Revocatorie fallimentari ed ordinarie, alienazioni immobiliari, cautele notarili
Revocatorie fallimentari ed ordinarie, alienazioni immobiliari, cautele notarili
di Paolo Guida
Notaio in Napoli

Di estremo interesse è la nuova versione [nota 1] della norma contenuta nel punto c) del terzo comma dell'art. 67 L. fall., relativa alla non assoggettabilità ad azione revocatoria di alcuni negozi posti in essere dall'imprenditore poi fallito, indipendentemente dal periodo in cui sono stati compiuti e dalla buona fede della controparte.

Deve essere, infatti, rilevato che il legislatore in questo intervento ha introdotto una presunzione assoluta avente ed oggetto la non assoggettabilità di alcuni atti a revocatoria, senza valutare il comportamento delle parti e, quindi, salvaguardando la efficacia della transazione indipendentemente dallo stato soggettivo dei contraenti.

È stato ritenuto prevalente l'interesse delle parti - ed in particolare della parte acquirente - al mantenimento in vita del negozio, sull'interesse del ceto creditorio di vederne caducare gli effetti nei suoi confronti, al fine di ricostituire il patrimonio del fallito e destinarlo al soddisfacimento concorsuale.

La fattispecie investe in maniera particolare l'attività notarile, poichè gli atti interessati, essendo relativi ad "immobili", come testualmente recita la norma, sono stipulati con il ministero del pubblico ufficiale, per cui la attività di prima interpretazione da un lato, e quella di consulenza dall'altro, rendono ancora una volta il notaio al centro degli interessi delle parti.

A. L'art. 67, III comma, lettera c) L. fall.

È opportuno, pertanto, analizzare con attenzione il dettato normativo, onde tentare di dare una lettura delle intenzioni del legislatore e della corrispondenza con la norma scritta [nota 2].

La disamina, poi, diventa più articolata se si considera che:

- immediatamente dopo l'approvazione del cosiddetto "decreto legge competitività" del 14 marzo 2005, n. 35 che conteneva quasi tutte le novità in tema di revocatoria che stiamo esaminando, è stato approvato il 10 giugno 2005 il "decreto legislativo sulla tutela degli acquirenti di immobili da costruire" (in esecuzione della legge delega 2 agosto 2004, n. 210) in seguito al quale si è verificata una sovrapposizione di norme tale che ipotesi apparentemente analoghe sono state regolate con disposizioni formulate in maniera differente [nota 3];

- detta sovrapposizione, come si evidenzierà in seguito, è stata ulteriormente rimarcata con l'intervenuta sostituzione della norma in oggetto ad opera dell'art. 4 del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 in G.U. del 16 ottobre 2007.

Sarà, pertanto, utile procedere anche ad un confronto tra queste due normative e verificare se, e come, esistono differenze operative.

Possiamo, pertanto, tentare di suddividere l'analisi della norma in questione in otto segmenti in maniera da renderne più semplice la interpretazione. Esaminiamo, quindi, i singoli termini utilizzati dal legislatore il quale ha così disposto:

«Non sono soggetti all'azione revocatoria: …

c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado».

Le vendite …

Il legislatore ha inizialmente individuato il negozio giuridico da regolare con la presente normativa ed ha indicato tra le varie ipotesi di trasferimento le "vendite" [nota 4], senza allargarne il campo.

Ci si chiede inizialmente se il termine "vendite" sia stato formulato in senso limitativo, ovvero vada interpretato in senso ampio. Forse, se fosse stata prevista più in generale l'ipotesi di "trasferimento", il lavoro dell'interprete sarebbe stato più semplice, poichè in questo modo sarebbero rientrati nella fattispecie in oggetto tutti i casi di trasferimento di immobili, indipendentemente dal negozio giuridico utilizzato.

Ad esempio, più ampia è stata la indicazione inserita in tema di "tutela di acquirenti" [nota 5] di immobili da costruire quando è stato previsto che sono soggetti alla relativa normativa «gli atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento» allargando così la gamma delle ipotesi anche a negozi diversi dalla "vendita" in senso stretto.

Si tratta di un termine nuovo in tema di revocatoria fallimentare, dove in generale, sia nella formulazione precedente che in quella novellata, si parla sempre di "atti a titolo oneroso", lasciando così all'interprete la possibilità/necessità di individuare i negozi soggetti alla previsione normativa.

