La funzione del "preliminare aperto" ed il suo regime giuridico - Quesiti
La funzione del "preliminare aperto" ed il suo regime giuridico
Quesiti
di Carlo Mazzù
Professore straordinario di Istituzioni di diritto privato, Facoltà di Giurisprudenza di Messina
DOMANDA
Premesso che: nella relazione ministeriale all' articolo 10 della tariffa del D.P.R. 131/1986 si legge che, con riferimento alla tassazione dei contratti preliminari, qualora detti contratti contengano la corresponsione di somme a titolo di caparra confirmatoria ovvero il pagamento di acconti prezzo, dovrà farsi luogo, alla liquidazione del tributo con le corrispondenti aliquote proporzionali previste dagli articoli 6 e 9 della tariffa stessa, "semprechè non ricorrono i presupposti soggettivi ed oggettivi pe l' applicazione dell'Iva".
Come sembra essere stato ribadito nel convegno di Taormina, potrebbe sostenersi che siano soggetti a registrazione a termine fisso i contratti preliminari che prevedano dazioni di somme non soggette ad Iva ed a registrazione in caso d'uso quelli che prevedano dazioni di somme soggette ad Iva ai sensi dell'articolo 5 parte seconda della legge di registro?
RISPOSTA
Il quesito prende le mosse dalla distinzione tra caparra confirmatoria ed acconti prezzo, per poi pervenire alla domanda specifica circa l'assoggettamento a registrazione in termine fisso ovvero in caso d'uso, a seconda dell'assoggettamento della dazione di somme ad Iva o no.
Posto in questi termini il problema, sembrerebbe che l'esenzione dall'Iva della caparra comporti la conseguenza dell'obbligo di registrazione del contratto in termine fisso.
Intanto, giova premettere che la qualificazione del fatto (dazione di somme) come caparra o come acconto è rimessa all'accertamento del giudice, con onere a carico della parte privata di dimostrare la causale del pagamento, come deciso dalla giurisprudenza consolidata: «la caparra confirmatoria non può considerarsi come un parziale pagamento anticipato del prezzo, avendo funzione risarcitoria del danno in caso di inadempimento ingiustificato, e di conseguenza le somme versate a tale titolo sono escluse dal campo di applicazione dell'Iva. Se il titolo di caparra confirmatoria risulta esplicitamente dal contesto dell'atto, è l'ufficio che deve fornire la prova contraria» ( Comm. trib. centr., sez. XIV, 14 dicembre 1998, n. 6438 Uff. Iva Roma II c. Soc. Trieste Quinta in Giust. civ. 2000, I, p. 305, con nota di E. MAZZELLA).
«Ove sussista dubbio sull'effettiva intenzione delle parti, le somme versate anteriormente alla formale stipulazione di un contratto debbono ritenersi corrisposte a titolo di acconto sulla prestazione dovuta in base all'obbligazione principale e non già a titolo di caparra, non potendosi ritenere che le parti si siano tacitamente assoggettate ad una "pena civile"; ne consegue che, in caso di accertamento, grava sull'accertato l'onere di provare l'asserita funzione di caparra confirmatoria delle somme percepite e la loro conseguente esclusione dal campo di applicazione Iva, tanto più se in alcuni suoi documenti contabili, ancorché informali, le medesime somme figurano percepite a titolo di acconto sul corrispettivo pattuito» (Cass. Civ., sez.I, 17 dicembre 1994, n. 10874 Soc. E.V. c. Min. fin., in Riv. notariato, 1995, p. 1288).
«Nel caso di compravendita di un immobile, la consegna di somma di denaro dall'acquirente all'alienante in attesa dell'atto definitivo, ha natura di anticipazione del prezzo ed è pertanto assoggettabile ad Iva, salvo prova che la stessa abbia avuto natura di caparra confirmatoria." (Comm. trib. centr., sez. XIII, 21 marzo 1989, n. 2276 Ufficio Iva Roma c. Società edilizia Vessis, in Rass. imp., 1989, p. 1281).
