Le liberalità non donative nell'imposizione indiretta
Le liberalità non donative nell'imposizione indiretta
di Giampiero Petteruti
Notaio in Castelnuovo di Garfagnana, (LU)
La liberalità non donativa
Premessa
Se il titolo di una relazione dovesse colorare il suo contenuto, come la rubrica di un articolo del codice, allora, in questa sede, si dovrebbero trattare le liberalità non donative in generale e tutto quanto costituisca liberalità diversa dalla donazione (comprensiva della sua variante remuneratoria), iniziando dalle liberalità tipiche diverse dalla donazione per poi passare alle donazioni indirette, alle liberalità d'uso o in occasione di servizi resi ed alle spese eccedenti la misura ordinaria fatte per matrimoni e formazione di discendenti.
In realtà, dal momento che l'art. 1 comma 4 D.lgs. 346/90 esclude dall'imposta le ipotesi ricadenti nell'art. 742 c.c. (ma nessun riferimento risulta fatto all'art. 743 c.c.) e l'art. 58 T.U. 346/90 estende alle altre liberalità la stessa disciplina delle donazioni, ciò che si deve analizzare con maggior attenzione è la donazione indiretta, che riceve una particolare collocazione nel sistema tributario, sia nel vigore del testo unico sulle imposte di successione e donazione sia, salvo quanto si dirà in seguito, in quello della "nuova imposta di donazione". Però, tenendo conto dell'attuale normativa, è opportuno trattarla non isolatamente, bensì - per usare il lessico del legislatore del 2006 - nella cornice tributaria dell' atto gratuito.
Quindi occorre preventivamente scandire lo spazio occupato dalle varie fattispecie incise dall'imposta di donazione, con un costante raffronto tra atto gratuito in generale, donazione diretta, liberalità non donativa e donazione indiretta. Questa scansione assume un ruolo ancor più rilevante ove si pensi ad atti unilaterali come la rinunzia abdicativa, che probabilmente - almeno a livello tributario - va ascritta agli atti gratuiti, anche a prescindere dal suo impiego per realizzare una liberalità indiretta.
Dal momento che esistono liberalità non donative delineate come fattispecie tipiche e quindi tipologicamente diverse dalle donazioni indirette (il riferimento è alla liberalità d'uso - art. 770 secondo comma, al discusso patto di famiglia e al fondo patrimoniale costituito da un terzo [nota 1]), è da dire subito che la differenziazione tra donazione e liberalità non donativa diversa dalla donazione indiretta ha un rilievo tributario molto minore di quanto ne abbia la differenziazione tra donazione e donazione indiretta (e quindi, dal momento che il tema è la liberalità non donativa, è ancora una volta la donazione indiretta la protagonista della trattazione).
Un riferimento a specifici fenomeni servirà ad introdurre l'approccio al tema, per altro inviso alla prassi notarile a causa della diffidenza per ciò che può rendere "insicura" la successiva circolazione immobiliare [nota 2] e quindi ancora a basso tasso di emersione.
Il fenomeno nell'attività notarile
Qualora Tizio stipuli come acquirente un contratto a favore di terzo con il venditore Caio e pattuisca che il diritto reale oggetto del contratto sia acquistato dal terzo Sempronio, si pone il problema di stabilire se e quando vi sia spazio per l'applicabilità dell'imposta di "donazione" sull' effetto a favore del terzo [nota 3].
Analogo problema si pone allorché sia Sempronio a comprare da Caio, ma intervenga all'atto Tizio, il quale adempia l'obbligo di Sempronio di pagare il prezzo e paghi con denaro proprio. E così in altre occasioni in cui nel rapporto si inserisca una variante che riguardi soggetti diversi dai normali "termini soggettivi".
La questione si ripresenta anche per i negozi unilaterali, allorché posti in essere per ottenere effetti indiretti nelle sfere patrimoniali altrui.
In tutti questi casi, la qualificazione civilistica e tributaria del negozio assume impronta diversa a seconda che l'effetto favorevole per il "terzo" sia frutto di determinazione disinteressata (non sorretta da interesse patrimoniale) [nota 4] oppure assolva altre funzioni.
Vi sono, poi, spostamenti patrimoniali informali che vanno inquadrati nella donazione (diretta) e, subendone la solennità, non possono vedersi come liberalità non donative solo a causa della carenza del requisito di forma. Si pensi ai trasferimenti di denaro eseguiti tramite intermediari finanziari (bonifico, mandato di pagamento ecc.) o attraverso titoli di credito (assegno bancario ecc.), incapaci di sopravvivere in termini di conversione negoziale e che, invece, per divenire liberalità indirette richiedono un plus (ad es. remissione del debito), mancando il quale potrebbero rimanere confinati nell'area della nullità. E si pensi alla ben diversa collocazione sistematica della indiretta "somministrazione" al beneficiario della stessa somma di denaro mediante adempimento del terzo.
Tutti i casi illustrati, mettono in evidenza, con la loro ambivalenza, come possa essere difficoltoso far emergere gli indici che consentano la corretta qualificazione del rapporto e come possa rivelarsi addirittura velleitaria l'ambizione di sottoporre al tributo fenomeni annidati nelle pieghe dei rapporti sociali.
Con le cennate riserve (cui corrisponde, per vero, un prudente arretramento del legislatore in sede di disciplina della relativa imposizione), va detto che il panorama che si presenta a chi debba saggiare la rilevanza del tema "liberalità non donative" nelle imposte indirette richiede di precisare, preliminarmente, che la relativa disciplina fiscale non è residuale, perché non si applica ad ogni spostamento patrimoniale gratuito non altrimenti titolato, bensì legata alla ricorrenza della specifica fattispecie (a connotazione generica ma non indefinita).
A proposito degli indici sintomatici di quest'ultima, deve ricordarsi che il diritto tributario non fornisce una propria nozione di liberalità non donativa, spingendo l'interprete ad utilizzare il criterio enucleato dalla dottrina di settore, secondo cui vi è un principio di coerenza e di unitarietà dell'ordinamento giuridico in dipendenza del quale si presume l'uniformità dei significati degli stessi termini che ricorrano contemporaneamente in una norma tributaria ed in una norma non tributaria [nota 5] (salvo che risultino specifiche indicazioni deponenti per una differenziazione di significato). Sulla base di questo assunto, occorre attingere al diritto privato, nel quale i riferimenti alla liberalità non donativa si colgono, specificamente, nel codice civile.
Come spesso accade, il legislatore rifugge la definizione, fornendo invece la disciplina, epperò consentendo di ricavarne il profilo interpretativamente, attraverso l'analisi sistematica. Nello specifico, si verifica proprio che donazione indiretta e liberalità non siano oggetto di espressa definizione ma che ne venga fornita una certa disciplina, come si ricava dall'art. 809 [nota 6] (che parla di liberalità diverse dalla donazione) e dall'art. 737 (che stabilisce la regola di collazione di quanto taluni soggetti abbiano ricevuto per donazione direttamente e indirettamente) [nota 7].
Quindi, il codice, pur non definendole, nomina la liberalità e la donazione indiretta, lasciando però all'interprete ogni ulteriore compito di ricostruzione sistematica (in base a scelta consapevole emergente dalla relazione preliminare [nota 8]).
