Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)
Fusioni pericolose
(merger leveraged buy out)
di Marco Saverio Spolidoro
Ordinario di diritto industriale Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Premessa e prime considerazioni esegetiche sulla fattispecie

La disciplina del (merger) leveraged buy out [nota 1] destinata ad entrare in vigore dal 1° gennaio 2004, contenuta nel nuovo art. 2501-bis c.c., ha già dato luogo ad un intenso dibattito dottrinale. Questo dibattito fa emergere opinioni contrapposte, che si distinguono fra loro essenzialmente per tre aspetti fondamentali:

perché presuppongono un diverso giudizio di partenza sulla conciliabilità del merger leveraged buy out con i divieti della prestazione di prestiti e garanzie per l'acquisto di azioni proprie (o di quote proprie) dettati dal vecchio (e nuovo) testo dell'art. 2358 e dal vecchio testo dell'art. 2483 c.c. (cui corrisponde il nuovo art. 2474 c.c.), nonché con la seconda direttiva europea in materia di società;

perché, in relazione alle diverse concezioni dell'operazione ed ai differenti giudizi formulati in relazione all'eventuale violazione (od elusione) degli artt. 2358 c.c. e 2483 c.c., attribuiscono un ruolo ed un significato diverso all'art. 7, 1° comma, lett. d, L. 3 ottobre 2001, n. 366, nel quale si afferma, tra i principi della delega al Governo della riforma del diritto delle società di capitali, che «le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, non comportano violazione del divieto ... di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'art. 2358 c.c.»;

infine perché forniscono una diversa interpretazione del tenore letterale del nuovo art. 2501-bis c.c.

La fattispecie cui si applica il nuovo art. 2501-bis c.c. è descritta come «fusione tra società una delle quali abbia contratto debiti per il controllo dell'altra quando, per effetto della fusione, il patrimonio di quest'ultima viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti». Pare evidente che la definizione si attaglia solo al merger leveraged buy out e non ad altri tipi di leveraged buy out [nota 2]. è altrettanto pacifico che, dal punto di vista del nuovo art. 2501-bis, non fa alcuna differenza il fatto che la fusione si attui in forma «propria» oppure «per incorporazione».

La fattispecie presuppone inoltre che la fusione avvenga fra società di cui una si sia indebitata per acquistare una partecipazione di controllo nell'altra [nota 3]. Il controllo può essere sicuramente di diritto o di fatto, diretto o indiretto; si può invece dubitare che, ai fini dell'art. 2501-bis c.c., rilevi la nozione generale di cui all'art. 2359 c.c. [nota 4] o invece, quanto meno nelle società quotate, la definizione dell'art. 93 D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, peraltro coincidente con quella rilevante ai fini della determinazione dell'area di consolidamento del bilancio: questione che, in astratto, ha rilievo soprattutto per escludere o includere nell'ambito della definizione il controllo contrattuale e quello derivante da un sindacato di voto o da una clausola statutaria [nota 5]. Mentre tuttavia il controllo da sindacato di voto o da clausola statutaria dà luogo ad una figura ibrida tra il controllo di diritto e di fatto, sicuramente riconducibile alla portata precettiva della disciplina qui analizzata almeno nella misura in cui la controllante partecipi al capitale della controllata, è pacifico che il controllo derivante da vincoli contrattuali resta comunque estraneo alla disciplina del merger leveraged buy out (ed infatti in questo senso si dichiarano anche i sostenitori dall'applicabilità della definizione di controllo dettata dall'art. 2359 c.c.), perché «in tal caso il controllo viene acquisito tramite la stipulazione di contratti, e non già tramite l'acquisto di azioni (o quote): manca quindi un requisito della fattispecie (l'acquisizione di una partecipazione sociale) che elimina in radice il problema dell'applicabilità della disciplina» [nota 6] .

Più dubbio può essere il caso del controllo congiunto che, secondo la tesi preferibile, non rientra nella definizione dell'art. 2359 c.c. e tanto meno in quella dell'art. 93 D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 [nota 7]. Sembra comunque possibile (e preferibile) interpretare la nozione di controllo, ai fini dell'art. 2501-bis c.c., nuovo testo, in modo svincolato dalle definizioni riscontrabili nel codice civile o nelle leggi speciali e conforme alla specificità degli interessi tutelati dalla disposizione [nota 8]. Vi sarebbe in questo modo lo spazio per evitare (o scoraggiare) aggiramenti ed elusioni dei precetti dell'art. 2501-bis c.c. (nuovo testo) senza ricorrere alla discussa figura della frode alla legge.

è essenziale alla fattispecie disciplinata dall'art. 2501-bis che l'acquisto del controllo sia avvenuto, in tutto o in parte, utilizzando lo strumento del debito, di regola attraverso l'assunzione di finanziamenti. Si ritiene che la nozione di «finanziamento» debba essere intesa in senso ampio, non rilevando né la tipologia del rapporto contrattuale intercorrente tra le parti (mutuo, apertura di credito, scoperto di conto corrente, fido, prestito, dilazione di pagamento, ecc.), né che il finanziatore sia una banca, un intermediario finanziario ovvero un altro soggetto (fornitore, obbligazionista, venditore del pacchetto di controllo, qualora il prezzo sia pagabile con un differimento rispetto al trasferimento del pacchetto, o terzo: perfino, si direbbe, la controllante o una società del gruppo della società acquirente del controllo) [nota 9]. Sono certamente estranee alla nozione letterale di «finanziamento» le dotazioni di mezzi propri della società, come i conferimenti a capitale o a sopraprezzo, i versamenti a fondo perduto e in genere gli apporti che non sono soggetti a vincolo di restituzione e che non debbono essere registrati tra le voci del c.d. passivo «reale» del bilancio [nota 10].

I finanziamenti debbono sorgere e trovarsi in relazione di «mezzo a scopo» rispetto all'acquisizione del controllo: la legge parla infatti di finanziamenti che la società partecipante alla fusione abbia «contratto per acquisire il controllo dell'altra». La proposizione subordinata «per acquisire il controllo dell'altra» dà rilievo alla finalità dell'assunzione del debito, mentre il participio passato del verbo «contrarre» sembra escludere la rilevanza dei debiti preesistenti alla decisione della società di investire nell'acquisto del controllo. Le espressioni della legge non devono tuttavia essere intese in senso troppo stretto. In effetti è opinione largamente diffusa (e condivisibile) che la fattispecie non richieda che la società abbia contratto un vero e proprio «mutuo di scopo» [nota 11], essendo sufficiente, dal punto di vista pratico, che il motivo dell'indebitamento [nota 12] sia l'acquisto del controllo ovvero, se si preferisce evitare una formulazione eccessivamente legata ad elementi psicologici, che le fonti finanziarie dell'investimento nella partecipazione di controllo siano identificabili in un «debito», vale a dire in «capitale di terzi». Dal punto di vista dell'uomo di buon senso [nota 13] è poi abbastanza ostico da intendere il requisito per cui i debiti rilevanti sono solo quelli contratti per l'acquisto del controllo: requisito che, come si è visto, sembra mettere fuori causa i debiti preesistenti alla decisione d'acquisto. In prima approssimazione, la scelta del legislatore può essere difesa con l'osservazione che i debiti i contratti per acquisire il controllo di un'altra società, se traslati sul patrimonio di questa per effetto di fusione, assumono un carattere «anomalo» [nota 14], che li distingue dagli altri debiti che sono anch'essi oggetto di traslazione. Tuttavia questa osservazione potrebbe non essere sufficiente, se ci si pone in una prospettiva più ampia. Per comprendere la difficoltà con un esempio, si supponga che l'acquirente, al momento dell'acquisto, abbia in corso un prestito obbligazionario da rimborsare tra qualche mese e che l'acquisto sia finanziato investendo tutta la liquidità disponibile, per cui è chiaro che il rimborso delle obbligazioni dovrà avvenire ricorrendo a conferimenti o versamenti a fondo perduto dei soci, oppure ricorrendo a (nuovi) finanziamenti di terzi: è chiaro che la fattispecie formalmente non rientra nell'ipotesi prevista dalla legge, perché da un lato la società infatti non contrae alcun debito per acquisire il controllo e dall'altro lato, al momento in cui si procede all'acquisto, non si sa neppure se la società finanzierà il rimborso del prestito obbligazionario con capitali propri o di terzi o con futuri flussi di cassa. Se però si pensa alla ratio della norma [nota 15], è difficile non restare perplessi. La perplessità non è solo retorica: in particolare l'idea intuitiva che si debba procedere a un'applicazione analogica della disposizione (oggi non più presidiata da sanzione penale) può rappresentare una via d'uscita troppo facile, considerando le esigenze di certezza del diritto e soprattutto il fatto che l'esigenza di diffondere largamente informazioni rilevanti circa la sostenibilità finanziaria degli effetti di una fusione ricorre a ben vedere ogni volta che partecipino alla fusione società gravate da un indebitamento finanziario netto notevole (a prescindere dalle origini e dalle finalità per cui fu assunto), mentre la legge chiaramente mostra di voler distinguere a seconda dello scopo dell'assunzione dei finanziamenti, senza dar peso (almeno espressamente) alla dimensione dello stesso. Piuttosto che proporre l'applicazione analogica della norma, che finirebbe per essere arbitraria o per correggere in via generale la volontà espressa della legge [nota 16], bisognerebbe esplorare le potenzialità del ricorso alla figura della frode alla legge. Occorre peraltro riconoscere che, a parte gli esempi più forzati, può non essere affatto agevole capire se l'elusione della norma imperativa sussiste oppure no.

Perché si applichi l'art. 2501-bis c.c., i finanziamenti debbono essere ancora in essere al momento della fusione: altrimenti non si può verificare l'ipotesi assunta dalla legge al centro della fattispecie, vale a dire che il patrimonio della target divenga garanzia generica o fonte di rimborso dei prestiti contratti per acquisirla. Non ha alcun rilievo quanto tempo sia passato fra l'assunzione del finanziamento, l'acquisto del controllo e la fusione [nota 17], né che le operazioni si siano spezzate in più tranches. Non è inoltre requisito necessario della fattispecie descritta dalla legge che il finanziamento copra l'intero prezzo di acquisto o una determinata percentuale minima dello stesso. Su questo punto si è peraltro soffermata la dottrina [nota 18], partendo dall'osservazione che, almeno nella prassi, si parla di merger leveraged buy out solo quando la fusione sia lo strumento necessario per rimborsare il debito contratto per l'acquisto del controllo della target, il che si verifica quando l'indebitamento eccede di gran lunga i mezzi propri della società che si è indebitata per acquistare il controllo dell'altra società. Per evitare che la fattispecie legale vada al di là del fenomeno pratico da regolare, questa dottrina suggerisce un percorso interpretativo che muove dalla constatazione che la norma risulta applicabile solo se per effetto della fusione il patrimonio della società il cui controllo è acquisito divenga «garanzia generica o fonte di rimborso» dei debiti contratti dall'altra società per conseguire il controllo. Poiché la fusione comporta, per definizione, l'assunzione reciproca, a carico dei patrimoni delle società partecipanti, della responsabilità per i debiti facenti capo alle altre società, è chiaro che la fusione determina inevitabilmente la conseguenza che il patrimonio della target diventa garanzia generica di tutti i debiti della controllante (compresi quelli contratti per l'acquisizione del controllo della target). A questo punto, la dottrina in esame osserva che, nella definizione della fattispecie, il riferimento alla garanzia generica sarebbe superfluo. L'unico modo di attribuire al tenore letterale della legge un significato utile consisterebbe perciò nel concludere che la formula legislativa «richiede - per l'integrazione della fattispecie - che il debito contratto dalla società ecceda l'attivo patrimoniale della medesima società, al netto delle azioni da questa detenute in target … La fusione, come noto, implica la commistione dei patrimoni delle società partecipanti; orbene, se, al momento della fusione, la società acquirente ha un indebitamento (contratto ad hoc) superiore all'attivo patrimoniale (al netto delle azioni della target), allora ben può dirsi che il patrimonio della società acquisita venga a costituire garanzia dei debiti contratti per procedere all'acquisto del controllo della stessa» [nota 19]. In sostanza il legislatore intenderebbe discernere le operazioni effettuate dalle newco, da assoggettare alla nuova disciplina, dalle operazioni delle società «operative», per le quali la disciplina non sarebbe applicabile [nota 20], il che sarebbe anche confermato dalla considerazione che l'ulteriore requisito, posto dalla norma accanto a quello che il patrimonio della società acquista diventi garanzia generica del debito contratto per acquistarne il controllo, consiste nel fatto che si prevede che il debito sia ripagato con i flussi di cassa generati dall'attività della target [nota 21].

Malgrado l'impegno di questa ricostruzione, essa non pare persuasiva. Sembra infatti un po' azzardato il credere che l'esistenza di un patrimonio netto (contabile) della società acquirente almeno pari al debito contratto per l'acquisto del controllo dell'altra società sia una garanzia sufficiente per escludere che la responsabilità patrimoniale incida effettivamente, dopo la fusione, sul patrimonio della società acquisita; è vero che la dottrina qui discussa introduce, come correttivo, la necessità di verificare da quale fonte si attendono i flussi di cassa che serviranno in concreto (nei casi fisiologici) a ripagare il debito, ma in questo modo si finisce per richiedere al notaio, che deve verificare la legittimità della procedura, di effettuare controlli che non fanno parte del suo curriculum professionale. A parte ciò, sembra che l'interpretazione proposta dalla dottrina qui non accolta vada ben al di là del testo della legge. In verità la norma non contiene alcun riferimento alle dimensioni del debito contratto da una società per acquisire il controllo dell'altra e, nel parlare di garanzia generica e di fonti di rimborso dell'indebitamento, riecheggia semplicemente la caratterizzazione pratica della fattispecie secondo le discussioni dottrinali e giurisprudenziali anteriori alla riforma delle società di capitali.

L'accertamento della sussistenza dei presupposti di applicazione dell'art. 2501-bis non sarà comunque sempre possibile ad un esame ictu oculi. Il notaio, che è garante della regolarità del procedimento, dovrà spesso cautelarsi facendosi rilasciare una dichiarazione dei responsabili delle società partecipanti alla fusione. Ma è ovvio che la soluzione non è che un palliativo, che di per sé non risolve i casi «difficili», nei quali si può discutere se ricorrano gli elementi essenziali della fattispecie, e tanto meno quelli in cui le società coinvolte (tramite i rispettivi amministratori) abbiano posto in essere delle manovre destinate ad aggirare i vincoli posti dalla legge.

Presa alla lettera, la definizione del nuovo art. 2501-bis c.c. suscita in effetti più di un dubbio. Si è accennato dianzi alle perplessità legate alla scelta del legislatore di attribuire un ruolo centrale, nella struttura della fattispecie, allo scopo per cui è assunto l'indebitamento che diventa oggetto di «traslazione» sul patrimonio della target in conseguenza della fusione, con la conseguenza che fuoriescono dall'ambito della disposizione i casi in cui, nonostante i rischi di squilibrio finanziario, l'operazione sia messa in atto, utilizzando disponibilità proprie, da una società già indebitata, magari in misura rilevante, per finalità diverse dall'acquisto del pacchetto di controllo dell'altra partecipante alla fusione; in quella sede, peraltro, è stato posto in evidenza il rischio che si verifichino frodi alla legge. Proseguendo nella stessa direzione di indagine, vanno ricordate anche altre ipotesi incerte, rispetto alle quali si pone la questione dell'estensione della fattispecie e di una possibile applicazione analogica della disciplina.

Ad esempio, può accadere che per l'acquisto del pacchetto di controllo di fatto non si ricorra al debito, ma poi il controllo sia successivamente rafforzato o incrementato prima della fusione, fino a diventare controllo di diritto o addirittura possesso totalitario dell'altra società, facendo ricorso alla leva finanziaria [nota 22]. Dal punto di vista letterale, la legge parla solo dell'acquisto del controllo, il che presuppone che il controllo prima non ci sia: pertanto se per finanziare l'incremento della propria partecipazione nella società la società controllante della stessa. è stato sostenuto che in questi casi sarebbe necessaria un'interpretazione estensiva, conforme alla ratio legis, in grado di proteggere adeguatamente gli interessi degli altri soci e dei terzi, cui la disciplina indubbiamente dedica la massima attenzione [nota 23]. In effetti è evidente che gli oneri informativi previsti nel nuovo art. 2501-bis c.c., specie con riferimento all'equilibrio finanziario della società risultante dalla fusione, riguardano non soltanto il servizio o rimborso del debito contratto specificamente per l'acquisizione del controllo, ma in genere (come espressamente recita la norma) «il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione» [nota 24]: se questo è vero, si può pensare che sia necessario rendere coerenti l'estensione della fattispecie e la portata della disciplina, assegnando alla fattispecie il più ampio spazio compatibile con il tenore letterale della norma e con la sua ratio. Tuttavia queste valutazioni non appaiono decisive: ed infatti ad esse si può replicare che, nel caso in esame, la formulazione della legge non può essere stiracchiata fino al punto di comprendere un'ipotesi (l'incremento e non l'acquisto del controllo) che manifestamente essa non contempla. Inoltre l'argomento fondato sulla ratio della nuova disciplina delle fusioni «pericolose» in realtà «corre troppo»: svolgendolo con rigore fino alle estreme conseguenze, esso dovrebbe condurre ad applicare la disciplina dell'art. 2501-bis c.c. a tutte le fusioni cui partecipino società fortemente indebitate perché, ogni volta che si aggregano società delle quali almeno una risulta oppressa da un indebitamento significativo, sorge un interesse meritevole di tutela a diffondere le informazioni e ad effettuare i controlli oggi previsti per il merger leveraged buy out. In definitiva, nell'interpretare la norma, è preferibile non attenersi al suo testo espresso.

Proprio attenendosi al testo espresso della norma si arriva a sistemare efficacemente, almeno nei limiti che si descriveranno subito, l'ipotesi della fusione con indebitamento intragruppo. Nel caso del c.d. leveraged cash out [nota 25] l'acquirente del controllo della società-bersaglio è a sua volta soggetto al controllo dello stesso soggetto (o degli stessi soggetti) cui il controllo della società-bersaglio faceva capo. Se si guarda alla fattispecie dal punto di vista della capogruppo, non si realizza un cambiamento di controllo (se non nel senso che il controllo diventa «indiretto»), e dunque può sembrare che l'art. 2501-bis non si applichi all'ipotesi in esame, tanto che qualcuno è giunto a sostenere che «la circostanza che un'operazione di LBO incida sugli assetti proprietari della società target è un elemento naturale della fattispecie "Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento" prevista dalla legge, non invece, un elemento essenziale della stessa» [nota 26]. Al di là della valutazione circa l'essenzialità o meno di un'incidenza sugli assetti proprietari, sulla quale è evidente che occorre intendersi [nota 27] le condizioni di applicazione della norma sono soddisfatte, perchè l'acquirente ha acquisito il controllo (diretto) della società bersaglio, ed è dal punto di vista dell'acquirente che, per la stessa formulazione della legge, che si deve valutare la fattispecie. Il vero problema del leveraged cash out è quello del suo eventuale contrasto con altre norme, come del resto è stato messo in luce dalla dottrina [nota 28].

