La scissione non proporzionale
La scissione non proporzionale
di Alberto Morano
Notaio in Torino
Premessa
La realizzazione di una operazione di scissione consente all'impresa di scomporre, in tutto o in parte, il proprio patrimonio, ripartendolo tra altre società (siano esse preesistenti o di nuova costituzione) e contestualmente assegnando, ai propri soci, azioni o quote delle società beneficiarie dell'incremento patrimoniale: in altri termini, mediante tale operazione, si ha «la suddivisione di un unico patrimonio sociale e di un'unica compagine societaria in più società» [nota 1].
La descrizione del fenomeno proposta è di creazione dottrinaria, in quanto la normativa civilistica non offre una definizione compiuta dell'istituto, ma si limita ad indicare le modalità attraverso le quali l'operazione può essere effettuata. Da ciò consegue che, per comprendere appieno la scissione, l'interprete deve innanzitutto fare riferimento alle vicende che caratterizzano (o possono caratterizzare) il fenomeno ed alle sue finalità.
All'uopo, appare opportuno fugare il campo da un primo dubbio che potrebbe sorgere ad una rapida lettura delle disposizioni dettate dal legislatore comunitario (cfr. articoli 2 e 21 della VI direttiva Cee n. 82/891/Cee del 17 dicembre 1982) [nota 2] e da quello nazionale (cfr. art. 2506, comma 1, c.c.) [nota 3]. Le norme ora richiamate, infatti, pongono in evidenza il profilo dell'estinzione/costituzione dell'ente, finendo per attribuire a tale aspetto il ruolo di elemento caratterizzante la scissione. Proprio in considerazione del rilievo apparente del momento "estintivo" della scissione, parte della dottrina e della giurisprudenza [nota 4] - con interpretazione alquanto restrittiva del fenomeno - hanno ritenuto che la scissione possa essere utilizzata solo ed esclusivamente quale modalità di cessazione dell'impresa sociale, nella forma dello scioglimento senza liquidazione.
In realtà, approfondendo l'esame delle norme contenute negli articoli dal 2506 al 2506-quater c.c., la scissione risulta essere un istituto polivalente che può essere utilizzato per il perseguimento di molteplici funzioni economiche (in merito, si suole parlare di "pluridirezionalità degli effetti") [nota 5], con fini diversi ed anche opposti rispetto a quello di mero mezzo di estinzione della società.
Non vi è dubbio che la polivalenza dell'istituto, assieme alla varietà delle sue "forme" (su cui, meglio, infra sub "La scissione proporzionale e non proporzionale: inquadramento sistematico"), rappresenta la fonte stessa dei principali problemi interpretativi, in quanto l'interprete non può esimersi da una comparazione fra il modello della scissione previsto dal legislatore e le altre fattispecie che sono alla stessa assimilabili, in punto di struttura o di effetti (si pensi, ad esempio, allo "scorporo", al trasferimento e al conferimento di azienda, ecc.), tenendo anche conto dell'eventuale concorso di discipline [nota 6]. Poiché, quindi, la soluzione delle singole questioni non può affatto prescindere da un esame analitico della ratio delle disposizioni che si confrontano (concernenti, da una parte, la scissione e, dall'altra, gli istituti affini), non si può non percepire la portata della complessità strutturale ed effettuale dell'operazione, nonché la necessità di affinare l'indagine nel processo di interpretazione della disciplina applicabile a tale figura del diritto societario.
In questa sede, non si intende peraltro ripercorrere le varie tesi in tema di natura giuridica della scissione di società (che ruotano, come a tutti noto, intorno a due poli della ricostruzione del fenomeno in termini di estinzione dell'ente e successione nel patrimonio, oppure di mera modifica delle regole di svolgimento dell'attività societaria) [nota 7], ma richiamare l'attenzione di chi legge in modo particolare su una delle "forme" di scissione che, pur presentando alcuni profili di peculiare complessità, potrebbe offrire un utile strumento per risolvere i contrasti tra soci (o gruppi di soci), nonché per realizzare, secondo modalità in parte diverse, anche le finalità del nuovo istituto del c.d. "patto di famiglia".
La scissione proporzionale e non proporzionale: inquadramento sistematico
Come in precedenza accennato, la disciplina codicistica della scissione offre più che altro una descrizione delle modalità attraverso le quali l'operazione può essere eseguita e, quindi, delle varie "forme" che la stessa può assumere: sia sufficiente porre mente al contenuto dell'art. 2506 c.c. (che corrisponde al previgente art. 2504-septies c.c.) che introduce l'istituto in oggetto attraverso la descrizione delle sue caratteristiche e modalità attuative, sotto la rubrica "Forme di scissione" [nota 8].
La versatilità della scissione discende dalle stesse scelte operate dal legislatore nazionale che, in sede di recepimento della VI direttiva [nota 9], ha dilatato quanto più possibile il campo di applicazione dell'istituto, così da consentire all'operatore di usufruire di una "cornice" idonea a soddisfare molteplici e svariate esigenze di riorganizzazione delle strutture imprenditoriali e di rimodellamento delle compagini sociali [nota 10].
Si definisce "scissione proporzionale" quella nella quale ai soci della società scissa vengono assegnate azioni o quote delle beneficiarie, tenendo conto delle percentuali di partecipazione di ciascuno dei soci al capitale sociale della società che si scinde: all'esito dell'operazione, quindi, i soci della scissa saranno nella stessa proporzione anche soci (nell'ipotesi di scissione parziale) o soltanto soci (nel caso di scissione totale) di ciascuna delle società beneficiarie. In tale ipotesi, l'assegnazione di azioni o quote di tutte le società beneficiarie, in proporzione alle partecipazioni detenute dai soci nella società di origine, sulla base di un unico rapporto di cambio, non altera gli equilibri di potere tra i soci della scissa e, in tal senso, la scissione deve ritenersi proporzionale.
Per quanto riguarda, invece, la scissione c.d. "non proporzionale", la fattispecie si verifica allorquando le azioni o quote delle beneficiarie sono assegnate ai soci della scissa, senza considerare le originarie percentuali di partecipazione al capitale sociale della società che si scinde: all'esito dell'operazione, quindi, i soci della scissa saranno anche soci (nell'ipotesi di scissione parziale) o soltanto soci (nel caso di scissione totale) di una o più delle società beneficiarie [nota 11], in ogni caso con percentuali di partecipazione diverse da quella originaria. Naturalmente, poichè la non proporzionalità della scissione non può incidere sulla neutralità economica dello scambio di partecipazioni in capo ai soci della scissa, è chiaro che, in ogni caso, ai soci della scissa dovranno essere attribuite partecipazioni nelle beneficiarie che siano complessivamente di valore economico (tenuto conto anche di eventuali conguagli) equivalente al valore della partecipazione precedentemente detenuta (ex art. 2506-bis, comma 4, seconda parte, c.c.) [nota 12].
Come già accennato, l'avvalersi di una piuttosto che di un'altra forma di scissione risponde a finalità e consente di ottenere risultati sostanzialmente diversi.
Infatti, se si tiene presente che la ripartizione di azioni o quote in senso proporzionale non può incidere sugli assetti proprietari (ovviamente nei rapporti interni tra i soci della scissa) [nota 13], la scissione proporzionale potrà essere utilizzata laddove si vogliano esclusivamente perseguire gli obiettivi di (i) concentrazione aziendale e crescita dimensionale (mediante, ad esempio, un'integrazione fra soggetti esercenti attività economiche che presentino profili di reciproca connessione o complementarietà) [nota 14]; (ii) decentramento organizzativo (nel caso di società esercenti attività economiche suddivise o suddivisibili in più rami o settori e si intenda dare autonomia giuridica ad un determinato ramo dell'azienda dotato di una più o meno accentuata autonomia operativa) [nota 15]; (iii) ristrutturazione finanziaria del gruppo (nel caso in cui si intendano tenere distinti determinati rami produttivi che presentano possibilità di crescita rispetto ad altri da cui la società voglia uscire).
Ove, invece, l'obiettivo perseguito con l'operazione di scissione non sia soltanto quello della divisione (o disaggregazione) del patrimonio della società, ma sia altresì quello della ridefinizione degli assetti proprietari dell'impresa (si parla, in tal caso, anche di "scissione in senso soggettivo") [nota 16], si propenderà ad adottare un criterio non proporzionale di distribuzione delle azioni o quote delle società beneficiarie.
La causa della scissione non proporzionale
L'orientamento tradizionale considera centrale, nella ricostruzione dogmatica dell'operazione di scissione (sia essa proporzionale o non proporzionale), il momento "traslativo", rappresentato dal trasferimento di attività e/o di passività dalla società scindenda alle beneficiarie, sulla base del rilevo preminente che la scissione attua comunque una successione o un trasferimento patrimoniale. Sulla base di tale presupposto, si potrebbe quindi essere tentati dall'attribuire a tale operazione una causa traslativo-attributiva, con conseguente applicazione della disciplina in materia di trasferimenti [nota 17]. Come è peraltro noto, a fronte di tale impostazione, si è progressivamente affermata in dottrina una diversa ricostruzione della scissione, in termini più propriamente societario-organizzativi, alla luce del fatto che l'operazione in oggetto persegue l'obiettivo principale di attuare un riassetto societario, separando e diversamente allocando gli elementi patrimoniali della società di origine [nota 18]. Inoltre, la stessa eliminazione di ogni riferimento al termine "trasferire", nel rinnovato testo normativo, ha reso vieppiù debole la ricostruzione della scissione in termini di trasferimento.
Se quindi non pare più possibile ravvisare l'essenza del fenomeno nel solo trasferimento di beni tra soggetti, ciò peraltro non conduce ad identificare chiaramente la causa della scissione. Infatti, nella sua nuova formulazione il primo comma dell'art. 2506 c.c. (dedicato alle varie forme di scissione) continua, comunque, ad incentrare l'operazione su entrambi gli aspetti dell'assegnazione del patrimonio della società che si scinde ad una o più società e dell'assegnazione delle azioni o quote di queste ai soci della scissa.
Il dato normativo sembrerebbe, quindi, conservare all'assegnazione delle partecipazioni il ruolo di fase necessaria dell'operazione di scissione e, come tale, rientrante nell'impianto causale dell'istituto. In realtà, si ritiene [nota 19] che tale assegnazione possa anche mancare e che, soprattutto, la stessa non sia elemento caratterizzante tutti i tipi o forme di scissione. Tale considerazione richiede alcune precisazioni.
Per identificare la causa della scissione [nota 20], occorre preliminarmente distinguere le ipotesi in cui l'operazione coinvolge un unico centro di interessi rappresentato da un'unica compagine sociale - dove l'interesse nella vicenda non può che essere univoco, in assenza di altri soggetti che svolgano il ruolo di controparte - dai casi in cui i centri di imputazione di tali interessi siano due o più, pur se eventualmente rappresentati dalla stessa compagine sociale.
L'esempio tipico dell'unico centro di imputazione degli interessi è rappresentato dal caso in cui dalla società scissa nascono una o più società di nuova costituzione e le partecipazioni di queste sono attribuite proporzionalmente ai soci della scissa [nota 21]. In tale fattispecie, la causa non può che consistere nella ridistribuzione di elementi patrimoniali, quale strumento per una diversa partecipazione dei soci allo scopo di lucro mentre l'assegnazione delle azioni o quote diviene una semplice modalità esecutiva dell'operazione, risolvendosi in un meccanismo meramente aritmetico di attribuzione del capitale della o delle nuove società [nota 22].
Qualora, invece, dalla società scissa nascano una o più società di nuova costituzione e le partecipazioni di queste siano attribuite in modo non proporzionale ai soci della scissa, con alterazione quindi delle rispettive posizioni interne di partecipazione al capitale, contrapponendosi due o più interessi che devono trovare composizione nell'operazione, sarà necessario, una volta valutati nella loro effettività i patrimoni delle società partecipanti, determinare il rapporto di cambio che, esprimendo il c.d. "momento contrattuale" dell'operazione di scissione, troverà la sua attuazione proprio nell'assegnazione delle partecipazioni della società (o delle società) beneficiaria ai soci della scissa. L'assegnazione delle partecipazioni, insieme alla determinazione del rapporto di cambio, rappresenta quindi un momento centrale di tale operazione, acquisendo una propria valenza causale.
Le tipologie di scissione non proporzionale
La scissione "mista" (proporzionale e non proporzionale)
Un'ipotesi, non disciplinata espressamente dalle norme dedicate alla scissione - ma che merita un accenno - è quella della scissione realizzata mediante l'adozione di un criterio misto, riguardo alla distribuzione delle azioni o quote ai soci della società che si scinde, sulla cui legittimità non pare si possano aver dubbi [nota 23]. In altri termini, si potrebbe prevedere un duplice criterio di ripartizione delle partecipazioni nelle società beneficiarie e, cioè, un'assegnazione proporzionale alla partecipazione originaria nella società scissa, per alcuni soci, accompagnata dalla previsione, per altri, di una partecipazione limitata ad una o ad alcune soltanto delle compagini sociali delle società beneficiarie.
Il caso potrebbe essere il seguente: la società Alfa, con tre soci (Tizio, Caio e Sempronio), titolari i primi due di una partecipazione pari del 45% ed il terzo di una partecipazione del 10%, intende suddividere le proprie attività in due settori (da attribuire rispettivamente alle società Beta e Gamma), a ciascuno dei quali (e non all'altro) sono interessati i soci di maggioranza relativa. Se, per ipotesi, Sempronio (socio al 10%) insistesse per ricevere una distribuzione proporzionale, così da conservare la propria quota del 10% sia in Beta, che in Gamma, l'applicazione di un criterio misto potrebbe rappresentare la soluzione del problema. In tal caso, infatti, la distribuzione sarebbe attuata in modo tale da rispettare, allo stesso tempo, la volontà di Sempronio di partecipare proporzionalmente ad entrambe le società Beta e Gamma e la volontà degli altri due soci di redistribuirsi le quote in via non proporzionale [nota 24].
Vero è che, da un punto di vista sostanziale, l'assetto che si verrebbe a determinare post-scissione non potrebbe che essere peggiorativo della posizione di Sempronio (che non potrà più fungere da "ago della bilancia" fra i due soci al 45%), ma ciò non vale ad escludere la legittimità della soluzione prospettata, in quanto non vi sono norme che tutelino in via generale l'interesse del socio minoritario a non subire i riflessi degli eventuali spostamenti o trasferimenti delle partecipazioni diverse dalla sua [nota 25].
La scissione c.d. asimmetrica
Alcuna dottrina [nota 26] ha utilizzato tale perifrasi per descrivere un'ipotesi particolare di scissione, in cui le azioni o quote delle società beneficiarie sono attribuite ad alcuni soltanto dei soci della società che si scinde, mentre agli altri sono assegnate solo azioni o quote di quest'ultima società. In altri termini, l'accrescimento per alcuni soci della scissa delle partecipazioni detenute nella stessa compenserebbe, sostanzialmente, la mancata partecipazione di tali soci alla o alle beneficiarie.
Prima della riforma del diritto societario e, in assenza di norme specifiche sul punto, la dottrina si era interrogata sull'ammissibilità di una tale forma di scissione non proporzionale, essendosi da più parti posto in dubbio che la duttilità dell'istituto potesse spingersi fino al punto di consentire che solo ad alcuni dei soci venissero assegnate partecipazioni nella o nelle società beneficiarie [nota 27].
