La dichiarazione di nomina di terzo tra preliminare e definitivo immobiliare
La dichiarazione di nomina di terzo tra preliminare e definitivo immobiliare
di Federico Magliulo
Notaio in Roma
Generalità
Il fenomeno delle liberalità indirette, disciplinato dall'art. 809 c.c., concerne un'ampia gamma di ipotesi in cui il fine di effettuare un'attribuzione liberale è sovente realizzato attraverso la combinazione di atti ed operazioni.
In tali casi ciascuno degli elementi della fattispecie di per sé non costituisce né determina la liberalità, ma è la combinazione tra detti elementi che consegue tale risultato.
Tipicizzato dalla legge è dunque nella specie solo il risultato perseguito dalle parti e non anche la tipologia di operazioni dirette a conseguirlo.
Tra queste una fattispecie molto diffusa nella prassi negoziale è rappresentata dall'uso della dichiarazione di nomina nel contratto preliminare immobiliare al fine di effettuare una liberalità indiretta in favore dell'electus.
L'ipotesi in esame si verifica quando nel contratto preliminare il promissario acquirente si riserva di effettuare l'acquisto per sé e/o per persona da nominare entro la stipula del contratto definitivo.
Avvalendosi di tale facoltà il promissario acquirente provvede poi a nominare quale acquirente dell'immobile un prossimo congiunto, normalmente un proprio discendente, al fine di intestare l'immobile a quest'ultimo.
Si configura nella specie l'utilizzo della figura del contratto per persona da nominare applicata ad un contratto preliminare di vendita immobiliare [nota 1].
Dichiarazione di nomina e attribuzione liberale
Invero anche in tal caso, a ben vedere, la sola dichiarazione di nomina, di regola, non realizza di per sé una liberalità, sicchè la definizione della dichiarazione di nomina come fattispecie di liberalità indiretta, se è utile a descrivere sinteticamente la fattispecie in esame, è tuttavia impropria dal punto di vista tecnico.
Il contratto per persona da nominare, infatti, qualunque tesi si segua in relazione alla ricostruzione della sua natura giuridica, realizza in ogni caso una sostituzione dell'electus nell'intero rapporto contrattuale, sia nei suoi elementi attivi che in quelli passivi.
Secondo una corrente di pensiero [nota 2] tale sostituzione si realizzerebbe attraverso una duplice condizione, risolutiva quanto all'acquisto dello stipulante e sospensiva quanto all'acquisto dell'electus, fattispecie nella quale la condizione sarebbe rappresentata per l'appunto dall'electio.
La dichiarazione di nomina determinerebbe dunque l'avveramento di entrambe le condizioni e la sostituzione dell'electus allo stipulante nel rapporto contrattuale con l'effetto retroattivo che è caratteristico della condizione (art. 1360 c.c.).
Altra corrente di pensiero [nota 3] ravvisa nell'istituto in esame un doppio contratto, il primo tra promittente e stipulante sottoposto alla condizione risolutiva dell'electio ed il secondo, in via di formazione, tra promettente ed electus, che si concluderebbe a mezzo di rappresentante sempre per effetto dell'electio.
L'opinione prevalente tende invece ad inquadrare l'istituto in esame nel fenomeno della rappresentanza ed in particolare si tratterebbe di una «rappresentanza eventuale in incertam personam» [nota 4].
La rappresentanza è peraltro eventuale poiché, se nel termine previsto dalle parti, o altrimenti fissato dalla legge, la dichiarazione di nomina non è effettuata e non è accompagnata da una procura rilasciata dall'electus o dalla sua accettazione, il contratto produce i suoi effetti tra i contraenti originari (art. 1405 c.c.), diversamente da quanto normalmente accade nelle ordinarie ipotesi di rappresentanza, nelle quali la mancanza del potere rappresentativo determina l'inefficacia tout court del contratto.
Ciò posto, appare evidente che, a seguito dell'electio amici, l'electus subentra innanzitutto nei debiti contratti per l'acquisto che devono ancora essere adempiuti al momento dell'electio.
Dunque l'eventuale saldo prezzo da effettuarsi al momento della conclusione del contratto definitivo e dopo l'electio costituirebbe a tutti gli effetti un debito dell'electus nei confronti del venditore.
Quanto alle obbligazioni contratte per l'acquisto che siano già state adempiute dallo stipulante prima dell'electio (dunque tipicamente gli acconti prezzo già versati), se si segue la tesi dominante sulla natura giuridica del contratto per persona da nominare, basata sul concetto di "rappresentanza eventuale in incertam personam", l'electus sarebbe tenuto a rimborsare lo stipulante di quanto egli avesse pagato a tale titolo al venditore, in omaggio alle regole del rapporto gestorio sotteso al fenomeno rappresentativo.
