I nuovi compiti degli organi fallimentari nella liquidazione concorsuale
I nuovi compiti degli organi fallimentari nella liquidazione concorsuale
di Paolo Carbone
Notaio in San Martino Buon Albergo
Premessa
Tra le modifiche apportate dalla riforma contenuta nel D.lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006 alla legge fallimentare quelle di maggior rilievo riguardano proprio il ruolo e i rapporti tra gli organi della procedura.
In particolare, nella passata legislazione, il fallimento si proponeva di raggiungere la finalità di soddisfacimento degli interessi dei creditori [nota 1] attraverso una liquidazione gestita prevalentemente dallo Stato attraverso gli organi giudiziali lasciando ai creditori un ruolo del tutto marginale. Infatti se nell'esecuzione singolare era (ed è) il creditore a dover assumere l'iniziativa, nel fallimento la procedura poteva essere avviata d'ufficio, senza domanda di alcun creditore, (ai sensi dell'art. 6 vecchio testo) rimanendo per tutto il suo corso caratterizzata da alto grado di officiosità e per gli ampi e incisivi poteri attribuiti al giudice.
La scelta legislativa si basava sulla molteplicità degli interessi coinvolti nel fallimento e sui rilevanti riflessi dello stesso sull'economia generale. Tuttavia tale opzione non ha dato buona prova sia sotto il profilo della eccessiva durata della procedura, sia proprio sotto quello del soddisfacimento dei creditori [nota 2]. Per questo motivo il legislatore della riforma ha scelto di ridimensionare notevolmente i poteri del giudice con un proporzionale incremento delle funzioni degli organi operativi, e cioè del curatore e del comitato dei creditori, anche nella prospettiva di recupero della capacità produttiva dell'impresa attraverso la conservazione delle sue componenti positive. Tale ridimensionamento emerge chiaramente dalla lettera dell'art. 25 novellato laddove il giudice delegato è stato privato della direzione delle operazioni di fallimento avendo ormai lo stesso esclusivamente poteri di vigilanza e controllo. Correlativamente l'art. 31 attribuisce al curatore l'amministrazione del patrimonio fallimentare "sotto la vigilanza" del giudice delegato e non più sotto la sua direzione, come era sancito dalla vecchia formulazione della norma.
Sulla base di tali indici parte della dottrina ha parlato di "privatizzazione" della gestione della crisi, nel senso che l'insolvenza diviene ora un fatto privato tra il debitore e i creditori e la composizione viene lasciata essenzialmente al mercato [nota 3]. Altri [nota 4], al contrario, pur riconoscendo alla riforma un deciso orientamento verso la "degiurisdizionalizzazione", ritiene comunque che emergano elementi che attestano l'insostituibilità dell'amministrazione pubblica e dell'Autorità giudiziaria che tutela gli interessi collettivi rappresentati nella procedura e, di conseguenza, non ravvisa nella riforma, malgrado il chiaro intendimento del legislatore, criteri decisivi per esaltare i valori privatistici del fallimento [nota 5].
Ciò che appare comunque certo e che oggi, ancor più che in passato, non è possibile ricondurre gli organi del fallimento ad un unico "ufficio fallimentare" né è configurabile un rapporto gerarchico tra gli organi del fallimento [nota 6]; è invece necessario esaminare i poteri e le attribuzioni degli stessi in relazione tra loro, di bilanciamento [nota 7].
Prima di esaminare le funzioni ed i poteri degli organi del fallimento va rilevato come autorevole dottrina [nota 8] abbia segnalato come aspetto critico della riforma proprio «l'assenza di soluzioni equilibrate, essenzialmente nelle definizioni dei poteri del Tribunale e del giudice delegato e nella sistemazione dei rapporti tra gli organi della procedura». In particolare l'anello debole rischia di essere l'eccessivo peso attribuito al comitato dei creditori nella fase della liquidazione, senza che sia stato previsto un adeguato bilanciamento consentendo al giudice delegato di sindacare nel merito le decisioni del comitato medesimo in modo da assicurare il giusto rilievo alla tutela sia delle ragioni del fallito contro eventuali abusi dei creditori, sia dell'intero ceto creditorio avverso violazioni alla par condicio creditorum [nota 9] .
Veniamo ora ad un breve esame delle funzioni e dei poteri degli organi fallimentari cercando di porre in speciale risalto le differenze rispetto alla precedente disciplina.
