La scissione semplificata
La scissione semplificata
di Alberto Picciau
Professore Associato di diritto commerciale, Università di Cagliari e Avvocato in Milano
Introduzione
La complessità e l'articolazione del procedimento di scissione voluto dal legislatore del 1991 hanno generato nel tempo una comprensibile esigenza di semplificazione, che ha trovato accoglimento al momento della riforma del diritto societario.
La lunghezza dei tempi dell'operazione e l'ampiezza della documentazione richiesta costituivano senza dubbio una complicazione per gli operatori economici e potevano rappresentare un elemento di disincentivo.
Comprensibile, quindi, che la legge delega per la riforma abbia fissato, quale principio generale in tema di operazioni straordinarie quello della semplificazione del procedimento; e ciò nell'ambito della più ampia finalità, propria della riforma nel suo complesso, di apparecchiare, per le imprese italiane, una regolamentazione che consenta di competere al meglio nello scenario internazionale.
L'esenzione dalla relazione degli amministratori e dalla situazione patrimoniale
Per quanto concerne la scissione alcune ipotesi di semplificazione si ricollegano, sia pure con le diversità del caso, alla disciplina base dettata in materia di fusione.
Altre ipotesi, invece, costituiscono una peculiarità della scissione.
Cominciando dall'art. 2506-bis, ultimo comma, c.c., esso prescrive che il progetto di scissione debba essere pubblicato a norma dell'ultimo comma dell'art. 2501-ter c.c. Ora, al di là del fatto che il richiamo di tale ultimo comma non pare del tutto appropriato giacché la disposizione sul deposito del progetto di fusione per l'iscrizione nel Registro delle Imprese è contenuta nel penultimo comma, non pare dubbio che la volontà del legislatore sia quella di sottoporre la scissione alla medesima disciplina della fusione. Di conseguenza anche per la scissione è possibile che, previo consenso unanime dei soci, si rinunci al termine mensile previsto tra l'iscrizione del progetto e la data fissata per la decisione dei soci.
Al riguardo merita rammentare che nel vigore della disciplina previgente era originariamente discussa la rinunziabilità di detto termine, poiché secondo l'avviso di taluni il termine in questione incideva anche sulla posizione dei terzi.
Il legislatore della riforma ha optato per la possibilità di rinunzia al termine, accogliendo così la tesi più liberale.
In quest'ordine di idee, pertanto, non trova spazio l'ipotesi ermeneutica secondo la quale la norma in tema di fusione non sarebbe applicabile alla scissione in quanto quest'ultima sarebbe suscettibile di incidere sugli interessi dei terzi.
Sul punto pare di poter osservare che proprio il richiamo testuale dell'art. 2501-ter, ultimo comma, c.c. consente di interpretare la norma dell'art. 2506-bis, ultimo comma, in modo estensivo, come volta a richiamare entrambe le norme della fusione in tema di pubblicità del progetto (penultimo ed ultimo comma dell'art. 2501-bis c.c.) con conseguente applicabilità diretta della norma sulla rinunziabilità del termine [nota 1].
Del resto, non sembra che il profilo degli interessi dei terzi assuma diverso rilievo nell'ipotesi della scissione. In verità, sia nella fusione sia nella scissione la rinunzia al termine riduce il lasso di tempo che i terzi hanno a disposizione per formare una propria opinione circa l'operazione. E tuttavia il legislatore ha scelto di dar riconoscimento alle esigenze dell'impresa, come del resto avviene in vari aspetti della disciplina della scissione [nota 2], ritenendo nel contempo che non emerga un reale pregiudizio alle ragioni dei terzi che hanno pur sempre a disposizione lo strumento principe dell'opposizione ex art. 2503 c.c.
Accanto all'art. 2506-bis si pone la norma dell'art. 2506-ter, ultimo comma, che dichiara espressamente applicabile alla scissione la norma dell'art. 2501-septies. Detta disposizione prevede che i soci possano rinunziare, con consenso unanime, al termine di trenta giorni durante i quali il progetto di scissione e la restante documentazione relativa all'operazione dovrebbero permanere depositati presso la sede delle società partecipanti all'operazione.