Ed infatti, secondo i principi del mandato, il mandante ha l'obbligo di somministrare al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione dell'incarico e per l'adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratto in proprio nome ed a rimborsargli le anticipazioni effettuate a tale riguardo (artt. 1719 e 1720 c.c.).
Se invece si seguono le tesi della condizione o del doppio contratto, la dichiarazione di nomina, determinando la risoluzione retroattiva dell'acquisto dello stipulante, farebbe sì che eventuali acconti prezzo versati da quest'ultimo andrebbero allo stesso restituiti dal venditore, mentre l'electus, che assume l'intero rapporto contrattuale, sarebbe tenuto a pagare ex novo al venditore anche l'importo relativo a tali acconti.
Dunque a stretto rigore di regola nessuna erogazione liberale può realizzarsi in favore del nominato solo ed esclusivamente in ragione di tali fenomeni.
La semplice dichiarazione di nomina può di per sé sola realizzare una liberalità esclusivamente se essa si riferisse ad un contratto concluso a condizioni di favore rispetto a quelle ordinariamente conseguibili sul mercato.
In questo caso l'electus, pur subentrando nelle posizioni passive del contratto, si arricchirebbe per il maggior valore di mercato della componente attiva.
Ma, si badi bene, in tal caso l'arricchimento dell'electus, e dunque la conseguente liberalità, si determinerebbe unicamente in relazione alla differenza tra il valore di mercato dell'immobile acquistato ed il prezzo pattuito nel contratto preliminare, non già per l'intero valore dell'immobile.
Ma non v'è chi non veda come tale ipotesi sia marginale nella pratica.
Ne consegue che nell'ipotesi normale, in cui l'immobile è acquistato al prezzo di mercato, la liberalità si realizza a seguito del compimento di ulteriori attività e precisamente:
- della rinuncia dello stipulante ad ottenere la restituzione di quanto speso per adempiere alle obbligazioni contratte per l'acquisto già onorate all'atto dell'electio;
- dell'adempimento da parte dello stipulante, con mezzi propri, delle obbligazioni contrattuali ancora da adempiere e nelle quali l'electus è subentrato.
In entrambi i casi si configura una situazione analoga quella che si verifica nel caso in cui la liberalità indiretta sia realizzata mediante l'utilizzo dell'istituto dell'adempimento del terzo (art. 1180 c.c.).
Nel primo caso, a seguito della rinuncia ad ottenere restituzione di quanto pagato, lo stipulante si trova sostanzialmente ad aver adempiuto ad un debito altrui e ad aver dismesso il proprio credito di rivalsa contro il debitore (v. il prossimo paragrafo).
Nel secondo caso si tratta a tutti gli effetti dell'adempimento di un debito altrui da parte di un terzo ormai estraneo al rapporto obbligatorio.
La peculiarità del meccanismo sopra esaminato pone dunque una serie di problemi con riferimento ai quali si deve verificare l'opportunità o meno di evidenziare nel titolo contrattuale la circostanza che trattasi sostanzialmente di un adempimento di debito altrui, specie a seguito delle formalità introdotte al riguardo dall'art. 35, comma 22, del D.l. 4 luglio 2006 n. 223.
Tale disposizione prevede, infatti, che «all'atto della cessione dell'immobile, anche se assoggettata ad Iva, le parti hanno l'obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l'indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo».
Il problema dell'applicabilità dell'art. 563 c.c.
Il primo problema che si pone al riguardo inerisce alla sicurezza dell'acquisto effettuato attraverso il procedimento sopra descritto ai fini della successiva circolazione dell'immobile.
Tale problema infatti si pone ogni qual volta l'adempimento del terzo sia effettuato a titolo di liberalità indiretta, sia con specifico riferimento alla fattispecie in esame sia in termini più generali [nota 5].
In linea di principio infatti anche le liberalità indirette, pur essendo esonerate dal rispetto della forma prescritta per la donazione, sono soggette alle norme sulla riduzione (art. 809 c.c.).
Ma in tal caso si prospettano delicati problemi relativamente all'esperibilità da parte dei legittimari del donante dell'azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente di cui all'art. 563 c.c., laddove l'electus rivenda il bene in tal modo acquistato.