Anche nella versione attuale dell'articolo 67 al numero 1 del primo comma, e cioè quello generale, infatti, è stata mantenuta tale espressione quando si individuano gli atti soggetti a revocatoria, e si statuisce che «sono revocati … gli atti a titolo oneroso compiuti … ». Viceversa al terzo comma lettera c), invece, si legge che «non sono soggetti all'azione revocatoria … le vendite … ».

Evidentemente il legislatore, nell'ipotesi che stiamo esaminando, ha voluto limitarne la portata solo alla "vendita", poiché lo spirito complessivo della eccezione alla regola della revocatoria ha tenuto presente le situazioni particolarmente "deboli", ma tradizionali, rappresentate dal mero acquisto della propria abitazione.

Questa lettura, sembrerebbe aver trovato conferma nella nuova lettera c) come sostituita dall'art. 4 del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169.

Rispetto al precedente testo, infatti, si prevede che l'esenzione della revocatoria riguardi anche i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis.

Ciò detto, è evidente che il legislatore, pur rinviando per i presupposti di applicazione della norma in commento a quanto previsto dall'art. 2645-bis, ha limitato fortemente il rinvio ai soli contratti preliminari di vendita continuando a non prevedere le altre ipotesi ivi considerate.

Altre tecniche di acquisizione di immobili, più raffinate e/o articolate, differenti della compravendita classica, sono state ritenute strumenti utilizzati da acquirenti più professionali, per i quali non era necessario prevedere tutele ulteriori rispetto a quelle già previste dalla legislazione ordinaria [nota 6].

Una lettura testuale della norma, con un confronto tra il primo ed il secondo comma, pertanto, deve portare alla conclusione che il legislatore ha voluto escludere dalla revocatoria soltanto le vendite e relativi preliminari, poiché quando ha inteso diversamente - addirittura nello stesso articolo - ha utilizzato termini ben più ampi [nota 7].

Un altro dibattito sorto in dottrina riguarda l'oggetto del contratto.

La riflessione parte dalla constatazione in base alla quale al contrario di quanto disposto dall'articolo 10 del D.lgs. n. 122/2005, l'art. 67 comma 3 lett. c) come novellato, la norma in commento – in maniera quasi atecnica - regola le vendite e preliminari di vendita « aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo.

Si deve pertanto valutare se detta scelta terminologica debba limitare l'esenzione ai soli atti aventi ad oggetto la piena proprietà dell'immobile [nota 8] oppure possa estendersi anche alle vendite e preliminari di vendita aventi ad oggetto altro diritto reale di godimento di immobili [nota 9], soluzione che mi sembra da preferire come vedremo in seguito.

Interessante è inoltre un'altra riflessione.

Prima della novella intervenuta con D.lgs. 169/2007, la dottrina aveva già avuto modo di sottolineare che, in assenza di limitazioni testuali, avendo il comma 3, come modificato dal D.lgs. 35/2005, preso in considerazione le vendite senza distinguere tra quelle c.d. ad effetti reali immediati e quelle c.d. ad effetti reali differiti, la mancata restrizione avrebbe potuto indurre ad un'estensione della esenzione dalla revocatoria.

D'altra parte, si rilevava che la norma in commento andasse coordinata con l'articolo 72 L. fall. avente ad oggetto contratti non compiutamente eseguiti. Si sosteneva che in caso di contratto di vendita ad efficacia obbligatoria immediata e reale differita, tale fattispecie trovasse la sua sedes materiae nell'art. 72, con conseguente facoltà per il curatore, autorizzato dal comitato dei creditori, di subentrare nel contratto oppure optare per lo scioglimento [nota 10].

Questa opinione ha trovato riscontro nell'attuale tenore letterale del medesimo art. 72 L. fall. che nell'ultima parte del 1° comma dispone espressamente che l'opzione lasciata al curatore non riguarda i contratti ad effetti reali per i quali sia già avvenuto il trasferimento del diritto.

Occorre tuttavia riflettere che in seguito all'intervenuta novella, il compito dell'interprete è diventato ancora più delicato.

Al riguardo occorre procedere per gradi.

Il 1° comma dell'art. 72 L. fall. come modificato, per espressa previsione legislativa non riguarda i contratti ad effetti reali per i quali sia già intervenuto il trasferimento del diritto.

