La trasformazione delle associazioni in società di capitali e delle società di capitali in associazioni
La trasformazione delle associazioni in società di capitali e delle società di capitali in associazioni
di Andrea Fusaro
Professore Straordinario di Sistemi giuridici Comparati facoltà di Giurisprudenza di Genova, Notaio in Genova

Fondamento e limiti delle trasformazioni eterogenee

L'art. 7 lett. b) L. 366/01 ha invitato a disciplinare possibilità, condizioni e limiti di trasformazioni e fusioni eterogenee. Si comprende facilmente come il legislatore fosse animato da favore nei confronti di esse, considerandone l'attitudine ad assicurare la continuità dell'impresa [nota 1].

Quella previsione ha ricevuto attuazione negli artt. 2500-septies ed octies i quali hanno disciplinato le trasformazioni delle società, tra l'altro, in associazioni e viceversa, nondimeno individuando alcuni sbarramenti. A quelli contenuti nel codice riformato occorre affiancarne altri ricavabili da leggi speciali, in particolare connessi alla fruizione di agevolazioni fiscali.

Ulteriori limiti sono ravvisabili - sul piano dell'efficacia - nelle disposizioni che neutralizzano il rilievo delle trasformazioni, conservando ad un rapporto l'impronta propria della veste originaria dell'ente: si pensi a quella norma del codice dei beni culturali (art. 12, comma 9, D.lgs. 42/04) secondo cui il regime dettato per i cespiti appartenenti agli enti non lucrativi sopravvive al mutamento della forma giuridica.

Occorre, inoltre, darsi pregiudizialmente carico dell'impatto della disciplina dell'impresa sociale, in particolare dell'art. 13 D.lgs. 155/ 2006 [nota 2] dedicato alle operazioni straordinarie, la cui posteriorità potrebbe determinare il superamento delle disposizioni della riforma. La sua interpretazione letterale ha l'evidente vantaggio di ampliare lo spettro delle operazioni praticabili, poiché divengono possibili tutte le trasformazioni - autonomamente realizzate, oppure contenute in fusioni o scissioni - che siano consentite come tali, ma forse anche oltre i limiti testuali, atteso lo sbocco in società senza scopo di lucro. Quindi sarebbero consentite le trasformazioni contemplate dagli artt. 2498 e ss. c.c. - ed in particolare dagli artt. 2500-septies e 2500-octies - se coinvolgono società, oppure autorizzate dalla legislazione speciale e dall'elaborazione giurisprudenziale se interne agli enti del libro primo del codice.

Ci si è chiesti se all'art. 13 in esame sia accreditabile la valenza liberalizzatrice di tali operazioni da parte delle imprese sociali. Siffatta lettura non stupirebbe, essendo rivolta ad assecondare una tendenza in atto, rispondente ad un'aspettativa diffusa e valorizzata dalla stessa riforma del diritto societario; nondimeno occorre sottolinearne non solo la scarsa fondatezza, ma pure l'assai modesta utilità. Essa appare, invero, debolmente fondata, posto che l'intonazione della norma in oggetto non è già permissiva, sebbene proibitiva: essa non sembra già consentire indiscriminatamente le operazioni elencate, bensì introdurre ulteriori condizioni di ammissibilità, aggiuntive rispetto a quelle ordinarie. L'utilità sarebbe, poi, inversamente proporzionale rispetto all'entità dell'azzardo ermeneutico, dal momento che le barriere che contribuirebbe ad abbattere sarebbero ben esigue, in quanto all'ipotizzabilità delle fusioni eterogenee si è già pervenuti, attraverso itinerari argomentativi meno impervi [nota 3], mentre la praticabilità di trasformazioni e fusioni da parte degli enti del libro primo è acquisizione risalente in giurisprudenza [nota 4].

La nuova disposizione si riverbera, dunque, rispetto alla disciplina dettata dalla riforma, non già nel senso della sua abrogazione, bensì in ordine alla sua applicazione, in particolare se si accoglie la lettura che conduce a disattendere i limiti alla trasformazione delle associazioni laddove lo sbocco sia una società senza scopo di lucro, quale è la società che mantenga la qualifica di impresa sociale [nota 5].

Centralità del soggetto o dell'impresa? Costanza dell'attività?

Il riferimento ad enti la cui veste imprenditoriale non è inevitabile pone il fuoco sui presupposti di praticabilità delle trasformazioni eterogenee, portando allo scoperto il cruciale snodo relativo alla eventuale centralità del soggetto piuttosto che dell'impresa, transitando quindi dal principio di continuità dell'impresa a quello di conservazione dei patrimoni autonomi [nota 6], od addirittura attingendo al principio della libertà contrattuale [nota 7].

L'interrogativo è se nell'ambito della disciplina vigente sia effettivamente coessenziale alla trasformazione la presenza dell'impresa: la sua preesistenza e la sua permanenza, così come tradizionalmente ritenuto in ambito societario [nota 8], oppure se il coinvolgimento di enti del libro primo consenta di prescinderne.

Invero l'impresa potrebbe mancare - in particolare laddove associazioni e fondazioni si trasformino in società -, oppure venir meno, come nell'ipotesi speculare: basti pensare alla conduzione della medesima attività (asilo, scuola, ambulatorio) a seconda che si tenda o meno al pareggio.

La disciplina vigente [nota 9] non contiene alcuna indicazione testuale in proposito, e neppure la si può ricavare attraverso l'interpretazione complessiva [nota 10], salvo non ci si rivolga all'art. 2500 novies il quale, nel contemplare gli adempimenti pubblicitari, sembra sottintendere l'iscrizione al Registro Imprese dell'ente sia prima sia dopo la trasformazione, il che appunto presupporrebbe la titolarità di un'impresa [nota 11]. Argomento che, tuttavia, riesce neutralizzato dall'espressa menzione di figure cui è negato l' accesso al Registro.

L'impressione è che, al contrario, la riforma abbia inteso liberalizzare le trasformazioni eterogenee, dal momento che le rare preclusioni sono superabili sul piano procedimentale: l'associazione non riconosciuta ottenendo il riconoscimento può evolvere in società di capitali; la cooperativa dopo aver abbandonato i requisiti della mutualità prevalente è in grado di trasformarsi in società lucrativa.

