La riforma dell'azione revocatoria fallimentare
La riforma dell'azione revocatoria fallimentare
di Guido Federico
Tribunale di Rimini
Introduzione
L'azione revocatoria fallimentare costituisce ancor oggi uno dei momenti centrali della procedura fallimentare in quanto è un essenziale strumento diretto alla ricostruzione del patrimonio del fallito e quindi all'effettiva attuazione del concorso sostanziale di tutti i creditori.
«Lo stato di collasso patrimoniale ha necessariamente un periodo di incubazione, nel quale l'attività dell'impresa si svolge in modo più o meno anormale che sfocia nell'insolvenza. In questo periodo il debitore tenta di sorreggere le stremate forze dell'impresa occultandone o tentando di alleviarne il dissesto.
Si attuano in questo periodo gli accorgimenti più svariati per carpire il credito, onde procurare i mezzi liquidi che mancano; si operano le vendite sottocosto e gli espedienti rovinosi per ostentare una capacità di pagare che non esiste; le distrazioni e occultazioni di attivo; il trattamento di favore a creditori prediletti o conniventi, che si vogliono salvare; una sequenza di atti pregiudizievoli che il debitore può porre in essere in danno dei creditori, atti che formano come una nebulosa attorno allo stato d'insolvenza che fatalmente finisce per essere poi dichiarato» [nota 1].
L'azione revocatoria tende quindi alla ricostruzione del patrimonio del debitore, dato il lasso temporale più o meno ampio che solitamente intercorre tra i primi sintomi di insolvenza e la dichiarazione di fallimento, da cui deriva (art. 42 L. fall.) la perdita in capo al fallito dell'amministrazione e disponibilità dei suoi beni.
I principi sanciti dagli artt. 2740 e 2741 c.c. della responsabilità patrimoniale universale e del concorso di tutti i creditori sui beni del debitore trovano quindi nella procedura concorsuale una tutela rafforzata: mediante l'esercizio dell'azione revocatoria è consentito il recupero di beni usciti dal patrimonio in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Le finalità recuperatorie sopra evidenziate vanno peraltro contemperate con l'esigenza di «certezza dei traffici commerciali e dei rapporti giuridici» [nota 2], messi a repentaglio da un uso esasperato di tale formidabile strumento di realizzazione dell'attivo fallimentare.
Nel sistema legislativo precedente alla L. fall. del '42 il Tribunale stabiliva il giorno della cessazione dei pagamenti, che non poteva farsi risalire oltre il triennio (art. 709 cod. comm. 1882) e successivamente oltre il biennio anteriore (art. 9 L. 995/1930) con l'effetto di rendere annullabili rispetto ai creditori gli atti compiuti a partire da tale momento.
La scelta del legislatore del '42 [nota 3] è stata invece quella di risolvere il conflitto tra i creditori ammessi al passivo fallimentare ed i terzi destinatari degli atti compiuti dal fallito, fissando un periodo di tempo, variabile in relazione alle diverse categorie di atti revocabili, e di richiedere altresì la conoscenza dell'insolvenza in capo al terzo contraente a titolo oneroso: l'ambito temporale del c.d. periodo sospetto ed il regime probatorio in ordine all'elemento psicologico viene poi graduato in relazione alla natura dell'atto impugnato, seconda che esso sia a titolo gratuito, anomalo in quanto caratterizzato da un rilevante squilibrio tra le prestazioni, ovvero conforme a parametri di normalità: in base cioè alla maggiore o minore idoneità dell'atto a suscitare il ragionevole convincimento che possa essere stato compiuto allo scopo di favorire o danneggiare taluni creditori.
Natura giuridica
L'istituto della revocatoria è stato oggetto di numerosi approfondimenti da parte della dottrina e della giurisprudenza ma, dopo alcune incertezze interpretative, da oltre un decennio l'ormai consolidato orientamento della Cassazione [nota 4] ne esclude la riconducibilità alla categoria dell'invalidità od illiceità e l'azione è stata del tutto sganciata dall'illecito aquilano e dalla responsabilità extracontrattuale.