Ciò sembrerebbe significare, come sopra detto, che per gli altri contratti, quelli c.d. ad effetti obbligatori, il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, potrebbe decidere per il loro scioglimento.

Il problema si complica quando, in seguito all'ultimo comma dell'art. 67 L. fall. aggiunto dall'art. 4 del D.lgs. 169/2007, il legislatore ha ritenuto di prevedere la disapplicazione del primo comma del medesimo articolo, non solo alle vendite compiutamente eseguite ma anche ai contratti preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis c.c. aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado.

Come può evincersi, quindi, il discrimen per l'applicazione o meno del 1° comma dell'articolo 72 L. fall. è rappresentato non solo e non tanto dalla circostanza che gli effetti traslativi al momento della dichiarazione di fallimento si siano o meno già verificati, quanto invece che vi sia o meno una particolare destinazione dell'immobile oggetto del contratto, sia esso ad efficacia reale immediata quanto ad efficacia obbligatoria.

In altri termini, se accettiamo che il 1° comma dell'articolo 72 L. fall. non possa applicarsi ai contratti preliminari qualora sia presente una determinata destinazione dell'immobile, risulterà alquanto difficile ritenere, al contrario, che il medesimo comma 1° si applichi ai contratti di vendita ad efficacia obbligatoria immediata e reale differita qualora anche essi abbiano ad oggetto immobili che l'acquirente dichiari essere destinato a costituire la sua abitazione principale o dei suoi parenti ed affini entro il terzo grado.

Se così è, è di tutta evidenza che, alla luce dell'intervenuta modifica operata dal D.lgs. 169/2007 art. 4, laddove si sia in presenza tanto di contratti di compravendita ad efficacia reale immediata o traslativa differita quanto di contratti preliminari di vendita - tutti evidentemente trascritti ai sensi di legge relativamente alla singola fattispecie - e che abbiano ad oggetto immobili con una determinata destinazione, dovrà concludersi per la disapplicazione a detti contratti non solo dell'art. 67 L. fall. 3° comma lett. c) in tema di esenzione della revocatoria fallimentare ma anche di quanto disposto dal 1° comma dell'articolo 72 L. fall.

… ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile

In seguito alla modifica intervenuta ad opera dell'art. 4 D.lgs. 169/2007, possiamo individuare alcune ipotesi di preliminari [nota 11] soggetti ad analisi:

a) preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile in data anteriore alla dichiarazione di fallimento.

In tal caso la fattispecie sarà regolata dall'articolo 72 L. fall. comma 5 a norma del quale, qualora il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, opti per lo scioglimento del contratto, il promittente acquirente avrà diritto di far valere il proprio credito nel passivo e godrà del privilegio di cui all'articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.

Occorre peraltro precisare che probabilmente, qualora l'atto non abbia ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado, il curatore avrà diritto di esperire l'azione revocatoria che, ove accolta farebbe degradare il credito del promittente acquirente a chirografo [nota 12].

b) preliminare di vendita "a giusto prezzo" avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado, trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile in data anteriore alla dichiarazione di fallimento.

In tal caso la fattispecie sarà regolata dall'articolo 72 L. fall. comma 8 a norma del quale il comma 1° del medesimo art. 72 non sarà allo stesso applicabile, peraltro la presenza del requisito del giusto prezzo permetterà l'applicazione del comma 3 lett. c) dell'articolo 67 L. fall. in tema di atti esenti dall'esercizio dell'azione revocatoria.

… a giusto prezzo …

La norma prosegue stabilendo che non sono soggette a revocatoria le vendite ed i preliminari trascritti … conclusi «a giusto prezzo» aventi ad oggetto immobili, aggiungendo cosi un altro presupposto necessario affinchè l'azione revocatoria non sia esperibile.

La vendita o il preliminare, cioè, devono essere conclusi ad un prezzo che sia giusto, facendo così venir meno qualsiasi analisi circa i presupposti soggettivi che normalmente regolano le fattispecie revocatorie. Il problema, quindi, si sposta sul concetto di "giusto prezzo", sull'ammontare cioè del corrispettivo convenuto e versato per il trasferimento dell'immobile.