Esula invece dalla fattispecie, almeno di regola, il caso in cui la fusione avvenga tra la controllante indiretta e la controllata indiretta, se il debito per l'acquisto del controllo della società-bersaglio rimane in capo ad altra controllata che non partecipi alla fusione. In queste ipotesi, infatti, il patrimonio della target non diventa garanzia generica del rimborso del debito contratto dalla controllante diretta, salvo che questo debito sia garantito dalla controllante indiretta.

Discorso diverso va fatto però con riguardo alle fattispecie nelle quali si possa scorgere un'elusione del precetto dell'art. 2501-bis c.c., cioè una frode alla legge. A questo riguardo si può considerare un esempio. Come si è già osservato, sfuggono all'ambito di applicazione della disposizione i casi in cui il controllo sia acquisito con l'utilizzo, da parte della società acquirente, di conferimenti ricevuti dai propri soci a titolo di capitale o sopraprezzo: gli operatori che vogliano sottrarsi agli oneri formali imposti dalla nuova disciplina possono allora essere indotti ad adottare un'artificiosa configurazione del leveraged buy out, che utilizza proprio lo strumento del conferimento per isolare l'indebitamento dall'acquisito del controllo per impedire che si realizzi la fattispecie descritta dall'art. 2501-bis. Il caso più noto nella pratica è quello della c.d. «struttura delle due newco» [nota 29]: in questo tipo di operazione l'indebitamento necessario per l'acquisto del pacchetto di controllo viene assunto da una prima newco, ma l'acquisto viene realizzato da una seconda newco. La prima delle due società fornisce alla seconda (di cui di regola è il socio unico o pressoché unico) i mezzi finanziari occorrenti per l'acquisto del controllo della target, in pratica trasferendole a titolo di conferimento il denaro ricevuto in prestito. Di solito larghissima parte del conferimento effettuato dalla prima newco a favore della seconda viene imputata al sopraprezzo, che dà luogo alla formazione di una riserva distribuibile, sia pure nei limiti previsti dalla legge: realizzato l'acquisto del pacchetto di controllo della target ed effettuata la fusione fra la seconda newco e la target, il sopraprezzo viene distribuito a favore della prima newco, che si procura così, sostanzialmente con la garanzia generica del patrimonio della target ed a carico dei suoi flussi di reddito, le disponibilità necessarie al rimborso dei prestiti ricevuti. Malgrado l'evidente equivalenza del risultato economico, questa configurazione machiavellica del leveraged buy out non integra la struttura della fattispecie descritta espressamente dall'art. 2501-bis perché, come è stato correttamente notato, in essa «l'atto che implica la traslazione di debito non è più la fusione, ma il successivo rimborso del sopraprezzo» [nota 30]. Tuttavia la frode alla legge non potrebbe essere più evidente: tolti i casi in cui si siano verificate improbabilissime coincidenze, l'intento di aggirare la norma imperativa si manifesta in re ipsa, senza che occorrano altre indagini di tipo psicologico o d'altro genere. Se è così, la norma imperativa elusa dovrà comunque esser osservata [nota 31].

è comunque probabile che, dopo il primo periodo di rodaggio e se non si affermeranno le (già annunciate) interpretazioni restrittive del nuovo art. 2501-bis c.c. (su cui ci si soffermerà tra poco), anche i pratici più timorosi si renderanno conto che l'osservanza delle nuove regole "costa meno" che tentare soluzioni fantasiose e poco sicure [nota 32].

Sul piano delle valutazioni di indole non strettamente esegetica, sembrano opportune alcune riflessioni ulteriori sulla fattispecie. Anzitutto i temuti (e talvolta sussistenti) effetti perniciosi del leveraged buy out non dipendono solo dal fatto che esso di concluda o meno con una fusione. Per esempio, ciò che si teme all'estero è soprattutto che, dopo l'acquisto del controllo della target, i nuovi "controllanti" (per rimborsare il debito) diano inizio a scriteriate emunzioni di dividendi ovvero ad altrettanto irrazionali prelievi di patrimonio (ad esempio tramite distribuzione di riserve o rimborsi di capitale), mettendo in pericolo i creditori e danneggiando i soci esterni [nota 33]: tutto questo, ovviamente, prescinde dal fatto che abbia luogo una fusione tra newco e target.

In secondo luogo la diffusione in Italia del merger leveraged buy out è dipesa in buona parte dalla disciplina fiscale, che penalizzava la scelta di non procedere alla fusione fra la società acquirente del controllo e la società il cui controllo veniva acquisito. Con la riforma fiscale, questa situazione dovrebbe mutare e l'importanza della fusione negli acquisti con indebitamento dovrebbe passare in secondo piano.

A questo punto, però, ci si deve chiedere se la scelta di regolare il leveraged buy out soltanto nella prospettiva della fusione sia stata indovinata.

Dubbi sulla conciliabilità della nuova disciplina del merger leveraged buy out con il diritto societario europeo

Non pochi Autori prendono in esame le innovazioni arrecate prima dell'art. 7, 1° comma lett. d, L. 3 ottobre 2001, n. 366 e poi con il nuovo art. 2501-bis c.c. dal D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, partendo dal presupposto che il merger leveraged buy out, o almeno certe sue forme di attuazione (come il reverse merger leveraged buy out) sarebbero state di per sé vietate dal vecchio testo degli artt. 2358 e 2483 c.c., e lo sarebbero ancora attualmente dalla seconda direttiva europea in materia di società per azioni. In effetti la seconda direttiva, al 1° comma dell'art. 23, prevede un divieto posto in capo alle società di prestare assistenza finanziaria per l'acquisto di azioni proprie, di cui l'art. 2358 c.c. e, per estensione, l'art. 2483 c.c. (oggi l'art. 2474 c.c.) erano (e sono) l'attuazione.

Sembra allora opportuno accennare ad alcuni recenti contributi della dottrina che si è espressa in questo senso. Per esempio, con riferimento alla legge di delega della riforma del diritto societario il Dolmetta scrive che, nel caso di reverse merger, la violazione del divieto di assistenza finanziaria «si manifesta in maniera particolarmente nitida. Scontata la natura negoziale dell'atto di fusione, per constatarlo basta por mente all'effetto - diretto e costante - dell'atto di fusione stesso: la target assume tutti gli obblighi della società incorporata:risponde quindi con tutto il suo patrimonio (art. 2740 c.c.) dell'obbligo di restituzione assunto dalla newco per finanziarsi l'acquisto» [nota 34]. Più avanti, dopo aver replicato a certe obiezioni che potrebbero opporsi alle conclusioni da lui formulate relativamente alla fusione inversa, il Dolmetta riprende il discorso estendendolo alle altre forme di leveraged buy out: «Ciò posto, appare poi agevole riscontrare che le altre forme di fusione - sia la forward merger, in cui la newco incorpora la target, sia quella con "nascita" di una nuova società - si manifestano come semplici varianti della fattispecie di fusione appena esaminata: per ciò stesso inidonee a incidere sul risultato finale (o complessivo) dell'operazione. Come nel caso di prestazione di fideiussione, effetto diretto e costante delle fusioni in discorso rimane quella di rendere tutti i beni della target responsabili del debito di restituzione del finanziamento» [nota 35]. E poche righe più in là, l'A. recisamente afferma: «di fronte a tali constatazioni la conclusione sembra obbligata: il meger buy out configura - in sé - una fattispecie tipica di violazione del divieto di cui all'art. 2358 c.c.» [nota 36].

Poichè tuttavia l'art. 2358 c.c. costituisce l'attuazione in Italia di una norma della seconda direttiva europea in materia di società (in particolare del suo art. 23, 1° comma), il Dolmetta formula anche l'avviso che, in quanto «il merger buy out non risulta destinato a superare positivamente il controllo, rispetto al divieto posto in capo alla società per azioni di fornire garanzie per l'acquisto delle proprie azioni, a cui la norma dell'art. 23, 1° comma, comunque lo sottopone», si deve altresì concludere che l'art. 7, lett. d, della legge di delega «non può ritenersi corretto» nella misura in cui mira a legittimare un'operazione incompatibile con le disposizioni europee [nota 37].

Queste considerazioni sono state condivise anche da interpreti che, a differenza del Dolmetta, hanno pubblicato i loro contributi dopo l'emanazione del decreto delegato di riforma: per es. il Lambertini ritiene che l'art. 2501-bis c.c., nuovo testo, porrebbe soltanto condizioni che attengono al procedimento, vale a dire «condizioni formali che non affrontano il problema centrale costituito intorno al LBO: la sua compatibilità con l'art. 2358 c.c.»; anzi, constatato il potenziale contrasto della nuova disciplina interna con l'art. 23 della seconda direttiva, l'A. conclude: «se la violazione fosse esistente, il processo di legittimazione operato dalla riforma potrebbe essere radicalmente in discussione» [nota 38].

Non è stato però reso esplicito né dal Lambertini né (prima) dal Dolmetta quali conseguenze deriverebbero dal preteso contrasto della legislazione interna con il diritto comunitario europeo: si potrebbe ipotizzare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte di un Giudice nazionale investito della questione ed una successiva interpretazione della Corte di Giustizia; ma si può anche ipotizzare la possibilità di un'interpretazione adeguatrice del diritto interno alla norma europea.

In effetti non pochi dei primi commentatori della riforma, peraltro con alcune rilevanti differenze di argomentazione, si sono messi per questa seconda strada: strada, si badi, che presuppone pur sempre l'adesione alla tesi dell'esistenza di una più o meno assoluta difformità tra la nuova legge italiana (secondo cui, come si dice nella legge di delega, i merger leveraged buy out - o fusioni con indebitamento - «non comportano violazione del divieto di accordare prestiti e fornire garanzie per l'acquisto di azioni proprie») e la seconda direttiva europea.

Fra tutte, la proposta più radicale è quella del Perrino. Questo Autore pensa che l'art. 2501-bis, nuovo testo, debba sostanzialmente essere interpretato a prescindere dall'art. 7 della legge di delega, che non sarebbe appunto compatibile con il dettato della direttiva. Dunque, «grazie alla aperta formulazione prescelta dal legislatore delegato, permangono anche in Italia intatte tutte le ragioni di una distinzione fra LBO illeciti, perché in frode dell'art. 2358 c.c. (ancorché privato del suo risvolto sanzionatorio penale) e LBO leciti perché sorretti da altra prevalente e legittima finalità, diversa dalla mera traslazione del debito, trattandosi comunque di valutare l'importanza e significatività nell'un senso o nell'altro delle giustificazioni adottate nei documenti preliminari in esecuzione [degli obblighi di trasparenza ed informazione] ora prescritti» [nota 39].

Più o meno sulla stessa linea di pensiero si pongono gli scrittori che nell'art. 2501-bis vedono una deroga (peraltro, aggiungo, non facilmente conciliabile con il 2° comma dell'art. 23 della direttiva, che prevede alcune eccezioni al divieto del 1° comma) al disposto dell'art. 2358 c.c.: fra questi va ricordato almeno il Serrao D'Aquino, secondo il quale l'indicazione legislativa delle condizioni di legittimità del leveraged buy out ad opera dell'art. 2501-bis c.c. dimostrerebbe che «la deroga all'art. 2358 c.c.» (che l'A. evidentemente ritiene altrimenti applicabile) «è ammissibile, solo quando il piano economico finanziario sia equilibrato ed al tempo stesso esistano delle ragioni concrete che giustificano l'operazione, mentre in assenza di tali elementi, prima del completamento della procedura di fusione, potrà essere fatta valere in giudizio la nullità della fusione per violazione dell'art. 2358 c.c.; dopo l'iscrizione nel Registro delle Imprese dell'atto di fusione, invece, come per tutte le altre ipotesi di nullità, i soci di minoranza dissenzienti potranno solo ottenere, ai sensi dell'art. 2504-quater, comma 2, il risarcimento del danno derivante dalla fusione con un'altra società, perché decisa in assenza di un apprezzabile interesse imprenditoriale di target. Potranno sempre essere dichiarati invalidi, invece, i negozi conclusi a monte, riguardanti il finanziamento, di prestito e di garanzia, fermo restando, ovviamente, che l'obbligo di restituzione del prestito graverà sulla società risultante dalla fusione» [nota 40].

Carattere interpretativo (e non innovativo) della previsione della legge di delega secondo cui la fusione «con indebitamento» non costituisce (di per sé) violazione dell'art. 2358 c.c.

La prevalente dottrina non sembra aver condiviso le opinioni riassunte nel precedente paragrafo. A prescindere da opinioni superficiali ed affrettate (secondo cui la nuova legge societaria avrebbe di fatto superato ogni dubbio circa la legittimità di "qualunque" merger leveraged buy out), la maggioranza degli interpreti muove dall'assunto che l'operazione in questione non dia luogo di per sé ad una fattispecie tipica di violazione del divieto di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni proprie [nota 41], ma possa (talvolta) dar luogo ad una frode alla legge: vale a dire ad una elusione dell'art. 2358 c.c., ma anche di altre norme imperative, comprese le norme fiscali [nota 42].

In questa diversa prospettiva, l'art. 2501-bis c.c., nuovo testo, non mira dunque ad introdurre una deroga all'applicazione di un divieto altrimenti «direttamente» in grado di incidere sull'operazione. Esso risponde ad una diversa ratio, vale a dire tende a contrastare le eventuali distorsioni del merger leveraged buy out (verso finalità «indirettamente» confliggenti con gli interessi protetti ed i diritti dei terzi) con lo strumento preventivo della «procedimentalizzazione speciale», mediante l'imposizione di un particolare iter deliberativo, cui consegue uno speciale regime della responsabilità dei soggetti che governano tale procedimento [nota 43].

In questo senso si esprime certamente la maggioranza dei commentatori. Si può iniziare dal limpido commento dello Schlesinger, che giustamente osserva che, con l'art. 7, lett. d, della legge 3 ottobre 2001, n. 366, il legislatore non ha dettato una norma di delega [nota 44], bensì una norma interpretativa. Più precisamente, lo Schlesinger osserva che: «il legislatore ha inteso eliminare ogni dubbio in ordine a perplessità reiteratamente affacciate da taluni interpreti, secondo cui potrebbe ritenersi illegittima la fusione tra una società target ed una newco, qualora quest'ultima abbia contratto (pur senza assistenza da parte della società target) un cospicuo indebitamento per assicurarsi il controllo della target medesima, con la necessità, di conseguenza, di promuovere una fusione tra la controllante e la controllata onde meglio fronteggiare il debito assunto. Si è perciò affacciata l'ipotesi che tale comportamento potesse essere considerato un vero e proprio programma fraudolento, preordinato a scaricare sul patrimonio della target il peso dell'indebitamento contratto dalla newco per assicurarsi il controllo della prima, dando luogo ad un negozio illecito per "frode alla legge" (art. 1344 c.c.). Per la verità simili prospettazioni da tempo sono state recisamente respinte dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza unanime … [Infatti si deve escludere] che una eventuale fusione fra società acquirente e società "bersaglio" possa ricondursi direttamente al divieto dell'art. 2358 c.c. … [e che] l'operazione di incorporazione della target possa comunque valutarsi come indirizzata al perseguimento indiretto di finalità elusive del divieto di assistenza finanziaria. Orbene il legislatore - escluso qualsiasi intento innovativo o modificativo rispetto al contenuto dell'art. 2358 c.c. - ha voluto sbarrare drasticamente la via al rischio di arbitrarie estensioni del divieto imposto da quest'ultima norma, onde evitare che possano crearsi incertezze circa la sorte di operazioni di assoluta regolarità ed importanza, il cui modello è diffuso e praticato in tutto il mondo: la disposizione di cui ci stiamo occupando, dunque, costituisce una norma di interpretazione autentica, preoccupata di escludere estensioni di un divieto così delicato».

Queste stesse considerazioni risultano espresse in forma più sintetica da vari altri giuristi: fra questi si devono ricordare almeno il Galgano [nota 45], il Portale [nota 46], il Di Sabato [nota 47], il Guerrera [nota 48], gli Autori del Manuale di diritto delle società pubblicato dall'Associazione Disiano Preite [nota 49], il Santosuosso [nota 50], il Racugno [nota 51], Fabbrini e Carrière [nota 52], l'Abriani [nota 53], il Morano [nota 54], il Picone [nota 55] ed infine il Montalenti [nota 56], vale a dire lo Studioso le cui idee (a giudizio di molti) costituiscono la base e il fondamento della formulazione dell'art. 2501-bis, nuovo testo, c.c.

A differenza delle tesi illustrate nel paragrafo "Dubbi sulla conciliabilità della nuova disciplina del merger leveraged buy out con il diritto societario europeo" di questo scritto, l'interpretazione dominante non fa discendere dall'eventuale violazione (o insufficiente osservanza) dell'art. 2501-bis c.c., nuovo testo, l'automatica violazione dell'art. 2358 c.c., con la conseguente nullità della delibera [nota 57]. La questione, per la verità, non è espressamente toccata da quasi nessuno dei primi commentatori [nota 58]: malgrado ciò, sembra evidente che, nella prospettiva della procedimentalizzazione dell'iter deliberativo posto al centro della riforma, di per sé l'inosservanza dell'art. 2501-bis c.c. dà luogo ad una mera impugnabilità della delibera, non alla nullità dell'operazione, la quale semmai può derivare soltanto dal fatto che essa in concreto assuma una funzione illecita, come ad esempio nel caso di una reale e sostanziale elusione dell'art. 2358 c.c. [nota 59]: nel qual caso, però, si applica l'art. 2504-quater c.c., in virtù del quale la causa di nullità "degrada" ad atto illecito, cui consegue il risarcimento del danno.

Ragioni per cui il merger leveraged buy out non costituisce violazione diretta del divieto di assistenza finanziaria, ma può costituire un'operazione pericolosa

L'ampia adesione della dottrina formatasi dopo la pubblicazione della legge di delega della riforma (e dopo l'emanazione del decreto delegato) alla tesi secondo cui l'art. 7 della L. 3 ottobre 2001, n. 366, interpreta l'art. 2358 c.c., cui non apporta deroghe, rende (almeno in parte) superfluo lo sforzo di fornire una autonoma motivazione della conclusione, che pare in effetti per molte ragioni più che condivisibile [nota 60].

è perciò possibile limitarsi all'essenziale. Si può anzitutto ricordare che l'art. 2358 c.c. vieta una condotta della società le cui azioni sono oggetto dell'acquisto, non un effetto giuridico che, fra l'altro, è del tutto ragionevole dal punto di vista economico. Infatti chiunque acquisti un bene produttivo con mezzi finanziari di terzi, lo fa con l'intento specifico di restituire capitale ed interessi anche o addirittura solamente con i proventi del bene acquistato: che poi l'oggetto dell'investimento, reso possibile dall'indebitamento, sia un singolo bene (per es. un impianto o un macchinario), oppure un complesso aziendale, o il pacchetto di controllo di una società, non fa alcuna differenza.