Il Tribunale fallimentare
Il Tribunale fallimentare si identifica con il Tribunale che ha dichiarato il fallimento. Si tratta dell'unico organo il cui ruolo non ha subito sostanziali alterazioni rispetto alla precedente disciplina. Infatti, il comma 1 dell'art. 23 L. fall., come nella precedente formulazione, sancisce che detto organo è investito dell'intera procedura fallimentare. In particolare il Tribunale:
- provvede alla nomina, alla revoca ed alla sostituzione, per giustificati motivi, degli organi della procedura, quando non è prevista la competenza del giudice delegato;
- può in ogni tempo sentire in camera di consiglio il curatore, il fallito e il comitato dei creditori;
- decide le controversie relative alla procedura stessa che non sono di competenza del giudice delegato;
- decide sui reclami contro i provvedimenti del giudice delegato ex art. 26 legge fallimentare.
L'unica novità nel nuovo testo della norma è quella secondo cui il Tribunale può esercitare i poteri di revoca e sostituzione del curatore e del giudice delegato solo in presenza di giustificati motivi, laddove, sotto la vigenza della vecchia norma si riteneva che tale potere potesse essere esercitato in modo del tutto discrezionale [nota 10]. Tale modifica è certamente funzionale al controllo, da parte della Corte d'Appello in sede di reclamo ex art. 26 sui provvedimenti del Tribunale i quali, al contrario, in precedenza non erano soggetti ad alcun gravame, così come sancito espressamente dall'art. 23 vecchio testo [nota 11].
Inoltre il Tribunale non ha più il potere di autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione del curatore eccedenti il valore di lire 200.000, come prevedeva il vecchio testo dell'art. 35 legge fallimentare, mentre conserva il potere di disporre l'esercizio provvisorio con la sentenza dichiarativa di fallimento, ma solo se ricorre l'esigenza di evitare un danno grave e irreparabile e non ne derivi un pregiudizio ai creditori [nota 12]. Ai sensi dell'art. 102 L. fall., al Tribunale spetta altresì il potere di disporre non farsi luogo all'accertamento del passivo in caso di previsione di insufficiente realizzo di attivo da distribuire ai creditori. Infine il Tribunale può disporre l'esdebitazione del fallito, così come disciplinata dagli artt. 142 e ss. L. fall.
Per quanto riguarda la funzione di giurisdizione contenziosa il Tribunale rimane, ai sensi dell'art. 24, giudice naturale di tutte le controversie che derivano dal fallimento: pertanto, in deroga alle norme generali in materia di competenza il Tribunale fallimentare ha competenza inderogabile per tutte le azioni che derivano dal fallimento. è opportuno ricordare che, in sede di decreto correttivo (D.lgs. 169/2007), è stata ripristinata la forma del procedimento contenzioso ordinario in luogo del rito camerale previsto dalla norma introdotta dalla riforma del 2006.
Il giudice delegato
Per inquadrare il ruolo che la riforma ha attribuito al giudice delegato è innanzitutto necessario evidenziare la nuova formulazione dell'art. 25 L. fall. secondo il quale il giudice delegato esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura. è di palese evidenza la differenza rispetto al vecchio testo della norma, in forza del quale il giudice delegato dirigeva le operazioni del fallimento. Tale mutamento di prospettiva è peraltro sottolineato anche nella relazione al D.lgs. 5/2006 nella quale si legge che il giudice delegato non è più l'organo motore della procedura, essendo stata sostituita l'attività di direzione con quella di vigilanza e di controllo. Inoltre nella stessa relazione si legge che gli altri poteri del giudice delegato sono stati rafforzati in modo da evitare che la maggiore autonomia del curatore si risolva in una gestione incontrollata.
In particolare la nuova norma aggiunge all'attività di vigilanza, già prevista dal testo abrogato, quella di controllo. Tale aggiunta si è resa necessaria a seguito dell'eliminazione del potere di iniziativa in capo a tale organo: infatti nel precedente impianto normativo il giudice, in quanto dovesse dirigere la procedura, non poteva non controllare che il curatore agisse in conformità alle sue direttive. Naturalmente tale controllo è oggi limitato alla mera regolarità della procedura e non al merito delle scelte del curatore.
L'art. 25 L. fall. elenca i poteri del giudice delegato che investono ampi settori della procedura fallimentare. In particolare, e per quanto attiene ai profili di interesse notarile, il giudice conserva il suo potere autorizzativo con riferimento all'affitto dell'azienda del fallito, anche limitatamente a specifici rami, ai sensi dell'art. 104-bis L. fall., nonché all'esecuzione degli atti di cui al programma di liquidazione ai sensi dell'art. 104-ter L. fall. Inoltre, ai sensi dell'art. 35 L. fall., deve essere previamente informato dal curatore per la stipula di transazioni ovvero di atti di straordinaria amministrazione di valore superiore a 50.000,00 euro ed ha inoltre il potere di sospendere le operazioni di vendita ai sensi dell'art. 108 L. fall. Infine tra le attribuzioni del giudice delegato rivestono particolare importanza la facoltà di modificare la composizione del comitato dei creditori, ai sensi dell'art. 40 L. fall., in relazione alle variazioni dello stato passivo o per altro giustificato motivo, nonché le funzioni suppletive del comitato dei creditori in caso di inerzia o di impossibilità di funzionamento del comitato dei creditori ovvero in caso di urgenza (art. 41 L. fall.) [nota 13].