Lo spirito del legislatore è chiaro: dovendo creare una eccezione al sistema della revocatoria ha ritenuto necessario fissare norme precise per evitare di snaturare del tutto lo strumento della par condicio, stabilendo che la regola fondamentale sia incentrata su un corrispettivo della alienazione adeguato al valore del bene trasferito.

L'analisi si concentra, quindi, sull'individuazione del "giusto" prezzo [nota 13], ovvero sulla valutazione della congruità del corrispettivo con riferimento al valore del bene.

Al riguardo non può sottacersi il confronto con quanto disposto al numero 1 del 1° comma in tema di squilibrio in ragione del 25% tra le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte.

Il "giusto prezzo" si pone quale discrimen tra la categoria degli atti revocabili e quella degli atti esenti [nota 14].

Al riguardo, anche per la funzione di consulenza che il notaio è chiamato a svolgere, sembra quanto mai interessante dare conto delle riflessioni che si sono sviluppate sul tema.

Anche in altre occasioni il legislatore ha analizzato con attenzione il rapporto tra bene e valore, ed attenta dottrina [nota 15] ha avuto modo di individuarne alcune. Possiamo ricordare gli spunti ricavati, ad esempio, in tema di risolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., o di revisione del prezzo in tema di onerosità o difficoltà dell'esecuzione dell'appalto ex art. 1664 c.c.

Così come, spostandoci sullo stato soggettivo dei contraenti, il sistema prevede particolari cautele in caso di contratti conclusi da persone incapaci di intendere e di volere ex art. 428 c.c., oppure in stato di pericolo ex art. 1447 c.c. o in caso di bisogno ex art. 1448 c.c.

Il valore del bene assume poi particolare rilevanza in sede di divisione, quando il legislatore ha previsto nell'art. 763 c.c. la rescissione per lesione laddove un coerede provi di essere stato leso per oltre un quarto, oppure in occasione della costituzione della rendita vitalizia ex art. 1872 c.c., quando deve essere tenuto presente un adeguato rapporto tra il valore del bene trasferito e l'ammontare della rendita attribuita.

La stessa dottrina [nota 16] ha, poi, cercato anche ipotesi di valorizzazione del bene nella legislazione speciale, individuando per tutti il necessario rapporto tra finanziamento bancario fondiario e bene dato in garanzia (espressamente previsto dall'art. 38 della legge 1° settembre 1993, n. 385).

Il legislatore, dunque, richiedendo anche nel nostro caso una valutazione del bene per far discendere il prodursi degli effetti della norma, ha proseguito nel solco di altre ipotesi analoghe nelle quali il giusto valore del bene ha inciso sulla regolamentazione dei rapporti tra le parti.

Resta, quindi, sul tappeto la necessità di determinare il "giusto" prezzo, laddove non può certo essere individuato semplicemente in quello indicato dalle parti nel contratto né tanto meno, ex art. 1474 c.c., in quello normalmente praticato dal venditore.

Come evidenziato in dottrina, quanto disposto dall'art. 1474 c.c., non può essere assunto a parametro interpretativo sia perché in giurisprudenza l'applicazione dell'art. 1474 c.c. alle vendite immobiliari è dubbia [nota 17], sia perché si correrebbe il rischio di considerare giusti «i prezzi sottocosto praticati dall'imprenditore in dissesto che, notoriamente, in tal periodo, pur di procurarsi del denaro non esita ad effettuare vendite a prezzi rovinosi» [nota 18].

Restando nel solco di una lettura di tutela dell'acquirente soltanto laddove contraente realmente debole, eventualmente danneggiato da un acquisto effettuato in buona fede, una ragionevole ipotesi di determinazione poteva essere trovata nella disciplina dettata per i contratti del consumatore (artt. 1469-bis e ss., in part. 1469-ter, c.c.) [nota 19] dove si indicava il giusto prezzo del bene nel prezzo di mercato.

Interessante, poi, è il raffronto che può essere effettuato con riferimento all'art. 108, I comma, legge fallimentare [nota 20], ove è stabilito che il giudice delegato, su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, può anche sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, facendo espressamente riferimento alle "condizioni di mercato".

Anche in tema fallimentare, quindi, il legislatore ha avuto modo di indicare tale concetto di "giusto" prezzo [nota 21] e la giurisprudenza [nota 22] ha più volte stabilito che lo stesso è determinato dal gioco delle offerte e dei successivi rialzi da parte degli interessati dei quali è stata verificata la serietà.

