La trasformazione omogenea in società di capitale
La trasformazione omogenea in società di capitale
di Carlo Alberto Busi
Notaio in Padova

Introduzione

La modificazione del rapporto societario è stato un settore nel quale la riforma ha inciso in maniera rilevante.

Il legislatore ha dettato una disciplina organicamente orientata a regolamentare le ipotesi in cui gli enti collettivi possono modificarsi nel corso della loro vita recependo le direttive poste dall'art. 7 della legge delega. La legge delega ha specificamente dettato i criteri cui il legislatore delegato avrebbe dovuto ispirarsi nella riforma di questo settore del diritto societario e, le direttive essenziali erano due. La prima ispirata al principio secondo cui le procedure di modificazione delle società devono essere improntate alla massima semplificazione. La seconda, ispirata all'esigenza di consentire agli enti collettivi di poter adottare con la massima semplicità ed in ogni tempo della loro vita la forma o la struttura più confacente alle loro esigenze in quel particolare momento [nota 1], soprattutto semplificando e favorendo la trasformazione delle società di persone in società di capitali [nota 2].

Il favor per le c.d. trasformazioni evolutive trova conferma nella rinnovata disciplina della Srl, caratterizzata da ampia flessibilità disciplinare ed accentuato rilievo dell'elemento personalistico, requisiti che configurano un modello che le società di persone possono assumere, mantenendo inalterato il rilievo dei soci nel funzionamento dell'organizzazione comune (amministrazione disgiuntiva, conferimenti d'opera e servizi) [nota 3].

Il favore legislativo per la trasformazione in società di capitali sembra possa trovare motivazione nel fatto che le società di persone, nel trasformarsi, potrebbero giovarsi di un modello organizzativo, quello della Srl, in cui i mezzi che sono destinati all'esercizio dell'attività imprenditoriale e che costituiscono garanzia indiretta per i creditori sociali, sono certi; quelli e non altri e sono sicuramente individuati al momento dell'inizio dell'attività di impresa.

Attraverso la trasformazione evolutiva in società di capitali si conseguirebbe il risultato, sicuramente prefigurato dal legislatore, di convertire una serie di imprese organizzate su base propriamente personalistica in organizzazioni connotate dal carattere capitalistico, anche assoggettate a rilevante incidenza della volontà e del controllo dei soci. Ciò consentirebbe a dette imprese di assicurarsi un'attitudine a permanere sul mercato, anche in caso di crisi temporanea dell'attività, magari con un cambio dei soci di controllo, sicuramente maggiore rispetto a quella che si configura con riferimento alle società di persone rispetto alle quali, come è noto, è assai problematica la circolazione delle quote cui è collegata una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali.

Come plasticamente descritto da parte della dottrina, il vento della riforma ha soffiato con impeto tutt'altro che uniforme sul sistema preesistente. Talvolta si è presentato come un uragano, che ha stravolto a tal punto gli schemi preesistenti da far dubitare della possibilità di identificare il nuovo con il vecchio; talaltra come un vento di burrasca, che ha fatto volare i tetti più vecchi lasciando intatte le strutture portanti; talaltro come una brezza, che ha semplicemente spostato qualche oggetto [nota 4].

La definizione di uragano sembra appropriata per sottolineare l'accellerazione improvvisa che il legislatore dà alla trasformazione evolutiva in società di capitali, passando con disinvoltura dal criterio dell'unanimità a quello maggioritario calcolato in base alla partecipazione agli utili. L'equiparazione al vento di bufera sembra attagliarsi alla nuova disciplina della assegnazione delle partecipazioni nella società di capitali risultante dalla trasformazione, laddove nella società di persone vi fossero soci che avevano conferito la propria opera. L'assimilazione alla leggera brezza può definire l'intervento correttivo svolto in tema di capitale della società risultante dalla trasformazione. Si tratterà in questa sede della sola trasformazione a maggioranza.

La trasformazione di società di persone in società di capitali deliberata a maggioranza. Cenni storici

Sulla formazione della volontà sociale per attuare la trasformazione dell'ente, il legislatore delegato ha sposato una soluzione di saggio compromesso. Per gli enti societari, il riferimento al principio maggioritario, affermato dagli artt. 2500-ter, primo comma, c.c., 2500-sexies, primo comma, c.c., e 2500-septies, terzo comma, c.c., segna l'adesione all'orientamento dottrinale e giurisprudenziale che considera la trasformazione, ossia la modificazione del tipo sociale, alla stregua di una normale modificazione dell'atto costitutivo [nota 5]. Ed anche per gli enti diversi dalle società è stato accolto, segnatamente dall'art. 2500-octies, secondo comma, il medesimo principio, preferito dunque in linea generale a quello un unanimistico. Con un importante temperamento, però, che opera sia per le società sia per gli altri enti e che costituisce forse l'innovazione di maggior peso rispetto alla vecchia disciplina, ossia che la trasformazione deve ricevere il consenso dei soci destinati ad assumere, per effetto di questa, la responsabilità illimitata (artt. 2500-sexies, primo comma, e 2500-septies, terzo comma, tutela che si va ad aggiungere al diritto di recesso spettante al socio dissenziente.

Nella disciplina ante riforma, in assenza di una disposizione specifica per la trasformazione di una società di persone, si riteneva applicabile all'operazione la regola prevista in via generale dall'art. 2252, c.c., che richiede l'unanimità dei consensi per le modifiche del contratto di società [nota 6].

Era dubbio, addirittura, se fosse possibile derogare all'unanimità con l'inserimento di un'espressa clausola nel contratto di società che prevedesse un quorum maggioritario. Infatti, parte della dottrina riteneva che la scelta del tipo societario fosse requisito essenziale del contratto sociale tale da richiedere nel caso di sua modificazione sempre una determinazione unanime da parte dei soci, senza lasciare alcuno spazio alla possibilità di una deroga a favore della maggioranza. Infatti, si riteneva che non si potesse riconoscere a nessuna maggioranza il potere di modificare le posizioni contrattuali assunte dalle parti (i singoli soci) in ordine al perseguimento dello scopo comune [nota 7]. In altre parole si riteneva vi potesse essere una tutela di tipo "reale" [nota 8] della posizione del socio in forza della quale la trasformazione non poteva essere attuata senza il consenso del socio, visto che la modificazione della struttura sociale comportava di riflesso una modificazione della posizione dei soci, sia pur con diverse accentuazioni quantitative [nota 9].

Altra parte della dottrina sottolineava che la regola di legge che richiedeva il consenso unanime dei soci per qualsiasi modifica del contratto sociale, poteva, sempre per legge, essere modificata dai soci che potevano prevedere con clausola statutaria l'adozione di ogni modifica e quindi anche la trasformazione a maggioranza [nota 10].

In tal caso l'unico problema da porre sembrava essere quello della tutela del socio dissenziente.

Una siffatta tutela esisteva nel caso di socio dissenziente da una trasformazione di una società di capitali, in virtù del disposto dell'art. 2437, c.c., che attribuiva il diritto di recesso al socio di società per azioni dissenziente (tra l'altro) dalla deliberazione riguardante il cambiamento del tipo di società. Per contro relativamente alle società di persone, il secondo comma dell'art. 2285, c.c., consentiva il recesso nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa.

Nulla questio allorché fosse il contratto sociale ad espressamente consentire la trasformazione a maggioranza della società a maggioranza della società e ad attribuire in tal caso al socio dissenziente il diritto di recedere dalla società stessa [nota 11], ma grossi dubbi permanevano laddove il contratto sociale taceva.

Non può non condividersi, però, l'opinione di parte della dottrina secondo cui il meccanismo della trasformazione a maggioranza risulta utilizzato dal legislatore della riforma con una ampiezza, se non con una disinvoltura, tale, da indurre a ritenere che le norme che lo prevedono non tanto permettono, eccezionalmente, la possibilità di decidere a maggioranza la trasformazione della società, quanto piuttosto presuppongono siffatta possibilità, limitandosi a modificarne le condizioni. In particolare da un lato svincolando l'applicazione del principio maggioritario dalla presenza di una clausola che lo preveda, dall'altro, precisando che la maggioranza deve essere calcolata per quote di interesse [nota 12].

La nuova disciplina in tema di maggioranze per la trasformazione

Una delle novità più significative della disciplina della trasformazione di società di persone in società di capitali è rappresentata dalla regola dettata dal primo comma dell'art. 2500-ter, c.c., secondo la quale essa, salvo patto contrario, è decisa a maggioranza, calcolata per quote di interesse, salvo il riconoscimento del diritto di recesso al socio che non abbia concorso alla decisione.

La dottrina ha sottolineato come si sia «così invertito il principio contenuto nell'attuale art. 2252, c.c., mettendo in un certo senso in crisi, per la verità, il sistema delle società di persone» [nota 13].

Infatti, l'art. 2252, c.c., rimasto immutato, richiede tuttora l'unanimità, se i patti sociali non dispongono diversamente, per ogni modifica dei patti sociali, compreso un semplice cambio di sede, mentre la modifica più stravolgente, ossia il cambiamento di modello in società di capitali, per legge, può ora essere attuato a maggioranza [nota 14].

Nel prosieguo si esaminerà la norma novellata al fine di chiarire alcuni dubbi che la stessa lascia irrisolti.

In primo luogo, si cercherà di verificare se la decisione di trasformazione a maggioranza debba essere adottata con il metodo assembleare, o comunque attraverso un meccanismo collegiale affievolito, ma che comunque imponga un procedimento per giungere alla decisione che coinvolga ed informi tutti i soci.

In secondo luogo, si cercherà di chiarire se esistano limiti all'autonomia contrattuale dei soci nel redigere i patti della società trasformata, nascenti dall'obbligo di rispettare, in qualche modo, gli accordi fondamentali tra soci che regolavano la trasformata società di persone.