Come è stato giustamente osservato dalla dottrina è presumibile che la prima rinuncia non sia disgiunta dalla prima, poiché è plausibile reputare che i soci che intendano semplificare l'operazione rinunceranno ad entrambi i termini [nota 3]. Per quanto non bisogna dimenticare che gli effetti delle due rinunce sono differenti: la prima consente di abbreviare la durata del procedimento, mentre la seconda si limita ad ampliare il lasso di tempo concesso per depositare i documenti presso la sede sociale.
è bene precisare che la norma ora in esame concerne espressamente solo il termine per il deposito della documentazione a supporto dell'operazione e non il diritto ad essere informati attraverso i documenti prescritti.
In proposito, ci si può interrogare se i soci possano altresì rinunciare al proprio diritto ad essere informati mediante il deposito dei documenti in parola. La risposta può essere favorevole ove si consideri che il diritto è funzionale ad un interesse dei soci e che in base alla norma dell'art. 2506-ter, comma quarto, c.c. (di cui si dirà tra poco) i soci possono rinunziare alla situazione patrimoniale; che il progetto di scissione deve essere comunque iscritto nel Registro delle Imprese e che i bilanci devono essere depositati nel Registro delle Imprese.
Per quanto concerne le modalità di accertamento del consenso, esso dovrà essere acquisito dagli amministratori anteriormente all'adunanza dei soci e fatto constare dal verbale della deliberazione di approvazione del progetto.
L'esenzione dalla relazione degli esperti
Semplificazione procedimentale che attiene alla sola scissione è invece quella contemplata dall'art. 2506-ter, comma quarto, c.c.
Dopo aver espressamente previsto che gli amministratori debbano redigere la relazione illustrativa del progetto e del concambio e la situazione patrimoniale di scissione, l'art. 2506 prevede al suo quarto comma che l'organo amministrativo possa essere «esonerato dalla redazione dei documenti previsti dai commi precedenti» con il consenso unanime dei soci e dei possessori di altri strumenti finanziari che diano diritto di voto nelle società partecipanti all'operazione.
In questo modo il legislatore ha voluto riconoscere che la relazione al progetto e la situazione patrimoniale di scissione costituiscono documenti posti nell'interesse dei soci. La scelta conferma in fondo che i documenti in questione sono essenzialmente rivolti a chiarire i profili attinenti al rapporto di cambio ed alla connessa riorganizzazione della compagine sociale divisata con l'operazione.
Piuttosto, qualche dubbio residuo può sorgere circa l'opportunità della scelta legislativa di richiedere il consenso da parte dei possessori di strumenti finanziari, atteso che la loro posizione non è influenzata dal rapporto di cambio.
La possibile rinunzia alla relazione degli amministratori solleva tuttavia un problema.
In linea di principio, infatti, la relazione non solo deve illustrare e motivare il concambio, ma deve altresì indicare il valore effettivo del patrimonio netto trasferito alle beneficiarie e rimasto alla scissa. Indicazione questa che coinvolge la posizione dei terzi, atteso che l'art. 2506-quater, comma 3, c.c. individua nel patrimonio netto trasferito e rimasto il limite della responsabilità (in capo alle società partecipanti all'operazione: rispettivamente, beneficiarie e scissa) per i debiti originariamente della scissa e non soddisfatti dalla società cui facciano carico e che l'art. 2506-bis, comma 3, c.c. limita al patrimonio netto assegnato a ciascuna beneficiaria la responsabilità solidale in relazione ad elementi del passivo la cui destinazione non sia desumibile dal progetto.
Al riguardo va senz'altro rimarcato che l'indicazione del valore del patrimonio netto trasferito e rimasto non rappresenta un valore inderogabilmente vincolante per i terzi. Questi ultimi, infatti, potranno senz'altro dimostrare, in un eventuale giudizio, che il valore del patrimonio netto è differente.
Tuttavia, per quel che riguarda il caso qui analizzato della rinunzia alla relazione, esso pone comunque il problema della necessità di indicare tale valore.
In proposito, una soluzione appagante potrebbe esser quella di indicare il valore del patrimonio netto nel progetto di scissione.