Sul piano delle valutazioni sistematiche, meritano quanto meno un accenno i nuovi artt. 2447-bis, 1° comma, lett. (b) e 2447-decies c.c., che confermano il favore legislativo per le operazioni finanziarie al cui servizio siano destinate le risorse acquisite con gli investimenti che esse rendono possibili: nulla vieta che lo «specifico affare», per il quale sia assunto il finanziamento al cui «rimborso totale o parziale … siano destinati, in via esclusiva, tutti o parte dei proventi dell'affare stesso», possa essere costituito dall'acquisto di un'azienda [nota 61] o, al limite, dall'acquisto dell'intero capitale di una società azionaria, eventualmente da fondere con la società acquirente.

Ma, ancor più, il (merger) leveraged buy out rappresenta oggi, in Italia, il 50% del mercato dal private equity. In Europa, il leveraged buy out conta invece per quasi il 65% dell'ammontare complessivamente investito in private equity e venture capital [nota 62] : segno evidente dell'importanza (anzi: della imprescindibilità) del nostro istituto ai fini della contendibilità del mercato del controllo delle società. è noto infatti che la contendibilità costituisce uno degli obiettivi primari e fondamentali della riforma del mercato mobiliare ad opera del D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.

Posto che indebitarsi per investire è fisiologico, ed è fisiologico anche rimborsare il finanziamento con i proventi dell'investimento [nota 63], la ratio dell'art. 2358 c.c. non può essere quella di ostacolare o di impedire l'investimento e il finanziamento nell'acquisto dello specifico bene produttivo costituito dal pacchetto di controllo delle società azionarie: ratio che si perseguirebbe, in ipotesi, rendendo più difficile - in tal caso (e solo in tal caso!) - l'adozione di strategie economicamente efficienti per assicurare il rimborso del debito contratto dall'investitore con i suoi finanziatori. In altre parole, l'art. 2358 c.c. (come pure l'art. 23, 1° comma, della seconda direttiva) certamente non proibisce l'effetto, cioè il fatto che il debito contratto per acquistare il controllo della "società-bersaglio" verrà rimborsato con i flussi finanziari generati dall'esercizio economico della stessa ovvero con i proventi della dismissione di cespiti appartenenti al suo patrimonio, ovvero, ancora, tramite altri strumenti di ristrutturazione.

è inaccettabile l'opposta opinione, che si limita in primo luogo ad invocare un argomento letterale incerto (l'art. 2358 c.c. non distinguerebbe, ai fini del divieto di assistenza finanziaria, fra garanzia generica e garanzie specifiche) e in secondo luogo a postulare l'irrilevanza del dato temporale, vale a dire l'irrilevanza della circostanza che la garanzia, nel merger leveraged buy out, risulta successiva al finanziamento ed all'acquisto delle azioni della società [nota 64]. Quanto all'equiparazione fra garanzia generica e garanzie specifiche, si può osservare che si tratta di una forzatura evidente, fondata su un ragionamento nominalistico. Per di più la formula legislativa dell'art. 23.1 della seconda direttiva e degli artt. 2358 e 2474 (nuovo testo) c.c. esplicitamente vieta alla società di «fornire garanzie», utilizzando un'espressione che chiaramente allude alla concessione di garanzie specifiche e non si concilia facilmente con l'ipotesi in cui, per effetto di fusione, il patrimonio della società risultante dalla fusione venga ad esser gravato dal debito contratto da una delle società partecipanti per acquistare azioni o quote dell'altra o delle altre. Quanto al secondo argomento, è vero, in effetti, che la norma di divieto dell'assistenza finanziaria sarebbe violata se, posteriormente all'acquisto, la società target rilasciasse una garanzia specifica per la società acquirente o le accordasse altre forme di assistenza finanziaria in base ad un accordo preesistente in frode alla legge. Ma questo non dice ancora nulla circa la liceità di un'operazione in cui manchi qualunque comportamento degli organi della società che rilascerebbe la pretesa garanzia volontariamente diretto a facilitare l'acquisto delle proprie azioni o quote. D'altro lato, anche a prescindere dall'applicabilità dell'art. 2358 c.c. in assenza di una preordinazione, è assolutamente certo che una società il cui controllo sia stato acquistato da un'altra, non potrebbe poi pagarne o garantirne i debiti agendo contro il proprio interesse imprenditoriale e senza adeguato indennizzo (cfr. ora l'art. 2497 c.c., nuovo testo). Bisogna però avere bene chiari i confini delle diverse fattispecie e delle diverse discipline: un conto è la violazione del divieto di assistenza finanziaria, un altro conto è la violazione del dovere di diligente e proficua gestione delle società controllate, nel rispetto del loro interesse sociale (sia pure alla luce dell'interesse del gruppo).

In effetti, la questione centrale, quasi del tutto elusa dai sostenitori dell'opinione secondo cui «ogni merger leveraged buy out è una violazione tipica dell'art. 2358 e della direttiva», è che il divieto di assistenza finanziaria all'acquisto delle proprie azioni «suppone … un atto della target che preceda o sia almeno contestuale all'operazione di prestito» [nota 65]. Quanto meno, occorre che vi sia una condotta degli amministratori della società-bersaglio che, per quanto successiva all'acquisto, sia stata preordinata ad agevolare l'acquisto e pertanto sia stata concepita prima che l'acquisto abbia avuto luogo. Infatti è la stessa definizione legislativa a sottolineare l'elemento finalistico della fattispecie, vale a dire l'intenzione che deve muovere gli organi della società-bersaglio e che deve essere diretta all'agevolazione dell'acquisto di azioni (o quote) di quest'ultima. L'art. 2358 c.c. è categorico nel collegare il divieto di assistenza finanziaria alla concessione di prestiti e garanzie «per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie». Non diversamente l'art. 2474 c.c. recita: «In nessun caso la società può acquistare o accettare in garanzia per il loro acquisto o la loro sottoscrizione». E l'elemento intenzionale risulta altrettanto chiaramente dalla formula dell'art. 23.1 della seconda direttiva, secondo cui «una società non può anticipare fondi, né accordare prestiti, né fornire garanzie per l'acquisizione delle sue azioni da parte di un terzo».

Devo dunque confermare quanto ho sostenuto già qualche anno fa: «sembra evidente che l'art. 2358 c.c. mira specificamente ad impedire che, attraverso prestiti o garanzie, gli amministratori della società emittente eludano il divieto di acquistare o sottoscrivere azioni proprie, riuscendo così ad influenzare il corso dei titoli, ad alterare a vantaggio proprio (o dei propri affiliates) gli equilibri organizzativi della società oppure a discriminare a favore di alcuni soci nell'utilizzo del patrimonio sociale. Da ciò deriva che si può prospettare una violazione materiale dell'art. 2358 c.c. solo se si sta discutendo di una condotta degli amministratori della società emittente: infatti questo dato soggettivo è essenziale anche per l'identificazione materiale della fattispecie illecita. Il divieto dell'art. 2358 c.c. può dunque colpire fattispecie non ricomprese nella definizione astratta della disposizione solo a condizione che tale comportamento sia soggettivamente ascrivibile agli amministratori della società emittente delle azioni. Questi ultimi devono aver almeno partecipato collusivamente al piano dell'acquirente. Se non c'è questa collusione, non è possibile configurare una violazione dell'art. 2358 c.c. solo sulla base del fatto che i responsabili della società acquirente, come ogni persona di buon senso, hanno contratto dei debiti che si aspettano di rimborsare (come i relativi interessi) sfruttando nel modo più efficiente l'acquisto effettuato» [nota 66].

Ribadita la conclusione che è assolutamente impossibile ravvisare, nel merger leveraged buy out, una «tipica violazione» del divieto di assistenza finanziaria, si deve però confermare anche l'opinione secondo la quale l'operazione (cioè la sequenza costituita da finanziamento - acquisizione - fusione - rimborso) può determinare pericoli. In particolare l'operazione può essere distorta per perseguire finalità viziate:

a. da conflitti d'interesse;

b. da elusione o tentativi di elusione dell'art. 2358 c.c.;

c. da elusione o tentativi di elusione di altre norme imperative della legge;

d. da elusione o tentativi di elusione di norme statutarie della società target o di diritti privati di soci e di terzi [nota 67].

Ciascuna di queste fattispecie va esaminata e trattata, dal punto di vista giuridico, sulla base delle norme che vengono in considerazione caso per caso, senza indulgere alla tentazione di appiattire il giudizio al livello della discussione sulla ricorrenza o meno di una violazione diretta del divieto di assistenza finanziaria. In questa prospettiva l'art. 2501-bis (nuovo testo) non si può esaurire semplicemente in una deroga al divieto di assistenza finanziaria, ma assume una portata più vasta, dettata dalla volontà del legislatore di prevenire una variegata molteplicità di possibili abusi, non necessariamente riconducibili alle fattispecie direttamente o indirettamente contemplate nell'art. 2358 c.c. (e nell'art. 2474 c.c.).

Come ha scritto efficacemente il Guerrera, l'art. 2501-bis c.c. mira insomma ad introdurre uno strumento preventivo sul piano dell'informazione preassembleare, «imponendo che la documentazione sulla base della quale dovrà adottarsi la deliberazione di fusione contenga tutti gli elementi idonei a consentire una ponderata valutazione dell'operazione [si noti: dell'operazione complessiva, non solo della fusione!]. Ciò al fine di agevolare, per un verso l'esercizio del diritto di voto e del diritto di impugnazione, da parte dei soci; per altro verso l'esercizio del diritto di opposizione (art. 2503) da parte dei creditori» [nota 68], nonché allo scopo di rendere altresì meno onerosa l'adozione degli opportuni rimedi da parte di autorità di controllo o di altri eventuali soggetti danneggiati (o timorosi di esserlo) che non siano né soci né creditori della società.

Conferma delle conclusioni raggiunte, anche alla luce dei principali ordinamenti europei

L'esame comparatistico conferma pienamente la grande cautela con cui il tema è trattato in quasi tutti i paesi europei più importanti, ma anche che la prevalente opinione concorda circa l'impossibilità di considerare il leveraged buy out come una tipica fattispecie di violazione di divieto di assistenza finanziaria. Viceversa, è la potenziale idoneità dell'operazione, nel suo complesso, a determinare l'insorgere di conflitti d'interesse o l'aggiramento di norme imperative o di diritti soggettivi altrui che attira l'attenzione e spinge a suggerire particolare prudenza. Occorre peraltro avvertire che, nella comparazione con ordinamenti stranieri, è necessario tener presente il diverso significato che l'espressione leveraged buy out assume nei diversi contesti giuridici. Per esempio, in Italia l'unica forma praticamente rilevante di LBO è quella in cui l'operazione si conclude con la fusione fra target e newco; all'estero, invece, la sostanza economica dell'operazione può essere realizzata molto spesso (o quasi sempre) senza che alla fusione venga fatto luogo. Di conseguenza la lettura dei precedenti giurisprudenziali e delle trattazioni dottrinali straniere in materia di leveraged buy out può risultare fuorviante e condurre talvolta a risultati non pertinenti all'esperienza concreta del nostro Paese.

In Francia, ad esempio, la fusione fra target e acquirente è praticamente rara per ragioni fiscali e legali. In ogni modo, risulta oggi superata la tesi secondo cui il merger leveraged buy out costituirebbe inevitabilmente una violazione indiretta del divieto di assistenza finanziaria [nota 69], essenzialmente perché il divieto di assistenza finanziaria non può estendersi ad operazioni successive all'acquisizione. Ciononostante, la dottrina continua ad insistere sui rischi di frode, di conflitto d'interessi e di abuso della maggioranza a danno della minoranza e mette in guardia dai rischi che, caso per caso, possono presentarsi [nota 70].

In Spagna la situazione è molto simile a quella italiana prima della riforma del diritto delle società di capitali. Uno studio recente riferisce che il diritto spagnolo non contiene una disciplina espressamente applicabile alla fattispecie. Dato che la norma dell'art. 81 LSA (che corrisponde all'art. 2358 c.c.) fa riferimento ad un «requisito finalista o intencional», la tesi prevalente ritiene che la disposizione «no se aplicaría a los casos de leveraged buy out realizados en el marco de OPAS hostiles … Sí que se extenderá, en cambio, a las adquisiciones realizadas con el consentimiento y la ayuda de cualquier tipo otorgados por la sociedad cuyas acciones van a ser adqueridas» [nota 71].

In Inghilterra, che è la patria sia del leveraged buy out sia del divieto di financial assistance, l'aspetto finalistico di quest'ultima disposizione è messo in evidenza da numerosi Autori [nota 72], anche allo scopo di escludere l'applicazione del divieto (anche a prescindere dalle eccezioni legalmente previste) in fattispecie in cui l'effetto dell'assunzione dell'onere finanziario della acquisition in capo alla target sia meramente «incidentale» all'operazione o alla ristrutturazione dell'impresa. Il merger leveraged buy out non ha tuttavia, in Inghilterra, molta importanza pratica [nota 73], a causa delle particolarità di quell'ordinamento, nel quale «l'ipotesi più simile al merger-LBO è quella della cessione di azienda e successiva liquidazione della società cedente: in tal caso è però senz'altro esclusa ogni applicazione del divieto di financial assistance» [nota 74]. Anche in Inghilterra, peraltro, c'è chi invita ad un approccio casistico, in relazione per esempio a ipotesi in cui, dopo l'acquisto del controllo, la società "bersaglio" esegua versamenti eccessivi (a titolo di dividendo eccetera) ai propri nuovi soci senza giustificazioni effettive [nota 75].

Nel complesso, il Paese europeo apparentemente meno favorevole al merger leveraged buy out, quanto meno quando la target è una società azionaria, sembra la Germania (con l'Austria): tuttavia le notizie riportate in Italia al riguardo, secondo le quali la dottrina sarebbe «orientata a considerare fattispecie di frode alla legge quella di merger buy out su Aktiengesellschaft» (mentre sarebbe più liberale quando la tecnica in questione è utilizzata per un target costituito come GmbH [nota 76]) non corrispondono del tutto alla realtà dei fatti. Anche in Germania ed in Austria (come in Inghilterra) l'interesse pratico nei confronti della fattispecie è scarso [nota 77], sia per le particolarità del sistema fiscale [nota 78] sia per altre ragioni [nota 79]. Ad ogni modo, l'esame diretto delle fonti fa emergere che - anche rispetto alla Aktiengesellschaft - una parte della dottrina mette in evidenza il carattere finalistico della formulazione del § 71° Abs. 1 AktG [nota 80]; vale a dire proprio il principale argomento che porta ad escludere che vi possa essere, nell'operazione, una violazione diretta del divieto di assistenza finanziaria. In ogni caso, la valutazione più obiettiva dello stato dell'arte conclude nel senso che la liceità del (merger) leveraged buy out dipende dall'esistenza e dall'accertamento o meno di una frode alla legge [nota 81].

Insomma, da questa rapida indagine si ricava, nuovamente, che l'allarme lanciato da chi teme che l'art. 2501-bis c.c. e, prima ancora, l'art. 7 della L. 3 ottobre 2001, n. 366 si pongano in contrasto con l'art. 23 della seconda direttiva europea è largamente ingiustificato.

Oneri informativi previsti dall'art. 2501-bis c.c. e valutazione sostanziale dell'operazione di merger leveraged buy out. Necessità di considerare l'operazione nel suo complesso. Prevalente rilevanza della dimensione finanziaria dell'operazione

Dato quanto precede, si deve ribadire che la norma dell'art. 2501-bis c.c., nuovo testo, non costituisce lo strumento grazie al quale il legislatore italiano rende lecita un'operazione che altrimenti non lo sarebbe, perché in violazione dell'art. 2358 c.c. [nota 82] La norma invece agevola le potenziali iniziative di autodifesa delle vittime di abusi e frodi, ponendo loro in mano due strumenti «informazione» e «trasparenza», per difendere i loro interessi [nota 83].

Di qui la necessità di interpretare il disposto dell'art. 2501-bis c.c., nuovo testo, con particolare riguardo ai pericoli che specificamente possano essere suscitati dalle «fusioni con indebitamento» considerate dalla norma [nota 84]. La questione tocca soprattutto il 2°, il 3°, il 4° e il 5° comma dell'art. 2501-bis c.c., nuovo testo, nei quali si stabilisce, rispettivamente, che «il progetto di fusione di cui all'art. 2501-ter deve indicare le risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione»; che «la relazione di cui all'art. 2501-quinquies deve indicare le ragioni che giustificano l'operazione e contenere un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle risorse finanziarie e degli obiettivi che si intendono raggiungere»; che «la relazione degli esperti di cui all'art. 2501-sexies attesta la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del precedente secondo comma»; e che, infine, «al progetto deve essere allegata [una] relazione della società di revisione incaricata della revisione contabile obbligatoria della società obiettivo o della società acquirente» [nota 85].

è evidente che, con queste disposizioni, la legge non pone solamente oneri formali, come si potrebbe pensare fermandosi alla superficie: al contrario il legislatore prescrive che si forniscano informazioni e motivazioni in vista di una disciplina anche sostanziale della operazione di merger leveraged buy out [nota 86]. Dunque i commi 2°, 3°, 4° e 5° dell'art. 2501-bis, nuovo testo, si possono e si debbono leggere ad almeno due livelli: quello del procedimento e quello della tutela degli interessi sostanziali ritenuti tanto rilevanti da trovare protezione nel (e attraverso il) procedimento [nota 87].

Nell'applicazione pratica di questi precetti della legge, non si può fare a meno di partire dalla ratio che in essi si esprime; ratio che non è (giova ripetere) quella di sottrarre eccezionalmente un'operazione che - a certe condizioni - potrebbe rispondere ad un interesse meritevole di tutela ad un divieto che altrimenti ne impedirebbe la realizzazione. Al contrario, si tratta di partire dagli interessi che potrebbero essere lesi dal merger leveraged buy out e dai mezzi di tutela che l'ordinamento appronta a difesa di tali interessi, per capire come e quanto occorre motivare, informare e attestare nei documenti preassembleari, raggiungendo il livello di trasparenza e di affidabilità preteso dal legislatore in relazione alla potenziale rischiosità del fenomeno regolato.

In questo senso, è già stato esattamente rilevato in dottrina che la prospettiva corretta dell'esame non è quella della fusione in sé, ma quella dell'operazione complessiva, costituita da ciò che precede e ciò che segue la fusione [nota 88]. La fusione fra controllata e controllante, in sé, è una misura di razionalizzazione; se si concede un gioco di parole essa è per definizione «ragionevole» [nota 89]. Ne segue che la fusione può essere valutata come «legittima» (o «lecita») e viceversa come «illegittima» (o «illecita») solo inserendola in un più ampio contesto [nota 90]. Perciò «i termini della tradizionale querelle, circa la necessaria sussistenza o meno di genuini business purposes della fusione in sé, appaiono oggi angusti e fuorvianti. Dovrebbe essere infatti evidente che una volta che si riconosca come lecita, nei suoi tratti socialmente tipici, la fattispecie del merger leveraged buy out - così come fa inequivocabilmente il legislatore nel primo comma dell'art. 2501-bis del codice civile - risulta poi contraddittorio, se non vagamente farisaico, riproporre il problema delle ragioni industriali» [nota 91].