In terzo luogo, si esaminerà quali correttivi possano apportare i soci con espressa previsione pattizia alla regola maggioritaria dettata dal legislatore.

In quarto luogo, si indagherà l'ambito di applicazione della norma novellata, ponendo la questione dell'impatto della nuova normativa sulle società di persone costituite prima della riforma.

Infine, si accennerà al diritto di recesso del socio di minoranza e delle relative regole applicative.

L'uso dei termini decisione e deliberazione nella disciplina delle società di persone in generale

Parte della dottrina [nota 15] (in riferimento alle società di persone) identifica il concetto di deliberazione con la modalità unità di tempo e di luogo con cui i soci concorrono alla formazione della decisione del gruppo, ma in realtà l'espressione deliberazione è in sé neutro potendo riferirsi: a) al documento nel quale risulta verbalizzata una decisione dei soci (v. come ad esempio gli artt. 2300, comma 2 e 2309, comma 1 nei quali si parla di deposito di copia autentica della deliberazione, ossia, ovviamente, del documento nel quale risulta contenuta la decisione dei soci); b) al procedimento con cui viene adottata una decisione riferibile alla società; c) al testo (ossia la formulazione) della decisione adottata (v. come ad esempio gli artt. 2306, comma 1 e 2307, comma 2, nei quali si parla di iscrizione nel Registro delle Imprese della deliberazione, ossia, ovviamente, del testo della decisione presa dai soci; d) al risultato che la decisione mira a perseguire, determinabile attraverso l'interpretazione del testo approvato dai soci (v. come ad esempio gli artt. 2306, comma 1 e 2307, comma 2, nei quali si parla di iscrizione nel Registro delle Imprese della deliberazione, ossia, ovviamente, nel testo della decisione presa dai soci; e) al regolamento giuridico di cui l'atto si pone come fonte.

èaltresì vero che i termini "decisione" e "consenso", a differenza del termine deliberazione sono sempre stati utilizzati per identificare decisioni ritenute non collegiali (v. artt. 2257, comma 3; 2252; 2256; 2258, commi 1 e 2, 2275, comma 1; 2301, comma 1; 2319 e 2322, comma 2).

Tuttavia la disciplina in materia di società di persone e l'uso dei termini ivi realizzato come si cercherà di dimostrare non sono indicativi in riferimento alla Srl, ma anzi fuorvianti, essendo, peraltro, contestato, già in riferimento alle società di persone, che agli stessi possa attribuirsi un valore decisivo [nota 16].

Il sistema di formazione della volontà maggioritario nelle società di persone. Aspetti generali

Al fine di verificare se la decisione di trasformazione a maggioranza debba essere adottata con il metodo assembleare, o comunque attraverso un meccanismo collegiale affievolito, ma che comunque imponga un procedimento per giungere alla decisione che coinvolga ed informi tutti i soci sembra opportuno gettare uno sguardo ai principi riguardanti le modalità di formazione del consenso nel tipo società di persone [nota 17].

La giurisprudenza ha per molto tempo considerato che il mancato riconoscimento della personalità giuridica in capo alle società di persone comportasse l'inesistenza in tali società di un'organizzazione corporativa; quindi anche l'inesistenza dell'organo assembleare, ritenuto sicuro indizio, quest'ultimo, della non necessaria osservanza del metodo collegiale, dell'assemblea visto quale criterio tipico di funzionamento [nota 18]. Una conferma di ciò sembrava potersi ricavare dallo stesso riferimento ex artt. 2256 e 2301, c.c., al consenso degli altri soci, anzichè alla volontà unitaria della società.

Si evidenziava la mancata previsione normativa di forme particolari di cui dovessero essere rivestite le deliberazioni di società personali, per ritenere di conseguenza sufficiente raccogliere le singole volontà anche separatamente in momenti successivi, senza necessità di una riunione contestuale dei soci, o comunque di un procedimento speciale per una unitaria deliberazione in senso formale [nota 19].

Si osservava che la superfluità del metodo assembleare nelle società di persone trovava ulteriore conferma legislativa nella norma sulla proroga tacita della società (art. 2272) sia in base alla previsione del sistema disgiuntivo quale modello legale di amministrazione [nota 20].

La dottrina concludeva pertanto che nelle società di persone è «escluso che esista, in modo anche embrionale, un organo sovrano o sedicente tale quale l'assemblea della società per azioni» [nota 21].

Da ciò la dottrina desumeva che non fossero necessarie le formalità previste per la validità della costituzione e della deliberazione dell'assemblea di società di capitali. Si riteneva che, una volta raggiunto il consenso della maggioranza non fosse necessario conoscere l'opinione dei soci di minoranza. Si affermava che anche quando la legge fa riferimento alle deliberazioni dei soci, si dovrebbe intendere il riferimento nel senso di atto concretante la manifestazione di volontà dei soci, non anche nel senso di un atto unitario risultante dal voto dei soci nell'assemblea [nota 22].

Dottrina minoritaria, al contrario riteneva che l'adozione del metodo collegiale assembleare fosse da considerare coessenziale, sul piano logico prima ancora che giuridico, ad ogni deliberazione, essendo il solo strumento capace di trasformare in una volontà unitaria, e cioè nella volontà del gruppo, una pluralità di dichiarazioni individuali [nota 23].

Si era affermato che l'argomento dell'assenza di personalità giuridica nelle società di persone, invocato a sostegno della contraria ricostruzione, non regge all'obiezione che, nel nostro ordinamento, esistono delle collettività (tra cui la comunione, di cui all'art. 1105, terzo comma, c.c., o i consorzi, di cui all'art. 2606, c.c.) prive di personalità giuridica, ma dotate nondimeno di una propria organizzazione interna di carattere collegiale [nota 24].

Altra dottrina ha assunto una posizione intermedia tra le due sopra citate affermando che il metodo collegiale non sarebbe sempre necessario, bensì solo in alcune ipotesi quale, ad esempio, quella relativa all'esclusione del socio dalla compagine sociale [nota 25].

La giurisprudenza in una recente pronuncia, come obiter dictum, ha affermato che la mancata previsione normativa di un organo assembleare nelle società di persone non impedisca ai soci di prevedere statutariamente la possibilità di riunirsi collegialmente per deliberare [nota 26].

Ritenendo condivisibile tale affermazione il problema resta solo se in mancanza di espressa predeterminazione nei patti sociali del procedimento, tramite il quale si debba assumere una decisione a maggioranza, si applichi automaticamente il procedimento deliberativo collegiale, o quello referendario o quello della formazione del consenso interno alla maggioranza.

Le norme che disciplinano rispettivamente la trasformazione, la fusione e la scissione di società di persone (art. 2500-ter, 2502, 2506-ter) [nota 27] non sembrano decisive visto che prevedono che tali operazioni siano decise dalla maggioranza dei soci, senza precisare secondo quale procedimento.

Sembra, però, che, in mancanza di previsione nei patti sociali, non sia possibile spingersi sino a ritenere necessario il metodo collegiale. Sembra, invece, si possa sostenere la preferibilità del procedimento, certamente non collegiale, del referendum con obbligo di consultazione di tutti i soci, ugualmente idoneo a consentire al singolo socio di esprimere la propria opinione, e a scongiurare l'effetto di sorpresa in ordine a decisioni da altri assunte a sua insaputa [nota 28].

In conclusione il metodo collegiale assembleare non sarebbe che una delle possibili tecniche deliberative che consentono al singolo di partecipare al procedimento decisionale. Strumento alternativo potrebbe essere, ad esempio, quello sopra ricordato del referendum informativo o della c.d. collegialità attenuata, adeguato sia con riguardo alle esigenze di tutela della minoranza, sia con riguardo alla funzione ponderatoria che è tipica del sistema collegiale [nota 29]. Tale procedimento sarebbe da ritenersi maggiormente garantista dei diritti partecipativi del socio rispetto a quello di raccolta interna del consenso, ossia il meccanismo attraverso il quale la maggioranza può adottare delle deliberazioni senza consultare la minoranza.

Le modalità di adozione della decisione maggioritaria nel caso di trasformazione evolutiva

Una volta indagate le basi generali della questione si può approcciare alla questione delle modalità di adozione di decisioni maggioritarie nelle società di persone.

Secondo parte della dottrina, si potrebbe desumere dal fatto che l'art. 2500-ter, c.c., utilizzi il termine «decisione» per indicare l'atto con il quale i soci addivengono alla trasformazione che il legislatore abbia inteso superare le discussioni cui aveva dato luogo la vecchia dizione contenuta nell'art. 2498, c.c., ante riforma, ove si parlava di «deliberazione di trasformazione» e soprattutto all'art. 2499, secondo comma, c.c., ove si usava ugualmente tale termine con riferimento alla trasformazione di società di persone [nota 30].

Più precisamente, l'utilizzo legislativo del termine decisione «la trasformazione … è decisa», il «socio che non ha concorso alla decisione» e coerentemente l'uso del termine "consenso" e non di voto, del socio, starebbero a precisare che nel caso di trasformazione decisa a maggioranza non sarebbe richiesto il metodo c.d. assembleare [nota 31].

Tuttavia, al concetto di "deliberazione" continuano a fare riferimento altre norme in tema di trasformazione di società di persone, come l'art. 2500-quinquies equivalente dell'originario art. 2499, c.c., ante riforma, ma soprattutto il termine decisione risulta utilizzato nella riforma, soprattutto nell'ambito della nuova disciplina della Srl genericamente sia per indicare modalità di formazione della volontà assembleari, sia per indicare modalità non assembleari come la consultazione e il consenso espressi per iscritto.