L'indagine interpretativa si era peraltro mossa nel solco di un interesse pratico: infatti, secondo taluni, una siffatta configurazione della scissione avrebbe potuto essere utilmente adottata allo scopo di evitare il recesso dei soci nelle ipotesi previste ante-riforma (ad esempio, in conseguenza delle modificazioni statutarie concomitanti alla scissione). In particolare, alla stregua di tale opinione, strutturando l'assetto distributivo delle partecipazioni post-scissione in modo da consentire a uno o più soci di restare nella società originaria, il diritto di recesso, a quei soci altrimenti spettante, avrebbe potuto essere sterilizzato [nota 28]. Anche la giurisprudenza aveva avuto modo di occuparsi del problema (in sede di omologazione), risolvendolo in modo contrastante [nota 29].
Tale contrasto di opinioni è ora risolto da una disposizione ad hoc, introdotta dalla riforma del diritto societario del 2003 e, precisamente, dall'art. 2506, comma 2, 2 [nota a] proposizione, c.c. La norma ora richiamata ammette la possibilità che «per consenso unanime, ad alcuni soci non vengano distribuite azioni o quote di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni o quote della società scissa».
La norma ha sicuramente il merito di dirimere una questione sino ad oggi controversa ma, al tempo stesso, presta il fianco a qualche rilievo critico, in primis per la sua stessa collocazione nell'ambito della disposizione che definisce e classifica le diverse forme di scissione. Si potrebbe, infatti, porre in dubbio che la scissione c.d. "asimmetrica" possa essere considerata una particolare forma di scissione, in quanto essa pare più che altro rappresentare una modalità di attuazione della scissione parziale non proporzionale, sia pur caratterizzata da una particolare divisione della compagine sociale. Alla luce di tale considerazione, il legislatore avrebbe forse potuto inserire la disposizione in commento nel quarto comma dell'art. 2506-bis c.c., nell'ambito quindi della disciplina generale della scissione con distribuzione non proporzionale.
In realtà, la ragione della differente collocazione potrebbe derivare dalla disciplina parzialmente diversa dettata per tale tipo di scissione: ricordo, infatti, che il particolare assetto delle partecipazioni "asimmetriche" è subordinato al consenso unanime dei soci della società scissa [nota 30].
In merito appare opportuno ricordare che il "consenso unanime" è richiesto laddove vi sia: (i) una scissione parziale, in quanto nella totale non sarebbe possibile assegnare azioni della scissa; (ii) senza assegnazione ad alcuni soci della scissa di partecipazioni di una delle beneficiarie (nel caso di assegnazione di partecipazioni in tutte, sia pur in misura fortemente non proporzionale, l'unanimità non parrebbe richiesta, salvo il caso di frode alla legge); (iii) con assegnazione di azioni della scissa ai soci che non ricevano azioni delle beneficiarie.
Tenuto presente quanto precede, non sembrano ricomprese nell'ipotesi in parola (e, quindi, restano soggette all'approvazione, secondo l'ordinario principio della maggioranza), le seguenti operazioni:
(a) attribuzione ai soci della scissa di azioni o quote di altre beneficiarie a perequazione di quanto dagli stessi non ricevuto in una di queste;
(b) incremento della partecipazione nella scissa derivante solo ed esclusivamente dall'annullamento delle azioni degli altri soci della scissa, senza emissione di nuove azioni da parte di quest'ultima.
Non è certamente agevole comprendere perché il legislatore, nella disciplina di questa particolare ipotesi di scissione non proporzionale, abbia compreso il requisito dell'assegnazione delle azioni o quote quale elemento costitutivo della fattispecie, sostanzialmente attribuendo rilevanza causale ad una modalità attraverso cui può essere raggiunto il risultato dell'esclusione di alcuni soci dalla compagine della scissa [nota 31]. Ma tant'è.
Alla luce del dato normativo si deve, quindi, tener conto del fatto che l'unanimità dei consensi sarà richiesta solo in quei casi in cui vi sia anche un'assegnazione di azioni della scissa ai soci che non beneficiano della distribuzione di partecipazioni nelle beneficiarie; mentre, ove alla distribuzione si pervenga senza assegnazione di azioni (e, quindi, per annullamento non proporzionale), sarà sufficiente la maggioranza dei consensi: situazione assolutamente paradossale.
Le modalità di attuazione della scissione asimmetrica, sono diverse a seconda che venga o meno ridotto il capitale della scissa a fronte del trasferimento di parte del suo patrimonio alla o alle beneficiarie. Al fine di offrire un quadro esaustivo in merito si possono immaginare le seguenti situazioni:
(a) la società che si scinde (Alfa) ha un capitale pari a 100 ed un patrimonio netto pari a 600 diviso fra i tre soci Tizio, Caio e Sempronio, nelle seguenti rispettive misure: Tizio (40%), Caio (30%) e Sempronio (30%). A seguito della scissione nelle beneficiarie (Beta e Gamma), costituite ad hoc [nota 32], Caio e Sempronio otterranno le azioni di Beta e Gamma, mentre Tizio si vedrà attribuire le partecipazioni Alfa (già di Caio e Sempronio). In tale ipotesi, il capitale di Alfa, se pur nominalmente invariato (essendosi ridotte voci del netto, diverse dal capitale), ha tuttavia un valore economico inferiore del 60%, per cui l'attribuzione a Tizio delle azioni degli altri due soci a cui sono state attribuite azioni della beneficiaria Beta consente al primo di mantenere inalterato il valore originario della partecipazione che ha, quindi, la medesima consistenza economica che aveva prima dell'operazione;
(b) la società che si scinde (Alfa) ha un capitale pari a 100, suddiviso nelle identiche proporzioni di cui sub (a) e, per effetto della scissione, riduce il proprio capitale a 40. In tale situazione, le azioni Alfa di Caio e Sempronio sono annullate a seguito della riduzione del capitale, senza attribuzione di nuove azioni a Tizio, il quale rimane comunque titolare al 100% del nuovo capitale ridotto di Alfa (40) che, da un punto di vista economico, corrisponde esattamente al suo originario 40%.
La scissione non proporzionale di tipo asimmetrico non esclude, peraltro, che i soci (o alcuni di essi) possano decidere di mantenere parte del proprio investimento nella scissa. In tale ipotesi, la situazione che si potrebbe verificare è la seguente: la società che si scinde (Alfa) ha un capitale sociale di 300 ed un netto patrimoniale di 900 e i tre soci (Tizio, Caio e Sempronio) sono titolari rispettivamente del 40%, 30% e 30%. Alfa si scinde parzialmente, assegnando alla beneficiaria Beta una quota del netto patrimoniale il cui valore è pari a 500. Caio e Sempronio mantengono una parte del proprio investimento anche nella scissa, ma a fronte dell'acquisizione delle partecipazioni in Beta, per un valore pari a 250 ciascuno rinunciano ad una porzione del proprio investimento residuo in Alfa, con conseguente accrescimento della partecipazione di Tizio in Alfa e assegnazione a questi di ulteriori azioni Alfa, in sostanza "prelevate" dal residuo pacchetto degli altri due soci [nota 33].
In conclusione, per quanto vi siano anomalie nella norma dettata dal legislatore per disciplinare la scissione c.d. asimmetrica (e la stessa differenza di regime non sia così agevolmente percepibile [nota 34]), pare difficile forzare il dato testuale e, quindi, il sistema delineato dalla legge di riforma del 2003 può essere così ricostruito: la maggioranza dei soci può deliberare una distribuzione non proporzionale in tutti quei casi in cui la stessa non sia realizzata in modo tale da ricadere nel tipo della scissione c.d. asimmetrica (tipo quindi a se stante), per la cui legittimità è richiesto l'assenso di tutti i soci della società originaria.
La scissione non proporzionale a favore di unica beneficiaria
L'art. 2506, comma 2, 2 [nota a] proposizione, c.c., richiamato nel precedente paragrafo, è stato considerato dai primi commentatori della riforma anche come riconoscimento giuridico di un'altra forma "estrema" di scissione non proporzionale, ovvero la scissione parziale a favore di un'unica beneficiaria, la cui legittimità era stata contestata in passato da una parte della dottrina e dalla, invero non copiosa, giurisprudenza [nota 35].
In altri termini, prima della riforma, anche sulla scorta di un passo della Relazione ministeriale di accompagnamento del D.lgs. n. 22/1991 [nota 36], taluni autori negavano l'ammissibilità nel nostro ordinamento della scissione parziale non proporzionale con unica beneficiaria sulla base dell'assunto che non fosse possibile operare, in sede di scissione, una modificazione degli assetti proprietari della società scissa [nota 37]. Altra dottrina riteneva invece ammissibile tale ipotesi, anche prima della riforma, alla luce del fatto che la "separazione" tra le compagini societarie poteva essere realizzata mediante una scissione totale, nella quale ad alcuni soci venivano attribuite azioni o quote della beneficiaria e ad altri solo un incremento della propria partecipazione nella scissa [nota 38].
Come accennato in precedenza, secondo alcuni commentatori la norma contenuta nell'art. 2506, comma 2, 2a proposizione, c.c., che ammette la possibilità che «ad alcuni soci non vengano distribuite azioni o quote di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni o quote della società scissa», sarebbe idonea ad eliminare anche il dubbio che l'adozione di un criterio non proporzionale di ripartizione delle azioni fra i soci della scissa necessariamente presupponga la pluralità delle società beneficiarie [nota 39]. Altra dottrina ritiene, invece, che la norma in esame non potrebbe essere estesa a contemplare il caso di specie, in quanto prevede una forma di scissione sicuramente particolare (la c.d. scissione asimmetrica), effettuata comunque a favore di una pluralità di società beneficiarie40.
Secondo la tesi da ultimo riportata, l'assenza di una disciplina specifica per la fattispecie in commento non sarebbe da intendere quale indice di illegittimità dell'operazione così strutturata, ma avrebbe quale sola conseguenza la non necessità del consenso unanime di cui all'art. 2506, comma 2, 2a proposizione, c.c.; consenso unanime che rappresenta, come è noto, un'eccezione al principio maggioritario che, in quanto tale, trova applicazione solo laddove sia espressamente prevista.
In realtà la piena legittimità della descritta fattispecie non può essere posta in dubbio considerato che, alla distribuzione non proporzionale di partecipazioni della beneficiaria, corrisponde un riequilibrio di ricchezza per i soci della scissa che avviene con una simmetrica e opposta re-distribuzione delle partecipazioni nella scissa medesima. In tale situazione, come evidenziato in dottrina, il patrimonio della scissa dovrà essere stimato secondo criteri omogenei rispetto a quelli utilizzati per la determinazione del valore economico della quota dello stesso attribuito alla beneficiaria [nota 41].
La scissione c.d. "negativa"
La perifrasi è utilizzata in dottrina per indicare il caso in cui la somma dei valori delle attività e passività che, in sede di scissione, la società che si scinde intende assegnare alla/e società beneficiaria/e, è "di segno negativo".
In realtà, tale definizione deve essere precisata, in quanto nella scissione c.d. "negativa" potrebbero rientrare sia (i) i casi in cui la società scissa intende trasferire alla/e beneficiaria/e un patrimonio netto contabile negativo, (ii) sia quelli in cui è negativa la quota di patrimonio netto o effettivo che si intende assegnare alla/e società beneficiaria/e.
Per verificare l'ammissibilità (o meno) dell'operazione di scissione c.d. "negativa" occorre, pertanto, chiarire le differenze esistenti tra le due ipotesi ora formulate. Nel primo caso, infatti, le attività scorporate esprimono un valore "reale" superiore allo zero e, solo sotto il profilo della valorizzazione contabile l'apporto è negativo. Nel secondo, invece, le attività e le passività scorporate hanno un valore contabile e reale inferiore allo zero.
L'ammissibilità di tale operazione è (ed è stata) posta in dubbio e risulta ampiamente discussa.
Secondo un primo orientamento, l'operazione di scissione "negativa" non sarebbe comunque consentita in considerazione del fatto che l'assegnazione di azioni o quote delle beneficiarie deve essere collegata ad un dato incremento patrimoniale delle stesse con la conseguenza che l'apporto deve avere un valore positivo affinché la partecipazione possa rappresentare un bene esistente [nota 42]. Secondo altri autori, invece, l'operazione sarebbe legittima, laddove le beneficiarie siano società preesistenti [nota 43].
Forse, per verificare la legittimità o meno di tale forma di scissione, appare più opportuno affrontare l'indagine partendo dal diverso atteggiarsi degli apporti patrimoniali negativi nelle seguenti ipotesi:
(i) scissione non proporzionale in beneficiaria già esistente con assegnazione di una quota di patrimonio avente valore contabile negativo;
(ii) scissione non proporzionale in beneficiaria di nuova costituzione con assegnazione di una quota di patrimonio avente valore contabile negativo;
(iii) scissione non proporzionale, sia in beneficiaria già esistente che di nuova costituzione), con assegnazione di una quota di patrimonio avente valore reale negativo.
Nel caso indicato sub (i), l'operazione appare ammissibile, purché naturalmente le compagini sociali delle società coinvolte nella stessa abbiano considerato utile procedere alla scissione e tale utilità sia correttamente evidenziata dal rapporto di cambio [nota 44]. In particolare, in detta ipotesi, l'operazione comporterà un avanzo di scissione per la società scissa (che dovrà registrare in bilancio un valore di segno positivo) e, di contro, un disavanzo di scissione per la società beneficiaria; disavanzo che potrà essere gestito (a) mediante una rivalutazione degli elementi dell'attivo ricevuti, nei limiti della capienza dei beni e per la differenza imputato ad avviamento (ex art. 2504-bis, c.c., richiamato dall'art. 2506-ter c.c.), oppure (b) mediante compensazione con riserve presenti in bilancio o, infine, (c) attraverso la rilevazione di una minusvalenza.
Nel caso descritto sub (ii), l'operazione (sempre che non vi sia un contestuale apporto di segno positivo da parte di terzi) non appare invece ammissibile, in quanto la nuova società nascerebbe senza un patrimonio netto contabile di segno positivo e, quindi, in assenza di un capitale sociale iniziale, né pare si possa ammettere una rivalutazione degli elementi dell'attivo, trasferiti alla beneficiaria di nuova costituzione, tale da creare un patrimonio netto positivo imputabile a capitale.
Parimenti, nel caso ipotizzato sub (iii), l'operazione non sembra lecita, in quanto manca la stessa utilità per la società beneficiaria (utilità che deve esistere per giustificare una scissione negativa) [nota 45]. Inoltre, non si può negare che, nell'ipotesi de quo, possa addirittura mancare la stessa causa della scissione, non essendo possibile assegnare azioni o quote in assenza di un apporto effettivo di beni e attività [nota 46].
La scissione non proporzionale con attribuzione di azioni fornite di diritti diversi
In conclusione del presente paragrafo sulle tipologie di scissione non proporzionale, occorre verificare se la scissione di società con creazione di beneficiarie il cui capitale sia rappresentato da diverse categorie di azioni attribuite ai soci della scissa in misura non proporzionale fra loro, configuri o meno un'ipotesi di scissione non proporzionale.
Si immagini la seguente situazione: la vicenda scissoria investe la società Alfa, il cui patrimonio vale 900 e che ha tre soci, Tizio (padre), Caio e Sempronio (figli), con partecipazioni di uguale valore e consistenza.