è noto, infatti, che l'azione di riduzione è un'azione personale di accertamento costitutivo: accertamento della lesione di legittima e conseguente modifica della situazione giuridica preesistente, consistente nel rendere inefficace in tutto o in parte la donazione o la disposizione testamentaria lesiva [nota 6].
In dipendenza dell'esperimento vittorioso dell'azione di riduzione, pertanto, i legittimari possono chiedere la restituzione dei beni attribuiti con la donazione o la disposizione testamentaria oggetto di impugnazione.
Peraltro, come si è già avuto modo di rilevare in altra sede [nota 7], è probabile che nei confronti del terzo acquirente dall'electus, nel caso in esame, non sia esperibile l'azione di restituzione di cui all'art. 563 c.c. poiché tale azione costituisce una conseguenza della retroattività reale dell'azione di riduzione e del principio resoluto jure dantis resolvitur et jus accipientis. In altre parole l'esercizio vittorioso dell'azione di riduzione determina l'inefficacia della donazione e la conseguente retrocessione del bene donato dal donatario al donante; in conseguenza il legittimario, che diviene erede a seguito dell'esito vittorioso dell'azione di riduzione, può far valere i propri diritti su un bene che rientra a far parte dell'asse ereditario.
Tale effetto risolutivo non può invece nel caso in esame determinare il rientro del bene immobile dal patrimonio del donatario della donazione indiretta al patrimonio del donante, poiché detto bene, nel caso di specie, non è proprio transitato nel patrimonio del donante stesso [nota 8].
La donazione indiretta in esame infatti interessa soltanto il rapporto interno tra donante e donatario senza coinvolgere il rapporto tra donante in via indiretta, nonchè solvens nell'adempimento del terzo, da un lato, e accipiens nell'adempimento del terzo, dall'altro [nota 9].
Ne deriva che l'inefficacia conseguente al vittorioso esito dell'azione di riduzione dovrebbe incidere esclusivamente su tale rapporto interno, eliminando la qualificazione di donazione indiretta dell'adempimento del terzo nei rapporti tra solvens e debitore; l'attribuzione patrimoniale di cui al detto adempimento rimarrebbe pertanto priva di giustificazione causale e ciò renderebbe possibile soltanto un'azione recuperatoria del solvens (o dei suoi eredi, ivi compresi i legittimari vittoriosi nel giudizio di riduzione) nei confronti del debitore, basata in difetto di qualsiasi altro rimedio, sull'istituto dell'arricchimento senza causa [nota 10].
Tale conseguenza risulta di tutta evidenza ove si ritenga che la liberalità indiretta nel caso di specie derivi dalla rinuncia del solvens a far valere detta azione recuperatoria nei confronti del debitore: il vittorioso esperimento dell'azione di riduzione determinerebbe l'inefficacia di detta rinuncia e farebbe rivivere l'azione recuperatoria in parola.
Ma la conclusione non cambia ove si ritenga che ad integrare la liberalità indiretta nella specie sia sufficiente che l'adempimento del terzo sia qualificato dall'animus donandi, poiché l'azione di riduzione non può determinare l'inefficacia tout court dell'adempimento del terzo.
Se ciò avvenisse infatti verrebbe coinvolto un soggetto diverso dal donante e dal donatario della liberalità indiretta, il creditore-accipiens, rispetto al quale la causa del rapporto interno tra solvens e debitore è irrilevante [nota 11]; ed anzi il creditore può legittimamente essere all'oscuro di detto rapporto causale, non essendo necessario che questo sia dichiarato nei suoi confronti.
Analogamente i successivi aventi causa dell'immobile non sarebbero posti in grado di conoscere (né sarebbero tenuti a farlo) la provenienza liberale del cespite acquistato.
L'azione di riduzione e l'inefficacia che ne consegue non può dunque che colpire il rapporto interno tra solvens e debitore, determinando l'inoperatività in termini di liberalità di detto rapporto.
Più precisamente l'azione di riduzione rimane anche in questo caso un'impugnativa negoziale che è diretta, a seconda dell'opinione che si intenda seguire sulla natura del rapporto solvens-debitore, contro l'accordo tra solvens e debitore diretto a conferire valenza di liberalità all'adempimento del terzo [nota 12], ovvero contro un negozio unilaterale del solvens diretto parimenti, non già a rinunziare ad un credito verso il debitore già sorto per effetto dell'adempimento, bensì ad impedire il sorgere di tale credito [nota 13].
