L'intestazione di immobile in nome altrui tramite contratto a favore di terzo
L'intestazione di immobile in nome altrui tramite contratto a favore di terzo
di Vera Tagliaferri
Notaio in Sergnano (CR)
Introduzione
L'espressione "intestazione di immobile in nome altrui" è convenzionalmente e tradizionalmente impiegata per designare quegli atti di liberalità con i quali il donante, con l'accordo del donatario (se maggiore d'età), intende far conseguire a quest'ultimo gratuitamente e in via diretta la proprietà di un bene che un terzo pone in vendita [nota 1].
In via diretta significa che il bene non transita, neppure per un momento, dal patrimonio del donante.
Il donante normalmente è genitore o coniuge del beneficiario e con l'intestazione diretta al figlio vuole evitare l'applicazione di una doppia imposizione per il trasferimento dal proprietario a sè e da sè al beneficiario finale [nota 2].
L'intestazione di immobile in nome altrui può avvenire mediante diversi procedimenti: il donante può fornire il denaro al beneficiato, che conclude personalmente; oppure può pagare direttamente il prezzo del contratto fra beneficiato e proprietario, o può accollarselo; oppure il donante stipula un contratto in nome e per conto del donatario, pagando con denaro proprio. Oppure utilizza la figura del contratto per sè o per persona da nominare o infine il contratto a favore del terzo.
Con il contratto a favore del terzo i contraenti convengono di attribuire un diritto ad un soggetto terzo, cui la formazione del contratto non sia imputabile [nota 3].
Il terzo, salvo patto contrario, acquista il diritto per effetto della stipulazione «nei confronti di uno soltanto dei contraenti, denominato promittente. Nessun diritto acquista il terzo verso l'atro contraente, lo stipulante, benché questi - per la validità della stipulazione - debba avere interesse all'attribuzione del diritto al terzo» [nota 4].
A ben vedere, le sfere patrimoniali dello stipulante e del terzo non rimangono certamente l'una estranea all'altra: è proprio il contatto tra le due sfere patrimoniali di stipulante e terzo ciò che identifica l'interesse dello stipulante al contratto.
Infatti, tre sono le situazioni per cui un soggetto stipula un contratto a favore del terzo: causa solvendi, pertanto lo stipulante dopo il contratto non sarà più debitore del terzo, causa obligandi, pertanto dopo il contratto lo stipulante sarà creditore del terzo, o, infine, causa donandi, con tutte le implicazioni che andremo ad analizzare. In particolare, con il sorgere di tutte le problematiche legate alla provenienza donativa del bene, ovvero l'identificazione delle norme applicabili nonché dell'oggetto della liberalità, con tutte le conseguenze in tema di collazione, riduzione e revocazione.
Il contratto a favore del terzo è uno schema negoziale e in quanto tale si presta ad essere utilizzato per ogni interesse dello stipulante, nel quadro più generale di assetto patrimoniale fra stipulante, promittente e terzo.
In particolare, la dichiarazione di nomina del terzo si presta ad essere effettuata con diverse intenzioni.
La prima intenzione, come già sopra accennato, è l'adempimento di un'obbligazione dello stipulante nei confronti del terzo nominato. In questo caso, la causa della nomina è esterna al contratto, ma esiste ed è una vera e propria causa solvendi: con la nomina lo stipulante adempie ad una preesistente obbligazione, che ha la sua provvista in un secondo e diverso contratto.
La causa obligandi concreta sempre un negozio con una contropartita, non pregressa ma posteriore, che verrà soddisfatta dal terzo in un modo che dal contratto non può risultare, ma che comunque sussiste.
La seconda intenzione, classica, è lo spirito liberale, che concreta una donazione indiretta [nota 5], ma pur sempre donazione, voluta dallo stipulante a favore del terzo nominato.
La terza ipotesi è quella più complicata, poiché la nomina del terzo può essere lo strumento per raggiungere un'interposizione sulla titolarità del bene. Interposizione che può essere sia fittizia che reale. La situazione classica è la fiducia cum amico, dove l'amico, destinatario del bene, ne diventa pieno proprietario per poi disporne come se fosse lo stipulante; certa è l'ipotesi di interposizione reale, quando questa è operata in modo professionale, quando alla nomina seguano le istruzioni su come disporre del bene.
Il caso pratico che può aiutarci a figurare la fattispecie è quello di Tizio che ha un contratto a favore del terzo con Caio per l'acquisto di un intero stabile in cattive condizioni, per il quale pagherà 1 milione di euro. Con la dichiarazione di nomina del terzo Caio elegge Terzo. Nel caso di interposizione reale Terzo ha il compito di ristrutturare lo stabile, dividerlo in tre appartamenti e consegnare i soldi ricavati dalle vendite a Lucilla, amante di Caio.
In questo caso il contratto a favore del terzo è uno strumento per creare una fiducia liberalità, che si concreta nell'atto liberale da parte di Terzo a favore del designato, nello specifico Lucilla.
Nel quadro delle liberalità indirette [nota 6], all'interno dell'analisi delle forme di intestazione in nome altrui mediante il contratto a favore del terzo, interessano, pertanto, il caso di donazione indiretta e il caso di interposizione reale con scopo liberale, escludendo, invece, tutte le ipotesi in cui la nomina a favore del terzo abbia una causa di adempimento di una pregressa obbligazione.
In particolare, gli interessi coinvolti a cui dobbiamo necessariamente prestare attenzione sono quelli dei legittimari, che potrebbero veder lesa la loro quota di legittima mediante un contratto a favore del terzo, valutando come gli strumenti dell'ordinamento operino in loro soccorso in tale situazione; e gli interessi del Fisco, a recuperare un'imposta supplementare. In tale seconda ipotesi, il Fisco, per poter avanzare pretese sull'imposta di donazione mascherata deve venire a conoscenza del negozio donativo mimetizzato.
Prima però di affrontare queste problematiche è doveroso fare una preliminare analisi relativa agli effetti del contratto a favore del terzo e alla possibilità che il contratto a favore del terzo produca effetti reali.
Effetti del contratto a favore del terzo ed effetti reali
L'efficacia del contratto nei confronti del terzo è diretta ed immediata. Però l'attribuzione del diritto a suo favore non è definitiva sino al momento in cui il terzo non dichiara, anche nei confronti del promittente, di volerne profittare. Fino a questo momento la clausola a favore del terzo può essere revocata o modificata dallo stipulante, in considerazione proprio della necessarietà del suo interesse [nota 7].
Proprio l'interesse dello stipulante è l'elemento caratterizzante la fattispecie. Interesse che normalmente nei contratti non è rilevante, mentre nella fattispecie di cui al 1411 c.c. è elemento essenziale e necessario. Proprio all'interno del meccanismo che richiede la necessità della sullsitenza dell'interesse dello stipulante, che deve essere presente, ma non è specificato di che tipo debba essere, è inserita la possibilità di effettuare una donazione indiretta mediante il negozio a favore del terzo.
L'interesse dello stipulante al trasferimento degli effetti a carico del terzo è in equilibrio con l'interesse del terzo a ricevere gli effetti del contratto. Il legislatore disciplina questo equilibrio anteponendo sempre l'interesse dello stipulante, che può revocare la clausola a favore del terzo sino al momento in cui il terzo, dichiarando di volerne profittare, non consolida gli effetti.
La dichiarazione di volerne profittare è controbilanciata dal potere del terzo di rifiutare l'acquisto, che può essere espresso in qualunque momento, purché precedente alla dichiarazione di volerne profittare o alla revoca dello stipulante.