La società Alfa si scinde totalmente, assegnando alle beneficiarie Beta e Gamma l'intero proprio patrimonio (metà a ciascuna) e, a fronte di tale attribuzione, la distribuzione delle azioni Beta e Gamma dovrà essere strutturata in modo tale che:
(i) in Beta, partecipino Tizio e Caio (ciascuno di essi nella misura del 33% del capitale con diritto di voto), mentre a Sempronio vengano attribuite azioni prive del diritto di voto;
(ii) in Gamma, partecipino Tizio e Sempronio (ciascuno di essi nella misura del 33% del capitale con diritto di voto), mentre a Caio siano attribuite azioni prive del diritto di voto.
Per chiarire se tale ipotesi rientri o meno nell'ambito della subfattispecie della scissione non proporzionale, occorre partire dall'assunto, secondo cui la scissione può essere considerata "non proporzionale" allorquando, all'esito dell'operazione, i soci della scissa saranno soltanto soci (se la scissione è totale, come nel caso considerato) di una o più delle società beneficiarie e, in ogni caso, titolari di azioni delle beneficiarie con percentuali di partecipazione diverse da quelle detenute nell'originaria.
Ora se si pone mente alla situazione supra descritta e, più in particolare, al valore del patrimonio di Alfa, trasferito a Beta e Gamma ed alla distribuzione ipotizzata delle azioni (o quote) delle beneficiarie, non pare possibile negare che le percentuali di partecipazione parrebbero immutate, sia pur con attribuzione di diritti diversi.
In realtà, la parità potrebbe ritenersi solo apparente laddove, all'esito di siffatta operazione, i soci si trovino ad essere titolari di una partecipazione che non consenta loro di conservare la medesima posizione che ciascuno di essi aveva nella scissa prima della scissione. Se, peraltro, si tiene presente che la parità di valori tra le partecipazioni, pre e post scissione, deve essere verificata sulla base di una valutazione "economica" della consistenza delle azioni assegnate, non sembrerebbe corretto affermare che possa essere attribuita consistenza (economica) diversa ad un pacchetto azionario, in dipendenza dell'attribuzione o meno dei diritti di voto [nota 47].
Una lettura diversa della fattispecie in commento potrebbe, in realtà, essere suggerita, partendo dalla tesi secondo cui la scissione deve essere considerata non proporzionale in tutti i casi in cui l'operazione sia idonea ad alterare gli "equilibri di potere" tra i soci nei rapporti interni alla scissa [nota 48]. Vero è che la proporzionalità è un concetto relativo (e, quindi, non concerne i rapporti tra i soci della scissa e i soci diversi delle beneficiarie preesistenti), ma la scissione potrà essere considerata proporzionale laddove sia assicurato ai soci della scissa la possibilità di mantenere, al termine dell'operazione, la medesima proporzionalità tra di loro.
Non vi è dubbio che, al perfezionamento dell'operazione ipotizzata nel presente paragrafo, da un lato si dà corso ad una modifica dell'assetto organizzativo originario e dall'altro l'equilibrio di potere (amministrativo e non economico) si modifica con l'attribuzione di azioni prive del diritto di voto e, di conseguenza, non si può escludere tout court che tale ipotesi possa ricadere tra le fattispecie di scissione non proporzionale, sia pur attraverso un'interpretazione sostanzialistica delle norme sulla scissione.
La polivalenza delle funzioni economiche della scissione non proporzionale
Si è già sottolineato come l'istituto, secondo le intenzioni del legislatore, avrebbe potuto e dovuto soddisfare molteplici esigenze delle imprese, in termini di ristrutturazione dei relativi profili patrimoniali ed organizzativi e di rimodellamento delle compagini sociali.
Appare, quindi, interessante considerare, più in dettaglio, le possibili funzioni perseguibili attraverso la scissione e le stesse ragioni economiche che possono ispirare una determinata operazione, considerato che tale individuazione assume rilievo anche sotto il profilo giuridico in quanto le funzioni in concreto assolte dalla scissione devono essere indicate nella relazione degli amministratori al progetto di scissione (ex art. 2501-quinquies, c.c., a cui rinvia l'art. 2506-ter, c.c.) [nota 49].
La funzione di decentramento organizzativo
La funzione di decentramento (o articolazione organizzativa) si manifesta allorquando, in un'ottica di ricerca della sua dimensione ottimale, l'impresa proceda alla separazione di uno o più rami dell'azienda o settori di attività (dotati di una più o meno marcata autonomia operativa), imputando ciascuno di questi in capo ad una beneficiaria. è chiaro che tale ipotesi non presuppone ex se un'attribuzione non proporzionale delle azioni o quote delle beneficiarie e, quindi, non rappresenta una funzione perseguibile unicamente con lo strumento della scissione non proporzionale, ma è altrettanto evidente che la separazione di un ramo di azienda può anche servire a «creare combinazioni con altri soggetti che non si vogliono associare in tutto l'insieme dell'attività produttiva svolta» [nota 50] e, allo stesso tempo, a soddisfare l'eventuale interesse di alcuni soci a partecipare unicamente al ramo di attività separato [nota 51].
La scissione non proporzionale con funzione di decentramento potrebbe essere suggerita anche come possibile strumento di gestione della crisi d'impresa. Si pensi al caso di una società - con un socio di controllo (che abbia effettivamente gestito la società come imprenditore) e altri soci (di capitale puro) [nota 52] - che presenti un ramo in perdita ed intenda evitare il propagarsi del rischio alle altre attività esercitate dalla stessa. In tale situazione, la separazione del settore inefficiente e la gestione della sua liquidazione potrebbe essere svolta in modo più agevole ed efficace dall'imprenditore (socio di controllo della prima), eventualmente riallocando in modo diverso le partecipazioni tra i vari settori in un'ottica di prosecuzione dell'attività.
La funzione di separazione delle compagini sociali
Come a tutti chiaro, la principale funzione economica assolta dalla scissione "non proporzionale" è quella di consentire una modifica dell'assetto organizzativo originario nei suoi profili soggettivi nelle ipotesi in cui, ad esempio, sia opportuno dividere una compagine sociale "litigiosa", oppure si intenda interrompere la compartecipazione tra i soci di una data società, senza tuttavia farne cessare l'attività. Il riassetto organizzativo, in altri termini, consente ai soci, singolarmente o suddivisi per gruppi, di proseguire una data attività in ciascuna delle società beneficiarie, avvalendosi degli assets a queste attribuiti sulla base del progetto di scissione, risolvendo anche eventuali situazioni di stallo decisionale che potrebbero condurre allo scioglimento della società (per impossibilità di funzionamento e continuata inattività dell'assemblea).
La funzione c.d. di "ricambio generazionale" e il patto di famiglia
La separazione dei soci, eventualmente anche per gruppi, resa possibile dalla scissione non proporzionale, può rivelarsi altresì molto utile nelle ipotesi di c.d. ricambio generazionale. Ove, infatti, sia interesse delle parti ricercare un assetto organizzativo atto ad evitare conflitti fra i diversi rami di una medesima famiglia e a facilitare, attraverso la disarticolazione organizzativa dell'impresa originaria, il passaggio di mano dell'attività, la scissione societaria può consentire la divisione dei gruppi familiari derivanti dall'unico capostipite e permettere anche a ciascuno di questi di dedicarsi al settore di attività, avvertito come più congeniale o più vicino agli interessi o alle competenze dei membri del gruppo stesso [nota 53].
Proprio in tema di ricambio generazionale e di razionalizzazione della successione ereditaria (nella gestione) delle imprese, appare opportuno accennare brevemente ad un istituto, introdotto ex novo dal legislatore italiano con la legge 14 febbraio 2006 n. 55 (sulla scorta delle sollecitazioni ricevute dall'Unione europea [nota 54]) e, precisamente, il "Patto di famiglia". In particolare, l'articolo 768-bis c.c. definisce il patto di famiglia come il «contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti».
Volendo dare una descrizione sintetica della novella legislativa si può affermare che le norme dettate in tema di patto di famiglia hanno lo scopo di permettere, durante la vita del titolare, la trasmissione dell'azienda e/o delle partecipazioni sociali, in presenza di un accordo tra tutti i legittimari, in situazione e con effetti di stabilità e, cioè, al riparo da possibili azioni di riduzione che, ove proponibili, vengono limitate nel loro contenuto ed effetti, mediante una limitazione del termine dell'impugnativa e la previsione di una sostanziale stabilità ed incontrovertibilità del valore attribuito a quanto assegnato anche nei confronti di legittimari che risultino tali solo al momento della morte del trasferente [nota 55].
L'art. 768-quater, secondo comma, c.c., di poi, precisa il contenuto del patto di famiglia e ne delinea la funzione. In base alla suddetta disposizione, requisito e condizione perché si possa parlare di patto di famiglia è la circostanza che l'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni di controllo della società proprietaria dell'azienda definisca la sua posizione ereditaria nei confronti dei legittimari, al fine e con l'effetto di rendere il più possibile definitivo l'acquisto. In merito, la legge prevede come ipotesi normale la liquidazione a favore dei non assegnatari di una somma di denaro corrispondente al valore delle loro quote di legittima (dovendosi intendere la disciplina della legittima richiamata solo quale criterio matematico di calcolo) [nota 56], il tutto necessariamente e obbligatoriamente rapportato solo a quanto oggetto del patto - ovvero l'azienda e/o le partecipazioni - dando la facoltà ai contraenti di concordare che il pagamento avvenga anche in natura.
Ciò premesso e diversamente da quanto si sostiene con riferimento alle operazioni di family buy out, il patto di famiglia sembra attuabile utilizzando lo schema della scissione di società, sia essa proporzionale che non proporzionale. Nel seguito, infatti, a sostegno di quanto affermato, verranno illustrate tre diverse fattispecie.
Si ipotizzi, in primo luogo, che il capitale sociale della società Alfa sia interamente posseduto da un padre e da due figli. Il padre detiene una partecipazione pari al 70% del capitale sociale, mentre i figli Tizio e Caio detengono ciascuno il 15% del capitale sociale della predetta società. Si ipotizzi, inoltre, che il patrimonio della società sia costituito da due aziende X e Y, entrambe di valore pari al 40% del patrimonio di Alfa e da immobili, rappresentanti il 20% del medesimo patrimonio sociale. Il padre di Tizio e Caio è sposato con Mevia che, in quanto coniuge, riveste la qualifica di legittimaria.
Nella fattispecie così descritta, la stipulazione del patto di famiglia potrebbe assumere la veste di una scissione non proporzionale con cui vengono create due nuove società beneficiarie Beta e Gamma. Ed invero, in forza della scissione non proporzionale, Tizio diviene unico azionista della società Beta a cui viene trasferita l'azienda X, mentre Caio diviene socio unico della società Gamma a cui viene trasferita l'azienda Y ed, infine, il padre rimane titolare del 100% del capitale sociale di Alfa, il cui patrimonio è costituito esclusivamente da immobili. Nell'ambito di un simile patto di famiglia, Mevia, quale legittimaria aderisce al patto, ma rinuncia a qualsiasi liquidazione da parte dei figli assegnatari a norma dell'articolo 768-quater c.c. In questa ricostruzione, tuttavia, anche Tizio e Caio dovrebbero rinunciare reciprocamente alla liquidazione ad essi spettante a norma dell'articolo 768-quater c.c.
Il capitale sociale della società Alfa è interamente posseduto dal padre, dalla madre e dal figlio secondo le seguenti percentuali: il padre detiene l'85% del capitale sociale, la madre il 5% ed il figlio il 10%. Il patrimonio della società Alfa è costituito da azioni che rappresentano il 25% del patrimonio della società, da un'azienda il cui valore è pari al 70% del patrimonio sociale e da immobili il cui valore è pari al 5% del predetto patrimonio sociale. Viene attuata una scissione non proporzionale di Alfa con costituzione di due società beneficiarie ed in particolare: (i) alla società beneficiaria attribuita al figlio viene trasferita l'azienda, (ii) alla società beneficiaria attribuita al padre vengono trasferite le partecipazioni e nella società scissa che resta di proprietà della madre rimane il patrimonio immobiliare. Anche in questo caso il coniuge del disponente aderisce al patto di famiglia, ma rinuncia a qualsiasi liquidazione ad esso spettante.
Da ultimo, si consideri la seguente fattispecie. La società Alfa è detenuta al 100% dal padre e il patrimonio della stessa è costituito da un'azienda e da immobili. Il padre scinde la società Alfa la quale apporta alla società beneficiaria Beta preesistente e controllata dal figlio l'azienda. Il padre, quindi, in forza della scissione entra nel capitale sociale di Beta con una quota di minoranza, essendo la quota di maggioranza di proprietà del figlio beneficiario. Gli altri legittimari aderiscono al patto.
Con riferimento alla scissione non proporzionale, tuttavia, occorre ricordare il disposto di cui all'art. 2506-bis c.c., secondo cui «qualora il progetto preveda una attribuzione delle partecipazioni ai soci non proporzionale alla loro quota di partecipazione originaria, il progetto medesimo deve prevedere il diritto dei soci che non approvino la scissione di far acquistare le proprie partecipazioni per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso, indicando coloro a cui carico è posto l'obbligo di acquisto». In merito, occorre osservare che l'importo che deve essere corrisposto ai soci che siano altresì legittimari diversi dal beneficiario e che si siano opposti alla scissione ai sensi dell'art. 2506-bis c.c. si somma, probabilmente, alla somma ad essi spettante a titolo di liquidazione di cui all'art. 768-quater c.c.
La scissione di società in liquidazione
In conclusione sul punto delle funzioni della scissione, occorre ancora accennare ad un profilo che, seppure indipendente dalla proporzionalità o meno dell'operazione, appare interessante nell'ambito degli obiettivi raggiungibili attraverso un'operazione di scissione.
In particolare, secondo quanto previsto dal quarto comma dell'art. 2506 c.c., non possono partecipazione a tale operazione le società in liquidazione «che abbiano iniziato la distribuzione dell'attivo». Ciò significa, che la scissione è consentita anche nel caso in cui sia già stato deliberato lo scioglimento, ma la procedura non sia ancora giunta alla fase di distribuzione [nota 57].
Lo scopo della norma in commento appare essere quello di «agevolare e incentivare, da parte delle società in liquidazione, il ricorso a soluzioni organizzative tali da consentire la conservazione almeno parziale dell'attività e dunque la prosecuzione dell'investimento in essa» [nota 58]. Ecco, quindi, un'ulteriore funzione che potrà essere perseguita attraverso l'operazione di scissione, ferma restando la necessità di risolvere alcuni problemi applicativi insiti nella disposizione in commento. Non è, infatti, chiaro se la società possa deliberare una scissione nel caso in cui sia stato già approvato il bilancio finale di liquidazione, pur non avendo dato materialmente inizio alla liquidazione dell'attivo. In tali casi, il dubbio maggiore consiste nella possibilità di deliberare la scissione a maggioranza, oppure se sia richiesta l'unanimità in considerazione del diritto soggettivo alla liquidazione della quota che, con tale approvazione, è già sorto in capo a ciascun socio. Un altro profilo dubbio concerne la necessità o meno di deliberare la revoca della liquidazione, per avviare il procedimento di scissione. Secondo l'opinione preferibile, la delibera di revoca non parrebbe necessaria in considerazione dello stesso obiettivo perseguito dal legislatore con l'introduzione della norma in commento, ovvero quello di rendere più snello il passaggio dalla fase liquidativa a quella di prosecuzione dell'attività. La procedura di revoca della liquidazione, appesantendo l'operazione, parrebbe porsi in aperto contrasto con tale finalità legislativa.
