Conclusioni
Conclusioni
di Antonio Areniello
Notaio in Napoli
Vorrei a questo punto esporre qualche notazione conclusiva, senza alcuna pretesa esaustiva nè intento riepilogativo di una giornata di studi così densa e ricca di interessantissimi contributi scientifici.
La prima considerazione riguarda l'evidente incertezza che si incontra nella individuazione della categoria degli atti di liberalità, fondata - a mio avviso e non solo - su una peculiare caratteristica della disciplina codicistica della donazione: vale a dire che talune norme previste in tema di donazione non si applicano ad atti che avrebbero in comune la stessa struttura ovvero finanche la stessa causa della donazione.
Di qui la ricostruzione della categoria delle liberalità non donative nelle quali il termine liberalità serve a richiamare l'idea di una comune causa negoziale che giustifica l'applicazione di alcune norme in relazione alla natura del negozio, ma non di altre, stante la diversità degli effetti economici ovvero per il minor pregiudizio che ne riceve il donante (art. 770, 2 c.c.). Al contempo, però, il legislatore estende l'applicazione di norme dettate per la donazione anche ad altri atti, strutturalmente diversi dalla donazione, così introducendo un ulteriore nozione di liberalità il cui significato è in antitesi a quello innanzi configurato, trattandosi di atti ai quali la disciplina della donazione va estesa in vista dell'identità ovvero della somiglianza del risultato conseguito (art. 809, 1 c.c.). Questa pluralità di significati della nozione di liberalità porta da un lato a considerare la liberalità come specificazione della generale nozione di gratuità, dall'altro a considerare realizzabile la liberalità mediante un negozio oneroso: lì la liberalità è intesa come causa, qui come effetto. Va da sè che tale duplicità di qualificazione potrebbe ingenerare equivoci che - ritengo - le ricostruzioni dottrinali proposte in questo convegno abbiano contribuito in maniera decisiva a dissipare, fornendo un notevole contributo ad orientare l'interprete in sede applicativa.
La seconda considerazione attiene al profilo causale, laddove la difficoltà dell'individuazione di una unitaria funzione economico-sociale della liberalità in senso ampio provoca - soprattutto in giurisprudenza - affermazioni contraddittorie, richiamandosi talora - con riferimento a figure quali la donazione indiretta ovvero mista (negotium mixtum cum donatione) - una causa onerosa, ma anche attribuendo alle stesse figure una causa rinveniente nell'intento liberale ovvero un concorso di causa onerosa con l'animus donandi. è mia opinione che la ricognizione oggi effettuata nell'ambito di vari schemi (o fattispecie) negoziali attraverso le quali si realizza l'intento liberale abbia chiarito la spinosa questione, con logiche e conseguenti ricadute sulla disciplina applicabile agli atti in esame. Così come mi è parso tramontare, ascoltando i relatori, il dogma della tassatività delle figure delle liberalità non donative, il che potrebbe far ipotizzare anche fattispecie negoziali atipiche di liberalità: l'intento liberale diverrebbe così una causa generale di acquisto, da affiancare alla causa di scambio.
Ma tornando per un momento alla disciplina applicabile alle liberalità, ove dall'esame della varie ipotesi che oggi si sono via via susseguite si voglia individuare - direi cristallizzare - una disciplina "generale", credo che essa vada intesa come concorrente rispetto a quella dei singoli atti o alla struttura degli stessi, avendo invece riguardo all'effetto economico della liberalità piuttosto che allo schema giuridico adoperato per realizzare tale effetto. In altri termini, riconosciuto ad un determinato atto la natura - specifica, occasionale, indiretta e così via - di liberalità, per ciò stesso lo si assoggetta alla disciplina relativa e "concorrente" nel senso innanzi illustrato. Accolta questa considerazione un po' provocatoria, ne trarrebbero chiarimento applicativo ed ermeneutico figure, quali quelle del trust e del patto di famiglia, così lucidamente sottoposte alla nostra attenzione e senz'altro meritevoli di uno sforzo dell'interprete-notaio che ne cura l'applicazione tutelando posizioni giuridiche ed interessi economici complessi.