Si prescinde quindi da ogni connotazione sanzionatoria: la disciplina dell'azione revocatoria non può essere ricondotta all'attribuzione di un risarcimento del danno ai creditori tramite il curatore, ma essa costituisce il principale strumento per la ricostruzione dell'attivo dell'imprenditore fallito con finalità essenzialmente redistributiva (distribuire perdita dell'insolvenza).
Criterio guida dell'azione è costituito dalla tutela della par condicio creditorum ed essa è modulata al fine di contemperare l'interesse dei creditori concorsuali con quello del normale svolgimento dell'attività economica e della stabilità degli atti.
I peculiari effetti dell'azione, funzionalmente ed anzi ontologicamente legati alla procedura concorsuale, consistono nella restituzione del bene oggetto dell'atto revocato nella disponibilità della curatela fallimentare al fine di procedere alla liquidazione concorsuale nelle forme previste dagli artt. 105 e ss., L. fall.
Esiste quindi una contrapposizione ineliminabile tra tutela della par condicio e tutela del credito, inteso come sicurezza del traffico commerciale e certezza dei rapporti giuridici.
La struttura dell'istituto è rimasta sostanzialmente inalterata nella recente riforma della legge fallimentare.
I principi della riforma
Deve anzitutto rilevarsi che le modifiche sostanziali del sistema revocatorio sono state attuate in anticipo rispetto alla generale novella e risalgono essenzialmente al D.lgs. 35/2005 convertito nella L. 14 maggio 2005, n. 80 mentre nel D.lgs. n. 5/2006 e nell'ultimo D.lgs. 169/2006 (il c.d. Correttivo) le novità sono minime e prevalentemente formali.
Il legislatore non ha rivoluzionato la fisionomia dell'istituto:
- nulla viene mutato in ordine al presupposto oggettivo dell'azione vale a dire il c.d. eventus damni;
- gli artt. 64, 65 e 66 sono rimasti invariati e le modifiche si sono essenzialmente incentrate nella disciplina dell'art. 67 e dell'art. 70 (effetti della revocazione), oltre a modifiche di minor rilievo costituite dalla riformulazione dell'art. 69 (atti compiuti tra i coniugi) e dall'introduzione dell'art. 67-bis (revocatoria dei patrimoni separati) e 69-bis (decadenza dall'azione).
Pure l'art. 67, norma sulla quale si sono incentrate le modifiche di gran lunga più rilevanti, ha mantenuto nella nuova formulazione la distinzione tra la revocatoria per atti c.d. anomali (così definiti in quanto presentano elementi che li collocano al di fuori rispetto alla gestione ordinaria dell'impresa) disciplinati dall' art. 67 I comma :
- atti a titolo oneroso a prestazioni sproporzionate;
- atti estintivi di debiti pecuniari non effettuati con denaro o mezzi normali di pagamento;
- garanzie costituite per debiti scaduti.
Per cui è previsto un regime probatorio presuntivo favorevole alla curatela attrice e la c.d. revocatoria dei pagamenti con mezzi normali e degli atti a titolo oneroso di cui all' art. 67 II comma per cui valgono le ordinarie regole processuali e quindi l'onere della prova è a carico del curatore.
È quindi in gran parte utilizzabile quell'ampia casistica giurisprudenziale che aveva enucleato ed in qualche modo tipizzato le situazioni in cui può ritenersi sussistente la scientia decoctionis e su cui non è evidentemente il caso di dilungarsi.
Ancora di recente è stato pertanto affermato (Cass. n. 9903/2007) che la prova dell'elemento soggettivo (scientia decoctionis), riguardando uno stato interno del soggetto e non potendo quindi risultare da una prova diretta, impone il richiamo allo strumento delle presunzioni, che secondo la regola generale dell'art. 2729 c.c. devono possedere caratteri di gravità, precisione e concordanza;
la prova inoltre deve avere ad oggetto la conoscenza effettiva secondo un criterio di normale causalità non solo in forza del parametro astratto della normale prudenza ed avvedutezza, ma anche della particolare situazione concreta del soggetto.
La novella ha però drasticamente ridotto l'incisività dell'azione, dimezzandone, come vedremo, l'ambito temporale ed introducendo una vasta gamma di esenzioni che ne ridimensionano fortemente l'operatività.