La disciplina della scissione non proporzionale
Il progetto di scissione
La norma contenuta nell'art. 2506-bis c.c. è rimasta di tenore sostanzialmente immutato per effetto della riforma del 2003, fatta eccezione proprio per il riferimento alla forma della "scissione non proporzionale" cui si riferisce il penultimo comma della disposizione in commento, ai sensi del quale «dal progetto di scissione devono risultare i criteri di distribuzione delle azioni o quote delle società beneficiarie» (prima parte) e «qualora il progetto preveda una attribuzione delle partecipazioni ai soci non proporzionale alla loro quota di partecipazione originaria, il progetto medesimo deve prevedere il diritto dei soci che non approvino la scissione di far acquistare le proprie partecipazioni per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso, indicando coloro a cui carico è posto l'obbligo di acquisto» (seconda parte).
La nuova previsione normativa ha quindi, da un lato, espressamente considerato la scissione non proporzionale, attribuendole così cittadinanza nel nostro ordinamento e, dall'altro, ne ha disciplinato, sia pure in modo sintetico, alcuni profili critici. Non vi è, infatti, dubbio che la seconda parte della norma in commento sia stata dettata tenendo conto di quale avrebbe potuto essere l'incidenza della riorganizzazione societaria sulle posizioni soggettive dei soci, essendo la "non proporzionalità" sicuramente idonea a modificare (direttamente o indirettamente) la consistenza patrimoniale e la rilevanza amministrativa della posizione dei soci.
Iniziando l'analisi della disciplina della scissione non poporzionale occorre innanzitutto rendere conto delle indicazioni da inserire nel progetto di scissione.
(i) L'indicazione dei/l criteri/o di ripartizione delle azioni o quote
L'articolo 2506-bis, comma 4, prima parte, c.c., impone l'indicazione nel progetto di scissione dei "criteri di distribuzione" delle azioni. In merito sorge un problema pratico in ordine alle modalità con cui può essere attuato tale riassetto non proporzionale: come possono, infatti, essere individuati i soci della scissa cui attribuire in diversa misura le partecipazioni? In realtà, si possono ipotizzare più sistemi di riallocazione.
Un primo criterio idoneo ad attuare la non proporzionalità è quello c.d. "nominativo", in virtù del quale le partecipazioni della beneficiaria vengono assegnate mediante indicazione nominativa degli aventi diritto [nota 59]. Ciò, peraltro, presuppone che la compagine sociale non muti tra la data di presentazione del progetto e quella di efficacia della scissione; ne consegue che il criterio in esame pare difficilmente utilizzabile nelle ipotesi di società con azionariato diffuso.
Un secondo criterio è quello c.d. "misto", in virtù del quale ad alcuni soci della scissa vengono assegnate le partecipazioni nelle beneficiarie in misura non proporzionale, mentre ad altri vengono attribuite nella medesima proporzione rispetto alla scissa (ipotesi già supra considerata tra le tipologie di scissione non proporzionale). In tal caso, l'individuazione dei soci attributari di una partecipazione non proporzionale potrà essere effettuata nominativamente [nota 60]. Secondo parte della dottrina, il criterio misto ora indicato potrebbe anche essere strutturato diversamente. Più precisamente, potrebbe prevedersi nel progetto che (come nel vigore della normativa precedente) i soci abbiano, da un lato, facoltà di optare per la partecipazione proporzionale in tutte le società interessate dalla scissione e, dall'altro, la possibilità di partecipare alle beneficiarie in una forma mista di assegnazione proporzionale e non proporzionale.
Infine, quale terzo criterio potrebbe essere indicato quello c.d. "opzionale", in virtù del quale si conferisce, ai soci (cui comunque sia stata attribuita una partecipazione non proporzionale), un diritto di opzione per ottenere una partecipazione proporzionale in tutte le società partecipanti alla scissione [nota 61].
Sempre con riferimento alla previsione dei criteri di ripartizione delle partecipazioni, occorre esaminare la relazione esistente tra tali criteri e il rapporto di concambio (da indicare nel progetto ai sensi dell'art. 2501-ter, comma 1, c.c. richiamato dall'art. 2506-bis, comma 1, c.c.).
Uno dei tratti caratteristici della disciplina della scissione, infatti, rispetto a quella della fusione, risiede proprio nella emersione e nell'autonomo rilievo del criterio di ripartizione delle azioni o quote, concettualmente distinto dal rapporto o coefficiente di concambio, che esprime il valore relativo o comparativo del patrimonio (e dunque delle azioni o quote) di ciascuna delle società beneficiarie rispetto alla frazione di patrimonio (della società scissa) ad esse attribuito con la scissione. Più in particolare, il criterio di ripartizione attiene essenzialmente ai rapporti fra i soci della società che si scinde inter se e offre una forma di tutela solo nei confronti di tali soci; il rapporto di cambio è, invece, destinato a svolgere una funzione di tutela anche rispetto ai rapporti fra i soci della società che si scinde e quelli di ciascuna delle società beneficiarie, tanto è vero che, nel caso in cui queste ultime siano di nuova costituzione, il rapporto di cambio può non essere sottoposto alla verifica degli esperti (ex art. 2506-ter, comma 3, c.c.), essendo in tal caso attenuata la sua funzione di protezione delle posizioni reciproche dei soci.
Ne consegue che, sebbene concettualmente distinti, il criterio di ripartizione e il rapporto di cambio sono strettamente collegati, nel senso che la corretta determinazione del "valore comparativo" delle frazioni di patrimonio attribuite per effetto di scissione (valore che è espresso appunto dal rapporto di cambio) costituisce un presupposto indispensabile ai fini della individuazione di un criterio di ripartizione delle azioni che, pur se non proporzionale, deve comunque non essere lesivo della parità di trattamento sostanziale fra i soci. L'assunto trova conferma nell'art. 2506-ter, comma 3, c.c., il quale prevede che il rapporto di cambio venga determinato e sottoposto al controllo degli esperti esterni nell'ipotesi di scissione a favore di società costituite ex novo - quando cioè non entrano in gioco interessi dei soci delle beneficiarie - e dispone l'esonero dalla verifica ad opera degli esperti soltanto quando il criterio prescelto di ripartizione delle azioni sia quello proporzionale, essendo in tal caso esclusa la possibilità di diseguaglianze di trattamento tra i soci della società scissa.
Il normale parametro di riferimento, utilizzato per il calcolo del rapporto di concambio (i.e., il capitale netto contabile), nelle scissioni con criterio di ripartizione non proporzionale [nota 62] non pare idoneo ad offrire una adeguata tutela ai soci. Infatti, in tali casi, gli amministratori della società che si scinde potrebbero sostanzialmente "pilotare" i beni aziendali sulle società beneficiarie, imputando ad alcune beneficiarie determinati beni con valori di bilancio più distanti dai valori correnti (e, quindi, con plusvalenze latenti) e assegnando ad altre beni con valori contabili più vicini a quelli correnti, con conseguente danno per i soci di queste ultime. Nella scissione con assegnazione non proporzionale, appare quindi più conferente non utilizzare, quale parametro di riferimento, il criterio del patrimonio netto contabile, tenuto altresì conto del fatto che la relazione di stima (e la valutazione da effettuarsi ai fini del rapporto di cambio), secondo quanto previsto dall'art. 2506-bis c.c., dovrebbe essere impostata secondo i criteri propri del capitale economico (a valori quindi correnti).
è, infine, il caso di precisare che la richiesta del legislatore di indicare nel progetto di scissione le modalità di assegnazione delle azioni o quote, nel caso della scissione non proporzionale, non si riferisce solo (o, per lo meno, non soltanto) alle modalità tecniche di emissione dei titoli, ai modi ed ai tempi del concambio, ma anche alla individuazione delle compagini sociali delle società beneficiarie, evidenziando anche le alternative cui darebbe luogo l'eventuale esercizio dell'opzione di vendita.
(ii) L'indicazione dell'eventuale conguaglio in denaro
Nell'elencazione del contenuto del progetto di fusione è prevista la possibilità di affiancare alla fissazione del rapporto di cambio la previsione di un conguaglio in denaro che, in base a quanto disposto dall'art. 2501-ter, comma 1, n. 3, c.c., non può essere superiore al 10% del valore nominale delle azioni o delle quote assegnate. Com'è noto, la funzione del conguaglio è quella di evitare la fissazione di un rapporto di cambio "frazionario" e di consentire agli amministratori delle società partecipanti all'operazione di semplificare le operazioni di concambio, stabilendo un rapporto di cambio semplice e senza decimali, per evitare la formazione dei resti [nota 63].
Secondo la dottrina prevalente [nota 64], il conguaglio può essere previsto solo a favore dei soci della scissa, non anche a favore di quelli della beneficiaria e deve necessariamente avere un'applicazione di carattere generale, non potendo riguardare solo alcuni azionisti per i quali, a seguito del concambio, vi siano dei resti. Inoltre, il limite fissato dal legislatore (10% del valore nominale delle azioni o delle quote attribuite) ha la funzione di evitare che un conguaglio eccessivamente elevato riduca in modo determinante il valore della partecipazione del socio nella società beneficiaria (o incorporante), evitando così che il conguaglio possa essere utilizzato intenzionalmente dalla maggioranza come strumento per escludere soci indesiderati e, allo stesso tempo, impedendo la possibilità di esercitare un sostanziale recesso, senza il rispetto delle norme previste per questo istituto [nota 65]- [nota 66].
In merito, il legislatore della riforma, a differenza di quanto statuito in tema di fusione, non ha previsto alcuna eccezione al limite del 10%. Tale assunto si ricava dal fatto che l'art. 2505-quater c.c. - che, nel quadro della semplificazione per le operazioni di fusione cui non partecipano società con capitale rappresentato da azioni, dispone fra l'altro che non si applica il comma 2 dell'art. 2501-ter c.c. - non è stato richiamato per le scissioni dall'art. 2506-ter, comma 5, c.c. La ratio di una tale scelta può essere ravvisata nell'implicito riconoscimento da parte del legislatore della maggiore pericolosità e complessità strutturale dell'operazione di scissione rispetto alla fusione.
Inoltre, secondo una parte della dottrina, il richiamo normativo pare accreditare l'opinione interpretativa secondo cui nella scissione esistono diverse possibili accezioni della nozione di conguaglio in contanti [nota 67], a seconda delle concrete modalità di attuazione dell'operazione.
In particolare si potrebbe avere la situazione in cui il conguaglio, consistendo in un'integrazione monetaria uguale per tutti, assolve alla finalità di consentire l'arrotondamento del rapporto di cambio, nel limite del 10% del valore nominale delle azioni o quote assegnate. Allo stesso tempo, il conguaglio potrebbe consistere in una somma di denaro (non limitata in questo caso nel suo ammontare massimo) da assegnare ad una delle beneficiarie a compensazione dell'attribuzione ad altre di assets di valore complessivamente superiore rispetto a quelli assegnati alla prima.
(iii) Le menzioni collegate alla scelta del criterio non proporzionale
La seconda parte dell'articolo 2506-bis, comma 4, c.c., prevede, in caso di scissione non proporzionale, il diritto per il socio dissenziente di vendere le proprie partecipazioni e rappresenta una delle più rilevanti novità introdotte dalla riforma nella disciplina della scissione. Infatti, con tale disposizione, il legislatore ha eliminato il diritto spettante a ciascun socio, in caso di distribuzione non proporzionale delle azioni o delle quote, di optare per la partecipazione proporzionale in tutte le società, sostituendolo con il diritto di far acquistare le proprie partecipazioni a determinati soggetti indicati nel progetto, a carico dei quali viene posto l'obbligo di acquisto, per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso.
Un'attenta lettura della disposizione in oggetto impone alcune ulteriori considerazioni.
Innanzitutto, la norma prescrive che nel progetto di scissione deve essere espressamente previsto il diritto dei soci che "non approvino" la scissione di far acquistare le loro partecipazioni. Tale diritto può in realtà essere esercitato non solo dai soci dissenzienti, ma anche da coloro che, nell'assemblea chiamata ad approvare il progetto, non abbiano comunque votato a favore, inclusi quindi gli assenti e gli astenuti.
Ci si può, inoltre, chiedere come l'esercizio del diritto di vendita possa operare nel caso di scissione c.d. mista (in parte proporzionale e in parte non proporzionale): in altri termini, sorge il dubbio se legittimati alla vendita sono solo i soci che ricevono le partecipazioni in misura non proporzionale, oppure tutti coloro che non approvano comunque l'operazione (come potrebbe far ritenere il dato testuale). In merito sembra corretto ritenere, in conformità alla ratio della disciplina ed all'eccezionalità della fattispecie di scissione mista, che l'esercizio di tale diritto sia limitato ai soci della prima categoria [nota 68].
L'esercizio del diritto in oggetto si sostanzia nella formulazione di una proposta irrevocabile di acquisto rivolta ai soci che intendano uscire da parte dei soggetti che si sono obbligati all'acquisto delle partecipazioni dei primi. Ne consegue che, alla luce della prospettata ricostruzione giuridica, il progetto dovrebbe essere sottoscritto dai proponenti o, in alternativa, allo stesso dovrebbero essere allegate le proposte irrevocabili dei proponenti.
Essendo il progetto redatto dagli amministratori della società scissa (ed eventualmente delle società beneficiarie già esistenti) ed iscritto nel Registro delle Imprese prima che i soci ne sappiano alcunché, gli amministratori sembrano rimanere arbitri della scelta in ordine all'individuazione dei soggetti che acquisteranno le partecipazioni dei soci non consenzienti.
Con riferimento alla ripartizione delle azioni o quote tra gli obbligati all'acquisto, si può ritenere che (i) se questi sono già soci della società, le partecipazioni saranno attribuite loro proporzionalmente alle azioni o quote già detenute nella scissa; (ii) se sono tutti estranei, l'attribuzione avverrà in parti uguali tra loro o secondo le diverse proporzioni fra gli stessi concordate (fermo restando l'eventuale diritto di prelazione); (iii) in caso di concorso tra soci ed estranei ed in presenza di una clausola di prelazione statutaria, le partecipazioni saranno acquistate dai soli soci che esercitino la prelazione, fermo restando che non sarà consentito un esercizio della prelazione tale da non permettere ai soci dissenzienti di cedere l'intera loro partecipazione.
Di poi, la norma precisa che il corrispettivo per l'acquisto dovrà essere determinato nel progetto (o forse anche in fase successiva ma prima della delibera) alla stregua dei criteri previsti per la liquidazione dei soci che esercitano il diritto di recesso [nota 69]. Sotto questo profilo la disposizione non sembra sollevare particolari dubbi interpretativi: il corrispettivo sarà, quindi, determinato ai sensi dell'art. 2437-ter c.c. sulla base dei valori correnti delle azioni o quote alla data di riferimento della valutazione. Ne consegue che il valore delle partecipazioni dovrà corrispondere all'effettivo valore economico delle stesse (fair value), non potendo essere calcolato sulla base di un valore "convenzionale", desunto dalla contabilità della società (tenuta a costi storici) [nota 70].
La soppressione della norma che prevedeva il diritto di ciascun socio di optare per la partecipazione a tutte le società interessate dall'operazione in proporzione della quota di partecipazione detenuta nella società scissa (cfr. art. 2504-octies, comma 4, secondo periodo, c.c.) [nota 71] e la sua sostituzione con il "diritto di acquisto" di cui al citato art. 2506-bis, comma 4, c.c. suggerisce un'ulteriore riflessione.