Il solvens, o in questo caso i suoi eredi originari o tali divenuti per il vittorioso esito dell'azione di riduzione, dunque possono agire contro il debitore avvalendosi, in difetto di ogni altro rimedio, dell'arricchimento senza causa [nota 14].
Ne consegue che l'azione in parola non potrà essere rivolta direttamente al recupero con efficacia retroattiva reale dell'immobile oggetto della donazione indiretta.
In tal senso la posizione dei legittimari non è diversa da quella in cui essi si troverebbero se il de cuius avesse effettuato l'adempimento ex art 1180 c.c. senza animo liberale ed in assenza di qualsiasi altra causale; ed invero un diverso trattamento delle due ipotesi non troverebbe alcuna giustificazione.
Peraltro il problema di stabilire se, nella donazione indiretta, ai fini della collazione, della riduzione, della revocatoria ecc., l'oggetto della liberalità sia da individuarsi nell'incremento del patrimonio del beneficiario ovvero nel decremento del patrimonio del beneficiante, è stato oggetto di ampia discussione in dottrina ed in giurisprudenza.
Orbene la dottrina più attenta al riguardo tende a differenziare le soluzioni sia con riferimento alle varie ipotesi di donazione indiretta sia con riferimento agli effetti per i quali si intende individuare l'oggetto della liberalità [nota 15].
Così nel caso ricorrente nella pratica, di acquisto di un immobile con denaro proprio del de cuius ed intestazione ad altro soggetto, effettuato animo donandi con l'utilizzo dell'art. 1180 c.c., si è ritenuto [nota 16] che oggetto della liberalità sia:
il danaro, ai fini dell'azione revocatoria dei creditori del solvens ed ai fini dell'azione di riduzione dei legittimari;
l'immobile ai fini della collazione.
Nel senso che oggetto della liberalità è l'immobile si è schierata concordemente, per lo più tema di collazione, la più recente giurisprudenza [nota 17].
Ma in realtà a parere di chi scrive, ai fini della individuazione degli effetti dell'azione di riduzione nel caso di specie appare metodologicamente corretto partire, più che dalla individuazione dell'oggetto della liberalità, dalla puntualizzazione dei meccanismi tecnici che governano l'azione di riduzione e l'adempimento del terzo, come si è ampiamente precisato sopra. Tali meccanismi, invero, dovrebbero rendere palese che l'adempimento del terzo a fini liberali non dovrebbe mai porre problemi di sicurezza dell'acquisto da parte del terzo avente causa dal beneficiario della donazione indiretta.
Nondimeno la posizione non conforme assunta al riguardo dalla giurisprudenza pone all'operatore pratico l'esigenza di approntare gli accorgimenti atti a porre le parti al riparo da eventuali difficoltà nella futura circolazione dell'immobile.
La tassazione della liberalità
Il D.l. 4 luglio 2006 n. 223, imponendo l'indicazione analitica nel contratto definitivo di vendita immobiliare delle modalità di pagamento del corrispettivo, sembrerebbe a prima vista costringere le parti ad assoggettarsi ad un duplice onere.
In primo luogo nel caso di specie i contraenti sarebbero costretti e fare emergere formalmente la circostanza che il prezzo della vendita è stato pagato dallo stipulante e non dall'electus, svelando in tal modo l'intento liberale del primo nei confronti del secondo.
In secondo luogo l'emersione di tale circostanza dovrebbe condurre alla tassazione della liberalità indiretta in tal modo realizzata in dipendenza della "reviviscenza" della tassazione delle donazioni operata con l'art. 2 comma 47 del D.l. 3 ottobre 2006, n. 262, con il quale è stata «istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54».
Il D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, prevede, infatti, all'art. 56-bis specifiche disposizioni dirette ad attrarre a tassazione anche le liberalità indirette [nota 18].
Ma a ben vedere nessuna di tali conclusioni è esatta.
Non la prima perchè il mero obbligo di indicazione delle modalità di pagamento del corrispettivo non implica necessariamente un'espressa indicazione anche della circostanza che l'adempimento dell'obbligo di pagare il prezzo della vendita è stato effettuato da terzi. Né la formalizzazione della liberalità è richiesta dai principi civilistici, poiché, come si è accennato, le liberalità indirette non sono soggette alla forma della donazione [nota 19].
Non la seconda poiché, anche laddove la circostanza che il prezzo è stato pagato da un terzo a titolo di donazione indiretta risultasse dal contratto definitivo di vendita, la relativa liberalità risulterebbe comunque esente dall'imposta in forza dell'art. 1 comma 4-bis del D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001.