Venendo poi alla relazione degli esperti circa la congruità del rapporto di cambio (prevista dall'art. 2501-sexies c.c. cui rinvia l'art. 2506-ter, comma 3, c.c.) la disciplina non la richiede nell'ipotesi in cui la scissione avvenga con costituzione di nuove società e non siano previsti criteri di attribuzione delle azioni o quote diversi da quelli proporzionali. La norma si spiega con il fatto che, ad operazione conclusa, i soci della scissa riceveranno le partecipazioni nella(e) beneficiaria(e) nella stessa misura in cui possedevano partecipazioni nella scissa, così che in detta fattispecie non si pone alcun problema di congruità del concambio. La scissione, dunque, ha una valenza assolutamente neutra per quanto attiene ai rapporti tra i soci e di conseguenza è del tutto superflua la relazione degli esperti.
La disposizione ora considerata, inoltre, deve essere valutata anche sul piano degli interessi coinvolti dall'operazione. In effetti, dal momento che la legge prescinde dalla relazione degli esperti nel caso in cui non si ponga un problema di congruità del concambio, si deve ritenere che il legislatore consideri che la relazione sia rivolta a tutelare gli interessi dei soci e non gli interessi dei terzi. Diversamente opinando, infatti, la legge avrebbe prescritto la relazione degli esperti quale documento sempre e comunque imprescindibile.
La fattispecie considerata e la sua ratio suggerisce di valutare se la relazione degli esperti possa essere evitata, più in generale, in tutti i casi in cui non sussista il concambio ovvero in cui l'operazione sia tale da non ledere la posizione dei soci di minoranza della scissa i quali, a scissione avvenuta, non subiscano alcun pregiudizio - rispetto alla maggioranza - nell'assegnazione delle partecipazioni della(e) beneficiaria(e).
In proposito sia la dottrina sia la prassi hanno ritenuto che non sia indispensabile la relazione degli esperti anche nei seguenti casi:
a) scissione parziale a favore di beneficiaria preesistente la quale possiede l'intero capitale della scissa ovvero è interamente posseduta dalla scissa;
b) scissione totale a favore di due beneficiarie preesistenti, entrambe interamente possedute dalla scissa;
c) scissione totale a favore di due società preesistenti, le quali possiedono l'intero capitale della scissa, allorché le beneficiarie siano interamente possedute da un medesimo soggetto o da più soggetti, secondo le medesime percentuali ed i medesimi diritti;
d) scissione parziale a favore di una beneficiaria preesistente interamente posseduta dalla medesima società che possiede interamente anche la scissa (ovvero allorché sia la scissa che la beneficiaria siano partecipate dagli stessi soggetti, secondo le medesime percentuali ed i medesimi diritti) [nota 4].
Per quanto attiene alla relazione degli esperti merita chiedersi, inoltre, se essa non possa esser oggetto di rinunzia da parte dei soci.
L'art. 2506-ter, comma 4, prima ricordato non fa riferimento a tale possibilità. Tuttavia tale norma assume una valenza sistematica più ampia di quanto il suo dettato letterale non farebbe supporre a tutta prima. In effetti, la circostanza che possa esservi un'esenzione circa la relazione degli amministratori (e la situazione patrimoniale di scissione) induce a reputare che il consenso dei soci (e dei possessori di strumenti finanziari) permetta di evitare anche la relazione degli esperti.
La relazione degli esperti ha ad oggetto una valutazione in merito al rapporto di cambio (alle metodologie seguite ed ai risultati ottenuti, oltre che alle difficoltà di valutazione). Essa non fissa il concambio bensì compie un'analisi ed una valutazione dell'operato degli amministratori, i quali forniscono, con la loro relazione ex art. 2501-quinquies c.c., un'essenziale presupposto per il giudizio degli esperti.
Pare evidente, allora, che in difetto della relazione dell'organo amministrativo il compito degli esperti non abbia ragion d'essere. In effetti, se i soci volontariamente hanno esentato gli amministratori dal fornire spiegazioni e chiarificazioni sul concambio ciò presuppone che gli stessi soci (e segnatamente i soci di minoranza) ritengano che il concambio non determini un pregiudizio rispetto alla loro posizione anteriore all'operazione.
