Istituzioni giudiziarie e processo da insolvenza nella nuova legge fallimentare
Istituzioni giudiziarie e processo da insolvenza nella nuova legge fallimentare [nota *]
di Pasquale Liccardo
Tribunale di Bologna
Da tempo, grandi insolvenze transfrontaliere, competitività sistemiche tra economie e Stati avevano con forza crescente posto il problema dell'ammodernamento complessivo del sistema fallimentare, ormai risalente al 42.
La panoramica internazionale dei meccanismi di seconda linea aveva da tempo evidenziato la declinante produttività dei meccanismi a forte matrice istituzionale, di presidio del conflitto da insolvenza e il valore - crescente per il ceto creditorio - assicurato dalla combinazione di strumenti negoziali e giudiziali di intervento [nota 1] .
Non era, pertanto, un problema di età anagrafica degli istituti, ma più in generale di filosofia di fondo e di contesto, anche internazionale.
È stato detto con rara perspicacia, che «l'economia sceglie il luogo del diritto; o il diritto determina il luogo dell'economia» [nota 2] : la globalizzazione ha introdotto un mutamento di fondo dell'economia dei mercati, per la nuova centralità assunta dall'economia finanziaria e dai suoi strumenti negoziali, per la velocizzazione degli scambi e per la accresciuta rilevanza delle norme di cui si compongono - al pari di ogni altro suo elemento - le merci.
La globalizzazione dei mercati viene spesso indicata a causa prima di un fenomeno sempre più esteso di uniformizzazione degli ordinamenti che mirano per diversa via, ad un recupero di effettività altrimenti precluso dalla complessiva caduta della capacità regolativa della norma [nota 3] : la riduzione della norma a prodotto, come tale oggetto di scelta da parte dell'imprenditore al pari degli altri fattori della produzione, costituisce oramai una dimensione interna dell'azione legislativa che assume il valore della competizione concorrenziale a ragione prima della codificazione di nuovi modelli normativi [nota 4] .
Al pari della unificazione in un unico codice del diritto privato degli Stati appartenenti all'Unione europea [nota 5] , l'idea di una regolazione dell'insolvenza prevedibile ed uniforme, non vulnerata dalla localizzazione opportunistica dell'impresa viene vissuta come un'esigenza primaria della circolazione dei capitali e delle merci, capace di alimentarne l'afflusso e di assicurarne nel tempo la produttività, espungendo logiche economiche di breve periodo e di rapido ritorno dell'investimento.
La definizione di un sistema unitario dell'insolvenza costituisce pertanto sempre più l'esigenza di una concorsualità internazionalmente partecipata dagli attori economici che guarda alla "consistenza territoriale" dei diritti come dimensione ineludibile della regolazione negoziale degli scambi: prevedibilità, semplicità, efficienza e rapidità delle forme di tutela per le parti coinvolte, imparzialità e trasparenza dei procedimenti giudiziari si pongono come condizioni irrinunciabili delle istituzioni della giuridicità concorsuale mai come in questo momento al centro dell'attenzione delle istituzioni del commercio internazionale e dei mercati.
Se è vero che l'idea illuministica di un diritto della concorsualità uniforme perchè uniformemente normato costituisce una risposta semplicistica alla complessità delle problematiche insite nella dimensione globalizzata dei mercati e degli ordinamenti giuridici [nota 6] , è altrettanto vero che sono in atto processi di avvicinamento tra ordinamenti di non poco significato laddove si consideri che proprio il sistema della concorsualità costituisce sempre più l'oggetto privilegiato di una comparazione fortemente votata all'analisi economica degli istituti, dei valori interessati e delle vicende concorsuali gestite [nota 7] .
Il regolamento Cee n. 1346 del 2000 avente ad oggetto le procedure di insolvenza, evidenzia le esigenze di uniformità prima ricordate che quantunque non assunte a veicolo per l'adozione di un'unica disciplina, pongono le fondamenta per una armonizzazione sistematica delle discipline, ad oggi non interamente compiuta per via regolamentare [nota 8] .