Il potere del terzo di rifiutare è uno strumento necessario di riequilibrio della possibilità che il contratto produca effetti nei confronti un soggetto che non ha concorso alla formazione del contratto stesso.
Con tale meccanismo, duplice, di revoca e di rifiuto, il legislatore ha creato il meccanismo di bilanciamento dell'interesse dello stipulante al trasferimento degli effetti del contratto in capo al terzo con l'interesse del terzo a ricevere detti effetti.
La produzione di effetti nei confronti dei terzi, infatti, è un'eccezione al principio generale della relatività del contratto. Questo principio, che ha trovato espressa affermazione all'art. 1372 c.c. [nota 8], ha la sua naturale ratio nell'esigenza di garanzia e rispetto della sfera giuridica di ciascuno [nota 9].
Un'altra norma, però, anch'essa di carattere generale, l'art. 1333 c.c., depone a favore della possibilità che l'atto unilaterale di un soggetto possa interferire con la sfera di un terzo il cui comportamento positivo non è rilevante [nota 10]. Anche questa norma prevede la possibilità per il terzo il potere di respingere gli effetti nel suo patrimonio, per quanto positivi essi siano, lasciando allo stesso una valutazione squisitamente personale della convenienza dell'ingerenza [nota 11].
L'esigenza di intangibilità della sfera, pertanto, è salvaguardata dalla possibilità di rifiuto, che ben è presente nel contratto a favore del terzo.
Oggetto della liberalità
L'oggetto della liberalità è il tema centrale delle problematiche inerenti l'utilizzo del contratto a favore del terzo.
Quale sia effettivamente l'oggetto della liberalità acquista una valenza pratica di certo rilievo se solo si pensa che le norme relative a collazione, imputazione e riunione fittizia si applicano al valore del bene oggetto della donazione al momento dell'apertura della successione del donante. Pertanto, stabilire con certezza se, nel caso di intestazione di immobile in nome altrui mediante contratto a favore di terzo, con spirito di liberalità, oggetto debba considerarsi sempre il bene immobile o in alcune situazioni possa essere considerato tale il denaro è questione di primario rilievo: come ben sappiamo tutti, da un lato, il denaro con il passare del tempo si svaluta; dall'altro, l'immobile, nello stesso tempo si rivaluta enormemente [nota 12].
Tre sono le questioni da affrontare, in maniera distinta e separata, poichè ciascuna ha la sua fonte normativa distinta e supportata da rationes simili ma non coincidenti.
La prima problematica attiene alla necessarietà di applicare l'azione di riduzione e nello specifico a quale bene tale azione vada applicata, considerando che l'oggetto dell'impoverimento del donante e dell'arricchimento del donatario non coincidono. Infatti, dal patrimonio del donante esce una somma quantificata di denaro, mentre nel patrimonio del donatario entra un bene immobile.
La seconda questione attiene all'azione di restituzione, collegata e conseguente alla azione di riduzione, per vedere se questa possa essere effettivamente esercitata sopra l'immobile, poiché è azione reale e quindi sopra il denaro non avrebbe senso, oppure se nel caso specifico sia svuotata della sua pregnante valenza di garanzia a causa dello strumento indiretto per attuare la liberalità.
Infine, la terza ed ultima questione attinente l'oggetto della liberalità è relativa a quanto debba essere oggetto della collazione, soprattutto in considerazione della ratio sottesa ad essa.
Inoltre, la problematica relativa all'oggetto della donazione non diretta risulta evidentissima nel caso di revocazione della stessa: in un'ipotesi il donante potrà pretendere la restituzione del bene, nell'altra soltanto il denaro impiegato per l'acquisto [nota 13]. Si palesa evidente l'ingiustizia sostanziale nel caso concreto di revoca per ingratitudine, se si considera il bene immobile non recuperabile, perchè lasciandolo al donatario ingrato gli viene permesso un ingiustificabile arricchimento.
La questione si ripropone negli stessi termini per i creditori del donante in sede di azione revocatoria [nota 14]. In questa diversa situazione concreta, l'ingiustizia sostanziale si verifica, al contrario, qualora il creditore recuperi il bene, che si è accresciuto di valore, poichè il donatario viene privato del bene, senza aver compiuto nulla di male, mentre i creditori del donante ricevono un bene di valore superiore al loro credito.
Per meglio comprendere la complessità della vicenda relativa alla determinazione storica dell'oggetto sociale è opportuno ripercorrere brevemente le varie posizioni assunte da dottrina e giurisprudenza nel tempo.
Si deve osservare come tali posizioni hanno avuto uno sviluppo storico alternato, assumendo prima l'una, poi l'altra posizione e infine ancora la prima. In particolare al momento dell'emanazione del codice del 1942 la dottrina e la giurisprudenza hanno assunto una univoca posizione a favore del considerare oggetto della donazione il denaro uscito dal patrimonio del donante [nota 15].
Principalmente, le argomentazioni addotte a sostengno di questa posizione sono due. La prima, di ordine sistematico, partiva dal presupposto oggettivo che il problema dell'oggetto della liberalità era problema già noto nella vigenza del codice del 1865, ed era stato affrontato nei lavori preparatori del codice attuale. In particolare, nel progetto preliminare del libro II era stato inserito un articolo, il 357, il cui terzo e quarto comma contenevano le seguenti disposizioni: «se però consta che il donatario ha dato al danaro uno stabile investimento, esso deve imputare alla propria quota il valore della cosa nella quale il denaro è stato convertito. Se consta che l'ascendente ha con denaro proprio acquistato un immobile al nome del discendente, questi è tenuto a conferirlo agli altri coeredi».
Le due norme furono poi eliminate in forza della considerazione che lo scopo del donante è la scelta delle modalità di beneficiare il donatario non possono in alcun modo modificare il meccanismo della collazione e la ratio della stessa, che altro non è che far rientrare nel patrimonio del de cuius ciò che vi è uscito con la donazione.
La Relazione sul Progetto definitivo del codice, n. 216, ben evidenzia come, in entrambe le ipotesi prospettate dai due commi sopra citati, ciò che esce dal patrimonio del defunto è denaro, e pertanto "è giusto che l'erede restituisca il denaro".
La dottrina approvò prontamente questo indirizzo, volto a qualificare il denaro come oggetto della liberalità e pertanto considerarlo come debito di valuta, al quale rapidamente si adeguò anche la giurisprudenza [nota 16].
La seconda considerazione che sostiene tale posizione si basa sul fatto che nello stabilire quale fosse il bene da conferire in collazione in tema di assicurazione, il legislatore ha espressamente scelto il denaro, all'art. 1923 c.c.
Da tale scelta applicativa espressa si è identificato un principio di fondo, quello di conferire in collazione quanto effettivamente uscito dal patrimonio del de cuius [nota 17].
Con il trascorrere del tempo si è affermata una più rigida interpretazione, in forza della quale l'oggetto della liberalità, e quindi oggetto del conferimento ai fini della collazione, è il bene acquistato, in forza di un'argomentazione articolata [nota 18]. Il punto di partenza di tale ricostruzione è che non si deve confondere arricchimento con trasferimento, poiché il primo è una nozione economica e il secondo è un atto giuridico [nota 19]. L'arricchimento, infatti, può essere procurato non solo con il trasferimento diretto ma anche ottenendo che un terzo trasferisca a favore del donatario e la volontà del donante è indirizzata specificatamente verso l'arricchimento e non verso il proprio impoverimento [nota 20].
