Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi
Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi [*]
di Giovanni Perlingieri
Ordinario di diritto privato, Seconda Università degli Studi di Napoli
Il patto di famiglia e la pluralità degli interessi coinvolti. La necessità di rifuggire da analisi descrittive e l'esigenza di proporre soluzioni ragionevoli e conformi ai valori normativi ed alla loro gerarchia
Ogni percorso di ricerca deve esprimere una scelta tematica, un obiettivo e, soprattutto, una opzione di metodo. La disciplina del patto di famiglia è lacunosa e con molte ombre, sí che spetta all'interprete ricondurre l'istituto al sistema e integrarlo con la normativa più adeguata a disciplinare il caso concreto. Il problema non si risolve sul piano descrittivo, e dell'unità logico-razionale, ma consiste nel riuscire a bilanciare con ragionevolezza gli interessi richiamati alla luce dei valori normativi e della loro gerarchia, secondo una c.d. valutazione comparativa [nota 1].
A tale scopo giova, immediatamente, dirimere un possibile equivoco. La ratio del patto di famiglia non può essere individuata mediante la mera contrapposizione tra interesse dell'impresa (tutela del mercato) e interesse dei legittimari (tutela della persona). Il patto di famiglia richiama interessi più complessi poiché risponde all'esigenza di assicurare continuità all'attività d'impresa (stabilità), evitando che il passaggio generazionale della stessa determini una eccessiva frammentazione del controllo e della gestione aziendale, con inevitabili riflessi negativi sull'ordine pubblico non soltanto economico [nota 2]. Una disciplina, quindi, volta a favorire - nel rispetto delle istanze di solidarietà familiare sottese alla posizione dei legittimari [nota 3] - una iniziativa economica funzionale alla utilità sociale (art. 41 Cost.), attenta al mantenimento dei livelli occupazionali (e alle istanze della persona lavoratore; art. 4 Cost.), sensibile alla tutela del risparmio (art. 47 Cost.), dell'autonomia negoziale (arg. art. 458 c.c.) e diretta ad evitare la polverizzazione dei patrimoni [nota 4]; nonché orientata a preservare l'unità e la continuità di un valore anche familiare, posto che l'esigenza di conservare l'attività e la proprietà (artt. 41, 42 Cost.) tra i soli «discendenti» (art. 768-bis, comma 1, c.c.) esprime un interesse costituzionalmente rilevante e non suscettibile di valutazione economica (artt. 29, 31 Cost.) [nota 5].
Di là dall'analizzare le diverse e complesse questioni [nota 6] che ruotano intorno al patto di famiglia, i profili che più interessano l'attività notarile, e dai quali dipende ogni altra questione, appaiono quelli strutturali e funzionali strettamente connessi con la tecnica redazionale, l'an della stipulazione, la disciplina applicabile e la responsabilità professionale.
Funzione, struttura e disciplina applicabile al patto di famiglia: le proposte della dottrina. Osservazioni critiche. Il patto di famiglia quale liberalità non donativa. Rinvio
Di fronte all'introduzione del patto di famiglia purtroppo sembra essersi rinnovata quell'ansia da classificazione propria della teoria della sussunzione e del sillogismo secondo la quale se non si attribuisce un nomen iuris a priori ad una fattispecie sembra sia impossibile conoscere e governare un fenomeno, dimenticando che sono gli interessi alla base delle relazioni sociali, non i concetti e le categorie [nota 7].
Infatti, coloro che ravvisano nel patto di famiglia una liberalità, ed in particolare una donazione modale (con onere a carico dell'assegnatario-donatario di continuare con efficienza l'impresa e di liquidare i legittimari) [nota 8], tendono per lo più a configurare il patto come necessariamente bilaterale (disponente e assegnatario/i), riconoscendo al coniuge ed ai legittimari il ruolo di terzi anche qualora dovessero partecipare all'atto (c.d. tesi atomistica).
Viceversa, il tenore letterale dell'art. 768-quater, comma 1, c.c. ove è stabilito che i legittimari ed il coniuge «devono partecipare» al contratto, e l'accostamento alla funzione divisionale, o meglio, distributiva, hanno indotto a riconoscere nel patto un contratto plurilaterale [nota 9], caratterizzato, a pena di nullità [nota 10] e con inevitabili riflessi sul piano della responsabilità notarile, dalla necessaria partecipazione del disponente, dell'assegnatario/i e di tutti i legittimari esistenti al tempo della conclusione (c.d. tesi unitaria).
In questa direzione si è anche affermato che il patto non sarebbe genericamente plurilaterale, ma costantemente trilaterale (disponente, assegnatario/i e legittimario/i non assegnatari), sul presupposto che gli assegnatari e i non assegnatari, se in numero superiore ad uno, formerebbero sempre e comunque una parte soggettivamente complessa (arg. art. 550, comma 3, c.c.) [nota 11]. Infine v'è chi, discorrendo di liberalità non donativa, ricorre allo schema del c.d. contratto a favore di terzo [nota 12].
La forzosa riconduzione in tali tipi o manifestazioni negoziali non sembra tenere in adeguato conto la peculiarità della funzione, la varietà di interessi che il patto può coinvolgere e la diversità di disposizioni e situazioni che in concreto possono caratterizzarlo [nota 13]. Occorre, dunque, individuare la funzione in concreto realizzata dai contraenti [nota 14] e la meritevolezza della stessa, avuto riguardo agli specifici beni assegnati, alla natura del diritto trasferito (ad esempio, proprietà o usufrutto), all'effettivo assetto societario interessato dalla attribuzione, alla posizione di ogni singolo e determinato assegnatario, non assegnatario, e disponente.
Il patto di famiglia non può essere qualificato donazione, sia pure modale, perché il profilo di liberalità, pur caratterizzante, non risolve né esaurisce la funzione del negozio. Inoltre il modo nella donazione è un elemento accidentale dipendente dalla volontà dei contraenti, mentre nel patto di famiglia l'obbligo della liquidazione a carico dell'assegnatario o degli assegnatari è un effetto tipico imposto dalla legge [nota 15] (effetto legale; arg. ex 768-quater, comma 2, c.c.).
Tra l'altro, l'accostamento del patto di famiglia alla categoria della donazione modale (con onere a carico dell'assegnatario-donatario di continuare con efficienza l'impresa e di liquidare i legittimari) ha portato parte della dottrina ad applicare alla fattispecie in esame l'art. 793, comma 4 c.c., che consentirebbe al donante e ai suoi eredi (anche sopravvenuti rispetto al negozio) di chiedere, in caso di cattiva gestione dell'impresa da parte del beneficiario, la risoluzione del contratto per inadempimento dell'onere o la sostituzione del beneficiario principale con altro [nota 16]. Tale soluzione appare in contrasto con la funzione propria del patto di famiglia, con gli interessi dell'impresa e con le peculiarità dell'oggetto dell'attribuzione. Infatti, l'iniziativa economica privata è libera (art. 41 Cost.), tant'è che il beneficiario-imprenditore ben potrebbe successivamente al patto vendere l'azienda, frazionarla (si pensi al trasferimento del c.d. ramo d'azienda) o cessare l'attività [nota 17]; ciò rientrerebbe nella libertà riconosciuta in capo al beneficiario di intraprendere l'attività e di svolgerla autonomamente. Inoltre la risoluzione del contratto per inadempimento dell'"obbligo di gestire con efficienza l'impresa" o il diritto del disponente di sostituire il beneficiario con altro, in caso di cattiva gestione, rappresenterebbero una forma di controllo privato, meramente potestativa e particolarmente restrittiva, dell'attività d'impresa, nonché un controllo lesivo dell'autonomia nell'organizzazione e nella gestione, posto che la libertà d'iniziativa economica si manifesta anche nel diritto di svolgere e di organizzare liberamente l'impresa, pur nel rispetto di altri valori costituzionalmente rilevanti [nota 18] (art. 41 Cost.). Del resto, un qualsivoglia potere di controllo privato sull'attività d'impresa deve presentare una causa giustificativa e meritevole sul piano comunitario e costituzionale, e non può dipendere dalla mera volontà di un soggetto privato (disponente) che, in virtù del patto di famiglia, è divenuto, di regola, terzo (c.d. controllo esterno) rispetto all'impresa. Infine il rischio nella gestione di una azienda è un aspetto fisiologico dell'attività d'impresa che non può essere oggetto di un giudizio di risoluzione per inadempimento, tra l'altro lesivo della stessa esigenza di unità del complesso aziendale (artt. 2555 e ss. c.c.) [nota 19]. Infatti, dato che la risoluzione per inadempimento del modus potrebbe essere chiesta, non soltanto dal disponente, ma anche dai legittimari sopravvenuti, la soluzione lederebbe la stessa esigenza di continuità e di stabilità dell'impresa [nota 20]: si pensi alle difficoltà che immediatamente incontrerebbe l'imprenditore-beneficiario per accedere al mercato creditizio.
Il patto di famiglia non può essere accostato, tout court, ad una divisione per una pluralità di ragioni:
a. perché manca, al momento del patto, uno stato di comunione attuale e ogni forma di contitolarità [nota 21]. Né vale invocare in senso contrario la previsione legislativa della divisione fatta dal testatore (art. 734 c.c.). Essa, pur costituendo una ipotesi di divisone in difetto di una situazione di comunione, trova giustificazione in una particolare circostanza non assimilabile al patto di famiglia, poiché viene in rilievo e produce ogni suo effetto al momento dell'apertura della successione e per il tempo in cui il testatore avrà cessato di vivere. Dunque, ha una natura tipicamente unilaterale e, soprattutto, di negozio mortis causa e di ultima volontà [nota 22]. è, infatti, un negozio che non soltanto incide sull'assetto successorio-patrimoniale dei beneficiandi dopo la morte dell'autore del negozio, ma è revocabile (art. 734 c.c.). Il che non giustifica l'accostamento al patto di famiglia, il quale, al contrario, è un contratto inter vivos o, al massimo, e in taluni casi particolari, un atto post mortem e in ogni caso irrevocabile [nota 23]. La possibilità riconosciuta al testatore di dividere, pur in assenza di comunione, i suoi beni fra gli eredi, trova quindi giustificazione in una specifica norma (art. 734 c.c.) orientata a preservare non soltanto la causa mortis, ma l'ultima volontà del de cuius e la sua irripetibilità (favor testamenti). Tra l'altro il patto di famiglia si caratterizza, a differenza della divisione (anche del testatore), per l'attribuzione di una serie di "beni in natura o in danaro" facenti parte di patrimoni differenti (quello del disponente e quello dell'assegnatario). I concetti di "anticipata successione o divisione", inoltre, possono essere utilizzati soltanto in modo descrittivo [nota 24]. Il primo, in particolare, con una valenza meramente socio-economica, posto che al momento del patto la successione non si è ancora aperta e anche più donazioni distinte, realizzate in vita dal donante nei confronti dei singoli figli, assumono di fatto una funzione di successione anticipata e latu sensu divisionale. Né può avere alcun rilievo la «collocazione "topografica" del patto di famiglia nel codice civile» [nota 25] dato che sarebbe come attribuire ad una clausola di un negozio una qualificazione ed una funzione diversa secondo il "luogo" nel quale è inserita all'interno di un documento. Ancor più in un'epoca caratterizzata dal pluralismo delle fonti e da una delocalizzazione del potere legislativo che incide sulla stessa struttura del codice civile e sulla funzione originaria dei singoli istituti [nota 26];
b. perché entrambi i profili, liberale e distributivo (o divisionale), sfumano in una funzione più ampia e complessa (latu sensu liberale, produttiva, solutoria, remissoria, divisionale);
c. mentre il profilo liberale è sempre presente, anche senza assorbire o caratterizzare la funzione (alla stregua di una donazione); quello distributivo può anche essere assente [nota 27]. La funzione distributiva, infatti, si configura non già con la costituzione ex lege dell'obbligo di liquidazione (il quale si costituisce anche nei confronti dei legittimari sopravvenuti), ma soltanto con la effettiva liquidazione. Questa ora assume rilevanza senza mai divenire preponderante o unica (così nel patto plurilaterale), ora è soltanto eventuale [nota 28] (non essenziale) o sopravvenuta. L'effettiva liquidazione, oltre a poter essere differita, può mancare o perché il legittimario-non assegnatario può essere inesistente o irreperibile, o perché lo stesso può rinunziare o rifiutare la liquidazione [nota 29]. Del resto, i patti bilaterali tra disponente ed unico erede-beneficiario stipulati in assenza di altri legittimari, non esistenti (o irreperibili) al momento della stipulazione, si giustificano comunque sul piano funzionale (arg. art. 1322, comma 2, c.c.; si pensi all'imprenditore che vuole preservare l'impresa dall'eventuale sopravvenienza di figli legittimi, di coniugi o dalle pretese di figli naturali successivamente riconosciuti) [nota 30].
Considerato pertanto che il patto presenta profili di liberalità e di arricchimento, caratterizzanti ma non assorbenti, e profili distributivi, eventuali e non necessari, ne consegue l'impossibilità di ricondurlo esclusivamente a questa o a quella funzione (donazione-divisione). Viceversa appare corretto ascrivere il patto a quell'ampia e variegata categoria delle c.d. liberalità non donative [nota 31], le quali sono strumenti eterogenei diversi dal tipo donazione tramite i quali si attuano oggettivamente effetti equivalenti o risultati economici analoghi alla donazione [nota 32]. Tali atti (o comportamenti) [nota 33], all'interno della loro più ampia e tipica funzione, presentano non soltanto elementi di liberalità. Pur differenziandosi sotto il profilo giuridico dalla donazione, risultano ad essa affini in quanto, a prescindere dalla gratuità o onerosità dell'attribuzione [nota 34], sono predisposti in assenza di qualsivoglia costrizione (spontaneità dell'attribuzione), per attribuire un vantaggio economico senza corrispettivo (arricchimento), con correlativo depauperamento patrimoniale del disponente [nota 35]. Inoltre il patto di famiglia, nel consentire che l'attribuzione dell'azienda e delle partecipazioni societarie sia fatta ai soli «discendenti» (art. 768-bis, comma 1, c.c.), preserva anche un interesse alla continuità, all'unità ed alla conservazione di un valore che, piú che non patrimoniale, è non suscettibile di valutazione economica. Infatti il diritto al futuro della famiglia e alla sua unità è perseguito anche attraverso la continuità e la stabilità della proprietà e dell'impresa, le quali in tal modo perseguono una «funzione sociale» anche di natura familiare (artt. 29, comma 2, 31, 41, comma 2, 42, comma 2, Cost.) [nota 36].
L'attribuzione liberale non donativa è di sovente il risultato, come nel caso di specie, della combinazione di atti collegati, anche onerosi o gratuiti e strutturalmente diversi (c.d. operazione complessa). Tuttavia riconoscere al patto di famiglia una causa tipica che presenta profili di liberalità esclude ogni possibile accostamento alla dubbia categoria del negozio indiretto [nota 37], ma non risolve i problemi relativi alla struttura, alla funzione e alla disciplina applicabile, tenuto conto del carattere non unitario ed omogeneo delle liberalità non donative (le quali individuano una terminologia di comodo) [nota 38] e della particolare funzione produttiva del patto di famiglia (c.d. attribuzione liberale con funzione produttiva). Tale funzione produttiva, infatti, caratterizza il patto di famiglia, anche sul piano della disciplina applicabile, distinguendolo dalle altre liberalità non donative con funzione assistenziale o abitativa [nota 39]. Pertanto il problema non è sul se il patto abbia o no funzione liberale, divisionale o distributiva, ma è da spostare sulla circostanza che il patto non ha soltanto tali funzioni.
La necessità di considerare, ai fini dell'individuazione della funzione e della struttura del patto di famiglia, alcuni principi "tecnici" di teoria generale del negozio e dell'obbligazione. Rinvio
Le descritte ricostruzioni del profilo strutturale e funzionale non risultano persuasive, poiché tendono a risolvere il ruolo del consenso dei non assegnatari in termini astratti ed avulsi anche da una indagine relativa alle concrete modalità della loro partecipazione.
Le tesi della bilateralità, della plurilateralità e della trilateralità del patto di famiglia colgono una verità che, come tale, è parziale e difetta di generalizzazione. Esse, infatti, non considerano:
a. il c.d. principio della variabilità della struttura. La struttura di un negozio dipende dalla funzione in concreto, la quale in parte è predeterminata dall'ordinamento in schemi tipici (c.d. minima unità effettuale) e in parte è modellata dall'iniziativa dei soggetti (la struttura segue la funzione, non la precede) [nota 40]. La qualificazione di un fatto non può prescindere dalla qualificazione dei suoi effetti: recuperando alla qualificazione del negozio quella del rapporto e degli effetti, si supera l'antitesi tra fatto e diritto, fatto ed effetto, fatto e rapporto. Si tratta certo di entità distinte, ma non antitetiche. Considerare fatto ed effetto come entità incomunicabili, ciascuna portatrice di una logica propria, è l'atteggiamento mentale tipico del formalismo, il quale conduce al totale distacco dell'interprete e dell'operatore dalla realtà e dagli esiti pratici del proprio operare [nota 41]. In questa prospettiva occorre sempre valutare l'assetto iniziale degli interessi e quello finale [nota 42];
b. il principio di economia degli atti e delle dichiarazioni (se un effetto essenziale può essere raggiunto mediante atto unilaterale non è necessario - nel senso che è inutile -, ricorrere ad una fattispecie più complessa) [nota 43];
c. la teoria del collegamento negoziale [nota 44] e la concezione procedimentale dell'autonomia privata [nota 45] (o della fattispecie a formazione progressiva); nonché il dato, ripreso dalla stessa lettera della legge (art. 768-quater, comma 3, c.c.), che il risultato finale di una operazione [nota 46] può essere il frutto di più atti cronologicamente distinti, anche strutturalmente diversi, ma collegati. Da qui una delle differenze tra partecipare ed essere parte. Una cosa è partecipare all'operazione complessa, altra cosa è essere parte di un singolo negozio elemento dell'operazione più ampia. Si può partecipare ad una operazione ampia e complessa rimanendo terzi rispetto ad un singolo atto (v. anche principio di economia degli atti e delle dichiarazioni);
d. la differenza tra partecipare ed essere parte si evince anche in riferimento ad un singolo negozio. Altro è essere presenti all'atto (partecipare in qualità di interveniente o terzo) [nota 47], altro è essere parte dello stesso o del regolamento d'interessi. La «partecipazione al negozio è di per sé un fatto che assume una sua diversa qualificazione giuridica secondo il ruolo che esso obbiettivamente assume nel contesto specifico del regolamento di interessi a prescindere dalla volontà dei dichiaranti» [nota 48] e dal procedimento formativo, sí che partecipare, dare il proprio consenso, non significa essere necessariamente parte ed integrare la struttura della fattispecie contrattuale. La qualità di parte dipende non dall'area del fatto, ma dagli interessi richiamati e dall'area del valore [nota 49] che, per un verso, è predeterminata dal legislatore, per altro verso, è lasciata all'autonomia negoziale.
Così, ad esempio, in una cessione del credito necessariamente bilaterale (cedente-cessionario) la partecipazione del debitore ceduto, anche mediante accettazione ai sensi dell'art. 1264, comma 1, c.c., non trasforma la cessione da bilaterale a trilaterale [nota 50]. Lo stesso nel caso di remissione del debito unilaterale, dove la partecipazione del debitore-terzo non trasforma la fattispecie da unilaterale a bilaterale (art. 1236 c.c.). Così anche nell'ipotesi del coniuge non acquirente che, ai sensi dell'art. 179, comma 2, c.c. deve partecipare all'atto e al quale dottrina e giurisprudenza attribuiscono la qualifica di terzo interveniente o mero spettatore di una stipulazione inter alios [nota 51]. Dunque "partecipazione" (area del fatto) non è un termine tecnico e può indicare anche un mero intervento ad una entità fenomenica già completamente formatasi ad opera di altri, cui ontologicamente può appartenere [nota 52];
e. si può discorrere di parte soggettivamente complessa soltanto quando in capo a più soggetti v'è unitarietà od omogeneità dell'interesse [nota 53]. Chi individua nei non assegnatari, se in numero superiore ad uno, sempre e comunque una parte soggettivamente complessa non tiene in dovuto conto che i legittimari possono anche essere portatori di interessi diversi, tant'è che se sono più d'uno, possono decidere, autonomamente, di essere liquidati in natura, in danaro, in danaro con modalità particolari o addirittura rinunziare alla liquidazione, o rifiutarla sí che non possono essere considerati sempre e comunque portatori di un interesse unitario, non distinguibile e non separabile. Tra l'altro, per un verso, l'identità della fonte o del titolo di un credito non esprime necessariamente identità o unicità dell'interesse [nota 54], per altro verso, lo stesso concetto di parte soggettivamente complessa e, conseguentemente, di inscindibilità dell'azione e/o del rapporto, va relativizzato e adeguato alle peculiarità del caso concreto [nota 55];
f. la differenza tra esistenza o costituzione di una situazione soggettiva creditoria ed esigibilità (o esercizio) della stessa [nota 56];
g. il principio di relatività degli effetti e di intangibilità delle sfere giuridiche individuali (art. 1372, comma 2, c.c.) secondo il quale, seppure non è da escludere che il contratto possa esplicare effetti favorevoli in capo al terzo [nota 57], certamente non è ammissibile, in mancanza del consenso, una immediata e definitiva operatività nella sfera del terzo di effetti per lui sfavorevoli (o non del tutto favorevoli) [nota 58]. Né l'art. 768-quater, comma 4, c.c. può rappresentare una espressa deroga al principio di relatività (ovvero un «caso previsto dalla legge» di cui all'art. 1372, comma 2, c.c.), poiché il primo comma del medesimo articolo impone la necessaria partecipazione dei legittimari.