Tale disposizione prevede, infatti, che «ferma restando l'applicazione dell'imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l'imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l'atto sia prevista l'applicazione dell'imposta di registro, in misura proporzionale, o dell'imposta sul valore aggiunto» [nota 20].
E non v'è dubbio che la vendita nel contesto della quale è effettuata la liberalità indiretta è assoggettata, secondo i casi, all'imposta di registro, in misura proporzionale, o all'imposta sul valore aggiunto.
L'accertamento sintetico dei redditi in capo all'electus
La fattispecie in esame pone inoltre anche rilevanti problemi in materia di imposte dirette, laddove l'acquirente dell'immobile, beneficiario della liberalità indiretta in esame non disponga di redditi propri dichiarati al fisco in misura tale da giustificare l'acquisto effettuato.
Viene a tale riguardo in rilievo l'art. 38, commi 4 e 5, del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, secondo cui l'ufficio può, «in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l'ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta».
Ed a tal fine è previsto che «qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell'anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti».
Ne consegue che la circostanza che il soggetto beneficiato dalla liberalità risulti nel contratto definivo quale acquirente in proprio dell'immobile, in assenza di redditi congrui atti a giustificare la capacità di effettuare detto acquisto, potrebbe fornire al fisco lo spunto per effettuare un accertamento sintetico del reddito dell'acquirente.
Ma da tale punto di vista il D.l. 4 luglio 2006 n. 223 sembra avere agevolato la soluzione del problema, perché l'indicazione in atto dei mezzi di pagamento facilita la dimostrazione che trattasi di fondi provenienti dal patrimonio dei genitori e come tali aventi una propria legittimazione reddituale.
La stessa Amministrazione Finanziaria [nota 21], infatti, ha recentemente ammesso che ai fini dell'accertamento sintetico occorre «valutare la complessiva posizione reddituale dei componenti il nucleo familiare essendo evidente come, frequentemente, gli elementi indicativi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell'accertamento sintetico possano trovare giustificazione nei redditi degli altri componenti il nucleo familiare», onde «la manifestazione di ricchezza o la posizione reddituale dei componenti del nucleo familiare possono consentire di valutare non proficua l'azione di accertamento sintetico nei confronti della persona indagata che, sulla base della valorizzazione di elementi a suo carico, presenta una capacità contributiva non coerente con la posizione fiscale personale ricostruita».
Considerazioni conclusive
Alla stregua delle esposte considerazioni si possono trarre alcuni suggerimenti operativi atti a ridurre al minimo gli inconvenienti sopra esaminati derivanti dalla prassi dell'intestazione dell'immobile a prossimi congiunti attraverso l'uso della riserva di nomina nel contratto preliminare di vendita immobiliare.
Non v'è dubbio innanzitutto che nel contratto definitivo sarà necessaria l'indicazione analitica dei mezzi di pagamento del prezzo in base all'art. 35, comma 22, del D.l. 4 luglio 2006 n. 223.
A tale riguardo nulla vieta di specificare anche che si tratta di pagamenti effettuati con mezzi propri dei genitori.
Ma tale ultima specificazione, non obbligatoria secondo quanto sopra esposto, potrebbe risultare dannosa per la successiva circolazione dell'immobile, laddove non fosse condivisa la tesi da noi sostenuta dell'inapplicabilità dell'art. 563 c.c. alle liberalità indirette realizzate mediante l'adempimento del terzo.
L'omissione di tale specificazione per altro verso, se certamente non risolve il problema dal punto di vista sostanziale [nota 22], purtuttavia non crea nel titolo contrattuale un'apparenza che potrebbe essere valutata negativamente dai terzi, acquirenti o istituti bancari, ai fini della successiva circolazione dell'immobile o della costituzione sullo stesso di diritti reali di garanzia.
Per altro verso la mancanza della specificazione in oggetto non impedisce di giustificare fiscalmente la capacità di spesa per l'acquisto, al fine di evitare accertamenti sintetici del reddito dell'acquirente sulla base dei capitali impiegati per acquisto.
L'indicazione in atto dei mezzi di pagamento, infatti, consente di ricostruire facilmente la provenienza dal patrimonio della famiglia dei fondi utilizzati, circostanza che secondo la stessa Amministrazione Finanziaria esclude l'accertamento sintetico.
Qualunque soluzione si adotti al riguardo, in ogni caso non si pone alcun problema di tassazione della liberalità indiretta così realizzata, stante il disposto del citato art. 1 comma 4-bis del D.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346.