Tale orientamento è stato accolto anche sulla base di un sentimento di equità. Infatti, è stato proposto a fronte di una serie di situazioni in cui l'immobile era stato intestato ai figli prima della guerra in cambio di somme pagate dal genitore che risultavano al momento del conferimento come irrisorie [nota 21]. La considerazione di politica del diritto retrostante ha come punto sostanziale che la soluzione di ciascuna ipotesi di conferimento sarebbe dipesa soltanto dalle abilità tecniche del professionista consultato per la scelta del tipo di procedimento utilizzato per attuare l'intestazione del bene immobile in capo al figlio.
L'indirizzo così consolidato comprendeva tutte le ipotesi di intestazione in nome altrui, facendo proprio leva sul concetto di interesse all'intestazione del bene donato in capo al donatario, per utilizzare il valore di questo ai fini di collazione e imputazione [nota 22].
Nell'ipotesi di intestazione di immobile in nome altrui tramite contratto a favore di terzo, si devono poi effettuare alcune osservazioni che in linea di principio rafforzano questa ratio. In primo luogo, è evidente e certa l'intenzione del disponente, che ha voluto vincolare, senza lasciare il campo ad iniziative alternative, il suo depauperamento all'effettivo acquisto del bene in capo al donatario. La rivalutazione dell'aspetto volontaristico è estremamente forte nella Cassazione del 92 [nota 23].
Il secondo aspetto, strettamente connesso al primo, è l'automaticità dell'intestazione del bene immobile al donatario per effetto dell'esborso di danaro da parte del donante [nota 24]. Pertanto, mentre nell'ipotesi in cui il disponente consegna al donatario del denaro, la correlazione fra la donazione dello stesso e l'acquisto del bene è «mediata dalla volontà del donatario che imprime al danaro quella particolare direzione, ancorché prevista, invece, si può dire che l'esborso del danaro pagato al terzo procura direttamente ed automaticamente il beneficio dell'acquisto nel patrimonio del donatario, senza alcuna intermediazione del donatario, come se a quest'ultimo l'immobile fosse pervenuto direttamente dal donante previo acquisto di esso» [nota 25].
Un criterio proposto per dirimere la nozione di oggetto della liberalità suggerisce di rinunciare a stabilire a priori una determinata nozione di oggetto della liberalità indiretta e focalizzare l'attenzione sulla ratio delle singole norme in relazione alle quali diventa rilevante definire l'oggetto della liberalità [nota 26].
Certo è che dall'analisi attenta dello sviluppo storico di dottrina e giurisprudenza sin qui svolta è possibile dare per assodato, quale punto di partenza di ogni ed ulteriore ragionamento, che qualunque procedimento di arricchimento indiretto, comunque strutturato, che comporti l'acquisto di un bene immobile in capo al donatario ha come oggetto di collazione proprio il bene immobile.
Norme dettate in tema di donazione applicabili all'intestazione di immobile in nome altrui tramite contratto a favore di terzo
In base all'art. 809 c.c alle donazioni indirette si applicano le norme relative alla revocazione delle donazioni, alla loro riduzione, alla collazione, oltre ad altre norme, che, pur non richiamate espressamente, devono ritenersi applicabili, come ad esempio gli articoli 787 e 788 cc. (in tema di errore sul motivo e di capacità di donare), l'art. 2901 c.c., l'art. 64 L. fall.
Vi sono, poi, una serie di divieti dettati per le donazioni la cui applicabilità alla fattispecie in esame, non richiamata espressamente, non risponde nemmeno alle finalità di tutela alla base dei divieti stessi.
La prima questione da affrontare è la applicabilità alla donazione indiretta effettuata mediante contratto a favore del terzo della norma dettata in tema di riduzione.
Per fare ciò è necessario analizzare accuratamente quale sia il negozio da cui deriva l'impoverimento del donante e l'arricchimento del beneficiario. Infatti, come già abbiamo visto, il contratto a favore del terzo è schema negoziale e l'interesse dello stipulante può avere quale motivo pratico la liberalità o l'adempimento di una pregressa e precedente obbligazione, che funge come rapporto di provvista rispetto alla nomina del terzo.
Ora, se partiamo dal presupposto che il contratto a favore del terzo si presenta identico, sia che la clausola a favore del terzo sia solvendi che donandi causa, dobbiamo chiederci cosa in realtà differenzi le fattispecie dal punto di vista giuridico.
Non è, infatti, la nomina che integra la liberalità [nota 27]: è l'assenza di un precedente rapporto di provvista o l'assenza di un seguente atto di pagamento o di restituzione di quanto ricevuto.
Se, infatti, il donante stesse adempiendo un'obbligazione valida, dubbi non sussisterebbero in merito alla irripetibilità di quanto pagato. Se, ugualmente il donante ricevesse un pagamento in denaro o per equivalente del bene trasferito con la clausola a favore del terzo, ugualmente non si avrebbero dubbi in merito alla irripetibilità di quanto pagato.
Il problema si presenta, quindi, quando il donante non ha ricevuto precedentemente dal terzo un adempimento di pari valore e non lo riceve nemmeno in un momento successivo.
è proprio in questo momento successivo, in cui il donante non fa valere la sua pretesa restitutoria, rinunciandovi di fatto, che si ha effettivamente una donazione.
Pertanto, impropriamente si dice che la liberalità è attuata con la nomina del terzo: l'arricchimento deriva dall'intero schema negoziale programmato, dove la liberalità è frutto di una materiale rinuncia al credito nei confronti del terzo nominato, credito derivante appunto dalla nomina che produce il trasferimento del bene immobile direttamente in capo al terzo.
Possiamo, quindi, affermare che, nello schema negoziale di intestazione di immobile in nome altrui, la liberalità indiretta si realizza con la mancata escussione del credito in un momento successivo alla dichiarazione di nomina.
Utilizzando questo come punto di partenza, la questione si modifica leggermente di prospettiva: siamo sempre in presenza di una donazione indiretta, attuata con le modalità di una materiale remissione del debito.
Per quanto riguarda l'oggetto della riduzione, il problema si sposta nella sua visuale di insieme, seppur non di molto.
Infatti, la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite non lascia certamente spazio ad aperture, [nota 28] almeno non sino ad una nuova pronuncia con motivazioni differenti. Questo in considerazione del fatto che, non solo le conclusioni, per le quali deve essere conferito in collazione l'immobile, sono esplicite e difficilmente superabili, ma anche le motivazioni mediante le quali si arriva a tale conclusione sono da tenere in alta considerazione.
In particolare, la Cassazione valuta con molto risalto l'effetto voluto dal disponente nell'intera operazione: ciò che rileva per il donante è «l'arricchimento, senza corrispettivo, del destinatario del trasferimento, sicché l'oggetto della donazione è l'oggetto stesso dell'arricchimento, ossia l'immobile acquistato» [nota 29].
Pertanto, per questo principale motivo e in considerazione della ratio della collazione, mi pare insuperabile la conclusione che oggetto della collazione debba sempre essere il bene immobile.
La sentenza, proprio in tema di collazione, appoggia quale ratio dell'istituto la par condicio degli eredi. Non bisogna però sottovalutare che esiste anche una componente certa di intenzione a ristabilire il patrimonio del de cuius nella sua integrità [nota 30]. Invero, le disposizione sulla collazione configurano le donazioni fatte dal de cuius come anticipazione della successione e si propongono di assicurare la parità di trattamento non solo fra i legittimari, ma anche fra i legittimari da una parte e i beneficiari della disponibile dall'altra. Il bene donato pertanto viene in rilievo come rappresentativo di una parte del patrimonio ereditario [nota 31].