Questo favore per le trasformazioni è, del resto, risalente - ancorché non incontrastato -, animato dal rispetto verso l'autonomia privata [nota 12], e dall'apprezzamento dell'economicità, del risparmio di costi consentito dalla prosecuzione dell'ente e quindi dalla continuità dei rapporti, quale alternativa alla liquidazione dell'ente ed alla successiva ricostituzione.

In questa prospettiva si emarginerebbe il rilievo dell'impresa, appoggiandosi al profilo dei soggetti, come si ragiona allorquando si pensa alle vicende interne agli enti del libro primo.

Questo ultimo settore si gioverebbe della lettura più liberale della riforma del diritto societario, dal momento che vi si riscontrerebbe appunto una conferma del favore legislativo per la trasformazione, tale da colmare le ipotesi non disciplinate (da associazioni a cooperative e viceversa); mentre basta molto meno per aprire alle società di persone, nei limiti dell'analogia [nota 13].

Inclina verso esiti opposti chi denuncia la discontinuità politica all'interno del sistema del diritto privato consistente nella modificabilità a maggioranza della funzione, surclassando il momento contrattuale, con una forzatura rispetto al principio di iniziativa economica tale da esporsi al sospetto di incostituzionalità [nota 14].

Neppure sembra presupposta la conservazione dello scopo. è stato opportunamente sottolineato che il mutamento dello scopo non dovrebbe impedire il passaggio da società di capitali ad associazione e viceversa, sollevando semmai una questione procedurale in ordine alla tutela dei membri alla conservazione della finalità, tale da rendere inidonea la delibera maggioritaria ed implicare invece il consenso unanime [nota 15].

La trasformazione delle associazioni in società

Ritornando ai limiti al compimento della trasformazione spicca la condizione delle associazioni, quale disciplinata a regime dall'art. 2500-octies ed in ambito transitorio dall'art. 223-octies disp. trans. I filtri attengono al requisito del riconoscimento, cui è testualmente subordinata la praticabilità stessa dell'operazione, nonché all'eventuale ottenimento di liberalità e oblazioni o fruizione di contributi, anche esse fatali.

La preclusione verso le associazioni non riconosciute

La trasformazione è testualmente ammessa soltanto per le associazioni riconosciute, con una scelta ritenuta assai discutibile [nota 16], tranne da parte di chi condivide la valorizzazione della garanzia della consistenza patrimoniale [nota 17].

I commentatori hanno peraltro a lungo allargato le braccia di fronte alla struttura casistica della disposizione, tale da non lasciare spazio ad interpretazioni estensive [nota 18], pur avvertendo che la soluzione discende dalla premessa che si accolga circa la portata della norma: innovativa, o piuttosto ricognitiva di un principio immanente al sistema [nota 19].

La chiusura alle associazioni non riconosciute è parsa a molti giustificata dall'art. 2500-novies, difettando per esse strumenti pubblicitari [nota 20]. In contrario si può rilevare che la presenza della società di capitali quale condizione di arrivo consentirebbe comunque di far capo al Registro delle Imprese, mentre - come già osservato a proposito delle fusioni eterogenee - rispetto ai creditori dell'ente non iscritto tale esigenza non si porrebbe difettando comunque lo strumento pubblicitari, (né parendo plausibile che rispetto alle associazioni riconosciute assolva detta funzione il Registro delle Persone Giuridiche); senza contare che la loro condizione non differirebbe da quella di altri enti invece annoverati, quali le comunioni d'azienda ed i consorzi con attività interna [nota 21].

L'apertura alle associazioni non riconosciute neppure impedirebbe l'applicazione delle regole procedurali, in particolare quella del secondo comma circa la maggioranza, solo che si consideri la costanza con cui la struttura corporativa è replicata in questi enti.

Enfatizzando queste considerazioni, ed appoggiandosi alle sentenze anteriori alla riforma che avevano ammesso la trasformazione di associazioni in cooperative, una recente proposta [nota 22] ha suggerito di aprire alle associazioni non riconosciute per analogia.

In ogni caso queste restrizioni non potrebbero imporsi - in ragione del principio di specialità - alle previsioni anteriori, quali le leggi sulle associazioni sportive che hanno contemplato la trasformazione delle associazioni non riconosciute [nota 23].

Limiti alla trasformazione. La fruizione di contributi. Il godimento di agevolazioni fiscali

Ostacolo alla trasformazione delle associazioni sorte nella vigenza della riforma - quindi dal 2004 - è l'ottenimento di liberalità ed oblazioni da privati [nota 24], nonché la fruizione di contributi pubblici.

A differenza dalla disciplina transitoria, qui non è indicata la distrazione dall'originaria finalità di fondi e valori frutto del loro accumulo e non figura il godimento di agevolazioni fiscali. L'art. 2500-octies realizzerebbe, dunque, una disparità di trattamento tra le associazioni preesistenti e quelle costituite dopo l'entrata in vigore della riforma.

Per tentare di ridurre la frattura occorre, intanto, rivolgersi alle leggi speciali che, concedendo agevolazioni fiscali, impongono la eterodestinazione del patrimonio residuato alla liquidazione: l'art. 5, comma 4, L. 266/91 per le formazioni di volontariato; l'art. 10, comma 1, lett (f), D.lgs. 460/97 per le Onlus; l'art. 3, lett. (e), L. 383/00 per le associazioni di promozione sociale. Il quesito diviene, allora, se tale destinazione dell'attivo residuato alla liquidazione impedisca la trasformazione, svuotando l'ente di ogni consistenza patrimoniale, oppure non sia di per sé preclusiva. La situazione ricorda quella delle cooperative.

L'art. 223-quaterdecies disp. trans., a proposito della trasformazione delle cooperative già allineate ai requisiti per la fruizione del regime fiscale agevolato (art. 14 D.P.R. 601/73), impone la salvezza del «capitale … eventualmente aumentato sino a concorrenza dell'ammontare minimo del capitale della nuova società» ed al riguardo non rimane che considerare inevitabile l'integrazione del capitale della società esito della trasformazione. Altrettanto dispone l'art. 2545-undecies.

Ricongiungendo questa disciplina a quella delle leggi speciali, risulterebbe smentita l'ipotizzata preclusione alla trasformazione in dipendenza di un obbligo di destinazione dell'attivo [nota 25], ovviamente una volta assolta la prescritta devoluzione del patrimonio [nota 26] e - se del caso - ricostituita la dotazione patrimoniale necessaria alla prosecuzione dell'attività statutaria.