Non sembrando decisivo il dato testuale, resta da verificare se vi siano indici normativi ulteriori, rispetto a quelli letterali che inducano a ritenere necessario il procedimento assembleare o altro «procedimento collegiale informato».

Secondo parte delle dottrina la consultazione a maggioranza per la trasformazione non necessita di collegialità nè tantomeno del rispetto del metodo assembleare. Infatti, «nelle società di persone, ed oggi anche nelle società a responsabilità limitata, la consultazione a maggioranza potrebbe prescindere dalle procedure sopra citate» [nota 32].

Né, secondo detta dottrina, vi sarebbero norme ulteriori proprie della disciplina della trasformazione che legittimino un diverso obbligo di procedura per detta peculiare operazione. Infatti, l'art. 2500, c.c., laddove richiede per la trasformazione evolutiva l'atto pubblico non sembra escludere una raccolta separata dei consensi alla trasformazione, «come nel caso in cui più soci di persone con atto pubblico prestino il loro generico consenso alla trasformazione della stessa in società per esempio per azioni, delegando poi, con procura speciale per atto pubblico, un altro socio o un terzo per la determinazione del concreto contenuto dell'atto pubblico di trasformazione, ed analogo discorso potrebbe farsi nel caso in cui anziché un procuratore venga delegato, nel rispetto dei requisiti formali, un soggetto privo di qualsiasi discrezionalità nell'esecuzione dell'incarico (nuncius), cosicché la necessità dell'atto pubblico comporterà la normale ma non essenziale contemporanea espressione del prescritto consenso da parte di tutti i soci» [nota 33].

Addirittura, detto orientamento giunge ad affermare che «la possibile non contestualità dell'espressione del consenso da parte dei soci sembra potersi perseguire, anche senza dover ricorrere a forme di delega, attraverso una previsione dell'atto costitutivo che disciplini un procedimento di consultazione scritta o di consenso espressi per iscritto in modo del tutto analogo a quanto previsto dal legislatore della riforma per le società a responsabilità limitata (cfr. l'art. 2479, c.c.). In tal caso infatti non applicandosi evidentemente dato il suo carattere eccezionale di deroga al procedimento assembleare proprio delle sole società di capitali, la limitazione di cui all'art. 2479, c.c., per le modifiche dell'atto costitutivo, sarà ben possibile che quest'ultimo preveda che in caso di trasformazione i soci prestino separatamente il loro consenso per atto pubblico o aderendo ad una proposta, redatta anch'essa con la forma prescritta, proveniente dall'organo amministrativo o da uno o più soci (consultazione scritta), ovvero esprimano singolarmente ed autonomamente (consenso espresso per iscritto) la loro volontà di addivenire alla trasformazione» [nota 34].

La tesi porta ad affermare che la decisione di trasformazione potrà dirsi perfezionata quando, nel rispetto delle regole procedimentali dettate dall'atto costitutivo e della forma pubblica imposta dalla legge, la maggioranza o l'unanimità dei soci abbia espresso il suo consenso alla proposta di trasformazione o abbia comunque espresso un conforme (cfr. l'art. 1326, ultimo comma, c.c.) consenso rispetto ad una determinata trasformazione della società e ferma restando l'applicabilità alle fattispecie in esame delle disposizioni del codice civile relative al perfezionamento del contratto inter absentes [nota 35].

Altra parte della dottrina ha ritenuto di chiamare in causa ancora l'art. 2500, c.c., ma non laddove richiede semplicemente la forma dell'atto pubblico per la trasformazione, bensì laddove prevede l'atto di trasformazione sia soggetto alla «disciplina prevista per il tipo adottato» e alle forme di pubblicità relative [nota 36], il che porterebbe ad affermare che la decisione di trasformazione debba essere adottata anche nelle società di persone in esito ad una vera e propria assemblea, preceduta da regolare convocazione, adunanza e dibattimento che precedono la decisione.

Tuttavia, detta dottrina, abbracciando una soluzione mediana, giunge alla conclusione che anche senza arrivare a prescrive l'obbligo di una vera e propria assemblea si possa arrivare alla decisione di trasformazione «anche prevedendo più semplicemente, un obbligo di informazione nei confronti di tutti i soci in merito all'operazione proposta dalla maggioranza, con l'invito ad acconsentirvi ovvero di manifestare la propria posizione sull'argomento entro un dato termine, ancorché al di fuori del meccanismo assembleare» [nota 37].

In conclusione, secondo questa ricostruzione la descritta modalità risulterebbe anch'essa idonea ad assicurare il coinvolgimento di tutti i soci nella scelta di trasformazione, oltre a valorizzare la portata letterale dell'art. 2500, comma primo, che riconosce ai soci il diritto di recesso qualora essi non abbiano concorso alla decisione di trasformazione, e non invece ad una deliberazione, offrendo una soluzione più adatta ad essere recepita nel modello di funzionamento delle società di persone [nota 38].

Secondo un terzo orientamento, argomentando dalla scelta di fondo compiuta dal legislatore in sede di riforma dell'istituto della decisione dei soci nella nuova società a responsabilità limitata, ed in particolare dalla norma contenuta nell'art. 2479, comma quarto, c.c., secondo cui la facoltà di derogare al metodo collegiale al fine di adottare decisioni dei soci non è ammessa, in nessun caso, per le decisioni di modificazione dell'atto costitutivo, che devono continuare ad essere adottate in esito ad un vero e proprio procedimento assembleare, nel rispetto delle regole imperative tuttora previste, relativamente a tale procedimento, dall'art. 2479-bis, c.c. [nota 39]

La dottrina a sostegno della propria tesi ha motivato che «in considerazione di tale scelta legislativa concernente il tipo della società a responsabilità limitata, sembra invero incongruo ritenere che analoghe cautele non siano presupposte dal legislatore stesso in assenza di deroga contrattuale, anche per quella specifica deliberazione di modificazione a maggioranza dell'atto costitutivo di cui all'art. 2500-ter, comma primo, c.c., riguardante le società di persone, dal momento che, in quest'ultimo ambito, gli interessi a presidio dei quali è stato dettato l'at. 2479, comma quarto, c.c., sembrano addirittura più rilevanti, in considerazione del fatto che, nelle società di persone, da un lato l'applicazione del principio maggioritario in luogo di quello dell'unanimità costituisce di per sé un'ipotesi eccezionale, dall'altro l'intervento del legislatore che introduce la regola maggioritaria anche nelle società già costituite, in sostituzione di una precedente regola dell'unanimità, costituisce una vicenda i cui effetti dirompenti suggeriscono di accogliere temperamenti di tipo interpretativo, al fine di garantire alla minoranza (fin dove è possibile senza frustrare lo scopo della norma) ogni opportuno contrappeso» [nota 40].

In conclusione secondo questa terza ricostruzione «l'adozione di una deliberazione di trasformazione a maggioranza ex art. 2500-ter, c.c., non può prescindere da una preventiva informazione di tutti i soci e non può neppure, per le ragioni anzidette, fondarsi su una semplice notificazione o un semplice interpello, presupponendo la fissazione di un'adunanza di tipo assembleare, con convocazione di tutti i soci in un certo luogo, giorno ed ora» [nota 41].

Ad avviso di chi scrive, solo l'orientamento da ultimo riportato sembra condivisibile, con le opportune precisazioni che faranno seguito.

Infatti, l'idea di singoli consensi generici alla trasformazione espressi dai soci nella forma dell'atto pubblico, accompagnati da una procura speciale ad un socio al fine di stipulare l'atto di trasformazione recante tutti i patti della trasformata società presuppongono che i soci rimettano la negoziazione dei loro interessi sociali alla volontà di uno solo, cosa abbastanza improbabile. Qualora, viceversa, il singolo consenso alla trasformazione porti in seno l'integrale predisposizione dei patti sociali si porrà al notaio il problema di verificare quando si sia raggiunto l'incontro della maggioranza delle volontà contrattuali dei singoli soci ex art. 1326, c.c., soprattutto, laddove i testi dei soci differiscano in qualcosa l'uno dall'altro.

L'assenza di un procedimento di informazione di tutti i soci, e quindi la possibilità che i soci di minoranza rimangano all'oscuro del procedimento per decidere la trasformazione della società in società di capitali, sembra, inoltre, contraddetto da quell'orientamento già formatosi in materia di società di persone al quale ripugna che modificazioni essenziali della posizione del socio (come la sua esclusione) vengano deliberate ad insaputa dello stesso. Per effetto della trasformazione da società di persone in società di capitali ad una situazione dove ogni socio è anche imprenditore, amministratore, direttamente o indirettamente coinvolto nella gestione, anche ordinaria e minuta della società e, a fortiori, nelle principali scelte di vita dell'ente, col bilanciamento della responsabilità illimitata e della soggezione al fallimento, può sostituirsi un sistema, quello delle società di capitali dove l'amministrazione può essere affidata a terzi e dove può esserci una netta frattura fra il socio di capitale, disinteressato volente o nolente alla gestione e il management, e risulta, pertanto, evidente che si tratta di un radicale stravolgimento (uragano) delle scelte compiute originariamente.

Come se non bastasse l'art. 2500, c.c., in qualche modo "aggancia" l'atto di trasformazione «alla disciplina prevista per il tipo adottato» e non si può non considerare che nella Srl come nella SpA il procedimento per modificare i patti sociali è inderogabilmente garantito da una procedura collegiale che consente alla minoranza di essere informata e di intervenire alle decisioni di modifica. Come se non bastasse, poi, la Srl che costituisce il naturale approdo di una società di persone, essendo abbastanza improbabile, il c.d. doppio salto evolutivo per approdare da società di persone direttamente alla SpA, contiene una norma di principio che impone il procedimento più garantista, ossia quello assembleare, non solo per le modifiche formali dei patti sociali, ma anche nel caso di decisioni «che determinino una rilevante modificazione dei diritti dei soci», si veda l'art. 2479, secondo comma, n. 5, c.c.