Lo stesso principio, nell'ambito delle procedure esecutive, lo si ricava in sede di vendita con incanto dall'art. 586 c.p.c. e in sede di vendita senza incanto dall'art. 572 c.p.c., ove si afferma che il giusto prezzo è quello che si ricava dalle offerte degli interessati, anche dopo la conclusione dell'incanto [nota 23].

Si può, quindi, concludere affermando che il "giusto prezzo" previsto dal legislatore può essere individuato nel prezzo di mercato del bene.

Se la conclusione a cui siamo giunti potrebbe "rassicurare" l'acquirente di immobile venduto a prezzo di mercato, altrettanto importante, come sopra accennato, potrebbe essere l'indagine su quella "zona grigia" rappresentata dagli atti in cui la differenza tra il prezzo di mercato e il prezzo convenuto dalle parti sia differente ma di ammontare inferiore al 25% [nota 24] (percentuale ritenuta rilevante nel primo comma, numero 1 relativo agli atti a titolo oneroso in generale).

Al riguardo, riteniamo quanto mai opportuna una piccola premessa.

Come rilevato dalla dottrina, i casi di esenzione di cui all'articolo 67, non possono essere letti in ragione di una ratio comune.

In effetti, a volte essa può essere individuata in un compromesso tra portatori di vari interessi, quelli del mercato e dell'impresa in chiave di conservazione e rilancio della stessa impresa in crisi, oppure degli istituti bancari, altre volte può essere rintracciata in un interesse sociale qual è quello di evitare che gli acquirenti o i promittenti acquirenti [nota 25] della proprietà di unità abitative destinate ad abitazione principale, a fronte dell'intervenuto pagamento del prezzo o di parte dello stesso, corrano il rischio di sentire dichiarato inefficace il loro titolo di acquisto, con la conseguenza di subire la restituzione di quanto pagato in moneta fallimentare [nota 26].

Se queste riflessioni sono condivise, occorre chiedersi se le stesse siano utilizzabili anche in presenza di atti ricadenti in quella che si è definita "zona grigia".

Sembra equilibrato ritenere che, non trascurando il confronto tra i due commi dell'art. 67 L. fall., occorre rilevare che, qualora la differenza tra il valore di mercato ed il prezzo pagato sia inferiore al 25%, non potrà applicarsi né il comma 1° dell'art. 67, con conseguente revocatoria dell'atto né il comma 3° di cui al presente commento con la conseguente esenzione [nota 27].

Occorrerà, allora, applicare il comma 2° dell'art. 67 L. fall. lasciando al curatore, ai fini della revocatoria, l'onere di provare che l'acquirente conosceva lo stato di insolvenza del venditore.

Resta, poi, aperto un ulteriore problema, rappresentato dal momento nel quale deve essere individuato il "giusto prezzo": il momento del contratto o quello in cui si intende esperire l'azione revocatoria?

La norma in commento non fa alcun riferimento, mentre quella già citata in tema di tutela degli acquirenti di immobili da costruire è più precisa indicando espressamente il momento nella «data della stipula del preliminare» [nota 28].

Prima della modifica dell'articolo 67 L. fall. intervenuta ad opera dell'art. 4 del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 ed in ragione di una lettura prudente della norma che tra gli atti esenti da revocatoria non menzionava in alcun modo i contratti preliminari, si è sostenuto che il momento della stipula della compravendita apparisse quello preferibile da considerare ai fini dell'esenzione [nota 29].

Alla luce del dettato normativo ante novella, in prima battuta ed in assenza di pronunce giurisprudenziali, si era ritenuto che la buona fede dell'acquirente non potesse essere presunta e, quindi tutelata, se non al momento della conclusione del contratto di acquisto quando lo stesso acquirente avrebbe avuto a disposizione tutti gli elementi necessari per verificare la congruità del prezzo con riferimento al bene.

In seguito all'intervenuta modifica della lett. c) del terzo comma dell'art. 67 L. fall., non ci si può esimere, al contrario, dal constatare che la previsione che tra gli atti esenti da revocatoria, vi siano, non solo i contratti di vendita ma anche quelli preliminari trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis c.c., vada a legittimare una diversa lettura della norma.