Nell'analisi di oggetto di riduzione e restituzione, invece, la questione si ripresenta, in tutti i suoi aspetti, decisamente più delicata.
L'azione di riduzione è «un'azione personale di accertamento costitutivo: accertamento al quale segue automaticamente, ipso iure, la modificazione giuridica che forma il contenuto del diritto del legittimario» [nota 32]. è un'azione di impugnativa negoziale. In particolare, «l'azione di riduzione - essendo la sentenza dotata di retroattività reale - fa sì che il bene donato si consideri, nei confronti del legittimario, come mai uscito dal patrimonio del defunto, onde il legittimario acquista in forza della vocazione necessaria che si produce in suo favore, cioè lo acquista come erede» [nota 33].
La vicenda che l'azione di riduzione è volta a rendere inefficace è l'atto di liberalità. Come abbiamo prima evidenziato, l'atto di liberalità è costituito non dal negozio del terzo, né dalla clausola a favore del terzo, perchè già abbiamo visto come non sia questa a concretare la liberalità. Il negozio che l'azione di riduzione rende inefficace è l'atto di materiale rinuncia all'escussione del credito, la sua mancata esecuzione o una vera e propria remissione formale dello stesso, nei casi in cui non sussistesse un precedente rapporto di provvista fra il donante e il terzo beneficiario.
In questo modo, il legittimario vittorioso in riduzione acquisterebbe il credito verso il donatario come mai uscito dal patrimonio. Credito che non può mai essere il bene immobile, perchè questo non è mai transitato dal patrimonio del donante [nota 34].
Si pone però a questo punto l'annosa questione della quantificazione del valore del denaro [nota 35], che diminuisce nel tempo, rispetto a quello dell'immobile, che si rivaluta e cresce.
Nel rispetto delle varie pulsioni giuridiche e morali rivalutate dalla Cassazione e nel momento in cui il bene donato si quota come parte rappresentativa del patrimonio del donante, la sua traduzione in termini monetari non può ragionevolmente rispondere a criteri diversi a seconda che l'oggetto della donazione sia rappresentato da una somma di denaro o, piuttosto, da un bene mobile o immobile: in tutti i casi deve tenersi conto dell'accumulazione di valore che nel tempo l'oggetto della donazione ha registrato [nota 36].
Si può, quindi, affermare che oggetto della riduzione, in presenza di una liberalità indiretta attuata con intestazione di nome altrui mediante contratto a favore del terzo, sia, in linea di principio, l'equivalente in denaro del bene donato con la somma effettivamente uscita dal patrimonio del donante [nota 37].
Il problema diventa ancor più corposo se si affronta l'applicabilità delle garanzie reali di cui agli artt. 561 e 563 codice civile.
Non dobbiamo, infatti, dimenticare che azione di riduzione e di restituzione sono tutele dei diritti dei legittimari, in un ordinamento che ha sempre considerato il patrimonio come bene stabile della famiglia e il comune sentire si aspettava che ogni famiglia vivesse della rendita del patrimonio senza intaccarlo, salvo ragioni specifiche, e trasmettesse il patrimonio, uguale o accresciuto, ai figli, che si sarebbero dovuti comportare nello stesso modo.
Proprio in quest'ottica la tutela del patrimonio della famiglia ha sempre ricevuto maggior attenzione rispetto alla tutela dell'affidamento di qualunque terzo avente causa dall'acquirente a titolo gratuito del disponente.
Infatti, ogni volta che il donatario compie atti di alienazione o di costituzione di diritti reali o di garanzia aventi ad oggetto i beni ricevuti in donazione, la tutela dei legittimari del disponente entra in vistoso conflitto con la tutela dei terzi aventi causa dallo stesso [nota 38].
Proprio per questi motivi, la tutela di cui stiamo trattando, degli artt. 561 e 561, si presenta come un aspetto delicatissimo, sopratutto in considerazione che è stata oggetto di una recente riforma, che purtroppo, ha riformato troppo poco e ha trascurato senza dubbio il problema delle liberalità indirette.
L'azione disciplinata dall'art. 561 c.c. è azione di riduzione vera e propria diretta contro il beneficiario della disposizione lesiva, ha quale petitum i beni in natura, o l'equivalente in denaro se i beni sono stati alienati, e ha l'effetto immediato della restituzione degli stessi all'attore leso.
Invece, l'azione dell'art. 563 c.c. è un'azione di restituzione, condizionata nella causa petendi al passaggio in giudicato della riduzione, nonché all'escussione infruttuosa, almeno parzialmente, del patrimonio del beneficiario [nota 39]. Il petitum di tale azione diverge sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello qualitatitivo: «ciò che si chiede sono soltanto i beni e al convenuto è accordato il diritto di trattenerli pagando l'equivalente» [nota 40].
é opportuno marcare l'accento sul fatto che lo scopo di questa azione sia solo la restituzione del bene; per sottolineare chiaramente ciò si ricorda che nel caso in cui il bene sia perito in capo al terzo acquirente dal donatario, ovvero è stato da quest'ultimo gravato di pesi, al legittimario non compete il diritto a farsene corrispondere dal terzo il valore o la differenza di valore [nota 41].
Inoltre, la differenziazione fra i due articoli si palesa se solo si riflette sul loro diverso modus di operare: l'art. 561 c.c. opera automaticamente, una volta esperita la riduzione; quanto all'art. 563 c.c., è necessaria, invece, una seconda azione, quella di restituzione.
Le evidenziate differenze sembrano giustificare pienamente la conclusione di attribuire natura personale all'azione contro i beneficiari della disposizione ridotte e natura reale all'azione contro i terzi aventi causa [nota 42].
A queste considerazioni si deve aggiungere il fatto che la riforma è stata emanata nel contesto del decreto di competitività, proprio al fine di cercare in qualche modo di disattivare il meccanismo di tutela dei legittimari nella sua parte di rallentamento e complicazione della circolazione dei beni.
Affidamento del terzo e circolazione dei beni sono principi di ordine pubblico che sino ad oggi sono sempre stati postergati nella tutela rispetto a quella dei legittimari.
In questo contesto la lettura della struttura negoziale della liberalità indiretta attuata mediante negozio a favore del terzo, con rivalutazione dell'effettivo atto liberale nella mancata escussione del credito derivante dalla clausola di nomina, si presta ad un'applicazione pratica di indubbio vantaggio per la circolazione.
Infatti, richiamando quanto già detto per l'azione di riduzione, si evidenzia come a maggior ragione valga per l'azione di restituzione. In particolare, se l'azione di riduzione rende inefficace l'atto di disposizione gratuito, la restituzione serve per recuperare al legittimario leso materialmente il bene fuoriuscito dal patrimonio.
Ora, il bene effettivamente fuoriuscito è un credito, ovvero il diritto di ottenere una prestazione di pari valore a quella effettuata dal donante al momento della rinuncia a richiedere il bene o della remissione del debito per equivalente.
Risulta di facile intuizione che la conclusione di questo ragionamento porta esattamente a ripetere quanto detto per la riduzione: il diritto del legittimario continua ad esser un diritto ad ottener del denaro. La quantità di questo, per la ricostruzione del negozio inefficace per riduzione, è il valore dell'immobile al momento dell'apertura della successione.
