioni di leveraged buy out, non avendo carattere di norma eccezionale, possono (ed anzi devono) trovare applicazione anche alle analoghe ipotesi di scissione. Ora, la prima delle citate tesi si fonda sul presupposto per cui le operazioni di leveraged buy out costituirebbero una violazione indiretta del divieto di "financial assistance" previsto dall'articolo 2358: la disciplina dell'articolo 2501-bis, allora, derogherebbe in via eccezionale al divieto di legge, con la conseguenza che le operazioni non espressamente contemplate dalla norma, ma che pur tuttavia perseguissero scopi contrastanti con il divieto dell'articolo 2358, dovrebbero considerarsi illecite. La tesi, dunque, porterebbe a bandire, a prescindere dalla possibilità di ricorrere o meno alle semplificazioni previste dagli articoli 2505 e 2505-bis, qualsiasi scissione con cui si concretizzasse la figura del leveraged buy out.
In realtà, come la migliore dottrina sottolinea, la tesi preferibile (che qui può essere solo enunciata) legge nella disciplina dell'articolo 2501-bis non già una eccezionale deroga al divieto per la società di concedere finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie , quanto piuttosto un insieme di cautele procedurali che vengono richieste in occasione di operazioni di fusione di per se stesse lecite, ma in un certo modo "pericolose" per i soci e per i terzi. Così inquadrata la disciplina del leveraged buy out non vi è dunque ragione per impedire l'estensione analogica della stessa anche ad operazioni, appunto, analoghe, quale soprattutto la scissione, che conducono a risultati eguali rispetto a quelli espressamente previsti. Il caso che qui interessa sarà dunque quello della scissione di una società acquistata dalla beneficiaria mediante ricorso ad indebitamento, laddove per effetto della scissione il patrimonio della società scissa venga a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dell'indebitamento medesimo. In tale ipotesi, allora, la scissione dovrà rispettare i presidi procedurali richiesti dall'articolo 2501-bis, e non sarà possibile usufruire delle semplificazioni di cui agli articoli 2505 e 2505-bis.
Proseguendo nella ricognizione delle varie forme di semplificazione che il legislatore contempla in materia di fusione e scissione, è necessario soffermarsi brevemente anche su quelle previste dall'articolo 2505-quater. La norma, come noto, assicura una procedura più snella per le fusioni nelle quali non partecipino società per azioni, in accomandita per azioni o società cooperative, riducendo, in particolare, i termini che devono intercorrere tra l'iscrizione del progetto (e tra l'ultimo dei depositi ex art. 2501-epties) e la delibera di approvazione del progetto stesso, nonché il termine per l'opposizione dei creditori.
La norma non è richiamata a proposito della scissione, ponendosi pertanto il quesito circa la sua estendibilità per via analogica. La tesi permissiva viene da taluni invocata soprattutto sulla base di un principio di parità di trattamento: muovendo dalla considerazione della scissione come operazione uguale e contraria rispetto alla fusione, non appare agevole comprendere perché mai quelle minori preoccupazioni che il legislatore avverte per le fusioni cui non partecipino società azionarie o cooperative non dovrebbero riproporsi con riferimento alle scissioni. Tuttavia, la tesi restrittiva, che sembra ad oggi prevalente, si fonda su considerazioni non facilmente superabili. Da un lato, infatti, non può non rilevarsi che soprattutto a seguito dei plurimi "decreti correttivi" che la riforma del diritto societario ha richiesto, permane il mancato richiamo, in tema di scissione, dell'articolo 2505-quater; il che sembra testimoniare l'espressa volontà di limitare la semplificazione ora in esame alla sola ipotesi di fusione. Dall'altro lato sembra indubitabile che la riduzione dei termini consentita dalla citata disposizione ha natura eccezionale, e come tale non suscettibile di applicazione analogica. Non va inoltre dimenticato che il termine richiamato dall'articolo 2503 è posto, evidentemente, a tutela dei creditori; il che, una volta di più, impone particolare cautela.
Merita infine qualche ultima osservazione la disposizione contenuta nell'articolo 2506-ter, quarto comma, la quale, sempre nell'ottica di semplificare la procedura di scissione, consente ai soci unanimi di esonerare l'organo amministrativo dai «documenti previsti nei precedenti commi» del medesimo articolo.
I primi commentatori della norma hanno osservato come il suo tenore rende incerta la possibilità di rinunciare alla relazione sulla congruità del rapporto di cambio, dal momento che si tratterebbe di un documento di competenza di un soggetto diverso dall'organo amministrativo, a favore del quale invece l'esonero viene concesso. Anche in relazione a tale interrogativo, tuttavia, prevale la tesi permissiva. Da un lato, infatti, si sottolinea come poco senso avrebbe impedire la rinuncia alla relazione sulla congruità pur in presenza di un esonero dalla redazione della situazione patrimoniale di riferimento della scissione e della relazione illustrativa degli amministratori: questi ultimi, infatti, sono proprio i documenti sui quali l'esperto deve basarsi per rilasciare la propria relazione. Dall'altro lato, la rinunziabilità per unanime consenso della relazione sulla congruità del rapporto di cambio aveva ricevuto, anche prima della riforma, l'avallo anche di una qualificata giurisprudenza di merito, di guisa che apparirebbe una stonatura della riforma l'irrigidimento rispetto ad una semplificazione ormai diffusa nella prassi, anche giurisprudenziale.
Da ultimo, si può sottolineare come abbia destato qualche sorpresa la facoltà di esonerare l'organo amministrativo dalla redazione della situazione patrimoniale (facoltà, si badi, non prevista per la fusione): anche a prescindere dalla possibile funzione che essa assolve nei confronti dei creditori, nel contesto della scissione appare pressoché irrinunciabile disporre di valorizzazioni di "partenza" dei cespiti oggetto di assegnazione a favore della beneficiaria. Sarà da quella valorizzazione, infatti, che verrà di regola determinato l'incremento del patrimonio netto della beneficiaria, così come la corrispondente riduzione del patrimonio netto della scissa. Di regola, pertanto, di una situazione patrimoniale di riferimento non potrà probabilmente farsi a meno. La disposizione, tuttavia, rimane di indubbia utilità, dal momento che essa potrà consentire, ad esempio, di redigere soltanto lo stato patrimoniale in base al quale la valorizzazione delle poste patrimoniali oggetto di scissione è stata effettuata, senza che vi sia la necessità di predisporre una situazione patrimoniale completa, come tale comprensiva del conto economico e della nota integrativa. Analogamente, l'unanime consenso degli aventi diritto potrà servire a derogare al limite temporale cui la situazione patrimoniale deve riferirsi ai sensi dell'articolo 2501-quater.
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