In tale quadro deve inserirsi la riforma delle procedure concorsuali, attuata in una serie non sempre coerente di interventi normativi [nota 9] , riforma questa a cui non è estraneo il tentativo esplicitato di dare nuova competitività al sistema economico complessivo.
Da tempo, altri ordinamenti avevano provveduto ad ammodernare i sistemi concorsuali recependo ed in qualche modo riscrivendo il loro processi da insolvenza sulla base del paradigma generale costituito, nella legislazione statunitense, dal BanKruptcy reform act del 1978, che definisce nella reorganization disciplinata dal chapter XI le metodiche per una soluzione concordata della crisi d'impresa [nota 10] .
In tutte le legislazioni dei maggiori Stati europei, le procedure concorsuali si propongono quantomeno nelle logiche di innesco, come luogo di ridefinizione negoziata dell'insolvenza, prevenendo ad esempio nell'ordinamento francese, la crisi imminente con l'istituto della sauvegarde ovvero ricercando una sistemazione amichevole dello stato di crisi sotto il controllo del Tribunale (reglement amiable), fino a riconoscere allo stesso ceto creditorio un potere di formulare la richiesta di administration order, come previsto dall'Insolvency act del 1986, modificato dall'Insolvency act del 2000 e dal successivo Enterprise act del 2002.
A fronte di un così esteso ammodernamento delle istituzioni della concorsualità operato negli ordinamenti delle maggiori economie mondiali, il nostro ordinamento manifestava una distanza via via crescente del sistema concorsuale, soprattutto nelle procedure devolute al governo "negoziale" della crisi di impresa, quali l'amministrazione controllata e il concordato preventivo.
Qui basti rilevare come :
a. l'amministrazione controllata si poneva come procedura di governo dell'insolvenza reversibile, attraverso un piano di risanamento fondato sulla sola moratoria generale, concessa dal ceto creditorio per un periodo massimo di due anni: estranea alla procedura era ogni attività di liquidazione di assetes, di partecipazioni non strategiche, di ridimensionamento complessivo delle immobilizzazioni. La Suprema Corte aveva al riguardo più volte affermato che la procedura di amministrazione controllata obbediva ad una finalità meramente conservativa dell'impresa in crisi e che ogni attività di liquidazione poteva essere dedotta dall'imprenditore solo all'interno di una proposta di concordato preventivo [nota 11] . La distanza dell'amministrazione controllata dalla moderna crisi d'impresa era del resto resa evidente dall'esperienza concreta dei piani di risanamento in cui ristrutturazione del debito e liquidazione di attività ponevano come itinerari necessari del turnaraound delle aziende in dissesto; e come «tutti i casi esaminati … che hanno registrato un'uscita in bonis dall'amministrazione controllata sono stati caratterizzati da operazioni di gestione straordinaria del distress, sia mediante accordi stragiudiziali con i creditori, sia per mezzo della liquidazione delle più rilevanti attività aziendali» [nota 12] .
b. il concordato preventivo nel porsi come procedura alternativa al fallimento, si caratterizzava: a) per una rigidità tipologica estremamente accentuata, solo ammorbidita dalla giurisprudenza con il riconoscimento del concordato misto; b) per una divisione del ceto creditorio tra creditori privilegiati e chirografari che ne delimitava anche gli estremi partecipativi: la presunta indifferenza dei primi devolveva ogni capacità decisionale al ceto chirografario, in quanto l'unico ad essere inciso nei suoi interessi, individuando così una razionalità decidente non più coerente con l'assetto spesso diversificato degli interessi degli stakeholders, con l'ammontare spesso esteso del ceto privilegiato e con una partecipazione all'insolvenza non semplicisticamente riconducibile alla logica che presiede alle operazioni di riparto; c) la liquidazione dei beni dedotti in concordato costituiva la fase ultima della procedura, successiva all'omologazione della proposta concordataria [nota 13] , cosicché la conservazione dell'azienda non obbediva a ragioni di governo dell'insolvenza e alle urgenze spesso insite nei piani di risanamento, ma ai tempi del processo, alla sua perfezione formale [nota 14] .