A questo, che mi pare essere l'argomento decisivo per permettere l'esenzione dall'intervento degli esperti, può poi aggiungersi che l'attività valutativa di questi ultimi avrebbe difficoltà davvero notevoli di esplicarsi in mancanza delle informazioni provenienti dagli amministratori [nota 5].
In definitiva, dunque, valorizzando la ratio della norma dell'art. 2506-ter, comma 4, c.c. giungiamo anche dopo la riforma alle medesime conclusioni che, prima del 2003, la prassi, ed anche la giurisprudenza, avevano caldeggiato sia pure con accenti diversi.
La scissione di società interamente possedute e di società possedute al novanta per cento (applicazione degli artt. 2505 e 2505-bis c.c.)
L'art. 2506-ter, ultimo comma, c.c. dichiara espressamente applicabili le norme degli artt. 2505 e 2505-bis [nota 6].
Si applicano, quindi, alla scissione le medesime semplificazioni dettate dalla disciplina della fusione per le fattispecie in cui l'incorporante possieda interamente il capitale dell'incorporata e in cui l'incorporante possieda il novanta per cento del capitale.
In via preliminare è appena il caso di sottolineare che nell'ambito della scissione chi "incorpora", per così dire, è la beneficiaria: è quest'ultima infatti che assorbe una parte del patrimonio della scissa.
Pertanto, l'art. 2505 c.c. si applica si applica nel caso in cui la beneficiaria possieda il 100% delle capitale della scissa.
In detta fattispecie non c'è concambio giacché la beneficiaria non può assegnare a se stessa partecipazioni proprie (cfr. anche art. 2504-ter c.c.).
La conseguenza, è che non si applicano quelle norme del procedimento di scissione che sono naturale derivazione del concambio: non è necessaria perciò la relazione degli amministratori, né la relazione degli esperti.
La ragione della semplificazione è intuibile: l'operazione si limita a riorganizzare l'assetto patrimoniale ed aziendale senza sollevare, all'evidenza, problemi di sorta circa i rapporti di sorta tra soci, stante appunto il controllo totalitario. è dunque assolutamente inutile gravare l'operazione della stesura delle relazioni indicate.
Anche riguardo a questa ipotesi, inoltre, va sollevato il problema, ricordato precedentemente, della necessità della indicazione del valore effettivo del patrimonio netto attribuito alla beneficiaria e rimasto in capo alla scissa.
Sempre dal punto di vista operativo, infine, la scissione potrà essere decisa dagli organi amministravi delle società partecipanti, salvo il diritto dei soci titolari del 5% del capitale della beneficiaria di richiedere che la scissione sia decisa dall'assemblea della beneficiaria.
Passando poi alla scissione a favore di una beneficiaria che controlli la scissa con la titolarità del 90% del suo capitale, anche in questo caso vi sono significative semplificazioni del procedimento.
La norma prevede infatti che si possa omettere la relazione degli esperti a condizione che il progetto di scissione contempli, oltre che la fissazione del concambio (e l'eventuale previsione dell'aumento di capitale della società beneficiaria a servizio dello stesso concambio), il diritto degli altri soci della scissa di far acquistare le loro partecipazioni per un corrispettivo determinato secondo i criteri previsti in materia di recesso.
La necessità della determinazione del concambio risiede nel fatto che non è dato di sapere se ed in quale misura i soci di minoranza della scissa eserciteranno questo loro diritto di vendita delle loro partecipazioni.
Al riguardo va poi sottolineato che la norma consente la semplificazione sul presupposto della concessione di tale diritto ai soci minoritari, a prescindere dal suo esercizio o meno.
In breve, in questa operazione i soci di minoranza non hanno a disposizione la relazione degli esperti, documento essenziale a fini della valutazione della congruità del concambio. La loro tutela non risiede nell'informazione relativa al concambio ed alla sua congruità. Essi sono tutelati dalla possibilità di far acquistare le proprie partecipazioni.
è evidente il favor per le esigenze dell'impresa e dei soci di (larga) maggioranza, cui fa da contrappeso la tutela dei soci di minoranza, che si esprime con il diritto di esercitare l'exit.