Esulando dall'economia del presente lavoro ogni approfondimento civilistico, l'inquadramento nel sistema delle imposte indirette richiede almeno la segnalazione di alcuni punti influenti nella ricostruzione della disciplina tributaria, punti che, avendo sin da ora presente il nuovo "tributo sulle successioni e donazioni, sugli atti gratuiti e sui vincoli di destinazione" sono:
- il significato da attribuire al sintagma "atti gratuiti" nella disciplina tributaria;
- i tratti fisionomici delle varie figure ascrivibili alle liberalità.
Il sistema. Atti gratuiti, liberalità e donazioni
La disciplina del nuovo «tributo sulle successioni e donazioni, sugli atti gratuiti e sui vincoli di destinazione» [nota 9], usando una formulazione in parte originale, sollecita l'attenzione dell'interprete proprio sulla nozione di "atto gratuito" nella disciplina tributaria.
Già la risalente formulazione del D.P.R. 637/72 («l'imposta si applica ai trasferimenti a titolo gratuito di beni e diritti per atto tra vivi»), aveva sullo sfondo la distinzione tra atti gratuiti, liberalità e donazioni.
Il D.lgs. 346/90 innovò la previsione, asserendo che l'imposta dovesse applicarsi «ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi». Nel contempo, ebbe cura di precisare che dovessero considerarsi «trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni».
L'attuale art. 2 comma 47 D.l. 262/2006 conv. in L. 286/06, a sua volta, si riferisce ai «trasferimenti di beni e diritti per donazione o a titolo gratuito ed alla costituzione di vincoli di destinazione».
Ad un primo esame, l'attuale statuizione risulterebbe laconica, soprattutto se paragonata all'imponente complesso di regole che il legislatore ha sempre dispiegato per fornire il sistema di imposizione sui fenomeni liberali. La breviloquenza del legislatore è però superata dal rinvio al T.U. 346/90 nel testo vigente al 24 ottobre 2001 ed è su questo impianto normativo che va condotta l'indagine diretta ad individuare i fenomeni sottoposti a tassazione.
Soccorre dapprima la tassonomia a ricordare la distinzione tra atti gratuiti, liberalità e donazioni [nota 10] che, secondo la tradizionale sistematica, sono giustapposti in rapporto di genere a specie, cosicché gli atti gratuiti sono il genere più ampio, la liberalità ne costituisce specificazione e di quest'ultima la donazione è la figura di maggior rilievo [nota 11].
La vecchia formula sarebbe quindi la più ampia, mentre l'ultima, che pure la rievoca, apparirebbe ridondante nella parte che menziona le donazioni, già comprese negli atti gratuiti.
Pur ridondante, il riferimento agli atti gratuiti risulterebbe almeno risolutivo per stabilire l'assoggettamento ad imposta di tutte le liberalità, in quanto ascrivibili all' atto gratuito. Ne deriverebbe, in linea di principio, l'imponibilità della donazione (c.d. donazione diretta, comprensiva del sotto-tipo della donazione remuneratoria), della liberalità d'uso (la quale ultima, pur qualificata espressamente liberalità, è altrettanto espressamente espunta dalla donazione, ex art. 770 c.c. secondo comma e non è soggetta a collazione ex art. 742 c.c. ultimo comma, né a riduzione, ex art. 809 c.c. secondo comma), dei negozi tipici, non ascrivibili alla donazione, integranti liberalità diretta non donativa (come ad esempio la costituzione del fondo patrimoniale ad opera di terzo), della donazione indiretta e degli atti gratuiti non liberali.
Invece, come già evidenziato, la disciplina tributaria complessiva, replicando quanto faceva già nel 1972, mostra di non volersi riferire a tutti gli atti gratuiti in senso civilistico, bensì solamente ai trasferimenti di beni e diritti e con la limitazione data dalla già menzionata esclusione dall'imposta delle liberalità di cui agli artt. 742 e 783 c.c.
La formula, ricostruita dalla dottrina come riferita a diritti reali (i beni) e diritti di obbligazione (i diritti), porta a discriminare, in primo luogo, gli atti gratuiti diversi dalle donazioni non portanti trasferimento di beni e diritti.
Il pensiero va ai contratti aventi per oggetto prestazioni gratuite di fare, tra cui quelli eminentemente gratuiti tipizzati dalla legge e cioè configurati come tipici gratuiti (il comodato è essenzialmente gratuito, ex art. 1803 c.c.) o come tipici eventualmente gratuiti (il mandato può essere gratuito perché la sua onerosità è solo presunta ex art. 1709 c.c., il deposito si presume normalmente gratuito ex art. 1767 c.c.) (rispetto ai quali si registrano varie opinioni: alcuni ritengono che la natura di negozio gratuito tipico sia idonea ad escluderne ogni ascrivibilità al novero delle liberalità, mentre per altri tale qualificazione legislativa, se consente di asserirne la sicura autonomia rispetto alla donazione, non esclude che il negozio possa integrare anche una liberalità diversa dalla donazione, la quale ricorrerebbe ogni qual volta alla gratuità si accompagni la mancanza di interesse patrimoniale in capo a chi ne subisca lo svantaggio in termini di «mancato conseguimento di una contropartita economica») [nota 12].
Vi sono, poi, i contratti gratuiti atipici, modellati su quelli normalmente onerosi (lavoro gratuito, trasporto gratuito ecc.), per i quali non si può contare sull'ausilio della valutazione tipica del legislatore ed occorre rifarsi ai dati sistematici, onde stabilire se si distinguano dalla donazione. Il raffronto, allora, è con la donazione avente per oggetto obbligazione di fare, figura discussa che alcuni ammettono ogni qual volta l'assuntore dell'obbligo in parola non sia portatore di un interesse patrimoniale. La dottrina che sembra prevalente, pur non negando una certa plausibilità della tesi che ammette la donazione obbligatoria di fare, in fatto ritiene la questione abbastanza marginale e ridotta alla qualificazione di rapporti quali l'appalto gratuito [nota 13] (con conseguente sussunzione delle altre ipotesi sopra segnalate ai rapporti di cortesia oppure a quelli supportati da un interesse economico esterno – come nel trasporto gratuito di propri dipendenti, nella prestazione professionale gratuita per pubblicità o per favorire soggetti con cui si intrattengano rapporti economici durevoli).
Rispetto a questi "atti" la rilevanza della categoria degli "atti gratuiti", ai fini del presupposto di imposta che ci interessa (liberalità non donativa), è legata all'affermazione di una loro specificità rispetto alla donazione. Per chi ammette la donazione obbligatoria avente per oggetto l'obbligo di fare, la categoria degli atti gratuiti non ha un ruolo pregnante nella individuazione dei presupposti imponibili.
Ma, sia che si affermi, sia che si neghi quell' ampiezza di oggetto della donazione tipica, non pare che possa mai parlarsi, appropriatamente, di "trasferimenti di diritti" a proposito di un obbligo di fare, se non nel senso ellittico di "costituzione di un diritto di credito". Salvo errori, solo accreditando questa ultima accezione potrebbe considerarsi imponibile con i criteri dell'imposta in parola la donazione di fare come pure l'atto gratuito avente per oggetto una obbligazione di fare.
A quanto sembra, il sistema che deriva dall'istituzione della nuova imposta di donazione e dal rinvio alle disposizioni del D.lgs. 346/90 in quanto compatibili espone indici contrari alla sopra accennata lettura estensiva del concetto di "trasferimento di diritti", dal momento che se fosse imponibile qualunque attribuzione gratuita di diritti di credito non si spiegherebbe la regola ricavabile dall'art. 1 comma 2 D.lgs. 346 (che pure appare "compatibile" con la "nuova imposta") secondo cui «si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni»
Infatti, da questa precisazione si ricava a contrario l'estraneità al presupposto di imposta delle seguenti tipologie di negozi gratuiti:
- costituzione di diritti personali di godimento;
- costituzione di diritti personali diversi da quelli di rendita o pensione;
- costituzione di diritti reali di garanzia.