Laddove la legge fiscale non imponga l'eterodestinazione occorre, intanto, individuare le ipotesi di agevolazioni, distinguendole dai trattamenti dedicati - tale non è il regime ordinario degli enti non commerciali a base associativa (art. 148 D.P.R. 917/86) -; poi, attesa la mancata riproduzione nell'art. 2500-octies della menzione delle agevolazioni fiscali presenti invece nel 223-octies, interrogarsi se esse siano da comprendere nella nozione di contributo, quesito la cui soluzione positiva sembra da privilegiare anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia [nota 27].

Tale assimilazione - delle agevolazioni ai contributi pubblici - in una recente proposta [nota 28] viene accompagnata ad una lettura funzionale, che conduce ad isolare le ipotesi in cui alla trasformazione non segue la distrazione del patrimonio dalle finalità originarie, quale ricorre laddove sia proseguita l'attività per la cui conduzione quelle provvidenze furono elargite. Nel dar seguito a questa prospettiva si perviene a giustificare la trasformazione di associazioni sportive in società sportive ancorché professioniste, bensì prevista da leggi speciali, ma di cui ci si dispone a verificare la coerenza con i presupposti impliciti, identificati appunto nell'assenza di distrazione dei contributi dalle finalità originarie. In questa più sofisticata prospettiva la sopravvivenza della legge speciale anteriore che espressamente ha ammesso la trasformazione non sarebbe sufficiente, accordandosi il concorso con la più recente disciplina riformata del codice civile.

L a proposta ermeneutica è, indubbiamente, persuasiva, anche se non deve tacersi la presenza di un'opposta visione [nota 29], la quale per un verso insinua il dubbio circa la persistenza di vantaggi in capo all'ente anche in ipotesi di perdita integrale del capitale e, per altro verso, denuncia i rischi di abuso connessi a linee troppo permissive, proponendo quindi di attenersi alla lettera della legge.

1. Divieto di trasformazione e destinazione dell'attivo prevista dallo statuto

L'esclusione della trasformazione prevista dall'atto costitutivo - contemplata dal terzo comma dell'art. 2500-octies - è considerata superabile dall'autonomia privata in assenza di elargizioni di terzi (le quali peraltro rileverebbero autonomamente), quand'anche si tratti dello statuto di una associazione che, in quanto riconosciuta, ha superato il vaglio amministrativo [nota 30]. Al riguardo è, piuttosto, in discussione l'idoneità della delibera maggioritaria, o piuttosto la necessaria unanimità.

Tale soluzione sembrerebbe estensibile al vincolo di destinazione a finalità altruistiche dell'attivo residuato alla liquidazione, previsione che ricorre con frequenza negli statuti [nota 31].

Da quanto sopra discende che l'introduzione negli statuti del divieto di trasformazione verrà a rappresentare un demarcatore del grado (elevato) di non lucratività della sola fondazione, non invece dell'associazione, attesa la sua modificabilità.

Il procedimento

Il procedimento di trasformazione degli enti non lucrativi riserva anch'esso profili degni di attenzione, intanto circa i quorum deliberativi, poiché il rinvio a quello previsto per lo scioglimento divide gli interpreti tra quanti estendono l'inderogabilità dei tre quarti richiesti dall'art. 21 ultimo comma con disposizione ritenuta dai più inderogabile, e quanti eccepiscono che il riferimento alternativo alla maggioranza statutaria consenta di variarlo anche diminuendolo [nota 32].

Ancora, apprezzando la delibera assembleare di trasformazione quale modifica dell'atto costitutivo essa andrà soggetta al controllo pubblico di legge esponendosi al vaglio conseguente [nota 33] senza che, secondo l'opinione prevalente, rilevi l'assenza della delibera di scioglimento tra quelle elencate dall'art. 2 D.P.R. 361/00, né ritenendosi di far capo all'intervento del Presidente del Tribunale richiesto per liquidazione dell'ente.

La delibera sarà, poi, soggetta ad iscrizione presso il Registro delle Persone Giuridiche, e solo successivamente presso il Registro delle Imprese, ai sensi dell'art. 2500, dovendosi annoverare l'approvazione amministrativa tra le condizioni per l'iscrizione della società [nota 34]. Occorre riferire a quest'ultimo adempimento il decorso del termine concesso dall'art. 2500 novies ai creditori per l'opposizione.

Ricorre qui un doppio controllo, esercitato dal notaio rispetto alla delibera societaria, e dall'autorità in sede di riconoscimento [nota 35]. Quello amministrativo sulla delibera dell'associazione precede cronologicamente e dal punto di vista procedimentale, ma non sul piano concettuale: il notaio, in quanto verbalizzante, verosimilmente non avrà suggerito di dar corso alla pratica amministrativa se non dopo averne valutato la legittimità sul versante societario.

Sempre sul piano del procedimento si colloca il tema della verifica della consistenza del patrimonio dell'ente risultante dalla trasformazione, notoriamente prescritta sia per le società di capitali sia per le persone giuridiche del libro primo.

I commentatori hanno subito segnalato il mancato richiamo da parte dell'art. 2500-octies - rivolto alle trasformazioni in società di capitali - della disposizione (art. 2500-ter, comma 2) che impone la perizia nella trasformazione c.d. evolutiva, da società di persone in società di capitali. Non ritengo trattarsi di una lacuna, in quanto un'estensione meccanica avrebbe peccato per eccesso, specie circa il transito tra le società consortili e le lucrative [nota 36].

L'applicazione analogica consente di estendere la prescrizione della perizia alle trasformazioni di associazioni riconosciute in società di capitali [nota 37], salvo non si acceda all'idea dell'equipollenza dei controlli sul patrimonio prescritti rispettivamente per le persone giuridiche del libro primo e per le società; premessa che varrebbe ad escludere la necessità della perizia di stima non solo per la trasformazione di società di capitali in fondazioni, ma pure di associazioni riconosciute e fondazioni in società di capitali.

Si tratta, tuttavia, di una lettura molto ardita, certamente inaccettabile, ancorché a prima vista appaia autorizzata proprio dalla riforma laddove asseconda la trasformazione in società di capitali di fondazioni e associazioni riconosciute (mentre nella ipotesi speculare è meno chiara la discriminazione che riguarda le associazioni). Occorre, d'altro canto, considerare che l'assenza di controlli nella maggior parte delle operazioni straordinarie [nota 38] è evidentemente legittimata dalla considerazione dell'attendibilità - oltre che omogeneità - della contabilità [nota 39], che difetta presso associazioni e fondazioni.