L'intervento legislativo non ha invero operato una rilettura dell'istituto ma si è limitato ad un depotenziamento dell'azione e svuotamento dell'efficacia dell'istituto, come del resto testualmente afferma la Relazione di accompagnamento al d.D.l. di riforma delle procedure concorsuali.
Nel già menzionato bilanciamento tra i contrapposti valori della tutela della par condicio ex art. 2741 c.c. e tutela della certezza dei traffici il legislatore ha decisamente optato per la prevalenza del secondo, ma non ha avuto il coraggio di escludere dalla revocatoria tout court tutti i pagamenti, (come pure era stato previsto dal disegno di legge governativo del 28 ottobre 2000) scelta che avrebbe legislativamente sancito in buona sostanza la prevalenza della teoria indennitaria [nota 5], che individua quale presupposto implicito dell'azione revocatoria l'esistenza di un danno inteso come diminuzione del patrimonio del fallito, ed avrebbe pertanto risolto la principale questione pratica controversa relativa alla natura e disciplina dell'azione.
Le modifiche
Come dicevamo le modifiche hanno essenzialmente investito l'art. 67 L. fall.:
a. il primo e radicale intervento è stato il dimezzamento dei termini concernenti il c.d. periodo sospetto, rendendo di fatto assai impervio l'esercizio dell'azione, alla luce dei tempi medi di durata dell'istruttoria prefallimentare e del cronico ritardo nell'emersione dei primi sintomi dell'insolvenza che caratterizzano la situazione del nostro Paese;
b. la seconda innovazione, quella più vistosa e di maggior impatto, è stata la massiccia introduzione di fattispecie esonerative: numerose e diversificate fattispecie nelle quali l'azione revocatoria è improponibile (nonostante la ricorrenza in concreto dei relativi presupposti);
c. inoltre sono state introdotte altre due modifiche, di portata più limitata ma pure rilevanti, all'art. 67, vale a dire:
1. all'art. 67 I comma, n. 1, è stata introdotta la definizione legislativa degli atti a titolo oneroso c.d. sproporzionati, definiti nella nuova formulazione della norma citata come quegli atti «in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte sorpassano di oltre 1/4 ciò che a lui è stato dato o promesso»; è stato peraltro rilevato che la su menzionata definizione legislativa da un lato è caratterizzata da eccessiva rigidità a fronte di un orientamento giurisprudenziale già pacifico nel senso previsto dalla norma e dall'altro che tale disposizione pone rilevanti problemi di coordinamento con le diverse altre fattispecie esonerative previste dall'art. 67 lett. c) ed art. 10 D.lgs. 112/2005;
2. l' art. 67 II comma è stato modificato prevedendo espressamente che gli atti costitutivi di un diritto di prelazione per debiti anche di terzi contestualmente creati devono considerarsi atti a titolo oneroso e sono quindi soggetti alla disciplina dell'art. 67 e non dell'art. 64; si è così posto fine ad un annoso contrasto interpretativo estendendosi espressamente la disciplina prevista dall'art. 67 II comma agli atti costitutivi di diritti di prelazione per debiti di terzi (prestazione di fideiussione, terzo datore di pegno o d'ipoteca).
In precedenza era infatti controverso se alle garanzie costituite per debiti altrui dovesse applicarsi la disciplina dell'art. 67 (onus probandi in capo al curatore) o la disciplina più favorevole al curatore dell'art. 64 L. fall. (atti a titolo gratuito) in quanto il terzo datore di pegno o ipoteca ha costituito un vincolo sul proprio bene il cui beneficio è a vantaggio del debitore principale e non di esso garante.
d. Infine sul piano della generale disciplina dell'istituto:
1. è stato introdotta, con l'art. 69-bis, la previsione di un termine (oltre a quello prescrizionale, di 5 anni dalla dichiarazione di fallimento) di decadenza, determinato in 3 anni dal fallimento e 5 anni dal compimento dell'atto - previsione quest'ultima che ha concreta rilevanza unicamente nel caso della c.d. consecuzione delle procedure concorsuali, ed alla conseguente retrodatazione dell'insolvenza alla prima procedura (vale a dire nel caso in cui dopo l'ammissione al concordato preventivo venga successivamente dichiarato il fallimento dell'impresa debitrice).