Nè pare che contro la soluzione proposta possa addursi il dovere di trasparenza e di lealtà verso l'ordinamento che il notaio, quale pubblico ufficiale, è tenuto ad osservare nello svolgimento delle proprie funzioni.
Ed invero il dovere di trasparenza del notaio cessa laddove inizia il diritto alla riservatezza delle parti.
Ma una volta stabilito, alla stregua delle esposte considerazioni, che queste ultime non sono tenute a dichiarare in atto il soggetto dal cui patrimonio proviene la provvista impiegata per il pagamento del prezzo, il notaio non può certamente imporre loro un diverso comportamento.
[nota 1] è noto infatti che il contratto per persona da nominare non costituisce un tipo negoziale autonomo, ma rappresenta una particolare ipotesi di sostituzione di uno dei contraenti originari applicabile tendenzialmente a qualsiasi tipo contrattuale. Cfr. per tutti VISALLI, «Contratto per persona da nominare e preliminare», in Riv. dir. civ., 1998, II, p. 362 e ss.
[nota 2] Per tutti STOLFI, «La conclusione dei contratti per persona da dichiarare», in Riv. dir. civ., 1926, p. 544 e ss.
[nota 3] ENRIETTI, Il contratto per persona da nominare, Torino, 1950, p. 137 e ss.
[nota 4] Per tutti SANTORO – PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1986, p. 293.
[nota 5] Secondo CANNATA, PROSPERETTI, VISINTINI, L'adempimento delle obbligazioni, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, 9, Torino, 1984, p. 84, «l'animus donandi del terzo solvens non ha rilevanza alcuna per il debitore liberato, a meno che il terzo non abbia pagato in forza di un precedente accordo col debitore con il quale si sia impegnato a pagare il debito di costui per arricchirlo: ma questo accordo sarebbe una donazione (obbligatoria ai sensi delle ultime parole dell'art. 769 c.c.), soggetta a tutte le regole di questa; il solo atto di liberalità (tra vivi) che la nostra legge sottrae al regime delle donazioni è, infatti, la remissione del debito. Il terzo solvens animo donandi potrà quindi rimettere al debitore i debiti che per effetto dell'adempimento gli siano sorti, ma non potrà evitarne il sorgere». Nello stesso senso già ASCOLI, Trattato delle donazioni, Milano, 1935, p. 437 e TORRENTE, La donazione, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, XXII, Milano, 1956, p. 42.
Alla base di tale teoria vi è evidentemente la presupposizione che qualsiasi atto o comportamento che produca indirettamente l'effetto dell'arricchimento del beneficiario e l'impoverimento del beneficiante di per sé si limita a produrre un arricchimento privo di giustificazione causale e, come tale, genera un credito di rivalsa del beneficiante basato quanto meno sull'istituto dell'arricchimento senza causa. Ne deriverebbe che l'unico modo di conferire a tale arricchimento la causa di liberalità sarebbe la rinuncia a detto credito ripristinatorio.
Contra nel senso che la sussistenza dell'animus donandi impedisce il sorgere di qualsiasi debito a carico del debitore ed a favore del solvens NICOLO', L'adempimento dell'obbligo altrui, Milano, 1936, p. 228 e 220 nota 43; MOSCO, Onerosità e gratuità degli atti giuridici con particolare riferimento ai contratti, Milano, 1942, p. 299; GIORGIANNI, Lezioni di diritto civile (1955-56), Varese, 1956, p. 149; CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2002, p. 886; DI MAJO, Le modalità dell'obbligazione, (estr. Comm. cod. civ. Scialoja e Branca), Bologna, 1986, p. 561; sembra BIANCA, Diritto civile, 4, L'obbligazione, Milano, 1990, p. 285.
[nota 6] Per tutti MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, XLIII, 2, Milano, 1992, p. 229 e 233.
[nota 7] MAGLIULO, «L'acquisto dal donatario tra rischi ed esigenze di tutela», in Notariato, 2002, p. 93 e ss. Nello stesso senso recentemente IACCARINO, «Donazioni indirette. Profili tributari e disciplina dell'imputazione, della collazione e della riduzione», in Notariato, 2007, p. 272.
