La fusione post acquisizione con indebitamento nella disciplina del nuovo diritto societario
La fusione post acquisizione con indebitamento nella disciplina del nuovo diritto societario
di Federico Magliulo
Notaio in Roma

Generalità

L'introduzione della disciplina del leveraged buy out nel sistema codicistico

L'espressa previsione e disciplina del fenomeno del leveraged buy out, ribattezzato dalla nuova disciplina codicistica come "Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento", costituisce senza dubbio la più rilevante novità in tema di fusione introdotta dalla riforma.

Le ragioni dell'intervento del riformatore nella materia de qua trovano una chiara esposizione nella relazione ministeriale, ove si legge che «per quel che concerne le operazioni di leveraged buy out - relativamente alle quali la legge-delega (art. 7, comma 1, lett. d) demandava al legislatore delegato di «prevedere che le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli articoli 2357 e 2357-quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'articolo 2358 del codice civile» - si sono indicate le condizioni cui dette fusioni devono sottostare (art. 2501-bis)» [nota 1].

Nozione economica

Il leveraged buy out è un procedimento noto alla prassi internazionale delle acquisizioni.

Posto che si intenda acquisire il controllo di una società (detta società target), esso consiste nello sfruttare la leva finanziaria del patrimonio della società target per agevolarne l'acquisizione da parte di un terzo.

Una particolare applicazione di tale sistema è rappresentato dal merger leveraged buy out [nota 2], cui si riferisce la nuova norma, che prevede appunto l'utilizzo dell'istituto della fusione per attuare l'operazione di acquisizione [nota 3].

Il procedimento tipico di attuazione dell'operazione prevede:

1. la costituzione di una nuova società, normalmente non dotata di mezzi propri sufficienti a procedere all'acquisizione (detta newco);

2. la contrazione da parte della newco di un prestito, normalmente con un istituto bancario, finalizzato all'acquisizione del controllo di un'altra società (detta target), prospettando al creditore la ragionevole aspettativa di conseguire la restituzione del prestito sulla base del patrimonio o del cash flow di target e spesso garantito con pegno sulle quote della target;

3. l'acquisizione da parte di newco di tutto o parte del capitale sociale di target, così da assumerne il controllo;

4. la fusione tra newco e target, la quale, producendo la confusione dei patrimoni delle società fuse, fa sì che il debito contratto da newco per l'acquisizione venga a gravare sul patrimonio di target; non di rado, a fusione attuata, al pegno sulle quote di target viene sostituita una garanzia reale su beni già appartenenti al patrimonio di questa.

I vantaggi pratici del procedimento

L'operazione produce senza dubbio effetti vantaggiosi per il raider.

Ed invero, se il finanziamento finalizzato all'acquisizione è fornito da un terzo, si sfrutta a garanzia dello stesso proprio il patrimonio della società target, anziché, come normalmente dovrebbe accadere, quello, insufficiente, della newco.

Se invece il finanziamento è effettuato dagli stessi soci di newco, costoro acquisiscono la possibilità di ottenere dal patrimonio di target il rimborso delle somme utilizzate per l'acquisto, limitando il proprio rischio nell'investimento.

Se infatti questi avessero imputato i mezzi propri investiti nell'operazione a capitale sociale, essi non avrebbero potuto qualificarsi creditori della società, se non al momento dello scioglimento di questa, con il maturare della loro quota di liquidazione, la quale peraltro è postergata rispetto agli altri creditori sociali (arg. ex art. 2491 secondo comma c.c.) [nota 4].

Leveraged buy out e divieto di assistenza finanziaria nel sistema previgente

In passato, sotto il vigore del previgente sistema, si era discusso se l'operazione fosse lecita in relazione al possibile contrasto con il divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli artt. 2357 e 2357-quater c.c., e soprattutto con il divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'art. 2358 c.c.

Ma la dottrina prevalente sottolineava che nella specie non si verifica alcun caso di acquisto di azioni proprie né si accordano prestiti o si forniscono, da parte della società le cui quote vengono compravendute, garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, poiché al momento dell'acquisizione le due società rimangono distinte e solo in un momento successivo se ne verifica la fusione [nota 5].

In altre parole al momento dell'acquisizione delle quote della società target questa non presta alcuna assistenza finanziaria ed anzi essa è vittima piuttosto che artefice dell'operazione.

L'assunzione dei debiti della newco in capo alla target si produce quando ormai l'acquisizione si è già verificata, come effetto legale della fusione, e pertanto essa non costituisce una garanzia in senso tecnico-giuridico, ma solo in senso economico.

La pratica semmai può essere commendevole sul pano etico poichè essa può condurre alla acquisizione di una società in assenza di risorse proprie, gravando di debiti la società target, sulla base di un intento meramente speculativo. Ma tali considerazioni etiche, in assenza di una norma che ne recepisse le finalità, non potevano di per sé escludere la liceità dell'operazione.

Altra parte della dottrina riteneva che l'operazione integrasse gli estremi della frode alla legge e dunque fosse posta in essere per aggirare il divieto di assistenza finanziaria di cui all'art. 2358 c.c. [nota 6]

Dispone invero l'art. 1344 c.c. che il contratto è nullo quando esso «costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa».

In particolare un autorevole pronunciamento giurisprudenziale del Tribunale di Milano [nota 7], sulla scorta delle suggestioni della dottrina da ultimo citata, era giunto ad affermare, da un lato, che «l'operazione di leveraged buy out … non presenta in sé profili di illegittimità. Tuttavia, la suddetta operazione può concretizzare un negozio in frode alla legge quando venga utilizzata per aggirare lo specifico divieto di assistenza finanziaria disposto dall'art. 2358 c.c.»; dall'altro che «non è configurabile un negozio in frode alla legge con riferimento alla fusione, deliberata nell'ambito di un leveraged buy out, fra la società acquirente e quella acquisita se, al momento in cui tale negozio è sorto, sussistevano concrete ragioni imprenditoriali che lo giustificavano».

Si trattava di una posizione, che, se poteva al limite condividersi sul pano etico per le sopra esposte ragioni, nondimeno era difficilmente giustificabile sul piano del diritto positivo dell'epoca.

Ed infatti delle due l'una.

O la frode alla legge prescinde dall'intento fraudolento delle parti, fondandosi sull'obiettiva identità del risultato raggiunto dalle stesse rispetto a quello vietato dall'ordinamento [nota 8], ed allora leveraged buy out non violava il disposto dell'art 2358 c.c., trattandosi di fattispecie sostanzialmente diversa da quella prevista da detta norma.

Oppure la valutazione negativa da parte dell'ordinamento del negozio in frode alla legge non deve essere condotta secondo parametri oggettivi, poichè il risultato raggiunto da negozio in frode non è identico a quello vietato, ma tutt'al più analogo o equivalente al medesimo. Sarebbe invece l'intento soggettivo di aggirare la legge che scatenerebbe la reazione negativa dell'ordinamento e la comminatoria della sanzione di cui all'art. 1344 c.c. [nota 9]

Ma in tal caso ciò che avrebbe potuto e dovuto essere provato per affermare l'illiceità della fattispecie è la presenza di tale intento fraudolento e non la presenza di una valida ragione imprenditoriale. La sussistenza di quest'ultima invero, una volta provata la prima, non sarebbe stata di certo sufficiente ad escludere l'illiceità [nota 10].

Il nuovo testo dell'art. 2501-bis c.c.

In tale quadro interpretativo è intervenuto il nuovo art 2501-bis c.c. il quale, sotto la rubrica "Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento" ha disciplinato espressamente la «fusione tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, quando per effetto della fusione il patrimonio di quest'ultima viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti, si applica la disciplina del presente articolo».

In tal caso è disposto che «il progetto di fusione di cui all'articolo 2501-ter deve indicare le risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione.

La relazione di cui all'articolo 2501-quinquies deve indicare le ragioni che giustificano l'operazione e contenere un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere.

La relazione degli esperti di cui all'articolo 2501-sexies, attesta la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del precedente secondo comma.

Al progetto deve essere allegata una relazione della società di revisione incaricata della revisione contabile obbligatoria della società obiettivo o della società acquirente.

Alle fusioni di cui al primo comma non si applicano le disposizioni degli articoli 2505 e 2505-bis».

La non riconducibilià del leveraged buy out all'art. 2358 c.c. nel nuovo sistema

La nuova disposizione in primo luogo sancisce definitivamente la tendenziale liceità del leveraged buy out e soprattutto la sua non sussumibilità nella disciplina delle azioni proprie e del divieto di assistenza finanziaria di cui all'art. 2358 c.c. [nota 11]

In tal senso depongono sia l'espressa ed autonoma previsione legislativa dell'operazione in esame sia l'art. 7, comma 1, lett. d) della legge-delega, che ha prescritto al legislatore delegato di «prevedere che le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli articoli 2357 e 2357-quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'articolo 2358 del codice civile» [nota 12].

Del resto tale assunto appare confermato anche dalla circostanza che l'art. 2501-bis c.c. si applica ad ogni forma di fusione, qualunque sia il tipo sociale coinvolto nell'operazione, laddove invece il divieto di assistenza finanziaria riguarda, almeno dal punto di vista letterale, solo le società azionarie e, per effetto dell'art. 2474 c.c., le Srl [nota 13].

In secondo luogo, e sempre in conformità a quanto indicato nella legge delega, la nuova disposizione ha tuttavia dettato limiti e condizioni all'attuazione dell'operazione, che sembrano in qualche modo accogliere le esigenze di cui si era fatta portatrice, sulla scia della dottrina minoritaria, la decisione del Tribunale di Milano da ultimo citata [nota 14].

Nondimeno nel sistema riformato le condizioni di liceità dell'operazione non si basano più su una discutibile interpretazione dell'art. 2358 c.c., ma su solide basi di diritto positivo, supportate da specifiche ragioni di politica legislativa.

Dalla lettura della nuova norma infatti traspare con tutta evidenza che il legislatore della riforma si è preoccupato di evitare per quanto possibile che il leverged buy out venga posto in essere senza valide ragioni imprenditoriali e soprattutto gravando di eccessivi debiti la società target, sulla base di un intento meramente speculativo.

In tal caso infatti l'operazione si appalesa pericolosa per l'intero sistema economico poiché, anziché creare valore per gli azionisti e per i creditori, rischia di condurre al dissesto di una società florida, mediante la traslazione del rischio economico dell'operazione dal raider alla target [nota 15].

Non solo, ma l'assunzione del debito finalizzato all'acquisto del controllo della target è deliberata al di fuori dei processi decisionali della società target ed alla stessa imposto surrettiziamente, tramite la fusione con altra società che ha divisato l'operazione.

Tale circostanza determina, invero, una grave alterazione della correlazione tra potere decisionale e rischio di impresa, posta a garanzia dell'equilibrio del sistema economico.

Ma tali considerazioni evidentemente sono frutto di una autonoma valutazione del riformatore e nulla hanno a che fare con l'applicazione del divieto di cui all'art. 2358 c.c. [nota 16]

Il valore residuo della frode alla legge

Tuttavia occorre chiedersi se nel nuovo sistema vi sia ancora spazio per l'applicazione dell'istituto della frode alla legge in relazione a tale ultima disposizione normativa.

Ciononostante, alla stregua delle esposte considerazioni, deve ritenersi che, sotto tale punto di vista, la riforma non abbia apportato alcuna innovazione al riguardo.

Ed invero nel nuovo sistema il leveraged buy out potrebbe essere utilizzato per aggirare il divieto di cui all'art 2358 c.c. allo stesso modo e negli stessi limiti in cui ciò poteva essere a buon diritto ritenuto sotto il vigore del previgente sistema.

La dottrina più attenta infatti in passato non aveva mancato di osservare che l'art. 2358 c.c. è una norma diretta a sanzionare l'operato degli amministratori della società target, laddove essi si adoperino per fornire garanzie relative all'acquisto delle azioni della società dagli stessi amministrata [nota 17].

Ne deriva che, in tanto può invocarsi nel caso di specie la frode alla legge, in quanto:

- si aderisca alla concezione c.d. soggettiva dell'art. 1344 c.c. [nota 18];

- il leveraged buy out sia posto in essere con lo specifico intento di aggirare l'art. 2358 c.c. e pertanto si tratti di operazione pilotata fraudolentemente dagli amministratori della società target [nota 19].

Ma non v'è chi non veda come tale ricostruzione non corrisponda alla normale configurazione del fenomeno in esame, nella quale al contrario gli amministratori della società target sono oggetto di una vera e propria scalata da parte di un terzo e dunque non assumono alcun ruolo attivo nell'operazione. Ne deriva pertanto che l'applicazione dell'art 2358 c.c. apporta nel caso di specie un'incidenza assolutamente marginale ed indiretta.

Sotto tale punto di vista al leveraged buy out in sé considerato non può essere attribuita alcuna connotazione negativa, non essendo dubbio che qualsiasi istituto giuridico può in concreto essere malamente utilizzato per perpretare una frode alla legge.

I rimedi già presenti nel sistema

Per altro verso l'introduzione ad opera del riformatore di nuove e specifiche limitazioni all'attuazione dell'operazione in esame è un chiaro indice del fatto che non si sono ritenuti sufficienti ad evitare applicazioni distorte dell'istituto i rimedi di carattere generale già presenti nel sistema, da tempo evidenziarti dalla prevalente dottrina.

Quest'ultima infatti non aveva mancato di sottolineare come i possibili interessi lesi dall'operazione in esame trovavano ampi mezzi di tutela in specifici istituti previsti in via generale dal sistema [nota 20].

Così i creditori sociali sono salvaguardati dal diritto di opposizione ex art. 2503 c.c. [nota 21]

I soci di minoranza sono tutelati dalla stima del rapporto di cambio di cui all'art. 2501-sexies c.c. [nota 22], dal diritto di recesso derivante talvolta dall'operazione di fusione (cfr. artt. 2502, per le società personali, e 2473, per le Srl) [nota 23] o dal diritto di recesso derivante dall'assoggettamento ad attività di direzione e coordinamento della target da parte della newco ex art. 2497-quater lett. c) [nota 24], nonché talvolta dalle norme in tema di conflitto di interessi [nota 25].

I soci di minoranza e i creditori sociali sono inoltre protetti dalla responsabilità connessa alla direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. e, nelle Srl, dalla responsabilità ex art. 2476 penultimo comma c.c. [nota 26]

I lavoratori dipendenti della società sono protetti dall'art. 2112 c.c. e dall'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428 [nota 27].

Ciònonostante il legislatore della riforma ha ritenuto di apprestare una specifica ed ulteriore tutela.

Ed anzi non pare azzardato ritenere che probabilmente i limiti introdotti dalla riforma mirano a salvaguardare l'efficienza del sistema economico nel suo complesso piuttosto che gli interessi particolari di questa o quella categoria di soggetti.

L'ambito di applicazione dell'istituto

Generalità

Nella disciplina introdotta dal nuovo art. 2501-bis c.c. il fenomeno del leveraged buy out è denominato, con un'espressione sintetica, ma calzante, "Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento".

Il primo comma del citato articolo delimita l'ambito di applicazione della speciale normativa in esame.

A tale riguardo si richiede che si tratti di una «fusione tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, quando per effetto della fusione il patrimonio di quest'ultima viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti».

L'assunzione del debito

Il primo elemento richiesto in senso cronologico è pertanto che una società abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra.

Non basta pertanto che una delle società coinvolte nella fusione abbia contratto un debito, ma occorre anche che l'assunzione di tale debito sia finalizzata ad acquisire il controllo dell'altra società.

Ne deriva in primo luogo che è necessario che l'obbligazione assunta sia astrattamente idonea a costituire il mezzo per realizzare l'acquisizione del controllo di altra società.

Tipicamente ciò accade quando il debito derivi da un contratto di finanziamento e abbia dunque ad oggetto la restituzione delle somme di denaro mutuate poiché queste a loro volta sono idonee ad essere impiegate per l'acquisizione [nota 28].