Nel modello base della scissione la tutela dei soci (di minoranza) è anzitutto costituita dalle informazioni circa l'operazione e circa il concambio (di cui la relazione degli esperti rappresenta un passaggio fondamentale). Nell'ipotesi ora in esame, che si caratterizza per il fatto che i soci di minoranza della scissa hanno una posizione sostanzialmente marginale (10%) nella scissa, la loro tutela informativa cede invece il passo alle ragioni dell'impresa e della maggioranza che le esprime e si riduce al diritto di exit.
Tale opzione del legislatore è la medesima che ritroviamo a proposito della scissione non proporzionale nell'art. 2506-bis, comma 4, c.c.
Ed in proposito, pur prendendo atto del dato normativo, pare comunque di poter osservare, in chiave critica, che il favore verso l'impresa ed il socio maggioritario può risolversi in concreto in uno strumento volto, in concreto, ad agevolare l'espulsione dei soci minoritari.
Si pensi al caso in cui i soci di minoranza (titolari del 10%) nutrano generiche perplessità a fronte del concambio senza peraltro disporre della relazione degli esperti con le informazioni in merito. In una situazione di incertezza, di fatto la cessione delle proprie partecipazioni (tramite l'esercizio il diritto riconosciuto ex art. 2505-bis c.c.) può rappresentare per i soci minoritari la soluzione obbligata o, quantomeno, la soluzione meno rischiosa e comunque preferibile rispetto all'alternativa della permanenza in società, accompagnata magari dall'esercizio di un'azione di danni in relazione ad un concambio che si suppone incongruo.
Ciò detto, sulla ratio della norma è utile precisare che l'impegno all'acquisto può provenire dalla società beneficiaria; ovvero dai soci della scissa, a condizione che vi sia il loro accordo unanime; ovvero da un socio della beneficiaria o da terzi, purché gli altri soci della beneficiaria siano d'accordo [nota 7].
Dal punto di vista dello sviluppo dell'operazione si reputa che il richiamo della disciplina del recesso non debba essere inteso come limitato al parametro di determinazione del corrispettivo delle partecipazioni, bensì come esteso anche agli aspetti procedimentali concernenti termini e modalità di esercizio dell'exit [nota 8]
Si può reputare pertanto che il progetto di scissione debba assegnare ai soci di minoranza della scissa un termine per l'esercizio del citato diritto non inferiore ai quindici giorni successivi all'iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese; che le partecipazioni non possano essere cedute a soggetti diversi da quelli impegnati all'acquisto; che i soci di minoranza abbiano diritto di conoscere la determinazione del valore delle loro azioni nei quindici giorni antecedenti la data fissata per l'assemblea chiamata ad approvare il progetto di scissione; che il mancato perfezionamento della cessione delle partecipazioni per contestazione circa la misura del corrispettivo non possa impedire la conclusione del processo di scissione.
Sempre dal punto di vista procedimentale, va ricordato che il secondo comma dell'art. 2505-bis c.c. prevede che l'atto costitutivo o lo statuto della beneficiaria assegnino all'organo amministrativo la competenza a deliberare la scissione, in luogo dell'assemblea. La previsione, va da sé, riguarda solo la beneficiaria e non la scissa, considerato che è la prima a controllare (e "incorporare") la seconda.
Da ultimo, sempre con riguardo all'attribuzione della competenza all'organo amministrativo, si deve rimarcare che si devono applicare anche alla scissione le regole che prevedono il deposito presso la sede della beneficiaria di tutti i documenti previsti dall'art. 2501-septies c.c. e che il progetto di scissione deve essere iscritto nel Registro delle Imprese della beneficiaria almeno trenta giorni prima della data fissata per la deliberazione della scissione.
(…Segue): applicabilità o meno alla scissione della disciplina prevista per la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento
L'applicazione dei citati artt. 2505 e 2505-bis c.c. induce a interrogarsi circa l'eventuale applicabilità alla scissione della disciplina, dettata dall'art. 2501-bis c.c., relativa alla fusione a seguito di acquisizione con indebitamento.
Come è noto, infatti, per tale figura il legislatore esclude l'applicazione delle norme 2505 e 2505-bis c.c. (art. 2501-bis, comma 6).