Per assicurare la terzietà e l'imparzialità del giudice delegato il legislatore ha inoltre stabilito che lo stesso non possa né trattare i giudizi da lui stesso autorizzati, né far parte del collegio investito del reclamo contro i suoi stessi atti.
Il curatore
La figura del curatore viene notevolmente rinnovata sia dal punto di vista dei poteri, che sono significativamente ampliati, sia con riguardo alla individuazione dei soggetti prescelti.
Per quanto riguarda il primo aspetto va ricordato come nella vecchia disciplina tale organo fosse assoggettato al potere di direzione del giudice delegato del quale era un vero e proprio ausiliare mai investito da poteri decisori in grado di incidere direttamente sulla direzione della procedura. Al contrario si è già sottolineata l'ampia autonomia gestionale attribuita dalla riforma al curatore che diviene il vero organo motore della procedura, dal quale parte ogni impulso per le scelte di gestione, liquidazione e conservazione delle imprese assoggettate alla procedura concorsuale. Tale nuovo ruolo è espressamente sancito dall'articolo 31 L. fall. che fa da pendant all'art. 25 sancendo che il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori. In base alla formulazione della norma sono quindi evidenti le maggiori attribuzioni del curatore. Tuttavia non va dimenticato che tale organo, a parte la vigilanza del giudice delegato, è altresì sottoposto al comitato dei creditori che, come vedremo, ha il potere di autorizzare numerose operazioni del curatore, suggellando in via definitiva l'opportunità delle determinazioni concepite dallo stesso.
I requisiti per la nomina a curatore, sono elencati dall'art. 28 L. fall. [nota 14] Ebbene, coerentemente con la prospettiva di recupero delle componenti positive dell'impresa, e in un'ottica manageriale di continuazione, sia pure con finalità liquidatorie, dell'attività, la norma ha imposto la scelta del curatore tra soggetti che, grazie alla propria preparazione, siano in grado di assumere un ruolo manageriale nella gestione del patrimonio del fallito.
In particolare la norma stabilisce che possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore:
a. avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti [nota 15];
b. studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura;
c. coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purchè non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento.
Particolarmente interessante per l'attività del notaio è la lettera b) della norma che consente di affidare le funzioni di curatore a «studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tal caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura».
La disposizione solleva una serie di interrogativi di non poco momento.
1. In primo luogo essa parla di società di professionisti e, pertanto, va coordinata con le norme che hanno toccato la materia che, attualmente, non può certamente dirsi compiutamente disciplinata.
A tale proposito va ricordato che l'art. 24 della L. 7 agosto 1997, n. 266 ha abrogato l'art. 2 della L. 23 novembre 1939, n. 1815 che prevedeva il divieto di costituire società tra professionisti ed aveva, in pari tempo, conferito al Ministro della giustizia il potere di determinare con proprio decreto i requisiti per l'esercizio in forma societaria delle attività c.d. protette. Nel maggio 1998, anche a seguito di contrasti insorti con il Consiglio di Stato [nota 16], il Governo ha rinunciato ad emanare detto regolamento. Pertanto l'abrogazione dell'art. 2 della L. 1815/1939 non ha sopito il dibattito sviluppatosi sul tema delle società tra professionisti [nota 17]. In seguito il D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, ha specificatamente regolato le società tra avvocati. In particolare l'art. 16 comma 1 espressamente consente l'esercizio in forma societaria dell'attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio, seppur esclusivamente secondo il tipo di società tra professionisti, denominata società tra avvocati. Il comma 2 sancisce poi che la società tra avvocati è regolata dalle norme del D.lgs. 96/2001 e, ove non diversamente disposto, dalle norme in materia di società in nome collettivo [nota 18]. Pertanto sulla base di tali disposizioni fino all'entrata in vigore della legge fallimentare, si riteneva pressocchè pacificamente che l'unico tipo di società tra professionisti ammissibile fosse quello della società tra avvocati.
Oggi, al contrario, sebbene parte della dottrina limiti la previsione dell'art. 28 alle sole società tra avvocati e ritenga quindi che tale norma non abbia consentito la costituzione di società tra professionisti diversi [nota 19], l'opinione maggioritaria ritiene che la norma de qua abbia autorizzato la costituzione di società tra tutti i soggetti di cui alla lettera a) consentendo, pertanto, anche le società multiprofessionali [nota 20].