La struttura minima e sufficiente del patto di famiglia costitutivo. Il patto bilaterale: contratto valido ed efficace nella sua minima unità effettuale
Per determinare la struttura minima e sufficiente di un patto di famiglia occorre analizzarne soltanto gli effetti essenziali e tipici [nota 59] (predeterminati dal legislatore), nonché valutare l'incidenza di tali effetti sul rapporto iniziale e quello finale (visione procedimentale: rapporto iniziale-fattispecie negoziale-rapporto finale).
La minima unità effettuale del patto di famiglia, ascrivibile all'accordo disponente-assegnatario e realizzabile indipendentemente dal consenso dei legittimari non assegnatari [nota 60] (i quali, di regola, non concorrono a formare il contratto), si individua:
a. nel trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie a favore del beneficiario;
b. nella determinazione delle quote spettanti ai non assegnatari;
c. nella nascita in capo all'assegnatario (o al disponente) [nota 61] dell'obbligo legale di liquidare i legittimari esistenti o sopravvenuti. Il corrispondente diritto di credito è anch'esso costituito ex lege (effetto legale dell'attribuzione; arg. ex 768-quater, comma 2, c.c.), è esistente a prescindere dal consenso dei legittimari, ma è esigibile anche successivamente soltanto con l'adesione (v. anche richiesta di liquidazione ex art. 768-sexies, c.c.) da parte dell'interessato [nota 62]. Nel caso dei legittimari non esistenti e sopravvenuti si discorrerà di diritto di credito senza soggetto [nota 63] esigibile dal momento della nascita.
Un patto di famiglia (bilaterale) senza la partecipazione dei legittimari non assegnatari è valido ed efficace e non pone alcun problema di ricevibilità da parte del notaio [nota 64]. L'esenzione da riduzione e collazione è un effetto ulteriore, il quale non può non dipendere dalla volontà dei titolari del diritto (legittimari). Infatti, di regola, l'art. 557, comma 2, c.c., prevede per le donazioni l'impossibilità di rinunziare all'azione di riduzione, finché vive il donante, né con dichiarazione espressa, né prestando il proprio assenso alla donazione. Dunque mentre la minima unità effettuale si può produrre con il semplice consenso del disponente e del beneficiario, l'esenzione da riduzione e collazione (effetto sfavorevole: art. 768-quater, comma 4, c.c.), può avvenire soltanto con l'adesione o la partecipazione anche successiva (atto collegato) del singolo legittimario (ciò conformemente al principio di relatività degli effetti e di intangibilità delle sfere giuridiche, ex art. 1372, comma 2, c.c.).
Il patto di famiglia, in mancanza del consenso dei legittimari (bilaterale), non è nullo perché:
a. la minima unità effettuale non lede alcun diritto dei legittimari-terzi, anzi comporta la nascita di un credito nei loro confronti, dunque, di un effetto «di per sè» favorevole [nota 65];
b. un patto di famiglia anche bilaterale non è illecito, socialmente dannoso, riprovevole o portatore di alcun disvalore, né illegale o strutturalmente viziato [nota 66];
c. né esiste alcuna norma imperativa che prevede la nullità testuale di un patto bilaterale. L'unico articolo, che prende in esame l'ipotesi della mancata partecipazione dei legittimari (art. 768-sexies, comma 1, c.c.), non prevede la nullità, ma anzi presuppone la validità e l'efficacia dell'accordo costitutivo del diritto di credito;
d. il rimedio della nullità sarebbe, incongruo e inadeguato, perché in contrasto con l'intento della legge [nota 67] (stabilità e continuità dell'impresa) e con il principio di conservazione degli atti e degli effetti [nota 68], preso atto della imprescrittibilità della relativa azione. Del resto, ai sensi dell'art. 768-quinques, comma 2 c.c., la stessa azione di annullamento si prescrive nel termine breve di un anno proprio per garantire la stabilità e la certezza degli effetti del patto di famiglia [nota 69];
e. la legittimità del recesso di uno dei legittimari è prova della non necessaria partecipazione degli stessi [nota 70] (art. 768-septies c.c.). Del resto aderendo alla prospettiva della necessaria pluralità del patto, a pena di nullità, il recesso di uno solo dei legittimari dovrebbe comportare a rigore la caducazione del contratto, con danno per quella stabilità e continuità dell'impresa tanto invocata dall'orientamento pluralista [nota 71].
L'espressione «devono partecipare» (ex art. 768-quater, comma 1, c.c.), non va intesa come norma imperativa a pena di nullità del singolo patto; né come obbligo delle parti dello stipulando contratto di convocare [nota 72] gli ulteriori legittimari. Diversamente si verificherebbe la sottrazione di un diritto personale (alla riduzione e alla collazione) senza neanche la partecipazione e il consenso. Il «devono partecipare» va inteso come condizione o presupposto di vincolatività del patto, in punto di esenzione da riduzione e collazione [nota 73]. Secondo il combinato disposto degli artt. 768-quater, commi 1 e 4, e 768-sexies, comma 1, la partecipazione configura la necessità che i legittimari diano il proprio assenso all'operazione, anche successivamente al patto [nota 74], sí da disporre eccezionalmente (combinato disposto degli artt. 557, comma 2, c.c., 768-quater, comma 4, c.c. e 458 c.c.) del proprio ed esclusivo diritto di rinunzia all'azione di riduzione e collazione [nota 75]. Da qui troverebbe maggiore giustificazione [nota 76] la espressa deroga al divieto dei patti successori (art. 458 c.c.).
è lo stesso legislatore che con una formula aperta (non partecipazione) contempla all'art. 768-sexies, comma 1, c.c. la possibilità che i legittimari non prendano parte al patto costitutivo dell'operazione [nota 77] per svariate ragioni (dissenso, incapacità, assenza, irreperibilità e difficoltà di individuazione) [nota 78]. Tra l'altro, imporre la necessaria partecipazione di tutti i legittimari esistenti (o meglio di coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione; art. 768-quater, comma 1, c.c.), a pena di nullità, limiterebbe la libertà di negoziare e l'autonomia privata dei contraenti (disponente, legittimari-assegnatari e non assegnatari) senza alcuna giustificazione. Nella prospettiva proposta, infatti, chi non partecipa al patto di famiglia, pur essendone legittimato, non subisce l'esenzione da riduzione e collazione (ex art. 768-quater, comma 4, c.c.). Nei confronti dei legittimari non partecipanti, quindi, è soltanto costituito ex lege un diritto di credito (il quale rappresenta un effetto di per sé puramente favorevole) dalla cui riscossione o rinunzia, anche successiva al patto di famiglia (c.d. partecipazione), dipenderà l'ulteriore e diverso effetto ex lege dell'esenzione da riduzione e collazione (arg. ex artt. 768-quater, commi 1, 2 e 4, 768-sexies, comma 1, c.c.). Dunque, la scelta di non partecipare (ex art. 768-quater, comma 1, c.c.), anche per conservare ogni diritto (in particolare di riduzione e collazione), non può incidere sulla validità del negozio e sull'autonomia dei contraenti, posto che i "terzi" non sopportano alcuna lesione o modificazione dei propri diritti successori, fino alla loro autonoma, libera ed eventualmente successiva partecipazione di adesione o rinunzia.
Il legittimario pertanto non è necessariamente partecipe del patto di famiglia costitutivo. Lo stesso legislatore, con riferimento ai legittimari sopravvenuti - i quali di certo non rappresentano una categoria diversa da quella dei legittimari esistenti -, non si è preoccupato di garantire la loro partecipazione tramite, ad esempio, la nomina di appositi curatori [nota 79]. Soluzione, questa, che avrebbe tutelato chi è più debole perché impossibilitato a partecipare (si pensi al figlio irreperibile, al nascituro concepito o al figlio naturale successivamente riconosciuto). Tale scelta confermerebbe la differenza tra il patto di famiglia e la divisione, posto che l'art. 715 c.c. condiziona la stipulazione del contratto di divisione anche alla nascita di un nascituro concepito.
Né ci si può stupire se, per espressa disposizione di legge (art. 768-quinquies, comma 1, c.c.), l'azione di annullamento è riconosciuta con una formula più ampia anche ai meri «partecipanti» (e non soltanto alle parti) perché:
a. la disposizione si giustifica proprio per derogare ad una regola generale altrimenti applicabile [nota 80] (ovvero quella secondo la quale l'azione di annullamento è riconosciuta soltanto alle parti della fattispecie; art. 1427 e ss. c.c.);
b. l'azione di annullamento ex art. 768-sexies, comma 2, c.c. è riconosciuta anche al (terzo) non partecipante (anche sopravvenuto) che avendo chiesto la liquidazione è divenuto partecipe dell'operazione complessa;
c. l'attribuzione al mero partecipante (anche sopravvenuto) di una azione così significativa, come quella di annullamento, trova giustificazione nella circostanza che il patto di famiglia è configurato, dal legislatore, come operazione complessa e procedimentale, costituita da atti distinti, ma collegati. In questa particolare fattispecie a formazione progressiva, il cui iter procedimentale può anche non concludersi affatto o concludersi soltanto nei confronti di chi abbia aderito, è il ruolo del partecipante alla complessiva operazione, e non tanto quello della parte del singolo atto, a trovare particolare rilevanza.
La soluzione proposta, inoltre, è più che garante delle istanze dei legittimari-terzi se si pensa che, di regola, in caso di cessazione o cessione di una impresa familiare (art. 230-bis), il consenso dei lavoratori-legittimari non è considerato, dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, un requisito di validità o di efficacia, ma soltanto di responsabilità. Ciò a causa della natura costantemente individuale e non collettiva dell'impresa familiare [nota 81].
La soluzione proposta è, altresì, coerente alla ratio del patto di famiglia, il quale nel bilanciamento degli interessi, dà prevalenza alla conservazione dell'attività d'impresa e all'interesse del disponente e del beneficiario, rispetto alle istanze individuali dei legittimari [nota 82], nonché al principio di economia degli atti e all'esigenza di evitare che l'ordine pubblico economico (libertà di disporre, tutela del lavoro, tutela del risparmio, principio di uguaglianza), e la stipulazione del patto, possano dipendere da mancate partecipazioni dei legittimari pretestuose o ingiustificate [nota 83] (v. art. 768-sexies).
La variabilità procedimentale del patto di famiglia e la necessità di coordinare le norme specifiche con le disposizioni generali in materia di successione necessaria. La pluralità degli interessi e la pluralità dei rimedi. I criteri di proporzionalità e ragionevolezza e la risoluzione di taluni problemi applicativi
A questo punto occorre chiarire perché, nel caso in esame, è configurabile una variabilità procedimentale. I legittimari o il coniuge sopravvenuti o esistenti [nota 84], ma non partecipanti rispetto all'accordo iniziale (c.d. patto di famiglia costitutivo), possono scegliere, alternativamente, di:
a. aderire al patto con atto collegato prima dell'apertura della successione per la liquidazione della somma dovuta e così accettare i conseguenti effetti (esenzione da riduzione e collazione);
b. esperire i rimedi della riduzione e della collazione all'apertura della successione con la conseguenza che il valore del bene alienato sarà valutato secondo il criterio del tempo dell'apertura della successione;
c. chiedere (rectius aderire), sempre all'apertura della successione dell'imprenditore, ai beneficiari del contratto stesso la liquidazione aumentata degli interessi legali, ex art. 768-sexies, comma 1, c.c. (secondo il valore venale della quota al tempo della stipula del patto e non dell'apertura della successione) [nota 85], salvo l'impugnazione prevista dal comma 2 in caso di inadempimento dell'obbligo di liquidazione [nota 86]. Tale soluzione, pur "originale", non sembra del tutto inadeguata posto che, quando la separazione di un bene (mobile o immobile) non può avvenire comodamente (art. 560 c.c.) è prevista la liquidazione in danaro del legittimario, ma la giurisprudenza, in caso di mancato pagamento della somma dovuta e di accertata insolvenza ha riconosciuto allo stesso la possibilità di rivolgersi, ex art. 563, comma, 1, c.c., anche al terzo acquirente con l'azione di restituzione [nota 87].
In caso di scelta dell'azione di riduzione o collazione, il valore del bene sarà determinato non al tempo del patto, ma al tempo dell'apertura della successione. Ciò attribuisce al legittimario una pluralità di rimedi in ordine all'interesse in concreto, nonché il potere di decidere in ordine alla convenienza economica dell'adesione immediata o successiva. Senza dimenticare, tuttavia, che una azione processuale avrà sempre degli aspetti negativi sul piano temporale.
Il riconoscimento dell'azione di riduzione ai non partecipanti (tanto esistenti, quanto sopravvenuti) evita una disparità di trattamento ingiustificata (arg. ex art. 556 c.c.) tra legittimari esistenti al momento della stipulazione e legittimari sopravvenuti [nota 88] (si pensi anche alla questione dei nascituri concepiti, ai figli naturali riconosciuti successivamente o ai legittimari irreperibili) ed è conforme al principio di relatività degli effetti (art. 1372, comma 2, c.c.) e al dettato normativo. La lettera dell'art. 768-sexies, comma 1, c.c. discorre, infatti, di potere e non di obbligo dimostrando che ai non partecipanti, esistenti o sopravvenuti, è riconosciuta la possibilità di scegliere il rimedio più adeguato alle concrete esigenze [nota 89], perché a pluralità di interessi e situazioni devono corrispondere una pluralità di rimedi. Il rimedio, quindi, talvolta è sostitutivo o alternativo (si pensi ai legittimari non partecipanti che possono scegliere tra riduzione o liquidazione), talvolta è cumulativo (i legittimari partecipanti conservano l'azione di riduzione per le altre liberalità inter vivos o mortis causa). Infatti, l'art. 768-sexies, comma 1, c.c. va coordinato con le disposizioni generali in materia di successione necessaria, che – per quanto concerne i beni diversi da quelli produttivi (azienda e partecipazioni societarie) oggetto del patto di famiglia (le c.d. altre liberalità) – lasciano al legittimario l'azione di riduzione per le ulteriori liberalità effettuate dal de cuius inter vivos o mortis causa. L'art. 768-sexies c.c. non prevede una gerarchia tra rimedi, mentre in riferimento ai beni (tipici) oggetto del patto il legittimario non partecipante può scegliere, in via alternativa o sostitutiva, tra riduzione o liquidazione confermando quell'impostazione che ha posto in evidenza la crisi del «parallelismo situazione-rimedio, costruito in maniera tale che, in un situazione tipica, possa trovare applicazione esclusivamente quel rimedio e non altri» [nota 90]. Sí che mentre con riferimento all'azienda e alle partecipazioni societarie il legittimario non partecipante ha soltanto l'alternativa tra liquidazione e riduzione, con riguardo alle altre liberalità realizzate dal de cuius la legge non prevede una gerarchia, né una sostituzione alternativa, tant'è che il legittimario non partecipante può sia decidere di esperire l'azione di riduzione per le altre liberalità e per i beni (tipicamente) oggetto del patto (con conseguenze probabilmente diverse: restituzione in un caso, conguaglio nell'altro; sul punto v. il prossimo paragrafo), sia cumulare i rimedi e chiedere la liquidazione ex art. 768-sexies c.c. per i beni oggetto del patto di famiglia (azienda e partecipazioni societarie) ed esperire l'azione di riduzione per le ulteriori liberalità [nota 91]. Se ciò è vero, vero è pure che qualora dovesse essere pattuita una liquidazione a carico del figlio "preferito" superiore al valore venale dell'azienda [nota 92], la differenza di valore della liquidazione dovrebbe considerarsi una ulteriore liberalità soggetta, come tale, a riduzione.
In tal caso, tuttavia, sembra preferibile operare secondo i criteri di proporzionalità e ragionevolezza. Ovvero, se la sproporzione del valore della liquidazione rispetto al valore venale dell'azienda è rilevante, e tale da non rientrare nella causa del patto, la differenza (soltanto), quale altra liberalità, è soggetta a riduzione. Viceversa se la differenza di valore non è rilevante e, dunque rientra nella causa del patto, anche tale differenza non sembra assoggettabile a riduzione.
La rinunzia alla liquidazione ad opera dei legittimari, invece, non sembra configurare una c.d. donazione indiretta, ovvero una liberalità non donativa che soggiace ai classici mezzi di tutela. Ciò essenzialmente per due motivi, il primo di ordine funzionale, il secondo di ordine sistematico. La rinunzia alla liquidazione non è una rinunzia tout court con una mera funzione liberale, ma rientra nel più ampio regolamento d'interessi, il quale è diretto a garantire la stabilità e la continuità dell'impresa, nonché la stabilità del patto e conservazione degli effetti. Inoltre, se la legge ha introdotto un contratto (c.d. patto di famiglia) potenzialmente esente da riduzione e collazione e ha stabilito che tale effetto si produce anche con la rinunzia (che quindi è una modalità di adesione-partecipazione), sarebbe una contraddizione in termini, nonché una soluzione a-sistematica, ammettere una rinunzia aggredibile dagli eredi dei non assegnatari.
In questa prospettiva occorre chiarire anche se le convenzioni che non "snaturano" il patto di famiglia siano affrancate dalle azioni a tutela dei legittimari. Anche in questo caso è necessario ricorrere ai criteri di proporzionalità e ragionevolezza. Infatti, se il patto di famiglia diventa l'occasione per inserire in un unico documento più atti di liberalità del tutto autonomi e distinti (anche sul piano del valore economico) dai beni tipicamente oggetto del patto e dalla loro funzione, allora (queste altre liberalità) sono soggette a riduzione perché ci si troverebbe di fronte ad una «unione formale di atti funzionalmente e teleologicamente distinti» [nota 93]. Il patto di famiglia non può e non deve diventare uno strumento di fuga o di elusione delle norme in materia di successione necessaria (almeno fino a quando non venga abrogata la legittima), né uno strumento per dividere l'intero patrimonio del disponente. Pertanto, tutte le attribuzioni in natura o in danaro che non sono riconducibili all'assetto d'interessi tipico del patto di famiglia e che sono fatte con l'occasione di eludere l'applicazione delle norme in materia di riduzione e collazione sono riducibili. Viceversa, se l'attribuzione, in danaro o in natura, è riconducibile all'assetto di interessi, per funzione e per valore (proporzionalità), allora è esente da riduzione e collazione nei confronti dei partecipanti, poiché non "snatura" il patto e la sua tipica funzione.
Giova, a questo punto, affrontare il problema delle conseguenze dell'azione di riduzione, la quale non può non essere adeguata alle caratteristiche funzionali ed oggettive delle singole liberalità.
La riduzione quale azione processuale da modulare ed adeguare alle ragioni del diritto sostanziale. Il diritto ad una legittima in valore e non in natura
L'azione di riduzione una volta esperita può raggiungere risultati diversi (restituzione o conguaglio in danaro) sulla base della funzione della singola liberalità e delle peculiarità dell'oggetto dell'attribuzione. Il riconoscimento dell'azione di riduzione e collazione in capo ai legittimari non partecipanti al patto di famiglia non implica un rischio di restituzione o divisione dell'azienda o delle partecipazioni societarie in quanto vi sono indici normativi (in materia di riduzione e collazione) che, letti in combinato disposto con le peculiarità dell'oggetto dell'attribuzione (azienda e partecipazioni societarie) e con la necessità di evitare frammentazioni o separazioni dannose per l'ordine pubblico non soltanto economico, giustificano il diritto per i non partecipanti ad una legittima in danaro o per equivalente (valore) e non in natura o restitutoria. Infatti, in relazione al patto di famiglia ed alla sua funzione, la conservazione del diritto di agire in riduzione in capo al legittimario non partecipante non significa che lo stesso può, all'apertura della successione, contestare il diritto di proprietà del beneficiario, né la legittimità del titolo, che anzi egli presuppone, né che può rivendicare o aggredire [nota 94] l'azienda o le partecipazioni societarie, ma significa soltanto che il non partecipante può ottenere un conguaglio in danaro sulla base del valore del bene trasferito. Ciò per la specifica funzione del patto di famiglia (conservazione e stabilità dell'impresa) e per le peculiarità dell'oggetto dell'attribuzione (si pensi alla c.d. unità funzionale del complesso aziendale), che determinano, anche nei confronti dei non partecipanti, la perdita non già del diritto al valore della legittima, ma la perdita del diritto sul bene nella sua entità materiale (tutela per equivalente e non in natura). La legittima, in relazione al patto di famiglia e alla sua funzione, perde ogni qualità meramente restitutoria diventando, a scelta del beneficiario, non un diritto sull'azienda o sulle partecipazioni societarie, ma un diritto alla liquidazione del loro valore. Tale prospettiva, già accolta dal legislatore con l'art. 768-sexies, comma 1, c.c. garantisce un bilanciamento ragionevole tra la posizione dei legittimari e l'ordine pubblico non soltanto economico, perché assicura, anche nel caso di riduzione, la stabilità del trasferimento (e dunque l'interesse del disponente, del beneficiario, dell'impresa e dei lavoratori) senza ledere il diritto ad una quota del valore dell'asse ereditario. La soluzione è anche coerente con altri istituti affini al patto di famiglia. Si pensi alla donazione di beni costituiti in maso chiuso da parte dell'imprenditore agricolo ad uno soltanto dei legittimari i quali non hanno alcuna tutela di carattere reale sui beni oggetto del maso (c.d. compendio aziendale) [nota 95].