Non può, infatti, negarsi che tale "sostituzione" di diritti si traduca, sostanzialmente, in un incremento del potere della maggioranza ed in un corrispondente ridimensionamento delle situazioni soggettive dei soci e degli strumenti di tutela della minoranza contro il pericolo di abusi da parte della maggioranza. Infatti, in caso di scissione con distribuzione non proporzionale delle partecipazioni, il socio in disaccordo è posto dinnanzi all'alternativa di uscire dalla società, monetizzando la propria partecipazione ovvero subire la distribuzione delle partecipazioni predisposta dagli amministratori (distribuzione che, tra l'altro, potrà essere stabilita con molta discrezionalità da parte degli amministratori medesimi).
(iv) Modifiche del progetto in sede deliberativa
Un altro profilo di indagine interessante, nei casi di distribuzione non proporzionale delle azioni o quote, concerne l'ammissibilità di modifiche delle clausole del progetto di scissione che, direttamente o indirettamente, concernano le caratteristiche tipiche della scissione non proporzionale, operate dai soci in sede deliberativa.
In merito non pare illegittima una delibera che, a maggioranza, modifichi l'eventuale criterio di distribuzione, ad esempio, fissato nel progetto in misura proporzionale, sostituendolo con un criterio non proporzionale. In tale caso, peraltro, dovrà essere garantito ai soci dissenzienti il diritto di vendere le proprie partecipazioni ai sensi del quarto comma dell'art. 2506-bis c.c.
La clausola relativa al rapporto di cambio potrebbe essere ritenuta immodificabile in considerazione del fatto che, altrimenti ragionando, si finirebbe per consentire alla maggioranza un "effetto sorpresa" ai danni della minoranza, la quale ultima, convocata per l'approvazione dell'operazione sulla base di un dato coefficiente di cambio, si troverebbe la proposta modificata con condizioni diverse rispetto a quelle conosciute e valutate attraverso la disamina del progetto [nota 72].
In realtà non pare si possa sostenere l'immodificabilità tout court del rapporto di cambio. Infatti, non è escluso che la presenza di date condizioni (purché, naturalmente, sia salvaguardato il diritto dei soci all'informazione in sede di riunione assembleare) possa renderla ammissibile. Si pensi al caso in cui tale modifica risulti obiettivamente giustificata, ad esempio, da mutamenti sopravvenuti nella consistenza patrimoniale di una delle società partecipanti all'operazione; oppure al caso in cui, successivamente alla delibera di approvazione, una parte dei soci eserciti il diritto di vendita, di cui all'art. 2506-bis, comma 4, c.c. e ciò, di conseguenza, determini un'alterazione della consistenza patrimoniale della società.
In tali casi potrebbe essere necessario, per la rilevanza delle modifiche e/o alterazioni intervenute, procedere alla revisione del rapporto di cambio e gli amministratori dovrebbero poter proporre le modifiche in sede di delibera o, nel secondo caso, mediante la riconvocazione di un'assemblea di approvazione della revisione in oggetto.
La situazione patrimoniale "straordinaria"
L'art. 2506-ter, comma 1, c.c. prevede che l'organo amministrativo delle società che partecipano alla scissione deve redigere la situazione patrimoniale in conformità a quanto previsto dall'art. 2501-quater c.c. per la fusione.
La situazione patrimoniale in oggetto dovrà, quindi, essere redatta nel rispetto ed alla stregua delle norme che regolano il bilancio di esercizio e potrà essere sostituita da questo, qualora l'ultimo esercizio sia stato chiuso non oltre sei mesi prima della data del deposito del progetto di scissione presso la sede sociale.
Appare chiara l'importante funzione svolta da tale documento nell'ambito dell'operazione di scissione (proporzionale o non proporzionale). Infatti, dalla disciplina complessiva di tale istituto si desume che il progetto di scissione ed i documenti, allo stesso allegati, devono fornire, ai soci, ai creditori e ai terzi, non solo indicazioni idonee a identificare gli elementi patrimoniali assegnati alle singole beneficiarie, ma anche opportune precisazioni in ordine al valore di quegli stessi elementi.
In ordine a tale valore, il dato normativo precisa che dovranno essere indicati (i) sia il valore «così come determinato ai fini del calcolo del rapporto di cambio», (ii) sia il «valore effettivo», (iii) sia il «valore contabile» del patrimonio assegnato alle singole beneficiarie.
Con riferimento al valore indicato sub (i), lo stesso è il risultato di una negoziazione tra le varie società coinvolte dalla scissione, qualora già esistenti o in caso di scissione con costituzione di una nuova beneficiaria, di una trattativa tra i soci della scissa. La base di calcolo è rappresentata dai c.d. capitali economici delle società partecipanti all'operazione di scissione che devono essere valutati in una prospettiva strategica, tenuto quindi conto dell'avviamento e valorizzando le sinergie che l'operazione può comportare.
Il valore "effettivo" del patrimonio netto trasferito ovvero rimasto in capo alla scissa, rileva quale indice del valore delle quote di patrimonio attribuite alle singole beneficiarie, attestando così la corrispondenza fra la somma del valore netto delle diverse quote assegnate ed il valore complessivo netto del patrimonio della società scissa. In merito ai criteri di determinazione di tale valore, data la laconicità del testo normativo, non vi è unanimità di vedute, pur se si registrano alcune convergenze sui seguenti punti: (a) esso non può prescindere da quello contabile degli elementi assegnati (risultante dalle scritture contabili e dal bilancio di esercizio; (b) non coincide con il "costo storico" o il "costo di acquisizione" di un determinato elemento patrimoniale; (c) presenta indici di somiglianza con il c.d. valore attuale dell'elemento patrimoniale (i.e., il costo necessario per produrre e/o acquistare nuovamente il bene in oggetto); (d) deve essere calcolato sulla base del c.d. capitale economico della società, così come avviene per la determinazione del rapporto di cambio, prescindendo peraltro dalla comparazione con i patrimoni delle altre società partecipanti alla scissione richiesta, invece, per la determinazione del concambio.
Il valore effettivo è, pertanto, un dato assoluto da determinare secondo canoni prudenziali.
Infine, in ordine al valore "contabile", indicato sub (iii), lo stesso dovrà risultare dalla situazione patrimoniale di cui all'art. 2506-ter, comma 1, c.c. che, riveste importanza notevole ai fini dell'informazione dei soci e dei terzi (specificamente dei creditori) in merito alla riallocazione del patrimonio, effettuata con la scissione, al punto tale da non essere chiaro il motivo per cui il legislatore consente che, in presenza del consenso unanime dei soci e dei portatori di strumenti finanziari muniti del diritto di voto, possano essere esonerati gli amministratori dalla redazione anche della situazione patrimoniale (arg. ex art. 2506-ter, comma 4, c.c.).
La relazione degli amministratori
Ai sensi dell'art. 2506-ter, comma 1, c.c., l'organo amministrativo delle società che partecipano alla scissione deve predisporre la relazione illustrativa in conformità a quanto previsto dall'art. 2501-quinquies c.c. per la fusione. Il secondo comma del citato art. 2506-ter c.c., di poi, stabilisce che nella relazione in oggetto devono essere illustrati, tra l'altro, «i criteri di distribuzione delle azioni o quote».
La relazione in oggetto, quindi, oltre ad illustrare lo scopo (i.e., la funzione economica perseguita) e giustificare, sotto un profilo anche giuridico, il progetto e il rapporto di cambio (indicandone i criteri di determinazione insieme alle eventuali difficoltà di valutazione), deve precisare il criterio o i criteri adottati per la ripartizione delle azioni o quote delle beneficiarie tra i soci della società che si scinde. Proprio in tale sede sarà compito degli amministratori individuare le modalità di distribuzione delle partecipazioni, in ragione del rapporto di cambio concordato tra gli amministratori delle società coinvolte nell'operazione (nel caso in cui le beneficiarie siano preesistenti).
Dalla relazione degli amministratori deve, altresì, risultare il valore netto dell'attivo patrimoniale trasferito alle beneficiarie o rimasto in capo alla scissa (cfr. art. 2506-ter, comma 2, c.c.), fermo restando che nulla esclude che tale valore effettivo sia direttamente inserito nel progetto di scissione.
Alla relazione illustrativa degli amministratori deve certamente riconoscersi un ruolo di rilievo ai fini dell'informazione dei soci e dei terzi (in particolare, dei creditori sociali), per un consapevole esercizio, da parte loro, rispettivamente del diritto di voto in assemblea e del diritto di opposizione alla deliberazione [nota 73].
La relazione degli esperti
In forza del rinvio contenuto nell'art. 2506-ter, comma 3, c.c. a quanto previsto dall'art. 2501-sexies c.c. in tema di fusione, sarà poi necessario che uno o più esperti per ciascuna società che partecipa alla scissione rediga una relazione sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni o quote [nota 74].
L'obbligo di designazione dell'esperto (e, quindi, la redazione stessa del parere di congruità) sussiste solo nel caso in cui sia previsto un criterio di distribuzione non proporzionale delle azioni o quote. In altri termini, la redazione del parere non è richiesta nel caso di assegnazione proporzionale delle partecipazioni nelle beneficiarie (ex art. 2506-ter, comma 3, c.c.), in considerazione del fatto che la parità di trattamento dei soci della società che si scinde è, in tale caso, garantita dalla loro partecipazione proporzionale in tutte le società beneficiarie. Si ritiene, inoltre, che la relazione degli esperti non sia necessaria allorquando la scissione non comporti variazione al valore delle partecipazioni possedute dai soci partecipanti all'operazione [nota 75].
Ai sensi della nuova disciplina contenuta nell'art. 2501-sexies c.c., il procedimento di designazione degli esperti è stato modificato come segue:
(i) ciascuna società designa il suo esperto e, nel caso di scissione a favore di società neo-costituite, l'obbligo incombe solo sulla scindenda;
(ii) l'esperto o gli esperti sono scelti esclusivamente dalle parti, salvo il caso in cui una delle beneficiarie sia una società per azioni o una Sapa, nel qual caso la nomina spetta al Tribunale del luogo in cui ha sede tale società;
(iii) la scelta deve, comunque, essere effettuata tra soggetti iscritti nell'albo dei revisori dei conti oppure nell'ambito di società di revisione iscritte nell'albo tenuto dal Ministero della Giustizia e, si ritiene, che possa essere incaricato anche il soggetto che si occupa del controllo contabile della società [nota 76];
(iv) se una delle società è quotata su un mercato regolamentato, l'esperto deve essere scelto tra le società di revisione abilitate al controllo contabile sulle società quotate (iscritte nell'albo tenuto dalla Consob);
(v) l'eventuale nomina di esperti comuni deve essere fatta dal Tribunale territorialmente competente (che, in caso di scissione, non potrà essere quello della sede dell'incorporante, ma sarà quello della sede della società che le parti abbiano convenzionalmente individuato), previa presentazione di un ricorso congiunto. Con riferimento al contenuto di detta relazione, occorre sottolineare che essa avrà quale oggetto essenziale la valutazione circa la congruità del rapporto di cambio, ma potrà anche contenere:
- l'attestazione in merito alla "non necessità" di garanzie a tutela dei creditori legittimati all'opposizione, idonea a sterilizzare il diritto di opposizione degli stessi all'operazione, secondo quanto oggi previsto dall'art. 2503 c.c.;
- la stima del patrimonio della società, nel caso in cui la scissione concerna una società di persone, secondo quanto previsto dall'art. 2501-sexies, ultimo comma, c.c., e beneficiarie siano società di capitali;
- l'attestazione della "ragionevolezza" delle indicazioni contenute nel progetto in ordine alle risorse finanziarie destinate al soddisfacimento delle obbligazioni contratte dalla società risultante da un'incorporazione preceduta dall'acquisizione del pacchetto di controllo (i.e., le ipotesi di scissione con indebitamento).
Il documento indicante il valore di liquidazione, rimborso o acquisto delle azioni o quote ai soci
Se per le concrete modalità di attuazione della scissione, la stessa dà titolo ai soci di esercitare il diritto di recesso, grava sugli amministratori l'obbligo di rendere noto ai soci, mediante la redazione del documento previsto dall'articolo 2437-ter, comma 5, c.c., il valore di liquidazione o di rimborso delle azioni, così come determinato secondo i criteri di cui ai commi secondo, terzo e quarto del citato articolo 2437-ter c.c.
Un documento, avente il medesimo tenore e soggetto alle medesime modalità di deposito, dovrà poi essere predisposto dagli amministratori nello specifico caso di scissione non proporzionale e per l'ipotesi in cui eventuali soci dissenzienti all'operazione intendano esercitare il diritto loro concesso dall'art. 2506-bis, comma 4, c.c., e cioè il diritto di far acquistare le partecipazioni dagli stessi detenute per un corrispettivo che dovrà essere determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso.
La delibera assembleare
La decisione in ordine alla scissione deve essere assunta mediante l'approvazione del progetto da parte dei soci (ex art. 2502 c.c., richiamato nell'art. 2506-ter, comma 5, c.c.). Con riferimento a tale approvazione da parte dei soci, appare opportuno premettere quanto segue:
(i) per quanto riguarda le SpA, la competenza spetterà all'assemblea straordinaria, secondo le norme previste per le modificazioni dell'atto costitutivo (ex art. 2502, comma 1, seconda parte, c.c., richiamato nell'art. 2506-ter, comma 5, c.c.);
(ii) per quanto riguarda le Srl, la decisione spetterà alla competenza dei soci (ex art. 2479, comma 2, n. 4, c.c.) e sarà richiesta la maggioranza della metà del capitale sociale, salva diversa previsione dell'atto costitutivo;
(iii) per quanto riguarda, infine, le società di persone partecipanti alla scissione, la decisione dovrà essere assunta «con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili», salva una diversa previsione dell'atto costitutivo [nota 77].
Occorre inoltre precisare che, ai sensi dell'art. 2506. comma 2, seconda parte, c.c., se il progetto prevede l'assegnazione delle partecipazioni nelle beneficiarie solo ad alcuni dei soci della società che si scinde (e, quindi, in un caso di assegnazione non proporzionale), non sarà sufficiente una decisione a maggioranza, ma è richiesto il consenso unanime dei soci che dovrà, altresì, risultare dal verbale della riunione.
Una ulteriore questione a cui occorre fare cenno in sede di analisi della decisione avente ad oggetto il progetto di scissione, concerne l'opinione secondo cui, con l'approvazione di quest'ultimo, la società approva anche l'atto costitutivo delle società beneficiarie (nel caso, ovviamente, di scissione a favore di società neo-costituite).
Proprio con riferimento ai casi di scissione non proporzionale, tale assunto appare opinabile, in considerazione del fatto che, alla data della decisione sul progetto, la compagine sociale non si è ancora formata, essendo i soci ancora liberi di esercitare la propria scelta sulla base dei criteri di cambio indicati. In realtà, come evidenziato in dottrina, pare difficilmente evitabile il rischio che gli amministratori siano investiti da una compagine sociale diversa rispetto a quella con cui la società nuova si costituisce [nota 78].
La tutela del socio nella scissione non proporzionale
Nelle ipotesi di scissione non proporzionale si pone, evidentemente, un delicato problema di tutela dei singoli soci e di parità di trattamento fra gli stessi [nota 79]. In merito la VI direttiva comunitaria (cfr. art. 5, comma 2, direttiva 82/891/Ce) [nota 80] aveva dettato un criterio di soluzione che, disatteso nel 1991 dalla legge di recepimento - che aveva riconosciuto a ciascun socio la possibilità di optare per un assetto proporzionale - è stato, come già ricordato, sostanzialmente recepito dalla legge di riforma del 2003.