Ma non può essere l'immobile, né può sussistere un diritto di sequela verso lo stesso, per l'indiscutibile fatto giuridico che il bene non è mai transitato nel patrimonio del de cuius.
Questa ricostruzione negoziale del contratto a favore del terzo come strumento di liberalità indiretta ha il grosso pregio di tutelare nel medesimo modo il diritto del legittimario alla quota di riserva e l'affidamento del terzo. Infatti, il terzo beneficiato è tenuto a risarcire ai legittimari il valore attuale di quanto acquistato con il denaro ricevuto nella liberalità indiretta, ma il bene riesce a circolare liberamente, con grosso vantaggio per la certezza e la stabilità dei traffici giuridici [nota 43].
Doveroso a questo punto ricordare che la disattivazione di alcuni meccanismi dettati a presidio delle liberalità dirette per le fattispecie di liberalità indirette è strumento noto al legislatore.
Fra le norme che si devono ritenere parzialmente disattivata per le liberalità indirette, dobbiamo necessariamente ricordare il divieto dettato dall'art. 771 c.c. per la donazione di beni futuri, divieto qualificato come di ordine pubblico per le donazioni dirette. Il fondamento del divieto viene prevalentemente individuato nell'incapacità del donante di rendersi ben conto del gesto che sta compiendo per l'attuale inesistenza del bene. Questa motivazione non sussiste nel momento in cui la liberalità è attuata per via indiretta, poiché la futurità riguarda solo l'arricchimento del beneficiario, mentre l'impoverimento del donante è contestuale all'atto di liberalità indiretta [nota 44].
Le stesse argomentazioni si possono riproporre per il divieto di beni altrui, poiché l'altruità del bene è stata spesso equiparata alla futurità nella capacità di contezza del donante.
Problemi pratici:
Trascrizione
Mi pare che dopo quanto discusso sin qui, sia possibile dare per assodato che sia possibile ammettere il contratto a favore del terzo ad effetti reali.
Proprio per la tutela della circolazione come principio di ordine pubblico che non può certo trascurarsi, è necessario affrontare come si ponga tale contratto rispetto al nostro sistema di pubblicità immobiliare.
Il primo aspetto scientifico da considerare è la tassatività dell'elenco degli atti passibili di segnalazione pubblicitaria sembra discendere dal principio di legalità che presiede all'attività della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) [nota 45].
Gli interpreti, sulla spinta di esigenze pratiche, hanno lavorato per l'espansione, se non altro interpretativa, degli atti soggetti a trascrizione, all'interno dell'ambito delle singole categorie, che indiscutibilmente sono oggetto di un elenco tassativo [nota 46].
In particolare, la lettura restrittiva è stata superata evidenziando come la tassatività debba essere riferita agli effetti degli atti da trascrivere, sulla scorta del disposto dell'art. 2645 c.c. [nota 47]
Si può facilmente affermare che il contratto a favore del terzo, con effetti reali, produce uno degli effetti di cui all'articolo 2643 c.c. e pertanto non può dubitarsi che il contratto a favore di terzo debba trascriversi.
La questione è estremamente rilevante in forza della funzione principale della trascrizione: la sua idoneità a dirimere il conflitto tra più aventi causa dal medesimo autore.
Inoltre, la struttura del sistema pubblicitario, improntata su un sistema formale destinato a ingenerare affidamento, si basa sul principio di continuità delle trascrizioni. Esso è uno dei sistemi correttivi dettati dal legislatore per garantire il buon funzionamento del sistema pubblicitario su base personale. La continuità delle trascrizioni è rispettata se esiste una linea continua di passaggi dove l'acquirente di un trasferimento è il venditore in quello seguente e così via.
è pertanto necessario valutare come si colloca il contratto a favore del terzo di fronte a questi due principi e come materialmente si possa porcedere alla sua pubblicità.
Sul piano soggettivo, chiunque può sottoscrivere e presentare la nota di trascrizione, non solo stipulante e promittente, ma anche il terzo.
Sicuramente il contratto può essere trascritto immediatamente una volta stipulato, senza bisogno di attendere la dichiarazione del terzo di accettazione o di rifiuto, che, una volte avvenute, dovranno anch'esse ricevere adeguata pubblicità.
In particolare, la norma che meglio si presta ad applicazione analogica è quella dettata per i legati [nota 48]: l'art. 2648, comma 4 c.c., poiché prevede esattamente la medesima ipotesi in cui l'effetto attributivo si produce in virtù di un negozio a cui non concorre il beneficiario e in assenza di un atto positivo posto in essere dallo stesso [nota 49].
è, infatti, l'atto posto in essere dallo stipulante che deve essere trascritto, contro il promittente e direttamente a favore del terzo.
Consegue, poi, alla scelta giuridica di fondo della qualifica data all'atto di rifiuto o di adesione del terzo la necessità o meno di dare pubblicità all'atto. Infatti, qualora si decida di configurare l'atto come perfetto anche in assenza di adesione, allora trascrizione la dichiarazione del terzo di voler profittare della stipulazione a suo favore non richiede trascrizione [nota 50].
Qualora invece si qualifichi la dichiarazione di adesione del terzo come evento che impedisce il verificarsi della condizione risolutiva del negozio, quali sono, rispetto all'acquisto, la dichiarazione del terzo di non voler profittare del contratto e la revoca dello stipulante, allora deve necessariamente essere trascritta [nota 51].
Pare opportuno per l'atto di adesione richiamare l'art. 2688 c.c., dettato per i casi di mancato avveramento della condizione risolutiva.
Quanto, invece, agli atti di rifiuto e di revoca, si applica ad essi l'art. 2655 c.c. dettato in tema di avveramento di condizione. Però, con un semplice annotamento non si avrebbe pubblicità del riacquisto a favore del promittente. Pertanto, non fosse altro che ai fini di continuità delle trascrizioni, si dovrebbe procedere a trascrivere l'avveramento della condizione risolutiva a favore del promittente e contro il terzo.
Trattamento fiscale
Proprio i profili fiscali impongono alcune riflessioni soprattutto in tema di intangibilità della sfera patrimoniale del terzo, riportando alla mente il dibattito dottrinale relativo all'esperibilità del contratto a favore del terzo con effetti reali. Infatti, alcuni effetti derivanti dall'acquisto di beni immobili possono produrre effetti non necessariamente favorevoli dal punto di vista fiscale.
Inoltre, bisogna partire dall'evidenza che il legislatore fiscale non ha in alcun modo disciplinato il contratto a favore del terzo.
Bisogna, infine, tenere conto, nella valutazione fiscale del contratto a favore del terzo, che la complessità del negozio dal punto di vista degli spostamenti patrimoniali può facilmente essere considerata come pluralità di spostamenti, con intuibili e gravose conseguenze.
Proprio in quest'ottica è opportuna una attenta lettura dell'art. 20 del D.P.R. 131/86, che prevede che gli atti sono tassati in base all'intrinseca natura e agli effetti. Se, infatti, procedo a tassare semplicemente in base agli effetti, mi trovo con due distinti effetti non reciproci, ovvero l'arricchimento del terzo e il vantaggio del promittente. Pertanto è la natura intrinseca e l'unicità della causa il criterio guida della mia tassazione.
Dal punto di vista soggettivo, il terzo resta estraneo all'atto e pertanto non è soggetto obbligato a richiedere la registrazione dello stesso e non è obbligato solidalmente al pagamento della relativa imposta. Sarà responsabile solo nel caso intervenga all'atto, in base all'art. 57, comma 6 del D.P.R. 131/86, e sarà perciò responsabile di tutte le imposte derivanti da esso, principale, ma anche complementare e suppletiva.