Una volta ammessa tale eventualità si pone all'interprete l'ulteriore interrogativo se tale società possa avere ad oggetto esclusivamente l'attività di curatore ovvero anche altre attività. Ebbene, considerando il tenore letterale della norma e la sede in cui la stessa è stata emanata, si ritiene che la costituzione di società tra i soggetti di cui alla lettera a) dell'art. 28 L. fall. (ad esclusione delle società tra soli avvocati), sia consentita solo al fine di svolgere l'attività di curatore.
2. Sempre con riferimento alla associazione ed alla società tra professionisti la norma espressamente richiede che «all'atto dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura». Si ritiene pressoché unanimemente che la facoltà di designazione spetti alla società o all'associazione in deroga all'art. 24 D.lgs. 96/2001 che attribuisce al cliente il diritto di chiedere che l'esecuzione dell'incarico sia affidata ad uno o più soci da lui scelti sulla base di un elenco scritto con la indicazione dei titoli e delle qualifiche professionali di ciascuno [nota 21]. Un primo aspetto problematico riguarda la responsabilità per l'operato del curatore. Ci si domanda, cioè, se per l'operato del curatore sia responsabile esclusivamente il soggetto designato ovvero la società o l'associazione. La soluzione al problema deve essere fornita rimarcando che curatore è lo studio professionale associato ovvero la società tra professionisti e non già la persona fisica responsabile della procedura. Pertanto sotto l'aspetto esterno della responsabilità del curatore per il suo operato si ritiene che il soggetto chiamato a rispondere sia lo studio associato o la società [nota 22]. Tuttavia può ipotizzarsi una responsabilità solidale anche del soggetto designato ove si ritenga che "il responsabile della procedura" sia pure con tutte le differenze sopra delineate, sia, almeno sotto il profilo della responsabilità, assimilabile al soggetto designato dal cliente per eseguire la prestazione ai sensi dell'art. 24 D.lgs. 96/2001 ovvero, in difetto di designazione, il cui nominativo sia stato comunicato al cliente dalla società [nota 23].
Ulteriore problema, assai rilevante per l'attività del notaio, è se gli atti della curatela debbano necessariamente essere compiuti dal responsabile della procedura ovvero se gli stessi possano essere compiuti anche dai legali rappresentanti dell'associazione o della società. Appare preferibile la tesi che vede il responsabile esclusivamente quale soggetto referente gli organi della procedura e afferma pertanto che la designazione dello stesso non possa e non debba limitare l'operatività dei legali rappresentanti dell'ente che rimane l'unico curatore [nota 24].
3. Va poi ricordato che l'art. 30 espressamente sancisce che il curatore, per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale. L'attribuzione di tale qualità vuole costituire da una parte una maggiore garanzia della correttezza del suo comportamento, dall'altra il riconoscimento dell'esercizio di una funzione pubblica cui si attribuisce particolare rilevanza. Nel caso di nomina all'ufficio di curatore di un ente collettivo si ritiene che la qualità di pubblico ufficiale vada attribuita alla persona fisica che di volta in volta agisce in concreto in nome e per conto dell'ente curatore [nota 25].
Infine l'art. 28 L. fall. nella sua nuova formulazione ha eliminato il riferimento a tutte le incapacità di carattere generale previste dal primo comma della norma abrogata, mantenendo esclusivamente quelle incapacità speciali di cui al comma 2. Naturalmente tale eliminazione non significa che i soggetti in questione possano assumere la carica di curatore rimanendo causa ostativa la qualifica di pubblico ufficio connaturata alla curatela.
Altro aspetto di notevole rilevanza per il notaio è l'attività del curatore quale amministrazione delle attività fallimentari. L'art. 31 attribuisce al curatore l'amministrazione del patrimonio fallimentare ed il potere di compiere tutti gli atti della procedura, sia pure sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori. L'art. 32 sancisce che il curatore svolge personalmente le sue funzioni e che per la delega di specifiche operazioni, è necessaria l'autorizzazione del comitato dei creditori [nota 26]. Infine l'art. 35, rubricato "Integrazione dei poteri del curatore" stabilisce che per gli atti ivi indicati, nonché per tutti gli atti di straordinaria amministrazione, è necessaria l'autorizzazione del comitato dei creditori. Inoltre, se tali atti sono di valore superiore a 50.000,00 euro, e per tutte le transazioni, oltre che l'autorizzazione del comitato dei creditori, occorre che il curatore ne informi preventivamente il giudice delegato.
Pertanto, sulla base dell'impianto normativo appena delineato, il curatore può compiere liberamente gli atti di ordinaria amministrazione, laddove per quelli di straordinaria amministrazione dovrà rispettare il disposto dell'art. 35 L. fall.