Non accreditando quella accezione estensiva del "trasferimento di diritti", si tratta ora di vedere se negli "atti gratuiti" colpiti dall'imposta ricadano le sole liberalità non donative o se vi ricadano anche i contratti gratuiti portanti trasferimento strumentale e gli atti di rinunzia pura e semplice non ascrivibili alle liberalità indirette.
Sulla rinunzia si tornerà in seguito, anticipando che la soluzione è influenzata dalla sua natura per così dire "neutra", né onerosa, né gratuita. Quanto ai contratti gratuiti tipici che, avendo per oggetto cose fungibili, richiedono un trasferimento di beni di portata strumentale (ad esempio, funzionale alla custodia o utilizzazione di cose fungibili) sembra doversi affermare che il citato trasferimento, non determinando un'attribuzione stabile ed essendo neutralizzato dal controtrasferimento programmato all'esito del rapporto, non costituisce indice di capacità contributiva e non è quello assunto a presupposto dell'imposta in questione.
Ricapitolando:
- i diritti di godimento rilevanti per l'imposta sono solo quelli reali;
- non sono colpiti dall'imposta in parola tutti quei negozi gratuiti sopra menzionati (mandato, comodato, ecc.) che non importano trasferimento, nonostante possano integrare, secondo alcuni, liberalità, diretta o indiretta;
- i negozi comportanti spostamenti patrimoniali meramente strumentali all'utilizzo o custodia dei beni che ne sono oggetto (mutuo, deposito irregolare), sono estranei all'imposta, in quanto non incidono sulla capacità contributiva per il valore dei beni;
non sono colpiti dall'imposta di donazione i negozi costitutivi di diritti reali di garanzia.
Messo in dubbio che esistano "atti gratuiti" in senso tecnicamente appropriato portanti trasferimento di beni e diritti, assoggettati all'imposta di donazione, diversi dalle liberalità (in senso ampio), non si è per ciò stesso autorizzati ad affermare che il legislatore abbia usato una endiadi nel riferirsi a "donazioni e atti gratuiti" - volendo così esprimere l'unico concetto di "liberalità" - perché non si può escludere che l'atto gratuito riceva oggi, nel diritto tributario, un ruolo capace di attrarre nella sua orbita gli atti di rinunzia.
Rimane da chiarire se la L. 286/06 di conversione del D.l. 262/06, nel definire in questo modo il presupposto d'imposta e individuandolo nelle donazioni e negli atti gratuiti abbia ridotto il campo di incidenza della vecchia imposta di donazione, eventualmente non occupandosi più degli effetti indiretti e quindi delle donazioni indirette.
A risolvere la questione interviene il già ricordato rinvio al D.lgs. 346/90 contenuto nel comma 50 D.l. 262/06, in dipendenza del quale appare plausibile rispondere nel senso che il combinato disposto di vecchia e nuova regola fornisce una nozione di atto gratuito ampia al punto da abbracciare ogni liberalità, anche diversa dalla donazione, e quindi liberalità non donative e liberalità indirette.
In particolare: le donazioni indirette
Passando, così, alla categoria più rilevante di liberalità non donative, e cioè alla donazione indiretta, si ricorda che alcuni negano la configurabilità della categoria del "negozio indiretto", altri vi ravvisano un negozio tipico o un negozio unico con clausola speciale mentre appare prevalente la sua ricostruzione in termini di collegamento negoziale [nota 14], con la precisazione che, secondo la dottrina, non occorre una consacrazione documentale dell'accordo collegato (diretto a colmare il divario tra il negozio-mezzo ed il risultato ulteriore voluto in termini di arricchimento del beneficiario) poiché, ad integrarlo, basta il tacito consenso a ricevere il bene o il diritto trasmesso o l'effetto indiretto favorevole [nota 15].
La teoria del collegamento negoziale sembra avere il pregio di valorizzare il coinvolgimento del beneficiato, impedendo che si possa ipotizzare l'invadenza della sua sfera patrimoniale contro la sua volontà o addirittura quando sia inconsapevole del "gesto" [nota 16].
Accogliendo la tesi del collegamento negoziale, il fenomeno appare di chiara lettura, almeno nel suo profilo astratto: deve ricorrere un negozio-mezzo, il cui effetto tipico venga utilizzato per conseguire il risultato ulteriore dell'arricchimento del beneficiario; tale risultato ulteriore è conseguito come effetto dell'accordo (negozio accessorio o negozio-fine, collegato al primo) tra disponente e beneficiario.
Sotto il profilo formale, il negozio-mezzo conserva il suo regime, mentre il negozio-fine è sottratto alle regole formali del negozio-mezzo ma è sottoposto a quelle materiali applicabili in relazione allo scopo conseguito.
Quindi, in caso di donazione indiretta, il negozio mezzo è sottratto al formalismo della donazione diretta, mentre il risultato del negozio-fine è sottoposto a tutte le regole sostanziali applicabili alle liberalità, ai sensi dell'art. 809 c.c.
Nel quadro di quanto sopra, tra le varie ipotesi di donazione indiretta individuate dalla dottrina bisogna menzionare la rinunzia, il contratto a favore di terzo, l'assicurazione a favore di terzo, l'adempimento del terzo, la c.d. donazione mista, le modificazioni soggettive passive del rapporto obbligatorio, l'intestazione di beni a nome altrui, l'assunzione di garanzia per debito altrui, i c.d. atti materiali positivi (piantagione, costruzioni fatte da un terzo con materiali propri) o negativi (astensione dall'esercitare un diritto per permettere l'usucapione o la prescrizione a vantaggio altrui).
Seguendo la teoria del collegamento negoziale, il divario tra mezzo impiegato ed effetto ulteriore perseguito è sempre colmato dall'accordo apposito (tra chi si avvantaggi del procedimento e chi intesti il bene ad altro, oppure adempia il debito altrui, oppure pianti o costruisca su suolo altrui oppure ometta di agire per interrompere prescrizione o possesso ad usucapionem, ecc.).
Se donazione diretta e donazione indiretta ricevessero il medesimo trattamento tributario, non sarebbe così importante distinguerle.
Invece, come già accennato, fin dal primo esame della normativa si percepisce come il legislatore fiscale del T.U. 346/90, nonostante si affretti a fare ampia affermazione di principio con l'art. 1 D.lgs. 346/90 (asserendo in maniera roboante che siano assoggettate all'imposta tutte le liberalità indirette, in evidente ossequio al generale principio della capacità contributiva), di fatto rispetti il principio di "praticabilità" [nota 17] poiché non fornisce una altrettanto rigorosa metodica di individuazione del presupposto e non appronta uno strumentario di attuazione della pretesa tributaria capace di dare totale effettività a quella proclamazione di principio, lasciando agli interpreti il compito di ricostruirne i "reali" limiti di imponibilità delle donazioni indirette.
E che non vi sia una totale assimilabilità delle donazioni indirette alle dirette si argomenta anche dal menzionato art. 58 D.lgs. 346/90, secondo cui le disposizioni sulle donazioni si applicano agli atti di liberalità tra vivi diversi dalla donazione solo "in quanto compatibili".