Infine, il procedimento inverso impone all'organo amministrativo della società di capitali che intenda trasformarsi in società di persone «di predisporre una relazione che illustri le motivazioni e gli effetti della trasformazione», da depositare presso la sede sociale nei trenta giorni che precedono l'assemblea (art. 2500-sexies, secondo comma, c.c.).

Sembrerebbe, perlomeno, anomalo che un legislatore così attento all'informazione dei soci nel caso di trasformazione regressiva sia così "latitante" laddove si tratti di garantire un minimo di informazione nella trasformazione evolutiva.

Quanto detto impone che alla decisione di trasformazione a maggioranza si giunga attraverso il procedimento "collegiale garantista", mutuato dalle società di capitali, ossia attraverso una formale convocazione dei soci per una certa data luogo ed ora alla presenza di un notaio al fine di decidere la trasformazione della società. Tuttavia la trasposizione del metodo assembleare nelle società di persone non deve essere enfatizzato fino al punto di ritenere che il notaio debba redigere un verbale assembleare della decisione, senza ad esempio identificare e costituire tutti i soci della società di persone intervenuti in atto.

Infatti, non bisogna dimenticare che nelle società di persone prevale ancora la natura contrattuale dell'accordo sociale e non siamo ancora di fronte ad un ente, persona giuridica istituzionalizzato.

Di conseguenza «ogni modificazione dell'organizzazione societaria può derivare solo da una modificazione contrattuale, concordata fra … i soci nella veste di contraenti, a differenza di quanto avviene nelle società di capitali, nelle quali la modifica dell'organizzazione consiste in un mutamento della struttura di un ente, il quale ormai vive una vita propria, separatamente dal contratto che lo ha generato, può mutare organizzazione in forza della volontà, che la sua assemblea esprime in osservanza delle regole generali del proprio funzionamento» [nota 42].

Da tale considerazione parte della dottrina trae la conseguenza che l'atto di trasformazione essendo regolamentato, per quanto riguarda il procedimento di formazione, dalla disciplina originaria dell'ente che si deve trasformare, resta assoggettato, per quanto riguarda il controllo notarile di legittimità alla disciplina prevista dall'art. 2330, c.c., e non a quella prevista dall'art. 2436, c.c. [nota 43]

In altre parole, il notaio non solo non potrà iscrivere una trasformazione nulla, ma a differenza di un vero e proprio verbale non potrà ricevere nemmeno l'atto stesso, incorrendo altrimenti nella sanzione derivante dalla violazione dell'articolo 28 L.N. [nota 44].

è da chiedersi, però, cosa accada nel caso in cui, l'atto di trasformazione venga redatto a mezzo di un vero e proprio verbale assembleare, sulla falsariga di un verbale di società di capitali, potendo a ciò indurre una lettura dell'art. 2500, secondo comma, c.c., laddove prevede che «l'atto di trasformazione è soggetto alla disciplina prevista per il tipo adottato ed alle forme di pubblicità relative».

è indubitabile che il verbale notarile costituisca atto pubblico e come tale risponda alla prescrizione formale di cui all'art. 2500, primo comma, c.c., che richiede l'atto pubblico, ma è altresì vero che detto verbale costituisce atto pubblico non negoziale tantè che lo stesso potrebbe essere firmato anche dal solo notaio o, tuttalpiù dal notaio e da chi preside l'assemblea [nota 45].

Nel dubbio circa la legittimità di un atto di trasformazione che non rechi la costituzione in atto e conseguente sottoscrizione dei soci, sembra opportuno che l'atto notarile anche se strutturato come verbale rechi la costituzione di tutti i soci intervenuti e la loro sottoscrizione [nota 46].

L'ambito dell'autonomia dei soci nel predisporre a maggioranza i patti della società risultante dalla trasformazione

Il secondo problema che si affronta riguarda l'esistenza di eventuali limiti all'autonomia contrattuale dei soci nel redigere i patti della società trasformata, nascenti dall'obbligo di rispettare, in qualche modo, gli accordi fondamentali tra soci che regolavano la trasformata società di persone da trasporre nella società di capitali trasformata.

Infatti, a fronte di una norma legale speciale che prevede che, salvo diversa disposizione del contratto sociale, la trasformazione da società di persone in società di capitali avvenga a maggioranza, permane comunque la regola generale di cui all'art. 2252, c.c., che per le "altre" modifiche prevede nelle società di persone l'unanimità [nota 47].

Ciò comporta un problema di interpretazione della normativa qualora la trasformazione comporti altre modifiche dell'atto costitutivo.

Nella prassi è, infatti, pressoché impensabile che nell'ambito della operazione di trasformazione non si provveda ad apportare all'atto costitutivo una serie di modifiche collegate, anche se non strettamente richieste per l'adozione del modello legale della società risultante dalla trasformazione. Alcune modifiche, come ad esempio l'aumento del capitale sociale per raggiungere il minimo legale potrebbero, peraltro, essere richieste dalla disciplina del tipo in cui ci si trasforma.

Una prima ricostruzione "restrittiva" imporrebbe che la trasformazione tocchi esclusivamente la forma giuridica, restando immutati tutti gli altri elementi della società [nota 48].

In passato, un problema in parte simile si era posto per fusioni e scissioni eterogenee di società di capitali, e in detta situazione era prevalsa la soluzione favorevole all'applicazione dei quorum deliberativi più alti [nota 49].

Risulta evidente che l'applicazione di tale criterio restrittivo porterebbe a circoscrivere la regola di maggioranza alle sole ristrutturazioni "pure". Il che ridimensionerebbe sensibilmente l'effettivo ambito di applicazione del principio di maggioranza, privando probabilmente le nuove disposizioni della possibilità di conseguire l'obiettivo cui erano preposte [nota 50].

L'alternativa interpretativa, tesa ad estendere la regola maggioritaria a tutte le modifiche collegate, desta tuttavia non poche perplessità. Essa rischia, infatti, di creare una breccia nella quale possano transitare a maggioranza tutte quelle modifiche che richiederebbero il consenso unanime dei soci ai sensi dell'art. 2252, c.c. In altre parole, la trasformazione diverrebbe una operazione elusiva attraverso la quale far transitare modifiche sulle quali per legge ogni socio avrebbe il diritto di veto. In tal caso, ai soci dissenzienti non resterebbe che il diritto di recedere dalla società, salva la possibilità di impugnare la decisione per violazione del principio di correttezza, accollandosi tuttavia un onere probatorio tutt'altro che agevole.

Si potrebbe sostenere che l'art. 2500, c.c., laddove prevede al primo comma che l'atto di trasformazione debba «contenere le indicazioni previste dalla legge per l'atto di costituzione del tipo adottato» e laddove al secondo comma ribadisce che «l'atto di trasformazione è soggetto alla disciplina prevista per il tipo adottato» detti la regola della ristrutturazione "pura".

Ad avviso di chi scrive sembra, però che gli incisi di tale norma più modestamente vogliano indicare che i patti sociali della società di capitali risultante dalla trasformazione siano conformi alle norme inderogabili che regolano il nuovo modello societario [nota 51].

Peraltro, a fronte di un passaggio strutturale complesso come quello della trasformazione da società di persone a società di capitali risulta difficile individuare la c.d. ristrutturazione "pura".

Se l'operazione può risultare in parte più agevole nel caso di SpA dotata di una struttura base completa, la medesima intrapresa risulta problematica nel caso di Srl, modello di arrivo per antonomasia della società di persone trasformata in società di capitali.

La struttura base della Srl è, infatti, limitata ad una ossatura minima e, per di più, ispirata alla Srl c.d. "capitalistica". La scelta dello scheletro legale allontanerebbe, pertanto la originaria società di persone dal suo approdo naturale, ossia la Srl c.d. "personalistica" che richiede, però, l'innesto di regole eventuali pattizie.

Si potrebbe anche pensare ad una "ristrutturazione base" individuata per somiglianza, ossia una trasformazione che converta le regole della società di persone nelle regole più simili contenute o più semplicemente ammesse nel modello societario di approdo, ma anche tale ipotesi ricostruttiva, può essere considerata altamente soggettiva e come tale opinabile. Adottando l'ultima soluzione ad esempio nel caso di trasformazione di Sas in Srl il ruolo di amministratore dovrà essere assegnato all'ex socio accomandatario.

Stante la sindacabilità delle soluzioni sopra proposte e la mancanza di un supporto normativo chiaro, sembra ci si debba rassegnare ad accettare la soluzione più semplice, ossia, quella adottata da parte della giurisprudenza.

Alla domanda attorea che sosteneva «che la deroga recata dall'art. 2500-ter, c.c., alla regola di unanimità contenuta nel precedente art. 2252 consentirebbe di adottare a maggioranza la semplice modifica del tipo e le sole modifiche organizzative che siano rese necessarie dall'esigenza di adeguare l'articolazione alle norme che caratterizzano la disciplina inderogabile propria della forma prescelta, restando invece ferma la regola generale dell'unanimità ex art. 2252, c.c., per quei mutamenti che non siano in alcun modo imposti da ragioni di incompatibilità tipologica» [nota 52] il Tribunale ha risposto che «la decisione di trasformazione della società, legittimamente assunta a maggioranza, nel travolgere il tipo di società trasformata, comporta il travolgimento delle relative regole, comprese quelle di unanimità nella modificazione delle proprie norme interne e quella necessariamente affidante al solo socio accomandatario, personalmente ed illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali, l'amministrazione della società» [nota 53].