Delle ragioni «industriali», del resto, l'art. 2501-bis (nuovo testo) non fa esplicitamente alcuna menzione: si richiedono invece espressamente indicazioni sulle «risorse finanziarie», un piano «economico-finanziario», notizie sulla «fonte delle risorse finanziarie», attestazioni indipendenti sulla «ragionevolezza» delle notizie attinenti alla previsione di soddisfacimento delle obbligazioni sociali attraverso adeguate «risorse finanziarie» [nota 92]. Appare dunque evidente che la finalità primaria perseguita dalla legge è quella di garantire un sufficiente livello d'informazione sulla sostenibilità finanziaria del progetto [nota 93], sulla base dei flussi di cassa attesi dall'esercizio dell'impresa, dalle eventuali dismissioni e dalle operazioni straordinarie, al netto degli impieghi previsti [nota 94].

Il recupero della centralità della dimensione delle ragioni industriali non è possibile neppure osservando che il 3° comma dell'art. 2501-bis obbliga gli amministratori a indicare, nella loro relazione, «le ragioni che giustificano l'operazione» [nota 95], nonché gli «obiettivi che si intendono raggiungere». Queste ragioni ed obiettivi non si identificano con le ragioni di un'integrazione industriale, che può già esistere (per es. nell'ambito di gruppi industriali con holding mista) o non essere possibile (per es. quando la holding è meramente finanziaria).

Condivisibile è invece la tesi che le ragioni da esplicitare «devono, in definitiva, individuarsi nelle ragioni che hanno sostenuto i promotori nell'iniziativa di acquisire il controllo della target attraverso il ricorso al debito» [nota 96]. Si tratta cioè di fornire informazioni che, in prospettiva, consentano di valutare nelle sue diverse dimensioni (e soprattutto nella dimensione finanziaria) il piano complessivo di cui fanno parte l'indebitamento, l'acquisto del controllo, la fusione ed il rimborso del debito [nota 97]. Correlativamente, la documentazione potrà e dovrà permettere una più agevole valutazione del comportamento degli amministratori delle società coinvolte, «caso per caso», in relazione ai diversi doveri cui essi sono tenuti nei confronti della società.

Questioni e profili attinenti alle formalità del procedimento di fusione con indebitamento. Dubbi relativi alla relazione della società di revisione. Rinunzia alla informazione da predisporre prima dell'assemblea e riduzione dei termini. Piena legittimità della fusione inversa come forma di attuazione di un merger leveraged buy out

Nel precedente paragrafo si è suggerito di distinguere due piani di lettura della nuova disposizione sulla fusione con indebitamento: quello degli oneri formali, che si traducono essenzialmente nella garanzia della completezza e della pertinenza dell'informazione da predisporre in vista dell'assemblea, e quello della salvaguardia sostanziale degli interessi per la cui tutela la norma è stata dettata.

La disciplina dell'informazione preassembleare, nei suoi aspetti procedimentali, non pone problemi di particolare difficoltà esegetica, tranne in pochi casi. La legge infatti ha una certa cura nell'indicare in quali documenti devono essere inserite le informazioni richieste; e dimostra anche l'attenzione del legislatore (come si vedrà più da vicino nei paragrafi successivi) nel determinare il contenuto specifico di tali informazioni.

L'unica eccezione al buon livello tecnico di questa parte della norma è rappresentata dal 5° comma dell'art. 2501-bis, il cui testo, malgrado la correzione apportata dal D.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, suscita alcuni interrogativi. Originariamente la norma diceva che al progetto di fusione «deve essere allegata relazione della società di revisione»: la mancanza dell'articolo prima della parola «relazione» era stata quasi unanimemente ritenuta una mera lacuna redazionale, da colmare appunto con l'aggiunta dell'articolo determinativo «la» [nota 98]. Nonostante ciò, il decreto correttivo del febbraio 2004 ha invece inserito, prima del sostantivo «relazione», l'articolo indeterminativo «una», sicché il testo della legge in definitiva oggi richiede che sia allegata «una relazione della società di revisione», e non «la relazione» della stessa [nota 99]. La differenza potrebbe sembrare impercettibile, ma (a ben guardare) il testo originario della norma, come interpretato dalla prevalente dottrina, legittimava la conclusione che fosse sufficiente allegare al progetto «la» relazione della società di revisione al bilancio d'esercizio; dopo il decreto correttivo sembra invece chiaro che deve trattarsi di «una» relazione ad hoc.

L'oggetto di questa relazione è, secondo alcuni, l'attestazione della «ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione, con particolare riferimento alle modalità di rimborso del finanziamento» [nota 100]. Se così fosse, però, la relazione della società di revisione sarebbe soltanto la duplicazione della relazione dell'esperto richiamata nel 4° comma dell'art. 2501-bis. Sembra pertanto preferibile pensare che la relazione della società di revisione debba attestare la correttezza contabile «dei dati posti dagli amministratori a base del piano economico e finanziario incluso nel progetto di fusione, con esclusione di qualsivoglia coinvolgimento della società di revisione in una valutazione della ragionevolezza di detto piano» [nota 101].

La legge dice che la relazione di cui al 5° comma deve essere redatta dalla società incaricata della revisione contabile «obbligatoria». è molto verosimile che con questa espressione il legislatore volesse far riferimento alla situazione anteriore alla riforma [nota 102], nella quale le società soggette alla revisione contabile obbligatoria (da parte di società iscritte nell'albo tenuto dalla Consob) erano essenzialmente: (a) le società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione europea (art. 119 D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58); (b) le loro controllate (art. 165 del citato decreto, salve le esenzioni previste dalla Consob nel regolamento concernente la disciplina degli emittenti); (c) gli emittenti di azioni e di altri strumenti finanziari non quotati, ma diffusi tra il pubblico in misura rilevante (art. 116 del citato decreto); le Sim, le Sicav, le Sgr, le società di gestione del mercato, ecc. [nota 103] Oggi però, almeno se si ammette che «controllo contabile» e «revisione contabile» siano perfettamente sinonimi, la revisione contabile è obbligatoria per tutte le società per azioni, come risulta dall'art. 2409-bis c.c.: questa stessa norma precisa che il controllo contabile deve essere affidato ad un revisore o ad una «società di revisione» iscritti nel registro tenuto dal Ministero della Giustizia, ma può, a certe condizioni, essere affidato anche ai sindaci. In particolare il 2° comma dell'art. 2409-bis prevede che, «nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio» (vale a dire, ai sensi dell'art. 2325-bis, le società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse tra il pubblico in misura rilevante, accertato come previsto nell'art. 111-bis delle disp. att. c.c.), «il controllo contabile è esercitato da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili la quale, limitatamente a tali incarichi, è soggetta alla disciplina dell'attività di revisione prevista per le società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati ed alla vigilanza della Consob».

Date queste premesse, si può dire con certezza che il 5° comma dell'art. 2501-bis non si applica se alla fusione partecipano soltanto società non assoggettate a controllo contabile obbligatorio ovvero società in cui il controllo contabile obbligatorio è svolto dai sindaci o da un revisore-persona fisica.

Posto inoltre che sembra irrilevante che la società di revisione sia iscritta all'albo tenuto dalla Consob ovvero nel registro dei revisori del Ministero della Giustizia, si può ritenere che il 5° comma dell'art. 2501-bis sia applicabile anche quando la società incaricata del controllo contabile è iscritta solo nel registro del Ministero e non anche nell'albo Consob. Dubbio invece è se il 5° comma dell'art. 2501-bis possa essere altresì applicato quando il controllo contabile obbligatorio è esercitato da una società di revisione in casi nei quali esso potrebbe essere svolto anche da una persona fisica o affidato al Collegio sindacale. Il testo della legge non offre dati sicuri per risolvere il problema, ma l'intenzione del legislatore (abbastanza chiaramente indirizzata a restringere l'ambito di applicazione dell'art. 2501-bis c.c.) giustifica la preferenza per l'interpretazione restrittiva, secondo cui il 5° comma dell'articolo non si applica quando il controllo contabile non è obbligatoriamente affidato ad una società di revisione.

Secondo la formula della legge, la relazione del 5° comma è opera «della società di revisione incaricata della revisione contabile obbligatoria della società obiettivo o della società acquirente». Quando solo una di queste società è soggetta alla revisione contabile obbligatoria da parte di una società di revisione, sembra ovvia la precisazione che, essendo unico il progetto di fusione, l'allegazione riguarda sia il progetto approvato e depositato dalla società che è soggetta al controllo della società di revisione sia lo stesso progetto, approvato e depositato dall'altra società partecipante alla fusione. Inoltre la relazione (che, dopo il decreto correttivo è sicuramente una relazione redatta ad hoc) deve concernere l'attendibilità di tutti i dati contabili riguardanti l'operazione e, pertanto, sia quelli che attengono alla società acquirente sia quelli che riguardano la società obiettivo, sia infine quelli che riguardano il piano economico finanziario.

Se più di una società partecipante alla fusione è soggetta alla revisione contabile obbligatoria di una società di revisione, può esser sostenuto che basti la relazione di una sola delle società di revisione coinvolte: infatti il testo della legge richiede «una relazione», non tante relazioni quante sono le società di revisione oppure le società partecipanti alla fusione. La scelta della società di revisione cui affidare l'incarico, fra quelle che svolgono l'attività di controllo contabile per almeno una delle società partecipanti alla fusione, è lasciata agli amministratori di queste ultime. Il fatto che la legge dica che la relazione è compito della società di revisione «della società obiettivo o della società acquirente» non significa che i revisori della società acquirente vengano in gioco solo se la società obiettivo non è soggetta a revisione contabile obbligatoria da parte di una società di revisione.

è evidente che, data la finalità dell'informazione preassembleare, destinata a garantire gli interessi anche dei terzi (creditori e pubblico), l'applicazione dell'art. 2501-bis c.c. è incompatibile con le norme contenute negli artt. 2505 e 2505-bis c.c. che, rispettivamente, riguardano l'incorporazione delle società interamente possedute e l'incorporazione delle società possedute al novanta per cento: in tal senso provvede espressamente l'ultimo comma dell'art. 2501-bis.

A fortiori i soci non possono rinunciare alla relazione degli amministratori e degli esperti (e della società di revisione) né possono rinunciare alle informazioni aggiuntive che, ai sensi del 2° comma dell'art. 2501-bis, devono essere inserite nel progetto di fusione: queste informazioni tutelano anche interessi estranei a quelli dei soci e i soci non possono evidentemente disporne a proprio piacimento [nota 104].

La durata del procedimento può tuttavia essere abbreviata se, a norma dell'ultimo comma dell'art. 2501-ter, i soci rinunciano unanimamente al termine di trenta giorni che dovrebbe altrimenti decorrere tra l'iscrizione del progetto nel Registro delle Imprese e la data fissata per la decisione in ordine alla fusione.

L'art. 2501-bis non esclude, almeno espressamente, l'applicazione dell'art. 2505-quater, riguardante le «fusioni cui non partecipano società con capitale rappresentato da azioni»; quest'ultima disposizione - oltre a stabilire che non si applicano sia le norme che vietano la partecipazione alla fusione delle società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell'attivo, sia le disposizioni sul conguaglio in danaro - permette che, sia pure «col consenso di tutti i soci delle società partecipanti alla fusione», siano derogate le disposizioni dell'art. 2501-sexies (relazione degli esperti). L'articolo infine prevede che i termini procedimentali siano ridotti alla metà. Dato che la deroga all'art. 2501-sexies pregiudicherebbe - nel caso di merger leveraged buy out - anche gli interessi di terzi estranei alla compagine sociale, è intuitivo concludere che in tale ipotesi la deroga alle regole sulla relazione degli esperti non è possibile [nota 105] o è possibile solo nella parte in cui non incide sulla necessaria esistenza di una relazione di esperti neutrali sulla ragionevolezza delle ipotesi poste a base del piano economico-finanziario proposto dagli amministratori. Diversamente si potrebbe forse ipotizzare che, implicitamente, il mancato richiamo dell'art. 2505-quater nell'ultimo comma dell'art. 2501-bis derivi dal fatto che la norma sul merger leveraged buy out è pensata per render l'operazione compatibile con l'art. 2358 c.c., che è norma riguardante le sole società azionarie: questa idea, avanzata da un Autore in forma dubitativa [nota 106], viene da lui stesso respinta in base all'argomento che la presumibile intenzione della legge è quella di dare all'art. 2501-bis il carattere di norma generale, applicabile a tutti i tipi di società. A questa considerazione si può aggiungere che il divieto di accordare prestiti o di fornire garanzie per l'acquisto di proprie quote (cioè la norma corrispondente all'art. 2358 c.c.) è espressamente previsto per le società a responsabilità limitata dall'art. 2474 c.c.

Dato che, come già detto, il controllo sull'operazione sostanziale va svolto in concreto e caso per caso, è semplicemente inaccettabile muovere da prospettive astratte e stilizzate, per esempio ipotizzando che la delibera di fusione, nel caso di merger leveraged buy out, sia sempre viziata da conflitto di interessi quando la fusione è in forma di reverse merger, e mai quando è in forma di forward merger [nota 107]. Il fatto che la società bersaglio cessi di esistere (nel forward merger) non significa che non abbia, rispetto alla delibera di fusione, un proprio interesse sociale di cui occorre tener conto; ed allo stesso modo, nel caso opposto, il fatto che la società bersaglio sopravviva con, al proprio interno, obbligazioni contratte da terzi e senza collusioni con i suoi organi sociali, per acquistarne il controllo, non significa affatto che l'interesse sociale della target sia automaticamente violato.

Gli effetti patrimoniali della fusione propria, della fusione per incorporazione diretta e di quella inversa sono infatti sempre del tutto coincidenti [nota 108]. A questo punto si deve ritenere impossibile introdurre, per via interpretativa, un divieto di fusione inversa nel caso di acquisto del controllo con indebitamento, quando ciò non risulta in modo espresso dalla legge e soprattutto quando non si può indicare alcuna ragione sostanziale per affermare la necessità di un simile divieto [nota 109] . Occorre insomma ripetere con la massima decisione il principio per cui, in primo luogo, la fusione è, secondo la legge, un'operazione polimorfa; che, in secondo luogo, di essa la legge conosce due tipi, la fusione propria e quella per incorporazione; che, in terzo luogo, la fusione per incorporazione è definita dalla legge senza richiedere, come elemento della fattispecie, che l'incorporante sia più grande dell'incorporata, ovvero che ne sia socia, o che ne sia il socio unico o di controllo; ed infine che è fusione per incorporazione anche quella in cui la "sardina" inghiotte la "balena".

Ma soprattutto bisogna tener fermo ed a fuoco il principio, fondamentale, che le diverse forme di fusione sono tutte fungibili, e tutte neutrali fra loro [nota 110] .

Valutazione dell'informazione da predisporre prima dell'assemblea ex ante ed ex post. Conflitti di interesse

La necessità di una valutazione in concreto e casistica riceve poi una significativa conferma dalla nuova disciplina dei gruppi, la cui prossimità sistematica al tema qui considerato sembra meritare una specifica riflessione. La teoria dei vantaggi compensativi, accolta esplicitamente dall'art. 2497 c.c., invita infatti ad argomentare ponendosi al di fuori dall'angolo visuale, angusto e limitato, dell'interesse della società intesa come entità a sé stante ed autosufficiente. Ma anche i presupposti della teoria dei vantaggi compensativi (teoria dello shareholders' value ecc.) possono acquistare, con riferimento alle fusioni (ed in particolare alle fusioni con indebitamento), uno specifico rilievo.

La motivazione della operazione contenuta nella documentazione da sottoporre all'assemblea deve permettere una sintetica presa di posizione su queste tematiche. Ciò non significa costringere ad anticipare a livello di documentazione preassembleare l'intero giudizio che sarà dato ex post, quando e se vi saranno contestazioni. Questa conclusione trova conferma in dati normativi e logici convergenti: basti pensare al 4° comma del nuovo art. 2501-bis c.c., nel quale il legislatore ha previsto un controllo affidato a terzi competenti e neutrali solo riguardo alla «ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del precedente secondo comma», senza fare alcun accenno al terzo comma ed alla relazione degli amministratori sulle ragioni dell'operazione, sul piano economico e finanziario dell'impresa e sugli obiettivi dell'integrazione fra le società partecipanti all'operazione. Dunque il legislatore concentra le sue cure soprattutto sulle indicazioni finanziarie di cui al progetto di fusione, non anche alle motivazioni dell'operazione contenute nella relazione degli amministratori. Se non si ipotizza un'incoerenza legislativa, di cui non si saprebbe però indicare la ragione, è giocoforza ammettere che la legge ha ritenuto prevalente o più delicato l'aspetto finanziario su quelli organizzativo ed economico non finanziario. Almeno per questi ultimi aspetti, si è verosimilmente ritenuto sufficiente affidarsi alla dialettica dei rapporti assembleari fra soci, se i soci sono più d'uno; mentre per il piano finanziario e la sua ragionevolezza, che coinvolge essenzialmente diritti di terzi, si è voluta rafforzare la tutela individuale (già offerta dall'art. 2503 c.c. e dal diritto di opposizione ivi previsto) con un'iniezione di ulteriori garanzie, vale a dire con l'intervento della relazione degli esperti. D'altra parte la prevalenza dell'aspetto patrimoniale e finanziario è in un certo qual modo confermata dal requisito della allegazione di una relazione della società di revisione (sia pure non in tutte le fattispecie), il cui contenuto è verosimilmente circoscritto alla verifica dei dati contabili sulla cui base è predisposto il piano economico e finanziario di rimborso dell'indebitamento.

Contenuto, qualità e livello dell'informazione (specie di quella relativa agli aspetti non finanziari) dipendono dunque dalle circostanze del caso, senza che il rispetto di eventuali standard informativi incida sulla procedibilità dell'iter della fusione (i vizi potranno essere fatti valere successivamente come causa di impugnazione o di responsabilità). Il punto è stato colto con lucidità dalla dottrina notarile, che sia pure in forma assai sintetica, chiarisce che «non spetterà certo al notaio di sindacare se [l']indicazione delle risorse finanziarie [nel progetto di fusione] è realistica o meno», mentre «è fatto carico agli amministratori di [redigere il piano economico e finanziario] e probabilmente è nella responsabilità degli amministratori che queste indicazioni siano realistiche e trovino rispondenza nella realtà» [nota 111].

In sostanza, il notaio (che effettua solo controlli di legittimità, un tempo competenza dell'Autorità giudiziaria) procede ad una verifica dell'esistenza dei documenti, ovviamente accertandone primissima facie la conformità alla legge e rifiutando eventualmente l'omologazione (con i noti effetti) se l'operazione non gli appare legittima in base a tale esame [nota 112]; gli amministratori, che sono invece investiti della legalità del procedimento, rispondono non solo del contenuto dei documenti, ma anche di ogni altro danno che eventuali vizi dell'operazione arrechi a diritti e interessi protetti dei terzi; gli esperti, a loro volta, rispondono del servizio professionale prestato rendendo il giudizio sulla ragionevolezza delle previsioni finanziarie contenute nel progetto di fusione.

Ai fini del procedimento il giudizio di merito è necessariamente ex ante: e tale dovrebbe rimanere anche ai fini dell'accertamento della validità delle deliberazioni e delle responsabilità delle persone, anche se gli avvenimenti ex post influenzano inevitabilmente, se non altro per ragioni psicologiche, le valutazioni sulla diligenza, preparazione, esperienza e perizia delle persone nei cui confronti venga eventualmente promossa un'azione risarcitoria.