Oltre alla valenza rispetto alla verifica della consistenza patrimoniale, la contabilità riveste poi autonomo rilievo, in questa sede solo da accennare, per segnalarne l'enorme importanza concreta, attesa la tendenziale immodificabilità nel bilancio dell'ente risultante dalla trasformazione.

La verifica della consistenza del patrimonio evoca il fronte della tutela dei terzi.

La disciplina delle trasformazioni eterogenee contiene una disposizione - l'art. 2500-novies - rivolta a tutelare i creditori, estendendo loro il congegno da tempo vigente in tema di fusione, imperniato sulla sospensione dell'efficacia della delibera per un tempo sufficiente a consentire le opposizioni. Questa subordinazione vale ad anteporre gli interessi dei creditori agli altri, nel senso che eventuali devoluzioni altruistiche saranno comunque realizzabili solo successivamente, una volta realizzatasi l'efficacia della delibera, appunto per la mancata opposizione.

Il diritto di recesso

Passando dal versante esterno a quello interno occorre esaminare la tutela individuale, sia quanto alla combinazione di voice ed exit (maggioranze deliberative e recesso), sia circa la tutela dell'integrità patrimoniale (non solo per l'ipotesi di recesso, ma pure rispetto alla permanenza).

Nella disciplina delle associazioni non sono reperibili disposizioni relative al diritto di recesso a favore del membro dissenziente rispetto alla delibera di trasformazione, ancorché esso sia liberalizzato in assenza di diverso impegno. Tale disposizione (art. 24) riesce, peraltro, costrittiva sia per la necessaria prosecuzione del rapporto associativo sino allo scadere dell'anno (subordinatamente alla congruità del preavviso ed all'assenza di un impegno di permanenza), sia per la preclusione alla liquidazione della quota.

La delibera maggioritaria non dovrebbe, però, impedire l'esercizio del recesso agli associati che non abbiano contribuito a formarla, neppure a quanti si fossero impegnati ad una certa permanenza, venendo loro in aiuto la "libertà negativa di associazione" - appoggiata all'art. 18 Cost. - di cui la giurisprudenza ha fatto applicazione per riconoscere il diritto di recedere - per giusta causa - laddove venga meno un requisito essenziale per far parte dell'associazione oppure, ed è questo il profilo che conta, nel caso di organizzazioni di tendenza (aventi base ideologica, politica o religiosa) qualora l'associato dissenta dalle finalità [nota 40]. L'assimilazione della trasformazione al mutamento di scopo dell'ente sembra condivisibile, così da consentire il recesso anche in questo caso.

Non è, invece, trapiantabile l'indulgenza di quelle pronunce verso il permanere degli impegni di natura finanziaria, poiché è diverso lo scenario e laddove (come nelle ipotesi dell'art. 2500-octies) lo scopo non lucrativo sia abbandonato ben potrebbe quell'orientamento liberalizzare non solo il recesso, ma pure la liquidazione della quota. Si è, inoltre, tratto acutamente argomento dall'attribuzione non necessariamente paritetica delle partecipazioni della società risultante dalla trasformazione [nota 41]. Del resto, diversamente ragionando si giungerebbe ad arricchire ingiustificatamente gli altri membri.

Al riguardo coglie nel segno la soluzione proposta dalla "Bozza Vietti" che, pur confermando il divieto di liquidazione della quota all'associato receduto, fa eccezione per la trasformazione eterogenea, oltre che per la modificazione sostanziale dello scopo.

L'assegnazione delle partecipazioni sociali

L'assenza nello statuto di un'associazione di alcuna previsione circa il diritto di recesso in caso di trasformazione - né della liquidazione della quota in ipotesi di transito verso la causa non lucrativa - non deve, quindi, intendersi quale corrispondente divieto, potendo sempre l'associato reclamare tali diritti.

Per chi rimane si tratta di distribuire le partecipazioni sociali. L'art. 2500-octies, III comma, dispone che nelle associazioni siano assegnate in parti uguali, salvo diverso accordo degli associati. Lo statuto può, quindi, prevedere la trasformazione al fine di indicare il criterio di assegnazione delle partecipazioni.

L'affidamento all' "accordo" dovrebbe consentire l'assegnazione non paritetica.

La trasformazione di associazione (riconosciuta) in società potrebbe, dunque, sfociare in una distribuzione diseguale delle partecipazioni di quest'ultima, frutto forse di cessioni in sede di trasformazione, oppure di una disparità di posizione preesistente, risalente quindi al tempo dell'associazione (che troverebbe così modo per suggellare una disparità interna di matrice "plutocratica").

La trasformazione delle società in associazioni

Una tesi ritiene che alla società unipersonale sia preclusa la trasformabilità in associazione, mentre altra la consente, postulando soltanto la ricostituzione della pluralità della compagine [nota 42].

Ostacoli alla trasformazione sono stati ravvisati nell'emissione di un prestito obbligazionario da parte di una SpA, o nel possesso di azioni proprie, che quindi occorre rispettivamente rimborsare - o novare in altro rapporto creditizio, ovviamente con il consenso di tutti gli obbligazionisti - ed alienare prima di procedere.

Anche l'emissione di categorie speciali di azioni, le quali inevitabilmente subirebbero un pregiudizio dalla trasformazione, in linea di principio subordinerebbe la delibera alla conversione in ordinarie od al rimborso, in assenza di consenso degli interessati, nella specie manifestabile nell'assemblea speciale. La peculiarità dello sbocco in associazione neutralizza, però, il vantaggio differenziale tra gli azionisti di categoria e gli ordinari, rendendo superflua l'approvazione dell'assemblea speciale [nota 43].

La presenza di strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali od anche amministrativi impone il ricorso alle assemblee speciali, che approvino a maggioranza la trasformazione [nota 44], almeno laddove si accrediti il corrispondente potere all'assemblea speciale; diversamente si tratterebbe di procedere al rimborso od alla novazione del rapporto [nota 45].

Circa le condizioni soggettive, si esclude che lo stato di liquidazione costituisca un limite alla trasformazione, mentre è dubbia la praticabilità in pendenza di procedura concorsuale, ancorché si inviti poi a distinguere a seconda della tipologia, separando quelle a finalità liquidativa da quelle rivolte alla conservazione, quale l'amministrazione controllata ed il concordato preventivo [nota 46].