Più precisamente, il legislatore del 2003, consentendo espressamente la scissione non proporzionale, ha abrogato il diritto del socio di esercitare l'opzione per un assetto proporzionale delle partecipazioni. Ne consegue che l'incidenza della riorganizzazione sulle posizioni soggettive dei soci è tale da richiedere necessariamente un'indagine più approfondita sugli strumenti, predisposti dal legislatore della riforma, a tutela della minoranza. Gli istituti da considerare paiono essere sostanzialmente due:
(a) il diritto di recesso riferibile, in realtà, a tutte le ipotesi di scissione;
(b) il diritto dei soci, che non approvino l'operazione in caso di scissione non proporzionale, di vendere le proprie partecipazioni.
Con riferimento al diritto di recesso, l'art. 2473 c.c. prevede espressamente tra le cause legali di recesso del socio di società a responsabilità limitata, non derogabili dall'autonomia privata, il compimento di un'operazione di «fusione o scissione». L'art. 2502 c.c. (applicabile alla scissione per il rinvio operato dall'ultimo comma dell'art. 2506-ter c.c.) riconosce, altresì, tale diritto in capo ai soci di società di persone che non abbiano consentito all'operazione. Una disposizione analoga manca, invece, nella disciplina della società per azioni: infatti, il nuovo testo dell'art. 2437 c.c., dettato per il recesso nelle SpA, non ha considerato tra le cause di recesso le ipotesi di fusione e scissione della società.
In conseguenza di quanto sopra, qualora la scissa sia una società di persone o una società a responsabilità limitata, ai soci della società scindenda, che non abbiano consentito alla scissione, compete "in ogni caso" il diritto di recesso. Invece, qualora tale operazione sia posta in essere da una SpA [nota 81], il diritto di recesso spetterà solo in caso di scissione c.d. "eterogenea", ovvero quando la scissione conduca ad un risultato finale corrispondente ad una delle ipotesi legali di recesso previste dall'art. 2437 c.c., trovando in tal caso applicazione le norme dettate per la trasformazione.
Ora la differenza di disciplina tra le SpA e le altre società (salvo che sia da ascrivere ad un difetto di coordinamento) potrebbe essere dettata dall'intento del legislatore di sottrarre, a minoranze riottose, strumenti che possano impedire il compimento di operazioni ritenute strategiche dalla maggioranza [nota 82]. In altri termini, la ratio della scelta operata dal legislatore della riforma, potrebbe consistere nella decisione di tutelare l'interesse imprenditoriale alla conclusione del procedimento di scissione societaria. In conclusione sul punto, il socio di SpA, che sia in disaccordo sull'operazione, (i) in caso di scissione proporzionale, non potrà che subirla, mentre (ii) in caso di scissione non proporzionale, potrà avvalersi del diritto di cui all'art. 2506-bis, comma 4, c.c.
Passando a considerare, più in dettaglio, la disciplina del recesso in sede di scissione, appare innanzitutto opportuno individuare in quale momento del complesso procedimento di scissione il recesso può essere esercitato. Secondo la dottrina, esso coincide con la decisione dei soci che approvano il progetto di scissione: infatti, dall'iscrizione della delibera di scissione decorre il termine di 15 giorni, previsto dall'art. 2437-ter c.c., per l'esercizio del diritto di recesso.
Contestualmente alla dichiarazione di recesso è, poi, previsto che il socio possa presentare delle contestazioni riguardo al valore di rimborso quantificato dall'organo amministrativo: la soluzione della vertenza potrà, quindi, essere rimessa all'esperto designato dal Tribunale, su istanza della parte più diligente, e tale soggetto dovrà redigere una perizia giurata di stima del valore in questione entro 90 giorni dal ricevimento dell'incarico [nota 83].
è, pertanto, chiaro che l'eventuale esercizio del diritto di recesso attiva lo speciale sub-procedimento di liquidazione della partecipazione del recedente di cui all'art. 2437-quater c.c. che, innestandosi nel procedimento di scissione, comporta (e non può non comportare) un allungamento dei tempi per la stipula dell'atto di scissione.
Con riferimento alle modalità di liquidazione della quota del socio uscente in caso di recesso, si rammenta che, secondo quanto previsto dall'art. 4, comma 9, lett. d, della legge delega di riforma del diritto societario, le stesse sono finalizzate a «tutelare l'integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori» e, pertanto, ove le azioni o quote del socio receduto non vengano collocate presso gli altri soci o i terzi (secondo le modalità previste dagli articoli 2437-quater e 2473, comma 4, c.c.), obbligata a pagare resta comunque la società, la quale è tenuta ad adempiere utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, riducendo il capitale sociale in misura corrispondente al valore della partecipazione. In tali ultimi casi, la liquidazione della quota del socio receduto, secondo una valutazione riferita al valore reale del patrimonio sociale, potrà quindi comportare una variazione in diminuzione delle poste positive del netto della società che subisce il recesso o, addirittura, in assenza di poste positive, potrà creare o incrementare una posta negativa già esistente.
Il diritto di vendere (e, quindi, di far acquistare) la propria partecipazione, attribuisce invece al socio dissenziente il diritto di uscire dalla società ricevendo in denaro il valore corrente della sua partecipazione.
In merito sono opportune alcune ulteriori precisazioni circa l'ambito applicativo della norma in esame, in considerazione di alcune incertezze interpretative affiorate in dottrina.
Innanzitutto, non è chiaro se la "vendita" riguardi l'intera partecipazione del socio dissenziente, oppure possa concernere una parte di essa. In conformità a quanto previsto dalla disciplina del recesso e non essendovi valide ragioni al contrario, si può sostenere legittima anche una vendita limitata ad una parte della complessiva partecipazione detenuta dal socio dissenziente.
In secondo luogo, non è chiaro se il diritto di vendita debba riguardare le partecipazioni detenute dal socio in tutte le società coinvolte dall'operazione di scissione, oppure possa concernere solo alcune di esse. In tal caso, in assenza di appigli normativi, potrebbe ritenersi che tale diritto dovrebbe avere ad oggetto solo la partecipazione nella scissa, considerato che il parere contrario è rivolto solo a tale società e la norma sembra fare riferimento solo a questa.
Sempre in un'ottica di tutela, appare interessante verificare come operi, dal punto di vista procedimentale, il diritto di vendita in commento: in altri termini, l'interprete deve porsi il quesito se i soci abbiano diritto di ricevere una comunicazione specifica del valore di liquidazione delle azioni o quote in via preventiva rispetto all'assemblea chiamata a deliberare l'operazione.
Se si ritiene possibile (come pare corretto) che, in presenza di lacune nella disciplina in oggetto, trovino applicazione analogica le disposizioni previste per il recesso (e, quindi, l'intera procedura di determinazione e comunicazione del valore delle partecipazioni in ipotesi di recesso), allora gli amministratori dovranno comunicare, in sede di convocazione dell'assemblea per l'approvazione del progetto di scissione, il valore delle partecipazioni.
Un altro profilo di criticità insito nella norma in commento è dato dall'assenza di qualsiasi forma di tutela del socio venditore contro il rischio di inadempimento dell'obbligo di corresponsione del prezzo. Infatti, se come sembra il progetto contiene una proposta irrevocabile di acquisto, la comunicazione da parte del socio uscente che è intenzionato a vendere la sua partecipazione non potrà che rappresentare l'accettazione della proposta, con conseguente perfezionamento dell'atto traslativo della partecipazione. Alla luce del dato normativo, non pare possibile desumere alcun effetto di un eventuale inadempimento sulla scissione: la norma, infatti, dispone solo che dal progetto risulti tale diritto di vendita, imponendo un obbligo in tal senso in capo agli amministratori.
La dottrina che si è interrogata sul punto ha affermato che il rischio-inadempimento rimane a carico del socio dissenziente [nota 84]. Al riguardo potrebbe opportunamente essere inserita nel progetto una clausola che preveda l'obbligo a carico dell'acquirente di depositare il prezzo in società, oppure il rilascio da parte dello stesso di una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia del versamento del prezzo. Non si può, tuttavia, negare la difficoltà di una tale previsione in considerazione del fatto che, al momento della sottoscrizione del progetto, l'acquirente (eventuale) ignora non solo se acquisterà le partecipazioni, ma anche in quale misura tale acquisto potrà avvenire.
La tutela del socio al diritto di uscita nel caso di scissione non proporzionale è naturalmente limitata nel caso di inserimento nel progetto (come a tutt'oggi consentito) della facoltà di ciascun socio di optare per la partecipazione in tutte le società beneficiarie in misura proporzionale alla partecipazione detenuta nella società che si scinde. In tale ipotesi è, infatti, chiaro che non ricorre quell'alterazione forzosa della posizione amministrativa e patrimoniale del socio che giustifica, da un lato, il diritto di exit (e, quindi, la vendita della partecipazione ai soggetti indicati nel progetto) e, dall'altro, la necessaria prestazione del consenso unanime dei soci. Secondo una autorevole dottrina, la previsione di tale facoltà di opzione per una distribuzione proporzionale delle partecipazioni renderebbe, inoltre, superflua tale tutela anche nelle ipotesi limite della scissione asimmetrica con attribuzione ad alcuni dei soci di azioni o quote solo della scissa [nota 85].
Sempre in tema di tutela del socio in caso di scissione non proporzionale, occorre infine chiarire se il socio dissenziente che intenda abbandonare la compagine sociale possa avvalersi anche del diritto di recesso ai sensi degli articoli 2473 e 2502 c.c. (se la scissa è una Srl o società di persone), oppure nell'ipotesi in cui ciò sia espressamente previsto nello statuto (se la scissa è una SpA).
La dottrina in merito si è per lo più espressa in senso negativo [nota 86] sulla base della considerazione che l'art. 2506-bis, comma 5, c.c. prevede uno specifico meccanismo di exit del socio in disaccordo che, rispetto al meccanismo di uscita previsto in caso di recesso, rappresenta la species rispetto a un genus. Ne consegue che il rimedio del recesso pare assorbito dal diritto di vendita. In realtà si potrebbe giungere a diverse conclusioni in una prospettiva di tutela sostanziale dei diritti del socio. Ed infatti laddove la valorizzazione della quota del socio in sede di diritto di recesso (risultante dall'applicazione delle norme statutarie e dei patti sociali) sia superiore a quella stabilita per il diritto di vendita sarebbe interesse del socio poter recedere dalla società.
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[nota 1] Cfr. G.F. CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, in Diritto commerciale - 2 - Diritto delle società, 2003, p. 239 e ss.
[nota 2] Gli articoli 2 e 21 descrivono, infatti, l'istituto in oggetto come «l'operazione con la quale una società, tramite uno scioglimento senza liquidazione, trasferisce a più società (preesistenti o di nuova costituzione) l'intero patrimonio attivo e passivo mediante attribuzione agli azionisti della società scissa di azioni delle società beneficiarie dei conferimenti risultanti dalla scissione».
[nota 3] Recita, infatti, il primo comma della norma in oggetto: «con la scissione una società assegna l'intero suo patrimonio a più società, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo patrimonio, in tal caso anche ad una sola società, e le relative azioni ai suoi soci».
[nota 4] Sull'argomento, si vedano: U. BELVISO, «La fattispecie della scissione», in Giur. comm., 1993, I, p. 521; R. MARINONI e D. VENTURINO, «La scissione», in Dir. prat. soc., 2004, 12, p. 20. In tal senso, in giurisprudenza, si vedano ancora recentemente: Cass., 27 aprile 2001, n. 6143, in Giur. comm., 2002, II, p. 173; Cass., 6 dicembre 1998, n. 9897, in Giust. civ., 1999, I, p. 741 (l'orientamento della corte non è, tuttavia, univoco).
[nota 5] Si sofferma sul "polimorfismo", come carattere tipico della scissione, F. D'ALESSANDRO, «La scissione delle società», in Riv. dir. imp., 1991, p. 15. Si vedano, inoltre: G. FARNETI e G. SAVIOLI, La scissione di società, Milano, 1993, p. 86 e ss.; G. FIORI, Le scissioni nell'economia e nei bilanci delle aziende, Milano, 1995, p. 61 e ss.; M. CARATOZZOLO, I bilanci straordinari, Milano, 1996, p. 393 e ss.; T. ONESTI e I. ROMAGNOLI, La scissione di società, Torino, 1996, p. 15 e ss.; R. MACCHIONI, L'operazione di scissione: un'analisi economico-aziendale, Padova, 1996, p. 52 e ss.; M. MAINARDI, Gestioni straordinarie d'azienda: la scissione, Padova, 1997, p. 18 e ss.; R. PEROTTA, La scissione, in Perotta e Garegnani, Le operazioni di gestione straordinaria, Milano, 1999, p. 272 e ss.; S. BENVENUTO e A. VITA, Trasformazioni. Fusioni. Scissioni, Torino, 1994, p. 409 e ss.
[nota 6] Tale approccio interpretativo si riscontra, ad esempio, in G. PALMIERI, Scissione di società e circolazione dell'azienda, Torino, 1999, p. 106. Tale Autore, nella prospettiva dell'interazione fra discipline, osserva che: «emerge infatti come dato di fondo che, a prescindere dalle soluzioni adottate sui singoli problemi, i due blocchi di disposizioni interagiscono, nel senso che laddove oggetto dell'apporto è un complesso aziendale, l'applicazione dei principi sui conferimenti deve seguire criteri diversi rispetto a quelli utilizzabili nel caso di apporto di singoli beni». In tal senso, si vedano anche: G.B. PORTALE, «La scissione nel diritto societario italiano: casi e questioni», in Riv. soc., 2000, p. 480 e ss.; A. PICCIAU, Scissione di società e trasferimento di azienda», in Riv. soc., 1995, p. 1189; G. MEO, «Attribuzione patrimoniale e apporto di capitale nella scissione di società», in Giur. comm., 1995, I, p. 573 (in relazione, specificatamente, al conferimento). Una posizione particolare assume M. NOTARI, Appunti sull'iscrizione dei beni dell'incorporata nel bilancio dell'incorporante successivo alla fusione, in Studi in onore di Gastone Cottino, Padova, 1997, p. 1375, ove avverte che: «affermare che l'apporto dell'incorporante non ha la medesima natura di un conferimento di beni, essendo diverse la causa e la struttura delle due operazioni, non è infatti di per sé sufficiente per spiegare perché la relazione di stima sia ritenuta necessaria solo nel secondo caso e non nel primo».
[nota 7] Per i riferimenti bibliografici relativamente alle tesi sinteticamente ricordate, si rinvia a P. LUCARELLI, La scissione di società, Torino, 1999, p. 222 e ss., p. 40 e ss. Non si può non sottolineare come vi siano alcune voci che manifestano l'esigenza, a questo stadio dell'evoluzione teorica, di superare i confini ed i limiti di una tale bipartizione, avendosi quasi «l'impressione che questo ordinamento non faccia i conti con la realtà più complessa e, soprattutto, più multiforme, della scissione» (F. D'ALESSANDRO, «La scissione delle società», cit., 1991, p. 26).
[nota 8] Ricalcando in tal modo la rubrica dell'art. 2501 c.c. (che ha riguardo alle "forme" della fusione). Tuttavia, mentre le forme di fusione previste dal citato articolo 2501 c.c. sono soltanto due (la fusione in senso stretto e l'incorporazione), appare notevolmente più varia ed articolata la gamma delle "forme" di scissione (si veda: G. OPPO, «Fusione e scissione delle società secondo il D.lgs. 1991 n. 22: profili generali», in Riv. dir. civ., 1991, II, p. 501 e ss.; P. FERRO LUZZI, «La nozione di scissione», in Giur. comm., 1991, I, p. 1067).