Nell'effettuare le valutazioni di merito, l'influenza delle circostanze gioca - come già detto e ribadito - un ruolo decisivo. Il merger leveraged buy out fra società di cui una possieda l'intero capitale dell'altra di regola non è pericoloso per i soci o per il mercato azionario [nota 113], mentre può nuocere gravemente ai creditori. L'accento non può che cadere sull'aspetto finanziario del rimborso dei debiti della società: vale a dire non solo dei debiti contratti per attuare l'operazione, ma in genere di tutte le obbligazioni sociali. Dunque il piano economico finanziario deve ragionevolmente spiegare (sulla base di informazioni attendibili e di metodologie riconosciute) il «come», il «con cosa» e il «quando» del rimborso dei prestiti contratti per ottenere il controllo della target [nota 114]. Ma è anche necessario, più in generale, che il piano illustri come il prevedibile sviluppo degli affari garantisce la sostenibilità complessiva dell'operazione, con riferimento al fabbisogno finanziario della società risultante dalla fusione, determinato dall'insieme delle sue obbligazioni (a breve, medio e lungo termine, correnti ovvero finanziarie) [nota 115], e non solo dall'indebitamento specificamente destinato all'acquisizione del controllo della target [nota 116]. Lo scopo del legislatore, in definitiva, è quello di non far correre ai creditori aventi diritto all'opposizione (ma evidentemente non solo a loro!) il rischio di un'insolvenza generata dal merger leveraged buy out o di una lesione della par condicio evitabile se fosse stato possibile opporsi sulla base di un'informazione preassembleare adeguata.

Allorchè vi siano soci di minoranza, il grado di informazione da fornire è funzionale anche all'esercizio efficace dei diritti di voice e di exit. Pertanto la documentazione predisposta ai sensi dell'art. 2501-bis c.c. dovrà contenere informazioni ulteriori rispetto a quelle, puramente o prevalentemente finanziarie, che sarebbero sufficienti nella prospettiva della protezione dei creditori: in particolare, qualora l'operazione coinvolga azionisti o soci di minoranza, è condizione almeno di legalità (se non anche di legittimità) della operazione che i documenti preassembleari contengano dettagliate e credibili informazioni circa gli effetti della fusione sul valore delle partecipazioni dei soci esterni al controllo in un'ottica (come già suggerito) di shareholders' value e di vantaggi compensativi. I danni che verranno eventualmente cagionati omettendo queste informazioni, o fornendole in modo inesatto o incompleto, dovranno essere risarciti, secondo le regole che saranno illustrate di seguito.

Si noti, però, che la tutela dei soci di minoranza non si estende, al momento della fusione, fino ad imporre le regole particolari per la determinazione del rapporto di cambio, ancorchè sia indubbio che la fattispecie considerata dall'art. 2501-bis, nuovo testo (acquisto del controllo di una società mediante indebitamento e successiva fusione con questa) per definizione implichi il fatto che la responsabilità del debito contratto dal socio di controllo per procedere all'acquisto della partecipazione nella target si ripartisca pro quota sui soci estranei al controllo. Se infatti l'operazione è lecita, questo effetto (inevitabile) è altrettanto lecito [nota 117]. D'altronde il risultato cui si perviene in questo modo non è iniquo, anzitutto perché «nelle società quotate il merger leveraged buy out presuppone che il raider abbia effettuato il lancio di un'Opa totalitaria, che tutela il diritto di exit dei soci di minoranza» [nota 118] anche dal punto di vista dell'informazione del mercato; se, in secondo luogo, l'incorporante non è quotata e l'incorporata lo è, ai soci dissenzienti rispetto alla fusione l'exit è garantito dal diritto di recesso (art. 131 D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58); e poiché infine l'acquisto del controllo fa presumere (nuovo art. 2497-sexies c.c.) che si sia formato il gruppo, anche nelle società non quotate i soci timorosi possono aver via di scampo nel recesso (nuovo art. 2497-quater c.c.).

A prescindere da queste considerazioni, non si può tuttavia escludere che ricorrano casi in cui sussistono ottime ragioni per intervenire a difesa dei soci minoritari incrementando qualità e quantità dell'informazione rispetto alla normalità dei casi; ad esempio l'acquisto del controllo e la fusione possono non essere così vicini nel tempo che gli eventuali prospetti di offerta o le informazioni già in precedenza fornite ai soci ed al mercato siano da considerare ancora «attuali». è inoltre da tener presente l'ipotesi che, al momento dell'acquisto del controllo sia o non sia stata data pubblicità all'intenzione di procedere alla fusione. E così via. In tutti questi casi il livello d'informazione dei soci che deve essere assicurato dalla documentazione prevista nell'art. 2501-bis c.c. dovrà essere adeguato alle circostanze, coerentemente (del resto) con lo spirito generale della disciplina.

è opportuno precisare che, nell'ottica sopra descritta, viene scongiurato il rischio di ravvisare un conflitto d'interessi in ogni merger leveraged buy out con soci di minoranza nella target [nota 119]; come pure è scongiurato il rischio di giungere alla conclusione (altrettanto irragionevole) di reputare per definizione esente dal conflitto d'interessi la fusione di cui si tratta, per il solo fatto che essa è prevista da una norma espressa. Ancora una volta, occorre valutare caso per caso utilizzando in chiave sistematica, come pietra di paragone, la disciplina del gruppo.

In altre parole, l'art. 2501-bis considera assolutamente fisiologico che le società controllate da un'altra società si fondano con la loro controllante, passando in tal modo da una situazione d'integrazione sul piano della «direzione» e del «coordinamento» ad una vera e propria «unificazione» patrimoniale, organizzativa e sociale. La legge inoltre consente che la fusione abbia luogo anche quando, per effetto dell'unione dei patrimoni e delle compagini sociali, i soci di minoranza della società controllata si ritrovino a far parte di una società nel cui passivo figurano debiti contratti per acquistare il pacchetto azionario di controllo della società cui partecipavano. è chiaro dunque che la legge esclude, in questo caso, la ricorrenza «per definizione» di un conflitto d'interessi perché, se così fosse, sarebbe evidente ed ovvia l'irrazionalità della disposizione dell'art. 2501-bis e la sua inconciliabilità con il sistema. Ma questo non significa lasciare i soci di minoranza privi di protezione, perché proprio la valutazione complessiva dell'operazione concreta deve condurre ad un giudizio di sintesi che metta a confronto tra di loro, da un lato, l'apparente paradosso della assunzione da parte dei soci di minoranza della società target di una sia pur parziale (e indiretta) partecipazione al debito contratto dalla società controllata e, dall'altro lato, l'operazione valutata nel suo complesso (non limitatamente alla fusione che ne costituisce l'ultimo passaggio), compresi gli eventuali «vantaggi compensativi» derivanti dall'unificazione delle due società ovvero altri elementi, precedenti o successivi alla fusione, che appaiono rilevanti per escludere un concreto pregiudizio dei soci (per es. sul piano del rapporto di cambio o su quello della concreta possibilità di esercitare tempestivamente la facoltà di exit ecc.). In questo senso può dunque esser precisato l'accenno, già fatto poc'anzi, alla disciplina dei gruppi; anche nei gruppi, infatti, la nozione di conflitto d'interessi si presenta oggi in una veste nuova, meno formalizzata ed astratta di quanto non fosse (almeno secondo la prevalente opinione) la disciplina previgente dell'art. 2373 c.c. e dell'art. 2391 c.c. è del resto significativo il fatto che la nuova formulazione di questi articoli pone al centro della fattispecie l'ipotesi che, dall'adozione di una deliberazione rispetto alla quale si configura in astratto il conflitto, possa in concreto derivare un danno per la società. Questo danno non può (nei gruppi come nel caso regolato dall'art. 2501-bis c.c.) essere valutato al di fuori delle circostanze e degli sviluppi prevedibili dell'attività sociale.

Analoghe considerazioni valgono naturalmente dal punto di vista dell'incremento del rischio per i creditori della società controllata che, in caso di fusione, possono trovarsi a concorrere con chi ha finanziato l'acquisto del pacchetto di controllo della società di cui trattasi. Anche a prescindere dal fatto che i creditori sono dotati dello strumento di autotutela costituito dal diritto di opporsi alla fusione, la riforma esige comunque che la valutazione del conflitto d'interessi sia fatta in concreto, e non in astratto.

La disciplina dell'art. 2501-bis c.c. e quella del conflitto d'interessi vengono dunque a coordinarsi, non solo nel senso che l'una non esclude l'altra, ma anche nel senso che entrambe risultano orientate ad una valutazione pragmatica delle conseguenze delle operazioni sociali. Le informazioni previste dall'art. 2501-bis (informazioni che, a ben vedere, sembrerebbero tra l'altro idonee ad assorbire al loro interno gli oneri di disclosure e di motivazione contemplati nei primi due commi dell'art. 2391 c.c., se mai fossero considerati applicabili) assumono allora anche il significato particolare di strumento di agevolazione dell'esercizio consapevole degli strumenti di tutela dei creditori (opposizione) e dei soci (azione di annullamento), eventualmente tramite anche l'impugnazione da parte di singoli consiglieri di amministrazione o del collegio sindacale (ai sensi dell'art. 2391 c.c.) della delibera dell'organo amministrativo di approvazione del progetto di fusione.

Sanzioni civili

Appare scontato il fatto che i vizi procedimentali della «fusione con indebitamento» (ad es.: mancata redazione dei documenti e delle precisazioni di cui ai commi 2°, 3° e 4° del nuovo art. 2501-bis c.c.; mancato o intempestivo deposito; insufficienza formale delle indicazioni e motivazioni eccetera) danno luogo ai comuni rimedi dell'impugnazione [nota 120] e dell'opposizione dei creditori ovvero, dopo l'iscrizione dell'atto di fusione ai sensi dell'art. 2504-quater, al risarcimento dell'eventuale danno. Il tema d'indagine più importante è tuttavia costituito dai vizi sostanziali dell'operazione (vizi che il procedimento mira a prevenire, rendendone più facile la scoperta e l'accertamento) [nota 121].

Questi vizi sostanziali appartengono a categorie disparate, difficili da organizzare sistematicamente in modo soddisfacente. In prima approssimazione si può ipotizzare che, in alcuni casi, le informazioni e le motivazioni fornite nei documenti siano (a) fondate su premesse erronee; (b) fondate su argomentazioni logicamente fallaci; (c) viziate da conclusioni che «non seguono» all'applicazione degli argomenti, per omissione di premesse necessarie, oltre che per falsità delle premesse invocate e per fallacia degli argomenti impiegati. Tutti i vizi appena elencati possono essere frutto di imprudenza, negligenza o imperizia, vale a dire essenzialmente di «colpa», più o meno grave; ma possono anche essere vizi «dolosi» e, in questo caso, nascere o da un conflitto d'interesse con la società o con gli altri soci (il che può spesso dar luogo ad un'infedeltà patrimoniale), ovvero da una finalità elusiva di norme imperative, che può concorrere o non concorrere con il conflitto d'interessi [nota 122].

I vizi sostanziali possono incidere sulla fusione (in particolare) o sull'operazione (in generale), ovvero su singole fasi dell'operazione diverse dalla fusione. Da essi può derivare un'invalidità degli atti (o di alcuni atti) del procedimento, ovvero la loro inefficacia, oppure anche una responsabilità dei soggetti cui l'insorgenza o la sussistenza del vizio siano imputabili. La responsabilità può a sua volta essere una responsabilità contrattuale o extracontrattuale.

Nell'applicazione della disciplina generale, occorre tener presente il particolare trattamento riservato dalla legge all'invalidità della fusione. Ad esempio, l'eventuale riconoscimento che la fusione è viziata da conflitto di interesse o da frode alla legge può portare alla nullità o all'annullamento della fusione? La risposta, negativa, è data direttamente dall'art. 2504-quater c.c.: essa vale però ovviamente a condizione che l'atto di fusione sia stato pubblicato ai sensi dell'art. 2504, 2° comma, c.c. (nuovo testo) [nota 123]. Prima di tale momento operano tuttavia le norme ordinarie.

Come si è già ricordato [nota 124], qualche Autore ha sostenuto che, in caso di frode all'art. 2358 c.c. (ipotesi probabilmente rara, ma non impossibile a verificarsi) «potranno sempre essere dichiarati invalidi i negozi conclusi a monte, riguardanti il finanziamento, di prestito e di garanzia, fermo restando, ovviamente, che l'obbligo di restituzione del prestito graverà sulla società risultante dalla fusione» [nota 125]. Questa conclusione, esposta apoditticamente da chi l'ha affermata, non sembra sufficientemente meditata e non può essere condivisa. Non è chiaro, innanzitutto, quale vantaggio deriverebbe ai creditori ed ai soci dalla supposta nullità, che costringerebbe la «società risultante dalla fusione» a rimborsare senza dilazione o sconti tutti i debiti contratti dalla controllante per acquisirne il controllo; né si comprende quali garanzie, secondo l'A., sarebbero travolte dalla nullità. Certo non lo sarebbe la garanzia patrimoniale generica della società risultante dalla fusione, dato che la dottrina qui esaminata postula il permanere dell'obbligo di rimborso a suo carico. In secondo luogo, anche nella prospettiva dei creditori sociali la tesi criticata non produce alcun beneficio concreto. Si deve perciò presumere che, in mancanza di un interesse apprezzabile, nessuno avrà alcun incentivo (lecito) a proporre un'azione. D'altra parte è tutt'altro che certo, in generale, che l'eventuale frode alla legge determini la nullità di tutte le diverse articolazioni in cui normalmente le operazioni elusive vengono suddivise [nota 126]. La nullità o invalidità colpisce anzi solo il contratto che dà luogo all'effetto materiale che la legge intende proibire, ed è rilevabile solo se l'effetto dipende appunto da un atto di autonomia privata, entro i limiti in cui l'ordinamento consente di impugnarlo. Nel caso specifico l'elusione dell'art. 2358 c.c. (quando e se configurabile) si materializza solo con la fusione: la fusione sarà viziata, ma l'impugnazione è ammessa solo nei limiti dell'art. 2504-quater, convertendosi, altrimenti, in titolo per un'eventuale azione risarcitoria. Gli atti compiuti a monte della fusione (assunzione di prestito in capo all'acquirente del controllo, relative garanzie, acquisto delle azioni) restano dunque validi ed efficaci, come conferma anche il confronto con la disciplina degli artt. 2357 e ss. c.c.

Se la fusione che chiude l'operazione è stata pubblicata nel Registro delle Imprese, l'unica sanzione dei vizi procedurali e sostanziali è in effetti la responsabilità per danni. Questa responsabilità è posta a carico degli amministratori (nonché, nei limiti che si diranno, dei sindaci), dell'esperto di cui all'art. 2501-bis, 4° comma, c.c. e, come ho sempre sostenuto, anche dei soci che hanno organizzato il leveraged buy out [nota 127]. Naturalmente la responsabilità del socio presuppone un contributo causale dello stesso: perciò il socio non di controllo, o che non partecipa al controllo almeno in forma di controllo congiunto, è di regola estraneo alla responsabilità per il danno anche se abbia votato a favore della fusione ed anche se il suo voto sia stato decisivo. Il danno infatti non è il frutto della fusione, ma della insincerità, falsità, erroneità del piano dell'operazione, sulla quale il socio non di controllo normalmente non può influire. Altrettanto ovvio è che non sempre è praticamente configurabile la responsabilità dell'acquirente del controllo della target, anche quando sussistano abusi o conflitti di interesse e simili vizi: ad esempio, sarà difficile configurare una responsabilità dell'acquirente quando, malgrado l'abuso, la società sia in grado di soddisfare comunque tutti i suoi creditori e quando al momento della fusione le società partecipanti siano l'una totalitariamente posseduta dall'altra. Non si può escludere, peraltro, che il merger leveraged buy out danneggi gli azionisti esterni della società che acquista il controllo della target e che costoro chiedano di essere indennizzati dagli amministratori e dai soci di controllo. Non di rado infatti i leveraged buy out vengono organizzati all'interno di gruppi o da newco appartenenti a gruppi. In questi casi troveranno diretta applicazione le nuove regole sull'attività di direzione e coordinamento (art. 2497 e ss., nuovo testo, c.c.). In altri casi è possibile giungere al medesimo risultato in base ad un diverso ragionamento. Per esempio, se l'acquirente del controllo è una Srl (come spesso accade) può venire in considerazione il nuovo art. 2476, penultimo comma, c.c.: ma la norma può valere (come sembra inevitabile) anche per le società per azioni [nota 128], dato che la responsabilità dei soci personalmente coinvolti nella decisione o attuazione di operazioni gestionali non dipende dall'identità tipologica delle società a responsabilità limitata, ma deriva dal principio generale di responsabilità «per fatto proprio».

La responsabilità dei soggetti coinvolti è comunque regolata in modo diverso a seconda dei ruoli ricoperti e del tipo di società. Per gli amministratori (e i soggetti parificati) la responsabilità può essere contrattuale ed extracontrattuale a seconda dei casi: l'omessa predisposizione dei documenti richiesti dall'art. 2501-bis c.c. è responsabilità da inadempimento di un'obbligazione (il cui contenuto è la predisposizione di tali documenti ed il loro tempestivo deposito). Poiché l'inadempimento di quest'obbligazione non può che essere volontario, la responsabilità si estende anche ai danni imprevedibili che ne derivino (art. 1225 c.c.).

I vizi sostanziali dei documenti possono invece dipendere da violazione di doveri fiduciari (conflitto d'interessi o altri abusi), da dolo o da negligenza: in questo caso, per gli amministratori di SpA si impone il riferimento alla «natura dell'incarico» ed alle «loro specifiche competenze» (art. 2392, nuovo testo, 1° comma), nonché al dovere di agire in modo informato (art. 2381 c.c.) e di impedire o limitare i pericoli loro noti (art. 2392, 2° comma, nuovo testo). Nelle società a responsabilità limitata, tuttavia, questi riferimenti sono quasi del tutto mancanti (v. nuovo art. 2476 c.c.), con la conseguenza che si ignora (per adesso) se nelle Srl lo standard di diligenza sia più elevato o meno elevato che nelle società per azioni.

Per i sindaci (e i soggetti loro equiparati) resta il rischio di una responsabilità che deriva da un ragionamento ipotetico negativo (art. 2407, 2° comma: «essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della carica»). Di certo i sindaci rispondono in caso di omessa predisposizione dei documenti di cui all'art. 2501-bis c.c. o di manifesta insufficienza, illogicità o incompletezza delle informazioni dovute. Tuttavia il fatto che i sindaci rispondano per il «rispetto dei principi di corretta amministrazione» può far pensare ad un maggior coinvolgimento dei componenti del collegio sindacale anche nella verifica dell'opportunità dell'operazione e della ragionevolezza delle valutazioni degli amministratori.