Il rinvio del secondo comma dell'art. 2500-septies all'art. 2500-sexies dev'essere filtrato dalla valutazione di compatibilità, che vale ad escludere, intanto, l'applicabilità del primo comma in quanto sostituito dal terzo del 2500-septies, ma soprattutto alimenta il dubbio circa l'estensione del terzo comma, circa la proporzionalità tra la partecipazione al capitale della società originaria e la partecipazione nell'ente trasformato, che troverebbe una barriera nella struttura non plutocratica dell'associazione [nota 47].

La - pacifica - operatività del secondo comma comporta l'obbligo degli amministratori di redigere e depositare una relazione illustrativa.

Anche per la decisione relativa alla trasformazione di società di capitali in associazione è stato confermato il principio maggioritario; la riforma non si è, invece, occupata del diritto di recesso, evidentemente contando sulle previsioni dettate per i singoli tipi. Effettivamente la trasformazione - quale che sia - è contemplata quale causa legale di recesso per le Srl e le SpA, nonché nei gruppi in relazione alla trasformazione della controllante laddove (art. 2497-quater, I comma, lett. a) comporti "mutamento dello scopo" (il che fa pensare ad una trasformazione eterogenea, ed effettivamente solo da questa potrebbero derivare riverberi sul controllo, in dipendenza di una mutata strategia che sia emanazione del nuovo scopo della casa madre). Nelle cooperative vale l'estensione dell'art. 2437 o dell'art. 2473, a seconda della normativa applicabile.

La decisione relativa alla trasformazione sarà assunta dall'assemblea (anche nella Srl, come si ricava dagli artt. 2500-sexies e 2479), ed il riferimento alla maggioranza degli "aventi diritto" al voto testualmente indicata dal terzo comma è stato oggetto di almeno tre diverse letture: alle due estreme che fanno prevalere rispettivamente il voto capitario [nota 48] - verso cui indirizza la lettera della legge -, o piuttosto il sistema maggioritario proprio dell'organizzazione della società capitalistica [nota 49], si è invero aggiunta quella intermedia che propone di sommare i due meccanismi [nota 50]. La necessaria commisurazione del peso decisionale all'entità del rischio rivela qui la propria razionalità anche guardando alle possibili conseguenze dell'adozione del voto capitario, che consentirebbe ad una minoranza parcellizzata di decidere la trasformazione in danno dei titolari della maggioranza del capitale [nota 51].

Il tenore del terzo comma sembra sancire chiaramente l'inammissibilità di deroghe che non siano nel senso rafforzativo, salvo poi confrontarsi con le note perplessità circa la previsione dell'unanimità, peraltro in via di superamento [nota 52]. è autorevolmente esclusa l'applicabilità della previsione - del terzo comma - circa il necessario consenso «dei soci che assumono responsabilità illimitata» ai futuri amministratori dell'associazione non riconosciuta [nota 53]. Ritenendo diversamente occorre definire la modalità di manifestazione di tale consenso - dai più ricondotto a condizione di efficacia della delibera, piuttosto che di validità -, e merita attenzione il suggerimento [nota 54] di munirsi di dichiarazioni autenticate da parte di quanti non intervengano personalmente all'assemblea (in quanto si ritenga superabile in questo modo la loro assenza).

La delibera societaria di trasformazione contiene l'approvazione dello statuto dell'associazione e vale come suo atto costitutivo, senza necessità di approvazione o depositi ulteriori rispetto a quelli previsti per la società [nota 55].

Riesce, infine, scarsamente condivisibile la limitazione alle associazioni non riconosciute, attesa l'apertura alle fondazioni per le quali occorre comunque il riconoscimento amministrativo dopo la delibera di trasformazione [nota 56].

Conclusioni

L'onnipotenza del legislatore si è espressa in tutta la sua possanza introducendo discipline attente all'efficienza delle soluzioni piuttosto che alla fedeltà ad un quadro di concetti e categorie. Invero, se questi devono ricavarsi dalle regole positive e non viceversa [nota 57], qui il lavoro da svolgere in via induttiva è arduo, sia in ordine all'inquadramento della trasformazione eterogenea sia rispetto alla decifrazione delle ricadute rispetto agli enti non lucrativi.

Sul primo fronte prende corpo la raffigurazione della disciplina secondo una struttura a cannocchiale - tale da collocare al proprio interno quella delle trasformazione eterogenee e configurare quale specie la vicenda coinvolgente le cooperative -, quanto l'enucleazione di principi ordinatori del settore, a cominciare proprio dalla centralità dell'impresa anziché del soggetto. Soltanto poco più chiare sono le indicazioni emergenti rispetto agli enti non lucrativi, se si prescinde dalla conferma dell'ormai consolidata compatibilità del riscontro dell'impresa - anche commerciale - con lo scopo non lucrativo.

Qualche segnale è, tuttavia, passato e lo si può cogliere nell'apertura all'appropriazione finale del saldo attivo da parte degli associati, ferma la preclusione in ipotesi di godimento di agevolazioni fiscali o di ottenimento di elargizioni pubbliche o private.

Uno sguardo gettato dall'alto consente di scorgere il persistere di quella contiguità tra le cooperative e gli enti del libro primo - le associazioni in particolare - che, annoverato tra le notazioni in grado di vantare le paternità più illustri, rivela una perdurante vitalità [nota 58] innervando principi trasversali, quale la devoluzione disinteressata del patrimonio accumulato fruendo di agevolazioni fiscali. Principio che, oltre a ribadire l'attualità di quella ormai storica intuizione, suggerisce la notazione relativa alla comune matrice dell'evoluzione legislativa, la quale condivide la scaturigine tributaria delle regole poi adottate in ambito privatistico: esso fece la sua apparizione dapprima - nell'art. 26 legge Basevi (D.lgs. c.p.s. 1577/47) - quale previsione il cui recepimento negli statuti costituiva un onere per il godimento di benefici fiscali, poi fu generalizzato come vero e proprio dovere - dall'art. 11 L. 59/92, secondo l'interpretazione autentica fornitane dall'art. 17 L. 388/00 - ed è stato infine ripreso dalla riforma con l'art. 5, II, L. 366/01, attuato con l'art. 2545-undecies.

Simile traiettoria c'è da attendersi a proposito della disciplina degli enti non lucrativi, [nota 59] che sembra apprestarsi a replicare i modelli dal comparto tributario [nota 60], come s'è da tempo registrato a proposito delle Onlus.