[nota 9] Con il D.lgs. n. 22 del 16 gennaio 1991 e, prima ancora, con la norma di delega, contenuta nell'art. 2 della legge 26 marzo 1990, n. 69. Appare opportuno ricordare che i singoli Stati membri dell'Unione europea non erano, tuttavia, obbligati al recepimento della VI direttiva, essendo quest'ultima retta da una clausola ipotetica (sul punto, si veda: F. D'ALESSANDRO, «La scissione delle società», in Riv. not., 1990, p. 873 e ss.; F. GALGANO, «Scissione di società», in Vita not., 1992, p. 501 e ss.).
[nota 10] Si veda, sul punto, la relazione accompagnatoria dello schema di decreto legislativo di attuazione della III direttiva Cee (n. 78/855 del 9 ottobre 1978, in tema di fusioni societarie) e della VI direttiva, predisposto da una Commissione di studiosi insediata presso il Ministero di Grazia e Giustizia sotto la presidenza di F. D'Alessandro (tale relazione è pubblicata, insieme al testo dello schema, in Riv. dir. comm., 1990, I, p. 126 e ss., con una presentazione di G. SCOGNAMIGLIO, «Fusione e scissione di società: lo schema di legge di attuazione delle direttive Cee», ibidem, p. 109 e ss.).
[nota 11] In tale ipotesi, infatti, i soci della scissa potranno anche non divenire soci di tutte le beneficiarie.
[nota 12] L'alternativa fra queste due forme di scissione non è enunciata espressamente dalla legge, ma risulta in modo inequivocabile dalla stessa disciplina, laddove, in particolare, questa prescrive di indicare nel progetto di scissione il criterio di ripartizione delle azioni o quote delle società beneficiarie fra i soci della società scissa (cfr. art. 2506-bis, comma 4, parte prima, c.c.), in ossequio a quanto disposto dall'art. 3, comma 1, lett. i della VI direttiva.
[nota 13] Sul punto, si veda in particolare: G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, in G.E. Colombo e G.B. Portale, Trattato delle società per azioni, 2004, Vol. 7.2, p. 23 e ss.
[nota 14] Questa funzione può essere, in particolare, assolta dalla scissione per incorporazione in società già esistenti e dà luogo ad un fenomeno di scissione-fusione, in considerazione dell'effetto concentrativo che persegue (sul punto, si veda: G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit., p. 68).
[nota 15] L'imputazione del ramo di azienda ad un diverso soggetto giuridico può essere realizzato anche attraverso l'operazione di "scorporo", ma come è stato acutamente rilevato solo alla scissione è affatto peculiare «la circostanza che gli effetti dell'operazione ricadono direttamente sui soci (della società originaria), consentendo così agli stessi di rimanere titolari del ramo separato, in quanto partecipi della società scissionaria nelle medesime proporzioni in cui partecipavano alla società scissa» (cfr. G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit., p. 71).
[nota 16] Tale locuzione è adoperata da: A. GRAZIANI, G. MINERVINI e U. BELVISO, Manuale di diritto commerciale, Padova, 2004, p. 375; F. D'ALESSANDRO, Problemi civilistici controversi in tema di scissione: distribuzione delle azioni e delle quote sociali, in Atti del convegno Asdag, "La scissione di società: problemi applicativi di maggiore attualità e rilevanza", Roma, 19 dicembre 1996, p. 33.
[nota 17] Sono intuibili le ripercussioni sulla tecnica contrattualistica e, in particolare, sull'attività del notaio in ordine, ad esempio, alle verifiche urbanistiche, alla trascrizione degli atti ecc. (cfr., sul punto: S. SANTANGELO, La scissione nella riforma, in Cnn, Studi e materiali, Suppl. n. 1/2004, p. 544 e ss.).
[nota 18] Vi sono, infine, coloro che dubitano della possibilità di risolvere in maniera unitaria il problema della natura giuridica della scissione. In merito, si vedano, ad esempio, i contributi di: A. PACIELLO, Contributo allo studio della trasformazione e della fusione eterogenea, Napoli, 1991, p. 29; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, p. 1381; U. BELVISO, «La fattispecie della scissione», cit., p. 521 e ss.; A. MAGRì, «Natura ed effetti delle scissioni societarie: profili civilistici», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, p. 11 (per i quali, la scissione totale equivale ad un fenomeno di successione universale, mentre la scissione parziale si configura come una successione a titolo particolare).
[nota 19] In merito: S. SANTANGELO, La scissione nella riforma, cit., p. 544 e ss.
[nota 20] Cfr. S. SANTANGELO, La scissione nella riforma, cit., p. 549.
[nota 21] Gli altri casi potrebbero essere i seguenti: (i) la società scissa possiede l'intero capitale della società beneficiaria o delle società beneficiarie; (ii) la società scissa e la società beneficiaria sono possedute nella medesima proporzione dagli stessi soci; (iii) la società scissa possiede parte del capitale della società beneficiaria e la restante parte è posseduta nella medesima proporzione dagli stessi soci.
[nota 22] Cfr. S. SANTANGELO, La scissione nella riforma, cit., p. 550.
[nota 23] In ordine all'ammissibilità, si veda ad esempio: F. D'ALESSANDRO, Problemi civilistici controversi in tema di scissione: distribuzione delle azioni e delle quote sociali, cit., p. 36.
[nota 24] All'esito dell'operazione, l'assetto delle partecipazioni potrebbe quindi essere il seguente: società Beta (90% Tizio e 10% Sempronio); società Gamma (90% Caio e 10% Sempronio).
[nota 25] L'interpretazione favorevole alla legittimità dell'operazione ora descritta pare, altresì, avvalorata dal tenore letterale della disposizione di cui all'art. 2506-bis, comma 4, c.c., laddove si prevede che, dal progetto di scissione, debbano risultare "i criteri" (e non il criterio) di distribuzione delle azioni o quote delle società scissionarie.
[nota 26] Cfr. G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit., p. 32 e ss.
[nota 27] In senso negativo, si vedano: M. CARATOZZOLO, I bilanci straordinari, cit., p. 393 (sotto il profilo che sarebbe violata la parità di trattamento fra i soci); F. SPERONELLO, «La scissione delle società fra tipicità ed autonomia negoziale: un caso di assegnazione di quote della scissa», in Giur. comm., 2001, II, p. 273 e ss. (per il quale l'operazione sarebbe inammissibile in quanto atipica - difforme, cioè, dallo schema legale tipico della scissione, imperniato sull'assegnazione ai soci della scissa di partecipazioni nelle società beneficiarie). Nel senso della legittimità di questa particolare tecnica di realizzazione della scissione non proporzionale, già alla stregua del diritto previgente, si vedano: S. CALì, Questioni in tema di scissione, Milano, 2000, p. 73; C. CARUSO, «Osservazioni sul dibattito in tema di natura giuridica della scissione», in Giur. comm., 2002, II, p. 175, nt. 74.
[nota 28] Si vedano, al riguardo: E. CUSA, Prime considerazioni sulla scissione delle società, Milano, 1992, p. 85-86; G. MARASà, «Nuovi confini delle trasformazioni e delle fusioni nei contratti associativi», in Riv. dir. civ., 1994, II, p. 311 e ss. Tale ultimo Autore, con specifico riferimento all'ipotesi di scissione parziale di società di capitali lucrativa in società cooperative, ha precisato che il progetto di scissione può prevedere l'assegnazione proporzionale di quote delle cooperative ai soli soci assenzienti della società scissa, mentre gli altri (i soci dissenzienti dalla delibera di scissione) mantengono la propria partecipazione nella (sola) società di capitali.
[nota 29] L'illegittimità dell'operazione è stata sostenuta, ad esempio, dal Trib. Verona, 2 dicembre 1999, in Giur. comm., 2001, II, p. 268, in base alla considerazione che la disciplina positiva della scissione non prevede in alcun modo la possibilità di alterare le quote di partecipazione dei soci nella società che si scinde. Pertanto, quando la società beneficiaria della scissione è una sola, tutti i soci della scissa devono ricevere partecipazioni in questa «non essendo possibile prevedere l'attribuzione ad alcuni soci di quote della beneficiaria e ad altri, a compensazione del fatto di essere esclusi dalla detta attribuzione, l'assegnazione di ulteriori quote della società che si scinde». In senso opposto e, cioè, nel senso che, anche in difetto di una specifica previsione normativa, l'operazione de qua dovesse considerarsi legittima (in quanto ipotesi particolare di scissione parziale non proporzionale), si veda App. Venezia, 16 marzo 2000, in Giur. comm., 2001, II, p. 268 e ss.
[nota 30] Consenso unanime che non è, invece, generalmente necessario per realizzare una scissione non proporzionale, la quale può essere deliberata dalla maggioranza, fatto salvo, come infra meglio precisato, solamente il diritto del singolo socio dissenziente di farsi acquistare le proprie azioni, per un corrispettivo determinato in base ai criteri previsti per il recesso, dal soggetto o dai soggetti indicati nel progetto di scissione (art. 2506-bis, penultimo comma, c.c.). In ordine alla necessità del consenso unanime, si vedano i rilievi critici di: E. CIVERRA, Le operazioni di fusione e scissione, Milano, 2003, p. 243 e ss.
[nota 31] Risultato, tra l'altro, che potrebbe essere raggiunto in modi diversi, anche senza assegnazione di azioni o quote. Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui il capitale della scissa venga diminuito in misura non proporzionale, utilizzando esclusivamente (e, quindi, annullando) le partecipazioni di quei soci della scissa cui vengono assegnate le partecipazioni nelle beneficiarie.
[nota 32] Si ha riguardo all'ipotesi di beneficiaria neo-costituita solo per esigenze di semplificazione dell'analisi, ma le soluzioni sono analoghe nel caso di beneficiaria preesistente.
[nota 33] Ovviamente, il congegno regge soltanto se i rapporti di cambio sono equilibrati e, cioè, se il valore patrimoniale delle azioni Alfa in più che vengono attribuite a Tizio controbilanci il valore delle azioni Beta, a cui Tizio ha rinunciato a favore dei due originari consoci. Inoltre, è ragionevole attendersi che Tizio dia il proprio assenso solo a condizione che alle azioni Alfa che egli riceve in più (rispetto alla sua originaria partecipazione, anteriore alla scissione) sia ascrivibile il medesimo valore delle azioni Beta a cui egli ha rinunciato a favore di Caio e Sempronio.
[nota 34] è, infatti, difficile ravvisare una maggiore "pericolosità" della scissione asimmetrica: anche in tale ipotesi, la salvaguardia dell'equilibrio fra le rispettive partecipazioni nella società originaria (parità di trattamento in senso sostanziale) è rimessa alla congruità dei rapporti di cambio, da indicare nel progetto, fra le azioni della scissa e quelle di ciascuna delle beneficiarie. Sul punto, si veda: F. D'ALESSANDRO, Problemi civilistici controversi in tema di scissione: distribuzione delle azioni e delle quote sociali, cit., p. 38.
[nota 35] Per l'inammissibilità - ante riforma - si veda ad esempio: E. PAOLINI, «Divieto di distribuzione ai soci di quote non proporzionali nella scissione parziale con unica beneficiaria», in Le società, 2000, p. 451e ss.; . In giurisprudenza: Trib. Verona, 2 dicembre 1999, cit., p. 268 (contra, Corte d'App. di Venezia, 16 marzo 2000, cit., p. 268 e ss.).
[nota 36] Dubbio che era sorto in considerazione di un passaggio della Relazione ministeriale di accompagnamento del D.lgs. n. 22/1991 (in Riv. soc., 1991, p. 332 e ss.), nel quale si legge che «nell'ipotesi in cui le società beneficiarie sono più di una, non viene stabilito un obbligo di attribuire a ciascun socio della società scissa un pacchetto 'assortito' di azioni o quote di tutte le società beneficiarie, in proporzione all'entità della sua partecipazione originaria nella società scissa: tuttavia, qualunque sia il criterio adottato al riguardo nel progetto di scissione, è previsto che ciascun socio possa pretendere un siffatto trattamento».
[nota 37] Sul punto, si veda: G. NIGRO, Ripartizione delle partecipazioni e opzione dei soci nella scissione di società, Milano, 2001, p. 68 e ss.
[nota 38] Sul punto, si veda: A. SERRA - M.S. SPOLIDORO, Fusioni e scissioni di società, Torino, 1994, p. 72 e ss.
[nota 39] Si veda, sul punto: G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit., p. 32 e ss.
[nota 40] L'obiezione è rivolta da: L.G. PICONE, Commento all'art. 2506-bis, in Commentario alla riforma delle società - Trasformazione, fusione, scissione, a cura di P.G. Marchetti e altri, Milano, 2006, p. 1097.
[nota 41] Si veda, sul punto, ad esempio: A. CERRAI, Trasformazione, fusione e scissione, in AA.VV., Diritto commerciale, Bologna, 1999, p. 321; L.G. PICONE, Commento all'art. 2506-bis, cit., p. 1097.
[nota 42] In merito, si vedano: in giurisprudenza: Trib. Verona, 6 novembre 1992, cit.; S. ACCETTURA, Profili giuridici della scissione, in Le operazioni straordinarie a cura di A. Tamborrino, Milano, 2004, p. 162 (nt. 26); in dottrina, G. BUFFELLI - M. SIRTOLI, Le operazioni straordinarie delle società, Milano, 2004, p. 173 e ss. Secondo gli autori da ultimo citati, per determinare il «valore positivo» dell'incremento patrimoniale, non sarebbe sufficiente fare riferimento al valore contabile del patrimonio, ma occorrerebbe una valutazione sulla base dei valori effettivi dei beni trasferiti» (i.e., rapporto di cambio pari allo zero).
[nota 43] In tale senso, cfr. F. LAURINI, «La scissione di società», in Riv. soc., 1992, p. 930 e ss.
[nota 44] In tal caso, si può ipotizzare l'esistenza di valori reali latenti dei beni dell'attivo (superiori ai valori contabili), oppure la valenza strategica delle attività assegnate per la beneficiaria. Qualche perplessità potrebbe sussistere nel caso in cui, a seguito dell'apporto, il patrimonio netto contabile della beneficiaria diventi negativo.
[nota 45] Si veda, in tal senso, anche: S. SANTANGELO, La scissione nella riforma, cit., p. 552; Trib. Roma, 4 febbraio 1999, n. 1670, in Impresa, 1999, p. 806.
[nota 46] Inoltre, in mancanza di tale assegnazione, si realizzerebbe unicamente un trasferimento di beni dalla scissa alla società beneficiaria, con contestuale accollo di debiti (i.e., le passività) e, quindi, si porrebbe in essere un'operazione giuridicamente riconducibile nell'alveo della compravendita con accollo di debito e non certo della scissione.
Fattispecie diversa da quelle fin qui esaminate è costituita dalla scissione deliberata da una società avente patrimonio netto contabile negativo. In detta ipotesi potranno verificarsi due casi distinti: a) alla società beneficiaria viene trasferita una quota di patrimonio netto contabile positivo e la società scissa entra in liquidazione; ovvero b) alla società beneficiaria viene attribuita una quota di patrimonio netto contabile negativo.
Nel caso sub a) nulla quaestio la scissione deve ritenersi legittima; nell'ipotesi sub b), troveranno invece applicazione le osservazioni sopra svolte.