2. è stata inoltre abrogata la ormai anacronistica cautio muciana prevista dal vecchio art. 70 L. fall. che autorizzava il curatore ad apprendere il possesso dei beni acquistati dal coniuge del fallito nei 5 anni anteriori al fallimento: tale istituto è apparso in insanabile contrasto con la riforma del diritto di famiglia e del relativo regime patrimoniale, ed in particolare con l'istituto della comunione legale; l'orientamento giurisprudenziale prevalente considerava peraltro ormai tacitamente abrogata la cautio muciana a prescindere dal regime patrimoniale scelto dai coniugi.
3. è stato riformulato l'art. 69 che prevede un regime revocatorio aggravato per gli atti compiuti dal coniuge, in considerazione della sua particolare relazione con il fallito: gli atti compiuti tra i coniugi nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale e quelli a titolo gratuito compiuti tra i coniugi, purché compiuti nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale, sono revocati se il coniuge non prova che ignorava lo stato d'insolvenza del coniuge fallito.
4. è stata infine disciplinata la revocatoria del patrimonio separato (art. 67-bis), istituto introdotto, com' è noto, dalla recente riforma del diritto societario, che all'art. 2447-bis e ss. c.c. ha previsto che la società per azioni, con deliberazione presa dal CdA, possa costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare per un valore complessivamente non superiore al 10% del patrimonio netto della società.
Sulla base della disciplina dell'art. 67-bis due sono i presupposti per la revocabilità del patrimonio destinato:
a. la conoscenza dello stato di insolvenza della società (e non del patrimonio destinato);
b. il pregiudizio sul patrimonio della società;
con scelta piuttosto discutibile viene prevista per questa sola ipotesi, piuttosto marginale, la necessità dell'eventus damni, aderendo così alla concezione indennitaria, che, come abbiamo visto, continua ad essere esclusa dalla disciplina generale dell'azione revocatoria.
In conclusione:
- La struttura dell'istituto è rimasta sostanzialmente invariata e le modifiche hanno essenzialmente riguardato la disposizione dell'art. 67;
- L'azione, seppure fortemente mutilata, ha perlomeno formalmente mantenuto i suoi presupposti e la sua funzione redistributiva, anche se è forse lecito chiedersi, se la par condicio abbia ancora effettività di contenuto ovvero sia ormai poco più di un feticcio di fatto privo di concreta efficacia applicativa.
- Inoltre in forza del particolare regime transitorio previsto dalla L. 80/2005 la vecchia disciplina dell'azione revocatoria fallimentare continua ad applicarsi non solo alle cause pendenti al momento di entrata in vigore della riforma, in quanto instaurate prima del 17 marzo 2005, ma anche a quelle azioni revocatorie instaurate (anche successivamente all'entrata in vigore della legge) nell'ambito di procedure concorsuali iniziate prima del 17 marzo 2005.
- Il discrimen quindi tra vecchia e nuova disciplina è stato individuato, con una singolare (e controversa) scelta legislativa, non già dalla data di pendenza dell'azione ma dalla data in cui è stata aperta la relativa procedura fallimentare.
Le esenzioni
Come si è detto il più rilevante intervento legislativo è rappresentato dalla massiccia immissione di fattispecie esonerative.
Il legislatore ha introdotto, mediante l'inserimento nell'art. 67 L. fall. di un comma dopo i primi due, diverse ipotesi di esenzione che, aggiungendosi alle già numerose contenute nella stessa legge fallimentare ed in diverse leggi speciali, ampliano enormemente l'area della non revocabilità e rischiano di determinare un sostanziale svuotamento dell'istituto.
L'area dell'esenzione dalla revocatoria è di tale ampiezza e rilevanza da non potersi più considerare, in concreto, residuale rispetto alla regola della revocabilità.
Sul piano sistematico peraltro non può che ritenersi che il sistema delle esenzioni abbia carattere eccezionale rispetto alla regola generale posta dall'art. 2741 c.c. dell'eguale diritto di tutti i creditori di soddisfarsi sui beni del debitore.