Pertanto, sembra condivisibile l'affermazione secondo cui «in mancanza di espressa diversa previsione del contratto sociale, si deve ritenere che l'art. 2500-ter, primo comma, c.c., nella parte in cui prevede la trasformazione a maggioranza delle società di persone in società di capitali, consente l'approvazione con la medesima maggioranza del nuovo testo dello statuto della società trasformata anche in quelle parti che non risultano strettamente necessarie per l'adozione del nuovo tipo sociale (si pensi all'introduzione di particolari maggioranze, o all'adozione di particolari di particolari sistemi di governance, o a clausole di prelazione, o di limitazione alla circolazione delle partecipazioni, o alla previsione di ipotesi facoltative di recesso o esclusione, ecc.)» [nota 54].

Un solo limite sembra potersi porre con certezza. Nella trasformazione deliberata a maggioranza in Srl i soci maggioritari non potranno assegnarsi nuovi «particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili».

Le clausole delle società di persone derogatorie alla disciplina legale in tema di quorum nella trasformazione evolutiva

La previsione della libera trasformabilità a maggioranza, calcolata secondo il principio della partecipazione agli utili «ha chiaramente natura dispositiva e, quindi, niente impedisce che sia adottata in via statutaria l'opposta regola dell'unanimità» [nota 55]. Infatti, richiedendo l'unanimità non si fa altro che ripristinare la regola generale di cui all'art. 2252, c.c., più consona alle società di persone caratterizzate dal c.d. intuitu personae [nota 56].

Sembra preferibile introdurre una clausola statutaria con cui non si limiti genericamente ad affermare che ogni modifica del contratto sociale deve essere adottata all'unanimità, ma che ulteriormente precisi che la regola dell'unanimità si applica anche al caso specifico della trasformazione in società di capitali.

Infatti, parte della dottrina sottolinea che una clausola che semplicemente ripropone l'unanimità per tutte le modifiche potrebbe creare problemi in sede di interpretazione della clausola, «con particolare riferimento al grado di precisione con cui debba essere specificato l'ambito di operatività della stessa». Argomentando dall'art. 1349, c.c., ed estendendo il relativo principio al settore societario, si è, infatti, ritenuto che non sarebbe sufficiente un generico riferimento alle modifiche del contratto, ma occorrerebbe una specifica ed espressa indicazione delle singole modifiche sottratte alla regola dell'unanimità [nota 57].

Tale clausola da un lato confermerà il principio dettato dall'art. 2252, c.c., mentre dall'altro derogherà alla norma speciale di cui all'art. 2500-ter.

Tuttavia, si è sostenuto che la diversa disposizione del contratto sociale sufficiente a ripristinare la regola dell'unanimità può anche essere formulata con l'introduzione di clausole non specifiche del tipo: «le modificazioni del contratto sociale debbono essere adottate all'unanimità», in tale ipotesi infatti è necessario interpretare la detta clausola, apparentemente inutile perché riproduttiva di principi di legge, in conformità al disposto di cui all'art. 1367, c.c., nel senso cioè in cui possa avere un qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero nessuno.

Parte della dottrina ha sostenuto l'ammissibilità di una clausola che impedisca la trasformazione, clausola espressamente ammessa solo per le associazioni dall'art. 2500-octies, terzo comma, c.c. il quale in caso di trasformazione eterogenea, prevede che la trasformazione di associazioni in società può essere esclusa dall'atto costitutivo. La soluzione sembra legittima non tanto per l'applicazione analogica della disciplina sopra richiamata per le associazioni, ma piuttosto per il disposto dello stesso art. 2500-ter che, facendo salva la diversa disposizione del contratto sociale, sembra aprire all'autonomia delle parti nonchè, soprattutto, per l'ovvia considerazione che una tale clausola avrebbe come unico effetto il sorgere in capo al socio di ogni diritto alla permanenza del tipo sociale con la conseguenza che la decisione di trasformazione, normalmente adottabile a maggioranza, dovrà essere adottata all'unanimità, come sempre all'unanimità potrebbe modificarsi l'atto costitutivo eliminando detta clausola.

In altre parole, la clausola suddetta si risolverebbe in una clausola unanimistica conforme alla regola generale prevista dall'art. 2252, c.c., e sicuramente legittima, stante l'inciso salvo patto contrario contenuto nell'art. 2500-ter, c.c.

Ugualmente ammissibile sembra una clausola di votazione per teste all'unanimità.

Anche tale ipotesi, infatti, non sembra spostare il principio del consenso unanime fissato dall'art. 2252, c.c., e consente anche ai soci non titolari di una partecipazione al capitale di contare nella decisione, così come sembra richiedere il legislatore allorché impone un quorum maggioritario fissato in base alla partecipazione agli utili e non alla partecipazione al capitale.

Parte della dottrina ritiene, poi, che la modifica pattizia al quorum legale possa realizzarsi in molti altri modi ossia «introducendo criteri diversi (eventualmente cumulativi) di calcolo della maggioranza (per teste, ovvero pur sempre per interessi, in relazione tuttavia alla partecipazione al capitale, e non agli utili) o addirittura modificando, da semplice a qualificata, il tipo di maggioranza a tal fine necessaria» [nota 58]. Si è anche ritenuto che «l'ampiezza dell'inciso normativo in questione consente altresì di ipotizzare, con buon fondamento, che l'atto costitutivo di una determinata società di persone possa altresì rimettere la decisione di trasformazione della società in società di capitali, nel rispetto del procedimento che si è sopra ipotizzato, alla volontà non di una maggioranza, ma di una minoranza, o addirittura di un singolo socio, anche contro la volontà della maggioranza, salvo sempre il diritto di recesso in capo ai soci che non hanno concorso alla decisione» [nota 59].

Le ricostruzioni sopra riportate che esaltano l'autonomia dei soci, nascono con un lodevole intento, quello di "correggere" il nuovo criterio legale di maggioranza, non tanto perché lo stesso sia meno rispettoso della parità dei soci, quanto perché la sua applicazione può sollevare problemi ad esempio nel caso di soci d'opera la cui partecipazione agli utili non sia ab initio determinata nel contratto.

Inoltre, il nuovo criterio legale di maggioranza non si presenta particolarmente congeniale alla società in accomandita semplice, non tenendo conto delle complesse dinamiche dei rapporti tra i soci che caratterizzano tale tipo societario.

Infatti, l'opzione per la maggioranza per quote di interesse rischia di far prevalere in ogni caso i soci accomandanti, senza tenere nel debito conto i delicati meccanismi che reggono gli equilibri interni a tale tipo societario, soprattutto nella diffusissima ipotesi di società di due soli soci.

Ne si può utilizzare il filtro di compatibilità fissato dall'art. 2315, c.c. [nota 60], visto che l'art. 2500-ter, c.c., fa chiaramente e indistintamente riferimento alle società di persone che si trasformano in società di capitali coinvolgendo di conseguenza anche le società in accomandita semplice.

Il lodevole intento della dottrina sembra, però, che debba essere vagliato alla luce della ratio che ha spinto il legislatore a scegliere il criterio "economico" nel pesare i soci, piuttosto che quello per "teste".

La scelta del criterio "economico" sembra fondato sul rapporto rischio-decisione e sembra trarre la sua ratio nella necessità che chi assume le maggiori responsabilità nella vita sociale, soprattutto nei termini della maggiore potenziale esposizione del patrimonio personale conseguente anche alla responsabilità illimitata abbia, poi, la possibilità di incidere maggiormente nell'assunzione delle decisioni sociali. Il legislatore, nel caso di trasformazione, ha dimostrato di preferire il criterio economico al criterio del voto per teste, dove ogni socio vale solo per se stesso e pesa in società indipendentemente dal peso economico della sua esposizione, parametrato anche sulla partecipazione agli utili e alle eventuali perdite.

In definitiva, il legislatore dovendo spingere la società di persone verso uno dei modelli capitalistici ha affrancato la società di persone dalla sua matrice contrattuale, prima ancora di trasformarla, imponendole una regola di peso decisorio di stampo "economico".

Addirittura la scelta "economica" nella definizione del quorum va oltre la scelta di una maggioranza da calcolarsi in base alla partecipazione al capitale sociale, adottando un metodo di calcolo che valorizzi l'apporto di chi anche se non ha conferito a capitale economicamente ha visto riconoscere il proprio peso allorché si è trattato di decidere come dividere i proventi della società, ottenendo attraverso una determinata partecipazione agli utili un riconoscimento sostanziale del valore economico della propria presenza in società, che va oltre il riconoscimento più formale di una determinata partecipazione al capitale sociale.

Se questa è la ratio ispiratrice della norma di legge sembrano sicuramente ammissibili quelle variazioni del quorum legale che rispondano alla medesima ratio.

Rispondono a detta ratio le clausole che si muovano usando come parametro di riferimento quello legale della partecipazione agli utili dei soci, modificando solamente la percentuale per ritenere raggiunta la necessaria maggioranza 2/3 3/4 ecc. Ugualmente, sono da ritenersi ammesse le clausole che parametrino la maggioranza alla partecipazione al capitale, se ed in quanto non partecipino alla società soci a cui sia riconosciuta solo una partecipazione agli utili (e non al capitale). Infine, sembrano rientrare in una logica economica anche quelle clausole che richiedano il necessario consenso anche dei soci accomandatari. Qualche perplessità destano, viceversa, quei quorum slegati totalmente dal peso economico dei soci. Si pensi ad una maggioranza calcolata per teste in una società in accomandita partecipata da due soci accomandati che detengano una partecipazione agli utili e al capitale del 2% e da un socio accomandatario che detenga una partecipazione agli utili e al capitale del 98% [nota 61].