D'altronde un simile atteggiamento è dovuto al carattere del fenomeno da "tassare", di cui sono spesso incerti i confini e che richiederebbe una invadenza delle sfere personali onde ricostruire per presunzioni gli intenti, senza certezza alcuna ed anzi con il pericolo di dare qualificazioni inesatte a fenomeni privi di carattere liberale (con conseguente nascita di contenziosi).
Alla ricerca del perimetro di imponibilità
Si ricorda che la L. 342/2000 modificò l'art. 1 del T.U. dell'imposta sulle successioni e donazioni mediante l'aggiunta del seguente comma:
«4-bis. Ferma restando l'applicazione dell'imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l'imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l'atto sia prevista l'applicazione dell'imposta di registro, in misura proporzionale, o dell'imposta sul valore aggiunto» [nota 18].
Secondo quanto già detto, è questa disposizione quella che segna la prima linea del confine tra imponibilità e non imponibilità delle donazioni indirette.
La seconda linea si ricava osservando che il sistema in esame non pare volersi svincolare dalla tradizione e continua ad essere influenzato dalla risalente presupposizione di un atto "registrabile" e quindi (normalmente) redatto per iscritto. Per questo aspetto vale il rinvio all'imposta di registro, ex art. 55 comma 1 T.U. 346/90, corroborato dal comma 2 dello stesso articolo, secondo il quale sono soggetti a registrazione anche gli atti esteri a favore di donatario residente portanti donazioni dirette o indirette. Si avrà, però, occasione di precisare meglio come incida sistematicamente questo criterio.
La terza linea è fornita dall'art. 56-bis nello stabilire a quali condizioni sia accertabile la liberalità indiretta e quale ne sia il regime fiscale anche in caso di registrazione volontaria. In particolare, l'articolo 56-bis (che qui si presuppone vigente, salvo quanto si dirà in seguito) stabilisce che le liberalità non donative o indirette (con l'eccezione di quelle formate all'estero a favore di residente) possono essere accertate se ricorrano entrambe le condizioni seguenti:
- sono accertabili in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall'interessato nell'ambito di un procedimento di accertamento di tributi (evidentemente diversi dal tributo sulle donazioni);
- sono accertabili quando di valore superiore ad una certa soglia.
Riguardo all'accertamento risulta, di conseguenza, che le liberalità indirette, anche se risultanti da atto scritto, se non registrate non sono normalmente accertabili, ma fanno eccezione (e quindi sono accertabili e assoggettabili a registrazione) quelle di importo oltre la soglia di cui sia dichiarata l'esistenza nell'ambito di un procedimento di accertamento di tributi (il che ricorre, emblematicamente, nel caso di accertamento induttivo di imposte sul reddito).
Benché sia stato sostenuto che le norme procedimentali non siano normalmente idonee alla definizione del presupposto d'imposta [nota 19], appare condivisibile ritenere che i "limiti non forzabili" di applicazione dell'imposta «possono impedire che il disegno seguito nella formulazione del presupposto trovi completa attuazione» [nota 20], così incidendo sulla stessa delimitazione della fattispecie imponibile. Nel caso di specie, sia il limite all'accertamento, sia la regola di registrazione (che è rivolta agli atti scritti, con poche eccezioni) parrebbero concorrere alla perimetrazione delle liberalità indirette sottoposte a tributo, escludendone quelle non risultanti da atto scritto [nota 21].
Non si può trascurare, però, che un simile risultato consente di rispettare le regole procedimentali ma non spiega la registrazione volontaria prevista dall'art. 56-bis terzo comma, se non nei termini di una bipartizione tra atti soggetti a registrazione in termine fisso e atti soggetti a registrazione volontaria, bipartizione che lascerebbe ferma l'impostazione sopra riportata circa la valenza definitoria della regola procedimentale, la quale inciderebbe sulla delimitazione del novero degli atti soggetti a registrazione in termine fisso.
Per questa via, il sistema verrebbe ricostruito nel senso che
- le liberalità non risultanti da atto scritto non sono soggette a registrazione in termine fisso, pur potendo essere registrate volontariamente;
- solo ove una liberalità indiretta emerga nell'accertamento di tributi e risulti da dichiarazione resa dall'interessato, è consentito l'accertamento di essa e quindi la sottoposizione a tributo (nel rispetto delle condizioni innanzi esposte).
Ci si domanda, a questo punto, quale sia il regime delle donazioni indirette risultanti da atti soggetti a registrazione proporzionale diversi da quelli concernenti trasferimenti di immobili e aziende.
Qual è, ad esempio, il regime della donazione indiretta attuata mediante acquisto di beni mobili o mediante acquisto di immobili assoggettato ad imposta fissa di registro?
In questo caso, il sistema di esclusione dall'imposizione è, in tutta evidenza, inapplicabile (poiché esso riguarda i soli atti "immobiliari" e "aziendali" soggetti ad imposta di registro proporzionale o ad Iva) e quindi, salvi i limiti procedimentali sopra evidenziati, l'atto sarebbe imponibile per l'imposta in questione anche in presenza di sottoposizione all'imposta di registro del negozio-mezzo, poiché non vi è un principio di alternatività tra imposta di registro/Iva e imposta di donazione [nota 22], come quello vigente tra imposta di registro ed Iva e non vi è preclusione all'applicazione congiunta di entrambi i tributi.
Infatti, l'applicazione dell'imposta di registro colpisce una manifestazione di capacità contributiva (quella evidenziata dal negozio mezzo) diversa da quella correlata all'effetto ulteriore (conseguito con il negozio-fine) [nota 23].
Vanno comunque distinti gli atti cui siano collegate liberalità da quelli che non evidenzino alcun collegamento, perché la registrazione comporta l'applicazione dell'imposta in base alle risultanze dell'atto (come recita l'art. 1 comma 4-bis D.lgs. 346/90, l'imposta è applicabile … alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione), senza possibilità di attingere a dati extratestuali (salvo, a seguire la giurisprudenza, il caso del collegamento tra più negozi sottoposti a registrazione anche in tempi diversi, costituenti frammenti di un'unica operazione).
Conseguentemente, l'atto "mobiliare" da cui non risultino elementi che facciano emergere la liberalità indiretta non comporta l'applicazione dell'imposta di donazione, mentre quelli in cui essa sia palesata andrebbero sottoposti all'imposta in parola.
Si tratta, però, di vedere se anche per tale liberalità indiretta basti una qualunque evidenziazione in atto oppure valga la regola dell' enunciazione - che si può ritenere richiamata in dipendenza del generico rinvio all'imposta di registro contenuto nell'art. 55 D.lgs. 346/90 [nota 24] - in base alla quale regola l'applicabilità dell'imposta (di donazione) all'atto enunciato (negozio-fine) è condizionata al fatto che l'atto (negozio-mezzo) contenente l'enunciazione intercorra tra le stesse parti.
Applicando tale precetto, la dichiarazione resa da Tizio, compratore di beni mobili, circa la provenienza del denaro come pervenutogli da liberalità ricevuta da Caio (ad esempio, prestito e remissione del debito per spirito di liberalità), comporterebbe assoggettamento all'imposta solo allorché all'atto partecipi anche Caio.
Farebbe eccezione a questa regola solamente il caso dell'accertamento ex art. 56-bis T.U., il quale resta possibile in base alla dichiarazione dell'interessato solo perché concepito come una sorta di contropartita alla paralizzazione dell'accertamento degli altri tributi (e perciò eccezionalmente conformato in deroga alle regole generali).