Invece gli incaricati del controllo contabile possono essere investiti dalle responsabilità derivanti da un merger leveraged buy out viziato solo indirettamente, vale a dire in quanto, in relazione alle verifiche eventualmente svolte ai sensi del 5° comma dell'art. 2501-bis c.c. ovvero (e in questo caso indipendentemente dall'applicazione del comma appena richiamato) in relazione agli effetti della fusione, si rendano inadempienti ai loro doveri di verifica delle scritture contabili e di controllo dei bilanci (art. 2409-sexies c.c., nuovo testo) [nota 129].

Infine, per quanto riguarda gli esperti che danno il giudizio sulla ragionevolezza delle indicazioni contenute nella relazione degli amministratori, si tratta di responsabilità professionale verso la società, i soci ed i terzi, regolata secondo le norme comuni e secondo lo standard di diligenza previsto per i professionisti dal 2° comma dell'art. 1176 c.c. Anche in questo caso, come per i sindaci e gli amministratori, sembra doveroso segnalare il rischio che la violazione delle rispettive obbligazioni sia desunta, alquanto meccanicamente, dall'esito infausto del leveraged buy out, quando all'operazione faccia seguito il fallimento dell'impresa. Si tratterebbe peraltro di uno sviluppo assai poco augurabile, sia per l'evidente iniquità che in tal modo verrebbero a soffrire i singoli (che verrebbero condannati in base ad un ragionamento ex post sia per gli effetti perversi che si determinerebbero in pratica a livello di sistema giuridico in generale.

Leveraged buy out e scissione

L'art. 2501-bis non è richiamato dalle norme dettate in materia di scissione. Il mancato richiamo è stato spiegato da un Autore in base al rilievo apodittico che il leveraged buy out sarebbe estraneo alla struttura della scissione [nota 130].

Questo giudizio potrebbe tuttavia rivelarsi troppo drastico perché, nella scissione con trasferimento di (parte del) patrimonio sociale ad una società già costituita, la beneficiaria del trasferimento potrebbe benissimo essere una società che abbia in precedenza acquisito il controllo della società scissa ricorrendo alla leva finanziaria.

Dato per scontato che l'ipotesi non rientra nell'ambito di applicazione diretta dell'art. 2501-bis (che riguarda la fusione e non la scissione) e constatato che, in effetti, le disposizioni in tema di scissione non richiamano la norma sulla fusione di società il cui controllo sia stato acquisito con il ricorso all'indebitamento, sembra tuttavia che, almeno in certi casi, la dinamica degli interessi possa assumere sostanzialmente le stesse caratteristiche tanto in una scissione quanto nel merger leveraged buy out. Trasferendo parte del proprio patrimonio alla propria controllante, che si sia indebitata per acquisire tale controllo, i soci di minoranza ed i creditori della controllata restano esposti esattamente allo stesso tipo di rischio cui sarebbero esposti nell'ipotesi di merger leveraged buy out: vale a dire al rischio di essere gravati dell'onere finanziario contratto dall'acquirente per conseguire il controllo della target.

La questione è molto delicata e complessa: da un lato ritenere che la scissione (nelle condizioni descritte) sia esente dai controlli previsti nell'art. 2501-bis appare una soluzione irrazionale; dall'altro lato pare altrettanto irrazionale considerare l'operazione comunque contraria all'art. 2358 c.c. e all'art. 2474 c.c. La soluzione più efficiente sarebbe dunque quella, che appare in effetti preferibile, di estendere per analogia le regole dell'art. 2501-bis c.c. alle scissioni che presentino le stesse caratteristiche dei leveraged buy out dal punto di vista degli interessi tutelati. Certamente sarebbe stato meglio prevedere espressamente la fattispecie.


[nota 1] L'espressione leveraged buy out designa di per sé un'acquisizione totalitaria (to buy out significa «acquistare del tutto») avente ad oggetto un'azienda o il capitale di una società (detta target o «società bersaglio» o anche, come scrive il 5° comma dell'art. 2501-bis, «società obiettivo») da parte di una o più persone (per le quali, se l'acquisizione è "ostile", si utilizza il termine raider, vale a dire «predone»). Spesso per realizzare il buy out si utilizza una «società veicolo», costituita allo scopo, detta newco.

[nota 2] V. ad es. V. BARBA, Profili civilistici del leveraged buy out, Milano, 2003, p. 157.

[nota 3] Non basta che una delle società partecipanti alla fusione detenga una partecipazione nell'altra, per il cui acquisto si sia indebitata, salvo che al momento dell'acquisto la partecipazione di cui si tratta non fosse «di controllo». In altre parole la fusione ricade nell'ambito della disposizione anche se una delle società che vi prende parte detiene una partecipazione minoritaria nell'altra, se al momento dell'acquisto della partecipazione, questa era di controllo.

[nota 4] Nel senso che sia «applicabile la disposizione di cui all'art. 2359 c.c» si dichiara L.G. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», in Contratto e impresa, 2003, p. 1416. Questo A. ritiene peraltro che occorra valutare «se la fattispecie in esame trovi applicazione in tutti i casi ivi disciplinati» e risponde che, mentre la risposta è sicuramente affermativa nel caso del controllo di diritto, la questione sarebbe più complessa per il controllo di fatto che, secondo la (peraltro ovvia) valutazione dell'A., sarebbe rilevante nel quadro dell'art. 2501-bis solo se accertabile solo in base ad un giudizio ex ante.

[nota 5] Sul punto v. L. A. MISEROCCHI, La fusione, in Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli societari, a cura di S. Rossi, Milano, 2003, p. 381 (l'A. fa riferimento all'art. 2359 c.c., ma non cita il n. 3 del primo comma, cioè il controllo derivante «da dipendenza economica causata da vincoli contrattuali»).

[nota 6] L.G. PICONE, op. cit., p. 1417, che riferisce e condivide le opinioni di L. ARDIZZONE, Sub art.2501-bis, in Commentario della riforma delle società, a cura di P. Marchetti e L. A. Bianchi, Milano, 2006, p. 479. In effetti si può immaginare che siano contratti debiti anche per conseguire il controllo contrattuale di un'altra società: l'ipotesi è però talmente improbabile, che può essere tranquillamente scartata.

[nota 7] Sulla figura del controllo congiunto, nel senso della sua rilevanza «generale», v. M. LAMANDINI, Il «controllo»: nozioni e tipo nella legislazione economica, Milano, 1995, p. 145 e ss.; V. CARIELLO, "Controllo congiunto" e accordi parasociali, Milano, 1997, specie p. 124 e ss. In senso contrario P. MARCHETTI, «Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale», in Riv. soc., 1992, 12, p. 16; ID.; Sul controllo e sui poteri della controllante nei gruppi di società, in I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi in onore dei quarant'anni della Rivista delle Società, Venezia 16-17-18 novembre 1995, Milano, 1996, p. 1559; M.S. SPOLIDORO, «Il concetto di controllo nel codice civile e nel diritto antitrust», in Riv. soc., 1995, p. 487 ss.; M. NOTARI, La nozione di controllo nella disciplina antitrust, Milano, 1994, p. 270 e ss., p. 354 e ss., p. 405 e ss.; V. DONATIVI, «I "confini" del controllo congiunto», in Giur. comm., 1996, I, p. 553 e ss.; G. FRè-G. SBISA', Società per azioni [nota 6], in Commentario del codice civile Scialoja-Branca a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1997, p. 494 e ss. Sull'art. 93 D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, cfr. G. MUCCIARELLI, Commento all'art. 93, in La disciplina delle società quotate nel Testo Unico della Finanza (D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), a cura di P. Marchetti e L. Bianchi, Milano, 1999, vol. I, p. 61.

[nota 8] L.G. PICONE, op. cit., p. 1418; L. ARDIZZONE, op. cit., p. 478, ritiene che in linea di principio (e salvo che si dimostri frode alla legge) il controllo congiunto non rilevi.

[nota 9] In materia v. le ampie considerazioni di L.G. PICONE, op. cit., p. 1408 e ss.

[nota 10] L.G. PICONE, op. cit., p. 1409. Si vedranno tra poco i rischi di elusione della norma relativa ai merger leveraged but out derivanti dalla struttura della c.d. «doppia newco», struttura che presuppone l'indebitamento di un soggetto diverso da quello che acquisisce il controllo, al quale il soggetto indebitato fornisce le risorse finanziarie occorrenti tramite una sottoscrizione di capitale, con sopraprezzo.

[nota 11] Nel senso che non sia necessario che i finanziamenti siano specificamente destinati all'acquisto, in guisa di mutui di scopo, si v. per tutti L.G. PICONE, op. cit., p. 1408 e ss., p. 1411-1412. Sul punto si vedano però i dubbi di G. DE RUVO-L. OCCHETTA, La fusione di società, Milano, 2003, p. 77 e le critiche contenute nelle Osservazioni di Borsa Italiana SpA al progetto di riforma delle società non quotate (presentate il 2 dicembre 2002).

[nota 12] Ci si riferisce ad un motivo unilaterale dell'acquirente del controllo, che può anche essere non manifestato, ma deve comunque essere desumibile dalle circostanze del caso.

[nota 13] Cfr. V. SALAFIA, «Il "leveraged buy out" nella riforma societaria», in Le società, 2004, p. 936.

[nota 14] Plurimi accenni all'«anomalia» dell'indebitamento sono contenuti nello studio di Picone, già più volte citato (specie alle p. 1406 e ss., 1420 e ss.). Va messo in luce il fatto che, con la fusione, i soci di minoranza della società il cui controllo è stato acquisito vengono indirettamente a sopportare le conseguenze economiche dell'indebitamento contratto dal socio di maggioranza per acquistare il controllo. Questa è effettivamente un'anomalia, che tuttavia dovrebbe essere neutralizzata nel calcolo del rapporto di cambio.

[nota 15] La disposizione, come si vedrà, mira all'informazione dei creditori e dei soci.

[nota 16] Sarà forse utile ricordare che l'analogia dovrebbe riguardare singoli casi e non dar luogo a integrazioni generali ed astratte della norma. Sul piano della tecnica legislativa sembra comunque discutibile la scelta di legare la disciplina del merger leveraged buy out al dato finalistico della destinazione dei finanziamenti allo scopo dell'acquisto del controllo.

[nota 17] Così anche L.G. PICONE, op. cit., p. 1413. Picone osserva anche che il decorso di un breve lasso temporale fra assunzione di un finanziamento e acquisto della partecipazione di controllo costituisce di fatto un indizio nel senso che il finanziamento è effettivamente destinato allo scopo di permettere l'acquisto del controllo. L'A. riferisce infine (senza condividerla) l'opinione di coloro secondo i quali il decorso del tempo fra acquisto del controllo e la fusione sarebbe irrilevante ai fini dell'applicazione della norma solo purché acquisto e fusione facciano parte di un «disegno unitario»: la tesi peraltro non è convincente, dato che presuppone arbitrariamente che la legge richieda l'esistenza di una continuità di scopo fra acquisto e fusione, mentre la norma esige solo che l'indebitamento sia finalizzato all'acquisto, e non anche che l'acquisto sia finalizzato alla fusione.

[nota 18] L.G. PICONE, op. cit., p. 1414. Secondo G. DE RUVO-L. OCCHETTA, op. cit., p. 77, non sarebbe chiaro «se la norma sia applicabile solo se l'indebitamento abbia raggiunto un determinato livello ovvero quando sia stato comunque contratto, nell'acquisto del controllo, un debito».

[nota 19] L.G. PICONE, op. cit., p. 1419.

[nota 20] L.G. PICONE, op. cit., p. 1418.

[nota 21] L.G. PICONE, op. cit., p. 1420. Questa tesi è condivisa da L. ARDIZZONE, op. cit., p. 482 e ss.

[nota 22] Si pensi al caso in cui la società controllante si indebiti per effettuare un'offerta pubblica di acquisto totalitaria sul capitale della società controllata; oppure, nelle società «chiuse», per rilevare la quota di uno o più degli altri soci: in tema v. L.G. PICONE, op. cit., p. 1416.

[nota 23] L.G. PICONE, op. cit., p. 1416; S. CACCHI PESSANI- L.G. PICONE, «Le operazioni di leveraged recapitalization nella nuova disciplina dell'art. 2501-bis», in Le società, 2005, p. 29 obiettano che, se si ritiene esclusa dalla fattispecie l'ipotesi del consolidamento del controllo, si dovrebbe ammettere che sfugge alla disciplina il caso in cui sia stato ceduto il controllo intragruppo. Questo tentativo di reductio ad absurdum non pare tuttavia fondato. Infatti il caso in cui la controllante cede il pacchetto di controllo di una sua controllata ad una società che essa stessa controlla (cessione del controllo intragruppo) è assoggettato all'art. 2501-bis perché rientra direttamente nella fattispecie (vi è acquisto del controllo da parte di un soggetto che prima non lo deteneva): sul punto v. L. ARDIZZONE, op. cit., p. 480, che tuttavia ritiene (a torto) che si tratti di applicazione estensiva. Diversamente CARRIèRE, Sempre L. ARDIZZONE, op. cit., p. 479 ritiene che rientri nell'ambito di applicazione dell'art. 2501-bis anche il caso in cui la fusione sia preceduta da un passaggio dal controllo di fatto a quello di diritto. Nel senso del testo, M. BERNARDI, «Legittimità delle operazioni di leveraged buy out», in Diritto e pratica delle società, n. 9, p. 53.

[nota 24] Cfr. M. BERNARDI, op. cit., p. 49: «quanto poi al secondo aspetto, vale a dire quello della valenza da attribuirsi alla determinazione delle "obbligazioni" prevedibilmente soddisfacibili attraverso l'impiego delle "risorse finanziarie" enunciate, pare allo scrivente che la determinazione del predetto requisito di prevedibile soddisfacibilità debba effettuarsi avuto riguardo sia all'indebitamento corrente, quale riconducibile alle ordinarie esigenze dell'attività caratteristica della società risultante dalla fusione (attività che potrà essere, a sua volta, la sommatoria delle attività già condotte da target e dalla società acquirente, ove anche questa abbia una propria attività, ovvero la sola attività di target, ove l'acquisizione mediante indebitamento sia stata attuata da un veicolo societario - newco - creato con il fine specifico di attuare l'acquisizione stessa), sia alle passività a medio/lungo termine, aventi una propria naturale previsione di rimborso secondo tempistica predeterminata, incluso evidentemente tra queste l'indebitamento contratto da newco per il fine della realizzazione dell'acquisizione».

[nota 25] Cfr. P. CARRIèRE, «Le operazioni di "leveraged cash out": spunti critici», in Le società, 2005, p. 716.

[nota 26] S. CACCHI PESSANI,- L.G. PICONE, op. cit., p. 30. V. anche L. ARDIZZONE, op. cit. p. 480 e ss.

[nota 27] L'acquisto del controllo è infatti esplicitamente e chiaramente richiesto dalla legge come elemento imprescindibile della fattispecie. Altra cosa è stabilire se, malgrado l'acquisto del pacchetto di controllo, rimane immutato il soggetto che, indirettamente, controlla la società.

[nota 28] P. CARRIèRE, «Le operazioni di "leveraged cash out": spunti critici», cit., p. 720, pone in luce problemi relativi al trattamento contabile del disavanzo di fusione ed alla disciplina del divieto di restituzione dei conferimenti ai soci.

[nota 29] Sulla struttura delle due newco v. L.G. PICONE, op. cit., p. 1410, nota 53 e nota 54. Questa fattispecie viene prospettata, sia pure con diversa intenzione, anche da M. BERNARDI, op. cit., p. 52. La struttura in esame era venuta in auge quando, prima della riforma del 2003, alcune pronunce giurisprudenziali avevano ritenuto che il merger leveraged buy out costituisse violazione del divieto di assistenza finanziaria per l'acquisto di azioni proprie. Secondo P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario», in Riv. soc., 2003, p. 1049 e ss., il fatto che il legislatore non abbia considerato questa fattispecie la renderebbe più problematica ed esposta ad un potenziale contrasto con l'art. 2358 c.c. In tema vedi anche S. CACCHI PESSANI- L.G. PICONE, op. cit., p. 27 e ss. , che condividono, in pratica, l'opinione qui difesa, giudicandone però erronea la premessa, secondo la quale si tratterebbe di frode alla legge: per questi due autori si dovrebbe invece parlare di applicazione analogica dell'art. 2501-bis.

[nota 30] L.G. PICONE, op. cit., 1410, in nota.

[nota 31] La dottrina civilistica moderna ha più volte (e con ragione) richiamato l'attenzione sul fatto che la frode alla legge supera il confine della figura del contratto e che la sua portata è quella di una «clausola generale»: sicchè «la sanzione della frode è soprattutto l'inefficacia del procedimento impiegato per mettere in scacco la norma elusa: la norma si applicherà quindi ugualmente» [cfr.A. MORELLO, Frode alla legge, in Dig. disc. priv. (sez. civ.) [nota 4], VIII, Torino, 1992, p. 504, che sintetizza i risultati già esposti in Frode alla legge, Milano, 1969; cfr. anche R. SACCO, in R. Sacco e G. De Nova, Obbligazioni e contratti, t. 2, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 2002, p. 412; V. ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2000, p. 409]. Nel senso del testo si pronuncia, ma solo «in via cautelativa» (e senza prospettare espressamente la figura della frode alla legge) L.G. PICONE, op. cit., p. 1411.

[nota 32] Sul problema dell'utilizzo di finanziamenti c.d. bridge alla società che acquista il controllo ed alla loro successiva trasformazione, dopo la fusione tra acquirente e target, in prestiti a medio-lungo termine garantiti da pegno o altre garanzie specifiche su cespiti appartenenti all'originario patrimonio della target, si vedano P. CARRIèRE, «Il leveraged financing…», cit., e M. BERNARDI, op. cit., p. 47, che mettono in evidenza la potenziale applicabilità dell'art. 2358 c.c. a questo tipo di operazione anche dopo la riforma del 2003.

[nota 33] V. infra il paragrafo "Conferma delle conclusioni raggiunte, anche alla luce dei principali ordinamenti europei" per alcuni riferimenti.

[nota 34] A. DOLMETTA, «Il merger leveraged buy out nella legge delega n. 366/2001: la target da SpA a Srl», in Corriere giuridico, 2002, p. 241.

[nota 35] A. DOLMETTA, op. loc. cit.

[nota 36] A. DOLMETTA, op. cit., p. 242.

[nota 37] A. DOLMETTA, op. cit., p. 240.

[nota 38] L. LAMBERTINI, in F. ABATE-A. DIMUNDO-L. LAMBERTINI-L. PANZANI-A. PATTI, Gruppi, trasformazione, fusione e scissione, scioglimento e liquidazione, società estere, in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003, p. 394.

[nota 39] M. PERRINO «La riforma della disciplina delle fusioni di società», in Riv. soc., 2003, p. 534 e ss. (a p. 536 la citazione, che evidenzia come, nella concezione dell'Autore, l'art. 2501-bis c.c., nuovo testo, ponga alcune condizioni da rispettare - sia in senso formale sia, come risulta dalle successive affermazioni del M. PERRINO e dalle sue esemplificazioni sia in senso sostanziale - affinché l'operazione sia sottratta al divieto di cui all'art. 2358 c.c.: e ciò «fino a quando non muterà la disciplina europea sul divieto di assistenza finanziaria all'acquisto delle proprie azioni di cui al citato art. 23 della seconda direttiva». Più in là di Perrino va F. MARABINI, «Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento: leveraged buy out legalizzato? », in Giur. it., 2006, p. 2002 e ss, in uno scritto singolarmente poco informato e poco argomentato, malgrado la sua notevole lunghezza, nel quale si sostiene che la fusione con indebitamento sarebbe disciplinata, ma non resa lecita, dall'art. 2501-bis, in quanto permarrebbe il contrasto con l'art. 2358 c.c.