Tale norma pone all'interprete numerosi problemi. Il primo, per la verità non molto rilevante sotto il profilo notarile, è quando si sia in presenza di un atto di straordinaria amministrazione. A tale proposito può brevemente ricordarsi che, secondo la giurisprudenza dominante, appartengono all'ordinaria amministrazione tutti gli atti attinenti alla conservazione o al miglioramento del patrimonio, laddove rientrano nella straordinaria amministrazione tutti quegli atti importanti effetti pregiudizievoli, quali diminuzioni e dispersioni [nota 27]. Si ricorda comunque che per l'affitto e la cessione di azienda o rami dell'azienda, ovvero per le vendite, la nuova legge fallimentare detta un'apposita disciplina.
Altra questione è quella che concerne la sorte degli atti compiuti in assenza di autorizzazione, ovvero di preventiva informazione al giudice delegato. Non pare che tali atti siano affetti da nullità per mancanza di volontà, come pure è stato sostenuto da isolata dottrina [nota 28], in quanto il curatore è soggetto capace di esprimere la volontà dell'ufficio. Due sono quindi le tesi che si sono fronteggiate in dottrina e giurisprudenza.
Secondo una prima impostazione l'atto sarebbe inefficace per mancanza di un presupposto della legittimazione del curatore. Si tratterebbe, analogamente agli atti compiuti da un falsus procurator, di un'inefficacia assoluta. è interessante sottolineare come la dottrina che propone tale ricostruzione ritenga che il vizio di inefficacia possa essere fatto valere esclusivamente con il reclamo di cui all'art. 36 L. fall. nei ristretti termini di decadenza ivi previsti (otto giorni dalla conoscenza dell'atto) [nota 29].
Al contrario, secondo la teoria della dominante giurisprudenza l'atto sarebbe viziato da un difetto di capacità del curatore e, pertanto sarebbe annullabile e la legittimazione a far valere tale annullabilità sarebbe del solo curatore e non anche dei creditori del fallito ovvero della controparte [nota 30]. Naturalmente l'atto annullabile sarebbe sempre suscettibile di convalida.
Per quanto riguarda la responsabilità del notaio è opportuno rilevare che in nessuno dei due casi, secondo l'orientamento della giurisprudenza più recente, si avrebbe violazione dell'art. 28 della legge notarile. Si ricorda infatti che la giurisprudenza della Suprema Corte, ormai da un decennio, afferma che l'art. 28, n. 1 della legge notarile, con la conseguente responsabilità del notaio, trovi applicazione soltanto per i vizi di nullità, con esclusione di quelli che comportano l'annullabilità o l'inefficacia dell'atto, ovvero la stessa nullità relativa [nota 31].
Comitato dei creditori
Non v'è dubbio che l'organo che maggiormente ha subito modifiche a seguito della riforma del diritto fallimentare è il comitato dei creditori [nota 32]. Nel sistema precedente detto organo era, di fatto, privo di rilevanza, tanto che sin dalle sue origini era stato affermato che lo stesso fosse un «fantasma di organo fallimentare» [nota 33] munito di funzioni marginali oltre che caratterizzato da un fortissimo astensionismo tanto che, il più delle volte, in mancanza di espressione di parere anche nei casi obbligatori, il suo silenzio veniva interpretato come assenso.
Il legislatore era quindi davanti alla scelta tra la completa soppressione dell'organo, ovvero una revisione integrale della disciplina relativa in modo da potenziarne il ruolo e le funzioni. Come si è detto, quest'ultima è stata la strada intrapresa e, con riferimento al comitato dei creditori, già la legge delega n. 80/2005 aveva indicato tre criteri di riferimento [nota 34]:
- l'ampliamento delle sue competenze, consentendo una maggiore partecipazione dell'organo alla gestione della crisi d'impresa;
- la previsione che in sede di adunanza per l'esame dello stato passivo i creditori possano, a maggioranza dei crediti insinuati, confermare o effettuare nuove designazioni in ordine ai componenti del comitato dei creditori, nonché confermare il curatore ovvero richiederne la sostituzione;
- la previsione che il comitato dei creditori possa proporre al curatore modifiche al programma di liquidazione presentato, prima di procedere alla sua votazione, e che l'approvazione del programma sia subordinata all'esito favorevole della votazione, da parte del comitato dei creditori.
La sfida della riforma consiste quindi nel tentativo di rivitalizzare l'istituto e, sulla base di tali criteri, il legislatore ha radicalmente modificato il sistema previgente.