L'applicazione della regola maggioritaria alle società già costituite alla data del 1° gennaio 2004

In relazione alle società preesistenti all'entrata in vigore della riforma, per le quali nel silenzio dello statuto operava la regola dell'unanimità prevista dall'art. 2252, c.c., è necessario indagare se la regola legale dell'unanimità, che trovava applicazione alla data della costituzione di queste società, sia cambiata, in esito all'applicazione del nuovo art. 2500-ter, c.c., trovando ora applicazione la nuova regola che per la trasformazione evolutiva ritiene sufficiente la maggioranza dei consensi calcolata in base alla partecipazione agli utili.

Si esaminerà da principio cosa accada qualora nei patti sociali delle società di persone non vi sia alcuna disposizione specifica, né alcun rinvio alle norme in materia di società di persone per le decisioni dei soci [nota 62].

La gravità della conclusione, che legittima il rovesciamento da parte di una norma di legge sopravvenuta di una regola di segno opposto nei confronti della quale i soci potevano in concreto aver riposto il loro affidamento [nota 63], ha indotto, parte della dottrina a sostenere, contro la lettera della legge, un'interpretazione fortemente restrittiva della nuova disposizione, ritenendo, nella sostanza, che la stessa, pure in assenza di specifiche norme transitorie, non trovi mai applicazione con riferimento alle società già costituite al 1° gennaio 2004, indipendentemente dalla circostanza che i relativi patti sociali prevedessero o meno specifiche clausole in tema di modificazioni del contratto sociale o dell'atto costitutivo in genere, o di trasformazione in specie [nota 64].

A tale ricostruzione ha aderito anche parte della giurisprudenza affermando che «la norma di cui all'art. 2500-ter, c.c., è indubbiamente di natura sostanziale e a carattere innovativo. Ne consegue che, ai sensi dell'art. 11 delle preleggi al codice civile, la norma stessa non ha efficacia retroattiva in mancanza di una espressa previsione in senso contrario» [nota 65].

Si è ulteriormente motivato che «l'applicabilità dell'art. 2500-ter, c.c., alle società costituite antecedentemente alla riforma avrebbe come effetto quello di modificare le componenti essenziali della società in evidente contrasto con l'interesse del singolo socio a che siano mantenute inalterate le basi organizzative, sia soggettive che oggettive, originariamente convenute. E proprio perché si incide sulla originaria regolamentazione del rapporto relativa alla stessa organizzazione dell'ente, che deve ritenersi ormai cristallizzata all'atto della costituzione del rapporto stesso, il ritenere applicabile l'art. 2500-ter, c.c., alle società già costituite significherebbe necessariamente attribuire a detta norma quell'efficacia retroattiva che non è consentita dall'art. 11 delle preleggi» [nota 66].

Con argomentazione a contrario si è, poi, ragionato che «d'altronde la stessa previsione di una diversa disposizione del contratto sociale, che impedirebbe la trasformazione a maggioranza, conferma che la norma non può che ritenersi applicabile alle società costituite successivamente alla sua entrata i vigore. Nelle società costituite prima della riforma, infatti, non poteva nemmeno artatamente prevedersi tale diversa disposizione del contratto sociale, e cioè la necessità del consenso di tutti i soci per la trasformazione, posto che nella previgente disciplina la trasformazione, quale modifica dell'atto costitutivo, doveva avvenire con il consenso di tutti i soci fatta salva una diversa volontà, art. 2252, c.c.» [nota 67].

Altra giurisprudenza ha ritenuto di mettere un freno alla corsa alla trasformazione "facile" sostenendo che «se è pur innegabile che la recente riforma esprime un chiaro favore per la diffusione del modello delle società di capitali, non si può dimenticare, nell'interpretare contratti sociali preesistenti, che va cercato un punto d'equilibrio tra le istanze contrapposte di accelerazione della riforma da un lato, e tutela delle ragioni sottese alle previgenti disposizioni, dall'altro: nella specie deve, quindi tenersi conto del fatto che il problema della trasformazione della società a maggioranza semplice neppure si ponesse per i soci, e che quindi era particolarmente forte l'affidamento di ciascun socio nel fatto che nessuna modifica del contratto avrebbe potuto essere assunta senza il suo consenso» [nota 68].

Secondo detta giurisprudenza «appare, del resto, significativo e coerente con l'opzione interpretativa sin qui esposta il fatto che il legislatore stesso, pur manifestando attraverso le disposizioni d'attuazione un interesse alla rapida attuazione della riforma ed alla realizzazione delle trasformazioni delle Srl in SpA, abbia espressamente limitato tali disposizioni alle società di capitali (cfr. l'art. 223-bis, disp. att., secondo comma, c.c.) [nota 69].

Altra parte della giurisprudenza ha, al contrario affermato che «la regola in questione trova applicazione non solo alle trasformazioni in società di capitali di società di persone successivamente al 1° gennaio 2004, ma anche alle decisioni di trasformazione di società di persone assunte dai relativi soci dopo tale data ancorché le società stesse siano state costituite prima di detto giorno (art. 11 disposizioni sulla legge in generale), essendo l'art. 2500-ter, c.c., norma (eventualmente) incidente sul rapporto societario in corso al 1° gennaio 2004, di per sé non determinativa di modificazioni del contenuto del contratto sociale anteriormente stipulato» [nota 70].

Si è scritto che «conferma di tale asserzione si rinviene nelle disposizioni transitorie e di attuazione del codice civile inserite dal citato decreto n. 6 del 2003 che, in materia di trasformazioni relative ad enti su base collettiva costituiti prima del 1° gennaio 2004, disciplinano solo: con norme inderogabili dal contenuto impeditivo, solo i casi di trasformazione eterogenea di associazioni e fondazioni in società di capitali di cui all'art. 2500-octies, c.c., (art. 223-octies disp. att., c.c.): con norme parzialmente derogative, taluni aspetti della trasformazione di società cooperative, diverse da quelle a mutualità prevalente, in società lucrative di cui all'art. 2545-decies, c.c., (art. 223-quinquiesdecies disp. att., c.c.). In mancanza, pertanto, di norme transitorie ovvero di attuazione di segno contrario, alle trasformazioni di società di persone in società di capitali decise dopo il 1° gennaio 2004 si applica, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo, la regola di maggioranza contenuta nell'art. 2500-ter, c.c.» [nota 71].

Anche parte della dottrina aderisce a tale ricostruzione affermando che la stessa risponde al disegno del legislatore delegato di «introdurre disposizioni dirette a semplificare e favorire la trasformazione di società personali in società di capitali - lett e) -». Pertanto, secondo detta dottrina la corretta interpretazione dell'art. 2500-ter, c.c., sia alla luce del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e della intenzione del legislatore secondo il canone ermeneutica prescritto dall'art. 12 delle preleggi, sia in chiave sistematica nell'ottica complessiva della riforma, conduce al risultato che scopo della norma è tutelare le esigenze della società di persone di adottare forme di gestione di impresa ritenute più evolute, e di impedire che tale evoluzione sia paralizzata dall'interesse personale del singolo socio a preservare il precedente assetto normativo [nota 72].

L'incertezza nell'individuare una soluzione circa l'applicabilità o meno della norma ha portato la dottrina e la giurisprudenza a ricercare negli originari patti sociali un appiglio per poter risolvere la querelle senza dover prendere posizione tranciant sulla questione sopra riportata.

Infatti, va ricordato che le due regole opposte, fissate dalla legge prima e dopo la riforma del 2003, di cui la prima prevedeva l'unanimità per le decisioni di trasformazione di società di persone in società di capitali, mentre la seconda abbassava il quorum alla maggioranza, sono entrambe derogabili.

Si può porre il caso che l'indagine interpretativa venga svolta solo ricercando la soluzione del quesito nella presenza di una pattuizione di carattere generale, posta normalmente a chiusura dei patti sociali, o venga compiuta esaminando il tenore complessivo dei patti sociali.

La dottrina si è interessata principalmente del primo tipo di indagine ed ha individuato una serie di clausole.

In primo luogo i patti sociali possono contenere un generico rinvio alle norme di legge applicabili al tipo sociale prescelto, senza tuttavia richiamare espressamente l'art. 2252, c.c.

In secondo luogo l'atto costitutivo contiene un esplicito richiamo all'art. 2252, c.c., del tipo «qualunque modifica dell'atto costitutivo dovrà essere adottata ai sensi dell'art. 2252, c.c.».

In terzo luogo, l'atto costitutivo prevede espressamente, senza rinvio a norme di legge, che le modifiche dell'atto costitutivo in genere dovranno essere effettuate all'unanimità.

In quarto luogo l'atto costitutivo prevede espressamente che la trasformazione dovrà essere effettuata all'unanimità [nota 73].

Tuttavia, salva l'ipotesi della quarta clausola, che costituisce, però, un'ipotesi di scuola che non trova riscontro nella pratica, visto che prima della riforma nessuno sentiva l'esigenza di precisare che una specifica operazione andava deliberata all'unanimità, salvo forse il caso di uno statuto in cui si fosse scelta per le altre modifiche la regola maggioritaria, unico caso in cui risulta certo che la trasformazione vada decisa all'unanimità, negli altri casi l'indagine svolta in base a clausole di chiusura sembra pretestuosa e priva di particolari significati.

Infatti, come evidenziato dalla giurisprudenza la clausola «di rinvio generico alle disposizioni del codice civile (comprese quelle contenute in libri diversi da quello contenente la disciplina delle società), al pari delle clausole di per sé non espressive di clausole risolutive espresse, l'inadempimento a qualunque obbligazione derivante dal presente contratto costituirà causa di risoluzione dello stesso e di quelle non indicanti termini essenziali per l'adempimento entro e non oltre, ha da un lato natura di mera clausola di stile, essendo ovvio che la legge disciplina il contenuto del contratto e delle relative vicende in mancanza di pattuizioni specifiche fra le parti, e, dall'altro, non costituisce regola del contratto, bensì contiene il rinvio a regola esterna di rapporto, come tale entrante in giuoco al momento in cui lo svolgimento del rapporto lo richieda: id est, per quanto qui interessa, al momento in cui i soci decidono la trasformazione» [nota 74].