[nota 40] P. SERRAO D'AQUINO, Commento all'art. 2501-bis c.c., in La riforma delle società, vol. 3, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, p. 427.

[nota 41] Come ad esempio opina A. DOLMETTA, op. cit., p. 241 e ss.

[nota 42] Sulla circostanza che il leveraged buy out possa dar luogo all'elusione di norme imperative diverse dal divieto di "assistenza finanziaria", rinvio (tra i non molti scritti in cui sia fatto accenno alla questione) a M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante nella controllata e leveraged buyout», in Le società, 2000, p. 86.

[nota 43] Cfr. P. SCHLESINGER, «Merger leveraged buy out e riforma societaria», in Corriere giur., 2003, p. 706; L. A. MISEROCCHI, op. cit., p. 381.

[nota 44] Sul punto, l'opinione dello P. SCHLESINGER è condivisa, con più che ampio svolgimento, da L.G. PICONE, op. cit., p. 1397 e ss. , nonché da V. BARBA, op. cit., p. 153, e da A. BUSANI, «Leveraged buy out», in Notariato, 2002, p. 512.

[nota 45] P. SCHLESINGER, op. cit., p. 706.

[nota 46] F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, vol. 29, Padova, 2003, p. 532.

[nota 47] G. B. PORTALE, «Dal capitale "assicurato" alle "tracking stocks"» in Riv. soc., 2002, p. 150, che (riferendosi all'art. 7 della legge di delega), rilevava però come la norma non sarebbe stata conforme alla direttiva se avesse voluto legittimare, «con illimitata permessività» tutti i leveraged buy out.

[nota 48] F. DI SABATO, Diritto delle società, Milano, 2003, p. 477, che correttamente parla di una «deroga alle ordinarie regole poste per le fusioni in cui non vi è uno specifico indebitamento», e non di una (supposta) deroga all'art. 2358 c.c.

[nota 49] F. GUERRERA, Trasformazione, fusione e scissione, in N. Abriani e altri, Diritto delle società di capitali. Manuale breve, Milano, 2003, p. 326.

[nota 50] ASSOCIAZIONE D. PREITE, Il nuovo diritto delle società, a cura di G. Olivieri, G. Presti e F.Vella, Bologna, 2003, p. 349.

[nota 51] D. U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, p. 261 e ss.

[nota 52] G. RACUGNO, «Operazioni sulle proprie partecipazioni nella nuova Srl», in Le società, n. 2/Bis, 2003, p. 376.

[nota 53] L. FABBRINI e P. CARRIèRE, «Le buone ragioni del leveraged buy out», in Il Sole-24 Ore, 10 Ottobre 2003, p. 28.

[nota 54] N. ABRIANI, Riforma societaria e nuovo diritto penale commerciale, in La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, a cura di Ambrosini, Torino, 2003, p. 226-228.

[nota 55] A. MORANO, «Il merger leveraged buy out alla luce del nuovo art. 2501-bis», in Le società, 2003, p. 952 e ss., specie p. 958: secondo l'A. la fusione, nel caso considerato, è lecita «e pienamente ammissibile, salvo il caso in cui si provi che la fattispecie è posta in essere allo scopo di eludere il divieto di cui all'art. 2358 c.c.».

[nota 56] L.G. PICONE, op. cit., p. 1397 e ss.

[nota 57] P. MONTALENTI, La riforma del diritto societario: profili generali, in La riforma del diritto societario, cit. nella precedente nota 51. Di questo A. si segnala la soddisfatta constatazione che «il legislatore civile risolve ora la questione accogliendo la soluzione che a suo tempo ebbi a prospettare e che già fu accolta dalla giurisprudenza milanese» (si vedano infatti, sia pure con qualche sfumatura, oggi non più riproposta dall'A., i seguenti contributi dello stesso: P. MONTALENTI, Frode alla legge e diritto societario: il leveraged buy out, in Persona giuridica, Gruppi di società, corporate governance, Padova, 1999, p. 57; ID., «Leveraged buy out: una sentenza chiarificatrice», in Giur. it., 1999, p. 2107, nota a Trib. Milano, 13 maggio 1999, sentenza "Trenno").

[nota 58] Cfr. L.G. PICONE, op. cit., p. 1404, secondo il quale la mancata osservanza delle prescrizioni dell'art. 2501-bis c.c. determina l'invalidità delle delibera per vizio di procedimento e non nullità per violazione dell'art. 2358 c.c.

[nota 59] Fra le poche prese di posizione in argomento si veda anzitutto F. GALGANO, op. cit., p. 532: «Il mancato o il negligente, imprudente, imperito rispetto di queste condizioni [descritte nell'art. 2501-bis] esporrà gli amministratori delle due società alle responsabilità verso i soci o i terzi di cui all'art. 2504-quater c.c.». Alla responsabilità per danni accenna anche D.U. SANTOSUOSSO, op. cit., p. 264; più articolata (e non condivisibile, per le ragioni che verranno illustrate più avanti) appare la posizione di P. SERRAO D'AQUINO, op. cit., p. 427, già riportata integralmente nel testo del paragrafo "Dubbi sulla conciliabilità della nuova disciplina del merger leveraged buy out con il diritto societario europeo", secondo il quale prima dell'iscrizione dell'atto di fusione sarebbe possibile far valere la «nullità» della fusione, mentre dopo tale momento residuerebbe soltanto l'azione risarcitoria ex art. 2504-quater c.c., ferma restando la possibilità di far dichiarare la nullità dei negozi di finanziamento collegati alla operazione. Maggiormente equilibrate appaiono le considerazioni di F. GUERRERA, op. cit., p. 326 che correttamente scrive al riguardo che la nuova legge pone l'accento sulla fase procedimentale che precede la delibera di fusione: «al fine di agevolare, per un verso, l'esercizio del diritto di voto e del diritto di impugnazione della deliberazione assembleare, da parte dei soci; per altro verso, l'esercizio del diritto di opposizione (art. 2503), da parte dei creditori sociali». Considerazioni, queste, che completerei aggiungendo che l'informazione fornita nei documenti c.d. preassembleari consente anche di segnare il campo entro il quale potranno aver luogo valutazioni funzionali ad un eventuale accertamento delle responsabilità degli amministratori, dei soci di controllo, della capogruppo. Cfr. anche L.G. PICONE, op. cit., p. 1404.

[nota 60] Mi sembrano nello stesso senso, implicitamente, A. MORANO, op. cit., p. 758; ed anche L. FABBRINI e CARRIèRE, op. cit., p. 28, che giustamente contrappongono l'onere "procedurale" di informazione e trasparenza, posto in capo agli amministratori, al «giudizio di merito», che riguarda «non già la fusione in sè», ma si riferisce «all'operazione, per tale dovendosi allora intendere la complessiva operazione di merger leveraged buy out che si dipana attraverso la sequenza "indebitamento-acquisto-fusione-rimborso"».

[nota 61] M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante…», cit., p. 84-87. Rilevo che le interpretazioni dottrinali dell'art. 2501-bis, nuovo testo, c.c. riassunte nel precedente paragrafo "Dubbi sulla conciliabilità della nuova disciplina del merger leveraged buy out con il diritto societario europeo", sono testimonianza dell'esattezza della mia previsione (op. cit., p. 83): con la sentenza "Trenno" al Trib. Milano 13 maggio 1999 (cit. supra) ci sarebbe stato il rischio di trasformare il controllo anti-elusione (che deve essere sempre possibile, dato il carattere residuale della previsione del divieto di frode alla legge) con la verifica a priori dell'esistenza, e poi della ragionevolezza (validità, lungimiranza eccetera), di motivazioni economiche ed industriali spesso incerte per loro propria natura.

[nota 62] Il che rende a mio avviso inaccettabile la condanna dell'asset leveraged buy out posta al centro del libro di V. BARBA, op. cit., passim, ma specie p. 131 e ss. e, con riferimento al nuovo art. 2501-bis c.c., p. 156 e ss.

[nota 63] Dati di A. GERVASONI, Newsletter A.I.F.I. - Speciale LBO, 2003; L.G. PICONE, op. cit., p. 1394, segnala anche DEL GIUDICE, DONADONIBUS, MORGHEN, Il mercato italiano dei leveraged buy out nel 2002, Ricerca a cura dell'Università Carlo Cattaneo- LIUCC, Castellana, giugno 2003. Da notare che in Europa, soprattutto per ragioni fiscali, è molto meno frequente che (come invece è accaduto quasi sempre in Italia) il leveraged buy out si concludesse con una fusione (e cioè assumesse la forma del merger leveraged buy out): in argomento v. anche infra il § 5.

[nota 64] G. MORSE, «Financial assistance by a company for the purchase of its own shares», in Journal of business law, 1993, p. 105 e ss.

[nota 65] A. DOLMETTA, op. cit., p. 241.

[nota 66] Così G. PARTESOTTI, Le operazioni sulle azioni, in Trattato delle SpA, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 2, Torino, 1991, p. 489; M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante…», cit., p. 86; e da ultimo (anche se spesso con svolgimenti non persuasivi) V. BARBA, op. cit., passim (che finisce per distinguere troppo recisamente due fattispecie di buy out, quello «bilaterale» - senza partecipazione della target - sempre lecito, e quello trilaterale - con partecipazione della target, e quindi con la «fusione» - che sarebbe solo parzialmente «salvato» dall'art. 7 della legge di delega (L. 3 ottobre 2001, n. 366) . La replica di A. DOLMETTA, op. cit., p. 241 - e già accennata in A. GOMMELLINI, «Le operazioni di leveraged buy out di fronte al diritto italiano delle società», in Riv. dir. comm., 1989, I, p. 166 - secondo il quale «così si introducono delle disparità di trattamento per nulla giustificate» non considera che la disparità di trattamento deriva dal fatto che, se manca una volontà della target di assistere finanziariamente il soggetto acquirente, manca anche una condotta (della target) che rientri nella fattispecie dell'art. 2358 c.c.

[nota 67] M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante…», cit., p. 85-86. Nello stesso senso E. CIVERRA, Le operazioni di fusione e scissione, Milano, 2003, p. 158.

[nota 68] M. S. SPOLIDORO, op. cit., 86. Cfr. anche L.G. PICONE, op. cit., p. 1394 (ma questo A. concentra la sua attenzione soprattutto sull'anomalia del debito contratto dalla società acquirente rispetto alla normale gestione della società acquisita, sul cui patrimonio esso finirebbe per gravare in conseguenza della fusione).

[nota 69] F. GUERRERA, op. cit., p. 326; v. anche E. CIVERRA, op. cit., p. 160; L.G. PICONE, op. cit., p. 1407, nota 43.

[nota 70] J.-P. BERTREL e M. JEANTIN, Acquisitions et fusions des sociétés commerciales, Paris, 1989, § 401, p. 188, nt. 70.

[nota 71] Nel senso che la fusione - diretta o inversa - non sarebbe di per sé in contrasto con alcuna norma , ma che essa può comportare frodi o abuso di potere o infedeltà patrimoniale, v. B. MERCADAL et E. JANIN, Sociétés commerciales, Francis Lefebvre, Paris, 2002, n. 25550-25558, p. 1113 e ss.; si vedano anche G. RIPERT-R. ROBLOT, Traité de droit commercial [nota 18], sous la direction de M. Germain, t. 1, vol. 2, Paris, 2002, § 2000, p. 671; A. VIANDIER, «L'article 217-9 de la loi du 24 juillet 1966 et les rachats d'entreprise», in La sem. jur., 1990, éd. G n° 50, p. 3476.

[nota 72] P. MONTALENTI, La riforma del diritto societario: profili generali, in La riforma del diritto societario, cit. nella precedente nota 51. Di questo A. si segnala la soddisfatta constatazione che «il legislatore civile risolve ora la questione accogliendo la soluzione che a suo tempo ebbi a prospettare e che già fu accolta dalla giurisprudenza milanese» (si vedano infatti, sia pure con qualche sfumatura, oggi non più riproposta dall'A., i seguenti contributi dello stesso: P. MONTALENTI, Frode alla legge e diritto societario: il leveraged buy out, in Persona giuridica, Gruppi di società, corporate governance, Padova, 1999, p. 57; ID., «Leveraged buy out: una sentenza chiarificatrice», in Giur. it., 1999, p. 2107, nota a Trib. Milano, 13 maggio 1999, sentenza "Trenno").

[nota 73] Cfr. L.G. PICONE, op. cit., p. 1404, secondo il quale la mancata osservanza delle prescrizioni dell'art. 2501-bis c.c. determina l'invalidità delle delibera per vizio di procedimento e non nullità per violazione dell'art. 2358 c.c.

[nota 74] Fra le poche prese di posizione in argomento si veda anzitutto F. GALGANO, op. cit., p. 532: «il mancato o il negligente, imprudente, imperito rispetto di queste condizioni [descritte nell'art. 2501-bis] esporrà gli amministratori delle due società alle responsabilità verso i soci o i terzi di cui all'art. 2504-quater c.c.». Alla responsabilità per danni accenna anche D.U. SANTOSUOSSO, op. cit., p. 264; più articolata (e non condivisibile, per le ragioni che verranno illustrate più avanti) appare la posizione di P. SERRAO D'AQUINO, op. cit., p. 427, già riportata integralmente nel testo del paragrafo "Dubbi sulla conciliabilità della nuova disciplina del merger leveraged buy out con il diritto societario europeo", secondo il quale prima dell'iscrizione dell'atto di fusione sarebbe possibile far valere la «nullità» della fusione, mentre dopo tale momento residuerebbe soltanto l'azione risarcitoria ex art. 2504-quater c.c., ferma restando la possibilità di far dichiarare la nullità dei negozi di finanziamento collegati alla operazione. Maggiormente equilibrate appaiono le considerazioni di F. GUERRERA, op. cit., p. 326 che correttamente scrive al riguardo che la nuova legge pone l'accento sulla fase procedimentale che precede la delibera di fusione: «al fine di agevolare, per un verso, l'esercizio del diritto di voto e del diritto di impugnazione della deliberazione assembleare, da parte dei soci; per altro verso, l'esercizio del diritto di opposizione (art. 2503), da parte dei creditori sociali». Considerazioni, queste, che completerei aggiungendo che l'informazione fornita nei documenti c.d. preassembleari consente anche di segnare il campo entro il quale potranno aver luogo valutazioni funzionali ad un eventuale accertamento delle responsabilità degli amministratori, dei soci di controllo, della capogruppo. Cfr. anche L.G. PICONE, op. cit., p. 1404.

[nota 75] Mi sembrano nello stesso senso, implicitamente, A. MORANO, op. cit., p. 758; ed anche L. FABBRINI e CARRIèRE, op. cit., p. 28, che giustamente contrappongono l'onere "procedurale" di informazione e trasparenza, posto in capo agli amministratori, al «giudizio di merito», che riguarda «non già la fusione in sè», ma si riferisce «all'operazione, per tale dovendosi allora intendere la complessiva operazione di merger leveraged buy out che si dipana attraverso la sequenza "indebitamento-acquisto-fusione-rimborso"».

[nota 76] M. S. SPOLIDORO, «Incorporazione della control-lante…», cit., p. 84-87. Rilevo che le interpretazioni dottrinali dell'art. 2501-bis, nuovo testo, c.c. riassunte nel precedente paragrafo "Dubbi sulla conciliabilità della nuova disciplina del merger leveraged buy out con il diritto societario europeo" sono testimonianza dell'esattezza della mia previsione (op. cit., p. 83): con la sentenza "Trenno" del Trib. Milano 13 maggio 1999 (cit. supra) ci sarebbe stato il rischio di trasformare il controllo anti-elusione (che deve essere sempre possibile, dato il carattere residuale della previsione del divieto di frode alla legge) con la verifica a priori dell'esistenza, e poi della ragionevolezza (validità, lungimiranza eccetera), di motivazioni economiche ed industriali spesso incerte per loro propria natura.

[nota 77] Il che rende a mio avviso inaccettabile la condanna dell'asset leveraged buy out posta al centro del libro di V. BARBA, op. cit., passim, ma specie p. 131 e ss. e, con riferimento al nuovo art. 2501-bis c.c., p. 156 e ss.

[nota 78] Dati di A. GERVASONI, Newsletter A.I.F.I. - Speciale LBO, 2003; L.G. PICONE, op. cit., p. 1394, segnala anche DEL GIUDICE, DONADONIBUS, MORGHEN, Il mercato italiano dei leveraged buy out nel 2002, Ricerca a cura dell'Università Carlo Cattaneo- LIUCC, Castellana, giugno 2003. Da notare che in Europa, soprattutto per ragioni fiscali, è molto meno frequente che (come invece è accaduto quasi sempre in Italia) il leveraged buy out si concludesse con una fusione (e cioè assumesse la forma del merger leveraged buy out): in argomento v. anche infra il § 5.

[nota 79] G. MORSE, «Financial assistance by a company for the purchase of its own shares», in Journal of business law, 1993, p. 105 e ss.

[nota 80] A. DOLMETTA, op. cit., p. 241.

[nota 81] Così G. PARTESOTTI, Le operazioni sulle azioni, in Trattato delle SpA, diretto da G.E- Colombo e G.B. Portale, vol. 2, Torino, 1991, p. 489; M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante…», cit., p. 86; e da ultimo (anche se spesso con svolgimenti non persuasivi) V. BARBA, op. cit., passim (che finisce per distinguere troppo recisamente due fattispecie di buy out, quello «bilaterale» - senza partecipazione della target - sempre lecito, e quello trilaterale - con partecipazione della target, e quindi con la «fusione» - che sarebbe solo parzialmente «salvato» dall'art. 7 della legge di delega (L. 3 ottobre 2001, n. 366) . La replica di A. DOLMETTA, op. cit., p. 241 - e già accennata in A. GOMMELLINI, «Le operazioni di leveraged buy out di fronte al diritto italiano delle società», in Riv. dir. comm., 1989, I, p. 166 - secondo il quale «così si introducono delle disparità di trattamento per nulla giustificate» non considera che la disparità di trattamento deriva dal fatto che, se manca una volontà della target di assistere finanziariamente il soggetto acquirente, manca anche una condotta (della target) che rientri nella fattispecie dell'art. 2358 c.c.

[nota 82] M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della control-lante…», cit., p. 85-86. Nello stesso senso E. CIVERRA, Le operazioni di fusione e scissione, Milano, 2003, p. 158.

[nota 83] M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 86. Cfr. anche L.G. PICONE, op. cit., p. 1394 (ma questo A. concentra la sua attenzione soprattutto sull'anomalia del debito contratto dalla società acquirente rispetto alla normale gestione della società acquisita, sul cui patrimonio esso finirebbe per gravare in conseguenza della fusione).