[nota 1] La relazione accompagnatoria considera che «esigenze di economia degli atti negoziali rendono opportuno consentire tali operazioni e cioè un unico procedimento di trasformazione con un unico passaggio e la conservazione in capo all'ente risultante dei diritti e obblighi dell'ente trasformato; ciò anche in aderenza a recenti orientamenti, anche giurisprudenziali, che hanno affermato sostanzialmente la trasformazione come strumento generale di risoluzione dei conflitti nelle operazioni di cambiamento della forma giuridica delle imprese». L'intervento ha inoltre accolto l'invito rivolto agli Stati membri dalla Commissione della Comunità con la raccomandazione del 7 dicembre 1994 - che il lettore italiano trova in Le società, 1995, p. 243 - a «prevedere un diritto di trasformazione delle imprese, in virtù del quale queste possano passare - nel rispetto dei diritti dei terzi e dei soci - da una forma giuridica a un'altra senza che sia necessaria la dissoluzione dell'impresa e la costituzione di un nuovo soggetto».

[nota 2] L'art. 13 D.lgs. 155/ 2006 al primo comma si limita a richiedere che «per le organizzazioni che esercitano un'impresa sociale, la trasformazione, la fusione e la scissione devono essere realizzate in modo da preservare l'assenza dello scopo di lucro di cui all'art. 3 dei soggetti risultanti dagli atti posti in essere ... ».

[nota 3] Collegandomi ad una chiara indicazione di F. GALGANO, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, Padova, 1987, l'ho anticipato rispetto alla riforma in «Fusione per incorporazione di una Srl lucrativa da parte di un'associazione non riconosciuta», in Contr. impr.,1998, n. 1; poi ripreso successivamente in In tema di fusione eterogenea, in AA.VV., Atti del Convegno. riforma del diritto societario: riflessioni del Notariato, Giuffre', 2004, p. 197-203 ed ulteriormente sviluppato in «Trasformazioni eterogenee, fusioni eterogenee ed altre interferenze della riforma del diritto societario sul "terzo settore"», in Contr. impr, 2004, n. 1, p. 294 e ss. Sorprende, pertanto, leggere G. MARGIOTTA, «Le trasformazioni eterogenee nella riforma del diritto societario», in Riv. not., 2006, I, p. 978, nota (1) che attribuisce tale apertura al discorso presentato da un relatore intervenuto ad un convegno notarile svoltosi nel 2006, stupore raddoppiato dalla constatazione dei numerosi richiami alle varie relazioni ivi presentate, ma non alla mia, dove avevo affrontato il tema indicato nella nota seguente del presente scritto, che l'A. in esame evoca nella sua nota (3) a p. 980, ma appunto evitando di citarmi.

[nota 4] Come ho illustrato nella relazione Trasformazioni e fusioni fra enti non profit, al convegno "Riflessi della riforma del diritto societario sugli enti non profit", organizzato a Taormina il 7 ed 8 aprile 2006 dal Comitato regionale notarile della Sicilia, in corso di pubblicazione in Riv. dir. civ.

[nota 5] Come subito osservato da G. MARASA', «Le trasformazioni eterogenee», in Riv. not., 2003, p. 597, la trasformazione di ente non profit in società senza scopo di lucro sarebbe causalmente omogenea, cosicché non soggiacerebbe ai limiti sanciti dall'art. 2500-octies c.c.. L'intuizione è ripresa da A. ZOPPINI e F. TASSINARI, «Sulla trasformazione eterogenea delle associazioni sportive», in Contr. impr, 2006, p. 910, facendone applicazione in tema di transito tra associazione e società sportiva dilettantistica.

[nota 6] Secondo G. MARASA', «Le trasformazioni eterogenee», cit., 2003, I, p. 586 «con la riforma il principio di conservazione dei patrimoni autonomi viene notevolmente consolidato».

[nota 7] Come a suo tempo già suggerito da F. GALGANO, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, cit., p. 200.

[nota 8] La necessità dell' «identità e inalterabilità dell'impresa primitiva» e che «ci sia solamente una trasformazione della sua organizzazione sociale» era affermata già da L. MOSSA, Trattato del nuovo diritto commerciale, II, Padova, 1951, p. 593.

[nota 9] Tra le prime analisi si segnalano quelle di V.DE GIORGI, Le vicende estintive e modificative, in Basile, Le persone giuridiche, in Trattato Iudica- Zatti, Milano, 2003, p. 433; G. MARASà, «Le trasformazioni eterogenee», cit., 2003, I, p. 585, nonché il mio «Trasformazioni eterogenee, fusioni eterogenee ed altre interferenze della riforma del diritto societario sul "terzo settore" », in Contr. impr., 2004, p. 301. Anteriormente alla riforma sono reperibili numerosi saggi - per tutti G. OPPO, «Quesiti in tema di trasformazione e fusione eterogenea», in Banca, borsa, 1991, I, p. 778; nonché G. MARASà, Nuovi confini delle trasformazioni e delle fusioni nei contratti associativi, in Id., Contratti associativi e impresa. Attualità e prospettive, Padova, 1995, p. 199 e ss., nonché in Riv. dir .civ., 1994, I, p. 311 - ed il lavoro monografico di A. PACIELLO, Contributo alla studio della trasformazione e della fusione eterogenea, Napoli, 1991. Contributi più recenti sono offerti da P. SPADA, Dalla trasformazione delle società alle trasformazioni degli enti ed oltre, in Studi in onore di Vincenzo Buonocore, a cura di N. Crisci, Giuffré, 2005, p. 3879 e ss.; M. MALTONI, La trasformazione delle associazioni e delle fondazioni, in M. Maltoni e F. Tassinari, La trasformazione delle società, Milano, 2005, p. 337 e ss.; C.G. CORVESE, La trasformazione eterogenea in società di capitali, Milano, 2005; L. DE ANGELIS, «Trasformazione eterogenee: sottintesi e reticenze della legge di riforma», in Società, 2005, p. 1220; G. FRANCH, Trasformazione eterogenea, in L.A. Bianchi (a cura di) ,Trasformazione. Fusione. Scissione, nel Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2006, p. 257 e ss.