La questione è stata sollevata dalla dottrina che è intervenuta sulla scissione: prevale il condivisibile orientamento di reputare applicabile al nostro istituto l'art. 2501-bis c.c. [nota 9]
In proposito riguardo all'applicabilità dell'art. 2501-bis c.c. occorre considerare che, in concreto, può accadere che una società si indebiti per acquisire il controllo di altra società e, all'esito di tale risultato, si progetti una scissione parziale in cui la scissa trasferisca alla controllante-beneficiaria una frazione del suo patrimonio (ad esempio uno o più rami d'azienda), che diviene elemento di garanzia per il rimborso del debito assunto per l'assunzione del controllo della scissa da parte della beneficiaria.
Nella sostanza, il fenomeno è sovrapponibile a quello della fusione con indebitamento, con un'unica differenza quantitativa: nel caso della scissione infatti non si verifica l'incorporazione dell'intero patrimonio della società target nell'incorporante, bensì si "incorpora" solo una frazione patrimoniale della scissa.
In dottrina ci si è posti il problema dell'applicabilità in chiave analogica della norma dell'art. 2501-bis c.c., che non è richiamata in sede di scissione.
A mio avviso, si può ritenere che vi sia stato un difetto di coordinamento, ferma comunque la necessità di valutare se sussistono i presupposti di applicazione della disposizione dell'art. 2501-bis c.c.
Al riguardo, considerato che il tema della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento sarà trattato dalla successiva relazione del Notaio Magliulo, non posso che rinviare alle sue considerazioni.
In questa sede, solo per comodità espositiva, mi limito a richiamare due possibili conclusioni, riguardo alla materia che ci interessa, e che possono rilevare ai fini della soluzione.
Da un lato vi è chi giudica l'art. 2501-bis c.c. quale disposizione che fissa le condizioni alle quali è subordinata la legittimità delle operazioni di leveraged buy-out. In tale modo - si è osservato [nota 10] - alla norma dovrebbe essere attribuita valenza eccezionale, con la conseguente insuscettibilità di applicazione analogica al nostro caso.
Dall'altro lato vi è chi reputa che l'art. 2501-bis non sia una norma eccezionale, in quanto essa presuppone che sia stato risolto dalla legge delega il problema dell'ammissibilità dell'operazione e che essa abbia quale propria finalità quella di imporre degli obblighi informativi a tutela dei terzi. In questa linea la norma dell'art. 2501-bis c.c. non dovrebbe esser considerata eccezionale, con conseguente sua applicabilità analogica in relazione alla scissione.
Mi chiedo però se sia proprio indispensabile porsi il problema della natura non eccezionale della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento ovvero se l'applicazione dell'art. 2501-bis c.c. alla scissione non possa anche scaturire da un altro argomento.
A questo proposito, mi pare debba essere valorizzata l'idea, poc'anzi ricordata, secondo la quale, con riguardo al tema in questione, la scissione solleva solo una diversità di tipo quantitativo rispetto alla fusione.
In effetti, la scissione rappresenta, in qualche modo, una sorta di "incorporazione" parziale del patrimonio della scissa da parte della beneficiaria. A ciò si aggiunga che ai fini dell'art. 2501-bis c.c. l'elemento che caratterizza l'operazione di fusione è proprio l'aspetto dell'incorporazione del patrimonio dell'incorporata nell'incorporante, poiché è proprio in forza di tale incorporazione che si può realizzare la garanzia per l'indebitamento assunto ai fini dell'acquisizione.
Se tutto ciò è vero, si può allora ritenere che la norma dell'art. 2501-bis c.c. concerna non solo la fusione ma, più estesamente, tutte le fattispecie di incorporazione e quindi anche le ipotesi, per così dire, di "incorporazione parziale" (id est di scissione), cioè di incorporazione di un parte di patrimonio.
Del resto, parrebbe irragionevole ed incongruo escludere la scissione dall'applicazione delle maggiori tutele previste dall'art. 2501-bis c.c., laddove l'elemento che giustifica l'intervento del legislatore è appunto quello dell'incorporazione e non il fatto che l'operazione assuma le specifiche vesti della fusione.