Inoltre nulla vieta a nostro parere che il debito contratto per l'acquisizione del controllo derivi dal pagamento del saldo prezzo della vendita in favore della newco delle quote di controllo di target [nota 29].

Tale obbligazione infatti senza dubbio costituisce un debito contratto da newco per acquisire il controllo della target ed anzi trattasi di un'ipotesi in cui la finalizzazione dell'assunzione del debito è in re ipsa.

La finalizzazione del debito

Peraltro non pare necessario che la finalizzazione del finanziamento all'acquisizione del controllo di target assurga a causa del relativo contratto e dunque è ben possibile che tale finalizzazione sia addirittura ignota al creditore [nota 30].

Appare inoltre evidente che la finalizzazione del prestito non deve essere necessariamente formale, ma può essere desunta anche in base a presunzioni semplici (art. 2729 c.c.).

Così, ad esempio, nello schema classico di costituzione di una nuova società, seguita in un breve lasso di tempo dall'assunzione di un debito e dalla acquisizione del controllo della società target e dalla fusione tra newco e target, si può senza dubbio presumere che il debito sia stato contratto proprio al fine di dare corso all'acquisizione.

Ed invero la circostanza che la newco è una società di nuova costituzione, che in quanto tale non ha mai operato, fa sì che il debito non possa avere altro scopo che quello reso evidente dalle operazioni successive.

Diversamente opinando infatti sarebbe fin troppo facile aggirare la normativa in esame semplicemente non dichiarando le ragioni poste a base della contrazione del debito.

Più complesso potrebbe essere l'accertamento della finalizzazione dell'assunzione del debito ove la società che si indebita fosse una società operativa, circostanza questa che non può certo ritenersi esclusa dalla norma in esame [nota 31], poiché in tal caso ben potrebbe l'indebitamento essere finalizzato non già all'acquisizione, ma alle normali necessità dell'impresa sociale [nota 32].

In tale ultimo caso invero potrà assumere rilevanza, unitamente ad altri elementi, anche il breve tempo trascorso tra l'indebitamento e l'acquisizione del controllo dell'altra società [nota 33] e la mancanza di mezzi propri sufficienti ad effettuare detta acquisizione.

Del pari può essere un indice della ricorrenza del fenomeno in esame la circostanza che il finanziamento sia «sproporzionato rispetto alle capacità patrimoniali della società che lo ha ottenuto, magari a fronte della promessa di futura costituzione di garanzie sul patrimonio o sulle partecipazioni della società "bersaglio"» [nota 34].

In ogni caso si tratterebbe pur sempre di valutazioni di merito, come tali incensurabili in Cassazione se sorrette da congrua ed adeguata motivazione.

Il finanziamento effettuato dai soci della società acquirente

Ove il finanziamento in parola provenga dagli stessi soci della newco si pone il problema di stabilire se in tal caso rilevino i soli finanziamenti in senso tecnico giuridico (vale a dire quelli con obbligo di restituzione da parte della società) ovvero anche quelli in senso economico (vale a dire quelli derivanti da conferimenti non imputati a capitale quali ad esempio i versamenti in conto capitale o a fondo perduto).

Nondimeno la ratio legis fa propendere per la prima soluzione [nota 35], atteso che la normativa in tema di leveraged buy out è diretta ad evitare che attraverso tali operazioni si possa causare il dissesto della società target.

Orbene i versamenti effettuati dai soci a titolo di conferimento non imputato a capitale non sono suscettibili di produrre siffatto inconveniente, poiché essi tecnicamente fanno parte del patrimonio netto, costituiscono una riserva da capitale e come tali non possono dar luogo ad alcuna pretesa restitutoria attuale da parte del socio conferente [nota 36] e quindi ad alcun correlativo debito da parte della newco.

In ogni caso un'eventuale distribuzione degli stessi ai soci sarebbe pur sempre subordinata ad una delibera assembleare ed alla circostanza che le relative poste del patrimonio netto non siano state intaccate da perdite [nota 37].

Ma, anche ove si tratti di finanziamenti in senso tecnico, e quindi con diritto del socio alla restituzione, può accadere che, ove si tratti di società a responsabilità limitata o di finanziamenti effettuati a favore della società dall'ente che esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti (art. 2497-quinquies c.c.), la restituzione delle somme versate dai soci a titolo di finanziamento subisca limitazioni ad opera dell'art. 2467 c.c., secondo il quale, in determinate condizioni, «il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito».

In tal caso occorre chiedersi se detti finanziamenti possano dar luogo all'applicazione dell'art. 2501-bis c.c. o meno.

In realtà a nostro parere la risposta a tale domanda presuppone che di individui l'esatta portata del concetto di postergazione espresso dal citato articolo 2467 c.c.

Ed invero quest'ultimo può essere inteso, non già come norma processuale destinata ad essere applicata soltanto in sede processuale, in caso di concorso tra creditori, ma come norma sostanziale, la quale impedisce in ogni caso la restituzione dei finanziamenti dei soci prima che siano pagati i creditori sociali o siano state accantonate le relative somme [nota 38], in analogia a quanto disposto dall'art. 2491 comma 2 c.c.

In altre parole, come traspare dalla stessa relazione ministeriale, si intenderebbe operare nella specie una sostanziale equiparazione tra i finanziamenti dei soci e le poste del patrimonio netto [nota 39].

Ne deriverebbe che, nel caso in cui il rimborso al socio sia comunque effettuato e successivamente emerga l'insufficienza del patrimonio sociale per pagare i creditori terzi, si potrebbe ripetere la somma dal socio in analogia a quanto disposto dall'art. 2495 comma 2 c.c.

Ma, se ciò è vero, se ne potrebbe dedurre che l'applicazione dell'art. 2467 c.c. dovrebbe escludere la necessità di adottare anche le cautele dell'art. 2501-bis c.c. [nota 40]

La "struttura delle due newco"

Nell'ambito delle operazioni nelle quali la fonte del "finanziamento" della newco è rappresentata da versamenti dei soci a titolo di conferimento non imputato a capitale, viene in rilievo anche una particolare fattispecie, nota alla prassi societaria come "struttura delle due newco", utilizzata per evitare che, in presenza di soci di minoranza di target, l'attuazione della fusione abbia a diluire la partecipazione sociale assunta dal raider [nota 41].

In tale ipotesi si fa luogo alla costituzione di due nuove società, newco 1 e newco 2, la quale ultima è interamente partecipata dalla prima.

L'indebitamento viene assunto dalla sola newco 1, la quale utilizza la somma così acquisita per riversarla a newco 2, non già a titolo di finanziamento, ma a titolo di sovrapprezzo o comunque di conferimento non imputato a capitale.

L'acquisto delle quote di target è effettuato da newco 2, la quale pertanto a rigore non può dirsi avere contratto debiti finalizzati all'acquisizione del controllo di target.

Successivamente newco 2 incorpora target e procede alla restituzione ai propri soci del sovrapprezzo, ricorrendo i presupposti di cui all'art. 2431 c.c., eventualmente contraendo un debito per reperire la necessaria liquidità.

La fattispecie dunque non rientra direttamente nello schema disegnato dall'art. 2501-bis c.c., poiché l'incorporante non ha contratto alcun debito prima della fusione finalizzato all'acquisizione del controllo dell'incorporata.

Tuttavia è stato osservato in dottrina [nota 42] che, se si dimostrasse che tutte le operazioni sopra esposte siano state architettate per attuare un disegno unitario, potrebbe aprirsi la strada, ove l'operazione sia condotta senza l'osservanza delle condizioni di cui all'art. 2501-bis c.c., per affermare l'illiceità della stessa per frode alla legge.

Nondimeno deve osservarsi che la frode alla legge potrebbe ricorrere solo se risultasse provato che con gli artifici procedurali di cui sopra si sia attuata un'operazione contraria alla ratio dell'art. 2501-bis c.c. [nota 43]

Come si è visto (v. retro § 4.) tale norma intende evitare un'operazione pericolosa per gli azionisti e per i creditori, che presenti il rischio di condurre al dissesto di una società florida (target).

Ne deriva che, in tanto questo rischio potrebbe al limite sussistere, in quanto la società risultante dalla fusione, che assomma in se gli elementi patrimoniali di target, venga ad essere gravata da debiti che rinvengano la propria causa economica nell'esigenza di far fronte alle risorse impiegate per l'acquisizione del controllo di target da parte del raider.

Ove ciò non si verifichi, come avviene nel caso in cui per distribuire il sovrapprezzo non venga contratto alcun debito, non sussistono le ragioni economiche poste a base dell'art. 2501-bis c.c.

Del resto non potrebbe dubitarsi che sia perfettamente lecita, anche in assenza dell'osservanza delle condizioni di tale ultima norma, una fusione a seguito di acquisizione nella quale il raider, che si è indebitato per l'acquisto del controllo di target, acquisisca dalla società risultante dalla fusione dividendi ordinari o straordinari, che gli consentano di ridurre la propria esposizione debitoria.

Tale conseguenza invero costituisce la realizzazione della legittima aspettativa di profitto che ha indotto il raider ad effettuare l'operazione [nota 44], mentre la distribuzione di dividendi da parte della società è naturalmente condizionata dall'assenza di perdite che abbiano intaccato il capitale ai sensi dell'art. 2433 terzo comma c.c.

Infatti ciò che rileva nell'art. 2501-bis c.c. è che per effetto della fusione il patrimonio della target venga a costituire "garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti".

Nel caso di specie, invece, il patrimonio di target o il suo cash flow costituiscono fonte solo indiretta del rimborso del debito contratto per l'acquisto del controllo, poiché la target non viene resa con la fusione debitrice del soggetto finanziatore e dunque non assume alcuna responsabilità diretta, che possa condurla al dissesto.

La restituzione del debito in altre parole avviene con l'intermediazione del patrimonio personale del raider, il quale soltanto rimane esposto al rischio del dissesto derivante dal mancato pagamento del debito contratto per l'acquisto del controllo di target.

Ed anzi nel sistema della riforma, ove il socio di maggioranza della società risultante dalla fusione sia a sua volta una società, come avviene nel caso di specie, egli viene ad essere esposto anche al rischio delle responsabilità derivanti dall'esercizio di attività di direzione e coordinamento nei confronti della società risultante dalla fusione (art. 2497 e ss. c.c.) [nota 45].

In altre parole non si verifica quella traslazione del rischio economico dell'operazione dal raider alla target che costituisce l'essenza dell'istituto e la ragione delle cautele legali che lo assistono [nota 46] e la fusione è realizzata al solo fine di effettuare l'acquisizione e non anche e soprattutto per operare detta traslazione.

Non solo, ma, anche quando la società risultante dalla fusione si indebiti per poter procedere alla distribuzione del sovrapprezzo, la fattispecie presenta rilevanti elementi di diversità da quella disciplinata dall'art. 2501-bis c.c.

Ed invero l'assunzione del debito non è, come nella fattispecie tipica del leveraged buy out, contratta al di fuori dei processi decisionali della società target ed alla stessa imposta surrettiziamente, tramite la fusione con altra società che ha divisato l'operazione.

In tal caso infatti il rischio connesso all'assunzione del debito è assunto all'interno dei processi decisionali della stessa target e dunque coloro che hanno partecipato a tali processi sono organi sociali, che saranno soggetti alle responsabilità ed alle regole di corretto funzionamento che sono loro proprie [nota 47], laddove abbiano fatto un uso incogruo dei loro poteri rispetto agli interessi facenti capo alla target medesima.

Né le conclusioni potrebbero essere diverse laddove si ritenesse che l'estensione dell'art. 2501-bis c.c. alla "struttura delle due newco" debba essere effettuata non già sulla base dell'istituto della frode alla legge, ma, come pure si è ritenuto [nota 48], sulla base della semplice applicazione analogica di tale norma.

In ogni caso, infatti, l'applicazione analogica della legge potrebbe operare solo in presenza della eadem ratio legis, che, alla stregua delle esposte considerazioni, non pare potersi ritenere sussistente [nota 49].

Le operazioni di leveraged recapitalization

La nuova disciplina dettata dall'art. 2501-bis c.c. genera anche il problema, recentemente postosi all'attenzione degli interpreti [nota 50], della sua applicabilità alle operazioni di "leveraged recapitalization".

Si tratta di operazioni nelle quali si intende «liberare una quota del valore del capitale economico della società target … distribuendo al socio di controllo … o a tutti i soci in proporzione alle loro partecipazioni …, con somme eventualmente prese a debito, parte della potenziale redditività e liquidità che essa è in grado di generare (c.d. "cash out")» [nota 51].

Ciò può essere attuato:

1. mediante l'utilizzo dello stessa schema positivo del leveraged buy out e dunque mediante

1.1 la costituzione da parte del socio di controllo di una nuova società da lui interamente posseduta,

1.2 l'indebitamento della newco,

1.3 l'alienazione della partecipazione di controllo a quest'ultima e

1.4 la fusione tra newco e target;

2. mediante lo schema della "struttura delle due newco" sopra esaminato e dunque mediante

2.1 la costituzione di due nuove società, newco 1 e newco 2, la prima partecipata dal socio di controllo di target e la seconda interamente partecipata dalla prima,

2.2 l'indebitamento di newco 1,

2.3 il versamento da parte di questa della somma così acquisita a newco 2 a titolo di sovrapprezzo,

2.4 l'acquisto delle quote di target da parte di newco 2,

2.5 l'incorporazione di target in newco 2,

2.6 la restituzione ai soci del sovrapprezzo, contraendo un debito per reperire la necessaria liquidità;

3. mediante un'operazione di conferimento e dunque mediante

3.1 la costituzione da parte del socio di controllo di target di una nuova società da lui interamente posseduta,

3.2 il conferimento nella newco, da parte del socio di controllo, della propria partecipazione in target, imputando la maggior parte del relativo valore a sovrapprezzo,

3.3 l'incorporazione di target in newco,

3.4 la restituzione a soci del sovrapprezzo, contraendo un debito per reperire la necessaria liquidità.

L'ipotesi sub 1) si inquadra in realtà direttamente nella fattispecie normativa del leveraged buy out con un'unica differenza.

Dal punto di vista della realtà economica non v'è in effetti un trasferimento del controllo della società target poichè esso rimane nelle mani dell'originario controllante, sia pure mediante la provvisoria interposizione della newco.

Nondimeno, come è stato osservato [nota 52], l'art. 2501-bis c.c. non richiede, quale presupposto per la sua applicazione, che l'operazione dia luogo, come risultato finale, al mutamento del controllo della società target, ma solo che una società abbia contratto debiti per acquisire il controllo di un'altra società, cosa che avviene anche nel caso di specie.

Piuttosto la nuova norma si preoccupa di predisporre adeguate garanzie per evitare che lo sfruttamento della leva finanziaria - deliberato al di fuori dei processi decisionali della società target ed alla stessa imposto surrettiziamente, tramite la fusione con altra società - possa condurre al dissesto della società in pregiudizio dei soci di minoranza, dei creditori ed in definitiva dell'intero sistema economico.

Ma tali rischi, ed in conseguenza le relative cautele normative, possono ricorrere anche nel caso di specie e dunque non v'è ragione per disapplicare a priori la norma in esame.

L'ipotesi sub 2) sfrutta lo schema della "struttura delle due newco" e dunque dovrà essere regolata alla stessa stregua di quanto si è ritenuto (v. retro § 7.5.) per il caso in cui tale fenomeno sia utilizzato ai fini di porre in essere un mutamento del controllo della target, tenuto conto del fatto che, come si è appena detto, la sussistenza o meno di tale mutamento non è essenziale per l'applicazione dell'art. 2501-bis c.c. [nota 53]

Più complessa è la soluzione del problema nel caso sub 3).

In tale ipotesi infatti l'operazione non è preceduta dall'assunzione di debiti finalizzati direttamente o indirettamente all'acquisizione di partecipazioni di controllo nella target.