Da ciò, secondo i principi generali, il divieto di estensione analogica di tali disposizioni oltre i casi espressamente stabiliti dalla legge.
Deve senz'altro rilevarsi l'eterogenità delle nuove esenzioni che non appaiono in alcun modo riconducibili ad una logica unitaria, aggiungendosi alle altre di matrice soggettiva stabilite senza alcuna sistematicità nelle leggi speciali.
Non potendo ricondursi ad un disegno unitario le diverse ipotesi di esenzione, si pone un evidente problema di legittimità costituzionale in relazione all'art. 3 Cost. ed in particolare al principio di "ragionevolezza" che secondo il consolidato orientamento della Corte Costituzionale costituisce un preciso limite della discrezionalità del legislatore nel sottrarre ad un determinata disciplina di carattere generale determinate categorie di atti o di soggetti.
È bene sottolineare che sul piano degli effetti l'esenzione comporta l'improcedibilità dell'azione: quel determinato atto o operazione in quanto riconducibile ad una delle fattispecie esonerative si sottrae per ciò stesso alla revocatoria fallimentare, e ciò anche nell'ipotesi in cui la situazione di insolvenza sia perfettamente nota al contraente ed il fallimento sia dichiarato pochi giorni dopo il compimento dell'atto e nell'attivo non sia in alcun modo rinvenibile il corrispettivo: ai fini dell'improcedibilità occorre soltanto verificare la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie esonerativa (operazione peraltro non semplice data la cura con cui il legislatore ha cercato di complicare la vita dell'interprete utilizzando espressioni generiche ed imprecise).
Altro profilo che ha notevole rilevanza pratica è quello di stabilire se le esenzioni introdotte dalla riforma debbano estendersi anche alla revocatoria ordinaria esercitata in sede fallimentare (art. 66 L. fall.) ovvero siano limitate alle fattispecie previste dall'art. 67 L. fall.
Non mi risulta vi siano pronunzie edite né orientamenti noti dei giudici di merito ed i primi commentatori sono divisi sul punto.
Le contrapposte tesi formulate tendono a valorizzare l'una un argomento di carattere sistematico, l'altra di carattere letterale: secondo alcuni autori, l'esonero dovrebbe limitarsi alla sola revocatoria fallimentare, in quanto le nuove ipotesi di esenzione sono state inserite (III comma) nel corpo dell'art. 67 e dovrebbero quindi applicarsi alle sole ipotesi di revocatoria fallimentare previste da detta norma.
L'altra tesi è invece fondata sulla formulazione letterale della disposizione, ed afferma pertanto che l'esonero dalla revocatoria ha portata generale.
Non è evidentemente possibile soffermarsi su tutte le ipotesi di esenzione da revocatoria, per cui mi limiterò a tracciare uno sguardo d'insieme cercando di tentare un inquadramento sistematico in forza del criterio teleologico dell'apparente ratio legis perseguita dal legislatore, pur rilevandosi che la non impeccabile tecnica legislativa complica alquanto questo tentativo di razionalizzazione:
Sotto il profilo teleologico è tuttavia possibile individuare almeno 4 categorie di suddivisione:
1. Esenzione principale: (vedi Relazione di accompagnamento) ispirata all'intento di ridimensionare la portata economica della precedente disciplina della revocatoria: revocatoria delle rimesse su c\c bancario; art. 67 III - lett. b);
2. Intento di consentire l'accesso al credito ed evitare l'isolamento economico dell'imprenditore in crisi (non ancora irreversibile) di liquidità; 67 III - lett. a) - Esenzione da revocatoria dei pagamenti di beni e servizi effettuati nei termini d'uso;
3. Intento di favorire l'accesso e l'esecuzione delle c.d. procedure di composizione negoziale della crisi d'impresa o di concordato preventivo 67 III - lett. d), e) g) - Esenzione degli atti di esecuzione degli accordi o dei piani di ristrutturazione o di risanamento dell'impresa (oltre che di esecuzione del concordato preventivo);
4. Intento di favorire determinate categorie di creditori:
- in considerazione di una loro ritenuta particolare meritevolezza, art. 67 III lett. c): in tal senso le vendite ed (inserito nel Correttivo) i contratti preliminari di vendita trascritti ex art. 2645-bis c.c., a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinate a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il III grado;
- in considerazione della funzione assolta nel mercato, art. 67 III lett. f): al riguardo cfr. i pagamenti per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti o altri collaboratori del fallito.