Del resto, la necessità di riconoscere un nuovo spazio alla soluzione negoziale della crisi si avverte nella diversa considerazione dei concordati stragiudiziali maturata nel tempo dalla giurisprudenza.
Va qui solo accennato come l'abbandono di una nozione di insolvenza che aveva nella sua indisponibilità un attributo forte e perentorio, sia stato frutto di un processo lungo e per molti versi travagliato: dall'obbligo per l'imprenditore di richiedere il proprio fallimento derivava, quasi meccanicamente, l'impossibilità di provvedere alla soluzione dello stato di insolvenza per il tramite di un accordo stragiudiziale, in quanto tale accordo si poneva come atto di frode alla legge, a fronte degli strumenti offerti dalle procedure minori [nota 15] .
La stessa Cassazione solo a partire dagli anni ottanta ha riconosciuto la piena cittadinanza del concordato stragiudiziale, capace di rimuovere lo stato di insolvenza quand'anche intervenuto solo con una parte del ceto creditorio, in quanto «il pactum de non petendo intervenuto sposta nel tempo la stessa scadenza delle obbligazioni, onde in sua presenza non può non escludersi lo stato di insolvenza del debitore con riferimento alla scadenza originariamente prevista degli obblighi assunti» [nota 16] .
L'erosione della centralità della soluzione giudiziaria della crisi ha quindi origini lontane, rivendica una storia spesso rilevante e significativa, non più eludibile dalle istituzioni della giuridicità concorsuale chiamate dalla globalizzazione dei mercati al confronto e alla valutazione comparativa.
Il nuovo sistema concorsuale
Non è questa la sede per procedere ad un esame esteso delle innovazioni introdotte, quanto piuttosto ad una lettura sia pur per punti, dell'idea ispiratrice di fondo del diritto concorsuale riformato [nota 17] : con l'abolizione della amministrazione controllata, si è allargato il campo di intervento del concordato preventivo, chiamato a regolare, unitamente al nuovo istituto degli accordi di ristrutturazione, non solo l'insolvenza dell'impresa ma anche lo stato ad essa prodromico, quale la crisi.
Le procedure pre-fallimentari non sono più procedure destinate all'imprenditore sfortunato ed onesto, ma si propongono quali modelli di soluzione della crisi d'impresa con un raggio d'azione pari a quello della procedura fallimentare; sono procedure incentrate sul nuovo ruolo del ceto creditorio, ad iniziare dalla estesa autonomia riconosciuta alle pattuizioni trasfuse negli accordi di ristrutturazione ovvero prodotte nei nuovi concordati preventivi; riducono ma forse solo ridefiniscono il ruolo dei tribunali ed in genere, delle istituzioni della giuridicità concorsuale.
Lo stesso fallimento registra la complessiva riscrittura della relazione tra organi della procedura fallimentare, con il riconoscimento di una centralità gestionale e valutativa al curatore e al comitato dei creditori [nota 18] .
Gli accordi di ristrutturazione e il nuovo concordato preventivo recepiscono anche nella dimensione terminologica, l'esperienza fin qui condotta nei tentativi di risanamento e ristrutturazione aziendale: se la ristrutturazione dei debiti appare come oggetto unico della prima procedura, nel concordato preventivo si pone come una delle finalità perseguibili (lett. a) I comma 160), nell'intento di rendere le procedure quanto mai aperte e funzionali alla progettazione negoziale del risanamento, superando le condizioni di rigidità procedimentale che condizionavano pesantemente l'operatività tanto dell'amministrazione controllata quanto del concordato preventivo.