Ciònonostante si è sostenuta l'applicabilità dell'art. 2501-bis c.c., in ragione del fatto che la fattispecie in esame si distinguerebbe pur sempre da una normale operazione di distribuzione di riserve realizzata a debito, poichè si tratterebbe di un procedimento concepito sin dall'origine al fine di «far emergere, con il conferimento e la fusione, i valori contabili correnti delle attività della target e quindi a distribuire questo maggior valore ai soci» [nota 54].

Ma a ben vedere non pare che tale conclusione possa essere condivisa.

Manca infatti ancora una volta la traslazione del rischio economico dell'operazione dal raider alla target che costituisce l'essenza dell'istituto e la ragione delle cautele legali che lo assistono.

è vero infatti che anche nel caso di specie la target assume, sia pure dopo la fusione, un debito per finalità che trascendono dalla normale gestione della società.

Ma è anche vero che l'assunzione di tale debito non è, come nella fattispecie tipica del leveraged buy out, contratta al di fuori dei processi decisionali della società target ed alla stessa imposta surrettiziamente, tramite la fusione con altra società che ha deliberato l'operazione.

In tal caso infatti il rischio connesso all'assunzione del debito è assunto all'interno dei processi decisionali della stessa target e dunque coloro che hanno partecipato a tali processi sono organi sociali, che saranno soggetti alle responsabilità ed alle regole di corretto funzionamento che sono loro proprie, laddove abbiano fatto un uso incongruo dei loro poteri rispetto agli interessi facenti capo alla target medesima.

In altre parole la fusione è realizzata prevalentemente al fine di ottenere una rivalutazione delle poste di bilancio della società target, facendo emergere le plusvalenze latenti, e non anche per operare una traslazione del rischio economico dell'operazione.

Altra questione è invece quella si stabilire se l'operazione in esame possa essere censurata sotto il profilo della elusione delle norme in materia di bilancio [nota 55], che normalmente escludono la rivalutazione del costo storico dei cespiti iscritti, ma che subiscono e subiranno nel nostro sistema, specie in materia di fusione, una rilevante serie di eccezioni. Ma tali considerazioni nulla hanno a che vedere con la disciplina dell'art. 2501-bis c.c.

Del resto, se l'art. 2501-bis c.c. dovesse essere interpretato nell'ampia accezione proposta dalla dottrina qui criticata, non si comprenderebbe perché mai i principi sottesi a detta norma non siano stati in qualche modo estesi dal legislatore anche ad operazioni di acquisizione con successiva distribuzione di riserve a debito, che non facciano uso dell'istituto della fusione, in quanto la società target già possieda riserve distribuibili [nota 56].

In altri termini la stessa logica sottesa all'interpretazione in esame dovrebbe considerare pericolosa anche un'operazione con la quale un raider:

- acquisti il controllo della target utilizzando denaro preso a mutuo a tale scopo,

- trovi nel patrimonio della target riserve distribuibili,

- faccia contrarre da questa debiti finalizzati al reperimento della liquidità necessaria a distribuire le riserve in questione,

- utilizzi i proventi di tale distribuzione per rimborsare il debito contratto per l'acquisto.

Anche tale operazione potrebbe infatti in astratto essere avventata e condurre al dissesto della società target.

Nondimeno il legislatore non ha previsto alcuna specifica cautela al riguardo per una evidente ragione. Si tratta di operazioni che attengono al merito della gestione della società target e sono compiute direttamente dal nuovo management della stessa, con tutte le cautele e le responsabilità previste in via generale dall'ordinamento.

Il leveraged buy out è invece un'operazione caratterizzata di per sé nella prassi da una scarsa trasparenza e soprattutto dalla estromissione del management della società target dalle scelte imprenditoriali inerenti all'operazione, che vengono prese al di fuori dei normali processi decisionali della società target.

L'assunzione del controllo della società obiettivo

1. Il riferimento temporale di sussistenza del controllo

L'assunzione del debito, come si è detto, deve essere finalizzata all'acquisizione del controllo di altra società ed implica naturalmente che detta acquisizione abbia luogo.

è stato posto a tale riguardo il problema di stabilire se la disciplina di cui all'art 2501-bis c.c. sia applicabile anche laddove il controllo preesista all'assunzione del finanziamento e quest'ultimo sia contratto al fine di rafforzare il controllo già in essere.

Nondimeno la ratio legis induce a ritenere che l'esigenza di evitare operazioni spregiudicate, che pongono a rischio la solidità economica della target nel solo interesse del raider, sussiste anche nelle operazioni da ultimo citate [nota 57].

2. Controllo di diritto e controllo di fatto

In secondo luogo non vi è dubbio che la nozione di controllo deve essere desunta sulla base del diritto positivo e pertanto dall'art. 2359 c.c. [nota 58]

Nondimeno, se non pone particolari problemi il c.d. controllo di diritto di cui all'art. 2359 n. 1 c.c., che ricorre ove una società disponga della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria di un'altra società, non altrettanto può dirsi per le altre forme di controllo previste dalla legge.

L'art. 2359 n. 2 c.c. infatti annovera nella nozione di controllo anche l'ipotesi in cui una società disponga di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria dell'altra (c.d. controllo di fatto).

In tal caso invero la ricorrenza in concreto del fenomeno del controllo dipende da un accertamento di fatto in base al quale si giunga a verificare che la partecipazione detenuta dalla controllante, in sé minoritaria, abbia cionondimeno consentito in concreto a quest'ultima di assumere un ruolo determinante a causa dell'assenteismo delle minoranze [nota 59].

Ma l'applicazione di tali principi al leveraged buy out può essere assai problematica poiché l'accertamento del controllo di fatto deriva dall'effettiva evoluzione in concreto nel tempo della dialettica assembleare della società target.

Ma, ove all'acquisizione di una partecipazione nella target segua a stretto giro di tempo la fusione con la newco, l'accertamento del controllo di fatto non potrà essere in concreto effettuato solo sulla base dell'esito dell'assemblea che deliberi la fusione, che peraltro senza dubbio non può qualificarsi come assemblea ordinaria, come è invece richiesto dall'art 2359 n. 2 c.c.

In particolare, se in tale assemblea la newco abbia determinato l'orientamento assembleare grazie all'assenza delle minoranze, non potrà per ciò solo concludersi nel senso che la newco abbia assunto il controllo di fatto della target al fine di pervenire alla fusione.

Affinché tale influenza dominante nell'assemblea che delibera la fusione non possa considerarsi dovuta ad eventi meramente causali ed occasionali, occorrerà che tale situazione perduri anche nell'assemblea della società risultante dalla fusione.

Ne deriva che, con ogni probabilità, la sussistenza del fenomeno del leveraged buy out nel caso di specie può per i terzi essere rilevabile solo ex post.

Né contro tale conclusione può obiettarsi che in tal modo le società coinvolte nell'operazione non sono in grado di conoscere a priori la ricorrenza delle condizioni di applicabilità dell'art 2501-bis c.c. al fine di uniformarsi alle stesse.

Ed invero può facilmente replicarsi che chi si propone di dare corso all'operazione al fine di acquisire il controllo di fatto della target è per ciò solo tenuto ad uniformarsi alle disposizioni di cui all'art. 2501-bis c.c., anche se l'acquisizione di tale controllo non possa dirsi certa fino allo svolgimento delle assemblee della società target e/o della società risultante dalla fusione.

Del resto l'applicazione dell'art. 2501-bis c.c. fa sì che il procedimento di fusione sia soggetto a speciali disposizioni restrittive sin dalla fase che precede l'assemblea della società target, anche se questa fosse l'unica assemblea della target che si svolga dopo l'acquisizione della partecipazione di newco in target e prima dell'attuazione della fusione.

Appare dunque evidente che il raider è tenuto a rispettare il 2501-bis c.c. anche sulla base del suo mero intento di acquisire il controllo di fatto della target e/o della semplice possibilità che detto controllo si concretizzi [nota 60].

Diversamente opinando, invero, si finirebbe per escludere l'applicazione dell'art 2501-bis c.c. in molte operazioni che nel recente passato sono state condotte in società quotate nei mercati regolamentati, nelle quali la polverizzazione del possesso azionario in una moltitudine di piccoli risparmiatori ha consentito che il controllo dell'assemblea fosse nelle mani di soggetti detentori di quote di capitale assai contenute ed addirittura al di sotto della soglia che rende obbligatorio il ricorso all'offerta pubblica di acquisto.

Ciò condurrebbe in definitiva ad escludere l'applicazione di una norma di garanzia, fortemente voluta dal riformatore, proprio laddove l'operazione coinvolga gli interessi di una moltitudine dei risparmiatori e del mercato finanziario in generale e non pare che ciò sia conforme alla ratio legis [nota 61].

3. Il controllo contrattuale

Per quanto l'ipotesi debba considerarsi marginale dal punto di vista dell'id quod plerumque accidit, tuttavia non può escludersi che il fenomeno della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento possa ricorrere anche nel caso in cui si tratti del c.d. controllo contrattuale di cui all'art. 2359 n. 3 c.c. [nota 62]

Quest'ultima fattispecie ricorre allorchè una società sia «sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa».

Secondo l'opinione dominante ciò accade quando «la possibilità di esercitare influenza dominante prescinde dal possesso di una partecipazione azionaria ed è determinata da particolari rapporti contrattuali, che pongono la società in una situazione di oggettiva dipendenza economica rispetto ad un'altra, tale da comprometterne esistenza e sopravvivenza. Ad esempio, la società A fornisce alla società B materie prime prodotte in esclusiva e non agevolmente sostituibili con altre; ovvero la società B opera come agente esclusivo della società A o è legata alla stessa da un contratto di franchising, con la conseguenza che la società A è in grado di indirizzare stabilmente l'attività della società B» [nota 63].

In tal caso peraltro è evidente che l'assunzione del debito da parte della controllante deve essere finalizzata alla instaurazione del controllo contrattuale sulla società target.

Riprendendo l'esempio precedente si può ipotizzare che la controllante stipuli un finanziamento diretto ad ottenere fondi per incrementare la produzione delle materie prime prodotte in esclusiva, al fine di destinare l'incremento della produzione ad una fornitura essenziale per la sopravvivenza della società target.

Gli effetti della fusione sul patrimonio della società - obiettivo

Ulteriore condizione richiesta per la ricorrenza dell'istituto della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento è che per effetto della fusione il patrimonio della controllata venga a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dei debiti contratti dalla controllante per l'acquisizione del controllo.

Quanto all'ipotesi in cui il patrimonio della controllata venga a costituire garanzia generica dei suddetti debiti, deve subito precisarsi che, per dare un reale significato alla norma, bisogna andare al là del dettato letterale della stessa e coglierne le intrinseche finalità.

Orbene se ci si limitasse ad una lettura superficiale, la norma sarebbe priva di contenuto sostanziale poiché appare evidente che l'attuazione di una fusione comporta come effetto naturale ed ineliminabile che il patrimonio di ciascuna delle società fuse venga a costituire generica garanzia per le obbligazioni dell'altra.

Si tratta invero della naturale conseguenza della confusione tra due masse patrimoniali [nota 64].

Ne deriva che affinché ricorrano i presupposti di applicazione dell'istituto in esame occorre un quid pluris [nota 65].

Più precisamente occorre che il patrimonio originario della società controllante non possa da solo fornire una sufficiente garanzia patrimoniale per il rimborso del debito contratto per l'acquisizione [nota 66].

Solo in tal modo infatti la disposizione in esame può assumere un concreto contenuto precettivo, poichè è proprio tale circostanza che pone il problema dei rischi patrimoniali che l'operazione determina per la società target.

In altre parole occorre che per effetto della fusione il patrimonio della controllata venga a costituire l'unica o la principale garanzia generica del rimborso del debito contratto dalla controllante per l'acquisizione del controllo.

In alternativa, pur se non si verifichi tale ipotesi, è richiesto che il patrimonio della controllata venga a costituire "fonte di rimborso dei detti debiti".

Con tale espressione si intende con ogni evidenza alludere ad una nozione dinamica del patrimonio e quindi ad un'entità suscettibile di produrre reddito [nota 67].

Nella specie, pur se la consistenza patrimoniale della società target non fosse di per sé sufficiente a garantire il rimborso dei debiti contratti per l'acquisto, può accadere che sia tuttavia possibile utilizzare il cash flow della target per il rimborso.

Anche in tal caso peraltro e per le medesime ragioni sopra esposte deve ritenersi che tale requisito ricorra allorchè il cash flow della controllante non sia sufficiente a fornire la fonte di rimborso dei debiti in esame [nota 68].

Ciò accade specialmente ove la controllante sia di nuova costituzione, come spesso avviene nella prassi.

In tal caso infatti la newco è praticamente priva di avviamento e quindi essa non può indurre alcun affidamento su un cash flow proprio, per la mancanza di una pregressa consolidata attività di impresa.

Limiti temporali relativi al periodo intercorrente tra il finanziamento e la fusione

Tali considerazioni valgono anche a ridimensionare il problema della individuazione degli eventuali limiti temporali relativi al periodo intercorrente tra il finanziamento e la fusione.

La legge non pone, infatti, limiti al riguardo, poichè essi sono desumibili in ragione della effettiva possibilità che, per effetto della fusione, il patrimonio della controllata venga a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dei debiti contratti dalla controllante per l'acquisizione del controllo nel senso sopra individuato.

è inoltre chiaro che se, per assurdo, la fusione intervenga quando ormai si è esaurita la durata del finanziamento e lo stesso è stato ormai restituito dalla newco, anche laddove detto finanziamento sia stato contratto per l'acquisto del controllo di target, esso senza dubbio non potrà avere alcuna incidenza sulla situazione patrimoniale di target e dunque non v'è ragione di applicare le cautele di cui all'art 2501-bis c.c. [nota 69]

Caratteristiche della fusione attuativa del leveraged

è appena il caso di rilevare che la disciplina di cui all'art. 2501-bis c.c. trova applicazione qualunque sia il tipo di fusione adottata in concreto per chiudere l'operazione.

Pertanto le relative disposizioni valgono sia in caso di fusione propria che di fusione per incorporazione, sia in caso di fusione diretta che di fusione inversa [nota 70].

Ed invero ciò che rileva ai fini della realizzazione delle finalità prese in considerazione dal legislatore è che si verifichi la confusione dei patrimoni delle società coinvolte nell'operazione.

Appare dunque evidente che detta confusione è una connotazione naturale di qualsiasi operazione di fusione a prescindere dalla configurazione che essa assume in concreto.

Il procedimento

Generalità

Ricorrendo i presupposti di operatività dell'istituto in esame, l'art. 2501-bis c.c. prevede che alla fusione si applichino particolari formalità procedurali, che rendono il relativo procedimento più complesso rispetto alla sua normale configurazione [nota 71].

Il contenuto del progetto di fusione

1. L'indicazione delle risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione

In particolare il progetto di fusione deve indicare le risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione (art. 2501-bis secondo comma c.c.).

Dalla norma traspaiono con tutta evidenza le ragioni che sono alla base della stessa ed alle quali si è già avuto modo di accennare (v. retro § 4.).

Ci si preoccupa di evitare che l'operazione possa condurre al dissesto della società target ad opera di chi ne acquisisca il controllo senza disporre di mezzi propri adeguati e facendo affidamento esclusivamente su capitale finanziario fornito da terzi creditori.

La norma fa riferimento peraltro, non solo ai debiti contratti per l'acquisizione, ma genericamente a tutte le «obbligazioni della società risultante dalla fusione», proprio al fine di assicurare la par condicio creditorum ed anche in considerazione del fatto che ciò che rileva nella mens legis è il complessivo equilibrio finanziario della società risultante dalla fusione [nota 72].

La disposizione in esame dunque non impedisce che per il pagamento dei debiti contratti per l'acquisizione del controllo si faccia affidamento sulle risorse patrimoniali e finanziarie della società target.

Ciò che si vuole è invece semplicemente che tali risorse siano sufficienti ad impedire il dissesto della società risultante dalla fusione.