L'aliquota applicabile sarà quella standard per il trasferimento di immobili: la clausola di deviazione degli effetti in capo a soggetto diverso dalla parte non altera il regime tributario del negozio [nota 52]: se trattasi di trasferimento immobiliare aliquote e base imponibile saranno quelle proprie del bene trasferito [nota 53], sulla base imponibile abituale, ovvero quella catastale per il caso di applicabilità della clausola "prezzo valore", o dell'importo dichiarato in atto per gli altri casi.
In caso di eventuali agevolazioni, queste possono comunque essere richieste se il terzo gode dei requisiti, anche se il terzo non è presente in atto. Potrà effettuare la dichiarazione della sussistenza dei requisiti in capo a lui lo stesso stipulante. La norma fiscale, infatti, impone che la richiesta sia effettuata dalla parte.
Una problematica che si può facilmente presentare è il calcolo della plusvalenza a carico del terzo beneficiario eventualmente rivendente: questa si deve calcolare sul prezzo pagato dallo stipulante.
La dichiarazione del terzo di volerne profittare produce l'effetto di rendere definitivo l'acquisto del terzo, estinguendo i poteri di revoca e rifiuto: poichè non influenza il negozio già tassato soggiace ad imposta di registro nella misura fissa [nota 54].
Qualche difficoltà maggiore nella tassazione lo pongono revoca e rifiuto. Entrambi gli atti producono un effetto risolutorio, che impedisce l'effetto acquisitivo in capo al terzo, attribuendo la titolarità del bene immobile a promittente o a stipulante, secondo quanto previsto nel contratto originario. Revoca e rifiuto operano ex tunc, al pari di una condizione risolutiva.
La risoluzione, quanto all'imposta di registro, trova specifica disciplina nell'articolo 28 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il quale stabilisce che «la risoluzione del contratto è soggetto ad imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa nel contratto ovvero mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto ... ». La ratio della norma è stata rinvenuta pacificamente «nella circostanza per cui il legislatore fiscale ha voluto tassare come trasferimento le vicende risolutorie che potessero paventare (magari a scopi elusivi) veri trasferimenti, riconoscendosi viceversa all'autentico effetto risolutivo, un trattamento fiscale leggero (la cosiddetta tassa fissa)» [nota 55].
[nota 1] CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1996, 1.
[nota 2] Fino al 1973 il contratto era utilizzato anche per eludere il divieto di donazione tra coniugi, che in quell'anno è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 91, 22 giugno 1973.
[nota 3] In considerazione del fatto che la formazione del contratto non è imputabile al terzo, che acquista, il contratto a favore del terzo si presta ad essere utilizzato in una serie di situazioni per le quali sarebbe necessario ottenere un'autorizzazione giudiziale prima di poter procedere all'acquisto. Le ipotesi a cui si fa riferimento sono i casi di terzo minore o incapace, anche se tale contratto non ha la diffusione che meriterebbe. La possibilità di stipulare un contratto a favore di un soggetto non dotato di capacità d'agire è orami dato giuridico indiscusso. La fattispecie più utilizzata dalla prassi è sicuramente l'acquisto di beni compiuto dai genitori a favore del figlio minore, che normalmente presenta le due problematiche dell'autorizzazione e del conflitto d'interessi. La Cassazione ha, correttamente, stabilito che, nell'ipotesi di acquisto d'immobile da parte del genitore a favore del figlio minore, non sia necessaria alcuna autorizzazione; vedi Cass. 11/1985; anche se parte della dottrina è contraria, vedi DE ROSA, La tutela degli incapaci, Milano, 1962, p. 111.
Il figlio minore acquisterà il diritto immediatamente al momento del contratto e resterà soltanto soggetto all'eventuale revoca del genitore stipulante. In tale fattispecie, in effetti, il genitore, non agendo quale rappresentante legale del minore, non deve soggiacere alle regole proprie della legale rappresentanza e non incontra le problematiche del conflitto di interessi. Queste si palesano solo e soltanto nel caso in cui il contratto a favore del terzo minore sia supportato da una causa solvendi e non, invece, da una causa donandi. Infatti, qualora l'intestazione sia adempimento di una precedente obbligazione diventa necessaria la dichiarazione del minore per consolidare l'acquisto, per la quale è necessario ottenere autorizzazione e nomina di curatore non in conflitto.
[nota 4] MAJELLO, voce Contratto a favore di terzo, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. IV, 1989, p. 237.
[nota 5] Il legislatore ha disciplinato l'effetto di liberalità, generato da atti che, pur avendo una struttura diversa dalla donazione, consentano di raggiungere il medesimo risultato, coerentemente al principio secondo cui la nozione di liberalità non coincide con il contratto di donazione. Nel sistema così ricostruito le liberalità sono una categoria giuridica autonoma e generale, della quale la donazione diretta è species. In senso positivo, G. BALBI, «Liberalità e donazione», in Riv. dir. comm., 1948, p. 175-176, per il quale: «la liberalità è intesa come categoria di negozi (atti, dice l'articolo 809), dei quali uno è il contratto di donazione. Indubbiamente tra i negozi di liberalità (compreso il contratto di donazione) vi sono elementi comuni, anzi può dirsi che l'un negozio di liberalità differisce dall'altro per l'assenza di un certo elemento o per la presenza di un certo altro elemento, rimanendo comuni la maggior parte dei requisiti: ma è erroneo configurare la liberalità come questo o quell'elemento o requisito della donazione o della gratuità». Cfr. CARNEVALI, op. cit., p. 215, «la liberalità va configurata tecnicamente come un effetto economico che discende direttamente o indirettamente dall'adozione di svariati strumenti, e non già invece come una causa».
[nota 6] Qualora il negozio a favore del terzo attui una liberalità, essa è indiretta. Per il complesso tema della donazione indiretta, numerosi sono gli studi e i contributi. Dai progetti di riforma pare che il legislatore, scientemente, non abbia elaborato una definizione di donazione indiretta, preferendo il termine generico liberalità, in quanto «comprende tanto la donazione, come ogni altro atto, il quale produce l'arricchimento di un soggetto con il conseguente impoverimento di un altro». SOLMI, Progetto definitivo e relazione del Guardasigilli, Roma, 1937, p. 132/F; MAROI, Relazione al libro III, delle successioni e delle donazioni, Roma, 1936, p. 107.
Il risultato di questa scelta legislativa è la valorizzazione della liberalità come manifestazione di volontà, racchiusa in un atto tipico o atipico, a seconda della situazione degli assetti concretamente voluti. CASULLI, Donazioni indirette e rinunzie ad eredità o legati, Roma, 1950, p. 51; BIONDI, Chiarimenti, cit., p. 192-194; ID., Le donazioni, Torino, 1961, p. 808-809.
Sotto il termine liberalità si nascondono in realtà due diverse fattispecie: l'effetto materiale e la ragione dell'atto, sia essa la causa del negozio o solo il motivo del disponente.
La rilevanza della liberalità deve essere rapportata con la nozione economica di arricchimento del destinatario, dovendosi necessariamente distinguere l'effetto dal mezzo giuridico utilizzato per produrlo. CARNELUTTI, «Donazione di immobile o donazione di denaro?», in Foro it., 1956, c. 185-186.