Il dettato normativo non sembra difforme dalla prospettiva proposta, sia perché la disciplina della collazione è, per alcuni aspetti, rimessa alla volontà delle parti (si pensi alla dispensa da collazione ex art. 737 c.c., quale clausola accessoria del contratto in cui si realizza la liberalità, alla possibilità di accordarsi sul valore e alla c.d. collazione volontaria [nota 96]), sia perché la collazione di mobili può farsi soltanto per imputazione (art. 750 c.c.) e quella di immobili può avvenire in natura o per imputazione, ma a scelta di chi conferisce (art. 746 c.c.). Pertanto con la collazione mancherebbe un effetto tipicamente restitutorio perché non v'è recupero di contitolarità sui beni donati, ma semplice trasferimento di valore. Infatti «il conferimento in natura non può che giudicarsi un'evenienza residuale, rispondente, più ad un interesse del soggetto tenuto a collazione che non a quello degli aventi diritto» [nota 97]. Inoltre, nel caso di esperimento dell'azione di riduzione, se si tratta di beni mobili la scelta tra restituzione del bene e pagamento del corrispondente valore spetta al donatario secondo la regola delle obbligazioni alternative [nota 98] (art. 1286, comma 1, c.c.), mentre se si tratta di beni immobili, l'art. 560, comma 1, c.c. dispone che la separazione è possibile soltanto se «può avvenire comodamente», dimostrando che la divisione del bene tra più coeredi dipende da esigenze oggettive e funzionali. Infatti l'art. 720 c.c. sembra disporre che «se nell'eredità vi sono immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia», come, ad esempio, l'eventuale separazione degli immobili aziendali, essi possono essere lasciati materialmente ad un solo coerede (il beneficiario) con la costituzione di diritti di credito corrispondenti in capo agli altri legittimari-terzi [nota 99]. Tali norme, quindi, già costituivano una deroga all'art. 718 c.c. che riconosce a ciascun coerede il diritto di ricevere una porzione di tutti i beni del patrimonio ereditario in proporzione alla propria quota. Nel caso del patto di famiglia le ragioni di carattere individuale e superindividuale che giustificherebbero una interpretazione quantitativa e non qualitativa delle conseguenze dell'azione di riduzione sono immediatamente percepibili e tali da giustificare una compensazione per equivalente anche in presenza di un beneficiario che avesse, in un immobile strumentale all'attività d'impresa, una eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile (art. 560, comma 2, c.c.) o un valore che superi l'importo della porzione disponibile e della quota spettante per legge (art. 560, comma 3, c.c.). Del resto i beni, mobili o immobili che siano, non hanno tutti la stessa funzione, né rispondono tutti alla medesima esigenza: le partecipazioni societarie, se di controllo, garantiscono la conservazione e la continuità dell'impresa, sí che una loro separazione o divisione potrebbe creare nocumento proprio a quella stabilità tanto preservata dal patto di famiglia; i beni aziendali, a loro volta, risultano un complesso omogeneo, unitario ed inseparabile perché strumentale all'attività d'impresa. Una separazione o divisione, senza il consenso dell'imprenditore beneficiario, potrebbe comportare un grave danno per l'attività d'impresa e per l'ordine pubblico non soltanto economico, nonché un deprezzamento in relazione alla destinazione del bene mobile o immobile [nota 100]. Ciò perché il rapporto tra azienda e impresa è un rapporto di mezzo a fine e l'azienda è un complesso di beni caratterizzato da una unità di tipo funzionale [nota 101] (c.d. universalità di beni mobili e immobili). In questa prospettiva trova conferma quell'impostazione dottrinaria e giurisprudenziale secondo la quale rientrano nel concetto di incomoda divisibilità tutte le ipotesi nelle quali la somma dei valori delle porzioni, nelle quali un bene agevolmente divisibile dovrebbe essere frazionato, risulterebbe sensibilmente inferiore al valore del bene indiviso [nota 102]. Pertanto i beni "partecipazione sociale di controllo" e "azienda" non sono comodamente divisibili né sul piano economico, né su quello funzionale e materiale [nota 103]. Infatti l'azienda non può essere valutata considerando i beni isolatamente secondo il loro singolo valore economico, né secondo il valore economico unitario (c.d. avviamento), il quale rileva pur sempre sul piano meramente patrimoniale, ma va valutata nel complesso al fine di preservare gli interessi, anche non patrimoniali, di cui l'impresa e l'azienda sono espressione. Sul piano dinamico, infatti, è l'insieme di tutti i beni dell'azienda a produrre un "valore" non soltanto economico, perché rilevante sul piano generale e dell'utilità sociale. Una eventuale disgregazione dell'azienda o delle partecipazioni societarie nell'interesse individuale dei singoli legittimari non assegnatari sarebbe lesiva dell'interesse generale alla stabilità e alla continuità dell'impresa, alla volontà (autonomia) del disponente e all'interesse dei lavoratori. Viceversa lasciare al beneficiario-imprenditore del patto di famiglia la scelta di compensare per equivalente i legittimari che agiscono in riduzione, consentirebbe la soddisfazione di tutti gli interessi richiamati. Non è un caso, del resto, che lo stesso trasferimento a titolo definitivo (vendita) o temporaneo (usufrutto o affitto) dell'azienda è sottoposto ad un regime normativo che sotto più profili deroga alla disciplina di diritto comune delle corrispondenti vicende circolatorie aventi ad oggetto singoli beni (anche aziendali) o complessi di beni non finalizzati allo svolgimento dell'attività di impresa. Ciò nel tentativo di favorire la conservazione dell'unità economica e del "valore" non soltanto di avviamento dell'azienda, a tutela di quanti su tale unità e su tale valore fanno specifico affidamento (acquirente dell'azienda, lavoratori e creditori in primo luogo). Dunque già la disciplina ordinaria del trasferimento di azienda se, da un lato, frappone significativi ostacoli alla disgregazione dell'azienda da parte dell'autonomia privata, dall'altro, favorisce la circolazione dell'azienda come complesso unitario per garantire il mantenimento dell'efficienza e della funzionalità dei complessi produttivi [nota 104]. In questa prospettiva si è anche sostenuto che l'azienda non è soltanto un bene non comodamente divisibile, o il cui frazionamento reca pregiudizio alle ragioni della pubblica economia (artt. 560 e 720 c.c.), ma è anche un bene indivisibile in modo assoluto perché attuativo dell'interesse alla produzione nazionale (art. 722 c.c.) [nota 105]. In tal modo il complesso aziendale rimarrebbe indivisibile anche in presenza di un accordo unanime dei condividenti [nota 106]. Di là dal far rientrare l'azienda in una delle ipotesi previste dall'art. 722 c.c., e dunque di indivisibilità assoluta, e di là dal distinguere o sovrapporre tra incomoda divisibilità, ex artt. 560 e 720 c.c., ed interesse alla produzione nazionale, di cui all'art. 722 c.c., un dato sembra chiaro: le universalità di mobili o di immobili non sono divisibili tutte le volte che il loro valore, non soltanto patrimoniale, superi la somma dei valori dei beni che la compongono [nota 107]. L'azienda e le partecipazioni societarie di controllo oggetto del patto di famiglia rispondono palesemente all'esigenza di cui agli artt. 560 e 720 c.c. [nota 108] e, come tale, s'impone un adeguamento dell'azione di riduzione a tali esigenze di indivisibilità e di liquidazione.
La tutela per equivalente, inoltre, è configurabile anche nei confronti dei terzi acquirenti, dell'azienda o delle partecipazioni societarie, i quali ex art. 563, comma 3, c.c. possono sempre «liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l'equivalente in danaro» (c.d. facoltà alternativa). Del resto «l'effetto attributivo continua a rimanere estraneo alla vicenda successoria del donante, anche dopo la pronunzia giudiziaria di riduzione relativa all'oggetto della stessa attribuzione lesiva, in quanto la sentenza non vale a recuperare il bene all'eredità, ma incide solamente sull'oggetto della liberalità e mai sul titolo attributivo» [nota 109].
Inoltre, il rapporto tra rimedio ed effetto attributivo non può non tenere conto, oltre della differenza qualitativa tra interessi e valori di cui il negozio è portatore, anche della differenza tra attribuzioni con funzione assistenziale, abitativa e produttiva [nota 110]. In tal modo il principio di conservazione del negozio e dei sui effetti opera diversamente sulla base della valutazione comparativa degli interessi. Del resto il diritto processuale deve conformarsi e adeguarsi continuamente alle esigenze del diritto sostanziale e la funzione dell'azione (anche di riduzione) non può essere sempre la stessa, immutabile per tutti i tempi e i luoghi ed astratta dagli interessi, le ragioni e la diversità delle situazioni [nota 111]. In una prospettiva funzionale i rimedi e il loro modo di atteggiarsi «si giustificano in ragione degli interessi che si intendono tutelare nella contingenza concreta e dei valori che ci si propone di attuare» [nota 112].
Che una azione, come quella di riduzione, debba adeguarsi all'oggetto e alla funzione dell'attribuzione o della liberalità ne è prova anche l'art. 64 della legge fallimentare, il quale, nel prevedere l'efficacia nei confronti dei "creditori" delle liberalità «in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità», comporta addirittura la non assoggettabilità di tali atti a revocatoria ordinaria, fallimentare, per sopravvenienza di figli, riduzione e collazione, se proporzionati al patrimonio del donante [nota 113].
Invero, la particolare funzione del patto di famiglia e la necessità di garantire la stabilità del trasferimento negano ogni efficacia propriamente restitutoria dell'azione di riduzione ed attribuiscono all'assegnatario l'obbligo di liquidare in danaro [nota 114], con la conseguenza di considerare il legittimario non partecipante al patto non come "erede necessario", ma come legittimario creditore con una "commutazione" della tutela da reale ad obbligatoria in base alla scelta unilaterale del beneficiario (ciò conformemente al modello tedesco [nota 115] e all'«idea», auspicata in dottrina, di un superamento della visione tradizionale di successione necessaria) [nota 116]. Del resto «l'art. 536 c.c. e l'art. 808 c.c. del 1865, discorrono di "quota" soltanto per fare riferimento ad una frazione aritmetica numericamente espressa dall'universum ius (arg. ex art. 588 c.c. e 760 c.c. 1865), ad un risultato di una divisione, non di una separazione del tutto» [nota 117].
La variabilità strutturale del patto di famiglia e la differenza, rispetto ad un singolo negozio, tra partecipare ed essere parte. L'impossibilità di assimilare la fattispecie in esame alla stipulazione a favore di terzo
Abbiamo detto che la qualità di parte di un singolo negozio dipende anche dall'iniziativa dei soggetti. Infatti la variabilità del patto di famiglia costitutivo non è soltanto procedimentale, ma strutturale (rapporto iniziale-fattispecie negoziale concreta-rapporto finale).
L'analisi funzionale di un fatto è completa quando, oltre al punto di partenza (lo stato iniziale degli interessi consolidati nelle situazioni soggettive preesistenti al fatto) si tiene conto anche, del punto di arrivo (determinazione delle situazioni soggettive programmate nell'atto: efficacia). Condizione iniziale degli interessi e risultato da raggiungere (effetti da produrre) diventano così inseparabili [nota 118] e fondamentali per capire se un soggetto, oltre ad assumere eventualmente la qualità di partecipante all'atto, ha assunto in concreto la qualità di parte.
La circostanza che i legittimari non debbano necessariamente partecipare al contratto, poiché gli effetti essenziali dello stesso si producono anche senza il loro consenso, non significa che gli stessi non possano assumere in concreto la qualità di parte. Tale qualità dipende non soltanto dalla effettiva partecipazione dei legittimari esistenti al patto di famiglia costitutivo (quindi dall'esistenza del legittimario e dalla sua volontà), ma dal ruolo svolto dagli stessi per la definizione del concreto regolamento d'interessi.
I legittimari non possono evitare la produzione della minima unità effettuale, ma hanno l'alternativa di:
a. non aderire al patto costitutivo (rectius rifiutare) riservandosi il diritto di agire in riduzione e collazione. Ciò conformemente al principio di relatività degli effetti e di intangibilità delle sfere giuridiche (art. 1372, comma 2, c.c.);
b. aderire al patto costitutivo, accettando la liquidazione ovvero rinunziando alla stessa. In tal caso, a prescindere dal momento cronologico dell'adesione (contestuale al patto o successiva), il consenso del legittimario non comporta l'assunzione della qualità di parte perché è insuscettibile di incidere o di modificare la minima unità effettuale. In tal caso il partecipante con l'accettazione o la rinunzia del credito perde il diritto di agire in riduzione e collazione (art. 768-quater, comma 4, c.c.);
c. partecipare (rectius aderire), non già passivamente (riscossione del credito o rinunzia al credito), ma incidendo e modificando il regolamento degli interessi in qualità di parte [nota 119]. Si pensi al legittimario che, attraverso la propria partecipazione al patto di famiglia costitutivo propone una condizione o contribuisce, ad esempio, alla determinazione del valore delle quote di liquidazione, ovvero esprime l'interesse ad essere liquidato in natura o secondo determinate modalità (si pensi alla liquidazione al momento della morte o a consegne ripartite). In tali casi non riscuote, né rinunzia semplicemente ad un credito già determinato, ma, quale portatore di un interesse rilevante, incide sull'efficacia, sulle modalità della liquidazione [nota 120], contribuendo, in qualità di parte, alla determinazione dell'assetto degli interessi [nota 121]. Del resto è ormai consolidata quella dottrina che in chiave funzionale osserva come anche le modalità accessorie o temporali possono incidere, oltre che sulla qualità di parte, sulla causa del negozio e sul titolo e l'identità dell'obbligazione, nonché sulla qualificazione della fattispecie poiché a tempi o modalità diverse possono corrispondere interessi e funzioni differenti (si pensi all'apposizione o alla eliminazione di una condizione; al differimento di un termine nel rapporto obbligatorio che può determinare una novazione del titolo o dell'oggetto dell'obbligazione; oppure all'accordo di consegnare il prodotto non più in modo ripartito, ma in un'unica soluzione che può trasformare una somministrazione in compravendita) [nota 122].
Dunque il legittimario può tanto partecipare, quanto non partecipare all'operazione complessa del patto di famiglia. Soltanto l'eventuale partecipazione di adesione, anche successiva, determina l'esenzione ex lege da riduzione e collazione. Infatti se, per un verso, il patto risulta valido ed efficace in relazione agli effetti giuridici essenziali, anche in mancanza della partecipazione dei legittimari, per altro verso, dipende dalla volontà dei legittimari l'adesione anche successiva al patto e, quindi, l'esenzione da riduzione e collazione (768-quater, comma 3, c.c.) [nota 123]. Tuttavia, la qualità di parte verrà assunta dal legittimario soltanto qualora la partecipazione sia tale da incidere sulla minima unità effettuale e non sulla costituzione di effetti legali, non essenziali ed eventuali, come l'esenzione da riduzione e collazione.
Tali osservazioni confermano che non è possibile accostare il patto di famiglia al c.d. contratto a favore di terzo [nota 124]:
a. l'obbligo di liquidazione a favore dei legittimari non è un effetto puramente favorevole [nota 125] perché l'eventuale adesione al patto o la rinunzia al credito da parte del legittimario comporta la contestuale perdita ex lege dell'azione di riduzione e collazione (art. 768-quater, comma 4, c.c.). Né è possibile non collegare o separare l'effetto programmato in virtù del mero accordo tra disponente e beneficiario (obbligo di liquidazione) e, dunque, a prescindere da una eventuale adesione del o dei legittimari non assegnatari, dall'effetto prodotto in virtù della eventuale partecipazione "del terzo" (esonero da riduzione e collazione), perché è soltanto da una valutazione complessiva delle conseguenze della eventuale adesione del terzo che si può valutare se una determinata stipulazione è o no a suo favore (art. 1411 e ss. c.c.). Altrimenti sarebbe come prevedere un effetto di per sé favorevole in capo al terzo (attribuzione di un credito), stabilendo, al contempo, che qualora il terzo dichiarasse di volerne profittare si produrrebbe in capo a lui un effetto ulteriore e del tutto sfavorevole, come, ad esempio, la rinunzia ad un diritto personale (tra l'altro, di regola, la riduzione e la collazione sono diritti indisponibili fino alla morte del de cuius; arg. ex art. 458 c.c.);
b. nel patto di famiglia l'obbligo della liquidazione a favore del legittimario non è rimesso all'autonomia negoziale e alla volontà delle parti di deviare alcuni effetti nei confronti di un terzo [nota 126], ma è un effetto imposto dalla legge (effetto legale; v. art. 768-quater, comma 2, c.c.). Sí che l'autonomia negoziale del disponente e del beneficiario si manifesta nel decidere se concludere o non concludere un patto di famiglia, tuttavia, non potranno mai stipulare un contratto di questo tipo negando a priori ai legittimari non assegnatari il diritto alla liquidazione. Così anche l'esenzione da riduzione e collazione è un effetto imposto dalla legge (art. 768-quater, comma 4, c.c.) che si produce in virtù della "partecipazione" dei non assegnatari (artt. 768-quater, comma 1, 768-sexies c.c.). Dunque il legittimario non assegnatario se aderisce al patto, anche mediante rinunzia alla liquidazione, non può conservare il diritto di agire in riduzione, quindi, l'esonero da riduzione e collazione è un effetto legale, e non essenziale, perché subordinato alla adesione contestuale o successiva (del o) dei legittimari non assegnatari;
c. nella stipulazione a favore del terzo, il terzo resta estraneo e non è mai parte della fattispecie anche qualora dovesse partecipare o intervenire in sede di stipula [nota 127]. Viceversa, qualora il "terzo" dovesse assumere, in concreto, la qualità di parte ci si troverebbe di fronte ad uno schema negoziale diverso.
Il patto di famiglia, dunque, in considerazione della complessità di interessi che è diretto a regolare, presenta una variabilità strutturale e procedimentale (patto bilaterale o plurilaterale ed atti contestuali o successivi di adesione, di liquidazione e di rinunzia o rifiuto) orientata a garantire un trasferimento endofamiliare dell'azienda o delle partecipazioni societarie – stabile e definitivo –, che in concreto può essere attuato attraverso la combinazione di disposizioni ed attribuzioni, anche non contestuali, aventi carattere liberale, produttivo, solutorio, remissorio, divisionale [nota 128]. La particolarità è anche nella circostanza che il patto produce l'effetto ex lege della esenzione da collazione e riduzione tanto nei confronti di chi nel caso concreto è divenuto parte, incidendo sull'assetto iniziale degli interessi, quanto nei confronti di chi ha semplicemente partecipato, accettando meramente gli effetti, senza incidere sulla minima unità effettuale. Né sono prova il dettato dell'art. 768-sexies che, con una formula più ampia, si riferisce semplicemente a chi non ha partecipato e l'art. 768-quater che in deroga alla regola generale, altrimenti applicabile, riconosce l'azione di annullamento anche a meri partecipanti.
Osservazioni sulla disciplina applicabile al patto di famiglia. I criteri di compatibilità, adeguatezza e congruenza
In questa prospettiva sistematica ed assiologica, che prescinde dal tipo e dalla tecnica della sussunzione [nota 129], occorre individuare non già le norme di un tipo o dell'altro applicabili al patto di famiglia, ma le singole norme presenti nel sistema generale dei contratti e dei singoli contratti che risultano non soltanto compatibili con la disciplina specifica (non in contrasto con la disciplina del patto di famiglia), ma adeguate e congrue a disciplinare l'operazione (adeguate alla ratio e alla funzione dell'istituto: ovvero alla esigenza di continuità e alla stabilità dell'impresa). Ovviamente è una valutazione che non può prescindere dal caso concreto e che, in questa sede, è possibile compiere facendo riferimento soltanto alla minima unità effettuale [nota 130].
Quale liberalità non donativa è opportuno, ad esempio, valutare la compatibilità e la congruenza delle norme previste dall'art. 809 c.c., nonché l'adeguatezza di altre norme che di regola trovano il loro fondamento nella sostanza del fenomeno donativo e che si giustificano astrattamente in presenza di una finalità liberale rilevante, anche se non assorbente.
Così oltre alla soggezione del patto di famiglia alle norme sulla riduzione e la collazione rispetto ai legittimari non partecipanti all'operazione, non sembrano applicabili alla fattispecie in esame la revocazione per sopravvenienza di figli (art. 803 c.c.) e la revocazione per causa di ingratitudine (art. 801 c.c.). La prima è incompatibile con le norme specifiche del patto di famiglia, le quali disciplinano diversamente l'eventuale sopravvenienza di figli (arg. art. 768-sexies, comma 1, c.c.), ed incongruente con la ratio dell'istituto il quale risulta particolarmente sensibile, più che alle istanze di solidarietà familiare, alla funzione produttiva e alle esigenze di stabilità e continuità dell'impresa. La revocazione per causa di ingratitudine, invece, pur essendo compatibile con la disciplina specifica, in quanto non v'è alcuna norma del patto di famiglia che in modo alternativo disciplina l'ingratitudine, risulta palesemente incongruente e inadeguata alla ratio dell'istituto, il quale, essendo diretto a preservare l'ordine pubblico non soltanto economico e, conseguentemente, la stabilità e la definitività dell'attribuzione [nota 131], pone in secondo piano (o tralascia) gli aspetti legati a componenti soggettive, morali e relazionali (come l'ingratitudine) [nota 132], nonché gli elementi propri della funzione donativa o meramente liberale (si pensi alle altre liberalità non donative con funzione semplice o non caratterizzate da una esigenza d'interesse generale alla produttività, stabilità, continuità e conservazione dell'impresa).