Accanto alle ipotesi introdotte al III comma dell'art. 67 vengono mantenute :
L'esenzione di cui all'art. 67 ult. comma:
a. esenzione atti posti in essere dalla Banca d'Italia;
b. operazioni di credito su pegno (passaggio da un approccio soggettivo ad un approccio oggettivo: ex art. 48 T.U.L.B. tutte le banche possono intraprendere esercizio di credito su pegno) operazioni di piccolo prestito pignoratizio: vendita del bene alla banca con patto di riacquisto;
c. operazioni di credito fondiario.
Le esenzioni previste da leggi speciali:
a. operazioni di credito agrario;
b. operazioni di credito per opere pubbliche;
c. prestiti imprese artigiane;
d. operazioni di cessione dei crediti d'impresa (L. n. 52/1991);
e di recente:
e. fattispecie previste dal D.lgs. 122/2005.
Considerazioni conclusive
In conclusione occorre domandarsi se un così drastico ridimensionamento della revocatoria e della conseguente tutela della par condicio sia realmente funzionale all'efficienza complessiva del sistema, considerato che l'istituto revocatorio costituisce certamente uno strumento di prevenzione e sanzione di comportamenti distorsivi e confliggenti con il corretto svolgimento del mercato.
Deve pure rilevarsi sempre in via generale che la vaghezza ed imprecisione della formulazione legislativa rischia di far fallire quegli obiettivi di certezza dei traffici commerciali e di stabilità e salvaguardia dell'impresa in crisi, dichiaratamente perseguiti dalla riforma.
La scelta legislativa di lasciare irrisolti i problemi di fondo dell'istituto ampliando invece a dismisura l'area delle esenzioni, utilizzando una formulazione imprecisa e farraginosa che pone evidenti problemi sia di stretta interpretazione che di coordinamento tra le diverse fattispecie, mi pare, al contrario, che ostacoli piuttosto che incentivare l'esigenza, fortemente avvertita, di assicurare regole chiare e quindi certe agli operatori economici e la possibilità di esercitare da parte del giudice, sulla base di criteri sufficientemente determinati e quindi prevedibili, quel controllo di liceità e meritevolezza dei negozi che dovrebbe costituire il fondamentale parametro cui commisurare, anche in un sistema evoluto, gli atti di autonomia privata.
[nota 1] PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, I, Milano, 1962, p. 745.
[nota 2] Così FABIANI, «Revocatoria fallimentare: attualità dell'istituto e degli aspetti processuali», in Fallimento, 1996, p. 105 e con riferimento alle problematiche dell'istituto ed al suo ruolo all'interno del sistema concorsuale, PATTI, «La disciplina dell'azione revocatoria», in Fallimento, 2004, p. 337.
[nota 3] Per una accurata analisi di presupposti, finalità ed efficacia dell'azione revocatoria nell'attuale sistema, vedi LO CASCIO, relazione introduttiva al Convegno di studio "La Revocatoria nell'attuale sistema normativo concorsuale" tenutosi a Padova il 2-3 giugno 2000 e da ultimo per una valutazione d'insieme, con rilievi molto critici e del tutto condivisibili sulla riforma, LO CASCIO, «La nuova legge fallimentare: dal progetto di legge delega alla miniriforma per decreto legge», in Fallimento, 2005, p. 361.
[nota 4] Cass. S.U., 13 giugno 1996, n. 5443 est. Bibolini.
[nota 5] Respinta ancora di recente dalla giurisprudenza, cfr. al riguardo Cass. S.U., 28 marzo 2006, n. 7028 secondo cui ai fini della revoca dei propri beni effettuata dall'imprenditore, poi fallito entro un anno, ai sensi dell'art. 67 II comma L. fall., l'eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum.
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