La dottrina, nel commentare la più recente sentenza citata, segnalava quanto segue: «il problema da risolvere è quello di stabilire se le somme versate a titolo di caparra confirmatoria sono da assoggettare o meno all'Iva, considerando che nella normativa Iva non c'è una previsione specifica in tal senso, a differenza della normativa sull'imposta di registro che, in base al disposto della nota all'art. 10, parte I, tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, richiama la disciplina di cui al precedente art. 6 per assoggettare all'imposta di registro in misura proporzionale (aliquota 0,5%) la «dazione di somme a titolo di caparra confirmatoria» convenuta in un contratto preliminare. Quando si deve stabilire se una determinata operazione (nella fattispecie si tratta di somme, rispettivamente, versate ed incassate a titolo di caparra) deve rientrare nel campo di applicazione dell'Iva, il principio generale che deve essere applicato è quello contenuto nell'art. 1 del D.P.R. n. 633 del 1972, secondo il quale l'Iva si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi (fatte salve le esplicite deroghe, esclusioni, eccezioni, ecc.). In assenza di cessioni di beni (mobili ed immobili) o di prestazioni di servizi (contratti d'opera, appalto, trasporto, ecc.) vengono a mancare i presupposti oggettivi per l'applicazione dell'imposta che, quindi, non è dovuta.
Chiaramente, il problema centrale, per la società-contribuente è quello di porre in risalto la funzione della caparra per distinguerla dal cosiddetto "acconto", riscosso in relazione al prezzo della cessione o della prestazione da effetturare. Infatti nel comma 4 dell'art. 6 ("Effettuazione delle operazioni") del D.P.R. n. 633 del 1972, viene stabilito che l'obbligo tributario di assoggettamento all'imposta scatta anche quando «sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo», indipendentemente dall'avvenuta o meno consegna dei beni o dall'avvenuta prestazione. Ovviamente, in caso di riscossione di acconti, l'operazione s'intende effettuata limitatamente all'importo riscosso. Nella Relazione ministeriale relativa all'istituzione e disciplina dell'Iva si afferma che sono espressamente escluse dalla base imponibile alcune somme le quali, pur essendo addebitate alla controparte, non hanno però natura vera e propria di controprestazione per la cessione del bene o per la prestazione del servizio. Tra queste rientrano gli interessi di mora e le penalità dovute dall'acquirente o dal committente per inadempienze contrattuali, nonché gli interessi per pagamenti dilazionati, costituendo le relative somme non una maggiorazione del prezzo bensì un risarcimento del danno causato da inadempimento oppure un compenso per il differito pagamento del prezzo o corrispettivo. Previsione che è stata poi tradotta nell'attuale art. 15, n. 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633.
Investito della questione il Ministero delle Finanze osservava che, ai sensi dell'art. 1385 c.c., la caparra confirmatoria non può considerarsi come un parziale pagamento anticipato del prezzo avendo funzione risarcitoria del danno in caso di inadempimento ingiustificato. Di conseguenza, le somme versate a tale titolo - titolo che deve risultare esplicitamente dal contesto dell'atto - non possono farsi rientrare nella sfera di applicazione dell'ultimo comma dell'art. 6 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, in quanto, appunto, non costituenti corrispettivo dell'operazione.
Resta inteso che, ove al momento della stipula del contratto di vendita dell'immobile la caparra venga imputata alla prestazione dovuta, essa diviene parte dei corrispettivi pattuiti e come tale concorre alla formazione della base imponibile ai sensi del comma 1 dell'art. 13 del decreto presidenziale citato.
Tale interpretazione è stata successivamente confermata con le note del 29 marzo 1976 n. 360321 e del 19 maggio 1997 n. 411673.
Anche per la Cassazione, perché l'anticipata corresponsione di una somma di denaro costituisca caparra confirmatoria è necessario che nell'intenzione delle parti le somme versate per conseguire gli scopi pratici previsti dalla richiamata norma civilistica risultino espressamente a ciò finalizzate, con riferimento ad entrambe le ipotesi dell'adempimento e dell'inadempimento del contratto. Nella sentenza annotata la Commissione giudicante rileva che se il titolo di caparra confirmatoria risulta esplicitamente dal contesto dell'atto è l'Ufficio che deve fornire la prova contraria. Viceversa ove sussista dubbio sull'effettiva intenzione delle parti, le somme versate anteriormente alla formale stipulazione di un contratto devono ritenersi corrisposte a titolo di acconto sulla prestazione dovuta in base alla obbligazione principale e non già a titolo di caparra; così infatti si è espressa la Corte di Cassazione, la quale ha affermato: «a) che la caparra confirmatoria opera come sanzione contrattuale a carico della parte inadempiente e costituisce nel contempo una forma di risarcimento a favore della parte adempiente, che preferisca avvalersi della facoltà, accordata dall'art. 1385 c.c., di recedere dal contratto, con le conseguenze previste da detta norma, invece di esercitare l'azione generale di inadempimento di cui all'art. 1453 c.c.; b) che, ove sussista dubbio sull'effettiva intenzione delle parti, le somme versate anteriormente alla formale stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive (ed in particolare di un contratto di compravendita) debbono ritenersi corrisposte a titolo di anticipo o acconto sulla prestazione dovuta in base all'obbligazione principale, non già a titolo di caparra, non potendosi ritenere che le parti si siano tacitamente assoggettate ad una «pena civile», ravvisabile nella funzione della caparra confirmatoria; c) che spetta al giudice del merito accertare se, in relazione ad una compravendita, il versamento di una somma sia stato effettuato in funzione di caparra o a titolo di anticipo sul prezzo; e che il relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità se sostenuto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici o giuridici».