In tale ottica va anche colto l'esatto significato dell'espressione "risorse finanziarie", che devono essere oggetto di espressa indicazione del progetto di fusione.

Alla stregua delle esposte considerazioni, e tenuto conto della menzionata ricostruzione delle ragioni poste a base della norma, dovrebbe risultare evidente che con tale espressione si intende alludere a qualsiasi risorsa che sia idonea a consentire il pagamento dei debiti della società risultante dalla fusione e che pertanto sia atta ad evitarne il dissesto.

Può trattarsi di elementi patrimoniali (quali ad esempio rami aziendali relativi a settori non strategici per la società [nota 73]) suscettibili di vendita per generare cassa o, al limite, di esecuzione forzata ovvero derivanti da apporto di nuovo capitale di rischio da parte dei soci [nota 74], semprechè sussista la ragionevole certezza che tale apporto sia effettivamente attuato.

Ma non è detto che debba necessariamente trattarsi di elementi patrimoniali; le risorse possono infatti anche provenire dal c.d. cash flow, vale a dire della ragionevole aspettativa di generare, nell'esercizio dell'attività di impresa, flussi di cassa idonei ad assicurare il pagamento delle passività [nota 75].

Quanto alla liquidità ricavabile da ulteriori prestiti, la ratio legis induce a ritenere che essa possa essere validamente dedotta solo ove i nuovi prestiti siano a loro volta idonei ad essere rimborsati con mezzi propri della società, come nel caso in cui si profili la possibilità, a fusione avvenuta, di ristrutturare il debito della società con modalità tali che esso possa essere rimborsato con il cash flow prevedibile [nota 76].

2. Le finalità dell'indicazione e le conseguenze della sua infedeltà

L'indicazione delle risorse finanziarie nel progetto di fusione è diretta a perseguire una duplice finalità.

Da un lato essa è diretta a rendere noto ai soci ed ai terzi le ragioni economiche dell'operazione [nota 77].

Dall'altro essa è dettata al fine di far assumere agli amministratori che hanno redatto ed approvato il progetto di fusione una precisa responsabilità di quanto in esso indicato in modo da costituire un deterrente alla realizzazione di operazioni di leveraged buy out azzardate [nota 78].

Peraltro l'indicazione delle risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione contenuto nel relativo progetto, specie se basata sul cash flow atteso, può consistere in un giudizio prognostico più che in una dichiarazione di scienza [nota 79].

Tale considerazione invero non può non avere influenza sulla responsabilità civile degli amministratori, laddove l'indicazione contenuta nel progetto di fusione non trovi successivamente un puntuale riscontro nei fatti [nota 80].

E invero se l'indicazione in esame contenuta nel progetto è relativa ad elementi patrimoniali della società risultante dalla fusione ed essa non risulti veritiera relativamente all'esistenza di tali elementi patrimoniali, essa non potrà non coinvolgere, almeno di norma, la responsabilità degli amministratori che tale progetto abbiano redatto ed approvato.

Se invece detti elementi patrimoniali sussistano, ma ne risulti esagerata la valutazione in relazione a quella dell'ammontare dei debiti da soddisfare, la responsabilità degli amministratori sussisterà se detta valutazione risulti colposamente o dolosamente non conforme al vero, in base a criteri di ragionevolezza [nota 81].

Del pari se l'indicazione in esame è relativa ad una valutazione dei flussi di cassa attesi, che si riveli successivamente infondata, essa coinvolgerà la responsabilità degli amministratori se la relativa previsione possa essere considerata azzardata in relazione alle circostanze note al momento della formulazione di tale previsione e tenuto conto del particolare grado di diligenza professionale che si richiede in capo agli amministratori ex art. 1176 secondo comma c.c.

Peraltro in tali casi, accanto alla responsabilità degli amministratori, nelle società a responsabilità limitata, può configurasi oggi anche la responsabilità solidale dei soci che hanno intenzionalmente deliberato l'approvazione di tale progetto ai sensi dell'art. 2476 settimo comma c.c.

Più incerto è oggi il panorama relativo alla responsabilità penale degli amministratori.

Nel vecchio sistema penale societario l'art. 2630 primo comma n. 2 c.c. sanzionava penalmente la violazione dell'art. 2358 c.c.

Nella materia che qui interessa l'applicazione di detta norma è venuta meno per un duplice ordine di motivazioni.

In primo luogo, infatti, come si è detto, la riforma del diritto societario ha escluso che il leveraged buy out possa essere di per sé ricondotto nell'ambito della violazione del divieto di assistenza finanziaria.

In secondo luogo anche per tale divieto la sanzione penale è venuta meno a seguito della riforma del sistema penale societario operata con il D.lgs.11 aprile 2002 n. 61.

Nessuna norma pertanto si presta a reprimere in modo specifico e diretto la violazione dell'art. 2501-bis c.c. [nota 82]

Ne deriva che le uniche norme penali che possono oggi assumere indiretta rilevanza nella materia de qua sono rappresentate, ove ne ricorrano i presupposti:

dall'art. 2629 c.c. in forza del quale «gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano ... fusioni con altra società …, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato»;

dall'art. 2622 c.c. relativo alle false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori [nota 83].

La relazione da allegare al progetto di fusione

Un'ulteriore aggravio del contenuto del progetto di fusione è dettato dall'art. 2501-bis quinto comma c.c.

Detta norma dispone infatti che «al progetto deve essere allegata una relazione della società di revisione incaricata della revisione contabile obbligatoria della società obiettivo o della società acquirente».

Dal tenore letterale di tale disposizione sembra potersi desumere che tale obbligo scatti solo se la società obiettivo o quella acquirente siano soggette per legge alla revisione contabile obbligatoria da parte di una società di revisione (si tratta, in forza degli artt. 155 e 165 T.U.F., delle società quotate e delle società controllate da società con azioni quotate) [nota 84].

Peraltro in tal caso non è previsto che le società di revisione debbano essere investite di tale incombenza a seguito di una specifica investitura da parte delle società coinvolte nel procedimento di fusione o da parte dell'autorità giudiziaria [nota 85].

La legittimazione a redigere tale relazione infatti deriva ipso jure dal fatto che si tratti della società incaricata della revisione contabile obbligatoria di una delle società coinvolte nella fusione.

Peraltro se entrambe le società partecipanti alla fusione siano soggette per legge alla revisione contabile obbligatoria da parte di una società di revisione ci si potrebbe chiedere se occorra redigere una distinta relazione per ogni società partecipante alla fusione o se sia sufficiente che una sola di esse effettui detto adempimento, a scelta degli amministratori delle società coinvolte, atteso che la norma in esame si esprime in termini di alternatività.

Ma parrebbe che debba essere preferita la prima soluzione in quanto l'alternatività prevista dalla norma si riferisce alla circostanza che ad essere assoggettata a revisione contabile obbligatoria da parte di una società di revisione potrebbe essere anche soltanto la società obiettivo ovvero soltanto la società acquirente [nota 86].

Ma, ove entrambe lo siano, non vi sarebbe alcuna ragione logica per "preferire" la società di revisione dell'una o dell'altra società [nota 87].

Del resto ciascuna società di revisione appare maggiormente idonea ad attestare la correttezza dei dati contabili rilevanti della società dalla medesima controllata.

In tali casi si pone il problema di stabilire se occorra redigere tante relazioni quante sono le società partecipanti alla fusione ovvero se sia possibile procedere ad una relazione congiunta, unica per tutte le società.

Sembra peraltro che si possa anche procedere a redigere un'unica relazione ove nella stessa siano raggruppati i contenuti che sarebbero stati propri di ciascuna relazione, qualora si fosse proceduto a redigere relazioni distinte.

Peraltro la legge non dice espressamente quale debba essere il contenuto di detta relazione.

Ma evidentemente essa deve contenere le osservazioni che la società di revisione può fare in relazione a quanto di propria competenza ed a quanto appreso nell'esercizio delle proprie funzioni ed evidentemente dette osservazioni attengono al contenuto del progetto ed in particolare allo speciale contenuto prescritto in caso di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento.

Ci si riferisce principalmente alla necessità di indicare le risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione, onde deve ritenersi che la relazione debba esprimere anche una valutazione su tale indicazione.

Ma la valutazione in parola dovrà ritenersi limitata alla revisione dei dati contabili posti a base di tali valutazioni finanziarie, stante il ruolo della società di revisione e l'esigenza di evitare duplicazioni con l'attestazione degli esperti prevista dall'art. 2501-bis quarto comma c.c. [nota 88]

Si tratta in altre parole di una cautela ulteriore adottata, per le società soggette a revisione obbligatoria da parte di società di revisione, per garantite la sicurezza economica dell'operazione.

La relazione di cui all'articolo 2501-quinquies c.c.

L'art. 2501-bis terzo comma c.c. prevede inoltre che la relazione di cui all'articolo 2501-quinquies c.c. deve indicare le ragioni che giustificano l'operazione e contenere un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere.

Quanto alle ragioni che giustificano l'operazione deve osservarsi che in realtà l'articolo 2501-quinquies c.c. già prevede in termini generali che la relazione «illustri e giustifichi, sotto il profilo giuridico ed economico» il progetto di fusione [nota 89].

Pertanto la prescrizione dell'art. 2501-bis c.c., per assumere un suo autonomo significato, deve evidentemente riferirsi ad una speciale giustificazione connessa all'uso del particolare procedimento del leveraged buy out.

In coerenza con ricostruzione della ratio legis sopra proposta (v. retro § 4.), deve pertanto ritenersi che si faccia riferimento alla esistenza di un vero e proprio piano industriale, al fine di escludere che l'operazione venga posta in essere per mere ragioni speculative, in conformità a quanto ritenuto dalla più recente giurisprudenza di merito [nota 90].

Quanto alla necessità che la relazione degli amministratori contenga un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle risorse finanziarie, la previsione deve porsi in diretta connessione con l'intento di evitare che l'operazione possa condurre al dissesto finanziario della società target.

Ed invero, nel momento in cui si fa obbligo agli amministratori di redigere una adeguato business plan, si pongono le basi per far assumere ai predetti specifiche responsabilità per un eventuale dissesto della società risultante dalla fusione, ove tale piano economico e finanziario non si riveli adeguato.

La norma peraltro non richiede che si debba necessariamente predisporre un piano di rientro del debito contratto per l'acquisto del controllo della target entro limiti di tempo determinati.

La preoccupazione del legislatore sembra infatti essere esclusivamente relativa alla sussistenza delle risorse finanziarie sufficienti al pagamento dei debiti sociali e non anche che detti debiti debbano essere rimborsati in termini predeterminati [nota 91].

Del resto, come si è visto, l'indicazione delle risorse finanziarie si riferisce al pagamento non solo dei debiti contratti per l'acquisto del controllo di target, ma di tutti i debiti della società risultante dalla fusione.

Pertanto appare evidente che i termini di estinzione di tali debiti, una volta che risulti la disponibilità delle risorse finanziarie sufficienti per farvi fronte, non possano che essere rimessi alla libera determinazione dell'organo amministrativo della società risultante dalla fusione, anche se nulla vieta che il piano economico e finanziario fissi dei termini di presumibile rientro.

Ed anzi appare probabile che nella prassi societaria un adeguato business plan dovrà affrontare verosimilmente anche il problema dell'assetto del debito della società nel tempo, laddove l'indebitamento della società risultante dalla fusione dovesse risultare eccessivo.

Quanto alla descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere, tale indicazione va letta in connessione con quanto sopra detto per l'indicazione delle ragioni che giustificano l'operazione ed è finalizzata alla trasparenza dell'operazione.

Peraltro tutte le indicazioni di cui sopra sono dirette in termini generali, come si è già avuto modo di rilevare, a far assumere agli amministratori che hanno redatto ed approvato la relazione di fusione una precisa responsabilità di quanto in essa indicato in modo da costituire un deterrente alla realizzazione di operazioni di leveraged buy out azzardate [nota 92].

La relazione degli esperti di cui all'articolo 2501-sexies c.c.

Una ulteriore prescrizione formale è dettata per la relazione degli esperti di cui all'articolo 2501-sexies c.c.

L'art. 2501-bis quarto comma c.c. dispone infatti che detta relazione debba attestare la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del secondo comma di detto articolo [nota 93].

Anche in tal caso trattasi di adempimento diretto a responsabilizzare i soggetti coinvolti e a scoraggiare in conseguenza la realizzazione di operazioni azzardate.

In tal modo infatti alla responsabilità degli amministratori di cui sopra si aggiunge quella degli esperti che hanno redatto la relazione sulla congruità del rapporto di cambio.

Tuttavia la responsabilità degli esperti sembra più circoscritta rispetto a quella degli amministratori perché essa è limitata alla sussistenza della ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione [nota 94] e quindi ad un giudizio di astratta idoneità delle risorse finanziarie prospettate.

Essa pertanto non implica necessariamente l'attestazione della verità di tutti i dati esposti se non di quelli che gli esperti hanno conosciuto o dovevano necessariamente conoscere usando l'ordinaria diligenza professionale [nota 95].

L'inapplicabilità al leveraged delle norme in tema di fusioni semplificate

1. La fusione di società interamente posseduta

Infine l'ultimo comma dell'art. 2501-bis c.c. dispone che alla fusione a seguito di acquisizione con indebitamento non si applicano le disposizioni degli articoli 2505 e 2505-bis c.c., relativi alla c.d. fusione semplificata.

Quanto all'art. 2505 c.c., che disciplina l'ipotesi di fusione per incorporazione di società interamente posseduta, deve rilevarsi che l'impossibilità di applicare le relative semplificazioni procedurali al leveraged buy out pone una serie di problemi di coordinamento.

In primo luogo la disposizione restrittiva di cui all'ultimo comma dell'art. 2501-bis c.c. implica che non è possibile attribuire la competenza alla deliberazione della fusione all'organo amministrativo, come è invece consentito dall'art. 2505 secondo comma c.c. [nota 96]

La fusione a seguito di acquisizione con indebitamento deve pertanto sempre essere deliberata dai soci.

Si è evidentemente ritenuto che costoro debbano valutare direttamente l'attendibilità del piano industriale e delle risorse finanziarie prospettati dagli amministratori, trattandosi di operazione idonea a porre in pericolo la solidità economica della società risultante dalla fusione.

La disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 2501-bis c.c. non ha invece alcun senso laddove, nel disapplicare in toto l'art. 2505, essa implica letteralmente la riapplicazione alla fusione in esame delle disposizioni di cui all'articolo 2501-ter, primo comma, numeri 3), 4) e 5) c.c., relative alla necessità di indicare nel progetto di fusione il rapporto di cambio delle azioni o quote, nonché l'eventuale conguaglio in danaro, le modalità di assegnazione delle azioni o delle quote della società che risulta dalla fusione o di quella incorporante, la data dalla quale tali azioni o quote partecipano agli utili.

Tali previsioni infatti non possono in alcun caso essere contenute nel progetto di fusione laddove, come avviene nel caso di specie, per definizione manchi il rapporto di cambio [nota 97].

A prima vista desta perplessità anche la letterale riapplicazione degli articoli 2501-quinquies e 2501-sexies c.c., normalmente esclusa dal primo comma dell'art 2505 c.c. nell'incorporazione di società interamente posseduta.

Gli articoli 2501-quinquies e 2501-sexies c.c. infatti si riferiscono alla relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio ed alla relazione degli amministratori che tale rapporto è diretta ad illustrare.

Ne deriverebbe che anche tali adempimenti non dovrebbero a rigore potersi applicare laddove manchi del tutto il rapporto di cambio.

Nondimeno a ben vedere la disposizione in esame può avere un senso se riferita al contenuto delle relazioni degli amministratori e degli esperti che prescindano dal rapporto di cambio.

