Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi - Quesiti
Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi
Quesiti
di Giovanni Perlingieri
Ordinario di diritto privato, Seconda Università degli Studi di Napoli

DOMANDA

Se nel patto di famiglia qualora venga pattuita una liquidazione a carico del figlio "preferito" superiore al valore dell'azienda ricevuta e quindi più vantaggiosa per i legittimari-non beneficiari si resta sempre nell'ambito del patto di famiglia? Nel caso di risposta affermativa la donazione indiretta in favore degli altri assegnatari è perseguibile da parte dei legittimari lesi?

RISPOSTA

La risposta alla domanda dipende da come si ricostruisce strutturalmente e funzionalmente la fattispecie in esame.

L'art. 768-sexies c.c., tuttavia, va necessariamente coordinato con le disposizioni generali in materia di successione necessaria. Il discorso, quindi, è differente secondo che il singolo legittimario abbia o no aderito al contratto.

Per il legittimario aderente l'art. 768-sexies c.c. prevede la liquidazione in relazione ad i beni oggetto del patto di famiglia (azienda e partecipazioni societarie). Viceversa, e sempre con riferimento al legittimario aderente, in caso di altre liberalità effettuate dal de cuius (anche se contenute in disposizioni testamentarie), è lasciata al singolo legittimario (tanto assegnatario, quanto non assegnatario) l'azione di riduzione (il legittimario non assegnatario potrebbe anche cumulare i due rimedi: liquidazione per i beni tipici del patto di famiglia - azienda e partecipazioni societarie - e riduzione per le liberalità aventi ad oggetto beni diversi).

A rigore, quindi, per il legittimario aderente ogni differenza di valore della liquidazione sarebbe soggetta a riduzione (perché "altra liberalità").

Tuttavia sembra preferibile operare secondo il criterio di proporzionalità e ragionevolezza. Così se la sproporzione, del valore della liquidazione rispetto al valore venale dell'azienda, è rilevante, e tale da non rientrare nella causa del patto, la differenza è soggetta a riduzione, se, viceversa, la differenza di valore non è rilevante e, dunque rientra nella causa del patto, anche tale differenza non è soggetta a riduzione.

Secondo la prospettiva proposta (non necessaria partecipazione di tutti i legittimari esistenti ai fini della validità del patto di famiglia), per il legittimario che non ha aderito al patto di famiglia il discorso è diverso poiché esso conserva, con riferimento a tutti i beni, l'azione di riduzione. Sí che per le c.d. altre liberalità (quelle non aventi ad oggetto l'azienda o le partecipazioni societarie), ovvero per quelle liberalità che non rientrano nella funzione produttiva e nell'oggetto tipico del patto di famiglia è ammissibile una azione di riduzione con funzione restitutoria (c.d. legittima in natura).

Viceversa, per i beni oggetto del patto (funzione produttiva e unitaria: azienda e partecipazioni), a scelta del beneficiario, è prevista un tutela in danaro (per equivalente; c.d. legittima in danaro).

Ciò perché l'azione di riduzione deve adeguarsi alle caratteristiche della funzione e dell'oggetto delle singole liberalità (da qui la differenza tra liberalità con funzione produttiva – aventi ad oggetto l'azienda e le partecipazioni societarie – e le altre liberalità, la cui separazione o divisione può non recare danno alle ragioni della pubblica economia; v. artt. 560, 720 e il concetto di comoda divisibilità).

DOMANDA

Se la rinuncia alla liquidazione ad opera degli altri legittimari configura una donazione indiretta che soggiace ai classici mezzi di tutela oppure, rientrando comunque nel "patto", non neutralizzandone gli effetti non vi soggiace ?

RISPOSTA

Il problema meriterebbe un maggiore approfondimento. La rinunzia alla liquidazione, tuttavia, non sembra assoggettabile a riduzione per due ragioni. Una di ordine funzionale, l'altra di ordine sistematico. La rinunzia alla liquidazione non è una rinunzia tout court con una mera funzione liberale, ma rientra nel più ampio regolamento di interessi (stabilità e continuità dell'impresa, stabilità del patto e conservazione degli effetti). Inoltre la legge ha introdotto un contratto (c.d. patto di famiglia) potenzialmente esente da riduzione e collazione e ha stabilito che tale effetto si produce anche con la semplice rinunzia (che quindi è una modalità di adesione-partecipazione). Sí che sarebbe una contraddizione in termini ammettere una rinunzia aggredibile dagli eredi dei non assegnatari.

DOMANDA

Se si può sostenere che tutte le convenzioni che non snaturano il "patto" sono affrancate dalle azioni a tutela dei legittimari ?

RISPOSTA

Anche in questo caso è necessario ricorrere ai criteri di proporzionalità e ragionevolezza.

Se il patto di famiglia diventa l'occasione per inserire in un unico documento più atti di liberalità del tutto autonomi e distinti (anche sul piano del valore) allora (queste altre liberalità) sono soggette a riduzione (c.d. unione formale di atti funzionalmente e teleologicamente distinti).

Il patto di famiglia non può diventare uno strumento di fuga o di elusione delle norme in materia di successione necessaria (almeno fino a quando non venga abrogata la legittima), né uno strumento per dividere l'intero patrimonio.

Tutte le attribuzioni in natura o in danaro che non sono riconducibili all'assetto di interessi (tipico) del patto di famiglia e che sono fatte con l'occasione di eludere l'applicazione delle norme in materia di riduzione e collazione sono riducibili.

Viceversa, se l'attribuzione, in danaro o in natura, è riconducibile all'assetto di interessi, per funzione e per valore (proporzionalità), allora è esente da riduzione e collazione nei confronti dei partecipanti, perché non "snatura" il patto e la sua tipica funzione.

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