Anche se il patto, a pena di nullità, deve rivestire la forma dell'atto pubblico (art. 768-ter c.c.), sembra doversi escludere la presenza dei testimoni, ciò non in virtù del c.d. principio della libertà delle forme, ma perché la figura in esame, per un verso, non è assimilabile ad una semplice donazione [nota 133] (arg. art. 48 L.N.) e, per altro verso, non sembra imporre sul piano funzionale ed assiologico un maggiore formalismo negoziale, visto che l'impulso altruistico, proprio delle donazioni e già di per sé ampiamente controllato dalla presenza del notaio [nota 134], caratterizza ma non assorbe assolutamente la funzione della fattispecie in esame [nota 135]. Resterebbe da affrontare il problema della forma richiesta per i negozi collegati al patto di famiglia e per le eventuali dichiarazioni di partecipazione poste successivamente dai legittimari non assegnatari. La soluzione, meriterebbe un particolare approfondimento, poiché dipende dalla prospettiva metodologica utilizzata, dalla teoria dei negozi collegati e derivati, nonché dalla configurabilità nell'ordinamento italo-comunitario del c.d. principio di libertà delle forme [nota 136]. Tuttavia, se è vero che non appare prima facie incompatibile, né incongruente con la disciplina del patto e con la sua funzione la scelta di imporre la forma dell'atto pubblico a pena di nullità anche per le eventuali dichiarazioni di partecipazione successive al contratto, vero è pure che gli artt. 768-bis e ter c.c. sembrano riferirsi al «contratto» e, dunque, al solo patto di famiglia costitutivo. La soluzione, tuttavia, è da individuare bilanciando le esigenze e gli interessi in gioco e verificando la meritevolezza, l'adeguatezza, la compatibilità e l'utilità di una eventuale soluzione più restrittiva.
L'astratta possibilità di impugnare il patto di famiglia per errore (art. 768-quinques, comma 1, c.c.) se, secondo alcuni, è chiara prova (ma il problema meriterebbe un maggiore approfondimento alla luce dei criteri di compatibilità, adeguatezza e congruenza) dell'impossibilità di applicare la rescindibilità per lesione ultra quartum propria della divisione [nota 137] (art. 763 c.c.), non esclude, in riferimento ai vizi della volontà, che il rinvio operato dall'art. 768-quinquies, comma 1, c.c. sia un rinvio non già alle norme sul contratto in generale (artt. 1427 e ss. c.c.), bensì al sistema generale dell'annullabilità e della nullità, il quale racchiude anche le diverse norme della donazione e del testamento in materia di errore sul motivo, motivo illecito, condizione e onere illecito o impossibile, conferma ecc.
L'applicabilità alla fattispecie in esame della disciplina della conferma non è da negare a priori, posto che se è vero che il patto di famiglia non è un atto mortis causa (art. 590 c.c.), che l'art. 809 c.c. non prevede l'espressa applicabilità alle liberalità non donative della disciplina ex art. 799 c.c. ed, infine, che il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente (art. 1423 c.c.), vero è anche che, una norma (v. artt. 590, 799 c.c.), seppure fosse eccezionale, in quanto singolare relazione tra regola e principi o attuazione atipica del principio, può trovare applicazione estensiva o analogica [nota 138] all'interno del proprio contesto giustificativo (arg. art. 3 Cost.), ovvero in ogni ipotesi nella quale si riproduca la medesima modalità di relazione (o attuazione) tra regole e principi che caratterizza la norma eccezionale. Ciò conformemente a quella impostazione che, nel prevedere il superamento della distinzione qualitativa (rectius di grado e non di sostanza) tra analogia ed interpretazione estensiva [nota 139], non esclude, anche per le norme eccezionali, l'applicazione analogica [nota 140]. L'eccezionalità, infatti, è questione di interpretazione [nota 141] e dipende non dalla frequenza di impiego di un norma, ma dalla corretta individuazione della singolarità della relazione tra i molteplici principi coinvolti nella fattispecie concreta (c.d. eccezionalità da concorso atipico di principi) o della singolarità dell'attuazione del principio di una fattispecie atipica (c.d. eccezionalità da attuazione atipica del principio) [nota 142]. Nel caso in esame, il profilo di liberalità, caratterizzante anche se non assorbente, la stretta affinità del patto di famiglia con gli atti post mortem e mortis causa, la pressante esigenza di conservare l'atto e i suoi effetti [nota 143] – al fine di evitare possibili disgregazioni o discontinuità dannose per l'azienda e l'impresa e lesive della stessa stabilità e conservazione dell'attività, nonché dell'ordine pubblico non soltanto economico –, potrebbero indurre il giudice ad applicare analogicamente la disciplina della conferma al patto di famiglia, quale atto di liberalità non donativa con funzione produttiva. Tuttavia, tale valutazione non può prescindere da un altro e diverso aspetto che non necessariamente richiede la configurabilità di una fattispecie di conferma. In presenza di un patto di famiglia nullo occorrerà non fermarsi alla astratta categoria della nullità, ma analizzare il tipo di vizio (si pensi alla differenza tra vizio strutturale e funzionale), la sua gravità sul piano della gerarchia dei valori normativi (c.d. disvalore), al fine di valutare l'incidenza dello stesso sulla fattispecie. Soltanto successivamente sarà possibile compiere una valutazione comparativa degli interessi in giuoco e decidere se per tutelare l'interesse gerarchicamente superiore non sia preferibile ammettere l'efficacia dell'atto anche di là da un eventuale recupero mediante conferma [nota 144]. Non si deve dimenticare, infatti, che il principio di conservazione degli atti e degli effetti è particolarmente rilevante in materia di patto di famiglia, posto che questo istituto si pone a garanzia della stabilità e della continuità dell'impresa a conduzione familiare, dunque di un ordine pubblico non soltanto economico e di interessi che come evidenziato risultano compositi e non suscettibili di valutazione economica. Così, ad esempio, non sembra possibile negare a priori, nel caso di trasferimento di un ramo di azienda privo di sufficiente autonomia [nota 145] una validità sopravvenuta qualora venga posto rimedio, anche di fatto, al vizio riguardante l'oggetto.
Inoltre non sembra da escludere a priori la compatibilità e la congruenza delle norme sul motivo illecito (art. 788 c.c.), sull'errore sul motivo (art. 787 c.c.), sull'onere illecito o impossibile (art. 794 c.c.) proprie della donazione e del testamento le quali, come ho avuto modo di notare in altra sede [nota 146], a differenza del contratto in generale, ai fini dell'invalidità richiedono tanto che il motivo o l'errore risulti dall'atto, quanto, che sia il solo o l'unico che abbia determinato il disponente a disporre (artt. 787, 788 c.c.; vedi anche art. 794 c.c.). Ciò per la forte congruenza del patto di famiglia con il principio di conservazione degli atti e per la circostanza che il rinvio di cui all'art. 768-quinquies, comma 1, c.c. in quanto tale e in assenza di incompatibilità, non può rappresentare una esclusione delle norme di altre fattispecie perché sarebbe un norma eccezionale che a priori esclude l'applicazione di norme eventualmente più adeguate al caso concreto. In un'ottica di conservazione della stabilità dell'impresa e dei valori di cui è portatrice, nonché di conformità ai principi in materia di teoria dell'interpretazione, tra due soluzioni possibili, rinvio alle norme del contratto in generale con esclusione delle norme di altre fattispecie e rinvio al sistema dell'annullabilità, sembra preferibile quest'ultima interpretazione, con i limiti di cui all'art. 768-quinquies, commi 1 e 2, c.c. in materia di legittimazione ad impugnare (meri partecipanti) e di prescrizione per le ipotesi di errore, violenza e dolo [nota 147].
Compatibili con il dettato normativo e adeguate e congruenti con la ratio del patto di famiglia risultano anche le norme in materia di donazione fatta da persona incapace d'intendere o di volere (art. 775 c.c.), donazione fatta al tutore e al protutore (art. 779 c.c.), condizione di reversibilità (art. 791 c.c.), riserva di usufrutto (art. 796 c.c.) [nota 148], perché particolarmente efficaci nel tutelare la volontà del disponente e, al contempo, preservare la continuità gestionale dell'impresa e la sua conservazione. Deve altresì essere ammessa, ai fini della formazione del contratto, la rappresentanza, sia legale che volontaria, in conformità alla disciplina degli atti fra vivi; con la precisazione, che sembrano ricorrere, con riferimento al disponente, le medesime esigenze di tutela e protezione del donante, che stanno alla base sia del divieto di donare a mezzo di rappresentante legale (artt. 774 e ss. c.c.), sia della disciplina del mandato a donare (art. 778 c.c.).
Al patto di famiglia sono applicabili le norme in materia di condizione anche potestativa. Mentre nella donazione si dubita della liceità e della apponibilità di condizioni potestative che in qualche modo possono risultare coercitive della volontà del donatario proprio in relazione al carattere assolutamente liberale dell'attribuzione, nel patto di famiglia la configurabilità di obblighi ex lege di liquidazione sicuramente inducono a ritenere che siffatte condizioni (vivere in una certa città, tenere una certa condotta, contrarre o non contrarre matrimonio) possono considerarsi lecite in quanto prive di una funzione coercitiva della volontà dell'assegnatario.
L'analisi potrebbe continuare alla luce dei criteri di compatibilità (non contraddizione con la disciplina speciale); adeguatezza e congruenza (con la funzione del patto).
In tal modo ogni patto di famiglia avrà una disciplina identica per ciò che attiene alla minima unità effettuale ed alle disposizioni di cui all'art. 768-bis e ss. c.c., per il resto risulterà necessario individuare nel sistema la normativa più adeguata e congrua alle specifiche peculiarità di ogni singolo patto e dell'operazione complessiva al fine di individuare quella più ragionevole.
Tali osservazioni prendono atto del superamento della prospettiva tipologica e della bipartizione tra contratto in generale e singoli contratti, nonché dell'insegnamento secondo il quale il rapporto regola-eccezione, non è un rapporto tra due norme, ma un rapporto tra norma e sistema, nonché tra ratio, funzione e gerarchia dei valori normativi e degli interessi (legittima-impresa, lavoro, risparmio, libertà di disporre) [nota 149].
L'interprete e la necessità di una ermeneutica sensibile al bilanciamento dei principi e alla valutazione comparativa degli interessi
L'ermeneutica non è una «operazione aritmetica», ma è soprattutto questione di sensibilità [nota 150]; "capire" la norma e il suo spirito, «collocarsi nella prospettiva giusta più favorevole alla scoperta e alla comprensione» [nota 151], «non è, non può essere, il risultato dell'esegesi puramente letterale, ma è l'individuazione della sua logica e della sua giustificazione assiologica» [nota 152]. I c.d. «frantumi del mondo», in un sistema sempre più complesso e composto da norme di derivazione sovranazionale ed infranazionale, si capiscono se si conosce il mondo al quale appartengono. In tal modo anche il dettato normativo più duro e irragionevole trova una interpretazione sempre adeguata ad una valutazione comparativa degli interessi e alla gerarchia dei valori normativi [nota 153]. Ciò non può non avvenire tramite l'attività ermeneutica di qualsiasi operatore, ancor più se investito di una pubblica funzione. Del resto oltre al principio di legalità (art. 101 Cost.), che oggi è inteso anche dalla stessa Corte Costituzionale quale legalità costituzionale e comunitaria, l'art. 4, comma 2, Cost. dispone che «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta», dunque anche secondo il proprio ruolo, «un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» [nota 154].
Le soluzioni proposte sembrano coerenti alla ratio dell'istituto, alla sua funzione, nonché conformi ad una metodologia attenta ad individuare il giusto equilibrio tra dettato normativo, concetti [nota 155], interessi, rimedi ed esigenze di politica del diritto, perché le istanze dei legittimari, se ragionevolmente soddisfatte mediante il riconoscimento di un semplice valore, non possono oscurare l'esigenza principale di tale istituto: garantire la continuità, la stabilità e la conservazione dell'impresa di famiglia, poiché la conservazione di un patto soddisfa non soltanto la tutela del risparmio del disponente (art. 47 Cost.) e l'interesse all'attività del beneficiario, ma l'identità di una famiglia, l'interesse dell'impresa e quello del mercato e dei lavoratori dipendenti. Tra l'altro la pluralità delle possibilità di adesione al patto e dei rimedi in capo al legittimario è prova dell'esigenza che le tecniche giuridiche debbano essere sempre di più adeguate agli interessi concreti [nota 156].
Queste osservazioni fanno riflettere ancora più oggi che si sta meditando sulla abrogazione, tout court, della legittima [nota 157] e che si è preso atto che la stessa Carta Costituzionale all'art. 42, comma 4, discorre della legittima non già in termini di valore gerarchicamente prioritario rispetto agli altri poiché attribuisce alla legge ordinaria il compito di stabilire «le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria», con l'obbligo di bilanciare tale esigenza con altri valori costituzionalmente e direttamente protetti come l'autonomia negoziale e la libertà di disporre [nota 158], l'impresa (art. 41 Cost.), il lavoro (art. 4 Cost.), il risparmio dell'imprenditore (art. 47 Cost.) [nota 159], i quali non rilevano soltanto sul piano individuale, bensì su quello sociale. Tale prospettiva conferma che il diritto successorio è sempre più lontano dal modello codicistico per uniformarsi alla legalità costituzionale e comunitaria, nonché al modello suggerito dall'art. 42, comma 4, Cost. Infatti mentre nel primo la vicenda successoria è ancorata allo ius sanguinis ed essenzialmente preordinata alla conservazione della ricchezza all'interno del gruppo familiare, nel secondo essa assume il rilievo di uno strumento di circolazione della ricchezza al fine di realizzare gli obiettivi e i valori segnati dal concetto costituzionale di proprietà [nota 160].
Inoltre, sul piano patrimoniale, l'identità e l'unità di una famiglia (art. 29 Cost.) più che dalla mera distribuzione di beni determinati, o dalla pura conservazione di situazioni di privilegio o di rendita familiare [nota 161], può essere garantita anche attraverso la conservazione di un valore, come l'impresa familiare. Così tra i diritti della famiglia (art. 29 Cost.), come autorevolmente sostenuto, v'è anche la tutela del futuro della famiglia [nota 162] e la legittimità costituzionale del maso chiuso ne è un prova [nota 163].
In questa prospettiva non può che essere lasciata al solo disponente, leader della famiglia [nota 164], il compito di individuare, tra i discendenti, il beneficiario o i beneficiari con le migliori attitudini e capacità imprenditoriali e all'ordinamento quello di preservare il più possibile tale scelta evitando complicazioni superflue in fase precontrattuale e contrattuale e disgregazioni inutili e pericolose in fase post-contrattuale. Perché se è vero che i problemi patrimoniali di una famiglia passano attraverso il principio di solidarietà e il diritto alla legittima, vero è pure che tali problematiche devono essere risolte non già sul piano qualitativo, ma su quello quantitativo perché è quest'ultimo che consente il rispetto del principio di eguaglianza tra i legittimari senza violentare la scelta del disponente, le attitudini del beneficiario e le esigenze del mercato. Sí che gli interessi dell'ordine pubblico economico devono convergere con quelli individuali dei legittimari e il piano dell'efficacia, nonché quello del valore e della liquidazione a tacitazione della quota di legittima sembra preferibile. Il diritto al valore dell'attribuzione e non all'entità del bene materiale consente il bilanciamento ragionevole tra interessi dell'impresa, dei legittimari, dei lavoratori, nonché al risparmio del disponente. Questi interessi, quindi, non sono incomunicabili e antitetici.
Pertanto ciò che preoccupa non è tanto la qualità di una legge, ma la qualità degli interpreti perché ad una legge oscura si può sempre porre rimedio tramite la c.d. interpretazione adeguatrice [nota 165].
Grande importanza, ad esempio, riveste il ruolo del notaio sul quale cade il compito sia di evitare operazioni truffaldine e garantire, anche mediante perizia [nota 166], che all'azienda e alle partecipazioni societarie venga riconosciuto il giusto valore economico, perché la tutela degli interessi richiamati dipenderà prevalentemente da tale aspetto, sia di scegliere tra le soluzioni proposte non già quella più diffusa, ma quella più ragionevole, anche se coraggiosa (o rischiosa), perché la responsabilità ex art. 28 L.N. non si gioca soltanto sul piano della validità, ma anche su quello della diligenza e della buona fede [nota 167], ancor più in presenza di casi dubbi che impongono all'interprete un particolare bilanciamento degli interessi e dei valori. In questa prospettiva potrebbe essere utile una dichiarazione di volontà dei partecipanti al fine di una eventuale conversione ex art. 1424 c.c.
Un celebre statista osservava che «non bisogna aver paura di negoziare, né negoziare per paura» [nota 168]; nel caso di specie il non negoziare, per timore delle conseguenze disciplinari (art. 28 L.N.), può comportare conseguenze assai gravi in un sistema, come quello italiano, nel quale il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.) non è ancora stato abrogato e il 92% delle imprese è a conduzione familiare; delle prime 100 imprese italiane ben 42 hanno un controllo di natura familiare; ogni anno sono 80.000 gli imprenditori che si trovano a gestire il passaggio dell'impresa ai propri figli; soltanto il 30% circa delle imprese arriva alla seconda generazione e non più del 15% arriva alla terza; il 39% della capitalizzazione della Borsa di Milano (escluse banche, assicurazioni, Eni ed Enel) è rappresentato da aziende familiari; 5 milioni di imprese nei prossimi sette anni passeranno di padre in figlio, si tratta di una media di 610.000 trasferimenti all'anno; il passaggio generazionale coinvolgerebbe più di 400.000 posti di lavoro [nota 169].
Pertanto, l'interesse generale è maggiormente tutelato e perseguito stipulando un patto di famiglia anche in assenza dei legittimari non assegnatari, perché mentre la tutela dei non partecipanti è sempre garantita posto che gli stessi conservano, in ogni caso, il diritto al "valore" della legittima, viceversa, il rifiuto da parte del notaio di stipulare un patto senza la partecipazione dei legittimari non assegnatari contribuisce senz'altro all'eventuale instabilità e discontinuità dell'attività d'impresa. Forse, però, l'eccessiva prudenza nel negoziare un patto di famiglia in assenza di tutti i legittimari esistenti porterà soltanto all'utilizzazione di strumenti alternativi, quali ad esempio il c.d. trust d'impresa, le intestazioni fiduciarie o le c.d. trasformazioni eterogenee del nuovo diritto societario (artt. 2500-septies e octies c.c.) [nota 170].
[*] Lo scritto è destinato ai Colloqui in ricordo di Michele Giorgianni.
[nota 1] P. PERLINGIERI, «Valori normativi e loro gerarchia. Una precisazione dovuta a Natalino Irti», in Rass. dir. civ., 1999, p. 787 e ss., ora in ID., L'ordinamento vigente e i suoi valori. Problemi del diritto civile, Napoli, 2006, p. 327 e ss. ivi ulteriori approfondimenti in saggi e commenti; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3ª ed., Napoli, 2006, p. 563 e ss.; ID., Norme costituzionali e rapporti di diritto civile, in ID., Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli, 1989, p. 109 e ss.; v. anche ID., L'interpretazione come sistematica ed assiologica. Il broccardo "in claris non fit interpretatio", il ruolo dell'art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell'esegesi, ivi, p. 273; invita ad una interpretazione non soltanto logica, ma anche teleologica in modo da assicurare sempre una «valutazione comparativa degli interessi» anche E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (Teoria generale e dogmatica), Milano, 1949, p. 181 e ss., il quale rileva «l'equivoco consistente nello scambiare la logica del diritto con la logica formale e nel ridurre il còmpito dell'interpretazione a un'operazione di sussunzione sillogistica somigliante nel suo rigido automatismo alle operazioni aritmetiche». Tali osservazioni non contemplano l'abbandono del metodo esegetico rispetto a quello sistematico, ma impongono che l'analisi esegetica e quella sistematica diventino due aspetti di un'unica realtà, «due fasi dell'unico metodo, per cui il giurista muove dall'angusta glossa agli ariosi orizzonti delle teorie generali», N. IRTI, Inquietudini della dottrina civilistica, in Studi in ricordo di Alberto Auricchio, II, Napoli, 1983, p. 719, nella prospettiva auspicata metodo esegetico, «bilanciamento degli interessi e dei valori, ragionevolezza, adeguatezza, proporzionalità, valenza dei princípi sono canoni ermeneutici, parti essenziali del bagaglio culturale di qualsiasi interprete e, come tali, contribuiscono al ridimensionamento di vecchi broccardi duri a morire, come l'in claris non fit interpretatio e la dura lex sed lex, con una rinnovata attenzione verso le conseguenze pratiche della decisione, che dovranno non soltanto non essere assurde, ma conformi alla legalità costituzionale» e comunitaria, P. PERLINGIERI, «Formazione dei giudici e Scuola superiore della magistratura», in Giust. proc. civ., 2007, 2, p. 313.