Anzi, rispetto alle procedure concorsuali minori della legge del 42, la ristrutturazione si pone come finalità almeno in parte comune, che rimanda integralmente a metodiche e strumenti propri della scienza aziendale: è stato infatti osservato con riferimento agli accordi di ristrutturazione, che l'assenza di ogni riferimento ai destini dell'impresa rende evidente come possano essere veicolate al suo interno anche finalità integralmente liquidatorie, superando così l'immobilismo che aveva così pesantemente penalizzato l'amministrazione controllata [nota 19] .
Se per un verso una tale indeterminatezza definitoria appare coerente con un sistema che vuole assumere a suo parametro normativo, una flessibilità procedimentale mai prima esplorata, per altro verso appare evidente che l'individuazione dei possibili contenuti degli accordi di ristrutturazione costituisce uno dei momenti di maggiore criticità interpretativa ed applicativa [nota 20] : senza entrare nel merito delle opzioni interpretative proposte, la griglia del civilista percorre gli itinerari che gli sono propri, nel tentativo, spesso faticoso e difficile, di procedere ad una classificazione delle attività realizzate dal materialismo decisionale dell'impresa in crisi. La struttura dell'accordo, la forma, l'oggetto o la sua sostanza economica, l'architettura contrattuale, la causa, costituiscono pertanto momenti di analisi e qualificazione spesso non univoci e comunque, mai definitivi, proprio perché l'alchimia delle crisi crea oggetti spesso unici e difficilmente classificabili [nota 21] .
Un dato appare comunque comune all'esperienza normativa recente: l'obiettivo della ristrutturazione - si ripete, qualunque esso sia - può essere raggiunto negli accordi di ristrutturazione, attraverso la previsione di un pagamento per i creditori aderenti al patto svincolato dalle rigide regole imposte della par condicio creditorum e nel concordato preventivo, attraverso la modellazione del passivo concordatario per classi, enfatizzando il ruolo dell'autonomia privata, capace di riscrivere sia pur in parte, la regola primaria delle procedure concorsuali, con il solo limite dell'impossibilità di alterare l'ordine legale delle cause di prelazione [nota 22] ovvero di ridurre senza ragione concreta, il valore delle garanzie prestate.
La necessità di "accordo" del ceto creditorio anima anche la procedura fallimentare, nei suoi momenti di maggior significato: non è possibile in questa sede un esame diffuso di tutti i momenti in cui si sedimenta una dinamica "privatistica", per cui si procederà alla sola indicazione di momenti di maggior valore interpretativo [nota 23] .
In primo luogo, è noto che la riforma ha provveduto alla riscrittura delle funzioni degli organi della procedura, con un'accentuazione delle funzioni gestionali del curatore, sia pur sotto il controllo ed il sindacato del comitato dei creditori: tali organi alla fine dell'adunanza, possono essere sostituiti, al pari di quanto previsto nella Insolvenzordnung tedesca [nota 24] in forza di nuove designazioni operate dalla maggioranza dei crediti ammessi (art. 37-bis). A ben vedere, non si assiste soltanto ad un fenomeno di riscrittura della funzione del comitato dei creditori e del curatore, quanto all'implicita ma significativa emersione della preminenza dell'interesse concreto del ceto creditorio come consacrato nella dinamica della maggioranza dei crediti ammessi, capace di attivare meccanismi di sostituzione gestionale in qualche modo vincolanti per lo stesso Tribunale [nota 25] .
Anche la fase della liquidazione registra il mutamento complessivo di prospettiva e valore: da più parti, si è sottolineato come il programma di liquidazione di cui all'art. 104-ter non costituisca solo un atto di razionalità concorsuale, di sistemazione logica e cronologica delle attività interessate dalla liquidazione fallimentare, ma in quanto atto programmatico, sia la manifestazione concreta del patto intessuto tra curatela e ceto creditorio all'interno della stessa procedura fallimentare [nota 26] , evidenza significativa della relazione partecipativa del ceto creditorio alle scelte operate dal curatore, relazione che il sistema continuativamente ricerca e privilegia rispetto ad altre dinamiche delle istituzioni della giuridicità concorsuale.