Con tutta probabilità, il fatto che il legislatore richieda nel T.U. 346/90 una risultanza autonoma rispetto alla regola dell'enunciazione mette fuori campo le apposite regole dell'imposta di registro.
La donazione nulla e la liberalità indiretta
In tutti i casi in cui vi sia donazione diretta di valore non modico, affetta da nullità per mancanza di forma solenne (ad es., denaro dato in contanti o mediante emissione o trasferimento di titoli di credito), la nullità non la sottrae per ciò stesso alle regole fiscali della donazione diretta e, pertanto, la mantiene al di fuori del campo di applicazione dell'imposta sulla liberalità indiretta.
In assenza dell' "atto scritto", di tale donazione nulla non si può ipotizzare la registrazione, tanto meno quella d'ufficio, né può valere la regola dell'art. 38 T.U. registro (la quale presuppone, comunque, l'esistenza dell'atto scritto).
La questione (della donazione diretta nulla) è già da tempo venuta all'attenzione del Secit in tema di imposta di successione, a proposito di un trasferimento di denaro fatto dal defunto senza atto solenne: ricostruito l'atto come donazione nulla, se ne è fatta derivare la presenza del credito nel patrimonio del defunto, con sua conseguente ricomprensione nell'asse ereditario [nota 25].
Non si può escludere, però, l'attuazione di una liberalità indiretta sulla base di una donazione diretta di denaro nulla, allorché il disponente lasci decorrere il termine prescrizionale dell'azione di ripetizione, al (dichiarato) scopo di beneficiare indirettamente l'oblato; in questo caso, muta il momento di perfezionamento della liberalità indiretta, la quale
- verrebbe in essere solo decorso del termine prescrizionale,
- oppure anche anteriormente, allorché venga estinto il debito mediante remissione (cui il debitore non si opponga, essendo compartecipe del disegno).
A proposito dell'analoga fattispecie del pagamento eseguito dal terzo il quale volutamente non agisca in ripetizione di quanto sborsato, è da segnalare che, secondo alcuni, è da superare l'idea di una (ancorché) implicita rinunzia, in quanto soluzione artificiosa e in contrasto con le intenzioni delle parti, le quali «intendono porre in essere direttamente un atto gratuito, senza passare attraverso il medio della remissione» [nota 26].
Il problema delle aliquote applicabili
Una volta delimitati i confini di applicabilità dell'imposta di donazione sulle liberalità indirette, rimane da affrontare il problema del coordinamento tra vecchie e nuove norme, al fine di stabilire l'entità del prelievo.
Viene in evidenza, allora, l'art. 56-bis T.U. 346/90 (introdotto dalla L. 342/2000), che prevede, con formula (apparentemente) immutata, la sottoposizione ad imposta con l'aliquota 7% per la parte eccedente lire 350 milioni (e cioè con l'aliquota massima prevista come misura dell'imposizione all'epoca della sua introduzione e con riferimento alla franchigia a quel momento determinata dal comma 2 dell'art. 56 T.U. successioni).
Il D.l. 262/06, conv. in L. 286/06, ha rinviato al D.lgs. 346/90 nei limiti di compatibilità con le nuove disposizioni, facendo sì che aliquota e franchigia precedenti risultino ormai "incompatibili" e perciò sostituite dai nuovi importi [nota 27] (sia pur con tutte le difficoltà di coordinamento con il precedente sistema "punitivo", che adottava l'aliquota massima del 7% anche riguardo alle donazioni indirette intercorse tra soggetti non estranei tra loro).
Avendo presente che la misura della "nuova imposta" è stabilita del tutto autonomamente, dall'art. 2 D.l. 262/06, con riguardo a tutte le fattispecie imponibili (donazioni, atti gratuiti e vincoli di destinazione) e senza nessuna eccezione per le liberalità diverse dalla donazione, può sostenersi l'autosufficienza della nuova disciplina e la sua prevalenza sulla previsione del T.U. 346/90 anche riguardo alle liberalità indirette [nota 28].
è doveroso segnalare che, secondo una diversa impostazione, l'autonomia della disposizione in esame (art. 56-bis) rispetto al restante impianto impositivo, palesata dall'aliquota unica del sette per cento invariabile anche in presenza di rapporti di parentela stretti, causerebbe uno sfasamento rispetto al nuovo sistema di aliquote (in quanto in caso di beneficiari estranei è addirittura più bassa di quella "ordinaria", mentre nel sistema della L. 342/2000 doveva costituire una sorta di aliquota punitiva) tale da far propendere per una incompatibilità ai sensi del comma 50 dell'art. 2 D.l. 262/06 come convertito dalla L. 286/06 [nota 29].
Benché non la si condivida, si registra anche una terza impostazione, la quale ritiene "compatibile" l'art. 56-bis con la nuova imposta perché l'aliquota unica e la franchigia unica integrerebbero un microsistema giustificato dalla specialità della fattispecie (registrazione volontaria ex art. 8 T.U. registro o registrazione in seguito ad "accertamento"- art. 56-bis commi 2 e 1, rispettivamente), come tale indipendente e capace di coesistere con aliquote e franchigie ordinarie.
Gli atti gratuiti nell'imposta di registro. Coordinamento con l'imposta di donazione
La materia degli atti gratuiti chiama in causa il problema del coordinamento tra le norme in materia di imposta di registro e quelle sull'imposta sulle donazioni, scritte con lessici sostanzialmente diversi benché apparentemente sovrapponibili. Mentre nel precedente articolato dei rispettivi testi unici si poteva rinvenire il riferimento (attualmente immutato) agli atti gratuiti nel T.U. 131/86 (art. 25), senza che ne derivasse una categoria simmetricamente rinvenibile nel T.U. 346/90 (che, per la materia che qui interessa, si occupava solo di donazioni ed altre liberalità), nell'attuale formulazione dell'imposta di donazione sembrerebbe venuta meno la limitazione di applicabilità del T.U. 346/90 alle donazioni e liberalità, prevalendo l'art. 2 comma 47 D.l. 262/06 (che abbraccia gli atti gratuiti in genere, oltre alle donazioni - e senza riferimento alle altre liberalità - e ai vincoli di destinazione). In altre parole, prima si poteva sostenere l'applicabilità dell'imposta di registro agli atti gratuiti non donativi nonostante la formulazione dell'art. 25 T.U.R., perché di essi non si occupava il D.lgs. 346/90. Attualmente tale limite sistematico potrebbe ritenersi venuto meno, perché il D.l. 262 si riferisce, con nomenclatura coincidente con il T.U. registro, anche agli atti gratuiti.
Ciononostante, ipotizzare che il legislatore abbia voluto fornire questo tipo di risposta alla precedente esigenza dell'interprete, onde eliminare ogni possibilità di applicare l'imposta di registro agli atti gratuiti, sembrerebbe eccessivo, sia perché il legislatore del T.U. registro non poteva prevedere il mutato assetto (e quindi la formula dell'art. 25 non è risolutiva), sia a causa della persistente necessità di individuare le norme applicabili agli atti gratuiti non portanti trasferimento di beni e diritti (per i quali non vale il precetto del nuovo art. 2 comma 47). Perciò, il nuovo art. 2 comma 47 non può mirare a saldarsi all'art. 25 T.U. registro per coprire l'intera gamma delle fattispecie imponibili, come dovrebbe essere se il rinvio dell'art. 25 volesse sottrarre al T.U. registro tutte le fattispecie gratuite.