[nota 2] Sul punto vedi, in particolare, V. VERDICCHIO, Note introduttive, in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia. Commentario alla legge 14 febbraio 2006, n. 55, a cura di E. Minervini, Milano, 2006, p. 12 e ss.; E. LUCCHINI GUASTALLA, «Gli strumenti negoziali di trasmissione della ricchezza familiare: dalla donazione si praemoriar al patto di famiglia», in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 304 e ss.; A. ZOPPINI, «Profili sistematici della successione "anticipata" (note sul patto di famiglia)», ivi, p. 274; M. IMBRENDA, «Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business», in Rass. dir. civ., 2007, p. 418 e ss.
[nota 3] V.E. CANTELMO, I legittimari, Padova, 1991, p. 3 e ss.; vedi anche ID., Fondamento e natura dei diritti del legittimario, Napoli, 1972, p. 73 e ss.
[nota 4] Disciplina, tra l'altro, conforme anche al principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), posto che il trattamento differenziato riservato al trasferimento di beni aziendali è giustificato dal particolare rilievo assunto nel contesto sociale ed economico non da tutti i beni produttivi, ma soltanto da quelli che necessitano, per la messa in produzione, di un controllo gestionale unitario. Da qui l'impossibilità di estendere la disciplina del patto a quelle partecipazioni sociali che, quale mera forma di investimento o di godimento, non garantiscono il controllo gestionale, diretto o indiretto, sull'impresa, né incorporano alcun potere imprenditoriale; sul punto V. VERDICCHIO, Commento all'art. 768-bis c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 76 e ss.; A. ZOPPINI, «Profili sistematici della successione "anticipata" (note sul patto di famiglia)», cit., p. 293; M.C. ANDRINI, Il patto di famiglia: tipo contrattuale e forma negoziale, in www.Filodiritto.com, 1 aprile 2006, p. 2; M. IMBRENDA, «Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business», cit., p. 456 e ss.
[nota 5] In questa prospettiva anche G. OPPO, «Patto di famiglia e "Diritti della famiglia"», in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 439 ss.; sul punto v., infra, testo e nota 36.
[nota 6] Attraverso il patto di famiglia l'imprenditore può trasferire all'assegnatario, in tutto o in parte, l'azienda (art. 768-bis c.c.). Il c.d. trasferimento parziale dell'azienda può essere riferito al bene (attribuzione di un ramo di azienda) o al diritto (ad esempio, trasferimento al beneficiario della nuda proprietà della azienda con riserva di usufrutto a favore del disponente). Circa l'attribuzione, in tutto o in parte, di partecipazioni societarie (art. 768-bis c.c.), la ratio dell'istituto (assicurare continuità gestionale all'impresa) induce a ritenere che il trasferimento possa riguardare esclusivamente partecipazioni utili e strumentali al governo della società. L'assegnazione delle partecipazioni deve avvenire nel rispetto delle differenti tipologie societarie (art. 768-bis c.c.). Ciò implica sia che nel caso di contrasto o di incompatibilità, la disciplina dell'impresa familiare (art. 230-bis c.c.) è destinata a prevalere rispetto a quella del patto di famiglia (art. 768-bis c.c.), sia che la valutazione del rapporto tra trasferimento delle partecipazioni e gestione della società deve essere effettuato di volta in volta, dipendendo non soltanto dal tipo di società interessata (Snc, Srl, SpA, ecc.), ma anche dal concreto assetto della stessa. Si pensi alla normale intrasferibilità mediante patto di famiglia della partecipazione di un socio accomandante di una Sas (tradizionalmente privo di poteri di amministrazione), che, tuttavia, secondo alcuni verrebbe meno in caso di riconoscimento all'accomandante di una limitata funzione gestoria ex art. 2320, comma 2, c.c. La necessità di tenere conto delle diverse tipologie societarie impone anche il rispetto da parte dei contraenti di ogni limite, legale o convenzionale (ad esempio, clausole di gradimento o di prelazione), che possa subordinare il trasferimento delle partecipazioni a specifici presupposti oppure alla osservanza di particolari regole di pubblicità. Sulle peculiarità in materia di azienda agricola v. L. RUSSO, «Patto di famiglia e azienda agricola», in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 323 e ss.
[nota 7] Così parte della dottrina appare come chi dopo aver navigato con un transatlantico improvvisamente viene catapultato su di una piccola barca in mezzo al mare, dimenticando che non è il mezzo o il concetto a consentire il raggiungimento della meta, ma gli strumenti di orientamento di cui gode il comandante. Questi non possono essere le categorie, ma i valori normativi, gli interessi e le funzioni, perché la bussola per operare non è da individuare soltanto nei concetti, in quanto di per sé statici ed astratti, ma nel bilanciamento dei principi e nella valutazione comparativa degli interessi. Sulla utilità ma, al contempo, la relatività e la storicità dei concetti e delle categorie cfr. G. PERLINGIERI, Venticinque anni della Rassegna di diritto civile e la «polemica sui concetti giuridici». Crisi e ridefinizione delle categorie, in AA. VV., Temi e problemi della civilistica contemporanea, Napoli, 2005, p. 543 e ss.; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 133 e ss.
[nota 8] A. PALAZZO, «Il patto di famiglia tra tradizione e rinnovamento del diritto privato», in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 267 e ss.; sulla struttura necessariamente bilaterale del patto di famiglia e sul carattere ultroneo dell'adesione dei legittimari esclusi dall'assegnazione, ai fini della validità ed efficacia del contratto v. C. CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie», in Notariato, 2006, p. 296 e ss.
[nota 9] Tra gli altri S. DELLE MONACHE, «Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia», in Riv. not., 2006, p. 893 e ss.; G. AMADIO, «Patto di famiglia e funzione divisionale», ivi, p. 867 e ss., ivi ulteriori riferimenti bibliografici alla nota 50, il quale, tuttavia, sembra di recente discorrere di contratto plurilaterale con funzione complessa e non soltanto divisionale in ID., «Profili funzionali del patto di famiglia», in Riv. dir. civ., II, 2007, p. 345 e ss.; sulla qualificazione del patto di famiglia quale contratto plurilaterale e divisionale v. anche F. TASSINARI, «Il patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali», in Patti di famiglia per l'impresa, I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2-3/2006, p. 159 e ss.; G. DE NOVA, Introduzione, in Il patto di famiglia. legge 14 febbraio 2006, n. 55, Milano, 2006, p. 3 e ss. e F. DELFINI, Commento all'art. 768-quater, ivi, p. 20 e ss.; E. LUCCHINI GUASTALLA, «Gli strumenti negoziali di trasmissione della ricchezza familiare: dalla donazione si praemoriar al patto di famiglia», cit., p. 319; A. ZOPPINI, «Profili sistematici della successione "anticipata" (note sul patto di famiglia)», cit., p. 288, il quale, tuttavia, osserva che il profilo distributivo talvolta «è solo eventuale ed ipotetico, quindi non necessario»; per la natura divisionale del patto di famiglia che ne giustifica la collocazione topografica nel codice civile, cfr. ID., «Il patto di famiglia (linee per la riforma dei patti sulle successioni future)», in Riv. dir. priv., 1998, p. 263 e ss.; E. DEL PRATO, «Sistemazioni contrattuali in funzione successoria: prospettive di riforma», in Riv. not., 2001, I, p. 635; M. IEVA, «Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto d'impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti successori», in Riv. not., 1997, p. 1375; sulla struttura del patto che risulta condizionata dalla compagine familiare, quindi sulla base dell'esistenza di uno o più legittimari v. anche N. DI MAURO, Commento all'art. 768-bis c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 24 e ss.; ID., «I necessari partecipanti al patto di famiglia», in Fam. pers. succ., 6, 2006, p. 534 e ss., il quale prospetta due diverse ipotesi di patto di famiglia (l'una oggetto dell'art. 768-bis; l'altra dell'art. 768-quater), secondo che, al momento della sua conclusione, esistano o no legittimari, sí da ravvisare nell'istituto in questione un genus al quale appartanegono due diverse species, l'una bilaterale, l'altra tri- o plurilaterale; discorre di contratto plurilaterale, pur senza qualificare il patto di famiglia quale divisione L. BALESTRA, «Il patto di famiglia a un anno dalla sua introduzione», I, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 750 e ss., 756.
[nota 10] Tuttavia, in materia di divisione l'art. 1113, comma 3, c.c. richiede quale requisito di efficacia non l'intervento effettivo dei chiamati, ma la semplice chiamata, sí che una volta invitati, anche senza assumere la qualità di parte, la divisione è valida ed efficace anche nei loro confronti; G. BRANCA, Comunione. Condominio degli edifici, sub. artt. 1110-1139, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 307.
[nota 11] F. GAZZONI, «Appunti e spunti in tema di patto di famiglia», in Giust. civ., 2006, p. 217 e ss., il quale lo argomenta partendo dalla cautela sociniana; ID., Manuale di diritto privato, 13ª ed., Napoli, 2007, p. 491; aderisce a questa prospettiva M. IMBRENDA, «Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business», cit., p. 463.
[nota 12] U. LA PORTA, in ID., Il patto di famiglia, Torino, 2007, p. 7 e ss.
[nota 13] Lo rilevano anche P. PERLINGIERI e G. RECINTO, in P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, 6ª ed., Napoli, 2007, p. 942 e ss., i quali osservano che «il patto di famiglia non può essere forzosamente assimilato ad una donazione o ad una divisione in quanto presenta un profilo funzionale del tutto peculiare».
[nota 14] Il disponente deve essere un imprenditore (art. 768-bis c.c.); tuttavia si ritiene che possa stipulare un patto di famiglia anche un soggetto titolare di beni aziendali o di partecipazioni societarie, che non svolge direttamente attività imprenditoriale (come, ad esempio, un disponente che abbia concesso in fitto l'azienda). Assegnatari della azienda o delle partecipazioni societarie possono essere soltanto discendenti del disponente (art. 768-bis c.c.) – anche non legittimari (ad esempio, un nipote ex filio dell'imprenditore il cui padre sia ancora in vita) – con conseguente esclusione del coniuge dai possibili beneficiari.
[nota 15] Discorre dell'obbligazione dell'assegnatario, quale «"elemento necessario della fattispecie" ai fini della sua "qualificazione" (mentre il modus donativo è elemento puramente accidentale, la cui presenza non è necessaria ai fini della qualificazione del negozio giuridico)», G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», in Riv. not., 2006, p. 407; sul modus quale elemento accidentale del negozio v., tra gli altri, A. MARINI, Il modus come elemento accidentale del negozio gratuito, Milano, 1976, p. 1 e ss.; M. GIORGIANNI, «Il modus testamentario», in Riv. trim. dir. proc., 1957, p. 889 e ss., ora in ID., Scritti minori, Napoli, 1988, p. 273 e ss.; M. GARRETTI, «Il modus testamentario», Napoli, 1990, p. 1 e ss.; A. FEDERICO, voce Modo, in Diz. dir. priv. diretto da N. Irti, Milano, in corso di pubblicazione.
[nota 16] A. PALAZZO, «Il patto di famiglia tra tradizione e rinnovamento del diritto privato», cit., p. 267 e ss.
[nota 17] Salvo perdere taluni benefici fiscalmente previsti; v. sul punto v. M. IMBRENDA, «Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business», cit., p. 457.
[nota 18] Sulle implicazioni e le conseguenze della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., quale valore che deve coesistere con altri valori costituzionalmente rilevanti e che viene in rilievo rispetto al godimento di un bene produttivo cfr. le significative pagine di V. BUONOCORE, Iniziativa economica privata e impresa, in Iniziativa economica e impresa nella giurisprudenza costituzionale a cura di V. Buonocore, 16, Collana Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana, Napoli, 2006, p. 9 e ss., 16 e ss.
[nota 19] G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 1, Diritto dell'impresa, 4ª ed., Torino, 2003, p. 135 e ss.
[nota 20] A. PALAZZO, «Il patto di famiglia tra tradizione e rinnovamento del diritto privato», cit., p. 269.
[nota 21] Sul punto v. G. GAZZARRA, voce Divisione, in Enc. dir., dir. priv., XIII, Milano, 1964, p. 419 e ss.
[nota 22] Sul punto, di recente, M.C. TATARANO, Il testamento, in Tratt. dir. civ. del CNN diretto da P. Perlingieri, VIII, 4, Napoli, 2003, p. 29 e ss., 363, ove, tra l'altro, evidenzia la differenza tra negozi a causa di morte e di ultima volontà (il testamento), revocabili, e negozi a causa di morte non testamentari (artt. 285, 564, comma 2, 737 c.c.), normalmente irrevocabili, se contenuti in una donazione; sul principio del favor testamenti v., in particolare, p. 308 e ss.
[nota 23] Sulla differenza tra atti inter vivos, mortis causa e post mortem v., infra, nota 76.
[nota 24] G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 429 e ss.; critico è anche L. BALESTRA, «Il patto di famiglia a un anno dalla sua introduzione», cit., p. 749 e ss., il quale invita a parlare non di successione anticipata, ma di «mera anticipazione degli effetti»; contra, per tutti, G. AMADIO, «Profili funzionali del patto di famiglia», cit., p. 348 e ss. ed ulteriori riferimenti alla nota 8; A. ZOPPINI, «Profili sistematici della successione "anticipata" (note sul patto di famiglia)», cit., p. 278; discorre di anticipata divisione, più che di anticipata successione, P. VITUCCI, «Ipotesi sul patto di famiglia», in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 462.
[nota 25] Nega ogni rilievo qualificatorio alla collocazione "topografica" del patto di famiglia nel codice civile anche G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 430.
[nota 26] Sul sistema italo-comunitario delle fonti cfr. P. PERLINGIERI, Diritto comunitario e legalità costituzionale. Per un sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 1992, p. 1 e ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 265 e ss.; ID., «Complessità e unitarietà dell'ordinamento giuridico vigente», in Rass. dir. civ., 2005, p. 188 e ss., ora in ID., L'ordinamento vigente e i suoi valori…, cit., p. 5 e ss.
[nota 27] Tant'è che è possibile discorrere di un effetto distributivo non essenziale, ma secondario in quanto eventuale ed accidentale; sul punto v., infra, nota 59.
[nota 28] Programmare una evenienza, o predisporla, non significa realizzarla e la qualificazione di un atto non può prescindere dalla sua efficacia diretta, sia pure differita, né tanto meno dipendere da un effetto eventuale; contra G. AMADIO, «Patto di famiglia e funzione divisionale», cit., p. 885.
[nota 29] Dunque, mentre l'obbligo di liquidazione si costituisce ex lege (effetto legale) anche senza l'esistenza di alcun legittimario (irreperibile o sopravvenuto), l'effettiva liquidazione dipende dalla volontà dei legittimari e dalla loro esistenza, dunque da un dato fattuale che può anche mancare.
[nota 30] F. TASSINARI, «Il patto di famiglia per l'impresa e la tutela dei legittimari», in Giur. comm., 2006, I, p. 826; A. ZOPPINI, «Profili sistematici della successione "anticipata" (note sul patto di famiglia)», cit., p. 288 e ss.
[nota 31] Così, tra gli altri, U. LA PORTA, in ID., Il patto di famiglia, cit., p. 7 e ss.
[nota 32] G. BALBI, La donazione, in Tratt. dir. civ. diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, vol. II, fasc. IV, Milano, 1964, p. 107 e ss.; U. CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 218 e ss.; di recente G. AMADIO, «Liberalità non donativa e collazione», in I contratti, 2000, p. 525.
[nota 33] In tal senso, tra gli altri, V.R. CASULLI, voce Donazione, in Enc. dir., dir. civ, XIII, Milano, 1964, p. 988; F.M. D'ETTORE, Intento di liberalità e attribuzione patrimoniale. Profili di rilevanza donativa delle obbligazioni di fare gratuite, Padova, 1996, p. 172.
[nota 34] Sulla gratuità quale elemento non essenziale della donazione v. G. BISCONTINI, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti. Il problema della donazione mista, Napoli, 2005, p. 84; V. CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1996, p. 59 e ss.; A. CATAUDELLA, Successione e donazione. La donazione, in Tratt. dir. priv. diretto da M. Bessone, V, Torino, 2005, p. 54; ID., La donazione mista, Milano, 1970, p. 3 e ss.
[nota 35] Sul punto, tra gli altri, F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., p. 544 e ss.; in particolare A. PALAZZO, Le donazioni, in Comm. cod. civ. Schlesinger, Milano, 1991, p. 9 e ss.; ID., I singoli contratti, 2, Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. di dir. civ. diretto da R. Sacco, Torino, 2000, p. 349; ID., voce Donazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 137 e ss.; U. CARNEVALI, voce Donazione, in Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1989, e Agg., 2005, p. 9; ID., Le donazioni, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, 6, Torino, 1997, 2ª ed., p. 601; A. CECCHINI, voce Liberalità (atti di), in Enc. giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990, p. 1 e ss.; discorre della liberalità, in termini strettamente oggettivi, quale risultato o effetto equivalente a quello derivante dalla donazione V. CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, cit., p. 108 e ss., la quale correttamente rileva che al profilo del «risultato» non è, tuttavia, possibile attribuire una rilevanza esclusiva; L. GATT, Le liberalità, I, Torino, 2002, p. 464; v. anche G. BALBI, La donazione, cit., p. 118; U. CARNEVALI, Le donazioni, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, 6, Successioni, II, p. 498; V.R. CASULLI, voce Donazione (dir. civ.), cit., p. 988, i quali giustamente criticano l'assimilazione tra il negozio indiretto e la liberalità non donativa; in tal senso anche A. FEDERICO, Uso "indiretto" del negozio giuridico, ed. provv., Napoli, 2001, p. 47 e ss.; contra A. TORRENTE, La donazione, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, 2ª ed., Milano, 2006, p. 21 e ss., il quale, invece, assimila la donazione indiretta al negozio indiretto.
[nota 36] Discorre di un diritto al futuro della famiglia e alla sua unità perseguito anche tramite la conservazione, la stabilità e la continuità della proprietà e dell'impresa G. OPPO, «Patto di famiglia e "Diritti della famiglia"», cit., p. 439 e ss. Sulla funzione sociale della proprietà, l'utilità sociale dell'impresa e la necessità di interpretare tali clausole generali in combinato disposto con le altre norme costituzionali v., per tutti, P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 885 e ss.; ID., «Proprietà, impresa e funzione sociale», in Riv. dir. impr., 1983, p. 439 e ss.; ID., Introduzione alla problematica della «proprietà», Napoli-Camerino, 1970, p. 70 e ss.; S. RODOTà, «Note critiche in tema di proprietà», in Riv. trim., 1960, p. 1252 e ss.; A. IANNELLI, La proprietà costituzionale, Napoli, 1980, passim; di recente v., in particolare, E. CATERINI, Proprietà, in Tratt. dir. civ. del CNN diretto da P. Perlingieri, III, 3, Napoli, 2005, p. 115 e ss.; in ordine all'esigenza che il significato delle clausole generali venga individuato anche tramite l'interpretazione delle altre norme del sistema e dei suoi valori, nonché attraverso lo sviluppo della relazione implicita tra regole e principi cfr. P. PERLINGIERI e P. FEMIA, Nozioni introduttive e princípi fondamentali del diritto civile, 2ª ed., Napoli, 2004, p. 28 e ss.; G. D'AMICO, «Note in tema di clausole generali», in In iure praes., 1989, p. 447 e ss., 455 ss.; S. RODOTà, «Il tempo delle clausole generali», in Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 709 e ss.; ID., «Le clausole generali», in AA.VV., I contratti in generale, I, I fenomeni negoziali, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da W. Bigiavi a cura di G. Alpa e M. Bessone, Torino, 1991, p. 389 ss.
[nota 37] U. CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., p. 218; B. BIONDI, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. italiano diretto da F. Vassalli, XII, 4, Torino, 1961, p. 921, il quale osserva che «la liberalità non è effetto indiretto dell'atto, ma è la causa che sta alla base dell'atto», con ciò escludendosi la configurazione, quale negozio indiretto, della donazione c.d. indiretta ex art. 809 c.c.; aderisce a tale prospettiva, tra gli altri, F.M. D'ETTORE, Intento di liberalità e attribuzione patrimoniale…, cit., p. 172, 141; sul categoria del c.d. negozio indiretto v., per tutti, E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico (1943), rist., Napoli, 1994, p. 315 e ss.; L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., p. 258 e ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, 2ª ed., Milano, 2000, p. 485 e ss.; A. AURICCHIO, voce Negozio indiretto, in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1965, p. 220; D. RUBINO, Il negozio giuridico indiretto, Milano, 1937, passim; A. FEDERICO, Uso "indiretto" del negozio giuridico, cit., passim.