Conclusioni
Il sistema delineato sembra per molti versi raccogliere l'indicazione, sicuramente positiva, di provvedere alla ridefinizione delle dinamiche concorsuali in relazione ad un diverso ruolo assegnato alle procedure dalla crisi d'impresa.
L'apertura alle metodiche di intervento ormai da tempo sperimentate, la necessità di dare spazio e valore agli accordi intessuti nella crisi dall'imprenditore si pone in continuità sistemica con le connotazioni dell'impresa nel terzo millennio.
La rinegoziazione del debito, la ristrutturazione degli impegni assunti costituisce prassi in qualche modo costante della stessa dinamica imprenditoriale, ormai lontana da un passato veteroindustriale ormai concluso: l'impresa non appare più come costrutto materiale dell'imprenditore - investitore [nota 27] , aggregazione di beni finalizzati al suo esercizio, caratterizzata da una fisicità per sua natura tendenzialmente stabile, geograficamente riconoscibile ma si pone per l'irruzione delle nuove tecnologie della comunicazione, come "luogo dei contratti" (espliciti o impliciti che siano), capace di innescare cambiamenti rapidi nei prodotti, nelle logiche di allocazione delle risorse, nella composizione dei fattori produttivi, nelle esternalizzazioni delle attività produttive.
In questa sede basti osservare come l'impresa flessibile, pur nella concisione descrittiva del termine, proponga un concetto di impresa aperta, orizzontalmente organizzata, capace di assicurare fisicità alla produzione di beni e servizi attraverso una razionale filiera di esternalizzazioni ed acquisizioni, non localisticamente legate ad un territorio: la grande e la piccola impresa non costituiscono necessariamente dimensioni imprenditoriali antitetiche in quanto «l'impresa fabbrica si è pian piano trasformata in fabbrica di imprese, con una gerarchia più aperta al mercato» [nota 28] . La dimensione molecolare della piccola e media impresa guarda al territorio come distretto, come luogo di reperimento immediato di fattori della produzione per alimentare processi di innovazione costanti, capaci di adeguare prodotti e servizi ai veloci mutamenti dell'ambiente esterno.
La funzione imprenditoriale ne esce fortemente ridisegnata dall'avvento delle nuove tecnologie, in quanto sempre più significativamente legata alle modalità organizzative delle competenze, del lavoro, del capitale cognitivo [nota 29] e per ciò stesso votata ad un nuovo equilibrismo tra contratti associativi e strumenti contrattuali: l'adozione estesa di modelli contrattuali come strumenti organizzativi dell'impresa (primo fra tutti, il franchising) non solo opera una ridefinzione dell'area di effettivo governo dell'organizzazione e dei suoi presidi gerarchici, ma innesca processi di deverticalizzazione dell'impresa che modificano le aree tradizionali di presenza degli strumenti contrattuali [nota 30] , chiamati anch'essi ad un'opera di governo strategico mai prima registrata. Si interrompe così la dimensione interno/esterno dell'impresa, si incrina la distinzione classica tra stakeholder/shareholder nella misura in cui: il processo decisionale non risulta più fisicamente identificabile in un "soggetto" ma risulta il prodotto delle relazioni cooperative prodotte nella filiera produttiva dai contratti d'impresa; la produzione ed il consumo non costituiscono polarità opposte del processo produttivo ma dimensioni alterne di un unico processo produttivo in cui la conoscenza assume il ruolo decisivo di collante tra le fasi di creazione e vendita delle merci.