La rinunzia
Nell'ambito della materia in esame, un ruolo speciale spetta all'atto di rinunzia abdicativa "pura e semplice", ovvero posto in essere unilateralmente dal titolare del diritto e che non ha altro effetto che quello dismissivo/estintivo [nota 30].
Nella pratica, è frequente l'impiego della rinunzia per ottenere proprio gli effetti riflessi: uno dei comproprietari rinunzia alla sua quota di comproprietà, determinando indirettamente l'espansione del diritto di altri titolari [nota 31], l'usufruttuario o l'usuario o l'abitatore rinunziano al loro diritto facendo espandere la proprietà o, in presenza di diritto di accrescimento, del diritto degli altri titolari, ecc.
Se ne esamina il regime fiscale premettendo che, come è noto, il negozio di rinunzia abdicativa, (che è atto di disposizione ma non di alienazione [nota 32]) non si presta, di per sé, ad essere classificato secondo la bipartizione gratuito-oneroso, che si attaglia soltanto ai negozi di attribuzione [nota 33] e, per tale natura, non potrebbe essere colpito dalla nuova imposta su donazioni e atti gratuiti.
Intervengono, invece, apposite previsioni contenute nel T.U. successioni e donazioni e nel T.U. registro: secondo il D.P.R. n. 131/86, T.U. dell'imposta di registro (T.U.R.), l'imposta si applica agli «atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi …»;
secondo il D.lgs. 346/90, T.U. successioni e donazioni (T.U.S.D.), «si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni», la quale ultima non appare incompatibile con la "nuova" imposta sulle donazioni e quindi viene mutuata dal nuovo sistema attraverso il generico rinvio al D.lgs. 346/90.
Parrebbero quindi presenti, anche dopo la L. 286/06, due distinte disposizioni regolanti lo stesso fenomeno della rinunzia abdicativa.
La contemporanea presenza di due norme in linea di massima sovrapponibili ripropone un vecchio problema e cioè quello di stabilire se esse coesistano ed abbiano campi di applicazioni diversi o se, invece, si sia verificato il venir meno di una di esse in virtù delle regole di abrogazione tacita.
La seconda soluzione (quella che assume abrogata la disposizione del T.U. registro) sottrae all'imposta di registro ogni rinunzia, a prescindere dal motivo che la determini, ed ha il pregio di scongiurare qualunque antinomia, pur manifestando il difetto di assoggettare ad imposta di donazione anche le ipotesi che niente abbiano a che vedere con la liberalità. In questo modo, l'equiparazione ai trasferimenti comporta che la rinunzia riceva sempre lo stesso trattamento, indipendentemente dal fatto che sia impiegata per ottenere una donazione indiretta [nota 34]. In altre parole, sarebbe il negozio in sé, in quanto "gratuito" (intendendosi fiscalmente tale quello "non oneroso") ad essere assoggettato al regime tributario di tali atti, che rimarrebbe invariabile anche ove il soggetto "beneficiato" sia decisamente avverso a ricevere l'effetto indiretto e quindi non sia configurabile donazione indiretta.
Sembra questa la tesi sposata dall'Agenzia delle Entrate allorché asserisce che gli atti gratuiti comportanti trasferimento sono assoggettati alla nuova imposta di donazione, a prescindere dal fatto che siano retti dall'animus donandi35.
La prima soluzione (quella che ritiene coesistenti le due diverse previsioni), invece, ipotizza due distinti campi di applicazione per le due disposizioni e, assumendo la sopravvivenza di quella più remota contenuta nel T.U. registro, valorizza la presenza dello spirito di liberalità (o, secondo altra teoria, la mancanza di interesse patrimoniale) per individuare la fattispecie assoggettata all'imposta di donazione.
In base a questa diversa teoria, solo la rinunzia liberale (o priva di interesse patrimoniale) sconterebbe l'imposta di donazione [nota 36].
Per orientarsi nella scelta tra le due tesi, si ricorda come il D.P.R. 637/72 non menzionasse le rinunzie e che la relativa disposizione nella normativa sull'imposta di donazione giunse con il D.lgs. 346/90, assumendo che anche una rinunzia potesse considerarsi "trasferimento" (ma fermo restandone il riferimento alle "donazioni e liberalità").
Analoga impostazione venne data dalla L. 383/2001 (di soppressione dell'imposta in esame), il cui art. 13 - poi abrogato espressamente dalla L. 286/06 [nota 37] - regolò «trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi», così utilizzando una formulazione assolutamente coincidente con l'art. 1 Tariffa parte prima T.U. registro e ponendo per la prima volta la questione dell'eventuale abrogazione tacita di quest'ultima disposizione, per la parte relativa alle rinunzie pure e semplici.
Con la "nuova imposta di donazione" la questione sembra porsi in modo nuovo, in dipendenza del rinvio al T.U. successioni e donazioni (che riporta in vita l'equiparazione delle rinunzie ai trasferimenti) ed a causa della genericità della categoria degli atti "gratuiti" che, sia pur nell'inadeguatezza della contrapposizione "gratuito/oneroso" riguardo alla rinunzia, nel diritto tributario sembra accogliere la rinunzia abdicativa meglio di quanto possa fare l'assimilazione ai "trasferimenti onerosi" ex art. 1 Tariffa parte I del T.U. registro.
Depone per questa soluzione la stessa norma definitoria del presupposto d'imposta, portata dal comma 47, che, non riferendosi più alle liberalità e, quanto alla rinunzia, alle «altre liberalità tra vivi compresa la rinunzia», bensì asserendo che l'imposta si applica agli atti gratuiti, apre lo spiraglio per asserire che la rinunzia pura e semplice in questione è sempre sottoposta alla nuova imposta, senza che ne debba risultare una connotazione liberale.
A corroborare questa tesi, valgano le seguenti considerazioni.
Se la rinunzia con fini "liberali" dovesse essere colpita da "imposta di donazione" non direttamente ma secondo le regole delle donazioni indirette, non si giustificherebbe aver disposto da un lato l'equiparazione della rinunzia al trasferimento e, dall'altro, l'inapplicabilità dell'imposta sugli atti gratuiti/liberali allorché l'atto collegato immobiliare (negozio-mezzo) sia inciso dall'imposta di registro proporzionale o dall'Iva. Infatti, in questo caso, la natura di donazione indiretta della rinunzia lascerebbe l'atto rinunciativo immobiliare assoggettato all'imposta di registro (proporzionale, ex art. 1 Tariffa parte I T.U. registro) ma nel contempo non assoggettabile all'imposta di donazione ex art. 1 comma 4-bis T.U. 346/90, nonostante ne risultasse anche in modo esplicito la finalizzazione a conseguire l'effetto indiretto liberale.
Così, la regola di equiparazione della rinunzia al trasferimento, all'interno della disciplina dell'imposta di donazione, non giocherebbe nessun ruolo impositivo, se non per le rinunzie "mobiliari" (in tutto marginali e sovente informali e, per tal motivo, assoggettabili alla registrazione nei limiti evidenziati nell'apposito paragrafo); inoltre, non si spiegherebbe perché il legislatore abbia articolato un complesso sistema ben sapendo di non poter giungere ad alcun prelievo aggiuntivo [nota 38].