Non vi sono ragioni per discostarsi dal superiore ragionamento.
Il riflesso immediato sembra essere quello che la sussunzione della prestazione di caparra negli atti soggetti ad Iva escluda gli atti medesimi dall'obbligo di registrazione in termine fisso. La risposta sembra dover essere positiva, in quanto la summa divisio tra atti soggetti a registro ed atti soggetti ad Iva supera e ricomprende le prestazioni inerenti agli stessi, sicché l'obbligo di registrazione degli acconti per gli atti soggetti a registrazione fa da pendant all'obbligo di emissione di fattura per quelli soggetti ad Iva, ma non si deve giungere a sottoporre a registrazione in termine fisso un atto che intrinsecamente è da registrare solo in caso d'uso, sol perché una delle dazioni (la caparra) afferenti ad esso è esente da Iva.
DOMANDA
Premesso che: ai sensi dell' articolo 35 comma 22 legge 4 agosto 2006 n. 248 di conversione modificato dalla legge finanziaria, le parti hanno l' obbligo di rendere dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante la dichiarazione di essersi o meno avvalse di un mediatore, indicando tra l'altro tutti i dati identificativi dell'agente.
Nel caso in cui il mediatore non sia iscritto a ruolo il notaio deve effettuare specifica comunicazione all' Agenzia delle Entrate di competenza (art. 1 comma 46 legge 296/2006).
Come deve comportarsi il notaio di fronte alla figura del "consulente" non mediatore o del cosiddetto "segnalatore" regolarmente iscritto alla Camera di Commercio ma non nell'albo Ruolo degli agenti in mediazione che abbiano emesso regolare fattura per il loro operato?
Stando alla lettera della norma credo che non debbano essere citati nell'atto, per cui la dichiarazione sostitutiva delle parti dovrebbe essere negativa, ma se lo scopo della norma è quella di colpire l' evasione fiscale, il notaio non dovrà neanche darne segnalazione all'Agenzia delle Entrate !??
RISPOSTA
Considerata la circostanza che entrambe le figure indicate nel quesito si riferiscono a soggetti che hanno emesso fattura; che l'intento antievasivo della legge è sicuramente soddisfatto, non si vede il motivo della segnalazione all'Agenzia delle Entrate. Tale obbligo, certamente eccezionale e riferito ad una figura tipica (il mediatore immobiliare non iscritto all'Albo) non si deve estendere per analogia ad altre figure, se si pone mente al fatto che i rimedi all'evasione fiscale vanno calibrati in funzione dell'omissione dell'obbligo, non dei casi di adempimento. Ciò si conferma, a maggior ragione, se si ha riguardo alla definizione elaborata dalla giurisprudenza della figura del "segnalatore", che è ben lontana da quella del mediatore: «al fine di determinare gli "scopi professionali" previsti dall'art. 2 D.lgs. n. 50 del 1992, non può attribuirsi rilevanza alla separata dichiarazione su modulo prestampato predisposto dal venditore e sottoscritto dall'acquirente, nella quale quest'ultimo dichiara che l'impianto commissionato è destinato a scopi inerenti la sua attività lavorativa e, per indicare il tipo di attività svolta è stata barrata la casella corrispondente a "segnalatore ecologico", quando questa consiste nel "collaborare nei ritagli di tempo" incontrando "persone, parenti, amici, conoscenti, colleghi", organizzando con questi incontri o riunioni presso la propria abitazione. La norma dell'art. 2 del D.lgs. n. 50 del 1992 richiede infatti che si tratti di attività professionale e per tale deve intendersi, secondo la comune accezione del termine, l'attività manuale o intellettuale esercitata traendone i principali (anche se non esclusivi) mezzi di sostentamento» (Pretura Milano, 12 giugno 1996, Manzoni c. Soc. Iwm, in Dir. consumi, 1997, p. 165).
|
|
|