La definizione consolidata di negozio indiretto pone l'accento sulla volontà effettiva del negozio prescelto, non per raggiungere lo scopo al quale il negozio è tipicamente predisposto ma perché esso è utile, necessario e strumentale al raggiungimento esclusivamente di quello scopo, diverso ed ulteriore, che è economicamente prevalente nella determinazione delle parti a contrarre. In giurisprudenza, App. Torino 12 dicembre 1941, in Giur. tor., 1942, p. 122; Cass. 22 luglio 1943, n. 1910, inedita; Cass. 11 agosto 1943, n. 2175, inedita; App. Torino 7 agosto 1943, in Giur. tor., 1943, p. 493; App. Palermo 28 aprile 1944, in Foro sic., 1944, p. 55; Cass. 8 agosto 1946, n. 1130, in Foro it., 1947, c. 459; App. Milano 28 giugno 1946, in Temi, 1946, p. 555; App. Cagliari 11 luglio 1946, in Foro sardo, 1946, p. 252; Cass. 4 maggio 1948, in Nuova riv. dir. comm., 1948, p. 157; Cass. 16 novembre 1950, n. 2602, in Giur. it., 1950, p. 492-496; App. Milano 9 gennaio 1953, in Foro pad., 1953, c. 14; Cass. 6 settembre 1960, n. 2427, inedita; Cass. 6 giugno 1960, n. 1478, inedita; App. Trieste 21 giugno 1963, in Foro pad., 1964, c. 208; Cass. 30 gennaio 1968, n. 296, in Giust. civ., 1968, p. 609; Cass. 23 dicembre 1968, n. 4068, in Rep. Foro it., 1969, voce Obbligazioni e contratti, c. 1763; App. Napoli 3 aprile 1970, in Dir. e giur., 1970, p. 918; Cass. 13 novembre 1973, n. 3004, in Rep. Foro it., 1973, voce Contratto in genere, atto e negozio giuridico, c. 616; Cass. 21 luglio 1979, n. 4382, in Giust. civ. mass., 1979, p. 7, la cui massima recita: «il negozio indiretto, il quale è caratterizzato dall'adozione di uno strumento negoziale tipico per realizzare uno scopo diverso da quello che ne costituisce la causa, va distinto dagli effetti anomali o mediati che dalla stipulazione di un contratto tipico derivano come conseguenza al mezzo tecnico adottato»; Cass. 21 dicembre 1984, n. 6650, in Rep. Foro it., 1984, voce Contratto in genere, c. 623.
[nota 7] MAJELLO, op. cit., p. 246.
[nota 8] DE NOVA, Il contratto ha forza di legge fra le parti, Milano.
[nota 9] Comunemente si reputa che qualora l'effetto prodotto sia favorevole al terzo, l'ingerenza nella sua sfera è possibile. Cfr. SESTA, «Contrattazione a favore di terzo», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, p. 958 e ss.; MOSCARINI, I negozi a favore di terzo, Milano, 1970, p. 108.
[nota 10] SACCO, Il contratto, in Tratt. Sacco de Nova, vol. X, Torino.
[nota 11] Si deve evidenziare come «la locuzione "a favore" sta appunto ad indicare che, con tali strumenti negoziali, si possono attribuire soltanto situazioni giuridiche attive o comunque vantaggiose», MAJELLO, op. cit., p. 238; è certo che in nessun caso sia possibile prevedere con tale tipo di contrattazione un obbligo qualsiasi a carico del beneficiario.
[nota 12] Il problema, in realtà, dovrebbe essere affrontato non solo per caso di intestazione in nome altrui di bene immobile, ma di qualsiasi bene, immobile o mobile, soggetto a oscillazioni di valore. La decisione di qualificare oggetto di liberalità ciò che è uscito dal patrimonio deve, infatti, mantenersi costante anche nelle ipotesi in cui il bene acquistato possa aver perduto notevolmente di valore, come potrebbe ad esempio succedere per un pacchetto di azioni. Cfr. DE LORENZO, «Intestazione del bene in nome altrui e collazione: il nuovo corso della Cassazione si consolida», in Foro it., 1993, I, c. 1548.
[nota 13] DI MAURO, «L'individuazione dell'oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell'imputazione ex se e della collazione in alcune fattispecie particolari», in Giust. civ., 1993, II, p. 1973.
[nota 14] DI MAURO, op. cit.
[nota 15] In dottrina cfr. TORRENTE, «In tema di acquisto di immobile a favore dell'erede con denaro del testatore», in Foro it., 1944-46, I, c. 714; CARNELUTTI, «Donazione di immobile o donazione di denaro?», in Foro. it., 1956, IV, c. 185. In giurisprudenza, Cass. 4711/78; Cass. 1255/73; Cass. 3299/62; Cass. 2640/61; Cass. 1195/60; Cass. 1411/59.
[nota 16] TORRENTE, op. cit., c. 714; CARNELUTTI, op. cit., c. 185. Cfr. Cass. 4711/78; Cass. 1255/73; Cass. 3299/62; Cass. 2640/61; Cass. 1195/60; Cass. 1411/59.
[nota 17] Cfr. BASINI, La collazione delle donazioni, La Donazione, in Tratt. diretto da Bonilini, Torino, 2001, p. 1172.
[nota 18] Cass. 9282/92. Le Sezioni Unite hanno affrontato direttamente lo spinoso tema dell'oggetto della liberalità per il caso di intestazione in nome altrui, superando il preminente e precedente orientamento che indicava il denaro come oggetto di collazione.
La sentenza, infatti, evidenzia «l'intimo collegamento» e la volontà del genitore di compiere «un atto di disposizione dell'immobile da parte del genitore a favore del figlio ... con la conseguenza che il beneficiario deve restituire, ai fini della collazione ereditaria, l'immobile e non il denaro fornitogli per l'adempimento dell'obbligo di pagamento».
[nota 19] Cass. 9282/92: «non va confuso l'arricchimento, che è una nozione economica, con il trasferimento, che è una nozione giuridica».
[nota 20] Cass. 596/89, in Riv. not., 1988, p. 1310; conforme Cass. 4986/91; in ripresa dell'orientamento isolato proposto da Cass. 335/46.
[nota 21] La questione di legittimità costituzionale relativa al principio nominalistico applicato alle obbligazioni pecuniarie del donatario conferente è stata dichiarata, per la seconda volta, inammissibile da Corte Cost. 17 ottobre 1985, n. 230, in Foro it., 1986, I, c. 22.
[nota 22] Le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi anche alla luce dei contrasti giurisprudenziali, hanno esteso questa posizione a tutte le ipotesi, eccettuata solo quella della donazione di denaro di cui il donante non conoscesse anzitempo l'impiego che il beneficiato aveva intenzione di attuare. Vedi Cass. 9282/92, in Giust. civ., 1992, I, p. 2991 con nota di AZZARITI, «Somma erogata per l'acquisto di un immobile intestato a soggetto diverso dall'acquirente e collazione».
Le successive sentenze hanno mantenuto l'indirizzo delle Sezioni Unite. Vedi Cass. 13630/1992; Cass. 1257/94.
Si evidenzia come, a sostegno della giustizia sostanziale di questa posizione, il legislatore francese abbia previsto, all'art. 869, novellato appositamente nel 1971, che è soggetto a collazione a riunione fittizia il bene acquistato dal donatario con il denaro elargito ad hoc.
[nota 23] Cfr. nota 18.