Nella fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, infatti, la relazione degli amministratori e quella degli esperti si arricchiscono di contenuti ulteriori rispetto a quelli inerenti al rapporto di cambio, afferenti alle ragioni che giustificano l'operazione, al relativo piano economico e finanziario ed alla indicazione della fonte delle risorse finanziarie (terzo e quarto comma dell'art 2501-bis c.c.).

In pratica:

- la relazione degli amministratori nel caso di specie si limiterà a indicare le ragioni che giustificano l'operazione e a contenere un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere;

- la relazione degli esperti si limiterà ad attestare la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del secondo comma dell'art. 2501-bis c.c. [nota 98]

2. La fusione di società posseduta al novanta per cento

Quanto all'art. 2505-bis c.c., che disciplina l'ipotesi di fusione per incorporazione di società possedute al novanta per cento, deve parimenti rilevarsi che la disposizione restrittiva di cui all'ultimo comma dell'art. 2501-bis c.c. implica che non è possibile attribuire la competenza alla deliberazione della fusione all'organo amministrativo, come è invece consentito dall'art. 2505-bis secondo comma c.c. [nota 99]

A maggiori problemi dà luogo la integrale riapplicazione alla fattispecie in esame dell'art. 2501-sexies c.c., che normalmente, in forza dell'art. 2505-bis primo comma c.c., non si applicherebbe qualora venga concesso agli altri soci della società incorporata il diritto di far acquistare le loro azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso.

Ed invero la riapplicazione dell'articolo 2501-sexies c.c., essendo stata disposta in modo indiscriminato, implica non solo che gli esperti debbano attestare la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del secondo comma dell'art. 2501-bis c.c., ma anche che debba farsi luogo in ogni caso alla stima del rapporto di cambio [nota 100].

Nondimeno quest'ultima conclusione appare incongrua perché, una volta escluso il rischio di operazioni meramente speculative, mediante gli accorgimenti di cui all'art. 2501-bis commi 3 e 4 c.c., nulla avrebbe dovuto opporsi all'applicazione della regola generale prevista per la fusione per incorporazione di società possedute al novanta per cento, che esclude, a certe condizioni, la necessità di stimare il rapporto di cambio [nota 101].

Le semplificazioni di cui all'art. 2505-quater c.c.

L'art. 2501-bis c.c. nulla dice in ordine all'applicabilità o meno alla fusione a seguito di acquisizione con indebitamento dell'art. 2505-quater c.c. secondo cui «se alla fusione non partecipano società regolate dai capi V e VI del presente titolo, né società cooperative per azioni, non si applicano le disposizioni degli articoli 2501, secondo comma, e 2501-ter, secondo comma; le disposizioni dell'articolo 2501-sexies possono essere derogate con il consenso di tutti i soci delle società partecipanti alla fusione; i termini di cui agli articoli 2501-ter, quarto comma, 2501-septies, primo comma, e 2503, primo comma, sono ridotti alla metà».

Nondimeno le particolari disposizioni dettate dall'art. 2501-bis c.c. inducono a ritenere in ogni caso impossibile che, sia pure con il consenso di tutti i soci delle società partecipanti alla fusione, si possa derogare alle disposizioni dell'articolo 2501-sexies c.c.

Ed invero nella fusione a seguito di acquisizione con indebitamento la relazione degli esperti deve contenere, come si è visto, anche l'attestazione della ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del secondo comma dell'art. 2501-bis c.c.

Orbene, alla stregua della ricostruzione sopra posposta della ratio di tale ultima norma, appare evidente che detta attestazione non può considerarsi, come invece avviene per quella afferente alla stima del rapporto di cambio, funzionale alla mera tutela degli interessi personali dei soci, ma assume una finalità di tutela degli interessi anche dei terzi, se non addirittura dell'intero sistema economico.

Ne deriva pertanto che la rinunzia da parte dei soci non può essere sufficiente a far venire meno le ragioni che impongono l'applicazione della norma [nota 102].

Quanto alle altre disposizioni di cui al citato art. 2505-quater c.c., stante il silenzio dell'art. 2501-bis c.c. sul punto, deve ritenersi che le stesse possano senza dubbio applicarsi anche alla fusione a seguito di acquisizione con indebitamento ove ne ricorrano i presupposti [nota 103].

Del pari non dovrebbe esservi dubbio sulla possibilità per i soci di rinunziare ai termini di cui all'art. 2501-ter, ultimo comma [nota 104], e 2501-septies, primo comma c.c.

Il controllo notarile

La particolare natura della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento e le speciali disposizioni procedurali dettate al riguardo dal legislatore della riforma pongono il problema dell'individuazione dei limiti e delle modalità di esercizio nel caso di specie del controllo notarile di legalità e dell'eventuale succedaneo controllo dell'autorità giudiziaria di cui all'art 2436 c.c.

A tale riguardo deve innanzitutto osservarsi che nel nuovo sistema la delibera che approva il progetto di fusione è in definitiva una delibera a motivazione obbligatoria, sia pure per relationem.

Detta delibera infatti, come ogni altra delibera di fusione, si limita ad approvare il relativo progetto.

Ma nel caso di specie il progetto e la relazione illustrativa degli amministratori devono contenere le speciali motivazioni di cui all'art. 2501-bis commi 2 e 3 c.c. ed approvando il progetto, in definitiva, l'assemblea dei soci approva dette motivazioni.

Il fenomeno delle deliberazioni assembleari a motivazione obbligatoria peraltro non è nuovo al diritto societario poichè esso era previsto nel precedente sistema in caso di riduzione del capitale sociale per esuberanza di cui al vecchio art. 2445 c.c. (che oggi invece non richiede più la sussistenza del requisito dell'esuberanza, pur dovendo ancora l'avviso di convocazione indicare, nelle sole SpA, le ragioni della riduzione) e in caso di delibera di aumento di capitale a pagamento con soppressione del diritto di opzione, laddove l'interesse della società lo esiga, di cui all'art 2441 quinto comma c.c. e, nel nuovo sistema, dall'art. 2497-ter c.c. relativo alle decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate.

Nondimeno, posto che il controllo notarile e l'eventuale controllo succedaneo del Tribunale costituiscono pur sempre controlli di mera legalità e non di merito [nota 105], il notaio rogante ovvero il Tribunale devono limitarsi a rilevare:

la presenza delle dette motivazioni di cui all'art. 2501-bis commi 2, 3 e 4 c.c. nel progetto di fusione e nella relazione degli amministratori e degli esperti nonchè la mera congruenza logico-giuridica delle motivazioni addotte (sulla base dei criteri sopra esposti) e non la convenienza dell'operazione o la verità dei fatti assunti a base della stessa [nota 106].

Ciò posto deve rilevarsi che, alla stregua delle esposte considerazioni, appare evidente che non sempre la ricorrenza dei presupposti di applicazione dell'art. 2501-bis c.c. sono percepibili dal notaio rogante.

A tal fine è infatti richiesto che:

- una delle società fondende abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra;

- la prima società abbia assunto il controllo dell'altra;

- a seguito della fusione il patrimonio di quest'ultima venga a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dei detti debiti.

Pertanto, specie con riferimento ai presupposti di cui ai punti 1 e 3 - e, in caso di fattispecie di controllo diverse dal c.d. controllo di diritto, anche con riferimento al presupposto di cui al punto 2 - il notaio potrebbe legittimamente ignorare la sussistenza dei presupposti di applicazione della normativa in esame.

In molti casi infatti l'accertamento della sussistenza di tali presupposti richiede la dettagliata conoscenza della situazione complessiva delle società coinvolte (si pensi alla contrazione di debiti finalizzati all'acquisto) e non di rado implica una valutazione di merito sulla riconducibilità di determinate circostanze di fatto nella previsione normativa (si pensi alla valutazione relativa alla circostanza che il patrimonio della target venga a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dei debiti contratti per l'acquisizione o alla sussistenza di un controllo di fatto).

In detti casi, e salvo che la sussistenza di detti presupposti non risulti immediatamente percepibile ictu oculi dal notaio rogante (come può ad esempio accadere in caso di costituzione di una nuova società immediatamente seguita dalla contrazione di debiti risultanti dalla situazione patrimoniale di fusione), non può certamente farsi carico a quest'ultimo di emettere un giudizio relativo alla ricorrenza di tali presupposti, che può richiedere complessi accertamenti nell'ambito di un giudizio contenzioso [nota 107].

Piuttosto potrebbe essere comunque consigliabile, anche se senza dubbio non obbligatorio, che il notaio rogante interpelli al riguardo il presidente dell'assemblea in relazione alla sussistenza nel caso concreto dei presupposti di applicabilità dell'art. 2501-bis c.c. e inserisca la relativa risposta negativa nel verbale [nota 108].

Non può invero sottacersi che nel sistema della riforma spetta al presidente dell'assemblea la verifica della regolarità della costituzione dell'assemblea (v. artt. 2371 e 2479-bis quarto comma c.c.) [nota 109].

E senza dubbio deve ritenersi che un'assemblea convocata per l'approvazione del progetto di fusione di cui all'art. 2501-bis c.c. non potrebbe considerarsi atta a deliberare sull'ordine del giorno ove non siano stati osservati gli adempimenti preliminari di cui ai commi 2, 3 e 4 del citato articolo.

La predetta menzione delle dichiarazioni presidenziali in merito all'inesistenza dei presupposti di operatività dell'art. 2501-bis c.c. sarà poi sommamente opportuna nelle delibere di incorporazione di società interamente possedute, laddove la possibilità di avvalersi della c.d. procedura semplificata dipende, come si è visto (art. 2501-bis ultimo comma c.c.), anche dalla circostanza che non si tratti di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento.


[nota 1] Relazione ministeriale § 14.

[nota 2] Si suole inoltre distinguere il direct merger leveraged buyout, nel quale la società che acquisisce il controllo della target procede successivamente alla incorporazione di quest'ultima, ed il reverse merger leveraged buyout, nel quale invece la società target della quale viene acquisito il controllo procede alla incorporazione della società controllante (sul punto v. per tutti E. CIVERRA, Le operazioni di fusione e scissione, Milano 2003, L. LAMBERTINI, Commento art. 2501-bis, in La riforma del diritto societario a cura di G. Lo Cascio, Gruppi, Trasformazione, Fusione e scissione, Scioglimento e Liquidazione, Società estere (artt. 2484-2510), Milano, 2003, p. 383).

[nota 3] Osserva al riguardo A. MORANO, «Il merger leveraged buy-out alla luce del nuovo art. 2501-bis», in Le Società, 2003, p. 952 che «nella prassi sono state individuate differenti tipologie di leveraged buy-out. In base ad una prima classificazione si suole distinguere tra assets sale e transaction merger a seconda che oggetto immediato e diretto dell'operazione di acquisizione siano i beni aziendali ovvero le azioni della target … Nel caso in cui l'operazione si configuri come un acquisto di azioni si parla di merger (fusione) poiché l'elemento caratterizzante l'operazione di acquisizione, è la fusione tra la società acquirente e la società bersaglio … Con riguardo al profilo soggettivo dell'operazione oggetto d'esame, viceversa, si distingue tra management leveraged buy-out, nel caso in cui tra i soci della società acquirente vi siano anche i managers della target e management leveraged buy-in qualora tra i soci dell'acquirente vi siano manager esterni alla società bersaglio. Si parla, invece, di employee buy-out quando all'acquisto partecipano anche i dipendenti della società oggetto di acquisizione. Vengono poi, forse impropriamente, definite family buy-out, quelle operazioni di acquisizione di società attuate con l'utilizzo del leveraged, mediante le quali si procede alla ristrutturazione dell'assetto proprietario di aziende familiari. Un'ultima figura di leveraged è costituita dai c.d. fiscal buy-outs: tale fattispecie si connota per il fatto che i soci della target sono i medesimi della società acquirente. Sotto un profilo sostanziale detta operazione non comporta alcun effettivo passaggio di proprietà, essendo la stessa motivata da ragioni esclusivamente di ordine fiscale: trattandosi di operazione motivata da intenti meramente elusivi non sembra poter trovare accoglimento nel nostro ordinamento, ostandovi al riguardo, il disposto dell'art. 1344 c.c. (Negozio in frode alla legge)». In argomento v. anche L. LAMBERTINI, Commento art. 2501-bis, cit., p. 383 e ss. e G. ARTALE, Commento all'art. 2501-bis, in Codice commentato delle nuove società, a cura di G. Bonfante, D. Corapi, G. Marziale, R. Rordorf e V. Salafia, Milano, 2004, p. 1281; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P.G. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, artt. 2498 - 2506-quater, Milano, 2006, p. 466 e ss.

[nota 4] Peraltro nel nuovo sistema, ove si tratti di società a responsabilità limitata o di finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti (art. 2497-quinquies c.c.), anche la restituzione delle somme versate dai soci a titolo di finanziamento subisce limitazioni ad opera dell'art. 2467 c.c., secondo il quale, in determinate condizioni, «il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito».

[nota 5] Escludono tendenzialmente l'illiceità del merger leveraged buyout F. CARBONETTI, L'acquisto di azioni proprie, Milano, 1988, p. 180; R. PARDOLESI, «leveraged buy out: una novità a tinte forti (o fosche?)», in Giur. comm., 1989, I, p. 402 e ss.; ID., «leveraged buy out: non è fuori legge», in Corr. giur., 1992, p. 1133; A. FRIGNANI, «I leveraged buy out nel diritto italiano», in Giur. comm., 1989, I, p. 419; ID., leveraged buy out, in Digesto IV, vol. IX, Torino 1993; A. GOMMELLINI, «Le operazioni di leveraged buy out di fronte al diritto italiano», in Riv. dir. comm., 1989, I, p. 161 e ss.; A. MORANO, «Acquisto di azioni mediante LBO», in Le società, 1989, p. 793; ID. «Tutela dei soci di minoranza nel leveraged buy-out», in Le Società, 1990, p. 11; S. CALVELLO, «leveraged buy-out», in Contr. e impr., 1990, p. 1255; ID. «Liceità o illiceità del leveraged buy out?», in Le società, 1992, p. 885; A. GAMBINO, «Intervento», in AA.VV., Il leveraged buy-out in Italia, in Dir. fall., 1990, I, 67, p. 5; G. PARTESOTTI, Le operazioni sulle proprie azioni, in Trattato delle SpA, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 2, I, Torino, 1991, p. 487 e ss.; I. CHIEFFI, «Il leveraged buy out nell'ordinamento italiano», in Giur. comm., 1992, II, p. 993 e ss.; F. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1992, p. 378 e ss.; D. PREITE, «I merger leveraged buy out e gli artt. 2357 e 2358 c.c.», in Giur. comm., 1993, II, p. 104 e ss.; P. BONTEMPI, «Acquisizione societaria mediante procedimento di fusione e liceità del c.d. leveraged buy out nell'ordinamento giuridico italiano», in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 119; F. GRAMMEGNA, «Note in punto di leveraged buy-out», in Riv. dir. comm., 1993, II, p. 77; F. CAMILLETTI, «Alcune considerazioni sulla nuova disciplina delle fusioni e sul c.d. merger leveraged buy out», in Giur. comm., 1994, II, p. 144; M. DI STASO, «L'operazione di LBO in Italia», in Impresa, 1995, p. 1827; V. DE SENSI, «Brevi note sul leveraged buy-out», in Dir. fall., 1996, I, p. 243; F. MARABINI, «I problemi sempre attuali del leveraged buy-out», in Giur. comm., I, 1996, p. 165; G. FRè - G. SBISà, Società per azioni, in Commentario del codice civile a cura Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1997, p. 441 e ss.; M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante nella controllata e leveraged buy out», in Le società, 2000, p. 75 e ss., dopo la riforma, ID., «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», in Riv. soc., 2004, p. 247 e ss.; L. PICONE, «Liceità del "merger leveraged buy-out"?», in Le Società, 2000, p. 711; ACCINNI «Operazioni di leveraged buy out ed un preteso caso di illiceità penale» in Riv. soc., 2001, p. 193 e ss.; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2002, p. 255. In giurisprudenza Trib. Milano 14 maggio 1992, in Le società, 1992, p. 982, in Corriere giur., 1992, p. 1133, in Foro it., 1992, I, p. 2829, in Giur. comm., 1992, II, p. 988 (nota come caso «Farmitalia Carlo Erba»).