La stessa nozione di mercato cui sacrificare l'impresa insolvente nella liquidazione concorsuale, appare mutata. La moderna teoria dei costi di transazione ha evidenziato una nozione di "complementarietà" tra impresa e mercato che ne esalta gli estremi concorrenziali più che antagonistici [nota 31] : se «impresa e mercato sono allora strumenti alternativi per comporre, per mettere in correlazione una molteplicità di atti produttivi complementari» [nota 32] , appare allora evidente come la ricollocazione sul mercato dell'impresa insolvente non possa essere semplicisticamente ed episodicamente devoluta ad un atto traslativo, ma passi necessariamente da un'opera di ricostruzione del suo stesso oggetto, possibile solo implementando il novero delle decisioni possibili sia da parte degli stakeholder nell'imminenza della procedure concorsuali sia da parte degli organi delle procedure concorsuali all'atto della loro apertura.
La legge fallimentare del 42 aveva perso lentamente ogni capacità sistemica di governo del concorso, erosa dall'alto da dinamiche di gestione amministrativa delle grandi insolvenze, dal basso da un'opera di disallineamento costante dei propri principi in relazione all'oggetto della sua stessa azione.
Resta il dubbio, peraltro autorevolmente condiviso, che non sia il contratto o quantomeno il solo contratto, lo strumento capace di provvedere al governo della crisi: la griglia del civilista resta spesso inerte di fronte alle condizioni di flessibilità richieste dal risanamento, alla mutevolezza delle finalità indotte dalla imprevedibilità del contesto, dalla necessità di assicurare un governo che sappia interpretare la razionalità decidente dei suoi interlocutori per i valori, anche costituzionali, interessati dal suo agire.
[nota *] La relazione riprende in alcune sue parti, uno studio più ampio in corso di stesura e pubblicazione.
[nota 1] M. BALCREDI, Crisi d'impresa e ristrutturazione finanziaria, Milano, 1995, p. 55. L'importanza dei meccanismi di trattamento delle crisi d'impresa, si è manifestata con particolare chiarezza a partire dalla metà degli anni 70: i due shocks petroliferi hanno inciso pesantemente sui conti di numerose imprese, hanno prodotto diffuse situazioni di difficoltà economiche e finanziarie ed evidenziato con brutalità l'insufficienza delle tradizionali soluzioni di ultima istanza. Per i riferimenti dottrinari, si veda GUATRI TURNAROUND, Declino, crisi e ritorno al valore, Milano, 1995; P. BASTIA, Pianificazione e controllo dei risanamenti aziendali, Torino, 1996; S. SCIARELLI, La crisi d'impresa. Il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese, Padova, 1995.
[nota 2] Così efficacemente N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, 2001.
[nota 3] Si veda in generale, La concorrenza tra ordinamenti giuridici, a cura di A. Zoppini, Roma-Bari, 2004.
[nota 4] L'obiettivo della competitività è espressamente indicato dall'incipit della legge 3 ottobre 2001, n. 366 che all'art. 2, comma 1, lett. a) espressamente afferma di «perseguire l'obiettivo prioritario di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali di capitali».
[nota 5] Si veda V. ZENO- ZENCOVICH, Il "codice civile europeo", le tradizioni giuridiche nazionali e il neo-positivismo, in Studi in onore di Pietro Rescingno, vol. I, Milano, 1998, p. 804 e ss.
[nota 6] Si veda per tutti, G. ALPA, La competizione tra ordinamenti: un approccio realistico, in La concorrenza tra ordinamenti giuridici, cit., p. 43 e ss.
[nota 7] I. CANDELARIO MACìAS, Il diritto concorsuale in Europa, Padova, 2001; D. MARCHESI, Regole per l'insolvenza e incentivi per la crescita, in Finanza, legge e crescita delle imprese, Milano, 2004.