In quest'ordine di idee, dunque, parrebbe perdere importanza il profilo concernente la valenza eccezionale o meno della norma dell'art. 2501-bis.
L'art. 2505-quater c.c. e la sua applicabilità alla scissione
Nel meccanismo dei rinvii alle norme sulla fusione, il legislatore ha dimenticato anche l'art. 2505-quater c.c., disposizione che detta una semplificazione per le ipotesi in cui alla fusione non partecipino società azionarie.
C'è da chiedersi allora se la regola in questione possa esser applicata anche alla scissione.
è mio parere che sarebbe ingiustificato escludere la scissione dalla semplificazione consentita dall'art. 2505-quater c.c.
Vero è che il mancato richiamo della disposizione sembrerebbe ostacolare la soluzione qui preferita [nota 11].
Tuttavia mi pare si possa sostenere che la disposizione dell'art. 2505-quater debba esser considerata norma generale con riguardo ai tipi sociali non azionari.
In effetti, non vi è ragione di reputare che le norme che disciplinano la fusione con riguardo alle società per azioni debbano essere considerate generali e che le norme che invece riguardino gli altri tipi debbano esser reputate eccezionali.
Del resto, non bisogna dimenticare che le discipline della fusione e della scissione hanno una derivazione comunitaria e che la normativa comunitaria ha come campo di applicazione il tipo SpA, così che l'aver costruito la disciplina della fusione e della scissione avendo come implicito modello di riferimento le società per azioni è semplicemente il frutto di una tecnica di formulazione delle norme discendente dal contenuto delle direttive comunitarie.
Tenuto conto di tutto ciò, allora, pur con le cautele derivanti dal mancato richiamo dell'art. 2505-quater c.c., l'articolo può comunque ritenersi applicabile alla scissione.
La scissione c.d. asimmetrica: una possibile semplificazione nelle operazioni di scissione?
Da ultimo desidererei dedicare un breve cenno alla scissione c.d. asimmetrica, prevista dall'art. 2506, comma 2, c.c.
Tale norma prevede che, per consenso unanime, possa essere compiuta l'operazione mediante la quale una società trasferisca una frazione del suo patrimonio a più società beneficiarie e ad uno o più soci non vengono assegnate azioni o quote delle beneficiarie ma azioni o quote della stessa scissa.
Il presupposto del consenso unanime, inoltre, sembra legittimare anche altre fattispecie simili. Stando all'ipotesi di pluralità di beneficiarie, si pensi al caso in cui ad alcuni soci della scissa non vengano assegnate azioni o quote di nessuna delle beneficiarie bensì azioni o quote della stessa scissa; oppure al caso nel quale ad alcuni soci della scissa non vengano assegnate azioni o quote di una delle beneficiarie e tuttavia si determini un incremento della loro percentuale di partecipazione al capitale della scissa, senza peraltro che si abbia un'attribuzione di ulteriori azioni o quote della scissa medesima [nota 12]. Passando all'ipotesi in cui vi sia una sola beneficiaria, si pensi al caso nel quale alla mancanza di assegnazione di partecipazioni sociali della beneficiaria non corrisponda l'attribuzione di azioni o quote della scissa, bensì la sola crescita della percentuale di partecipazione al capitale della scissa stessa.
Orbene, poiché il legislatore legittima tali operazioni sul presupposto del consenso unanime dei soci, c'è da chiedersi se l'operazione si collochi sul terreno schiettamente "contrattuale" e quindi possa esser sottratta al lungo ed articolato procedimento di scissione che si giustifica e si spiega anche in conseguenza del principio maggioritario che scandisce i rapporti tra i soci.
In altri termini, posto che nella fattispecie ora considerata i soci sono tutelati, in radice, con il requisito del consenso unanime e posto che così l'operazione assume una connotazione peculiare - contrattuale direi - c'è da chiedersi se abbia ragion d'essere in tal quadro considerarla come una vera e propria scissione, cioè come una vera e propria "operazione societaria", soggetta al lungo procedimento di legge ed articolata nel trittico progetto - delibera - atto di scissione.