[nota 6] F. GRANDE STEVENS, LBO/MBO: intervista a Franzo Grande Stevens (di Umberto Morello), in AA. VV., Fusioni, concentrazioni e trasformazioni tra autonomia e controllo, Milano, 1990, p. 157 e ss.; U. MORELLO, Il problema della frode alla legge rivisitato: fusioni per prevalenti scopi fiscali, leveraged buy outs e managements buy outs, in AA. VV., Fusioni, concentrazioni e trasformazioni tra autonomia e controllo, Milano, 1990, p. 17 e ss.; ID., «leveraged e management buy-out: ... una breve postilla», in Notariato, 1996, p. 182; P. MONTALENTI, Il leveraged buy out, Milano, 1991, p. 116 e ss.; ID., «I giudici italiani e il leveraged buy out tra responsabilità della capogruppo e divieto di assistenza finanziaria», in Giur. it., 1996, I, 2, p. 195 e ss.; ID., Frode alla legge e diritto societario: il leveraged buy out, in Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance, Padova, 1999, p. 57; G. COTTINO, Le società. Diritto commerciale, 1, II, Padova, 1999, p. 326.

Cass. penale 4 febbraio 2000 n. 5503, in Le Società, 2000, p. 711 e in Riv. dir. priv., 2001, p. 375 giungeva addirittura ad affermare in ogni caso la illiceità del leveraged buyout, ma senza motivazioni convincenti.

[nota 7] Trib. Milano 13 maggio 1999, in Giur. it., 1999, p. 2105 e in Le società, 2000, p. 75 (nota come caso "Trenno").

Il decreto cautelare emesso nel medesimo procedimento si era espresso in termini più radicalmente sfavorevoli alla liceità dell'operazione laddove disponeva che «è configurabile la nullità della fusione tra società qualora l'istituto sia utilizzato nell'ambito di un'operazione di leveraged buy out come strumento di elusione del divieto di fornire garanzie per l'acquisto di azioni proprie; deve pertanto ritenersi sussistente il fumus boni iuris ai fini della concessione del provvedimento di sospensione della deliberazione di fusione per incorporazione in una società per azioni di altra società che, costituita per l'acquisizione del pacchetto di controllo della prima, aveva a tal fine ottenuto consistenti finanziamenti presso banche depositarie di capienti liquidità della società incorporante» (Trib. Milano 27 ottobre 1997, decr., in Giur. it., 1998, p. 1440, con nota di N. Abriani).

Nello stesso ordine di idee della sentenza di merito v. anche Trib. Milano 25 gennaio 2001, in Giur. it., 2001, p. 761 e Trib. Milano 9 ottobre 2002, in Corr. giur., 2003, p. 206.

[nota 8] BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt.. dir. civ., diretto da Vassalli, XV, 2, Torino, 1960, 388 e ss.; SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Tratt. dir. civ., diretto da Grosso e Santoro-Passarelli, IV, 2, Milano, 1977, p. 174 e ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, il contratto, Milano, 1984, p. 587.

[nota 9] CALVOSA, La frode alla legge nei negozi giuridici, in Dir. e giur., 1949, p. 322 e ss.; CARRARO, Il negozio in frode alla legge, Padova, 1943, p. 11 e ss.; F. MESSINEO, Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, p. 287 e ss.; OPPO, In tema di negozio in frode alla legge, in Scritti giuridici, III, Padova, 1992, p. 342 e ss.; in giurisprudenza Cass. Sez. Un. 1 luglio 1981 n. 4414, in Banca borsa e tit. cred., 1981, 4, II, p. 391, in Foro It., 1982, 6, I, p. 1679, con nota di Macario, in Giust. civ., 1982, 9, I, p. 2418.

[nota 10] Cfr. M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante nella controllata e leveraged buy out», cit., p. 75 e ss., il quale lucidamente osserva, con riferimento al divieto di assistenza finanziaria di cui all'art 2358 c.c., che «la norma vieta la concessione di prestiti o garanzie senza annettere al contesto o alle motivazioni dell'acquisto alcun valore o disvalore: lo conferma il terzo comma dell'articolo che, ammettendo una limitata deroga al divieto quando l'operazione sia diretta a favorire l'azionariato dei dipendenti, esclude che qualunque altra finalità, per quanto economicamente apprezzabilissima, possa render lecita l'assistenza finanziaria prestata per l'acquisto delle azioni proprie».

[nota 11] Nello stesso senso A. MORANO, «Il merger leveraged buy-out alla luce del nuovo art. 2501-bis», cit., p. 952 e ss.; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 518; Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.3).

[nota 12] Nello stesso senso L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», in Contratto e impresa, 2003, p. 1396 e ss. e p. 1404 e ss., che sottolinea a tale riguardo il carattere interpretativo di tale norma della legge delega sulla scia di P. SCHLESINGER, «Merger leveraged buy out e riforma societaria», in Corr. giur., 2003, p. 705.

Il medesimo autore peraltro segnala (p. 1402 e ss.) anche che il legislatore delegato sembrerebbe al riguardo essere andato oltre le direttive della legge delega poiché egli non si è limitato, come previsto da quest'ultima, a sancire che il merger leveraged buy out non comporta violazione dell'art. 2358 c.c. (ed anzi ciò non è nemmeno stato precisato in modo esplicito), ma ha dettato limiti e condizioni che devono sussistere perché l'operazione possa essere considerata lecita. Nondimeno egli supera i conseguenti dubbi di legittimità costituzionale della nuova norma sul presupposto che la legge delega abbia implicitamente conferito al legislatore delegato anche il compito di dettare una specifica disciplina dell'istituto in esame.

A nostro parere peraltro la legittimazione dell'operato del legislatore delegato può essere rinvenuta anche nell'art. 7, comma 1°, lett. a) della legge-delega, ove si conferisce al legislatore delegato in via generale il compito di "precisare il procedimento" di fusione.

Invece secondo P. MONTALENTI, Commento all'art. 2501-bis, in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da G. Cottino, e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, p. 2311, la necessità di rispettare i vincoli derivanti dalla direttiva Cee che contempla il divieto di assistenza finanziaria avrebbe imposto al legislatore delegato di orientarsi verso una legislazione "controllata" dell'operazione.

[nota 13] L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 475 e 518.

Sull'applicabilità dei nuovi principi sul leveraged buy out anche alle Srl v. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1396 nt. 17.

[nota 14] Nello stesso senso E. CIVERRA, Le operazioni di fusione e scissione, cit., p. 159; P. SERRAO D'AQUINO, Commento art. 2501- bis, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, vol. 3, p. 426; P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario», in Giur. comm., 2004, I, p. 793; ID., Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2312.

Sembra invece separare nettamente la nuova disciplina dalla precedente dottrina delle «valide ragioni economiche» L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1401 e ss.

[nota 15] Nella stessa ottica v. anche ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE, Il nuovo diritto delle società, (a cura di G. Olivieri, G. Presti, F. Vella), Bologna, 2003, p. 349; D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, p. 262 e ss.; L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1406 e ss., secondo cui la nuova norma è posta, a fronte di un'operazione «"anomala" (e, quindi, pericolosa, dal punto di vista finanziario), … nell'interesse della corretta gestione della società (e, per l'effetto, nell'interesse dei soci e dei creditori)»; M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», in Riv. soc., 2004, p. 267; S. CACCHI PESSANI e L. PICONE, «Le operazioni di leveraged recapitalization nella nuova disciplina dell'art. 2501-bis», in Le società, 2005, p. 33; Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.2).

Nel senso che si intenda in tal modo reprimere il leveraged «meramente "predatorio", dal quale derivino benefici solo per i soci di una delle società» v. P. SERRAO D'AQUINO, Commento art. 2501- bis, cit., p. 427.

Sembra invece escludere che la nuova norma sia diretta a disincentivare operazioni meramente speculative L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 496.

[nota 16] Sembrano invece ritenere che il rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 2501-bis c.c. sia condizione affinché l'operazione non configuri un'indiretta violazione dell'art. 2358 c.c. E. CIVERRA, Le operazioni di fusione e scissione, cit., p. 161; P. SERRAO D'AQUINO, Commento art. 2501- bis, cit., p. 427; L. LAMBERTINI, Commento art. 2501-bis, cit., p. 391, il quale ultimo pertanto a p. 394 ipotizza problemi di compatibilità della nuova norma con la II direttiva Cee recepita nell'art. 2358 c.c.; P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario» cit., p. 793, 812 e 816, anch'egli con riferimento alla vincolatività della direttiva Cee; ID., Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2312, 2318 e 2322; V. SALAFIA, «Il "leveraged by out" nella riforma societaria», in Le società, 2004, p. 936; G. ARTALE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 1284 e ss.; P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», in Riv. soc., 2003, p. 1042 e ss. e spec. p. 1049.

Ma la violazione delle condizioni di cui all'art. 2501-bis c.c., alla stregua delle considerazioni sopra esposte nel testo, determina ormai una specifica ed autonoma fattispecie di illiceità procedimentale, che nulla ha a che fare con l'art. 2358 c.c. (in tal senso v. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1405).

La violazione di tali regole procedimentali pertanto non determina alcuna nullità per presunto contrasto con l'art. 2358 c.c., ma la semplice annullabilità delle delibere di fusione in tal modo adottate in forza del principio generale di cui all'art 2377 c.c. (L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1446 e ss.; M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 247 e 270; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 523 e ss.; contra V. SALAFIA, «Il "leveraged by out" nella riforma societaria», cit., p. 937, secondo cui la delibera sarebbe nulla). In ogni caso rimarrebbe ferma l'applicazione dell'art. 2504-quater c.c. (P. MONTALENTI, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2323; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 247 e 271; C. SANTAGATA, Le Fusioni, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 7**, 1, Torino, 2004, p. 278 e 612; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 527).

Esprimono dubbi di compatibilità della nuova disciplina del merger leveraged buy-out con la direttiva Cee anche DOLMETTA, «Il merger leveraged buy out nella legge delega n. 366/2001», in Corr. giur., 2002, p. 239 e G.B. PORTALE, «Dal capitale "assicurato" alle "tracking stocks"», in Riv. soc., 2002, p. 150; M. PERRINO, «La riforma della disciplina delle fusioni di società», in Riv. soc., 2003, p. 534 e ss. Quest'ultimo autore addirittura ritiene che, al fine di non infrangere la normativa comunitaria, occorrerebbe ritenere che il rispetto dell'art. 2501-bis c.c. non renderebbe di per sé lecita l'operazione, ma lascerebbe intatte le ragioni della distinzione tra LBO leciti e LBO illeciti perché in frode all'art. 2358 c.c.

Ma tali dubbi non hanno a mio parere ragion d'essere poiché la portata dell'art. 2358 c.c. non risulta minimamente alterata dalla nuova normativa in tema di merger leveraged buy out, dato che, come sarà esposto nel testo, quest'ultima non esclude certamente la repressione dell'assistenza finanziaria attuata indirettamente mediante negozi in frode alla legge, ma implica solo che l'applicazione di quest'ultimo rimedio non oltrepassi i limiti della corretta interpretazione delle norme coinvolte (nello stesso senso, sia pure con motivazione parzialmente diversa, L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1401).

Per una diffusa analisi delle legislazioni di altri paesi europei diretta a dimostrare che «la prevalente opinione concorda circa l'impossibilità di considerare il leveraged buy out come una tipica fattispecie di violazione del divieto di assistenza finanziaria» v. M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 252 e ss. Per ulteriori spunti di diritto comparato v. inoltre L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 514 e ss.

[nota 17] V. per tutti L. PICONE, «Liceità del "merger leveraged buy-out"?», cit., p. 711 e ss.; M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante nella controllata e leveraged buy out», cit., p. 75 e ss., il quale in particolare precisa che «l'art. 2358 c.c. condivide indubbiamente con tutte le disposizioni in tema di capitale sociale una finalità generica di tutela dei soci, dei creditori e dei terzi. Per stabilire quale sia la sfera di applicazione materiale della norma conta però solo quale ne è la funzione specifica. Orbene, a me sembra evidente che l'art. 2358 c.c. mira specificamente ad impedire che, attraverso prestiti o garanzie, gli amministratori della società emittente eludano il divieto di acquistare o sottoscrivere azioni proprie, riuscendo così ad influenzare il corso di borsa dei titoli, ad alterare a vantaggio proprio (o dei propri «affiliates») gli equilibri organizzativi della società oppure a discriminare a favore di taluni soci nell'utilizzo del patrimonio sociale.

Da ciò deriva che si può prospettare una violazione materiale dell'art. 2358 c.c. solo se si sta discutendo di una condotta degli amministratori della società emittente».

[nota 18] V. retro nota 9.

[nota 19] «Al limite può anche accadere che, volendo assolutamente acquistare azioni proprie, gli amministratori di una società prima facciano in modo che la società da loro gestita acquisti l'intero capitale o il controllo di una società che le detiene e poi facciano sì che la seconda sia incorporata nella prima: l'ipotesi è altamente improbabile, ma teoricamente è possibile. Se vi saranno la prova diretta di questa volontà o indizi sufficienti a ritenerne dimostrata l'esistenza, dovrà essere applicata la disposizione elusa (art. 2357 c.c.)» (M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante nella controllata e leveraged buy out», cit., p. 75 e ss.). In quest'ottica v. anche L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 519.

Sottolinea al riguardo che «la sussistenza di un'ipotesi di negozio in frode alla legge debba essere provata di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie concreta, non potendo tale giudizio essere condotto in base a valutazioni aprioristiche» anche A. MORANO, «Il merger leveraged buy-out alla luce del nuovo art. 2501-bis», cit., p. 952 e ss.

Sembra invece escludere in ogni caso la possibilità di ravvisare nel merger leveraged buy-out una violazione dell'art. 2358 c.c. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1399 e 1402, secondo il quale nel caso di specie «la fusione non integra mai assistenza finanziaria» e «non viola mai, né direttamente né indirettamente, l'art. 2358 c.c., indipendentemente dalle motivazioni per le quali la fusione viene realizzata». Ma si vedano le precisazioni del medesimo autore a p. 1451.

[nota 20] V. per tutti D. PREITE, «I merger leveraged buy out e gli artt. 2357 e 2358 c.c.», cit., p. 123; M.S. SPOLIDORO, «Incorporazione della controllante nella controllata e leveraged buy out», cit., p. 75 e ss..

[nota 21] M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 269; Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.2).

[nota 22] Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.2).

[nota 23] Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.2).

[nota 24] M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 268.

[nota 25] V. infra nota 47.

[nota 26] M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 273, secondo il quale peraltro l'art. 2476 penultimo comma sarebbe espressione di un principio più generale applicabile anche alle SpA. Ma di tale conclusione è lecito dubitare poichè la norma citata appare caratterizzante il profilo tipologico della Srl ed a distinguerlo da quello della SpA (sul punto v. amplius cap. IV § 2).

[nota 27] Specie a seguito delle modifiche appartate a dette norme dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, secondo il quale la tutela dei lavoratori nei trasferimenti di azienda si applica a «qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato».

[nota 28] A tale fine non rilevano le caratteristiche del finanziamento e dunque non rileva se si tratti di mutuo oneroso o gratuito, a breve medio o lungo termine, la natura bancaria o meno del mutuante, la tipologia del contratto di finanziamento (mutuo, apertura di credito o altro) ecc.(L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1408; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 232; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 482).

[nota 29] Nello stesso senso v. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1409 e 1412; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 232; M L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 486.