Le stesse considerazioni portano a ritenere possibile dare corso, nei limiti precisati, ad una scissione totale di una società avente patrimonio netto contabile negativo: ovviamente nell'ipotesi in cui le beneficiarie siano società già esistenti.
[nota 47] Ai fini della valutazione della "consistenza economico-patrimoniale" di un dato patrimonio (o, comunque, di un bene complesso), si prendono in considerazione anche attività ulteriori rispetto agli elementi patrimoniali attivi e passivi, materiali e immateriali, iscritti nell'ultimo bilancio d'esercizio o nella situazione patrimoniale risultante dalle scritture contabili alla data della stima. Si tiene, quindi, conto anche di quelle attività immateriali (non iscritte), c.d. intangibles, che vanno pur sempre a comporre il valore economico effettivo del patrimonio. Potrebbe però fondatamente affermarsi che diverso è il valore delle azioni a cui non spetti il diritto di voto rispetto a quello delle azioni fornite di diritto di voto.
[nota 48] In questo senso, si veda: L.G. PICONE, Commento all'art. 2506-bis, cit., p. 1124.
[nota 49] Secondo il costante orientamento delle autorità fiscali, la scissione non proporzionale non configura operazione elusiva allorquando sia sorretta da valide ragioni economiche e non sia finalizzata all'aggiramento di norme tributarie con indebito risparmio d'imposta. In particolare, è stato affermato dal Comitato Consultivo Norme Antielusive che la scissione non proporzionale non presenta profili di elusività purchè: (i) finalizzata a consentire la divisione, in regime di neutralità fiscale, del complesso aziendale in distinti sistemi economici effettivamente operanti a medio termine; (ii) non preordinata alla successiva rivendita delle quote societarie da parte dei soci persone fisiche al fine di realizzare un indebito risparmio d'imposta; (iii) non finalizzata ad un allargamento post-scissione della compagine sociale della scissa (o del beneficiario) dal quale consegua che la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto al voto nelle assemblee ordinarie venga trasferita a, o comunque acquisita da, nuovi soci; (iv) non finalizzata alla successiva liquidazione delle società partecipanti all'operazione né alla mera assegnazione ai soci di parte del patrimonio della scissa; (v) non finalizzata alla successiva alienazione di beni attribuiti alle beneficiarie.
[nota 50] Cfr. L. POTITO, Bilanci straordinari, Torino, 1995, p. 95.
[nota 51] In relazione agli interessi, ora indicati, che l'operazione di scissione può perseguire, non si può peraltro dimenticare che la riforma del diritto societario ha introdotto due nuovi istituti che potrebbero essere funzionali al medesimo obiettivo, ovvero le "azioni correlate" (art. 2350, comma 2, c.c.) e i "patrimoni destinati" (art. 2447-bis c.c.).
[nota 52] Ovvero, una tipica situazione endo-familiare, in cui il genitore-imprenditore abbia fatto entrare i figli nella società mantenendoli in posizione subordinata.
[nota 53] Si veda, ex multis: G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit., p. 75.
[nota 54] A partire dalla Raccomandazione della Commissione del 7 dicembre 1994 e dalla Comunicazione n. 98/C93/02 (relativa alla trasmissione delle piccole e medie imprese). In tale ultima Raccomandazione si rileva che «specialmente nel caso delle imprese familiari, gli accordi (interfamiliari) possono essere utilizzati per tramandare determinati criteri gestionali da una generazione all'altra»; ne consegue che gli Stati membri che vietano i patti successori dovrebbero provvedere a consentirli, dal momento che il predetto divieto complica inutilmente la buona gestione del patrimonio familiare.
[nota 55] L'obiettivo perseguito dalla nuova disciplina, come precisato dalla Relazione alla Proposta di legge n. 3870, da cui origina il provvedimento in oggetto, è quello di «conciliare il diritto dei legittimari con l'esigenza dell'imprenditore che intenda garantire alla propria azienda (o alla propria partecipazione societaria) una successione non aleatoria a favore di uno o più dei propri discendenti».
[nota 56] In realtà, il carattere di assolutezza e imperatività della previsione ("devono") della liquidazione a favore degli assegnatari di una somma di denaro (o di beni), corrispondente al valore della loro legittima, si dimostra più che altro apparente. Infatti, la legge prevede la possibilità di una rinuncia parziale o totale da parte dei legittimari non assegnatari di quanto ad essi astrattamente dovuto; e, in senso opposto, nel caso (che risulterà probabilmente frequente) in cui i partecipanti al patto concordino a favore dei non assegnatari somme di denaro (o beni) di ammontare maggiore rispetto a quanto corrisponda al risultato matematico legislativamente previsto, sembra difficile poter affermare che si fuoriesca dall'istituto. Appare più logico sostenere che anche questa ipotesi possa considerarsi ricompresa dalla disciplina in tema di patto di famiglia.
[nota 57] La ratio del limite in oggetto può ritenersi sufficientemente chiara, in quanto l'avvenuto rimborso della quota di partecipazione al socio della scissa non pare oggettivamente compatibile con la prosecuzione del rapporto nella/e società che risulta/no dall'operazione, essendo oltretutto diretto proprio ad escludere una tale prosecuzione.
[nota 58] Secondo quanto sostenuto da G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit., p. 95.
[nota 59] Si vedano, sul punto: G. NIGRO, Ripartizione delle partecipazioni e opzione dei soci nella scissione di società, cit., p. 22; L.G. PICONE, Commento all'art. 2506-bis, cit., p. 1128 e ss.
[nota 60] Cfr. B. QUATRARO, «La scissione», in Riv. dir. comm., 1995, p. 1108.
[nota 61] Si veda: G. NIGRO, Ripartizione delle partecipazioni e opzione dei soci nella scissione di società, cit., p. 24.
[nota 62] Sul punto, si veda: M. CONFALONIERI, Trasformazione, fusione, conferimento, scissione e liquidazione delle società, Milano, 2005, p. 482 e ss.
[nota 63] Si pensi al seguente esempio: se il rapporto di cambio è di 1,1 azioni dell'incorporante contro 1 azione dell'incorporata, onde evitare l'alto concambio di 11 contro 10, sarebbe possibile fissare il rapporto di cambio di 1 ad 1 con un conguaglio in denaro di 0,1 a favore di ciascun socio dell'incorporata.
[nota 64] Si veda, in tal senso, P.G. MARCHETTI, «Appunti sulla nuova disciplina delle fusioni», in Riv. not., 1992, p. 38. L'opinione trova un appiglio testuale anche negli artt. 3.1 e 4.1 della VI direttiva Cee.
[nota 65] Si veda, in tal senso, A. SERRA, voce Scissione di Società (dir. comm.), in Enc. giur. Treccani, XXVIII, Roma, 1999.
[nota 66] Il legislatore della riforma ha posto, così, fine ad un acceso dibattito dottrinario circa la possibilità o meno di fissare nel progetto di scissione il conguaglio, a causa del mancato richiamo, ante riforma, del comma 2 dell'art. 2501-bis c.c.
[nota 67] Si veda: G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit., p. 464 e ss.
[nota 68] Sul punto, si veda: L.G. PICONE, Commento all'art. 2506-bis, cit., p. 1131.
[nota 69] Si ritiene che, in caso di contestazione del socio venditore su tale ammontare, possano trovare applicazione gli art. 2437-ter, comma 6, c.c. (per le SpA) e l'art. 2473, comma 3, c.c. (per le Srl). In merito, si veda: S. SANTANGELO, La scissione nella riforma, cit., p. 563.
[nota 70] Tale valore dovrà, quindi, fornire al socio un "pieno indennizzo" per la sua uscita dalla società e, ciò, sia che si tratti di azioni non quotate, sia che si tratti di azioni quotate, per le quali ultime il riferimento ad una media dei prezzi di borsa è normalmente rappresentativo del fair value (sul punto: M. CARATOZZOLO, «Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle SpA», in Le Società, 2005, p. 1209 e ss.).
[nota 71] Norma che si ispirava a due idee guida: da un lato, sottrarre alla maggioranza il potere di imporre alla minoranza la partecipazione in questa o quella società beneficiaria e, dall'altro, garantire il controllo da parte della minoranza nelle ipotesi in cui con la scissione si operi una netta suddivisione della compagine sociale. La norma offriva una forte garanzia per il socio di minoranza di "bloccare" la maggioranza (e, quindi, il management della società) dal prevedere criteri di distribuzione delle partecipazioni particolarmente penalizzanti. Il legislatore della riforma ha ritenuto di sottrarre qualsiasi arma di contrattazione alla minoranza dissenziente, introducendo un meccanismo che è inidoneo ad incidere sugli assetti predisposti dagli amministratori nel progetto e sulle modalità dell'operazione, dando così la certezza che essa possa comunque essere attuata così come prefissata. è evidente che, con riferimento alla fattispecie in discorso, nell'attività di bilanciamento tra le «esigenze di tutela dei soci» e «quelle di funzionalità e certezza dell'attività sociale» (art. 4 comma 7 lett. b legge delega) il legislatore della riforma abbia decisamente (forse troppo) privilegiato le seconde (sul punto, si vedano le critiche di S. SANTANGELO, La scissione nella riforma, cit., p. 563 e ss.).
[nota 72] Sul punto, si vedano, per l'immodificabilità: Trib. Udine, 12 ottobre 1993 e App. Trieste, 18 gennaio 1994, in Le Società, 1994, p. 631 e ss.; Trib. Verona, 19 ottobre 1994, in Le Società, 1995, p. 103 e ss.
[nota 73] Sul punto, si veda: P.G. MARCHETTI - A. BIANCHI, Trasformazione, fusione, scissione, in Commentario alla riforma delle società, Milano, 2006, p. 1129 e ss. Ai sensi dell'art. 2506-ter, comma 4, c.c., l'organo amministrativo può essere esonerato dalla redazione della relazione quando risulta il consenso di tutti i soggetti aventi diritto di voto.
[nota 74] La Giurisprudenza prevalente è concorde nel ritenere non necessaria la relazione di stima di cui all'art. 2343 c.c. nel caso di scissione omogenea. Cfr. Trib. Udine, 18 ottobre 1993, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 1994, p. 723; Trib. Napoli, 23 luglio 1993, in Le Società, 1994, p. 73. In questo senso si esprimono altresì i Tribunali di Firenze, Milano e del Triveneto. In senso contrario, si veda Trib. Brescia, 11 marzo 1998, in Le Società, 1998, p. 701 e Trib. Verona, 6 novembre 1992, in Riv. not., 1993, p. 479.
[nota 75] In particolare, è stato sostenuto che la relazione degli esperti non è necessaria nelle seguenti ipotesi: (i) scissione parziale a favore di beneficiaria preesistente la quale possiede l'intero capitale della scissa oppure è interamente posseduta dalla scissa; (ii) scissione totale a favore di due beneficiarie interamente possedute dalla scissa; (iii) scissione totale a favore di due società preesistenti, le quali possiedono l'intero capitale della scissa, allorquando le beneficiarie siano interamente possedute da un medesimo soggetto o da più soggetti secondo le medesime percentuali ed i medesimi diritti; (iv) scissione parziale a favore di una beneficiaria preesistente interamente posseduta dalla medesima società la quale possiede interamente anche la scissa (ovvero allorquando la scissa e la beneficiaria siano partecipate dagli stessi soggetti secondo le medesime percentuali ed i medesimi diritti). Inoltre, è stato sostenuto che si può omettere la relazione dell'esperto allorquando la beneficiaria detenga almeno il 90% del capitale della scissa a condizione che il progetto di scissione preveda, oltre alla determinazione del rapporto di cambio e alla eventuale previsione dell'aumento di capitale della società beneficiaria necessario per assicurare il concambio, l'impegno rivolto agli altri soci della scissa ad acquistare o far acquistare le loro azioni per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso.
Nel senso sopra riportato, si esprime la Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano. In realtà in caso di scissione non proporzionale sembra dubbio che, stante il combinato disposto dell'art. 2506, terzo e quarto comma, c.c., si possa rinunziare alla relazione degli esperti, quand'anche i soci abbiano all'unanimità esonerato l'organo amministrativo dalla redazione dei documenti di cui all'articolo 2506-ter. Ciò potrebbe ovviamente porre alcune difficoltà di ordine pratico, ma sembra trovare giustificazione nella necessità di tutelare l'interesse dei terzi.
[nota 76] Si veda, in senso affermativo, G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit., p. 413.
[nota 77] Qualora nelle società beneficiarie vengano introdotte clausole statutarie nuove o difformi rispetto a quelle contenute nello statuto della scissa per la cui adozione la legge o lo statuto richiede maggioranze più elevate di quelle genericamente previste per le modifiche statutarie, la delibera di scissione deve essere presa con detta maggioranza più elevata.
[nota 78] Sul punto, si veda: F. D'ALESSANDRO, La scissione delle società, cit., p. 884.
[nota 79] La possibilità di un trattamento non proporzionale dei soci è, infatti, dirompente rispetto agli schemi classici del diritto societario e non a caso fu a lungo considerata illegittima dalla dottrina (sul punto, prima dell'introduzione dell'istituto nell'ordinamento italiano, si vedano: G. FERRI, Le società, Torino, 1987, p. 993; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle Società, Torino, 1988, p. 523; F. FERRARA jr., Gli imprenditori e le società, Milano, 1975, p. 642 e ss.).
[nota 80] Il comma due del citato articolo 5 della direttiva prevedeva, come correttivo, che in caso di scissione non proporzionale, gli azionisti di minoranza avessero diritto «di far acquistare le proprie azioni» contro un corrispettivo pari al valore delle stesse. Tale forma di tutela non era stata prevista nella normativa di recepimento, in quanto considerata «un pericoloso sfondamento della linea sulla quale è oggi attestata, nel nostro diritto, la tutela delle minoranze» (cfr. F. D'ALESSANDRO, La scissione delle società, cit., p. 873).
[nota 81] E, ovviamente, lo statuto non preveda espressamente la scissione come causa convenzionale di recesso (come consentito dall'art. 2437, comma 4, c.c.).
[nota 82] Pur se la privazione di un agile strumento di "abbandono" della società, proprio per il modello societario che presumibilmente ha una più ampia compagine sociale, sembra andare in controtendenza con lo spirito della riforma che ha ampliato a dismisura il diritto di recesso.
[nota 83] L'allungamento dei termini determinato dal diritto di recesso potrebbe essere una delle ragioni che hanno convinto il legislatore a non prevedere tale diritto nell'ambito del procedimento di scissione, data la già complessa gestione dell'operazione (cfr. S. SANTANGELO, La scissione nella riforma, cit., p. 563 e ss.).
[nota 84] Si veda, in tal senso: G. PALMIERI, Scissione di società e circolazione di azienda, Torino, 1999, p. 1514. Per la tesi secondo cui, coerentemente con lo scopo della norma (ovvero quello di garantire che il socio dissenziente ottenga la liquidazione della propria partecipazione in caso di scissione non proporzionale), potrebbe essere ipotizzata l'invalidità dell'operazione di scissione, si veda: L.G. PICONE, Commento all'art. 2506-bis, cit., p. 1134.
[nota 85] Sul tema, si veda: «Principi uniformi in tema di società - Documenti elaborati dalla Commissione del Consiglio notarile di Milano», in Riv. not., 2004, p. 1097.
[nota 86] Si vedano: S. SANTANGELO, La scissione nella riforma, op. cit., p. 563 e ss.; G. SCOGNAMIGLIO, Le scissioni, cit., p. 442
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