[nota 38] In tal senso, per tutti, U. CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., p. 218; ID., Le donazioni, cit., p. 485 e ss. e 498; A. PALAZZO, I singoli contratti, 2, Atti gratuiti e donazioni, cit., p. 349; F.M. D'ETTORE, Intento di liberalità e attribuzione patrimoniale…, cit., p. 164 e ss.; U. LA PORTA, in ID., Il patto di famiglia, cit., p. 7; cfr. anche G. BALBI, La donazione, cit., p. 118, il quale già osservava che la nozione di donazione indiretta è «supeflua» perché ogniqualvolta la dottrina tenta di individuare tale nozione, «si constata che in realtà o si ha un contratto di donazione (coincidente con la fattispecie prevista nell'art. 769); oppure rinuncia donativa; oppure negozio tipico diverso dal contratto di donazione, regolato con norme diverse da quelle dettate per il contratto di donazione, nonostante che vi possa essere equivalenza negli effetti»; sulla impossibilità di discorrere di liberalità non donative come categoria giuridica unitaria ne è prova anche la circostanza che è possibile inquadrare nella stessa categoria anche quelle operazioni negoziali divisionali che consentono di raggiungere oggettivamente un risultato o un effetto equivalente a quello derivante dalla donazione (c.d. effetto liberale o risultato di liberalità), senza escludere effetti ulteriori; sul punto vedi App. Torino, 20 luglio 1951, in Giur. it., 1952, I, 2, c. 754; e per la dottrina, B. BIONDI, Le donazioni, cit., p. 953; L. GATT, Le liberalità, cit., p. 190 e ss. e 470; pongono l'accento sul profilo effettuale e sul risultato dell'atto posto anche V. CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, cit., p. 108 e ss., 116; A. CATAUDELLA, Successione e donazione. La donazione, cit., p. 56 e ss.
[nota 39] Sulla diversa rilevanza della diversa funzione attributiva mortis causa sul piano costituzionale e, dunque, regolamentare v. già G. PANZA e F. PANZA, Successioni in generale tra codice civile e costituzione, in Tratt. dir. civ. del CNN diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2004, p. 1 e ss.
[nota 40] Il formalismo ha due diversi atteggiamenti: o una eccessiva considerazione del profilo strutturale «sí che ogni tipo di negozio dovrebbe poter essere realizzato mediante un unico tipo di struttura in una sorta di rigidità assoluta», o una indiscriminata svalutazione dell'importanza di tale profilo con la conseguenza di stabilire «una indefinita ed arbitraria variabilità affidando "al fatto" della partecipazione al negozio il ruolo di elemento decisivo», P. PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, sub artt. 1260-1267, Libro IV, Delle obbligazioni, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 61 e ss.; sul principio di variabilità della struttura v. anche ID., Remissione del debito e rinunzia al credito, Napoli, 1968, passim; ID., Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, sub artt. 1230-1259, Libro IV, Delle obbligazioni, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1975, p. 16 e ss.; ID., voce Cessione dei crediti, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988, p. 1 e ss., ora anche in ID., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto civile, Napoli, 2003, p. 165 e ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 603 e ss.
[nota 41] P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 618.
[nota 42] Cosí, ad esempio, si può riscontrare che la cessione del credito e la remissione del debito possono variare la loro struttura, da bilaterale a trilaterale, nel primo caso, e da unilaterale a bilaterale, nel secondo, qualora il debitore risulti portatore di un interesse giuridicamente rilevante al non trasferimento della situazione creditoria o alla non estinzione della situazione debitoria, che gli impone di partecipare necessariamente al perfezionamento della fattispecie. Viceversa anche una cessione del credito bilaterale al quale partecipa il debitore apponendo, ad esempio, una condizione può trasformarsi da bilaterale a trilaterale.
[nota 43] P. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, cit., p. 20.
[nota 44] In argomento v., per tutti, M. GIORGIANNI, «Negozi giuridici collegati», in Riv. it. sc. giur., 1937, p. 275, ora in ID., Scritti minori, cit., p. 1 e ss.; F. MESSINEO, voce Contratto collegato, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 48 e ss.; R. SCOGNAMIGLIO, voce Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 376; F. DI SABATO, «Unità e pluralità di negozi», in Riv. dir. civ., 1959, I, p. 414 e ss.; G. LENER, Profili del collegamento negoziale, Milano, 1999, p. 6 e ss.; F. MAISTO, Il collegamento volontario tra contratti nel sistema dell'ordinamento giuridico. Sostanza economica e natura giuridica degli autoregolamenti complessi, Napoli, 2000, p. 13 e ss.; sulla distinzione tra collegamento negoziale ed unione formale di atti funzionalmente e teleologicamente distinti v., invece, G. PERLINGIERI, Atti dispositivi "nulli" e acquisto dell'eredità. Contributo allo studio della gestione conservativa, Napoli, 2002, p. 80 e ss.
[nota 45] SALV. ROMANO, Introduzione allo studio del procedimento giuridico nel diritto privato, Milano, 1961, p. 3 e ss.; P. PERLINGIERI, «La concezione procedimentale del diritto di Salvatore Romano», in Rass. dir. civ., 2006, p. 425 e ss., ora in ID., L'ordinamento vigente e i suoi valori…, cit., p. 587 e ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 608 e ss.; N. DI PRISCO, voce Procedimento, in Enc. dir., dir. priv., XXXV, Milano, 1986, p. 836 e ss.
[nota 46] Sul concetto di operazione economica v., di recente, E. GABRIELLI, «Il contratto e l'operazione economica», in Riv. dir. civ., 2003, p. 93 e ss., il quale rileva la «difficoltà di recepire le nuove discipline nello schema del contratto, e quindi nella limitata contemplazione del singolo atto, quando la ragione sostanziale dell'affare si caratterizzi per un'intrinseca complessità ed elasticità»; sul concetto di fattispecie a formazione progressiva v. E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 296 e ss.
[nota 47] Dunque, sedersi al tavolo delle trattative o intervenire insieme con altri, senza assumere la qualità di parte.
[nota 48] P. PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, cit., p. 63 e ss.; v. anche R. CICALA, Accollo, in Saggi sull'obbligazione e le sue vicende, rist., Napoli, 1990, p. 81 e ss.
[nota 49] C. DONISI, Il contratto con se stesso, Napoli, 2002, p. 57 e ss., 59, il quale osserva che il carattere strutturale «si mostra refrattario ad essere rintracciato nell'aera del fatto, non v'è che individuarlo in quella del valore, ossia per l'appunto nella sfera del regolamento d'interessi». Dunque non già «nel procedimento formativo né nella fattispecie, ma nell'assetto d'interessi alla cui inosservanza le parti saranno impegnate».
[nota 50] P. PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, cit., p. 73 e ss.
[nota 51] Cass. 19 febbraio 2000, n. 1917, in Fam. dir., 2000, p. 345 e ss.; G. LO SARDO, «Acquisto di beni con il prezzo del trasferimento di beni personali o con il loro scambio e dichiarazione di esclusione dalla comunione legale», in Riv. not., 1995, p. 761 e ss.
[nota 52] C. CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie», cit., p. 297.
[nota 53] E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 83, 301; sul punto di recente S. D'ANDREA, La parte soggettivamente complessa. Profili di disciplina, Milano, 2002, p. 44 e ss.; R. PAGLIUCA, Il ruolo della parte nelle operazioni negoziali di scambio, Napoli, 2007, p. 40 e ss., ivi ulteriori riferimenti bibliografici.
[nota 54] Sulla parte come centro di interessi v. F. MESSINEO, Il negozio giuridico plurilaterale, Milano, 1927, p. 11 e ss.
[nota 55] Si pensi alla differenza che intercorre tra mandato e amministrazione congiuntiva, posto che, da un lato, l'art. 2258, comma 3, c.c. esclude l'azione congiunta degli amministratori di società di persone in presenza dell'«urgenza di evitare un danno alla società» e, dall'altro, anche il concetto di parte soggettivamente complessa e, conseguentemente, di inscindibilità dell'azione e del rapporto, va adeguato al tipo di attività e alle peculiarità degli interessi e delle esigenze. Sí che non può non rilevare la differenza tra semplice mandato congiunto a compiere uno o più atti e potere congiunto di amministrazione o rappresentare una società. Con la conseguenza che l'autonomia dell'azione dei singoli amministratori, anche nel caso di amministrazione congiuntiva, è di regola più ampia rispetto al mandato congiunto, come di regola è più restrittiva, rispetto al mandato, la stessa disciplina in materia di responsabilità dei singoli amministratori (artt. 2392, 2364, comma 1, n. 5, c.c.; 2260, comma 2, c.c.). Dunque, a maggiore autonomia corrisponde maggiore responsabilità o, se si preferisce, una maggiore responsabilità in virtù di una maggiore autonomia; sul punto e sulla necessità di adeguare il concetto di parte soggettivamente complessa alle peculiarità del caso concreto v. G. PERLINGIERI, «Amministrazione congiuntiva e azione disgiunta. L'ultimo comma dell'art. 2258 codice civile», in Riv. dir. impr., 2006, p. 183 e ss., e, in particolare, p. 224; in ordine alla relatività e alla storicità dei concetti e delle categorie e alla necessità di adeguarli sempre alle peculiarità degli interessi ed alla gerarchia dei valori normativi sia consentito il rinvio a ID., Venticinque anni della Rassegna di diritto civile e la «polemica sui concetti giuridici». Crisi e ridefinizione delle categorie, cit., p. 543 e ss.
[nota 56] P. PERLINGIERI, Il fenomeno dell'estinzione nelle obbligazioni, Napoli, 1995, p. 130 e ss., 132; G. RECINTO, I patti di inesigibilità del credito, Napoli, 2004, p. 69 e ss.; sul punto v. anche M. ORLANDI, Pactum de non petendo e inesigibilità, Milano, 2000, p. 129 e ss.
[nota 57] Contra, per tutti, F. MESSINEO, voce Contratto nei rapporti col terzo, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 196 e ss.; L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 688; C. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, Milano, 1966, p. 196 e ss.; ID., Contratti in generale, in Tratt. dir. civ. diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, IV, II, Milano, 1977, p. 202.
[nota 58] C. DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, p. 133 e ss., 135; ID., voce Atti unilaterali. I. Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, III, Roma, 1988, p. 1 e ss.; v. anche R. CICALA, L'adempimento indiretto del debito altrui. Disposizione "novativa" del credito ed estinzione dell'obbligazione nella teoria del negozio, Napoli, 1968, p. 184, nota 223; sulla tendenza del diritto moderno all'ammissione di una generale idoneità del negozio a produrre effetti a favore di terzi v., in particolare, L.V. MOSCARINI, I negozi a favore di terzo, Milano, 1970, p. 19 e ss., 125 e ss., il quale ribadisce la non eccezionalità della figura del contratto a favore di terzi.
[nota 59] P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 619 e ss., 624, il quale osserva che un negozio si qualifica soltanto in base agli effetti, pur differiti e legali, ma diretti rispetto all'atto e non per il tramite degli effetti riflessi o secondari. I primi trovano la loro causa non nella fattispecie produttiva dell'effetto principale ma esclusivamente in quest'ultimo (effetto dell'effetto essenziale). Per secondari, invece, s'intendono quegli effetti eventuali ed accidentali, cioè gli effetti che possono anche mancare senza che ciò incida sulla fattispecie; vedi anche ID., «Appunti sulla rinunzia», in Riv. not., 1968, p. 342 e ss., ora anche in ID., Il diritto dei contratti fra persona e mercato…, cit., p. 105 e ss.); E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 242 e ss.; «alcuni effetti sono essenziali al tipo negozio e non possono non prodursi: grazie ad essi soltanto si attua la causa del negozio e l'intento viene conseguito. Alterandoli si altera il negozio», F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, p. 239 e ss.
[nota 60] Sul punto v. anche F. MESSINEO, voce Contratto nei rapporti col terzo, cit., p. 196.
[nota 61] In ordine alla circostanza che il soggetto passivo dell'obbligo di liquidazione possa anche essere il disponente v. G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 440 e ss.
[nota 62] Sull'integrazione legale dell'efficacia (art. 1374 c.c.), quale fenomeno al quale ricorrere per l'interpretazione e la qualificazione del negozio giuridico, v. P. PERLINGIERI, Intepretazione e qualificazione: profili dell'individuazione normativa, in ID., Scuole tendenze e metodi…, cit., p. 29 e ss., 35 e ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 616 e ss.; sul punto vedi anche S. RODOTà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, p. 2 e ss.
[nota 63] Per una ricostruzione storica della categoria v. R. ORESTANO, «Diritti soggettivi e diritti senza soggetto. Linee di una vicenda concettuale», in Ius, 1960, p. 151 e ss.; in riferimento al legittimario non esistente al momento della stipulazione del patto si potrà discorrere di situazione soggettiva ex lege senza soggetto confermando quell'impostazione che, nel distinguere tra esistenza della situazione soggettiva e titolarità della stessa, evidenzia come il rapporto obbligatorio sia relazione tra situazione soggettive che esistono anche senza l'attuale presenza o individuazione del soggetto titolare, tant'è che il soggetto, pur quando si configuri una titolarità organica o istituzionale, è un elemento esterno alla situazione soggettiva e dunque al rapporto.
[nota 64] Conformemente G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 427 e ss., il quale osserva che la stabilità del patto è garantita non dalla necessaria partecipazione di tutti i legittimari esistenti, ma dall'art. 768-sexies, c.c.; diversamente chi osserva che il patto al quale non partecipa un legittimario esistente non è necessariamente nullo, perché la liberalità può valere come semplice donazione «sempre che abbia i requisiti di forma e di sostanza e se, alla stregua di una volontà ipotetica delle parti, esse l'avrebbero voluta qualora avessero saputo dell'invalidità», A. ZOPPINI, «Profili sistematici della successione "anticipata" (note sul patto di famiglia)», cit., p. 294; è considerato sempre nullo da F. GAZZONI, «Appunti e spunti in tema di patto di famiglia», cit., p. 218 e ss.
[nota 65] Sul principio di intangibilità delle sfere giuridiche soggettive v. C. DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., p. 133 e ss.
[nota 66] Sul tema si rinvia a G. PERLINGIERI, Negozio illecito e negozio illegale. Una incerta distinzione sul piano degli effetti, Napoli, 2003, p. 1 e ss., ora, con talune modifiche, in Scritti in onore di Ugo Majello a cura di M. Comporti e S. Monticelli, II, Napoli, 2005, p. 419 e ss.; ID., «Funzione notarile e clausole vessatorie. A margine dell'art. 28 L. 16 febbraio 1913, n. 89», in Rass. dir. civ., 2006, p. 804 e ss.
[nota 67] G. OPPO, «Patto di famiglia e "Diritti della famiglia"», cit., p. 441.
[nota 68] Per una rilettura del principio di conservazione nella prospettiva sistematico-assiologica v. M. PENNASILICO, Il principio di conservazione dei «valori giuridici», ed. provv., Napoli, 2002, p. 10 e ss.; ID., «Controllo e conservazione degli effetti», in Rass. dir. civ., 2004, p. 119 e ss.; ID., «L'interpretazione dei contratti della pubblica amministrazione tra conservazione e stabilità degli effetti», ivi, 2005, p. 428 e ss.
[nota 69] Così E. MINERVINI, Commento all'art. 768-quinquies c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 133 e ss., il quale pone in risalto la differenza rispetto alla disciplina generale di cui all'art. 1442, comma 1, c.c.
[nota 70] G. OPPO, «Patto di famiglia e "Diritti della famiglia"», cit., p. 441.
[nota 71] Sul punto cfr. V. VERDICCHIO, Commento all'art. 768-septies c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 180; sulla circostanza che il recesso del legittimario non comporta lo scioglimento del contratto, ma semplicemente l'obbligo di restituzione dei beni ricevuti G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 463.
[nota 72] C. CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie», cit., p. 300 e ss.
[nota 73] G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 432; G. OBERTO, Il patto di famiglia, Padova, 2006, p. 128; con il termine contraenti (al plurale) l'art. 768-quater, comma 4, c.c. sembra, quindi, riferirsi sia all'assegnatario o agli assegnatari, sia ai legittimari non assegnatari che abbiano aderito (mediante accettazione o rinunzia) al patto prima o dopo l'apertura della successione. A tal proposito meriterebbe di essere approfondita la distinzione tra parte, partecipante e contraente. Ciò sia perché la qualifica di contraente non presuppone necessariamente la qualità di parte del regolamento di interessi (si pensi al mandato con rappresentanza dove il soggetto destinatario dell'effetto – c.d. parte del rapporto – pur non essendo terzo rispetto al negozio, perché non «del tutto estraneo alla regolamentazione di interessi», non assume la qualità di contraente; sul punto v. G. B. FERRI, voce Parte del negozio giuridico, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 914 e ss.), sia perché l'adesione ad un atto di autonomia può avvenire anche mediante un intervento ad un regolamento negoziale predisposto da altri (in qualità di spettatore necessario di una stipulazione inter alios), al fine di consentire non già la produzione di effetti essenziali, ma la semplice nascita di effetti ulteriori e secondari; cosí, oltre alla fattispecie di cui all'art. 179, comma 2, c.c., si pensi al legittimario contraente non assegnatario che, riscuotendo o rinunziando al credito (dunque aderendo o partecipando ad un regolamento predisposto da altri), consente la costituzione di effetti ulteriori (non essenziali) anche non necessariamente voluti (come, ad esempio, l'esenzione da riduzione e collazione); per una prima analisi del significato di «contrahere» v. G. MELILLO, Contrahere, pacisci, transigere. Contributi allo studio del negozio bilaterale romano, Napoli, 1994, p. 125 e ss. Anche dal significato letterale, infatti, sembra emergere che il termine contraente non si risolve sempre in quello di parte della fattispecie, né in quello di mero partecipante posto che contrahentes deriva da contrahere e indica il trarre a sé, il raccogliere, il mettere insieme, il relazionarsi, l'aderire anche mediante rinunzia. Così se contrarre, per un verso, sembra presupporre una partecipazione di adesione o di rinunzia, ma non di mero rifiuto, per altro verso, non sembra richiedere necessariamente la qualità di parte. Sul punto, però, v. G. PIAZZA, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, Napoli, 1968, p. 12 e ss., 37 e ss.
[nota 74] In tal senso v. anche G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 429, il quale giustamente osserva che «se l'obiettivo del legislatore è quello di precludere l'azione di riduzione e la collazione ai legittimari diversi dall'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni, tale obiettivo può essere raggiunto anche progressivamente, completandosi in un momento successivo alla stipula del contratto e addirittura dopo l'apertura della successione, come dimostra l'art. 768-sexies c.c.».
[nota 75] L'art. 768-quater, comma 4, c.c. nel contemplare l'esonero da riduzione e collazione, in virtù della partecipazione (comma 1), contiene un sorta di "rinuncia implicita" o "tacita" dei legittimari all'esercizio delle suddette azioni; similmente G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 441.
[nota 76] Ciò a causa della natura inter vivos del patto di famiglia, il quale configura né un patto successorio istitutivo, né dispositivo, né rinunziativo. Non un patto istitutivo perché sia l'oggetto sia l'individuazione del beneficiario sono determinati con riferimento al momento del suo perfezionamento, e non in relazione a quello dell'apertura della successione. Non un patto dispositivo o rinunziativo considerato che la mera adesione dei legittimari alla liquidazione non costituisce un atto dispositivo della quota di legittima e che la loro eventuale rinunzia, avendo ad oggetto sempre e soltanto il diritto attuale alla liquidazione, non può essere intesa alla stregua di un atto rinunziativo di un diritto derivante da una successione del disponente non ancora aperta. Inoltre, preso atto della deroga di cui all'art. 458 c.c., non è da escludere a priori né un trasferimento immediato della nuda proprietà dell'azienda o delle partecipazioni, con usufrutto fino alla morte in capo al disponente, né la stipulazione di un patto di famiglia post mortem con efficacia sospensivamente condizionata all'apertura della successione dove la morte assurgerebbe non già a causa del contratto, ma a condizione (o termine) di efficacia, a modalità accessoria, tant'è che il patto, salvo un mutuo dissenso, risulta irrevocabile dopo la stipulazione, nonché eventualmente sottoposto all'art. 1357 c.c. Pertanto dopo la stipula del patto il disponente non potrà più alienare l'azienda o le partecipazioni societarie ad altri soggetti diversi dagli assegnatari, divenuti i nuovi titolari di esse; in tal senso A. PALAZZO, «Il patto di famiglia tra tradizione e rinnovamento del diritto privato», cit., p. 266; G. AMADIO, «Profili funzionali del patto di famiglia», cit., p. 351, il quale osserva che «chi dispone a causa di morte conserva integro il potere di disporre ulteriormente dei beni assegnati». Sulla distinzione tra atti mortis causa e atti post mortem cfr., per tutti, R. NICOLO', «Attribuzioni patrimoniali post mortem e mortis causa», in Vita not., 1971, p. 147 e ss.; G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad un teoria dell'atto di ultima volontà, Milano, 1954, p. 40 e ss.; ID., voce Atto mortis causa, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 232 e ss.; M.V. DE GIORGI, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976, p. 113 e ss.; A. PALAZZO, «Il patto di famiglia tra tradizione e rinnovamento del diritto privato», cit., p. 266, il quale osserva che anche un patto di famiglia condizionato alla morte del disponente non regola la sorte dei beni rimasti nel patrimonio dello stesso dopo la sua morte, sí che l'attribuzione non si qualifica come de residuo e, dunque, mortis causa; una disamina approfondita di tali problematiche è in ID., Istituti alternativi al testamento, in Tratt. dir. civ. del CNN diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2003, p. 11 e ss.; in argomento F. GAZZONI, «Patti successori, conferma di un'erosione», nota a Cass. 9 maggio 2000, n. 5870, in Riv. not., 2001, II, p. 232 e ss.; M. IEVA, I fenomeni di rilevanza successoria, Napoli, 2001, p. 19 e ss.; E. LUCCHINI GUASTALLA, «Gli strumenti negoziali di trasmissione della ricchezza familiare: dalla donazione si praemoriar al patto di famiglia», cit., p. 307; P. VITUCCI, «Ipotesi sul patto di famiglia», cit., p. 457 e ss.; sul ruolo causale, o meno, assunto dalla morte del soggetto che compie l'attribuzione nel patto di famiglia v., in particolare, C. CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie», cit., p. 294 e ss., 301 e ss.