In sintesi, la nozione di liberalità verrebbe infine ad essere ricostruita più per esigenze funzionali che concettuali, consentendo di assoggettare a disciplina unitaria una serie eterogenea di atti. è stato autorevolmente sostenuto (Carnevali) che una considerazione unitaria della categoria delle liberalità non donative è giustificata sotto il profilo del contenuto o dello scopo dei molteplici atti di liberalità, individuato nell'effetto economico dell'arricchimento senza corrispettivo vivificato dall'animus donandi.
Tradizionalmente l'arricchimento viene inteso come presupposto essenziale della nozione di liberalità, purtuttavia la dottrina moderna propende per una diversa soluzione ritenendo che l'arricchimento in senso economico è solo un effetto naturale ovvero un risultato prodotto normalmente dall'atto di liberalità, ma non appare elemento indispensabile per attribuire rilievo giuridico alla categoria.
In definitiva, ciò che connoterebbe l'atto di liberalità sarebbe - in tale prospettiva - l'atto dispositivo di un diritto di natura patrimoniale per spirito di liberalità, prescindendo nell'analisi interpretativa dall'impoverimento effettivo subito dal donante e dal correlato arricchimento economico del donatario.
Anche qui, come ho detto poc'anzi, al ragionamento così impostato consegue la possibile applicazione "soltanto" di quelle norme materiali compatibili con siffatta ricostruzione (revoca per ingratitudine, non certo un'obbligazione alimentare).
E sempre con riferimento all'arricchimento, rilevante appare - alla luce ad esempio delle problematiche relative all'intestazione di beni sotto nome altrui - la delicata questione diretta a stabilire se oggetto della liberalità sia ciò che è uscito dal patrimonio del donante (o non vi è entrato, ad es. per rinunzia) ovvero ciò di cui il donatario si è arricchito o, in altri termini, il vantaggio attribuito all'accipiens (immobile/danaro). Con fondamentali riflessi - che a voi non sfuggono - sulla determinazione di ciò che va restituito, imputato, conferito o comunque prestato in conseguenza dell'operatività della pertinente norma materiale.
Parimenti appare rilevante, nella ricostruzione della fattispecie in esame, l'individuazione della nozione di spirito di liberalità (animus donandi) inteso non certo come superfetazione o formula priva di significato, come pure è stato sostenuto, ma quale intento consapevole di effettuare una disposizione di carattere patrimoniale a vantaggio d'altri per soddisfare un interesse non patrimoniale del disponente. Ovvero, in chiave metagiuridica ma efficace, un intento empirico che chiarisce il significato sociale del comportamento umano.
In ogni caso è l'appartenenza alla fattispecie che il diritto deve necessariamente qualificare: pertanto nel contratto di donazione lo spirito di liberalità è consapevolezza del donante "condivisa" dal donatario e, negli atti che qui ci occupano - e di cui abbiamo avuto oggi completa panoramica - dotati di funzione diversa che per dir così è sufficiente a giustificarne una meritevolezza giuridica, esso (l'intento liberale) non può che assumere il rilievo di un motivo individuale del disponente rispetto al quale appare arduo affermare se dovrà essere noto al beneficiario o riconoscibile in altro modo, tale da connotare, comunque, gli atti di liberalità.
Atti, dunque, lasciando fuori i "comportamenti" (e penso all'acquiescenza ad una prescrizione estintiva ovvero alla soccombenza volontaria in giudizio o anche all'astensione dall'interrompere un'altrui usucapione) idonei di per sè a produrre l'effetto dispositivo di cui ci stiamo occupando, ma pur sempre finalizzati alla formazione di una fattispecie legale atta a produrre l'effetto equivalente.
Concludendo queste mie note, ritengo di poter affermare che la giornata di studi ha pienamente risposto alla sollecitazione dei colleghi che - in sede di presentazione del Convegno - auspicavano la ricerca di tratti comuni intesi a qualificare fattispecie indubbiamente caratterizzate da differenziazioni e peculiarità in sede di disciplina applicativa: rivisitando un'espressione di Andrea Torrente, forse non sussiste un'unità ontologica denominata liberalità non donative, ma nemmeno una mera indicazione di atti che presentano solo l'aspetto negativo di non essere generati dal contratto tipico della donazione.
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