[nota 8] C. PUNZI, «Le procedure d'insolvenza transfrontaliere nell'Unione europea», in Riv. dir. proc., 2003, p. 997 e ss.; R. CAPONI, «Il regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza», in Foro it., 2002, V, c. 220; A. CAVALAGLIO, «Spunti in tema di regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza e di riforma urgente della legge fallimentare», in Dir. fall., 2003, I, p. 580 e ss.; S. VINCRE, «Il regolamento Ce sulle procedure di insolvenza e il diritto italiano», in Riv. dir. proc., 2004, p. 213 e ss.
[nota 9] D.l. 14 marzo 2005, n. 35 convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80, e successivo D.lgs. 169/2007.
[nota 10] Recentemente innovato dal Bankruptcy Abuse Prevention and Consumer Protection Act del 2005, che ha ridimensionato il tradizionale carattere pro-debtor della legislazione statunitense.
[nota 11] La Cassazione ribadisce il proprio orientamento interpretativo, circa l'impugnabilità in Cassazione del decreto di ammissione all'amministrazione controllata (Cass. civ. 10 gennaio 1991, n. 180, in Il fallimento, 1991, p. 480; Cass. civ. 23 agosto 1991, n. 9046, ivi, 1991, p. 1169 ivi. In merito al concetto di "comprovate possibilità di risanare l'impresa" v., in dottrina, LO CASCIO, L'amministrazione controllata, Milano, 1989, p. 56 e ss.; MAFFEI ALBERTI, «Legge 24 luglio 1978, n. 391. Modifica dell'art. 187 della legge fallimentare relativo alla domanda di amministrazione controllata», in Nuove leggi civili commentate, 1978, p. 1528; BONSIGNORI, L'amministrazione controllata, Padova, 1989, p. 49 e ss. Tra le pronunce dei giudici di merito ricordiamo Trib. Milano 21 ottobre 1982 (decr.), in Dir. fall., 1984, II, p. 1530; Trib. Latina 28 ottobre 1982, ivi, 1983, II, p. 460; Trib. Roma 15 febbraio 1983, ivi, 1983, II, p. 903.
[nota 12] Così BARONTINI, Costi del fallimento e gestione della crisi nelle procedure concorsuali, in Gli strumenti per la gestione delle crisi finanziarie in Italia: un'analisi economica, a cura di Caprio, 1997, p. 152.
[nota 13] Cass. 9 luglio 1968, n. 2354, in Dir. fall., 1968, II, p. 948; Cass. 15 gennaio 1985, n. 64, in Fallimento, 1985, p. 638; contra, Trib. Reggio Emilia 12 giugno 1995, ivi, 1995, p. 1250; Trib. Verona 18 marzo 1991, in Giust. civ., 1991, I, p. 1285, con nota adesiva di LO CASCIO, «La vendita dell'azienda nel concordato preventivo»; PANZANI, «Giudizio di omologazione del concordato preventivo», in Fallimento, 1993, p. 405 e ss.
[nota 14] Sia consentito il richiamo a «La liquidazione dei beni nel concordato preventivo: le ragioni di un declino», in Fallimento 2001, p. 493, laddove si sottolineava come «gli esiti fin qui descritti impongono una rivisitazione critica della stessa ragione fondativa del concordato e degli spazi assegnati dall'intero sistema concorsuale alla regolazione negoziata dell'insolvenza».
[nota 15] Si veda ad es. Trib. Ferrara 28 giugno 1980, in Giur. comm., 1981, II, p. 306, con nota critica di MENGHI, «Il concordato stragiudiziale: variazioni minime ad una voce per una grande fuga sul tema».
[nota 16] Cass. 8 febbraio 1989, n. 795, in Nuova giur. comm., 1990, I, p. 495, con commento di CIRIELLO; si veda anche Cass. 28 ottobre 1992, n. 11722, in Fallimento, 1993, p. 352; Cass. 19 novembre 1992, n. 12383, ivi, p. 310, ma soprattutto Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439 in Giur. it., 1990, I, 1, p. 713, con nota di WEIGMANN.