[nota 77] C. CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie», cit., p. 300.
[nota 78] G. OBERTO, Il patto di famiglia, cit., p. 126; sulla difficoltà di identificare con certezza i legittimari del disponente effettivamente esistenti al momento della stipula del patto A. ZOPPINI, «Profili sistematici della successione "anticipata" (note sul patto di famiglia)», cit., p. 291.
[nota 79] C. CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie», cit., p. 308.
[nota 80] Per la inutilità della disposizione di cui al primo comma dell'art. 768-quinquies c.c. propende la dottrina maggioritaria; per tutti v. E. MINERVINI, Commento all'art. 768-quinquies c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 132 e ss.
[nota 81] Anche in materia di impresa familiare, dove è richiesta la consultazione dei familiari collaboratori sulle decisioni di maggiore importanza per la vita dell'impresa, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti osservano che in caso di cessione dell'azienda non è neppure necessario il consenso dei familiari partecipi, sorgendo esclusivamente una tutela risarcitoria in favore dei familiari pretermessi, vista la natura individuale e non collettiva dell'impresa familiare; sul punto L. RUSSO, «Patto di famiglia e azienda agricola», cit., p. 327 e ss., il quale, giustamente, osserva che tale soluzione potrebbe non verificarsi nelle particolari ipotesi di imprese agricole a gestione familiare nelle quali sia possibile ipotizzare una comunione tacita; sulla natura individuale dell'impresa familiare v., tra gli altri, G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 1, Diritto dell'impresa, cit., p. 75, il quale chiarisce che la disciplina dell'impresa familiare ha carattere esclusivamente obbligatorio tanto da non alterare la struttura individuale dell'impresa e non incidere sulla titolarità dei beni aziendali, che restano di proprietà esclusiva dell'imprenditore-datore di lavoro; C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia-Le successioni, 4ª ed., Milano, 2005, p. 505 e ss.; M. NUZZO, L'impresa familiare, in Il diritto di famiglia, II, Il regime patrimoniale della famiglia, in Tratt. diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, Torino, 1997, p. 440 e ss.; G. OPPO, «Patto di famiglia e "Diritti della famiglia"», cit., p. 445; sul punto, però, v. anche F. PANZA, Le attribuzioni con funzione produttiva, in G. PANZA e F. PANZA, Successioni in generale tra codice civile e costituzione, cit., p. 158 e ss.
[nota 82] Di tale prospettiva ne è chiara prova la stessa introduzione nel sistema dell'istituto in esame, il quale come tale non dà soltanto prevalenza agli interessi individuali dei beneficiari, rispetto a quelli dei legittimari non assegnatari, ma contribuisce alla tutela dell'interesse generale dell'impresa e del mercato, perché la stabilità e la conservazione di una azienda è garanzia dell'ordine pubblico economico, in quanto favorisce lo sviluppo del mercato e il mantenimento dei livelli occupazionali. Sí che nel rispetto delle esigenze dei legittimari, i quali comunque trovano nella disciplina in esame una tutela ragionevole, sembra corretta una prospettiva conforme alla ratio del patto stesso e alla gerarchia costituzionale e comunitaria. Ciò non può considerarsi una «tautologia», anche qualora il diritto dei legittimari fosse da far rientrare nella tutela costituzionale della famiglia. Tra l'altro anche garantire la continuità e la stabilità di una azienda familiare, evitando una possibile disgregazione, può porsi a garanzia della tutela della famiglia e della sua identità. Si interroga su tali questioni A. CHECCHINI, «Patto di famiglia e principio di relatività del contratto», in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 302.
[nota 83] Da più parti infatti si evidenziata la difficoltà di radunare tutti i legittimari esistenti a causa di possibili gelosie, rivalità o invidie. Del resto i non partecipanti sarebbero dotati di una azione di nullità imprescrittibile, il che risulterebbe contrario proprio a quelle esigenze di certezza e stabilità che dovrebbero caratterizzare il trasferimento dell'azienda familiare.
[nota 84] Ovvero coloro che sarebbero legittimari al momento della stipulazione del patto (art. 768-quater, comma 1, c.c.).
[nota 85] Sul punto vedi le osservazioni di E. MINERVINI, Commento all'art. 768-sexies c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 166 e ss., il quale afferma che «l'art. 768-sexies, comma 1, c.c., allorquando riconosce al legittimario non partecipante il diritto al pagamento della somma, di cui all'art. 768-quater, comma 2, c.c. (aumentata degli interessi legali), intende riferirsi alla somma corrispondete al valore venale della quota. Non a caso la norma rinvia al comma 2 (e cioè alla somma corrispondente al valore venale della quota) e non al comma 3 (e cioè alla somma corrispondente al valore attribuito nel patto di famiglia) dell'art. 768-quater c.c.» (c.d. valore convenzionale). Pertanto, in ipotesi di divergenza tra valore convenzionale e valore venale della quota, il legittimario può rivolgersi all'autorità giudiziaria, al fine ottenere l'esatta determinazione del valore – si intende, al momento della stipula del patto di famiglia, e non dell'apertura della successione – (p. 169); così anche M. IMBRENDA, «Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business», cit., p. 465 e ss.
[nota 86] I legittimari non partecipanti, infatti, all'apertura della successione possono non già impugnare il patto per vizi della volontà, ma possono esigere la liquidazione e così aderire al patto. Soltanto in caso di inadempimento dei debitori potranno agire per l'annullamento del contratto. Tale soluzione pur originale e asistematica come le altre riconosce, quanto meno, l'azione di annullamento al non partecipante non già nel caso di semplice volontà di non aderire al patto (così, invece, U. LA PORTA, in ID., Il patto di famiglia, cit., p. 27 e ss.), ma soltanto nel caso di inadempimento. Ciò garantisce una maggiore stabilità del patto almeno fino ad un eventuale patologia (inadempimento) nella fase del rapporto. L'evidente anomalia – annullabilità del contratto per vizio funzionale e non genetico – sarebbe così giustificata: è ingiusto che il patto non cada, ove i familiari terzi (esistenti o sopravvenuti) restino insoddisfatti, dal momento che i partecipanti al contratto sono legittimati all'azione di risoluzione, se resta inadempiuto l'obbligo di liquidarli; così F. GAZZONI, «Appunti e spunti in tema di patto di famiglia», cit., p. 218 e ss. con riferimento, però, ai soli legittimari sopravvenuti; in argomento P. VITUCCI, «Ipotesi sul patto di famiglia», cit., p. 477 nota 46. La stessa dottrina, inoltre, osserva che la decorrenza del termine di prescrizione annuale sarebbe da collocare non nel momento dell'aperta successione, ma in quello nel quale si prescrive il diritto di accettare l'eredità, spettante al legittimario: diritto dal cui esercizio dipende l'acquisto del credito alla liquidazione; sul punto però v. le osservazioni di E. MINERVINI, Commento all'art. 768-sexies c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 164 e ss.
[nota 87] Cass. 12 settembre 1970, n. 1392, in Rep. Foro it., 1970, voce Successione, n. 60; e in Foro it., 1970, I, c. 2403; non c'è dubbio, tuttavia, che la scelta del rimedio dell'annullabilità in caso di inadempimento, pur "motivata" sulla base di una esigenza restitutoria, appare quanto mai «inedita, singolare, incongrua, oscura, incomprensibile, stranissima», nonché «una anomalia, disarmonia, distonia, incoerenza nel sistema dei rimedi contrattuali»; così E. MINERVINI, Commento all'art. 768-sexies c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 163.
[nota 88] Propone di evitare una disparità di trattamento tra i legittimari esistenti e quelli sopravvenuti, essendo identica la loro posizione sul piano assiologico, C. CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie», cit., p. 297, il quale tuttavia propende, al contrario, per la validità e l'efficacia del patto e, dunque, per la necessaria bilateralità dello stesso e per il carattere ultroneo dell'adesione dei legittimari esclusi dall'assegnazione.
[nota 89] G. OBERTO, Il patto di famiglia, cit., p. 125 e ss.
[nota 90] P. PERLINGIERI, «La contrattazione tra imprese», in Riv. dir. impr., 2006, p. 330. Sul punto, però, vedi ID., «Azione inibitoria e interessi tutelati», in Giusto proc. civ., 2006, 2, p. 7 e ss., e spec. p. 9 e ss. e 16 e ss.
[nota 91] Sulla necessità che l'art. 768-sexies c.c. sia coordinato con le disposizioni generali in tema di successione necessaria v. G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 459 e ss.
[nota 92] Circa l'esigenza che si faccia riferimento al valore venale dell'azienda o della partecipazioni societarie e non al valore convenzionale delle stesse v., retro, nota 85.
[nota 93] G. PERLINGIERI, Atti dispositivi «nulli» e acquisto dell'eredità. Contributo allo studio della gestione conservativa, cit., p. 81.
[nota 94] Ciò confermerebbe quella impostazione che già negava all'azione di riduzione una natura reale o di tipo rivendicatorio; v., tra gli altri, Cass. 22 marzo 2001, n. 4130, in Foro it., 2001, I, c. 2534; V.E. CANTELMO, Fondamento e natura dei diritti del legittimario, cit., p. 111 e ss.; ID., I legittimari, cit., p. 120; G. BONILINI, Manuale di diritto delle successioni e delle donazioni, Torino, 2003, p. 151; sulla validità della disposizione quale presupposto dell'azione di riduzione F. SANTORO PASSARELLI, Dei legittimari, sub artt. 82-110, in Comm. cod. civ. diretto da D'Amelio, Libro delle Successioni per causa di morte, Firenze, 1941, p. 330.
[nota 95] Tale donazione resta inattaccabile dagli altri legittimari lesi, tant'è che la disciplina specifica, di cui all'art. 17 della legge provinciale di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17, prevede che i legittimari non beneficiari possono trovare soddisfazione solamente mediante corresponsione di somme di danaro, e non anche mediante azione di riduzione avente ad oggetto il bene donato, ovvero mediante tutela di carattere reale sui beni oggetto del maso (c.d. compendio aziendale); L. RUSSO, «Patto di famiglia e azienda agricola», cit., p. 334 e ss.; M. IMBRENDA, «Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business», cit., p. 428 e ss.; v. però G. GABRIELLI, voce Maso chiuso, in Dig. disc. priv., sez. civ., XI, Torino, 1994, p. 205 e ss.
[nota 96] Sul punto v., in particolare, la relazione di G.A.M. TRIMARCHI, «Atti ricognitivi di liberalità non donative nella prassi notarile», in questo volume.
[nota 97] In questa prospettiva, di recente, G. AMADIO, «Liberalità non donativa e collazione», cit., p. 527, ivi ulteriori riferimenti.
[nota 98] C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, cit., p. 702.
[nota 99] La norma risulta applicabile anche ai beni mobili; sul punto cfr. G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, 5, Successioni, I, Torino, 1982, p. 417; sulla circostanza che le ragioni del beneficiario dell'attribuzione e le ragioni della pubblica economia debbano avere una prevalenza sull'interesse individuale dei legittimari non beneficiari v. A. CICU, Successioni per causa di morte, in Tratt. dir. civ. comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo, XLII, Milano, 1961, p. 441.
[nota 100] Cass. 11 aprile 1987, n. 3617, in Rep. Foro it., 1987, voce Divisione, n. 12.
[nota 101] G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 1, cit., p. 135; cfr. Cass. 7 dicembre 2005, n. 27011, in Rep. Foro it., 2005, voce Azienda, n. 13; Cass. 19 luglio 2000, n. 9460, in Rep. Foro it., 2001, voce Fallimento, n. 577; Cass. 3 novembre 1998, n. 10992, ivi, 1998, voce cit., n. 9; Cass. 21 ottobre 1995, n. 10993, ivi, 1995, voce cit., n. 9; Cass. 3 aprile 1993, n. 4053, ivi, 1993, voce cit., n. 12; Cass. 9 giugno 1981, n. 3723, ivi, 1981, voce cit., n. 5; Cass. 13 gennaio 1981, n. 301, ivi, 1981, voce cit., n. 7; Cass., sez. lav., 23 giugno 2001, n. 8621, ivi, 2001, voce cit., n. 12; sulla differenza tra locazione di immobile con pertinenze e affitto di azienda v. Cass. 27 giugno 2002, n. 9354, ivi, 2003, voce cit., n. 26; Cass. 17 aprile 1996, n. 3627, ivi, 1999, voce cit., n. 18; Cass. 16 giugno 1998, n. 5986, ivi, 1998, voce cit., n. 19.
[nota 102] P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, Della divisione, cit., p. 134 e ss.; Cass. 4 aprile 1985, n. 2305, in Rep. Foro it., 1985, voce Divisione, n. 11; L. CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte, Napoli, s.d., p. 753 e ss.
[nota 103] Cass. 26 aprile 1983, n. 2861, in Rep. Foro it., 1983, voce Divisione, n. 10; Cass. 7 maggio 1987, n. 4233, in Rep. Foro it., 1987, voce Divisione, n. 11; sui concetti di "pregiudizio alle ragioni della pubblica economia" e di "comoda divisibilità" v. G. MARINARO e M. IACOVELLI, Sub. artt. 560 e 720, in Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza a cura di P. Perlingieri, Libro Secondo, Delle Successioni, artt. 456-809, 2ª ed., Napoli-Bologna, 1991, p. 186, 568 e ss.
[nota 104] G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 1, cit., p. 137 ivi ulteriori riferimenti bibliografici.
[nota 105] F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Milano, 1957-1965, p. 576; contra P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, Della divisione, cit., p. 141 e ss., 162 e ss. ove, invece, considerano l'art. 722 c.c. una norma superflua in quanto il suo contenuto si potrebbe ritenere ricompreso nella formula dell'art. 720, che, sebbene si riferisca espressamente ai beni immobili «non comodamente divisibili», si estende necessariamente a tutti i beni mobili ed immobili, assolutamente o relativamente indivisibili.
[nota 106] Cass. 6 marzo 1980, n. 1517, in Rep. Foro it., 1980, voce Divisione, n. 38; A. CICU, Successioni per causa di morte, cit., p. 422; di diverso parere P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, Della Divisione, cit., p. 163, che sottolineano come l'inderogabilità – e quindi l'eventuale sanzione – deve essere prevista dalla legge speciale, contenendo la norma in esame soltanto un rinvio agli artt. 720 e 721 c.c., di per sé derogabili.
[nota 107] P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, Della divisione, cit., p. 141.
[nota 108] Risultano applicazioni specifiche dell'art. 722 c.c. le indivisibilità previste dal legislatore in materia di minima unità colturale, unità poderale di bonifica, maso chiuso e vincolo di indivisibilità ex art. 11 della legge 14 agosto 1971, n. 817; sul punto v. P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, Della divisione, cit., p. 163 e ss.
[nota 109] V.E. CANTELMO, Fondamento e natura dei diritti del legittimario, cit., p. 112; sulla sostanziale estraneità della tutela dei legittimari al meccanismo della successione a causa di morte cfr. ID., I legittimari, cit., p. 19 e ss.
[nota 110] Nella prospettiva costituzionale che impone un diritto delle successioni capace di adeguarsi alle funzioni delle attribuzioni, nonché agli interessi ed alla gerarchia dei valori v. anche F. PANZA, Le attribuzioni con funzione produttiva, in G. PANZA e F. PANZA, Successioni in generale tra codice civile e costituzione, cit., p. 155 e ss.
[nota 111] Così E. BETTI, Il concetto della obbligazione costruito dal punto di vista dell'azione, in Diritto sostanziale e processo, Milano, 2006, p. 7, il quale piega il processo in servizio del diritto sostanziale e nega ogni distanza logica e giuridica tra il diritto e il processo; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 62, 261; sul superamento del principio di tipicità che per lungo tempo ha caratterizzato l'esperibilità delle azioni inibitorie, in quanto l'estensione del rimedio non può che realizzarsi in ragione del «principio di adeguatezza del [medesimo] rispetto all'interesse sostanziale»: ID., «Azione inibitoria e interessi tutelati», cit., p. 7 e ss., e spec. p. 9 e ss. e 16 e ss.
[nota 112] P. PERLINGIERI, «La contrattazione tra imprese», cit., p. 330.
[nota 113] Ciò purché «la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante»; sul punto cfr., tra gli altri, L. GATT, Le liberalità, cit., p. 379; A.M. PINELLI, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007, p. 192, 284, ivi ulteriori riferimenti di dottrina e giurisprudenza.
[nota 114] Ciò confermerebbe il superamento della «legittima in natura», P. VITUCCI, «Ipotesi sul patto di famiglia», cit., p. 476.
[nota 115] G. AMADIO, «La successione necessaria tra proposte di abrogazione e istanze di riforma», in Riv. not., 2007, I, p. 812.
[nota 116] Propone una distinzione tra legittimari eredi necessari e legittimari creditori S. DELLE MONACHE, «Abolizione della successione necessaria?», in Riv. not., 2007, I, p. 823 e ss.; G. AMADIO, «La successione necessaria tra proposte di abrogazione e istanze di riforma», ivi, p. 804 e ss. e 809; ID., Anticipata successione e tutela dei legittimari, in Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Milano, 2004, p. 653 e ss.; vedi però le osservazioni di L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo, 2ª ed., Milano, 1984, p. 98 e ss. e 102 e ss.
[nota 117] V.E. CANTELMO, Fondamento e natura dei diritti del legittimario, cit., p. 65; F. SANTORO PASSARELLI, «Appunti sulle successioni legittime», in Riv. it. sc. giur., 1930, p. 247; ID., «Legato privativo di legittima», in Riv. dir. civ., 1935, p. 249 e ss., ora in ID., Saggi di diritto civile, II, Napoli, 1961, p. 659 e ss.; ID., Dei legittimari, cit., p. 271 e ss.
[nota 118] P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 604; ID., Della cessione dei crediti, cit., p. 64.
[nota 119] Del resto i terzi si distinguono in più categorie: «a) parti del rapporto (anche se estranee al negozio); b) terzi partecipi all'interesse, ma estranei al negozio, la cui posizione giuridica è subordinata a quella della parte; c) terzi interessati, la cui posizione giuridica è indipendente e incompatibile con gli effetti del contratto; d) terzi normalmente indifferenti, la cui posizione giuridica è compatibile, ma che sono legittimati a reagire quando risentano un illecito pregiudizio dagli effetti del negozio», E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 262; per la manualistica v., in particolare, P. PERLINGIERI e P. FEMIA, in P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit., p. 86 e ss.
[nota 120] Nel patto di famiglia la liquidazione dei legittimari può avvenire ad opera dell'assegnatario o, secondo alcuni, anche da parte dell'imprenditore mediante l'attribuzione a loro favore di beni diversi dall'azienda e dalle partecipazioni societarie. La determinazione delle quote di liquidazione spettanti ai legittimari non assegnatari deve effettuarsi in base al valore della azienda e delle partecipazioni societarie al tempo della conclusione del patto, e non secondo il criterio del valore dei beni al momento dell'apertura della successione (artt. 556, 747, 750 c.c.). Il rinvio dell'art. 768-quater, comma 2, c.c. all'art. 536 e ss. è funzionale ad individuare le percentuali dovute ai singoli legittimari, pur potendo i contraenti stabilire una liquidazione di valore diverso rispetto a quello derivante dal mero calcolo matematico. Secondo l'orientamento prevalente alle quote di legittima (art. 768-quater, comma 3, c.c.) spettanti ai non assegnatari sulla eredità del disponente devono essere imputati sia i beni eventualmente ricevuti dai legittimari direttamente dall'imprenditore, sia le attribuzioni (da intendersi quali liberalità indirette del disponente) disposte a loro favore dal beneficiario. Chi sostiene che lo stesso disponente possa liquidare i legittimari estende l'esenzione da riduzione e collazione anche a queste attribuzioni. Si è altresì affermato che la disattivazione dei meccanismi della collazione e della riduzione operi pure per quanto ricevuto dai legittimari a titolo di liquidazione dall'assegnatario, sempre sul presupposto che si tratti di liberalità indirette del disponente poste in essere per il tramite del beneficiario.
[nota 121] In questa prospettiva P. PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, cit., p. 61 e ss.; ID., Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, cit., p. 16 e ss.; sul principio di variabilità della struttura v. però anche ID., Remissione del debito e rinunzia al credito, cit., passim; ID., voce Cessione dei crediti, cit., p. 1 e ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 603 e ss.; aderiscono, più o meno dichiaratamente, a tale impostazione, con riferimento alla struttura della cessione del contratto A. ZACCARIA, «Cessione del contratto e garanzia della sua validità», in Riv. dir. civ., 1985, I, p. 258 e ss.; V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv. G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2001, p. 593 e ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, cit., p. 717 e ss.; R. CLARIZIA, La cessione del contratto, in Comm. cod. civ. Schlesinger, 2ª ed., Milano, 2005, p. 63 e ss.