Risulta preferibile, perciò, asserire che la rinunzia abdicativa "pura e semplice" è disciplinata solo dall'art. 2 D.l. 262/06 (coordinato con il T.U. 346/90).
Avendo presente la graduazione dell'imposizione contenuta nella L. 286/06, rimane da capire come si individui l'aliquota d'imposta in mancanza di elementi testuali che espongano il rapporto di parentela o coniugio. Ad esempio, la "tassazione" della rinunzia alla comproprietà richiederebbe di conoscere la relazione di parentela che eventualmente intercorra tra rinunziante e altri comproprietari, la rinunzia all'usufrutto quella tra usufruttuario e nudo proprietario, mentre nessun rilievo verrebbe ad avere la "parentela" allorché a rinunziare sia il proprietario unico del bene.
Ebbene, se il "crescendo" di aliquote si intendesse come un trattamento più favorevole per chi abbia relazioni di parentela più strette, a fronte di un prelievo normalmente da attuare con la massima delle aliquote vigenti, la mancanza di qualunque indicazione in atto, riguardo alla parentela, dovrebbe portare ad applicare l'imposta nella misura massima (salva la produzione di atto integrativo).
Per altro, seguendo questa linea interpretativa (legata al riferimento al c.d. "beneficiario"), in caso di rinunzia abdicativa al diritto di proprietà (da parte dell'unico proprietario) si dovrebbe tener conto dell'acquisto (indiretto) ex art. 827 c.c. da parte dello Stato, con conseguente inapplicabilità dell'imposta di donazione ai sensi dell'art. 3 T.U. successioni e donazioni.
Con un siffatto sistema emerge, però, la stranezza di un'imposta dovuta dal rinunziante sulla base di presupposti soggettivi legati al c.d. "beneficiario" (assente dalla negoziazione).
Cenni alle imposte ipotecaria e catastale
Le imposte ipotecarie e catastali, in quanto imposte d'atto correlate alle formalità immobiliari, non determinano particolari problematiche, se non riguardo alla rinunzia a diritti reali immobiliari.
Nel caso esposto della rinunzia alla proprietà da parte dell'unico proprietario, l'effetto acquisitivo "a favore" dello Stato - che, però, non è avente causa del rinunziante - consentirebbe di argomentare l'esenzione dall'imposta ipotecaria (art. 1 comma 2 D.lgs. 347/90) e dall'imposta catastale (art. 10 comma 3 D.lgs. 347/90).
Pur senza fare uso di tale (debole) argomento, l'applicazione dell'imposta fissa, sia ipotecaria, sia catastale, può sostenersi sottolineando la diversità dei presupposti d'imposta nelle imposte di registro e di donazione da un lato e nelle imposte ipotecaria e catastale dall'altro. Diversità che emerge sol che si consideri che il sistema dell'imposta di donazione equipara la rinunzia al trasferimento (e, qualora si ritenga vigente, identica assimilazione si rintraccia nell'art. 1 Tariffa T.U. registro), ma manca del tutto analoga equiparazione nelle imposte "minori" qui esaminate. Si nota, poi, che la differenza di presupposti e di struttura del tributo sulle formalità rispetto agli altri, impedisce ogni operazione di automatica trasposizione di logica impositiva dall'una (quella di donazione) all'altra imposta (ipo-catastale).
D'altra parte, il rinvio alle imposte maggiori (di registro e di donazione), contenuto nel D.lgs. 347/90 non è generale, ma limitato alle regole di determinazione della base imponibile (non del presupposto) ed a quelle di accertamento e liquidazione (artt. 2, 10 e 13).
Per questi motivi, le imposte ipotecarie e catastali dovute per la rinunzia a diritti reali immobiliari vanno individuate avendo presente che essa non causa trasferimento e quindi ricade nelle previsioni dell'art. 4 della Tariffa del D.lgs. 347/90 (per l'imposta ipotecaria o di trascrizione) e dell'art. 10 comma 2 stesso D.lgs. per l'imposta catastale), con conseguente applicazione delle sole imposte fisse [nota 39].
Si segnala che l'Agenzia delle Entrate non ha ritenuto condivisibile l'applicazione dell'imposta fissa sulla rinunzia in parola, a causa della sua (pretesa) assimilazione all' "atto di trasferimento" [nota 40], all'evidenza dovuta alla risalente ed acritica abitudine di considerarle "ancillari" e in tutto dipendenti dalle imposte maggiori.
[nota 1] CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2002, p. 836. La natura del fondo patrimoniale costituito da un terzo è dibattuta, sostenendosi che si tratti di donazione obnuziale o di donazione modale oppure di negozio trilatero. Sembra preferibile valorizzare la sua natura di negozio tipico, escludendo che ricorra una donazione, sia pure obnuziale o modale, pur osservando che la qualificazione come liberalità non donativa pone il problema del coordinamento con l'art. 437 c.c. Benché si sostenga la possibilità di un trasferimento dal terzo ai coniugi sorretto da causa non liberale (ad es. adempimento di obbligo nascente da donazione modale – cfr. PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, Torino, 2000, p. 372) si afferma che ricorre liberalità almeno quando il terzo sia mosso all'attribuzione con spontaneità (PALAZZO, op. cit., p. 372).
[nota 2] Il richiamo è alla incidenza dell'azione di riduzione e dell'azione di restituzione sull'acquisto per donazione indiretta. Sul modo di ridurre le donazioni indirette ogni qual volta il bene oggetto dell'attribuzione liberale non provenga dal patrimonio del "donante indiretto" cfr. CARNEVALI, Sull'azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di legittima, in Studi in onore di L. Mengoni, I, Milano, 1995, p. 131 e ss. e MENGONI, Successioni a causa di morte, Parte speciale, Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 2000, p. 251 e ss.
Riguardo all'imponibilità del contratto a favore di terzo nell'imposta di registro, si rinvia allo Studio n. 75/2002/T, Contratto a favore di terzo ed imposte indirette, approvato dalla Commissione studi tributari del CNN il 28 marzo 2003, est. PETTERUTI.
[nota 3] MANZINI, «Il contratto gratuito atipico», in Contr. e impr., n. 3/1986, p. 931.
[nota 4] FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova, 1995, p. 170.
[nota 5] «Art. 809. Le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall'articolo 769, sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d'ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari.
Questa disposizione non si applica alle liberalità previste dal secondo comma dell'articolo 770 e a quelle che a norma dell'articolo 742 non sono soggette a collazione».
[nota 6] Anche a proposito della riunione fittizia, la donazione indiretta non è espressamente chiamata in causa, ma dal rinvio che la norma sull'imputazione ex se - art. 564 ultimo comma - fa alle regole della collazione si ricava che la disciplina si applichi anche ad essa. Cfr. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 303.
[nota 7] Cfr. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 864.
[nota 8] In quanto collegato al tema dei vincoli di destinazione, in questa esposizione non si fa riferimento al trust.
[nota 9] GALGANO, Il Negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo continuato da Mengoni, Milano, 1988, p. 90.
[nota 10] BALBI, «Liberalità e donazione», in Riv. dir. comm., 1948, p. 174; TORRENTE, La donazione, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1956, p. 3 e ss. e in Trattato suddetto a cura di Cicu, Messineo e Mengoni continuato da Schlesinger, seconda edizione aggiornata a cura di Carnevali e Mora, Milano, 2006, p. 12; CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 765; PICCININI, Gli atti di liberalità, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, Padova, 1994, p. 155; IACOVINO, TAVASSI, CASSANDRO, La donazione, in Il diritto privato oggi, Milano, 1996, p. 8.