Invece secondo A. MORANO, «Il merger leveraged buy-out alla luce del nuovo art. 2501-bis», p. 952 e ss., «un ulteriore profilo non chiarito dalla riforma concerne la possibilità che, in un'operazione di LBO, parte del debito sia apportato alla società acquirente da parte del venditore, sotto forma di dilazione nel pagamento del prezzo di acquisto della società target. Nulla quaestio, invece, nell'ipotesi in cui il venditore riceva integralmente il corrispettivo pattuito quale prezzo di cessione e, contestualmente, effettui un finanziamento a favore della società, poiché, in tal caso, detto finanziamento verrà parificato alle altre voci di debito il cui rimborso dovrà essere contemplato dal piano finanziario. Desta maggiore perplessità la circostanza che, a fronte del mancato ottenimento da parte della società acquirente, in sede di finanziamento dell'operazione, dei mezzi necessari per il pagamento dell'intero corrispettivo di acquisto della società bersaglio, il venditore conceda detta dilazione e le parti contraenti pattuiscano che tale pagamento venga effettuato successivamente all'operazione di fusione: in siffatta ipotesi, difatti, sarebbe configurabile una violazione del divieto di financial assistance di cui all'art. 2358 c.c.».

Nondimeno, una volta chiarito che il soggetto creditore, in mancanza di alcun divieto legale, possa essere anche il venditore delle quote di controllo della target, non si vede per quale ragione la valutazione della liceità dell'operazione debba dipendere dalla connotazione causale della contrazione del debito.

Quanto alla possibile violazione dell'art. 2358 c.c. deve rilevarsi che è vero che la dilazione di pagamento costituisce senza dubbio un'agevolazione finanziaria astrattamente sussumibile nella lata interpretazione di tale ultima disposizione.

Ma è anche vero che tale agevolazione non è concessa dalla società le cui quote sono negoziate e dai suoi amministratori, che come si è visto sono i veri destinatari del divieto di cui all'art 2358 c.c., ma da altro soggetto e solo successivamente il relativo debito viene a gravare sulla target, come effetto legale dell'attuazione della fusione, non diversamente da quanto accade in ogni ipotesi di merger leveraged buyout.

[nota 30] L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1412; P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario», cit., p. 814; ID., Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2319 e ss.; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 233; V. SALAFIA, «Il "leveraged by out" nella riforma societaria», cit., p. 936; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 485.

[nota 31] P. MONTALENTI, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2319.

[nota 32] M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 234 critica la limitazione della rilevanza legale al solo indebitamento contratto allo scopo di procedere all'acquisizione e non anche all'eccessivo indebitamento pregresso della società acquirente, qualunque ne sia stata la finalizzazione e suggerisce di risolvere le relative problematiche attraverso il ricorso alla frode alla legge.

Ma a mio avviso non è questa la strada giusta per ovviare a tali problemi.

Ed invero delle due l'una.

O l'indebitamento pregresso della società acquirente è stato preordinato per l'acquisizione della target, ed allora si rientra pienamente e direttamente nell'applicazione dell'art 2501-bis c.c. senza ricorrere all'istituto della frode alla legge, salve le ovvie difficoltà probatorie.

Ovvero non sussiste detta preordinazione ed allora la normativa vigente non consente di ritenere l'operazione illecita.

Diversamente opinandosi finirebbe per dilatare l'ambito di applicazione dell'istituto in esame fino a consentire, ed anzi esigere, un difficile ed inusitato controllo di merito della gestione di operazioni straordinarie che non sembra essere nelle intenzioni del legislatore, il quale ha voluto assoggettare a speciali cautele le sole operazioni anomale e predatorie.

[nota 33] Peraltro, come sottolineato da L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1413, il breve lasso temporale costituisce un elemento indiziario e non costitutivo della fattispecie, essendo astrattamente possibile che il finanziamento sia finalizzato all'acquisto del controllo di target anche se stipulato molto tempo prima di tale acquisto. Cfr. anche L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 486.

[nota 34] A. GENOVESE, Fusioni e scissioni, in AA.VV., La riforma delle società di capitali e cooperative, a cura di L. Starola, Milano, 2003, p. 351.

[nota 35] Nello stesso senso v. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1409 e ss.; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 232.

Per l'applicabilità dell'art. 2501-bis c.c. anche laddove il finanziamento provenga dagli stessi soci della società raider v. anche L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 482.

[nota 36] Sul punto v. per tutti G.E. COLOMBO, Il bilancio di esercizio, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B Portale, vol. 7, tomo 1, Torino, 1994, p. 517 e ss., ove si sostiene la tesi, largamente condivisa in dottrina, secondo cui i versamenti in conto capitale costituendo riserva da capitale, siccome non derivante dall'accantonamento di utili, sarebbero soggetti al regime della riserva sovrapprezzo azioni di cui all'art. 2431 c.c.

Detta riserva rappresenta una tutela avanzata del capitale sociale che pertanto non può essere distribuita finché non sia stata saturata la riserva legale, istituzionalmente preposta a fungere a sua volta da protezione del capitale dalle perdite.

[nota 37] Sull'opportunità che tale circostanza risulti da un bilancio anche infra annuale v. G.E. COLOMBO, Il bilancio di esercizio cit., p. 520.

[nota 38] F. TASSINARI, Il finanziamento della società con mezzi diversi dal conferimento, in C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F. Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, p. 128 e ss.

[nota 39] La Relazione Ministeriale § 11 a tale riguardo discorre infatti di «finanziamenti … che formalmente si presentato come capitale di credito, ma nella sostanza economica costituiscono parte del capitale proprio».

[nota 40] Contra L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 482, nt. 49, secondo cui comunque rimarrebbe inalterato l'effetto di un elevato indebitamento della società risultante dalla fusione, con identiche conseguenze sull'equilibrio finanziario della società stessa.

[nota 41] L'ipotesi è bene descritta da L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1410 e s. e da P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», cit., p. 1041.

[nota 42] L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1411; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 239, secondo il quale in tal caso «l'intento di aggirare a norma imperativa si manifesta in re ipsa, senza che occorrano altre indagini di tipo psicologico o d'altro genere»; P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», cit., p. 1042, secondo il quale anzi la circostanza che l'art. 2501-bis c.c. sancisca indirettamente la non sussumibilità del leveraged buyout all'art 2358 c.c. implicherebbe a contrario che la diversa fattispecie della struttura delle due newco potrebbe più facilmente essere ricondotta a tale divieto. Ma tale ultimo assunto si basa su una supposta natura eccezionale dell'art. 2501-bis c.c. - che costituirebbe, secondo questa impostazione, una deroga all'art. 2358 c.c. - la quale alla stregua delle esposte considerazioni (v. retro § 4) non può essere condivisa.

[nota 43] In quest'ottica L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 492.

[nota 44] Cfr. M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 247 e ss.

[nota 45] Cfr. M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 249.

[nota 46] V. al riguardo P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario», cit., p. 795 sulla scia di SHERWIN, «Creditors' Rights Against Partecipants in leveraged Buyout», p. 72 Minn. rev., p. 451 (1988).

[nota 47] V. ad esempio P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», cit., p. 1043, che ipotizza l'applicazione delle norme di cui agli artt. 2391, 2394, 2634, 2629, 2497 e 2467 c.c. e M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 251, che ipotizza la sussistenza di conflitti di interesse o di tentativi di elusione di altre norme imperative. Lo stesso autore peraltro a p. 263 e 268 esclude che la delibera di fusione in caso di leveraged buy out sia sempre viziata da conflitto di interessi, e ciò a prescindere dal fatto che si tratti di un reverse merger o di un forward merger, occorrendo al riguardo una verifica caso per caso.

Sulla complessa problematica dei conflitti di interesse nel leveraged buy out v. amplius A. VICARI, I conflitti d'interessi di amministratori e soci della società target nel leveraged buy out, in Il nuovo diritto delle società - Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. B. Portale, 4, Torino, 2007, p. 267 e ss.

[nota 48] S. CACCHI PESSANI e L. PICONE, «Le operazioni di leveraged recapitalization nella nuova disciplina dell'art. 2501-bis», cit., p. 30 e ss., rivedendo quanto già affermato da uno degli autori (v. retro nota 42).

A tale riguardo è stato sottolineato che l'art. 2501-bis c.c. nell'attuale sistema non può considerarsi una norma eccezionale, bensì l'espressione di un principio generale, diretto garantire l'equilibrio finanziario e gestionale delle società.

[nota 49] Secondo M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 276 e L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 494, l'art. 2501-bis c. c. sarebbe estensibile analogicamente anche alle scissioni che presentino aspetti analoghi alla fusione in esame, come avviene nel caso di scissione parziale della società target a favore della società acquirente.

[nota 50] S. CACCHI PESSANI e L. PICONE, «Le operazioni di leveraged recapitalization nella nuova disciplina dell'art. 2501-bis», cit., p. 27 e ss.

[nota 51] S. CACCHI PESSANI e L. PICONE, «Le operazioni di leveraged recapitalization nella nuova disciplina dell'art. 2501-bis», cit., p. 28.

[nota 52] P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», cit., p. 1048, nt. 80; S. CACCHI PESSANI e L. PICONE, «Le operazioni di leveraged recapitalization nella nuova disciplina dell'art. 2501-bis», cit., p. 29; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 480.

[nota 53] V. infatti per l'applicazione dell'art. 2501-bis c.c. al caso di specie S. CACCHI PESSANI e L. PICONE, «Le operazioni di leveraged recapitalization nella nuova disciplina dell'art. 2501-bis», cit., p. 30, sul presupposto, da me non condiviso, della applicazione analogica di detta norma alla «struttura delle due newco».

[nota 54] S. CACCHI PESSANI e L. PICONE, «Le operazioni di leveraged recapitalization nella nuova disciplina dell'art. 2501-bis», cit., p. 35.

[nota 55] Adombra tale dubbio anche P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», cit. p. 1041.

[nota 56] M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 240 critica infatti la riforma per non avere previsto analoghe cautele anche laddove l'operazione di leveraged sia attuata senza il ricorso alla fusione.

[nota 57] L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1416.

Contra BERNARDI, «Legittimità delle operazioni di leveraged buy-out», in Dir. e prat. delle società, 2003, p. 53; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 238; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 479 e ss., che tuttavia ritiene applicabile l'art 2501-bis c.c. con riguardo all'ipotesi del passaggio da una situazione di controllo di fatto ad una di controllo di diritto.

Secondo Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.1) la norma in esame trova applicazione «anche qualora siano stati contratti debiti per acquisire una partecipazione che di per sé non garantisca il controllo, ma che se sommata con le eventuali altre partecipazioni detenute dall'incorporante (mediante acquisto senza indebitamento avvenuto prima o dopo quello con indebitamento), garantisca detto controllo».

[nota 58] La dottrina si è al riguardo dichiarata propensa ad una interpretazione ampia della norma e quindi ha concluso per la rilevanza anche dei voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta, come previsto dall'art. 2359 secondo comma c.c. ed anche delle partecipazioni di gruppo e di quelle detenute dalla co-controllante (L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1417 e ss.).

[nota 59] Sul punto v. per tutti G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale cit., p. 295. Sottolineano la difficoltà di valutare la sussistenza del fenomeno del controllo di fatto ai fini del leveraged buyout, L.A. MISEROCCHI, La fusione, in AA.VV., Il nuovo ordinamento delle società, Lezioni sulla riforma e modelli statutari, a cura del Consiglio Notarile di Milano, Scuola del Notariato della Lombardia, Federnotizie, Milano, 2003, p. 381 e L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1417.

[nota 60] In senso sostanzialmente conforme L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1417; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 478.

[nota 61] Nell'ottica dell'ampliamento della nozione di controllo ai fini di cui trattasi allo scopo di evitare l'elusione dell'art. 2501-bis c.c. v. anche L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1417 e M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 232.

[nota 62] Non sembra che possa assumere rilievo decisivo al fine di negare l'applicabilità della disciplina dell'art. 2501-bis c.c. la circostanza che il quinto comma di tale articolo, a proposito delle società partecipanti all'operazione, parli di "società obiettivo" e di "società acquirente". Ammesso che tale ultima espressione debba essere interpretata necessariamente nel senso che oggetto dell'acquisto sia una partecipazione nella società obiettivo piuttosto che il controllo sulla stessa (conclusione della quale è lecito dubitare), in ogni caso la norma ben potrebbe riferirsi alla più ricorrente configurazione del fenomeno senza tuttavia per questo escludere la fattispecie in esame.

Si esprimono invece in senso contrario alla rilevanza del controllo contrattuale nel leveraged L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1417, secondo il quale nel caso di specie mancherebbe un requisito della fattispecie (l'acquisizione di una partecipazione sociale), M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 231 e L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 479.

[nota 63] G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale cit., p. 295 e la dottrina e la giurisprudenza ivi citate a nota 1.

[nota 64] L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1418; P. MONTALENTI, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2311 e ss. e p. 2320, il quale tuttavia da tale premessa deduce la considerazione, a mio avviso non del tutto condividibile (v. infra nel testo), che «remote, se non inesistenti, sono le acquisizioni con fusione che si sottraggono alla disciplina novellata».

[nota 65] In tal senso, pur senza specificare in cosa consista il quid pluris, v. L.A. MISEROCCHI, La fusione…, cit., p. 382.

[nota 66] Tale interpretazione consente indirettamente anche di risolvere il problema sollevato da L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1414 e ss. derivante dal fatto che il riformatore non ha espressamente posto limiti minimi al ricorso al finanziamento ai fini dell'applicazione delle cautele di cui all'art 2501-bis c.c. (nel senso dell'inesistenza di determinati limiti minimi all'indebitamento v. anche M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 235).

Ma appare evidente che quanto più ridotto è l'ammontare del finanziamento tanto più facile è sostenere che la fonte di rimborso di detto finanziamento possa derivare da mezzi propri della newco piuttosto che da quelli della target, con la conseguente disapplicazione dell'art. 2501-bis c.c.

Ed in quest'ottica v. infatti L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 482 e ss. e p. 495.

Secondo Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.1) è «preferibile ritenere che i debiti rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 2501-bis c.c., siano esclusivamente quelli che determinano, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, ovvero quelli contratti in un momento in cui la società versava in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole non contrarli. Ricorrendo i presupposti di cui sopra la circostanza che il debito contratto dalla società incorporante, ai fini dell'acquisizione del controllo della società incorporata, sia assistito da garanzie speciali prestate da terzi non fa di per sé venir meno l'obbligo della procedura imposta dall'art. 2501-bis c.c.. In tale caso infatti anche il patrimonio dell'incorporata costituisce comunque potenziale fonte di rimborso del debito (poiché il garante escusso può sempre agire in regresso nei confronti del soggetto garantito). è invece da ritenere che qualora prima della fusione il debito sia assistito da adeguate garanzie speciali prestate dalla società incorporante, escluso il pegno sulle quote dell'incorporata, non trovi applicazione la procedura di cui all'art. 2501-bis, in quanto in detta ipotesi è provata l'autonoma capacità di credito della società incorporante».

[nota 67] In tal senso v. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1421.

[nota 68] Per tale ragione non è a mio avviso condivisibile la lettura della norma operata da L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1418 e ss., secondo il quale il patrimonio della controllata verrebbe a costituire garanzia per i debiti contratti dalla controllante per l'acquisizione del controllo laddove l'indebitamento finalizzato all'acquisto sia superiore all'attivo patrimoniale della controllante.

Ma è facile replicare che il pericolo di dissesto della società target, che costituisce la ratio della nuova norma, appare scongiurato anche laddove il cash flow e non l'attivo patrimoniale della newco sia sufficiente ad assicurare il rimborso del debito.

Per altro verso la presenza di un attivo patrimoniale almeno pari al finanziamento potrebbe non assicurare il rimborso dello stesso, ingenerando pericoli sulla stabilità economica della target, ove sussistano nella newco altre passività che già assorbano il valore del suo attivo patrimoniale, onde in ogni caso il patrimonio di newco deve essere considerato nella sua globalità e quindi comprensivo sia delle voci attive che di quelle passive. Ed infatti in senso critico rispetto alla dottrina sopra esposta v. M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 236.

[nota 69] Ad analoga conclusione pervengono L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1413 e ss.; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 234; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 486.