[nota 24] MENGONI, Successioni per causa di morte, Successione necessaria, Milano, 1992, p. 204; l'Autore evidenzia come il pagamento del denaro e l'impoverimento del patrimonio del disponente sia la componente di una complessa operazione economica destinata «a far pervenire gratuitamente un determinato bene nel patrimonio del donatario».
[nota 25] CARNEVALI, op. cit., p. 5.
[nota 26] DI MAURO, op. cit., p. 187. In applicazione di tale criterio nei casi di revocazione per ingratitudine del donatario, certamente oggetto della restituzione deve essere il bene, poiché la restituzione del denaro lascerebbe un ingiustificato arricchimento in capo al donatario ingrato. Laddove invece si tratti di revocazione per sopravvenienza di figli ovvero di revocatoria da parte dei creditori, oggetto della liberalità deve essere considerato l'esborso effettivo compiuto dal donante: infatti in ciascuno dei due casi il recupero dell'immobile comporterebbe un ingiustificabile danno a carico del donatario e un ingiustificato arricchimento a favore del donante o dei creditori.
[nota 27] Cfr. il contributo del Notaio Federico Magliulo, il quale evidenzia come anche nel contratto per sè o per persona da nominare non sia la dichiarazione di nomina ad integrare la liberalità.
[nota 28] Cfr. nota 18.
[nota 29] Cass. 9282/92, in Riv. not., 1993, p. 147.
[nota 30] Cfr TASSONI-BELELLI, «Acquisto di bene immobile con danaro altrui e donazione», in Giur. it., 1989, I, 1, p. 1881; N. DI MAURO, op. cit., p. 1163.
[nota 31] DE LORENZO, nota a Cass. 9282/92, in Foro it., 1993, c. 1555.
[nota 32] MENGONI, op. cit., p. 228.
[nota 33] CARNEVALI, Sull'azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di legittima, in Le ragioni del diritto, Scritti in onore di Mengoni, I, Milano, 1995, p. 132.
[nota 34] IACCARINO, «Donazioni indirette. Profili tributari e disciplina dell'imputazione, della collazione e della riduzione», in Notariato, 2007, p. 273.
[nota 35] In merito alla possibilità di disancorare il debito del donatario di somma di denaro dal principio nominalistico imposto dal meccanismo della collazione, cfr. DE LORENZO, nota a Cass. 9282/92, in Foro it., c. 1554.
[nota 36] DE LORENZO, nota a Cass. 9282/92, in Foro it., c. 1555.
[nota 37] IACCARINO, op. cit.
[nota 38] Fra i terzi aventi causa dal donatario nei confronti dei quali è esperibile la tutela del legittimario leso prevista dall'art. 563 c.c. sono compresi anche gli aggiudicatari o gli assegnatari del bene in seguito ad un provvedimento di vendita o assegnazione forzata promosso dai creditori del donatario; vedi Cass. 5 dicembre 1968, n. 3896.
[nota 39] IEVA, «Retroattività reale dell'azione di riduzione e tutela dell'avente causa dal donatario tra presente e futuro», in Riv. not., 1998, p. 1131; cfr. MENGONI, op. cit., p. 305.
[nota 40] IEVA, op. cit., p. 1131.
[nota 41] CIAN, Tutela della legittima e nuove regole introdotte dalla legge n. 80/2005, in atti del convegno "Succesioni e donazioni. Tutela della legittima e circolazione dei beni anche alla luce della legge sulla competitività", Milano, 5-6 luglio 2005, p. 5.
[nota 42] MENGONI, op. cit., p. 305; IEVA, op. cit., p. 1131.
[nota 43] TAGLIAFERRI V., «La riforma dell'azione di restituzione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione», in Notariato, 2003.
[nota 44] Cass. 1257/94 con nota di DE LORENZO, «Intestazione del bene in nome altrui: appunti in margine a una giurisprudenza recente», in Foro it., 1995, c. 614.
[nota 45] Cfr. DE LISE, Della trascrizione, sub art. 2645, Comm. teorico pratico al cod. civ. diretto da De Martino, p. 243.
[nota 46] GABRIELLI, op. cit., p. 434.
[nota 47] BIANCO, La trascrizione immobiliare, in Collana degli studi notarili diretta da Gallo-Orsi, 1987, p. 72 e ss.; SICCHIERO, «La trascrizione e l'intavolazione», in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, p. 104 e 105 ed amplissima bibliografia ivi citata. Cassazione 22 luglio 1969, n. 2764.
[nota 48] Partendo da un'analisi letterale dell'art. 2659 c.c., esso, nel precisare il contenuto della nota di trascrizione, stabilisce che sono necessari gli estremi delle parti. Poiché il terzo, per quanto sopra detto, parte non è, la dottrina si è interrogata sulla compatibilità della norma in esame e la fattispecie in commento optando per la trascrivibilità del contratto a favore del terzo non in forza dell'articolo 2659 citato (il quale riconduce la propria genesi alla funzione di cui all'articolo 2644) bensì in virtù dell'art. 2648 ultimo comma (applicato per analogia). Tale ultima norma consente la trascrizione dell'acquisto del legato in forza di un estratto autentico del testamento; secondo un'applicazione analogica, il terzo, come il legatario, pur essendo estraneo al titolo che è fonte del suo diritto, potrebbe trascrivere presentando copia autentica dell'atto intercorso tra stipulante e promittente.
Il difetto principale che consegue tale impostazione è solo l'attribuzione alla trascrizione di una minor funzione, ovvero quella di soddisfare solo il principio della continuità, nulla garantendo per il caso di doppia alienazione da parte del promittente.
[nota 49] Contra TRIMARCHI, «Il contratto a favore del terzo», in Notariato, 2000, p. 584, sulla scorta principalmente di due considerazioni: a) che la funzione della trascrizione del legato, pacificamente, non ha la funzione sopra indicata come principale ossia quella di cui all'articolo 2644 c.c.; b) che la prevalente dottrina specialistica come anticipato oramai opta per il principio della tassatività degli effetti.
Questi profili potrebbero indurre a rimeditare la questione: infatti non può ragionevolmente escludersi l'ipotesi di un conflitto tra terzo, ed altri aventi causa del promittente, ed in tal caso l'aprioristica inibizione della funzione di cui all'articolo 2644 appare non condivisibile. Nello stesso senso anche GAZZONI, La Trascrizione Immobiliare, Comm. cod. civ. diretto da Schlesinger, Milano, 1998, p. 359.
[nota 50] MOSCARINI, I negozi a favore di terzo, cit., p. 135 e ss.; G.A.M. TRIMARCHI, op. cit., p. 585.
[nota 51] NATOLI, La trascrizione, sub art. 2643, Comm. Utet, Torino, 1959, p. 140.
[nota 52] «Va, al riguardo, segnalata la questione afferente la tassazione degli atti liberali non donativi di cui all'articolo 1 D.lgs. 346/90 in merito alla quale si evidenzia che, come sopra anticipato, la causa del contratto a favore del terzo, ossia quella che determina gli effetti dell'atto e quindi il suo assoggettamento ad un certo trattamento tributario piuttosto che ad un altro è senz'altro quella che concerne il rapporto promittente-stipulante, evidenziandosi il rapporto stipulante-terzo come causa giustificatrice della deviazione degli effetti contrattuali». G.A.M. TRIMARCHI, op. cit.
[nota 53] MAGURNO-LANZILLOTTI, Il Notaio e le imposte indirette, 1998, p. 289-290.
[nota 54] MAGURNO-LANZILLOTTI, op. cit, p. 290.
[nota 55] TRIMARCHI, op. cit., p. 585.
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