Più interessante sembra una interpretazione sistematica dei patti che faccia emergere dagli accordi assunti e formalizzati nei patti sociali la volontà o meno di richiedere per le modifiche la convergenza di tutti i soci o, viceversa, la prevalenza degli interessi uni su quelli degli altri.

In tal senso si pronuncia parte della giurisprudenza che, pur in assenza di una diversa pattuizione tra le parti tendente a reintrodurre convenzionalmente il principio di unanimità, ritiene che il giudice debba, comunque procedere ad una ricostruzione e interpretazione della volontà delle parti, alla luce dei criteri generali di ermeneutica negoziale, al fine di accertare se, pur in assenza di un espresso richiamo, le parti non abbiano inteso richiamare per relationem la regola di unanimità per la decisione di trasformazione, in modo da inglobarla nel patto contrattuale [nota 75].

Ad esempio nel caso sottoposto all'esame del Tribunale di Reggio Emilia si era sottolineato che «gli artt. 9 e 10 dello statuto, in deroga alla regola posta dall'art. 2322, c.c., stabiliscono l'assoluta intrasferibilità per atto tra vivi delle quote (anche quelle degli accomandanti) senza il preventivo consenso di tutti i soci e subordinando il subentro degli eredi del socio accomandante al consenso dei soci superstiti; che la volontà che qualsiasi modifica dello statuto e dell'assetto della società potesse avvenire solo con il consenso di tutti i soci era quindi chiaramente espresso dalle norme statutarie ed era, del resto, logica conseguenza del fatto che la società era composta da due nuclei familiari fra di loro parenti che vivevano dalla e nella società ove erano stati conferiti parte dei loro beni, comprese le abitazioni» [nota 76].

Viceversa, il Tribunale di Milano, ha considerato irrilevante la clausola dell'atto costitutivo che per «l'assunzione di finanziamenti a medio e lungo termine e per l'alienazione dell'azienda occorreva la previa autorizzazione del socio accomandante ai sensi dell'art. 2320 capoverso» [nota 77].

In riferimento alla trasformazione di una società in accomandita semplice in società di capitali, senza il concorso del socio accomandatario, la giurisprudenza ha sottolineato che indipendentemente dall'applicabilità o meno della regola di maggioranza, oggi codificata dall'art. 2500-ter, la circostanza che una decisione di trasformazione di una società in accomandita semplice in una società a responsabilità limitata sia stata adottata dai soli soci accomandanti, pur rappresentanti la quasi totalità del capitale sociale, in assenza e all'insaputa dell'unico socio accomandatario, inficia all'origine la decisione dei soci e la rende radicalmente inefficace. Pur non essendo necessario, nelle società di persone, dar corso ad un procedimento assembleare, è, infatti, in ogni caso indispensabile, ai fini della formazione della decisione, un atto d'impulso a tanto finalizzato che promani dal soggetto a cui tale potere istituzionalmente compete (nella specie l'accomandatario), in modo che tutti i soci siano messi in condizione di esprimersi, anche semplicemente per far valere il proprio dissenso [nota 78].

Il compito del notaio non sembra certo agevole ed è in parte complicato dal fatto che una volta operata la trasformazione ed eseguita la pubblicità presso il Registro delle Imprese non può essere più pronunciata l'invalidità dell'atto di trasformazione ed il soggetto che si è opposto a tale operazione ha solo la facoltà di richiedere il risarcimento del danno.

Peraltro, la giurisprudenza ha negato il procedimento d'urgenza laddove «non è riferibile una determinazione volitiva non ancora formata e manifestata» [nota 79], e, quindi, l'unica speranza per il socio di minoranza di vedersi riconosciuta una qualche tutela di "tipo reale" sembra essere la mancata iscrizione della decisione nel Registro delle Imprese e la richiesta di omologazione della stessa che consentirebbe al socio di chiedere un provvedimento ex art. 700 c.p.c. ed eventualmente bloccare l'operazione.


[nota 1] V. CAMILLETTI, «Alcune considerazioni su trasformazione, fusione e scissione alla luce della nuova normativa societaria», in Impresa, c. l., 2006, n. 4, p. 655.

[nota 2] V. TASSINARI, La trasformazione c.d. omogenea in generale. La trasformazione da società di persone in società di capitali, in AA.VV. Riflessi della riforma del diritto societario sulla disciplina delle società di persone, Quaderni notariato, n. 16, 2006.

[nota 3] V. STAGNO D'ALCONTRES, La trasformazione delle società dopo la riforma Vietti, in AA.VV. La riforma del diritto societario, a cura di Di Cagno, Bari, 2004, p. 223.

[nota 4] V. PISANI, «Il principio di maggioranza nella nuova disciplina della trasformazione di società di persone», in Riv. dir. comm., 2006, I, p. 371.

[nota 5] V. DE ANGELIS, «La trasformazione nella riforma del diritto societario», in Società, 2003, p. 383.

[nota 6] V. Mosca, Sub art. 2500-ter, in AA.VV. Trasformazione fusione scissione, Commentario della riforma, a cura di Marchetti, Bianchi, Grezzi, Notari, Milano, 2006, p. 115.

[nota 7] V. SERRA, La trasformazione e la fusione di società, in Trattato Rescigno, Vol. 17, T. III, Torino, 1985, p. 320; DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1995, p. 91; FERRI, Sub artt. 2247 e ss., in Comm. Scialoja-Branca, 1981, p. 120.

[nota 8] La definizione è dovuta a CAGNASSO, La trasformazione delle società, in Commentario Schlesinger, Milano, 1990, p. 104.

[nota 9] V. OPPO, «Eguaglianza e contratto nelle società per azioni», in Riv. dir. civ., 1974, I, p. 629.

[nota 10] V. in giurisprudenza: App. Torino, decr. 9 giugno 1982 e Trib. Casale Monferrato, decr. 26 febbraio 1982, in Vita not., 1982, p. 1299; App. Ancona, decr. 20 febbraio 1969 e Trib. Pesaro, decr. 20 aprile 1968, in Giur. it., 1969, I, 2, p. 448 e in Riv. not., 1969, p. 869.

[nota 11] V. ERASMO BONAVERA, La trasformazione omogenea, in AA.VV., Trasformazione fusione scissione opa società quotate, a cura di Schiano di Pepe, Milano, 1999, p. 44.

[nota 12] V. FERRI jr, La nuova disciplina della trasformazione omogenea e le società di persone: un primo confronto, in AA. VV. Riflessi della riforma del diritto societario sulla disciplina delle società di persone, Quaderni notariato, n. 16, 2006.

[nota 13] V. MISEROCCHI, La Trasformazione, in AA. VV. Il nuovo ordinamento delle società, collana diretta da Rossi, Milano, 2003, p. 353.

[nota 14] V. CIVERRA, Le operazioni di trasformazione, Milano, 2004, p. 39, secondo cui «ci troviamo, in tal modo, di fronte a questo paradosso: ossia che le decisioni di scarso impegno devono essere assistite dal consenso unanime, mentre l'assunzione, per esempio, della veste di società a responsabilità limitata, può essere adottata con una delibera maggioritaria».

[nota 15] V. BUTTARO, «In tema di inesistenza di deliberazione assembleare per difetto di maggioranza», in Banca, borsa e titoli di credito, 1963, I, p. 238.

[nota 16] V. PATRIARCA, op. cit., p. 237.

[nota 17] V. anche PATRIARCA, «Procedimento decisionale e autonomia statutaria nelle società di persona», in Riv. dir. priv., 1999, p. 237; PERRINO, «Sulla non collegialità del procedimento deliberativo di società di persone: il caso dell'esclusione del socio», in Riv. dir. impr., 1997, p. 353; SCHIAVON, «Società personali. Come funziona l'assemblea dei soci», in Impresa c.i., 2005, p. 62; SALVATI, «L'ammissibilità del metodo assembleare nelle società di persone», in Dir. fall., 2005, p. 386.

[nota 18] V. Cass., 6 marzo 1953, n. 636, in Dir. Fall., 1953,II, p. 145; Cass., 25 gennaio 1954, n. 186, in Foro it., 1954,I, p. 930; Cass., 19 gennaio 1973, n. 196, in Giur. it., 1973, I, p. 1445; Cass., 15 luglio 1996, n. 6394, in Riv. dir. impr., 1997, p. 353; Cass., 10 gennaio 1998, n. 153, in Giur. it., 1998, p. 721.

[nota 19] V. Cass., 21 aprile 1956, n. 1217, in Riv. dir. comm., 1957, II, p. 18; Cass., 6 marzo 1953, n. 536, in Dir. fall., 1953, II, p. 145; Cass., 16 luglio 1958, n. 2603, in Dir. fall., 1958, II, p. 632; Cass., 9 maggio 1962, n. 931, in Giur. it., 1963, I, 1, p. 636; Cass., 26 maggio 1971, n. 1560, in Giur. it., 1972, I, 1, p. 140.

[nota 20] V. GALGANO, «Repliche in tema di società personali, principio di maggioranza e collegialità», in Riv. dir. civ., 1964, I, p. 553.

[nota 21] V. COTTINO, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1999, p. 82; CIOFFI, La formazione della volontà nelle società di persone e prospettive di riforma, in Le disposizioni generali sulle società e le società di persone. Prospettive di riforme, Atti del convegno di studio, a cura di Rocco di Torrepadula, Milano, 2001, p. 271; MACRì, «Deliberazioni delle società di persone: metodo assembleare e computo della maggioranza», in Società, 1983, p. 384; SCHLESINGER, «Recensione a F. Galgano, il principio di maggioranza», in Riv. soc., 1962, p. 92.