[nota 70] L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1408; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 230 e 263; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 487.

[nota 71] Nel senso che le formalità dettate dall'art. 2501-bis c.c. siano integrative e non sostitutive della disciplina ordinaria della fusione v. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1422.

[nota 72] Nello stesso senso v. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1422; P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario», cit., p. 814; ID., Commento all'art. 2501-bis cit., p. 2320; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 238 e 266; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 498.

[nota 73] F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Tratt. dir. comm. e dir. pubb. econom., XXIX, Padova, 2003, p. 532; P. MONTALENTI, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2320.

[nota 74] L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1424, nt. 89; C. SANTAGATA, Le Fusioni, cit., p. 275; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 499.

[nota 75] F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., p. 532; P. MONTALENTI, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2320.

Nel senso che per "risorse finanziarie" debba intendersi quelle atte a generare cassa e quindi liquidità L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1424.

[nota 76] Cfr. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1424 nt. 87; P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario» cit., p. 815; ID., Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2320; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 499.

[nota 77] N. ABRIANI, L. CALVOSA, G. FERRI JR., G. GIANNELLI, F. GUERRERA, G. GUIZZI, M. NOTARI, A. PACIELLO, G.A. RESCIO, R. ROSAPEPE, M. STELLA RICHTER JR., A. TOFFOLETTO, Diritto delle società di capitali - Manuale Breve, Milano, 2003, p. 326; F. DI SABATO, Manuale delle società, cit., p. 478.

[nota 78] F. GALGANO, Il nuovo diritto societario cit., p. 532; P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», cit., p. 1045; C. SANTAGATA, Le Fusioni, cit., p. 277.

[nota 79] Per tali ragioni non ha senso a mio avviso chiedersi, come fa P. SERRAO D'AQUINO, Commento art. 2501-bis, cit., p. 427, se la sussistenza di tali presupposti abbia valore solo procedimentale o sostanziale. In tali casi infatti la fondatezza delle valutazioni degli amministratori si potrà valutare nella maggioranza dei casi solo ex post e coinvolgerà la responsabilità di questi ultimi.

[nota 80] Cfr. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1450; M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 266.

[nota 81] P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario», cit., p. 815; ID., Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2321.

[nota 82] L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1452 e ss.; P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario», cit., p. 791; ID., Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2318; V. SALAFIA, «Il "leveraged by out" nella riforma societaria», cit., p. 936; P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», cit., p. 1040 nt. 71; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 529.

[nota 83] L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1452 e ss.; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 520; P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», cit., p. 1040, nt. 71, che ipotizza anche l'applicabilità del reato di bancarotta fraudolenta o di quello di cui all'art 2634 c.c.; Contra P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario», cit., p. 809, sulla base della considerazione che l'art. 2358 c.c. non è più penalmente sanzionato. Ma in contrario può obiettarsi che la sanzione penale può derivare dalla violazione delle nuove disposizioni di cui all'art 2501-bis c.c., ove esse risultino al loro volta in qualche modo penalmente sanzionate.

In argomento v. anche M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 270, nt. 119, ove ampi riferimenti dottrinari.

[nota 84] E. CIVERRA, Le operazioni di fusione e scissione, cit., p. 160; A. GENOVESE, Fusioni e scissioni, cit., p. 352; L. LAMBERTINI, Commento art. 2501-bis, cit., p. 392; forse D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, cit., p. 263; L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1443 e ss.; V. SALAFIA, «Il "leveraged by out" nella riforma societaria», cit., p. 937; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 507.

Contra N. ATLANTE, La fusione, in Cnn, Studi sulla riforma del diritto societario, Milano, 2004, p. 522 e C. SANTAGATA, Le Fusioni, cit., p. 275, nt. 404, secondo i quali nelle società nelle quali in controllo contabile sia esercitato dal collegio sindacale la relazione in esame dovrebbe comunque essere redatta ad opera di quest'ultimo.

Ancora diversa è l'opinione di M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 260 e s., secondo cui, posto che nel sistema post riforma le espressioni "controllo contabile" e "revisione contabile" siano sinonimi, il comma 5 dell'art. 2501-bis c.c. «non si applica se alla fusione partecipano soltanto società non assoggettate a controllo contabile obbligatorio ovvero società in cui il controllo contabile obbligatorio è svolto dai sindaci o da un revisore-persona fisica» e dunque si applica ogni qual volta in cui il controllo contabile sia obbligatoriamente e non facoltativamente (ex art. 2409-bis secondo comma c.c.) esercitato da una società di revisione, sia essa iscritta all'albo tenuto dalla Consob ovvero al Registro dei revisori tenuto dal Ministero della Giustizia.

[nota 85] Ne deriva che deve anche ammettersi la cumulabilità tra la qualità di esperto ex art. 2501-bis quarto comma e quella di società di revisione ex art. 2501-bis quinto comma c.c. (L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1444 e M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 261, nt. 100)

[nota 86] In tal caso peraltro secondo M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 261 la relazione andrebbe allegata anche al progetto approvato e depositato dalla società non soggetta a revisione.

[nota 87] Nello stesso senso, sia pure senza motivazione, V. SALAFIA, «Il "leveraged by out" nella riforma societaria», cit., p. 937; Contra L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1445; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 262; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 508; Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.7).

[nota 88] Cfr. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1444; V. SALAFIA, «Il "leveraged by out" nella riforma societaria», cit., p. 937; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 259; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 510.

Secondo A. MORANO, «Il merger leveraged buy-out alla luce del nuovo art. 2501-bis», cit., p. 952 la relazione in parola «dovrà attestare la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione, con particolare riferimento alle modalità di rimborso del finanziamento».

L. PICONE opportunamente precisa che nulla vieta che, ove la società di revisione venga nominato anche un esperto ex art. 2501-sexies c.c., le due funzioni vengano a cumularsi nel medesimo soggetto, pur dubitando se le due attività debbano esplicarsi attraverso relazioni distinte o possano confluire in un'unica relazione. Ma a mio parere nulla sembra impedirlo.

[nota 89] Ma tale disposizione è a sua volta di dubbia interpretazione.

[nota 90] In tal senso N. ABRIANI, L. CALVOSA, G. FERRI JR., G. GIANNELLI, F. GUERRERA, G. GUIZZI, M. NOTARI, A. PACIELLO, G.A. RESCIO, R. ROSAPEPE, M. STELLA RICHTER JR., A. TOFFOLETTO, Diritto delle società di capitali - Manuale Breve, cit., p. 326; M. PERRINO, «La riforma della disciplina delle fusioni di società» cit., p. 533 e ss.; D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, cit., p. 264; P. SERRAO D'AQUINO, Commento art. 2501- bis, cit., p. 426; P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario», cit., p. 815; ID., Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2321; C. SANTAGATA, Le Fusioni, cit., p. 277.

Contra P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», cit., p. 1045 e ss., il quale esclude la necessità di un piano industriale sulla base della considerazione che «in nessuna operazione di merger leveraged buyout potranno giammai individuarsi genuine motivazioni "industriali" nella fusione tra una newco di nuova costituzione indebitatasi ad hoc e una target operativa, risultando ovvio che la fusione sia giustificata da mere (ma pienamente lecite) motivazioni finanziarie», onde sarebbe sufficiente per la liceità della fattispecie che la fusione non si «rivelasse nella prospettiva dei suoi promotori, come un'operazione puramente "depredatoria" o "spoliativa", ovvero sostenuta esclusivamente da motivazioni di elusione fiscale».

Nella stessa ottica L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1428 e L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 500, secondo i quali le ragioni che gli amministratori devono esporre sono connesse esclusivamente al profilo economico-finanziario dell'operazione e devono pertanto essere dirette ad assicurare che la stessa non conduca al dissesto della società target.

E nel senso della non necessità di valide ragioni industriali v. da ultimo M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 257.

Ma se tali considerazioni possono certamente condividersi per quanto riguarda la previsione di un «piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle risorse finanziarie», altrettanto non può farsi per la previsione relativa agli «obiettivi che si intendono raggiungere», che sembra esprimere nel testo della legge l'esigenza di motivazioni ulteriori e diverse da quelle meramente finanziarie.

Non a caso la dottrina qui criticata è costretta a dare di tale ultima espressione un'interpretazione restrittiva, in base alla quale essa alluderebbe agli «obiettivi di carattere imprenditoriale che, nonostante l'indebitamento derivante dalla fusione, la società potrà raggiungere» (L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1428).

[nota 91] Cfr. M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 266.

Articolata è invece sul punto la posizione di A. MORANO, «Il merger leveraged buy-out alla luce del nuovo art. 2501-bis», cit., secondo cui «pur non essendo lecito desumere indicazioni dal tenore letterale della norma in esame, circa l'obbligatorietà della circostanza che il rimborso del finanziamento avvenga nel medesimo lasso di tempo contemplato dal piano finanziario, intendendo detto elemento quale requisito di legittimità dell'operazione di LBO, appare sicuramente necessario, anche con riguardo all'eventualità di scongiurare profili di responsabilità degli amministratori delle società coinvolte in detta operazione, che il piano finanziario contempli espressamente le modalità ed i tempi di rimborso integrale del finanziamento. Potrà, tuttavia, ritenersi ammissibile e lecita un'ipotesi in cui, alla scadenza del periodo temporale contemplato dal piano finanziario, la parte di debito non ancora rimborsata rientri nei limiti delle voci di debito che sono da ritenersi fisiologiche per una società che presenti quelle medesime caratteristiche dimensionali».

[nota 92] Cfr. sul punto L.A. MISEROCCHI, La fusione, cit., p. 382.

[nota 93] Apparentemente dunque l'attestazione degli esperti non si estende allo speciale contenuto della relazione degli amministratori prescritto dal terzo comma dell'art. 2501-bis c.c.

Tuttavia nella misura in cui il contenuto di tale relazione degli amministratori approfondisca ed illustri quanto indicato al riguardo nel progetto di fusione, appare evidente che il giudizio degli esperti non potrà prescindere dalla relazione dell'organo amministrativo (cfr. L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1436 e ss.).

[nota 94] Cfr. sul punto L.A. MISEROCCHI, La fusione, cit., p. 382 e L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1436; P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale societario e nella riforma del diritto societario», cit., p. 816 e ID., Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2322, secondo il quale la società di revisione deve attestare, oltre che la correttezza dei dati contabili posti a base del piano, anche la correttezza delle metodologie contabili seguite nell'elaborazione dello stesso; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 266.

[nota 95] Secondo L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 505, anche laddove gli esperti formulassero parere negativo al riguardo i soci sarebbero sempre liberi di deliberare l'operazione.

[nota 96] Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.4).

[nota 97] Cfr. G. SCOGNAMIGLIO, «Le fusioni e le scissioni "semplificate" nella riforma del diritto societario», in Riv. not., 2003, p. 903.

[nota 98] Cfr. L.A. MISEROCCHI, La fusione, cit., p. 382; N. ATLANTE, La fusione, cit., p. 522; G. SCOGNAMIGLIO, «Le fusioni e le scissioni "semplificate" nella riforma del diritto societario», cit., p. 903; Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.4).

Nello stesso senso Massime elaborate dalla commissione società del consiglio notarile di Milano (massima n. 60), in AA.VV., Le Massime del Consiglio notarile di Milano, cit, p. 128, secondo cui «l'attestazione richiesta dall'art. 2501-bis, comma 4, c.c., nell'ambito della relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio, in caso di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, deve essere resa anche nell'ipotesi di fusione per incorporazione di società interamente posseduta o comunque in ogni altra ipotesi in cui non sia richiesto il parere di congruità sul rapporto di cambio … I compiti assegnati dalle citate norme all'esperto o alla società di revisione, in quanto fissati nell'interesse dei creditori, sono infatti logicamente e funzionalmente autonomi dal giudizio di congruità, di guisa che possono e debbono essere assolti, ove ne ricorrano i presupposti, anche indipendentemente dalla resa di un giudizio di congruità».

[nota 99] Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.4).

[nota 100] In tal senso v. infatti L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 514.

[nota 101] Ed infatti v. Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.4), secondo cui nel caso di specie «la relazione di cui all'art. 2500-sexies c.c., essendo irrilevante il rapporto di cambio in virtù dell'opzione di acquisto offerta agli altri soci, può attestare esclusivamente quanto richiesto dall'art. 2501-bis, c.c., quarto comma».

[nota 102] Nello stesso senso L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1447 e ss.; N. ATLANTE, La fusione, cit., p. 522; G. LAURINI, Manuale breve della Srl e delle operazioni straordinarie, Padova, 2004, p. 148; M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 262, che ritiene irrinunciabili da parte dei soci la relazione degli amministratori, quella degli esperti e della società di revisione e le informazioni aggiuntive di cui al secondo comma dell'art. 2501-bis c.c.; Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.5).

[nota 103] In tal senso con riferimento alla riduzione di termini di cui agli articoli 2501-ter, quarto comma, 2501-septies, primo comma, e 2503, primo comma, c.c. L.A. MISEROCCHI, La fusione, cit., p. 382; G. LAURINI, Manuale breve della Srl e delle operazioni straordinarie, cit., p. 148.

[nota 104] M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 262. Contra L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 497, nt. 85.

[nota 105] Cfr. M.S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 265; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 523.

[nota 106] Cfr. C. SANTAGATA, Le Fusioni, cit., p. 459; Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.6), secondo cui «il controllo del notaio sulla rituale adozione delle delibere di fusione con indebitamento è limitato alla verifica della sussistenza degli elementi formali richiesti dalla normativa, non essendo possibile per lo stesso entrare nel merito delle valutazioni effettuate dagli amministratori e dagli esperti ai sensi dei commi secondo, terzo, quarto e quinto del detto art. 2501-bis c.c.».

In materia di riduzione del capitale sociale per esuberanza l'orientamento prevalente in giurisprudenza riteneva che il sindacato del tribunale dovesse avere ad oggetto, nei limiti del controllo di legittimità sostanziale, il riscontro della esistenza della motivazione e della corretta individuazione dei presupposti legittimanti l'operazione, nonché la coerenza e congruenza logica del giudizio (v. fra le tante Trib. Milano 16 novembre 1977 e App. Milano, 15 febbraio 1978, in Giur. comm., 1978, II, p. 731, in Dir. giur., 1979, p. 230, in Riv. not., 1978, p. 1405; Trib. Verona 22 aprile 1986, in Le società, 1986, p. 1018; Trib. Napoli 6 dicembre 1985, in Le società, 1986, p. 407; Trib. Napoli, 15 gennaio 1996, in Le Società, 1996, p. 577; in dottrina v. per tutti R. NOBILI - M.S. SPOLIDORO, La riduzione di capitale, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B Portale, vol. 6, tomo 1, Torino, 1993, p. 254 e ss. e G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale cit., p. 500).

[nota 107] Nello stesso senso L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1450; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 524; Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.6).

[nota 108] V. in tal senso L.A. MISEROCCHI, La fusione, cit., p. 381 e ss. e M. S. SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 236.

[nota 109] Sui poteri del presidente dell'assemblea nel sistema riformato v. per tutti G. LAURINI, Poteri e responsabilità nella formazione delle delibere assembleari, Napoli, 2003, p. 19 e ss.; F. MAGLIULO, Le decisioni dei soci, in C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F. Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, p. 298.

Secondo Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari (Massima L.B.6) «la verifica circa la sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 2501-bis c.c. ad una determinata fusione, comportando valutazioni di merito sulle situazioni patrimoniali e finanziarie delle società coinvolte, compete esclusivamente agli amministratori e non al notaio verbalizzante. La predisposizione di un progetto di fusione e degli altri documenti accompagnatori privi degli elementi previsti dall'art. 2501-bis c.c. integra l'accertamento da parte degli organi amministrativi della mancanza dei presupposti per l'applicabilità al caso concreto della disciplina della fusione con indebitamento, ricorrendo quindi tale presupposto è inibito al notaio ogni ulteriore controllo».

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