Le norme che disciplinano la nomina, le funzioni ed il funzionamento del comitato dei creditori sono gli articoli 40 e 41 della legge fallimentare. L'articolo 40 ha modificato il procedimento di nomina del comitato, anche in considerazione del fatto che una delle ragioni delle disfunzioni sotto la vecchia normativa era il fatto che la sua nomina avveniva senza criteri predeterminati e senza alcun riguardo alla competenza tecnica dei suoi componenti, quasi sempre scelti sulla base di criteri empirici ovvero del mero gradimento del giudice. Oggi la nuova norma impone al giudice di nominare i membri del comitato «sentiti il curatore e i creditori che, con la domanda di ammissione al passivo o precedentemente, hanno dato disponibilità ad assumere l'incarico ovvero hanno segnalato altri nominativi aventi i requisiti richiesti». Con tale previsione il legislatore consente che siano gli stessi creditori a segnalare la propria responsabilità sulla base dei requisiti richiesti. In tal modo il comitato dovrebbe essere immediatamente operativo, senza che si incorra più nelle frequenti dichiarazioni di rinuncia all'incarico da parte di creditori scelti dal giudice delegato senza alcuna segnalazione di disponibilità. Inoltre oggi la facoltà di sostituzione, da parte del giudice delegato, dei membri del comitato può essere esercitata solo in relazione alla variazione dello stato passivo o per altro giustificato motivo, essendo quindi ben delimitata la possibilità di intervento del giudice.
Il comitato è composto da tre a cinque membri scelti «in modo da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento degli stessi». In questo modo il legislatore vuole assicurarsi che i membri del comitato siano scelti tra i creditori maggiormente motivati ed interessati al positivo risultato della procedura. Il presidente è eletto dal comitato, a maggioranza dei suoi membri, entro 10 giorni dalla nomina.
Sempre con riferimento alla composizione del comitato assai rilevante è il disposto dell'art. 37-bis il quale consente ai creditori, conclusa l'adunanza per l'esame dello stato passivo e prima della dichiarazione di esecutività dello stesso, di effettuare nuove designazioni in ordine ai componenti del comitato, in sostituzione di componenti nominati dal giudice, e senza neppure doverne motivare le ragioni. La designazione compete al Tribunale il quale però non pare possa discostarsi dalle indicazioni dei creditori, salvo il mancato rispetto dei requisiti previsti dall'art. 40 sulla rappresentazione equilibrata della quantità e qualità dei crediti e della possibilità del soddisfacimento degli stessi. Pertanto può certamente sostenersi che «la designazione del comitato da parte del giudice è solo sostanzialmente autoritaria; in realtà essa è divenuta elettiva poiché l'intervento del giudice è solo iniziale, per l'impossibilità pratica di una nomina elettiva all'apertura della procedura» [nota 35].
Per porre rimedio al secondo dei problemi del vecchio comitato, e cioè la mancanza di competenza dei suoi membri, il novellato articolo 40 consente a ciascun componente del comitato, previa comunicazione al giudice delegato, di delegare in tutto o in parte l'espletamento delle proprie funzioni ad uno dei soggetti aventi i requisiti di cui all'art. 28, L. fall. relativo alla nomina del curatore. In sostanza nel caso in cui alcune fasi della procedura richiedano particolari conoscenze tecniche che il creditore non possiede, lo stesso può utilmente farsi sostituire da un tecnico. Tale previsione appare quanto mai opportuna in considerazione delle accresciute funzioni del comitato.
L'art. 41 L. fall. prevede poi le funzioni del comitato dei creditori ridisegnandole completamente rispetto alla precedente disciplina. Alla luce della nuova normativa il comitato:
- vigila sull'operato del curatore (funzione di vigilanza e di controllo);
- autorizza gli atti del curatore (funzioni autorizzative);
- esprime pareri nei casi previsti dalla legge o su richiesta del Tribunale o del giudice delegato (funzione consultiva).
Di particolare interesse per il notaio sono naturalmente le funzioni autorizzative di cui all'art. 35 di cui si è parlato nonché quelle relative al parere del comitato per l'affitto dell'azienda ai sensi dell'art. 104-bis e per la sospensione delle vendite ai sensi dell'art. 108, nonchè l'approvazione del programma di liquidazione di cui all'art. 104-ter.
Quanto al funzionamento l'art. 41 prescrive che il presidente debba convocare il comitato per le deliberazioni di competenza o quando ne faccia richiesta un terzo dei componenti dello stesso. il comitato decide a maggioranza dei votanti e senza necessità di riunione collegiale. In caso di inerzia, di impossibilità di costituzione per insufficienza di numero o indisponibilità dei creditori, o di funzionamento del comitato o di urgenza, provvede il giudice delegato.
Infine la norma in esame, effettuando un rinvio all'art. 2407 c.c. in materia di collegio sindacale, assimila la responsabilità dei membri del comitato dei creditori a quella dei sindaci di società per azioni. I membri del comitato pertanto, oltre ad adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico ed oltre all'obbligo del segreto sui fatti e i documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio, rispondono solidalmente con il curatore per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. Naturalmente il parallelo sindaci-comitato dei creditori si limita alle funzioni di vigilanza e controllo di quest'ultimo organo. Infatti, come si è visto il comitato, a differenza del collegio sindacale, ha altresì rilevanti funzioni autorizzative e consultive ingerendosi direttamente negli atti di liquidazione [nota 36].