[nota 122] Sul punto v. P. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, cit., p. 106 e ss., 111; ID., Il fenomeno dell'estinzione nelle obbligazioni, cit., p. 36; L. FERRONI, Il termine nei contratti ad effetti obbligatori, Napoli, 1989, p. 71; A. DI MAJO, voce Termine, in Enc. dir., dir. priv., XLIV, Milano, 1992, p. 202 e ss.; E. SIMONETTO, «Termine essenziale e identità dell'oggetto della prestazione», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, p. 1051 nota 8; G. ROMANO, Interessi del debitore e adempimento, Napoli, 1995, p. 374 e ss.; F. RUSCELLO, «Pactum de non petendo e vicenda modificativa del rapporto obbligatorio», in Riv. dir. civ., 1976, II, p. 206 e ss.; G. RECINTO, I patti di inesigibilità del credito, cit., p. 96 e ss.; A. TARTAGLIA POLCINI, I termini nei rapporti giuridici, Napoli, 2004, p. 55, 60 e ss. e 87 e ss.; sul termine v., altresì, E. RUSSO, Il termine del negozio giuridico (1969), rist., Milano, 1984, p. 29 e ss.; ID., voce Termine (dir. civ.) I) in generale, in Enc. giur. Treccani, XXXI, Roma, 1994, p. 1 e ss.
[nota 123] Dunque, non è impedito ai legittimari sopravvenuti (si pensi al coniuge) al tempo della conclusione del patto di aderire allo stesso, anche con dichiarazione collegata, al fine di farsi liquidare prima dell'apertura della successione. Né è precluso al disponente di tenere in dovuto conto le donazioni precedentemente compiute nei confronti dei legittimari e di imputarle, in presenza di un patto di famiglia, alle quote di legittima degli stessi. Ciò purché nel medesimo contratto sia fatto espresso richiamo alle precedenti liberalità, con attribuzione alle stesse di una valore attualizzato al momento della stipula del patto; così G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 448 e ss.
[nota 124] Discorre del patto di famiglia quale contratto a favore di terzo U. LA PORTA, «La posizione dei legittimari sopravvenuti», in Patti di famiglia per l'impresa, cit., p. 299 e ss.; U. LA PORTA, in ID., Il patto di famiglia, cit., p. 10 e ss.
[nota 125] In ordine all'esigenza che il favor rappresenti sempre un «effetto attivo» per il terzo, pur non dovendosi risolvere sempre nella costituzione di un «diritto nuovo» v., tra gli altri, R. CICALA, Accollo, cit., p. 94 e ss., il quale configura il favor anche come «acquisto di "un semplice potere di azione per l'esercizio di un diritto" preesistente»; nella medesima direzione, tra gli altri, U. MAJELLO, voce Contratto a favore del terzo, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, Torino, 1989, p. 238 e ss.; F. ANGELONI, Del contratto a favore di terzo, Libro IV, Delle obbligazioni artt. 1141-1413, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 2004, p. 86 e ss.; sulla circostanza che il favor per il terzo rappresenti la nota caratterizzante dei c.d. negozi a favore di terzo e, pertanto, il tratto comune che consente una considerazione unitaria di una molteplicità di istituti, pur di diversissima indole cfr. L.V. MOSCARINI, I negozi a favore di terzo, cit., p. 21, 22 e ss., il quale propone una classificazione e una graduazione di tali diversi istituti, spesso inconciliabili sotto alcuni profili, proprio secondo il maggiore o minore grado di accentuazione di tale loro caratteristica (favor), che tuttavia, non può di certo scomparire.
[nota 126] Al riguardo infatti v'è chi ha osservato che la stipulazione a favore del terzo «è sempre una clausola, una modalità di un contratto che non solo si conclude ma anche regola interessi tra stipulante e promittente. Sotto questo profilo la stipulazione a favore del terzo si presenta sempre come un "momento accidentale e variabile" del contratto cui inerisce (che può essere qualsiasi contratto nominato o innominato), pur realizzando, al tempo stesso, "il momento essenziale del favore" per il terzo. Va quindi segnalata l'improprietà dell'espressione contratto a favore di terzo, la quale fa pensare ad un negozio che produca solo effetti a favore del terzo: il codice dice meglio, nel testo (non anche nel titolo) dell'art. 1411, stipulazione a favore del terzo», R. CICALA, Accollo, cit., p. 90 e ss.; in giurisprudenza per tutti Cass. 29 luglio 1995, n. 8343, in Giust. civ., 1986, I, p. 122; nega che il patto di famiglia possa rappresentare un contratto a favore di terzo, proprio per la natura legale dell'obbligo di liquidazione, anche N. DI MAURO, Commento all'art. 768-sexies c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 148.
[nota 127] F. MESSINEO, voce Contratto nei rapporti col terzo, cit., p. 198, 208.
[nota 128] Così anche P. PERLINGIERI e G. RECINTO, in P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit., p. 943.
[nota 129] Sul superamento della bipartizione tra contratto in generale e singoli contratti v. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 341 e ss., 618 e ss.
[nota 130] Sulla necessità di una interpretazione sempre orientata ad individuare nel sistema la normativa più adeguata a disciplinare il caso concreto rifuggendo da rigidi apriorismi v. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 618 e ss.
[nota 131] Considera applicabile al patto di famiglia l'art. 801 c.c. A. ZOPPINI, «Profili sistematici della successione "anticipata" (note sul patto di famiglia)», cit., p. 293.
[nota 132] La revoca per ingratitudine, infatti, ha un «ambito morale» poiché «è basata sul comune sentimento del costume che riprova il donatario che tenga un comportamento ingrato nei confronti del donante», G. BALBI, La donazione, cit., p. 88.
[nota 133] In presenza di una liberalità non donativa o di una donazione indiretta è sufficiente la forma prescritta per il tipo di negozio adottato dalle parti e non è necessaria quella prevista per la donazione diretta; così, tra gli altri, Cass. Sez. Un., 12 giugno 2006, n. 13524, in Rep. Foro it., 2006, voce Successione ereditaria, n. 119; Cass. 30 gennaio 2007, n. 1955, ivi, 2007, voce Donazione, n. 8.
[nota 134] Sull'insufficienza delle ragioni del formalismo nelle donazioni v. B. BIONDI, Le donazioni, cit., p. 438; A. VENDITTI, La forma del contratto, in Tratt. Bonilini, Torino, 2001, p. 761 e ss.; cfr. anche A. CATAUDELLA, Successione e donazione. La donazione, cit., p. 109 e ss.
[nota 135] Circa la funzione assiologica degli obblighi di forma P. PERLINGIERI, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1999, p. 13 e ss.; ID., Note critiche sul rapporto tra forma negoziale e autonomia (1988), ora in ID., Il diritto dei contratti fra persona e mercato, cit., p. 89 e ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 417 e ss.; M. GIORGIANNI, voce Forma degli atti, in Enc. dir., dir. priv., XVII, Milano, 1968, p. 1 e ss., ora anche in ID., Scritti minori, cit., p. 695 e ss.; sulla necessaria presenza dei testimoni all'atto pubblico con il quale il patto di famiglia deve essere formalizzato v. C. CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie», cit., p. 307 e ss.; sembra aderire a tale prospettiva anche G. PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», cit., p. 425 e ss.; in tema di forma vedi le osservazioni di V. VERDICCHIO, Commento all'art. 768-ter c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 85 e ss.
[nota 136] Sul punto cfr. P. PERLINGIERI, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, cit., p. 41 e ss.; ID., Note critiche sul rapporto tra forma negoziale e autonomia, cit., p. 89 e ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 422 e ss.; N. IRTI, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985, p. 19 e ss., riproposto in ID., Studi sul formalismo negoziale, Padova, 1997, p. VII e ss., 29 e ss., 137 e ss.
[nota 137] Secondo l'opinione prevalente, infatti, la rescissione ultra quartum si connette strettamente con la non impugnabilità per errore (v. art. 761 c.c.); sul punto vedi E. MINERVINI, Note introduttive, in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 5; P. VITUCCI, «Ipotesi sul patto di famiglia», cit., p. 463 nota 37; contra, tra gli altri, A. ZOPPINI, «Profili sistematici della successione "anticipata" (note sul patto di famiglia)», cit., p. 294; la questione, tuttavia, appare discutibile preso atto che nel caso in cui il patto dovesse avere una funzione distributiva e, dunque, divisionale, a causa della partecipazione anche di un solo legittimario, potrebbe essere ragionevole estendere gli artt. 763 e 767 c.c. anche ai legittimari che abbiano accettato la liquidazione e che risultano essere stati lesi oltre il quarto.
[nota 138] Al riguardo appare doverosa una precisazione. Chi scrive non confonde tra applicazione analogica e interpretazione estensiva, ma, al contrario, non condivide (nella sostanza) tale differenza, conformemente all'insegnamento di quella parte della dottrina che, nel rileggere il diritto civile nella legalità costituzionale e comunitaria, discorre dell'impossibilità di distinguere e separare in concreto analogia ed interpretazione estensiva ed invita al superamento della suddetta distinzione in fase applicativa, posto che la stretta relazione tra fatto e norma, l'impraticabilità dell'interpretazione per gradi (art. 12 disp. prel. c.c.) e del metodo della sussunzione, nonché la necessità per l'interprete di individuare, nella complessità dell'ordinamento, la normativa più adeguata a disciplinare il caso concreto comportano che ogni interpretazione ha natura analogica, per affinità o somiglianza, sí che l'analogia è il motore di ogni indagine ermeneutica. Ciò è diretta conseguenza della inseparabilità nel momento applicativo di regola e principio. Pertanto in funzione applicativa non è agevole distinguere e separare nettamente l'interpretazione che si spinge fino ai confini del possibile significato letterale dei termini legali, dall'interpretazione che, invece, li oltrepassa (sul punto vedi, infra, le note 136, 137 e 138). Invece S. PAGLIANTINI, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007, p. 211 nota 231, 90 nota 54, 96 nota 77, 198 nota 179, anziché analizzare complessivamente il ragionamento svolto (in Atti dispositivi «nulli» e acquisto dell'eredità. Contributo allo studio della gestione conservativa, cit., p. 1 e ss.; cfr. anche Negozio illecito e negozio illegale. Una incerta distinzione sul piano degli effetti, cit., p. 5 e ss.), estrapola, criticandole, talune frasi o frammenti. Nella prospettiva proposta, invero, l'eccezione legale di convalida per trovare applicazione non deve necessariamente essere prevista dal legislatore. Una norma, seppure eccezionale, può essere applicata sia estensivamente, sia analogicamente. Le norme in materia di conferma, pertanto, sono applicabili analogicamente non perché non eccezionali, ma perché, anche una norma eccezionale, in presenza di una medesima esigenza o necessità deve essere applicata, al fine di dare soddisfazione ai medesimi interessi per la quale è stata predisposta dal legislatore (arg. art. 3 Cost.). Spesso, quindi, se non ci si ferma ad una frase o ad un suo frammento ci si accorge che si può arrivare ad una medesima soluzione, sia pure attraverso un percorso argomentativo diverso. L'esigenza di dare risposta adeguata agli interessi del caso concreto può indurre, anche chi intenda continuare ad applicare un metodo formalista (più o meno temperato), a raggiungere il medesimo risultato nel momento applicativo, ovvero un risultato conforme ai valori normativi vigenti (in un dato momento storico) ed alla loro gerarchia.
Tra l'altro, il problema dell'applicazione analogica delle norme eccezionali è dato per presupposto nello studio sugli atti di accettazione tacita dell'eredità e, dunque, non è sviluppato, sia perché non oggetto diretto del tema di ricerca, sia in quanto un atto di accettazione nullo produce di regola l'effetto dell'acquisto dell'eredità a prescindere da una eventuale conferma, sí che la questione per molti aspetti risultava, in quella sede, del tutto secondaria.
[nota 139] Sul punto vedi, di recente, anche le osservazioni di O. CLARIZIA, Tertium comparationis, norma eccezionale e incostituzionalità con effetto estensivo, in Interpretazione a fini applicativi e legittimità costituzionale a cura di P. Femia, 7, Collana Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana, Napoli, 2006, p. 200, ivi ulteriori riferimenti bibliografici; circa la non distinguibilità tra interpretazione estensiva ed analogia v. già N. BOBBIO, L'analogia nella logica del diritto (1938), rist., Milano, 2006, passim; la tesi è ribadita in ID., «Ancora sulla distinzione tra interpretazione estensiva ed analogia», in Giur. it., 1968, I, c. 695 e ss.; sulla circostanza che spesso il ricorso all'intepretazione estensiva altro non è che un uso (mascherato) dell'argomento analogico, ovvero una implicita estensione analogica v. L. TULLIO, Analogia implicita e «meritevolezza dell'estensione» nel giudizio di costituzionalità, in Interpretazione a fini applicativi e legittimità costituzionale, cit., p. 129 e ss. e, in particolare, p. 165 e ss.; contra, per tutti, M.S. GIANNINI, «L'analogia giuridica», in Jus, 1941, p. 516 e ss.; ID., «L'analogia giuridica II», ivi, 1942, p. 51 e ss., il quale condivide la distinzione tradizionale tra interpretazione estensiva ed analogia.
[nota 140] P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 253 ivi ulteriori riferimenti in tal senso; ID., Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, cit., p. 55 e ss.; P. PERLINGIERI e P. FEMIA, in P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit., p. 11, 94 e ss.; ID., Nozioni introduttive e principi fondamentali del diritto civile, cit., p. 18 e ss., 166 e ss.; di recente v. anche O. CLARIZIA, Tertium comparationis, norma eccezionale e incostituzionalità con effetto estensivo, cit., p. 199 e ss.
[nota 141] P. PERLINGIERI, L'interpretazione della legge come sistematica ed assiologica. Il broccardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell'art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell'esegesi, in ID., Scuole tendenze e metodi, cit., p. 273 e ss.; sulla qualificazione di una norma come regolare o eccezionale quale giudizio non assoluto e sempre valido, ma dinamico e relativo, posto che è una valutazione che va storicizzata alla luce dell'ordinamento giuridico vigente e dei suoi valori cfr. ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 253 e ss.
[nota 142] Per la distinzione tra eccezionalità da concorso atipico di principi ed eccezionalità da attuazione atipica del principio v., in particolare, P. PERLINGIERI e P. FEMIA, Nozioni introduttive e principi fondamentali del diritto civile, cit., p. 17; discorre della «frequente inadeguatezza dello strumento dell'analogia» nella «sempre crescente diffusione di contratti aventi schemi diversi da quelli tradizionali» ed invita ad una «ricerca di principi generali … assai utile anche per la comprensione della frammentaria disciplina dettata dal legislatore nei singoli contratti», M. GIORGIANNI, voce Inadempimento, in Enc. dir, dir. priv., XX, Milano, 1970, p. 863.
[nota 143] Sulla diversa operatività del principio di conservazione in relazione agli interessi richiamati v., retro, nota 68.
[nota 144] In questa prospettiva si rinvia a G. PERLINGIERI, Negozio illecito e negozio illegale…, cit., p. 5 e ss.
[nota 145] Cass. 10 agosto 2002, n. 12142, in Giust. civ., 2002, I, p. 3073 e ss.
[nota 146] G. PERLINGIERI, Negozio illecito e negozio illegale…, cit., p. 32 e ss.; sulla rilevanza del testo anche per l'individuazione dell'incapacità naturale di fare testamento v., in particolare, ID., «La rilevanza del testo nell'individuazione dell'incapacità naturale di testare», in Rass. dir. civ., 2005, p. 273 e ss., e, con talune modifiche, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, IV, Milano, 2005, p. 4763 e ss.
[nota 147] Il termine di prescrizione ordinario quinquennale resta, invece, operante per tutte le altre ipotesi di annullabilità.
[nota 148] Seppure in una diversa prospettiva v. in proposito S. DELLE MONACHE, «Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia», cit., p. 900.
[nota 149] P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 252 e ss., 341 e ss., 417 e ss.
[nota 150] E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (Teoria generale e dogmatica), cit., p. 182.
[nota 151] E. BETTI, Teoria generale della interpretazione, I, ed. a cura di G. Crifò, Milano, 1990, p. 318; ID., L'ermeneutica come metodica generale delle scienze dello spirito, Roma, 1987, p. 99.
[nota 152] P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 592; E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (Teoria generale e dogmatica), cit., p. 182 e ss.
[nota 153] Questo è l'insegnamento di parte della dottrina e della stessa Corte Costituzionale, le quali affidano a qualsiasi operatore del diritto il controllo diffuso, in fase applicativa, di conformità a Costituzione; sul punto v. P. PERLINGIERI, Giustizia secondo Costituzione ed ermeneutica. L'interpretazione c.d. adeguatrice, in Interpretazione a fini applicativi e legittimità costituzionale, cit., p. 3 e ss., ora in ID., L'ordinamento vigente e i suoi valori…, cit., p. 371 e ss.
[nota 154] Sul punto v. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 515.
[nota 155] La lettera, i concetti e le categorie, pur fondamentali, devono essere relativizzati, storicizzati e piegati alla funzione di un fatto, ai valori normativi e alla loro gerarchia, G. PERLINGIERI, Venticinque anni della Rassegna di diritto civile e la «polemica sui concetti giuridici». Crisi e ridefinizione delle categorie, cit., p. 543 e ss.; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 133 e ss.
[nota 156] In questa prospettiva G. PERLINGIERI, Negozio illecito e negozio illegale…, cit., p. 5 e ss.; ID., Regole e comportamenti nella formazione del contratto. Una rilettura dell'art. 1337 c.c., Napoli, 2003, p. 9 e ss.
[nota 157] Cfr., ad esempio, il disegno di legge presentato al Senato della Repubblica il 27 settembre 2006 e intitolato "Modifiche al codice civile in materia successoria e abrogazione delle disposizioni relative alla successione necessaria". In altri ordinamenti come quello francese, ad esempio, la legittima ha una connotazione quantitativa e non qualitativa e vi si può rinunziare in vita del de cuius; sul punto E. CALò, «Patto di famiglia e norme di conflitto», in Fam. pers. succ., 7, 2006, p. 633.
[nota 158] Sul superamento dell'autonomia privata come dogma e sui fondamenti diversificati dell'autonomia negoziale nel sistema italo-comunitario delle fonti v. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale…, cit., p. 314 e ss., 326 e ss.
[nota 159] Sul bilanciamento dei principi v. P. PERLINGIERI e P. FEMIA, Nozioni introduttive e principi fondamentali del diritto civile, cit., p. 21 e ss.
[nota 160] G. PANZA, Il problema e la sua evoluzione legislativa, in G. PANZA e F. PANZA, Successioni in generale tra codice civile e costituzione, cit., p. 1 e ss.
[nota 161] F. GAZZONI, «Appunti e spunti in tema di patto di famiglia», cit., p. 217 e ss.; M. IMBRENDA, «Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business», cit., p. 423.
[nota 162] G. OPPO, «Patto di famiglia e "Diritti della famiglia" », cit., p. 440 e ss.
[nota 163] Corte Cost., 26 gennaio 1957, n. 5, in Rep Foro it., 1957, voce Trentino-Alto Adige, n. 13.
[nota 164] Ciò «sul presupposto che l'imprenditore che "passa la mano" è nella posizione migliore per identificare chi sia più adatto ad assumere il governo dell'impresa e quindi a designare il proprio successore», A. BUSANI, «Dubbi se l'azionariato è solo investimento», in Guida dir., 2006, n. 13, p. 45.
[nota 165] Sul concetto di interpretazione c.d. adeguatrice v. P. PERLINGIERI, Giustizia secondo costituzione ed ermeneutica. L'interpretazione c.d. adeguatrice, cit., p. 3 e ss.
[nota 166] Sul punto cfr. N. DI MAURO, Commento all'art. 768-bis c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 39, il quale, nell'osservare che l'eventuale contraddittorio tra le parti comunque non è sufficiente a garantire un giusto valore all'azienda ed alle partecipazioni societarie, afferma che «potrebbe apparire quanto mai opportuno che la valutazione (stima) non sia lasciata nella discrezionale disponibilità dei contraenti, ma venga determinata da un soggetto super partes», al fine di tutelare i diritti di eventuali creditori; sulla pretesa annullabilità del patto di famiglia per errore sul valore v. le corrette osservazioni di E. MINERVINI, Commento all'art. 768-sexies c.c., in N. DI MAURO, E. MINERVINI e V. VERDICCHIO, Il patto di famiglia…, cit., p. 166 e ss., il quale esclude l'annullabilità, ma discorre di un diritto del legittimario al valore venale della quota e non al valore convenzionale (come determinato cioè nel patto di famiglia). Sí che in caso di divergenza tra valore venale e valore convenzionale della quota il legittimario che ha aderito al patto all'apertura della successione, pur perdendo il diritto di agire in riduzione e collazione, comunque conserva il diritto al valore venale della quota.
[nota 167] G. PERLINGIERI, «Funzione notarile e clausole vessatorie…», cit., p. 804 e ss.
[nota 168] J.F. KENNEDY, nel discorso inaugurale d'insediamento alla Casa Bianca, 20 gennaio 1961.
[nota 169] Dati riscontrati da BankItalia – Associazione Italiana Aziende Familiari – Università Bocconi – Il Sole24Ore; cfr. anche L. SALVATORE, «Il trapasso generazionale dell'impresa tra patto di famiglia e trust», in Notariato, 2007, p. 553.
[nota 170] Sul punto v. M. IMBRENDA, «Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business», cit., p. 459 e ss.
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