[nota 10] In questo senso M. SARALE, Commento all'art. 2500-septies, in Il nuovo diritto societario, dir. da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, p. 2275; G. COTTINO (con la collaborazione di O. Cagnasso, A. Monteverde, L. Quattrocchio), Diritto societario, Padova, 2006, p. 649; G. FRANCH, Trasformazione eterogenea, cit., p. 271, il quale peraltro opportunamente segnala (nota 50) gli inconvenienti fiscali della trasformazione che comporti il venir meno dell'attività d'impresa in capo all'ente trasformato, dal momento che l'art. 171 D.P.R. 9177/1986 prevede che la trasformazione di società di capitali in ente non commerciale comporta il realizzo di una plusvalenza imponibile pari alla differenza tra il "valore normale" dei beni ed il loro costo fiscalmente riconosciuto prima della trasformazione.

[nota 11] Qualche spunto al riguardo sarebbe - forse - ricavabile dalla massima numero 52 dei Principi uniformi in tema di società elaborati dal Consiglio Notarile di Milano dedicata alla "Combinazione dei procedimenti di fusione e di trasformazione eterogenea", laddove subordina la legittimità della combinazione del procedimento di fusione (o scissione) con quello di trasformazione eterogenea alla condizione che sia data esecuzione agli adempimenti pubblicitari stabiliti tanto per la trasformazione quanto per la fusione, osservando che «poiché, in ogni caso di fusione/scissione eterogenea, non può essere omesso l'obbligo di eseguire, ai sensi dell'art. 2500, comma 3, c.c., la pubblicità propria della trasformazione che essa implica, tale adempimento costituisce mezzo ineludibile per eseguire, nello stesso tempo, la pubblicità richiesta per la deliberazione di fusione/scissione». Dal tenore della motivazione sembra di intendere che in questo modo si attuerebbero presso il Registro delle Imprese gli adempimenti pubblicitari propri delle fusioni e delle scissioni anche per le associazioni e le fondazioni che non esercitino attività commerciali.

[nota 12] Trib. Udine, decr., 20 luglio 1988, in Foro it., 1989, I, p. 547, ammise la trasformazione di un'associazione in una cooperativa proprio sulla scorta dell'autonomia negoziale.

[nota 13] A. GENOVESE, Le trasformazioni eterogenee, in AA. VV., Il nuovo diritto societario (prime riflessioni su alcuni contenuti di disciplina), a cura di A. Genovese, Torino, 2004, p. 267; M. MALTONI, La trasformazione eterogenea in generale, cit., p. 228; B. LIBONATI, Diritto commerciale. Impresa e società, Milano, 2005, p. 144; A. ZOPPINI, «Trasformazione eterogenea di associazione riconosciuta in società cooperativa», in Riv. not., 2006, p. 627; A. CETRA, Le trasformazioni "omogenee" ed "eterogenee", in Liber Amicorum G.F. Campobasso, vol. 4, Utet, 2007; G. COTTINO (con la collaborazione di O. Cagnasso, A. Monteverde, L. Quattrocchio), Diritto societario, cit., p. 650. In termini la massima numero 20 dei Principi uniformi in tema di società elaborati dal Consiglio Notarile di Milano.

[nota 14] P. SPADA, Dalla trasformazione…, cit.

[nota 15] M. MALTONI, La trasformazione eterogenea in generale, cit., p. 227; G. FRANCH, Trasformazione eterogenea, cit., p. 292.

[nota 16] MARASA', «Le trasformazioni…», cit., p. 597.

[nota 17] F. GALGANO, Diritto commerciale, XII ediz., Bologna, 2003, secondo il quale le associazioni «offrono la garanzia di una accertata consistenza patrimoniale».

[nota 18] L. PANZANI, La trasformazione, in AA.VV., Il nuovo diritto societario, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2005, p. 118. Per una riflessione articolata si segnala G. PALMERI, Autonomia e tipicità nella nuova trasformazione, in Liber amicorum G.F. Campobasso, vol. 4, Utet, 2007.

[nota 19] Come avevo subito evidenziato in «Trasformazioni eterogenee, fusioni eterogenee ed altre interferenze della riforma del diritto societario sul "terzo settore"», cit. Il tema è sviluppato da E. CIVERRA, Le operazioni di trasformazione, Milano, 2004, p. 163; da ultimo riprende questa prospettiva; G. FRANCH, Trasformazione eterogenea, cit., p. 281.

[nota 20] M. SARALE, op. cit., p. 2291.

[nota 21] F. TASSINARI e A. ZOPPINI, «Sulla trasformazione eterogenea delle associazioni sportive», cit.; conforme M. FRANCH, Trasformazione eterogenea, cit., p. 334.

[nota 22] F. TASSINARI e A. ZOPPINI, «Sulla trasformazione eterogenea delle associazioni sportive», cit.

[nota 23] In questo senso già il parere dell' Ufficio Studi, Settore Impresa del Cnn, Trasformazione di associazione sportiva dilettantistica in società sportiva dilettantistica a r.l., risposta al quesito n. 5808/I, a firma A. Ruotolo.

[nota 24] Come ho già altrove osservato (A. FUSARO, L'associazione non riconosciuta. Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova, 1991, p. 165), non è affatto agevole sceverare l'oblazione dai versamenti a vario ed indistinto titolo effettuati, specie in occasione di iniziative benefiche a pagamento, quali spettacoli o vendite di pubblicazioni, gadget o fiori.

[nota 25] Come già concluso in A. FUSARO, Enti non lucrativi e trasformazioni eterogenee: un catalogo di questioni, in Il diritto civile oggi. Compiti scientifici e didattici del civilista, atti del Convegno organizzato a Capri l'8 aprile 2005 dalla Società Italiana degli Studiosi del Diritto civile, Esi, 2006, p. 337 e ss.

[nota 26] Cosicché all'associazione di volontariato non sarebbe consentito trasformarsi in società conservando la proprietà dell'immobile acquistato avvalendosi dei benefici del settore.

[nota 27] C. Giustizia, 10 gennaio 2006, causa C-222/04, in Foro it., 2006, IV, p. 249.

[nota 28] F. TASSINARI e A. ZOPPINI, «Sulla trasformazione eterogenea delle associazioni sportive», cit.

[nota 29] E. TRADII, Trasformazione eterogenea in cui intervengono enti non profit: trasformazione da associazione in società di capitali e viceversa, relazione al convegno "Riflessi della riforma del diritto societario sulla disciplina delle associazioni e delle fondazioni", Taormina 7-8 aprile 2006, in corso di pubblicazione in Riv. dir. civ.

[nota 30] M. MALTONI, La trasformazione delle associazioni…, cit., p. 321.