[nota 17] Si veda JORIO, Introduzione a Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006; LO CASCIO, «Il nuovo fallimento: riflessioni sugli aspetti processuali e sulla disciplina transitoria», in Fallimento, 2006, p. 751; ID., «Il nuovo concordato preventivo: uno sguardo d'assieme», ivi, 2006, p. 999.
[nota 18] Si veda lucidamente, A. JORIO, Prefazione a Il nuovo concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di Ambrosiani – de Marchi, Milano, 2005.
[nota 19] PRESTI, «Gli accordi di ristrutturazione dei debiti», in Banca, borsa e tit. cred., 2006, I, p. 12, ora anche pubblicato in La riforma della legge fallimentare. Profili della nuova disciplina, Ambrosiani (a cura di), Bologna 2006, p. 379.
[nota 20] ROPPO, «Profili strutturali e funzionali dei contratti di salvataggio (o di ristrutturazione dei debiti di impresa)», in Riv. dir. priv., 2007.
[nota 21] Sul punto ROPPO, op. cit., p. 290.
[nota 22] Si veda al riguardo, AMBROSINI, op. ult. cit, p. 45, laddove afferma «non si tratta peraltro, della trasposizione nel nostro ordinamento della c.d. absolute priority rule, giacché la nuova previsione postula non già che i creditori di rango inferiore siano pagati solo se quelli di rango superiore non siano stati interamente soddisfatti, bensì semplicemente che questi ultimi non vengano trattati in maniera deteriore rispetto ai primi».
[nota 23] In tale senso, per l'accentuazione della finalità meramente traslativa del governo dall'imprenditore insolvente al ceto creditorio, STANGHELLINI, Le crisi d'impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2006.
[nota 24] Si vedano in particolare, i §§ 57, 68 e 76.
[nota 25] In relazione al potere in esame, si è osservato che «la maggioranza dei creditori vede rafforzata la propria presa sull'organo che sovrintende alla gestione della procedura»; così STANGHELLINI, «Creditori forti e governo della crisi d'impresa nelle nuove procedure concorsuali» , in Fallimento, 2006, p. 377.
[nota 26] Si veda sul punto QUATRARO, Programma di liquidazione, art. 104-ter, in Il nuovo diritto fallimentare diretto da Jorio e Fabiani, Bologna, 2006 laddove espressamente afferma: «un siffatto programma, oltre ad essere un test di valutazione della capacità manageriali e della professionalità del curatore, costituisce un vero e proprio "contratto" con i creditori concorsuali … ».
[nota 27] Si rinvia per l'esame teorico delle teorie aziendali, a P. BASTIA, Pianificazione e controllo dei risanamenti aziendali, Torino, p. 13 e ss.
[nota 28] Si veda DIOGUARDI, L'impresa nel terzo millennio, Bari, 1995, p. 134 e ss.; significativamente più avanti osserva come «è necessario sganciare il più possibile l'impresa dalle decisioni del passato, cercando innanzitutto di attribuire a tali elementi le condizioni di quasi flessibilità. I costi di ammortamento devono essere tendenzialmente trasformati in costi variabili di gestione».
[nota 29] E. RULLANI, La fabbrica dell'immateriale, Roma, 2004, p. 23 e ss.
[nota 30] DE LUCA TAMAJO, «Metamorfosi dell'impresa e nuova disciplina dell'interposizione», in Riv. it. dir. del lavoro, I, p. 167-168.
[nota 31] R.H. COASE «The problem of social cost» in Journal of Law and Economics, 1-44, october 1960; O.E. WILLAMSON «Transaction cost economic: the governance of contractual relations», 2, October 1979, p. 233-261; O.E. WILLIAMSON, W.G. OUCHI The markets and hierarchies program of research: origin, implications, prospects in Joyce W., van de Ven A. (a cura di), Organizational Design, Wiley, New York.
[nota 32] Così BASTIA, Gli accordi tra imprese, Bologna, 1997, p. 26 e ss.
|
 |
|