[nota 8] CARNEVALI, Sull'azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di legittima, in Le ragioni del diritto, Scritti in onore di L. Mengoni, I, Milano, 1995, p. 131 e ss., il quale pertanto a p. 145 conclude per l'inapplicabilità degli artt. 561 e 563 c.c. alle donazioni indirette, onde l'insolvenza del donatario indiretto comporterebbe il sacrificio dei donatari anteriori ex art. 560 c.c. L'autore peraltro trae dalle circostanze in esame l'ulteriore affermazione che l'azione di restituzione a favore del legittimario nelle donazioni indirette trova la sua fonte immediata e diretta esclusivamente nella sentenza di riduzione, che opererebbe la retrocessione ex nunc della proprietà del bene dal donatario indiretto al legittimario. Ma tale conclusione, come vedremo, non appare condivisibile.
[nota 9] La dottrina è solita distinguere tra l'efficacia diretta dell'adempimento del terzo, consistente nell'estinzione del debito oggetto dell'adempimento, e l'efficacia riflessa del medesimo, che riguarda i rapporti tra solvens e debitore (NICOLO', op. cit., p. 195; DI MAJO, op. cit., p. 560).
[nota 10] Nell'adempimento del terzo in generale si ritiene che, in mancanza di qualsiasi giustificazione causale dell'adempimento nei rapporti tra solvens e debitore, l'azione del primo nei confronti del secondo, semprechè non si determini la surrogazione del solvens nei diritti del creditore ex artt. 1201 e ss. c.c., sarà fondata sulla negotiorum gestio, ricorrendone i presupposti, ovvero in difetto di questi ultimi, sull'arricchimento senza causa (MOSCO, op. cit., p. 299; CANNATA, op. cit., p. 84; DI MAJO, op. cit., p. 560 e ss.; BIANCA, Diritto civile, 4, L'obbligazione, cit., p. 295).
[nota 11] Nello stesso senso CARNEVALI, Sull'azione di riduzione delle donazioni indirette…, cit., p. 137; MENGONI, op. cit., ediz. 2000, p. 252.
[nota 12] Il riferimento va alla nota e suggestiva teoria di TORRENTE, op. cit., p. 21-22 e 32, secondo cui, tanto nel negozio indiretto quanto nella donazione indiretta, le parti possono piegare un negozio a mezzo o strumento per il conseguimento di un fine che lo trascende soltanto mediante un accordo tra loro con il quale esse assumono l'obbligo di operare in modo da colmare la distanza tra il risultato del negozio posto in essere e lo scopo ulteriore. Vi sarebbe dunque sempre, accanto al negozio tipico (negozio-mezzo), un ulteriore negozio mediante il quale si compie l'esteriorizzazione dell'intento liberale, che il più delle volte non ha carattere formale, ma anzi è tacitamente raggiunto.
In tal senso con specifico riferimento all'azione di riduzione nei confronti di liberalità indiretta attuata mediante adempimento del terzo MENGONI, op. cit., ediz. 2000, p. 254.
[nota 13] Ciò beninteso semprechè si ritenga superato il dogma della tipicità dei negozi unilaterali.
Che tale volontà unilaterale abbia le caratteristiche di un negozio autonomo, sia pure espresso in forma tacita, e non di un elemento del rapporto solvens-accipiens, è reso evidente dal fatto che essa non costituisce affatto un dato essenziale di detto rapporto, poiché detta volontà può addirittura mancare o essere viziata, senza che ciò abbia alcuna incidenza sul rapporto solvens-accipiens.
[nota 14] Diversamente CARNEVALI, Sull'azione di riduzione delle donazioni indirette…, cit., p. 140, ritiene che nelle donazioni indirette l'azione del legittimario costituisca sempre un autonomo effetto dell'azione di riduzione e non una mera conseguenza dell'inefficacia della donazione impugnata, come avviene per le donazioni dirette. Ma tale opinione alla stregua di quanto esposto nel testo non appare condivisibile.
Ed infatti nel senso che l'azione di riduzione conservi anche in tal caso la natura di impugnativa negoziale v. MENGONI, op. cit., ediz. 2000, p. 252.
[nota 15] CARNEVALI, Le donazioni, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, 6, Torino, 1997, p. 607; cfr. inoltre DI MAURO, «L'individuazione dell'oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell'imputazione ex se e della collazione in alcune fattispecie particolari», in Giust. civ., 1993, II, p. 187 e ss.; MENGONI, op. cit., ediz. 2000, p. 251 e ss.
[nota 16] CARNEVALI, op. e loc. ult. cit.