[nota 11] Resoconto dello stato della questione in TORRENTE, La donazione, op. ult. cit., p. 15-19. L'obiezione che viene mossa alla teoria della liberalità attuabile mediante negozi gratuiti aventi per oggetto un facere (far godere, prestare opera, trasportare ecc.) è la difficoltà, o pratica impossibilità, di applicare ad essi le norme materiali della donazione ai sensi dell'art. 809 c.c.
[nota 12] TORRENTE, La donazione, op. cit., p. 16.
[nota 13] Per la rassegna delle teorie, cfr. CAPOZZI, op. cit., p. 864-865.
[nota 14] TORRENTE, La donazione, cit., p. 41.
[nota 15] Per le conseguenze "sfavorevoli" a carico del "beneficiario" si pensi, oltre all' obbligo di collazione, alle ripercussioni che, secondo alcuni, si verificherebbero anche per le donazioni indirette sull'ordine dei soggetti tenuti agli alimenti (cfr. PROVERA, Degli alimenti, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1972, p. 69).
[nota 16] STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000, p. 126.
[nota 17] La riforma del 2000 è stata oggetto di ampie analisi contenute nel volume L'imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, con contributi di MARONGIU, LUPI, FEDELE, MASTROIACOVO, PURI, STEVANATO, GHINASSI, FRIEDMANN, GAFFURI, NASTRI, MONTELEONE E PISTONE.
[nota 18] GAFFURI, L'imposta sulle successioni e donazioni, Torino, 1976, p. 145
[nota 19] STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, cit., p. 116.
[nota 20] GAFFURI, «Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni», in Rass. trib., n. 2, marzo-aprile 2007, p. 441 e ss., par. 1.
[nota 21] STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, cit., p. 210.
Per una sorta di alternatività tra imposta sulle donazioni indirette e imposte dirette, v. GAFFURI, «Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni», cit., p. 445, par. 2 lett. d).
Per il coordinamento di imposta sulle donazioni e Iva, v. art. 56 T.U. successioni ultimo comma.
[nota 22] STEVANATO, op. cit., p. 212.
[nota 23] GAFFURI, «Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni», cit., p. 448, par. 2 sub I).
[nota 24] Cfr. STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, cit., p. 47 nota 15 e p. 63.
[nota 25] STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, cit., p. 123.
[nota 26] GAFFURI, «Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni», cit., p. 449, paragrafo 2 lett. f); dubitativamente, studio del CNN n. 168/2006/T del 15 dicembre 2006, Prime note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni, paragrafo 6, in BDN.
[nota 27] BELLINI, «La nuova imposta sulle successioni e donazioni: reintroduzione delle disposizioni del D.lgs. n. 346/1990 e coordinamento con i provvedimenti successivi», in Il fisco, 2006, p. 7230; PURI, «Alla ricerca del tempo perduto ovvero considerazioni a margine della nuova imposta sulle donazioni e gli atti a titolo gratuito», relazione al Convegno Paradigma, novembre 2006.
[nota 28] è la tesi dubitativa dello Studio n. 168/2006/T della Commissione studi Tributari del CNN, est. FRIEDMANN, GHINASSI, MASTROIACOVO, PISCHETOLA, Prime note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni, in BDN e in CNN Notizie del 9 gennaio 2007.
[nota 29] CARIOTA FERRARA, Il Negozio giuridico, Napoli, s.d., p. 272.
SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1986 p. 218.
[nota 30] Per la ricostruzione della comunione come titolarità plurima integrale e per le altre teorie sulla sua natura giuridica, v. GUARINO, voce Comunione, in Enc. dir., Milano, 1961, p. 250-251, FEDELE, La comunione, Torino, 1986, p. 7; BIANCA, Diritto Civile, 6, Milano, 1999, p. 452; LENER, La Comunione, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, Torino, 1982, vol. 8, p. 266.
Per la rinuncia alla quota comportante espansione delle quote altrui, v. FRAGALI, La comunione, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1978, p. 450; LENER, La Comunione, cit., p. 273; TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1981, p. 567.
[nota 31] Per la distinzione, v. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1986, p. 220; MENGONI-REALMONTE, voce Disposizione, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 189; PUGLIATTI, voce Alienazione, in Enc. dir., II, Milano, 1956, p. 1; PERLINGIERI-FEMIA, Manuale di Diritto civile, Napoli, 1997, p. 80; MACIOCE, voce Rinuncia, in Enc. dir, dir. priv., XL, Milano, 1989, p. 927; BOZZI, voce Rinunzia, dir. pubbl. e priv., in Nov. Dig. it., XV, Torino, 1968, p. 1147.
[nota 32] SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1977, p. 224; MACIOCE, voce Rinuncia, in Enc. dir., dir. priv., XL, Milano, 1989, p. 928.
[nota 33] Sempre che non si aderisca alla tesi di chi ritiene esistente una donazione indiretta anche nolente il beneficiario, sol che manchi una giustificazione causale onerosa. Cfr. PALAZZO, «La donazione cosiddetta liberatoria», in Vita not., 2000, p. 3-26.
[nota 34] Ris. Agenzia Entrate n. 25/E del 16 febbraio 2007 – "Atti di rinunzia abdicativi".
[nota 35] Però, anche qui, dal momento che chi si avvantaggi della rinunzia (si pensi al caso del nudo proprietario che tragga beneficio della rinunzia all'usufrutto) non può essere costretto a divenire "avente causa indiretto" suo malgrado (nell'esempio, subendo la rinunzia fatta dall'usufruttuario) o inconsapevolmente (scoprendo la rinunzia che prima non conoscesse), occorre il negozio collegato che, sia pur senza forme solenni, colmi il divario tra il mezzo impiegato (la rinunzia abdicativa o estintiva) e il risultato voluto.
[nota 36] Per l'abrogazione di norme abrogatici, v. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo continuato da Mengoni, Milano, 1998, p. 206.
[nota 37] Solo seguendo quella parte minoritaria della dottrina (BIONDI, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, Torino, 1960, p. 400; CATAUDELLA, Scritti giuridici, Padova, 1991, p. 151 e ss.) che asserisce la configurabilità della donazione liberatoria attuata mediante rinunzia al diritto (e che riguardo ai diritti reali potrebbe più proficuamente denominarsi estintiva), alla rinunzia con spirito liberale si dovrebbe riconoscere natura di donazione diretta, valorizzando la formula dell'art. 769 c.c. («una parte arricchisce l'altra disponendo di un diritto a favore di questa») come tecnicamente appropriata riguardo alla "disposizione di un diritto" e atecnica nel punto in cui si ha riguardo alla disposizione "a favore" (che nella rinunzia non è configurabile). In questo caso, la rinunzia "donativa" avrebbe struttura contrattuale (e l'atto del solo rinunziante sarebbe degradato a mera proposta), richiederebbe la forma solenne e sarebbe assoggettata all'imposta di donazione senza alcuna possibilità di essere incisa dall'imposta di registro.
[nota 38] Così anche MASTROIACOVO, (Segnalazione novità) «Sul regime fiscale dell'atto di rinuncia abdicativa ai fini delle imposte indirette» (Ris. Agenzia delle Entrate n. 25/E del 16 febbraio 2007), in CNN Notizie del 22 febbraio 2007.
[nota 39] Ris. 25/E del 2007, sopra citata.
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