[nota 84] F. GUERRERA, op. cit., p. 326; v. anche E. CIVERRA, op. cit., p. 160; L.G. PICONE, op. cit., p. 1407, nota 43, che si spinge un po' troppo in là quando dice addirittura che «di regola le operazioni di merger leveraged buy out sono precedute da un'attenta analisi di impatto del debito contratto dall'acquirente sull'attività della società target: chi finanzia l'operazione ottiene un preventivo comfort sulla sostenibilità dell'indebitamento. Finalità della norma sembra essere, appunto, quella di rendere note tali informazioni, di natura imprenditoriale e finanziaria, a tutti i soci e i creditori delle società partecipanti alla fusione, così eliminando la suddetta asimmetria informativa». In realtà la disciplina attenua (non annulla) la disparità fra le banche e gli altri creditori ed i soci, ai quali non è affatto data la facoltà di avere accesso agli studi preparatori della fusione, e che possono comunque contare sul rispetto della procedura prevista dalla legge anche se questi studi preparatori non esistessero.

[nota 85] J.-P. BERTREL e M. JEANTIN, Acquisitions et fusions des sociétés commerciales, Paris, 1989, § 401, p. 188, nt. 70.

[nota 86] Nel senso che la fusione - diretta o inversa - non sarebbe di per sé in contrasto con alcuna norma , ma che essa può comportare frodi o abuso di potere o infedeltà patrimoniale, v. B. MERCADAL et E. JANIN, Sociétés commerciales, Francis Lefebvre, Paris, 2002, n. 25550-25558, p. 1113 e ss.; si vedano anche G. RIPERT-R. ROBLOT, Traité de droit commercial [nota 18], sous la direction de M. Germain, t. 1, vol. 2, Paris, 2002, § 2000, p. 671; A. VIANDIER, «L'article 217-9 de la loi du 24 juillet 1966 et les rachats d'entreprise», in La sem. jur., 1990, éd. G n° 50, 3476, p. 47 e ss; H. de FEYDEAU, «Fusions et acquisition. L'aggressivité financière présente-t-elle des risques sur les plans juridique et fiscal?», in Banque et Droit, 1989, p. 119 e ss.; M. JEANTIN, «Note a Cass. 15 nov. 1994», in Rev. soc., 1995, p. 66 e ss. Altre citazioni in M. C. FERNÁNDEZ FERNÁNDEZ, «La prohibición de asistencia financiera para la adquisición de las propias acciones como obstacúlo a ciertas compras apalancadas de empresas, o leveraged buy-out»s, in Rev. der. merc., 1999, p. 599 e ss.

[nota 87] A. J. RECALDE CASTELLS, Operazioni sulle proprie azioni, in Armonie e disarmonie nel diritto comunitario delle società di capitali, a cura di G. F. Campobasso, t. 1, Milano, 2003, p. 565, che si appoggia a R. BAYONA GIMéNEZ, La prohibición de asistencia financiera para la adquisición de acciones propias, Pamplona, 2002, p. 307; mentre nel senso dell'illiceità si esprime M. C. FERNÁNDEZ FERNÁNDEZ, op. cit., p. 577, specie p. 630 e ss. Ancora diversamente A. AURIOLES MARTÍN, «Los leveraged buy out y su integración en el derecho español de Sociedades Anónimas», in RDBB, 1993, p. 675 (che propone, caso per caso un'interpretazione estensiva della legge). Si noti che A. J. RECALDE CASTELLS, op. cit., p. 565, nota 93, cita con approvazione la tesi (del R. BAYONA GIMéNEZ, op. cit., p. 312), secondo cui il divieto di assistenza finanziaria all'acquisto delle azioni proprie non verrebbe in considerazione quando il «risultato» (o «effetto») di garanzia sarebbe solo incidental alla fusione o alla ristrutturazione dell'impresa: nello stesso senso, come si dice subito dopo nel testo, si esprimono anche alcuni Autori inglesi.

[nota 88] Ad es. Charlesworth & Morse Company Law [nota 14], ed. by G. Morse, London, 1991, p. 220; R.R. PENNINGTON, Company Law [nota 8], London, 2001, p. 449; v. anche le considerazioni critiche di P.L. DAVIES, Gower's Principles of Modern Company Law [nota 6], London, 1997, p. 263 e ss. Il divieto è stato introdotto nell'ordinamento inglese nel 1928 (Companies Act 1928) e di qui, dopo esser stato confermato nel Companies Act del 1929 e nelle leggi inglesi successive, si è diffuso in Europa ed è "passato" nella seconda direttiva: sulla storia della norma in Inghilterra e sulla sua attuale formulazione ed interpretazione, v. B. POZZO, L'acquisto di azioni proprie. La storia di un problema in un'analisi di diritto comparato, Milano, 2003, p. 130 e ss., p. 288 e ss. (ove anche una sia pur sintetica descrizione delle eccezioni al divieto: purpose exception, authorised transactions exception e public companies exception).

[nota 89] Come rilevano H. FLEISCHER, «Finanzielle Unterstutzung des Aktiennerwerbs un Leveraged Buy Out», in AG, 1996, p. 504; e D. PREITE, «I merger leveraged buy outs e gli artt. 2357 e 2358 c.c.», in Giur. comm., 1993, II, p. 120, nt. 40 (ove correzioni a contrarie affermazioni, inesatte, del Montalenti).

[nota 90] D. PREITE, op. cit., p. 121, nella nt. 40.

[nota 91] R.R. PENNINGTON, op. cit., p. 451.

[nota 92] A. DOLMETTA, op. cit., p. 244.

[nota 93] Si pensi che uno dei più autorevoli e diffusi manuali tedeschi di diritto societario (K. SCHMIDT, Gesellschaftsrecht [nota 4], Köln, Berlin, Bonn, München, 2002) non si sofferma sulla questione e dedica solo due distratti cenni al management buy out (occupandosi peraltro di ipotesi in cui non si attua la fusione).

[nota 94] Che notoriamente gioca un ruolo essenziale anche in Francia (cfr. J.-P. BERTREL e M. JEANTIN, op. cit., p. 188, nt. 70) e ovviamente in Italia.

[nota 95] V. H. FLEISCHER, op. cit., p. 500 e ss.

[nota 96] Citazioni in H. FLEISCHER, op. cit., p. 500.

[nota 97] Riprendo qui le conclusioni di G. B. PORTALE, «Dal capitale "assicurato"…», cit., p. 150.

[nota 98] Se fosse così, avrebbero indubbiamente ragione coloro che (come il Dolmetta, il Lambertini ed il Perrino) pensano ad un'illegittimità della norma in quanto contraria all'art. 23, 1° e 2° comma, della seconda direttiva europea.

[nota 99] Sul punto si veda F. GUERRERA, op. cit., p. 326; conf. anche M. PERRINO, op. cit., p. 536; L.G. PICONE, op. cit., p. 1407, nota 43; ed E. CIVERRA, op. cit., p. 160.

[nota 100] In dottrina è stato notato (anche se probabilmente si tratta di un rilievo del tutto ovvio) che la disciplina dell'art. 2501-bis c.c. integra e non sostituisce quella valevole in generale per le fusioni: L.G. PICONE, op. cit., p. 1422.

[nota 101] La parola «una», che nel testo è scritta fra parentesi quadre, è stata aggiunta dal c.d. decreto correttivo, vale a dire dal D.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.

[nota 102] P. SERRAO D'AQUINO, op. cit., p. 427; A. MORANO, op. cit., p. 958; contra, sembrerebbe, L. LAMBERTINI, op. cit., p. 394 (secondo il quale «le condizioni poste dal legislatore si riferiscono esclusivamente al procedimento che si conclude con la fusione e sono pertanto condizioni formali che non affrontano il problema centrale costituito intorno al LBO: la sua compatibilità con l'art. 2358 c.c.»).

[nota 103] La norma è criticata da E. CIVERRA, op. cit., p. 160, secondo il quale essa avrebbe creato inutili appesantimenti burocratici, senza sostanziali benefici per gli interessi delle parti coinvolte e dei terzi.

[nota 104] Su questo v. specialmente L.G. PICONE, op. cit., p. 1429; M. BERNARDI, op. cit., p. 50; L. FABBRINI e P. CARRIèRE, op. cit., p. 28. V. anche G. DE RUVO - L. OCCHETTA, op. cit., p. 77.

[nota 105] V. particolarmente M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante…», cit., p. 83.

[nota 106] M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante…», cit., p. 83-87.

[nota 107] L. FABBRINI e P. CARRIèRE, op. cit., p. 28; conf. L.G. PICONE, op. cit., p. 1425 e ss.; E. CIVERRA, op. cit., p. 160-161; e ampiamente M. BERNARDI, op. cit., p. 50-53. Sul fatto che, con il nuovo art. 2501-bis c.c., non ci sia più dubbio sulla legittimità della fusione, in sé, fra società di cui una si è indebitata per acquisire il controllo dell'altra, v. fra gli altri L. A. MISEROCCHI, op. cit., p. 381.

[nota 108] Sul significato di «risorse finanziarie» e di fonti delle «risorse finanziarie» si sofferma ampiamente L.G. PICONE, op. cit., p. 1422-1424 e p. 1430-1433.

[nota 109] E. CIVERRA, op. cit.,p. 161.

[nota 110] L.G. PICONE, op. cit., p. 1424 esattamente esclude che possano includersi fra le fonti del rimborso i rifinanziamenti o le emissioni di titoli obbligazionari (contra, su questo ultimo punto, M. BERNARDI, op. cit., p. 49).

[nota 111] Cfr. i cenni di M. PERRINO, op. cit., p. 534; e di G. DE RUVO, «Leveraged buy out e prospettive di riforma», in Impresa c.i., 2002, p. 1787. V. anche G. DE RUVO-L. OCCHETTA, op. cit., p. 78.

[nota 112] L. FABBRINI e P. CARRIèRE, op. cit., p. 28; E. CIVERRA, op. cit., p. 160.

[nota 113] Nello stesso senso, sostanzialmente, L.G. PICONE, op. cit., p. 1425-1434 . Questo A., a p. 1433, precisa ulteriormente che «gli amministratori dovranno indicare gli obiettivi dell'intera operazione; tali non devono intendersi gli obiettivi propri dell'acquirente (cioè gli obiettivi che egli intende realizzare con l'acquisizione, bensì gli obiettivi di carattere imprenditoriale che, nonostante l'indebitamento derivante dalla fusione, la società potrà raggiungere».

[nota 114] Nel senso che la norma deve leggersi nel senso della necessità di allegare «la relazione della società di revisione», v. L. LAMBERTINI, op. cit., p. 392; E. CIVERRA, op. cit., p. 160; G. DE RUVO-L. OCCHETTA, op. cit., p. 78; D.U. SANTOSUOSSO, op. cit., p. 263; e M. PERRINO, op. cit., p. 533. Riportano le parole originarie della legge, senza articolo, A. MORANO, op. cit., p. 958; e M. BERNARDI, op. cit., p. 53.

[nota 115] La relazione al decreto correttivo afferma semplicemente che si sarebbe trattato di un mero intervento di «drafting» (sic!).

[nota 116] A. MORANO, op. cit., p. 958.

[nota 117] M. BERNARDI, op. cit., p. 53.

[nota 118] Cfr. L. LAMBERTINI, op. cit., p. 392.

[nota 119] Per un catalogo di società soggette alla revisione contabile obbligatoria prima della riforma del 2003, v. G. E. COLOMBO, Sub art. 155, in Testo Unico della Finanza, Commentario diretto da G. F.Campobasso, Torino, 2002, vol. II, p. 1286 e ss.

[nota 120] Così anche L.G. PICONE, op. cit., p. 1446 e ss. (che cita in senso conforme Ardizzone).

[nota 121] L.A. MISEROCCHI, op. cit., p. 383.

[nota 122] A. MORANO, op. cit., p. 958.

[nota 123] E. BELLEZZA, nella Newsletter Aifi «Speciale LBO», 2003, e nella Circolare Aifi n. 11/2003.

[nota 124] Come ho dimostrato in M. S. SPOLIDORO, «Effetti patrimoniali e rappresentazione contabile della fusione inversa», in Le società, 2000, p. 333 e ss.

[nota 125] Conforme al testo M. BERNARDI, op. cit., p. 48; L.G. PICONE, op. cit., p. 1397, nota 20 (dove l'A. sostiene che il riferimento agli artt. 2357 e 2357-quater c.c. nell'art. 7 della legge delega della riforma del diritto delle società di capitali serviva appunto a rendere chiara la legittimità anche delle fusioni inverse nel quadro delle fusioni con indebitamento) e p. 1408. In Francia, espressamente, B. MERCADAL et E JANIN, op. cit., n. 25558, p. 1115.

[nota 126] Principio riconosciuto, fra gli altri, dal A. DOLMETTA, op. cit., p. 241 e assolutamente incontestabile all'interno del "tipo legislativo" della fusione "per incorporazione".

[nota 127] L. A. MISEROCCHI, op. cit., p. 382.

[nota 128] Cfr. L.G. PICONE, op. cit., p. 1450. A p. 1449 l'A. ammette anche che il conservatore del Registro delle Imprese possa rifiutare l'iscrizione del progetto quando dalla documentazione risulti palese la violazione dell'art. 2501-bis c.c.: ipotesi per la verità non molto verosimile, ma neanche del tutto impossibile.

[nota 129] Per esempio, nessun pericolo può sorgere per i soci ed il mercato se le società che realizzano la fusione sono rispettivamente la controllata totalitaria e la sua unica socia.

[nota 130] Per un'esauriente illustrazione del piano finanziario da predisporre ed inserire nella relazione degli amministratori si può rinviare alla trattazione di L.G. PICONE, op. cit., p. 1429-1433, specie nota 107.

[nota 131] V. M. BERNARDI, op. cit., p. 48; A. MORANO, op. cit., p. 948.

[nota 132] Si noti che testualmente il progetto di fusione (ai sensi del 2° comma dell'art. 2501-bis, nuovo testo, c.c.) «deve indicare le risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni [vale a dire di tutte le obbligazioni: nostra nota] della società risultante dalla fusione».

[nota 133] M. BERNARDI, op. cit., p. 48.

[nota 134] M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante…», cit., p. 86.

[nota 135] Si veda sul punto M. BERNARDI, op. cit., p. 48: l'A. constata che l'art. 2501-bis c.c. si applica all'acquisto del controllo (e non richiede che l'intero capitale della target sia passato all'acquirente). In base a ciò conclude che la legge implicitamente esclude che, rispetto alla delibera di fusione tra acquirente e target, l'acquirente sia di per sé in conflitto d'interessi.

[nota 136] L.G. PICONE, op. cit., p. 1446 e ss.

[nota 137] P. SERRAO D'AQUINO, op. cit., p. 427; A. MORANO, op. cit., p. 958.

[nota 138] Sugli aspetti penalistici v. due interessanti Relazioni di G. IANNACCONE per Aifi (che ho consultato grazie alla cortesia dell'A.). Iannaccone contrasta l'opinione diffusa secondo cui il merger leveraged buy out non incontra più ostacoli di carattere penalistico. Prospetta, in taluni casi, la violazione dell'art. 2634 c.c. (infedeltà patrimoniale) o quella dell'art. 2629 c.c. (abuso di beni sociali); rileva che potrebbe ricorrere, con l'insolvenza, la bancarotta fraudolenta di cui l'art. 223, comma 2°, n. 1 e n. 2 L. fall. Conclude però che il rispetto formale e sostanziale dell'art. 2501-bis c.c. impedisce l'applicazione delle norme penalistiche sopra richiamate in base al principio che «l'antigiuridicità viene meno se una norma diversa da quella incriminatrice facoltizza o impone quel medesimo fatto che costituirebbe reato». F. MUCCIARELLI, La tutela penale del capitale sociale e delle riserve obbligatorie per legge, in Il nuovo diritto penale delle società, a cura di A. Alessandri, Milano 2003, p. 328, si pronuncia nel senso che «l'incriminazione dell'art. 2629 c.c. potrà eventualmente trovare applicazione nei casi di leveraged buy out soltanto se la fusione implichi un danno effettivo per i creditori come conseguenza della fusione e sempre che sia possibile dimostrare che le operazioni poste in essere dai soggetti qualificati siano state realizzate in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, che è requisito costitutivo della fattispecie di incriminazione». Richiamano l'art. 2629 e prospettano la possibilità che possano giocare un ruolo anche i delitti di false comunicazioni sociali, ai sensi degli artt. 2621 e 262 c.c. G. DE RUVO-L. OCCHETTA, op. cit., p. 78-79; L.G. PICONE, op. cit., p. 1453. Nel senso che il merger leveraged buy out sarebbe stato sostanzialmente reso penalmente rilevante, v. ad es. G. RACUGNO, op. cit., p. 376, nt. 34; N. ABRIANI, op. cit., p. 226; M. PERRINO, op. cit., p. 536.

[nota 139] La non impugnabilità della fusione presuppone la pubblicazione, non che l'atto di fusione sia divenuto efficace ai sensi del 2° comma dell'art. 2504-bis c.c.

[nota 140] V. supra il paragrafo "Dubbi sulla conciliabilità della nuova disciplina del merger leveraged buy out con il diritto societario europeo", in fine.

[nota 141] P. SERRAO D'AQUINO, op. cit., p. 427.

[nota 142] Sulla questione e sulla tendenza della dottrina civilistica moderna a ritenere che la vera sanzione della frode alla legge sia l'applicazione della norma elusa, si vedano i riferimenti nella nota 26 supra.

[nota 143] M.S. SPOLIDORO, in A. SERRA-M.S. SPOLIDORO, Fusioni e scissioni, Torino, 1994, p. 173. Questa conclusione è oggi confermata dall'art. 2476, penultimo comma, c.c. (nuovo testo): come si dice più avanti nel testo, questa disposizione, dettata in tema di Srl, esprime un principio più generale, che sarebbe irragionevole non estendere alle società per azioni.

[nota 144] Per l'estensione della norma alle società per azioni, si v. M. RESCIGNO, «Eterogestione e responsabilità nella riforma societaria fra aperture e incertezze: una prima riflessione», in Le società, 2003, p. 335; SACCHI, «Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali», in Giur. comm., 2003, I, p. 661.

[nota 145] Sorprende che, da parte di alcuni interpreti solitamente assai attenti, si sia potuto scrivere che «la responsabilità dei revisori è disciplinata dall'art. 2409-sexies in modo sostanzialmente conforme a quella dei sindaci, con la specificazione che, in caso di società di revisione, rispondono in solido anche i soggetti che personalmente hanno effettuato il controllo contabile» (R. RORDORF, «Le società per azioni dopo la riforma: il sistema dei controlli», in Foro it., 2003, V, p. 192): orbene, mentre i sindaci rispondono in solido con gli amministratori «per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica» (art. 2407, 2° comma) per i revisori questa previsione non si applica, dato che la vigilanza sull'amministrazione non è materia rientrante nella competenza dei revisori. Per i revisori, inoltre, non vale la regola del terzo (ed ultimo) comma dell'art. 2407 c.c. secondo cui «all'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395 c.c.».

[nota 146] L.A. MISEROCCHI, La scissione, in Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, cit., p. 389: «L'art. 2501-bis non è richiamato e non c'entra».

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