[nota 17] Cass., Sez. Un., 5 agosto 1992, n. 9282, in Giust. civ., 1992, 12, I, p. 2991, con nota di AZZARITI, «Somma erogata per l'acquisto di un immobile intestato a soggetto diverso dall'acquirente e collazione», in Foro it., 1993, 5, I, c. 1544, con nota di DE LORENZO, «Intestazione del bene in nome altrui e collazione: il nuovo corso della cassazione si consolida», in Vita not., 1993, 1, I, p. 261; in La nuova giur. civ. comm., 1993, 3, I, p. 373, con nota di REGINE, «Intestazione di beni immobili a nome altrui e donazione indiretta», in Riv. not., 1993,1, II, p. 144, in Rass. dir. civ., 1994, 3, p. 613, con nota di CESARO V. M., «Acquisto di immobile con denaro fornito dal genitore e donazione indiretta»; Cass. 8 febbraio 1994 n. 1257, in Foro it., 1995, 2, I, c. 614, con nota di DE LORENZO, «Intestazione del bene in nome altrui: appunti in margine a una giurisprudenza recente», in Riv. not., 1995, 3, II, p. 644; Cass. 14 maggio 1997, n. 4231; Cass. 15 novembre 1997, n. 11327, in Riv. not., 1998, 1, II, p. 182, in Foro it., 1999, 3, I, c. 994; Cass. 29 maggio 1998, n. 5310; Cass. settembre 2000, n. 12563; Cass. 6 aprile 2001, n. 5122; Cass. 26 agosto 2002, n. 12486.
Ma v. anche nello stesso senso in tema di azione di riduzione Cass. 6 maggio 1991 n. 4986, in Giust. civ., 1991, 12, I, p. 2981, con nota di DI MAURO, «Ancora sull'individuazione dell'oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia (art. 556 c.c.), della imputazione ex se (art. 564, comma secondo, c.c.) e della collazione (art. 737, comma primo, c.c.)», in Vita not., 1991, 5, I, p. 988.
Ma nel senso che oggetto della pretesa del legittimario, nel complesso fenomeno della intestazione di beni a nome altrui, «non è il bene il natura, ma il suo equivalente in denaro … che rappresenta l'arricchimento del donatario e correlativamente il costo economico (in termini di depauperamento del donante) della liberalità», v. MENGONI, op. cit., ediz. 2000, p. 257.
[nota 18] In argomento cfr., dopo la reintroduzione dell'imposta di donazione, Studio CNN n. 168-2006/T, Prime note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni (D.l. n. 262/2006 convertito dalla legge n. 286/2006 e successive modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2007), est. U. FRIEDMANN, S. GHINASSI, V. MASTROIACOVO, A. PISCHETOLA.
[nota 19] V. per tutte Cass. 10 febbraio 1997, n. 1214, in Foro it., 1997, 1, c. 743, in Vita not., 1997, 1, p. 267, in Riv. not., 1997, 2, p. 422; Cass. 10 aprile 1999, n. 3499, in Giur. it., 1999, p. 2017; Cass. 16 marzo 2004, n. 5333, in Giur. it., 2005, p. 490.
[nota 20] Cfr. ad esempio, Studio CNN n. 113/2000/T, Primi commenti alla modifica del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, Approvato dalla Commissione studi tributari il 15 dicembre 2000, est. U. FRIEDMANN e G. PETRELLI, secondo cui nel citato comma 4-bis, «a titolo meramente esemplificativo, potrebbero rientrare nella nuova norma sia l'ipotesi di pagamento del debito altrui effettuato con spirito di liberalità (ove questo risulti dall'atto con intervento del terzo che effettua l'adempimento ex art. 1180 del codice civile), sia l'ipotesi del contratto a favore di terzi (esempio classico quello del contratto stipulato tra venditore-promittente e genitore-stipulante che effettua il pagamento del prezzo, con previsione del trasferimento della proprietà a favore del figlio-terzo beneficiario». Nello stesso senso recentemente IACCARINO, «Donazioni indirette…», cit., p. 274.
[nota 21] Circ. n. 49/E del 9 agosto 2007. Agenzia delle Entrate - Dir. centr. Accertamento. In argomento v. G. ANTICO, «Il Fisco spinge sul redditometro: la circolare n. 49/E del 9 agosto 2007 ridà slancio all'accertamento sintetico», in Il fisco, n. 31/2007, 1, p. 4530. Nello stesso senso recentemente IACCARINO, «Donazioni indirette…», cit., p. 275 nota 27.
[nota 22] V. infatti IACCARINO, «Donazioni indirette…», cit., p. 289 nel senso che sarà sempre possibile esercitare l'azione di riduzione a seguito di una semplice ricerca bancaria facilitata dalla enunciazione in atto degli estremi degli assegni.
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