[nota 22] V. FERRI, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e Ferri, Torino, 2001, p. 278.

[nota 23] V. SERRA, Unanimità e maggioranza nelle società di persone, Milano, 1980, p. 156; ID., «Alcune riflessioni in tema di esclusione del socio», in Giur. comm., 1998, II, p. 216; VENDITTI, «Nuove riflessioni sull'organizzazione collegiale delle società di persone», in Dir. e giur., 1962, p. 385; ID., Collegialità e maggioranza nelle società di persone, Napoli, 1955, p. 37.

[nota 24] V. sull'argomento: CODAZZI, «Note in tema di collegialità e di invalidità delle delibere assembleari nelle società di capitali», in Giur. comm., 2004, II, p. 133.

[nota 25] V. SERRA, «Alcune riflessioni in tema di esclusione del socio», nota a Trib. Caltagirone, 15 giugno 1993 e App. Catania, 18 giugno 1996, in Giur. comm., 1998, II, p. 216.

[nota 26] V. Cass., 7 giugno 2002, n. 8276, in Società, 2003, p. 35, con nota di Taurini; v. in dottrina: SARTORI, «Le deliberazioni delle società di persone», in Impresa c.i., 2004, p. 655; BERTOLOTTI, «Assemblea e invalidità delle deliberazioni nelle società per azioni», in Giust. civ., 2003, p. 1056: in senso contrario: Cass., 6 marzo 1953, n. 536, in Dir. fall., 1953, II, p. 147; Cass., 7 marzo 1955, in Giur. it., 1956, I, p. 164.

[nota 27] V. MESCHINI, nota a Trib. Roma, 14 novembre 2002, in Riv. dir. comm., 2003, II, p. 290.

[nota 28] V. PERRINO, op. cit., p. 364; MIRONE, Il procedimento deliberativo nelle società di persone, Torino, 1998, p. 172; PISANI, Società di persone a struttura corporativa, Torino, 2000, p. 45; FERRARA JR-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001, p. 281; contra Trib. Monza, 10 aprile 1990, in Foro pad., 1991, p. 200.

[nota 29] V. MIRONE, op. cit., p. 197.

[nota 30] V. BUSANI, La nuova disciplina della trasformazione omogenea e le società di persone: un primo confronto, dattiloscritto.

[nota 31] Ritiene rilevante il dato letterale della nuova norma, DI ZILLO, «La trasformazione omogenea progressiva», in Riv. not., 2004, p. 1116.

[nota 32] V. PINARDI, La Trasformazione, Milano, 2005, p. 93.

[nota 33] V. PINARDI, op. cit., p. 94.

[nota 34] V. PINARDI, op. cit., p. 94.

[nota 35] V. PINARDI, op. cit., p. 95.

[nota 36] V. MOSCA, op. cit., p. 121.

[nota 37] V. MOSCA, op. cit., p. 121.

[nota 38] V. MOSCA, op. cit., p. 122.

[nota 39] V. TASSINARI, op. cit.

[nota 40] V. TASSINARI, op. cit.

[nota 41] V. TASSINARI, op. cit.

[nota 42] V. SALAFIA, «Trasformazione di società di persone in società di capitali», Società, 2002, p. 957.

[nota 43] V. MANFRè, «Trasformazione a maggioranza di società di persone in società di capitali», in Notariato, 2005, p. 374.

[nota 44] V. Prima della riforma: LAURINI, «Dal controllo giudiziale al controllo notarile: la legge 24 novembre 2000, n. 340», in Riv. not., 2001, p. 790; dopo la riforma: MALTONI, in Maltoni- Tassinari, La trasformazione delle società, Milano, 2005, p. 26.

[nota 45] V. BUSI, Assemblea e decisioni dei soci, in corso di preparazione, edito Cedam.

[nota 46] In tal senso App. Napoli, 31 marzo 1987, in Foro it., 1988, I, p. 1285, con nota di Genghini.

[nota 47] In tal senso sembrerebbe condurre il ragionamento di parte della dottrina SALAFIA, «Trasformazione di società di persone in società di capitali», in Società, 2007, p. 487, secondo cui «se lo statuto, secondo la determinazione che ne fa la legge, è il complesso delle regole di funzionamento della società, a me pare che la trasformazione dell'organizzazione non possa comprendersi fra le sue modificazioni. La trasformazione modifica, più o meno incisivamente, la struttura dell'organizzazione societaria, laddove la modificazione dello statuto ha solo la funzione di mutare la disciplina del funzionamento della struttura, che potrebbe rimanere invariata … Se allora è vero che la trasformazione di una società non equivale ad una qualsiasi delle modificazioni del suo statuto, ma può rappresentare un evento che comporterà il successivo adeguamento dello statuto antecedente, la clausola che prevedesse e regolasse le modificazioni dello statuto non può ricomprendere anche la trasformazione del tipo organizzativo della società».

[nota 48] V. CABRAS, Le trasformazioni, in Trattato Colombo-Portale, Torino, 1997, vol. 7, tomo III, p. 118, il quale ricorda che questo è il sistema scelto in Belgio, con la sola possibilità di modificare contestualmente l'oggetto sociale.

[nota 49] V. CABRAS, op. cit., p. 120.

[nota 50] V. PISANI, op. cit., p. 382.

[nota 51] V. Trib. Cassino, decr., 27 dicembre 1990, in Società, 1991, p. 520.

[nota 52] V. Trib. Roma, 30 aprile 2006, n. 25661/06 r.g. mis. caut., in Riv. not., 2007, p. 189.

[nota 53] V. Trib. Roma, 30 aprile 2006, n. 25661/06 r.g. mis. caut., ult. cit.

[nota 54] V. Orientamenti del comitato Triveneto dei notai in materia di atti societari, 2006, K.A.21.

[nota 55] V. SERRA, «La disciplina della trasformazione», in Nuovo diritto societario, Italia oggi, 9 luglio 2003, p. 246.

[nota 56] V. BELLO, «Appunti in tema di trasformazione riformata», in Riv. not., 2004, p. 945; CESARONI, Sub art. 2500-ter, in AA. VV. Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005, vol. IV, p 2475; GUERRERA, Trasformazione, fusione escissione, in AA. VV., Diritto delle società di capitali. Manuale breve, Milano, 2005, p. 410.

[nota 57] V. DI SABATO, La società semplice, in Trattato Rescigno, vol. 16, tomo II, Torino, 1985, p. 54.

[nota 58] V. FERRI JR, op. cit., p. 187 e ss.

[nota 59] V. TASSINARI, op. cit., p. 137 e ss.

[nota 60] V. RIVOLTA, «In tema di società in accomandita semplice», in Giur. comm., 2003, I, p. 119.

[nota 61] In senso favorevole: prima della riforma: FERRI, Le società, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, vol. X, tomo 3, Torino, 1985, p. 146, nota 2; contro, DI SABATO, La società semplice, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, vol. XVI, tomo 2, Torino, 1985, p. 54. Dopo la riforma sembra a favore: TASSINARI, op. cit., p. 137; contro, LAUDONIO, «Trasformazione di società di persone in società di capitali e clausola di rinvio alla normativa vigente: unanimità o maggioranza?», in Giur. merito, 2006, p. 951. SALAFIA, «Trasformazione di società di persone in società di capitali», in Società, 2007, p. 487, ritiene che «nell'elaborare la deroga (alla maggioranza di legge) i soci dovranno anche stabilire il criterio di calcolo della maggioranza dei soci, essendo ovvio che la deroga non può attuarsi rendendo efficace una modificazione del contratto con il voto dela minoranza dei soci».

[nota 62] Secondo Trib. Agrigento, 4 novembre 2004, in Giur. comm., 2007, II, p. 222, la decisione presa a maggioranza sarebbe nulla.

[nota 63] Secondo WEIGMANN, «Luci e ombre del nuovo diritto azionario», in Società, 2003, p. 271, sarebbe necessario un intervento ex art. 41 Costituzione da parte del Giudice per salvaguardare l'intangibilità dei contratti già stipulati.

[nota 64] V. MONTALENTI, «La riforma delle società di capitali: prospettive e problemi», in Società, 2003, p. 343.

[nota 65] V. Trib. Reggio Emilia, ord. 13 gennaio 2006, in Riv. not., 2006, p. 1603.

[nota 66] V. Trib. Reggio Emilia, ord. 13 gennaio 2006, cit.

[nota 67] V. Trib. Reggio Emilia, ord. 13 gennaio 2006, cit.

[nota 68] V. Trib. Milano, 8 luglio 2005, in Giur. di merito, 2006, p. 949.

[nota 69] V. Trib. Milano, 8 luglio 2005, cit.

[nota 70] V. Trib. Roma, 30 aprile 2006, n. 25661/06, cit.

[nota 71] V. Trib. Roma, 30 aprile 2006, n. 25661/06, cit.

[nota 72] V. CUPINI, «Art. 2500-ter c.c. e trasformazione di società di persone costituite prima della riforma del diritto societario», in Riv. not., 2006, p. 1604.

[nota 73] V. MANFRè, op. cit., p. 378; CUPINI, op. cit., p. 1608.

[nota 74] V. Trib. Roma, 30 aprile 2006, n. 25661/06 r.g. mis. caut., cit.

[nota 75] V. Trib. Roma, ord. 21 luglio 2006, in Riv. dir. comm., 2006, II, p. 96.

[nota 76] V. Trib. Reggio Emilia, ord. 13 gennaio 2006, cit.

[nota 77] V. Trib. Milano, decr., 13 dicembre 2004, in Notariato, 2005, p. 374.

[nota 78] V. Trib. Roma, ord., 21 luglio 2006, cit., p. 96.

[nota 79] V. Trib. Venezia, 24 luglio 2006, inedito.

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