A mio avviso, pur con i dubbi e le cautele derivanti da un dato normativo laconico sul punto, mi pare che l'operazione in esame non sia una vera e propria scissione, e che essa possa esser realizzata con un unico atto, che si perfeziona con la volontà unanime dei soci.
Se si accede a tale soluzione "liberale", si potrebbe forse ritenere che l'operazione si compia mediante un atto pubblico cui partecipino tutti i soci, ferma restando ai fini della tutela dei creditori l'applicabilità dei principi circa l'opposizione dei creditori dettati dall'art. 2503 c.c. ed adattati alla fattispecie ora in esame, vale a dire riferiti all'iscrizione dell'atto pubblico nel Registro delle Imprese anziché riferiti all'iscrizione della decisione-delibera di scissione [nota 13].
[nota 1] In questo senso le Massime elaborate dalla Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, in materia di fusione e scissione, reperibili sul sito internet della Scuola di notariato della Lombardia www.scuoladinotariatodellalombardia.org, ove si osserva che il rinvio formulato dall'articolo 2506-bis può essere considerato generalmente indirizzato all'intero ultimo comma della norma che regola il progetto di fusione e che diversamente ragionando, peraltro, non si vede comunque motivo alcuno per modificare le considerazioni di derogabilità precedenti la riforma.
[nota 2] Ci si riferisce in particolare alla regolamentazione della scissione non proporzionale di cu all'art. 2506-bis, comma 4, c.c.
[nota 3] G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, 7**2, Torino 2004, p. 448.
[nota 4] Cfr. massime n. 22 e 23 in Le Massime elaborate dalla Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, cit., ove l'osservazione che si tratta di casi nei quali la scissione non può comportare una variazione del valore delle partecipazioni possedute dai soci delle società partecipanti all'operazione; e, in dottrina, L. PICONE, Art. 2506-ter, in Trasformazione - Fusione - Scissione, Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Grezzi, Notari, Milano, 2006, p. 1155.
[nota 5] Cfr. in dottrina, G. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 451, che efficacemente osserva che il lavoro degli esperti sarebbe "zoppo" e non facilmente intelligibile se non supportato dalla relazione degli amministratori e dalla situazione patrimoniale, e L. PICONE, op. cit., p. 1152 e ss.
[nota 6] Si rammenta che in origine la norma dell'art. 2506-ter c.c. non conteneva il richiamo dell'art. 2505, bensì del solo art. 2505-bis. Tale difetto di coordinamento, cui è stato posto rimedio con il decreto correttivo n. 310 del dicembre del 2004, ha inizialmente generato incertezze in dottrina: v. G. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 452 e ss.
[nota 7] Così massima n. 59 della Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, cit.
[nota 8] Così ancora la massima n. 59 di cui alla nota che precede.
[nota 9] Cfr., sul punto, la specifica analisi di L. PICONE, op. cit., p. 1157 e ss.; v. inoltre G. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 460.
[nota 10] Così ancora L. PICONE, op. cit., p. 1159.
[nota 11] Si oppone alla applicazione alla scissione M. TAMBURINI, Art. 2506-ter, in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, v. 3, Padova, 2005, p. 2598 e ss.
[nota 12] Sul punto mi permetto di rinviare ad A. PICCIAU, Art. 2506, in Trasformazione - Fusione - Scissione, Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2006, p. 1025 ed ivi p. 1051 ss. Si consideri che in una società composta di più soci questi si accordino in modo che uno di essi rimanga quale unico socio della scissa e gli altri "passino" alle beneficiarie; se al trasferimento del patrimonio alle beneficiarie fosse connessa una riduzione del capitale sociale della scissa, il socio rimasto in questa potrà compensare, per così dire, la mancata assegnazione di azioni o quote nelle beneficiarie con una crescita della percentuale di partecipazione al capitale senza che si abbia necessariamente una attribuzione di ulteriori azioni o quote della scissa (l'ipotesi è segnalata da G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit. p. 37 e ss.; cfr. inoltre O. CAGNASSO, Forme di scissione, p. 2358 e ss.).
[nota 13] Cfr. ancora A. PICCIAU, Art. 2506, cit., p. 1052 e ss.
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