[nota 1] Che il fallimento sia un mezzo di soddisfacimento degli interessi dei creditori e, anzi, l'espressione più articolata e complessa degli strumenti di soddisfacimento dei creditori predisposti dal nostro ordinamento è pacifico in dottrina. v. per tutti JORIO, La crisi d'impresa. Il fallimento, in Tratt. dir. priv. a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti, Milano, 2000, p. 93 e ss.
[nota 2] Tanto che autorevole dottrina aveva già espresso il convincimento che una regolamentazione su basi privatistiche avrebbe potuto porre rimedio a molti problemi. Cfr. SATTA, Diritto fallimentare, seconda ed. aggiornata e ampliata da Vaccarella e Luiso, Padova, 1990, p. 10.
[nota 3] STANGHELLINI, «Creditori "forti" e governo della crisi di impresa nelle nuove procedure concorsuali», in Fallimento, 2006, p. 377; PANZANI, «Le linee principali dello schema di decreto delegato: gli organi fallimentari ed i poteri del giudice», in Il fallimento, 4, 2006, p. 487 e ss.
[nota 4] C. FERRI, «Gli organi del fallimento», ne Il fallimento, 10, 2006, p. 1225 e ss.; LO CASCIO, in Il nuovo diritto fallimentare, Comm. diretto da Alberto Jorio, Bologna, 2006, vol. I, p. 466 e ss.
[nota 5] FERRI, op. cit., p. 1226.
[nota 6] Tesi seguita dalla giurisprudenza sotto il vigore della vecchia normativa. V. Cass. 26 giugno 1964, n. 1702, in Dir. fall., II, 1964, p. 7; Cass. 3 aprile 1991, n. 3478, in Fallimento, 1991, p. 799. In realtà parte della dottrina aveva già sotto il vigore della precedente legge fallimentare disatteso tale impostazione. V. CASELLI, Gli organi del fallimento. La legge fallimentare, a cura di Bricola, Galgano, Santini, Commentario Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1977, p. 25 e ss.
[nota 7] ID., op. cit., loc. cit.
[nota 8] A. JORIO, ne Il nuovo diritto fallimentare, Comm. diretto da A. Jorio, Bologna, vol. I, p. 31.
[nota 9] In questo senso G. MINUTOLI, «La riforma della legge fallimentare e il nuovo ruolo della giurisdizione», in Dir. fall., 2006, I, p. 834.
[nota 10] V. E.F. RICCI, Lezioni sul fallimento, I, Milano, 1997, p. 270 e 316.
[nota 11] Era tuttavia pacifica l'ammissibilità del ricorso per Cassazione nel caso di provvedimenti decisori che incidevano su diritti soggettivi. V. in tal senso tra le tante, Cass. 12 aprile 1996, n. 3470, in Il fallimento, 1996, p. 1180; Cass. 28 giugno 2002, n. 9490, in Il fallimento, 2003, p. 817; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2329, in Giust. civ. Mass., 2006, p. 2.
[nota 12] Si tratta, in sostanza, delle stesse condizioni previste dall'art. 90 L. fall. vecchio testo il quale richiedeva il presupposto del danno grave ed irreparabile individuato nella perdita dell'avviamento che poteva causare un pregiudizio ai creditori. V. in tal senso PANZANI, La riforma delle procedure concorsuali: il secondo atto, in www.fallimentoonline.it, sub 7.1.
[nota 13] Ciò attribuisce al giudice delegato poteri di arbitro negli eventuali contrasti tra il curatore e il comitato dei creditori. V. in tal senso FERRI, «Gli organi del fallimento», cit., p. 1228.
[nota 14] Per un commento alla norma con particolare riferimento agli aspetti notarili v. P. GUIDA, sub art. 28 nel Commento alla riforma della legge fallimentare a cura del Gruppo di Studio sulla riforma del diritto fallimentare, reperibile sulla RUN.
[nota 15] Si è sottolineato come tale formulazione non appaia rispettosa delle indicazioni della L. 24 febbraio 2005, n. 34 con la quale è stata conferita delega al Governo per l'istituzione dell'ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e, in particolare dell'art. 1 che ha previsto l'unificazione dell'ordine dei dottori commercialisti e dei ragionieri e periti commerciali nell'unico ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, presso il quale è istituito l'albo unico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. V. in tal senso L. ABETE, sub art. 28, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., p. 529-530.