[nota 31] Essa è del resto assecondata dall'art. 31 c.c., che testualmente non impedisce l'autodestinazione, sebbene tale preclusione sia apparsa in linea con il quarto comma dell'art. 24 - che esclude la liquidazione della quota del socio receduto - e comunque con l'autenticità dell'indole non lucrativa.

Al riguardo è appena il caso di notare come la riforma sia giunta non solo a ratificare il possibile esercizio di impresa da parte di fondazioni ed associazioni, ma pure a conciliare con la loro indole non lucrativa l'autodestinazione consentita dall'evoluzione in società lucrativa.

[nota 32] Le diverse posizioni sono illustrate da E. TRADII, Trasformazione eterogenea…, cit.

[nota 33] A. ZOPPINI, «Trasformazione eterogenea di associazione riconosciuta in società cooperativa», cit.

[nota 34] E. TRADII, Trasformazione eterogenea…, cit.

[nota 35] L'art. 2500-septies al terzo comma contempla la delibera che - se adottata da una società di capitali - andrà soggetta all'ordinario controllo notarile, succedaneo dell'omologa giudiziale; al quarto comma vi ricollega espressamente gli effetti propri dell'atto costitutivo, quindi presupponendone l'affidamento all'autorità amministrativa per il riconoscimento.

[nota 36] Come ho considerato nel mio «Le trasformazioni eterogenee: un'apertura delle frontiere tra società lucrative ed enti non profit?», in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, p. 73, spec. p. 78.

[nota 37] Meno scontata è l'estensione alle cooperative, ancorché la soluzione positiva si lasci preferire in linea di principio, per analogia con la soluzione vigente in tema di conferimenti in natura. Vero è che si tratta di compagine a capitale variabile (art. 2524); nondimeno la sua consistenza è presidiata dai medesimi meccanismi operanti per le società di capitali (in particolare quanto al filtro alla riduzione).

[nota 38] Basti considerare la previsione della relazione di stima - contemplata dall'art. 2343 - nella sola eventualità della fusione di società di persone insieme ad altre di capitali (art. 2501-sexies, comma 7), nonché alla rinunciabilità della relazione degli esperti (art. 2505-quater).

[nota 39] L'opinione prevalente consente l'aumento del capitale della incorporante nel limite del capitale e delle riserve dell'incorporata, mentre solo oltre tale soglia si ritiene sufficiente la relazione di stima, coma indicato dalla massima numero 72 dei Principi uniformi in tema di società elaborati dal Consiglio notarile di Milano, dove si subordina alla relazione di stima l'imputazione a capitale del disavanzo da con cambio.

[nota 40] Cass. 14 maggio 1997, n. 4244; Cass. 4 giugno1998, n. 5476.

[nota 41] E. TRADII, Trasformazione eterogenea…, cit.

[nota 42] G. FRANCH, Trasformazione eterogenea, cit., p. 294.

[nota 43] G. FRANCH, Trasformazione eterogenea, cit., p. 296, il quale contempla anche la diversa eventualità che il vantaggio differenziale venga preservato all'interno dell'ente non lucrativo.

[nota 44] M. PINARDI, «La "nuova" trasformazione: profili applicativi», in Società, 2005, p. 78.

[nota 45] M. MALTONI, La trasformazione eterogenea: in generale, cit., p. 213; M. SARALE, op. cit., p. 2306.

[nota 46] V. SALAFIA, «La trasformazione delle società nella riforma», in Società, 2004, p. 1066.

[nota 47] L'art. 2500-septies, II comma rinvia globalmente a quella della regressiva che (art. 2500-sexies, III comma) contempla l'attribuzione di quote - della società esito della trasformazione - proporzionate alle partecipazioni originarie, ma si tratta di assetto scarsamente compatibile con la finalità non lucrativa. M. SARALE, op. cit., p. 2280.

[nota 48] F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, nel Trattato di dir. comm. e di dir. pubbl. econ., dir. dallo stesso A., XXIX, Padova, II ediz., 2004, p. 523.

[nota 49] M. MALTONI, La trasformazione…, cit., p. 203; G. MARASà, «Le trasformazioni eterogenee», cit., p. 359l.

[nota 50] M. SARALE, op. cit., p. 2284.

[nota 51] Come osserva M. FRANCH, op. cit., p. 311.

[nota 52] M. MALTONI, La trasformazione…, cit., p. 201.

[nota 53] F. GALGANO Il nuovo diritto societario, cit., p. 539; M. SARALE, op. cit., p. 2281. La struttura dell'art. 38 esclude l'assunzione di responsabilità personale illimitata per le obbligazioni già sorte, cosicché non occorre il consenso individuale di alcuno. Poiché l'unica pubblicità è quella presso il Registro delle Imprese occorre computare da essa il decorso del termine per l'opposizione dei creditori (art. 2500-novies).

[nota 54] F. TASSINARI, La trasformazione regressiva…, cit., p. 139. Secondo la massima 53 della Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano « … deve esigersi un consenso espresso o attestato in via ricognitiva in un documento notarile (atto pubblico o scrittura privata autenticata) o di equivalente affidabilità».

[nota 55] Eventualmente si iscriverà l'associazione come impresa individuale.

[nota 56] Come avevo già osservato in «Trasformazioni eterogenee, fusioni eterogenee ed altre interferenze della riforma del diritto societario sul "terzo settore"», cit., nonché in «Le trasformazioni eterogenee: un'apertura delle frontiere tra società lucrative ed enti non profit?», cit.

[nota 57] F. GALGANO, Prefazione, in Il nuovo diritto societario, cit., XIV, ammonisce che : « … il diritto non conosce dogmi: i concetti giuridici si costruiscono a partire dalle norme (non le norme a partire dai concetti), nella consapevolezza del disegno di politica legislativa dal quale traggono origine)».

[nota 58] P. SPADA, Dalla trasformazione…, cit.

[nota 59] Auspici per una revisione più illuminata sono formulati da P. RESCIGNO, «Sulla riforma del diritto delle associazioni e fondazioni», in Vita not., 2005, p. 61, destinato agli Studi in memoria di A. Patroni Griffi.

[nota 60] è l'impressione che ha destato la lettura della legge 13 giugno 2005, n. 118 "Delega al Governo concernente la disciplina dell'impresa sociale", a M.V. DE GIORGI, «La legge delega sull' "impresa sociale" », in Studium iuris, 2005, n. 11.

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