[nota 16] Ci si riferisce al parere del Consiglio di Stato, sezione consultiva, adunanza del giorno 11 maggio 1998, n. 72/98 che ha sostenuto che l'esercizio delle professioni protette è possibile solo mediante la forma delle società di persone, in quanto l'art. 33, comma 5, Cost. richiede che l'esercizio delle attività professionali protette debba essere effettuato da coloro che hanno superato l'esame di stato, da identificarsi nelle sole persone fisiche.
[nota 17] V. sull'argomento G. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, II, Diritto delle società, 1999, Torino, p. 15.
[nota 18] Discussa è l'ammissibilità di altre forme societarie. Sull'argomento v. E. MINERVINI, «La società tra avvocati (Stp) nel D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96», in Le società, 2001, p. 1030 e ss.
[nota 19] In tal senso SANDULLI, La crisi dell'impresa. Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 2007, p. 63-64.
[nota 20] V. in tal senso P. GUIDA, op. cit., p. 36, il quale argutamente sottolinea come il tenore letterale della norma, pur consentendo le c.d. società multiprofessionali, permette nello stesso tempo di evidenziare come il legislatore abbia ribadito che soci di società tra professionisti possano essere unicamente coloro i quali sono iscritti agli albi professionali con l'esclusione dei c.d. soci laici. Nello stesso senso L. ABETE, sub art. 28, cit., p. 532.
[nota 21] In tal senso P. GUIDA, op. cit., p. 39 il quale giustamente rileva come non sia possibile equiparare il Tribunale alla figura del cliente.
[nota 22] In tal senso v. NARDO, sub art. 28, ne Il nuovo fallimento. Commentario al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 coordinato con le modifiche apportate dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 e dal D. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, a cura di F. Santangeli, Milano, 2006, p. 152.
[nota 23] Infatti in tal caso la responsabilità coinvolge sia il patrimonio della società sia quello dei soli soci esecutori. Al contrario, in caso di mancata comunicazione da parte della società l'art. 26 comma 2 D.lgs. 96/2001 espressamente sancisce che «per le obbligazioni derivanti dall'attività professionale svolta da uno o più soci, oltre alla società, sono responsabili illimitatamente e solidalmente tutti i soci».
[nota 24] V. in tal senso M. SANDULLI, La crisi dell'impresa…, cit., p. 64. Contra P. GUIDA, op. cit., p. 41 il quale ritiene che gli atti della procedura debbano necessariamente essere compiuti dal soggetto designato.
[nota 25] In tal senso M. SANDULLI, op. cit., loc. cit.
[nota 26] Per tanto è possibile che il curatore nomini procuratori speciali, ma deve essere espressamente autorizzato.
[nota 27] V. in tal senso per tutte Cass. 4 dicembre 1993, n. 12052, in Il fallimento, 1994, p. 172; Cass. 17 maggio 1974, n. 1433, in Giur. comm., II,1975, p. 175; Cass. 5 dicembre 1970, n. 2556, in Dir. fall., II, 1971, p. 191. In dottrina per questa tesi cfr. CORSI, Il concetto di amministrazione nel diritto privato, Milano, 1974, ibidem, LO CASCIO, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 1998, p. 119.
[nota 28] PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, I, Milano, 1974, p. 719.
[nota 29] L. ABETE, sub art. 35, ne Il nuovo diritto fallimentare, cit., p. 600 e ss.
[nota 30] Cass. 8 agosto 1996, n. 8669, in Fallimento, 1996, p. 145; Cass. 12 ottobre 1981, n. 5334, in Dir. fall., II, 1982, p. 33.
[nota 31] Cass. 11 novembre 1997, n. 11128, in Riv. not., 1998, p. 293 e ss. e in Notariato, 1998, p. 7, con nota di E. BRIGANTI; Cass. 19 febbraio 1998, n. 1766, in Riv. not., 1998, p. 704 e ss.; Cass. 1 febbraio 2001, n. 1394, in Riv. not., 2001, p. 892; Cass. 7 novembre 2005, n. 21493, in Giust. civ. Mass., 2005, p. 11.
[nota 32] Sul comitato dei creditori nella riforma v. NICOLA ROCCO DI TORREPADULA, «Il nuovo comitato dei creditori», in Il dir. fall., 2006, p. 1059 e ss.
[nota 33] In tal senso A. SEGNI, «Il nuovo progetto di legge sul fallimento», in Jus, 1943, p. 176.
[nota 34] V. PROTO, «Il comitato dei creditori nella legge delega per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali», in Fallimento, 2005, p. 1002.
[nota 35] In tal senso G. SCHIAVON, sub. artt. 40-41, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., p. 671.
[nota 36] PANZANI, «Le linee principali dello schema di decreto delegato: gli organi fallimentari ed i poteri del giudice», in Il fallimento, 2006, p. 488.
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