Il fatto che la modifica di cui in parola sia intervenuta successivamente al D.lgs. n. 122/2005 art. 10 che, seppure in tema di immobili da costruire, prevede che il giusto prezzo sia da valutarsi alla data della stipula del preliminare, non può così non indurre a modificare la nostra originaria opinione.

Problema completamente diverso, e quindi estraneo al nostro esame, è rappresentato dalla norma dettata in materia fiscale, secondo la quale in caso di indicazione in atto di un corrispettivo pari al valore determinato automaticamente in base ai coefficienti catastali, l'ufficio non procede ad accertamento di valore considerando così il prezzo "giusto", ma sotto il profilo fiscale.

Alla luce, infatti, di quanto esposto sopra, il "giusto prezzo" dell'immobile deve essere quello determinato dal mercato - e non certo quello scaturente dal calcolo legato alle rendite catastali - proprio perchè solo in tale caso l'equilibrio delle prestazioni trova riscontro effettivo provato testualmente nel contratto.

Si può, pertanto, concludere che rientra nella ipotesi tutelata dal legislatore l'acquisto del bene effettuato al prezzo di mercato da individuarsi come segue:

a. contratto preliminare trascritto: il "giusto prezzo" sarà valutato con riferimento alla data del preliminare;

b. contratto definitivo: il "giusto prezzo" sarà valutato con riferimento alla data del definitivo;

c. contratto definitivo preceduto da contratto preliminare trascritto: il "giusto prezzo" sarà valutato con riferimento alla data certa del preliminare;

d. contratto definitivo preceduto da contratto preliminare non trascritto: il "giusto prezzo" sarà valutato con riferimento alla data del definitivo, ovvero alla data del preliminare se avente data certa.

… immobili …

Circa il bene oggetto di acquisto, il legislatore ha inteso tutelare soltanto gli immobili, in quanto evidentemente ha voluto privilegiare unicamente - come vedremo meglio in seguito - il contraente considerato particolarmente debole rappresentato da colui che acquista la propria abitazione principale.

Preliminarmente occorre notare che la tecnica legislativa non è stata particolarmente elegante, laddove il legislatore ha indicato unicamente il bene oggetto dell'acquisto e non il diritto sul bene, come più correttamente andava fatto, e come anche in altre ipotesi è stato fatto [nota 30].

In mancanza di limitazioni in materia, si può pertanto ritenere che la norma si possa applicare all'acquisto della "piena proprietà" del bene, nonchè dell' "usufrutto" del bene o del "diritto di abitazione", se non anche della "nuda proprietà" seguendo quanto si vedrà in seguito in tema di destinazione [nota 31].

Certamente, poi, andranno tutelati anche gli acquisti di quote di comproprietà, con riferimento sia all'ipotesi in cui un soggetto acquisti una singola quota di comproprietà, sia all'ipotesi in cui acquisti più quote di comproprietà da soggetti diversi.

In altri termini può sostenersi che, ricorrendone le condizioni di legge, non possa differenziarsi la tutela dell'avente causa dal venditore, successivamente dichiarato fallito, sol perché quest'ultimo, invece di avere alienato, o essersi obbligato ad alienare, la piena titolarità del bene, ne abbia trasferito, o si sia obbligato a trasferire, solo una quota.

Vanno, invece, evidentemente esclusi dalla applicazione della norma gli acquisti aventi ad oggetto diritti su beni diversi dagli immobili, quali ad esempio beni mobili, beni mobili registrati, azioni, quote di partecipazione a società, contratti, in quanto non espressamente previsti dalla norma, e di difficile estensione analogica [nota 32].

Andrebbero, poi, valutate caso per caso ipotesi marginali, quali quelle relative a galleggianti adibiti ad abitazione, ma strettamente connessi alle aree di attracco, ovvero ad altre tipologie di cespiti destinati sempre ad abitazione.

… ad uso abitazione …

In linea con la ratio che ha ispirato la disposizione, possono rientrare nella tutela prevista dal legislatore soltanto gli immobili ad uso abitativo, restando così esclusi tutti quelli che hanno una diversa destinazione, quali ad esempio negozi o fabbricati ad uso industriale, così come i terreni.

Volendo essere testuali dovrebbero essere esclusi dalla tutela anche gli acquisti di cantine, posti auto e pertinenze in genere, ma una lettura equilibrata della norma può portarci ad allargare l'ambito applicativo a tutti quei beni che possono essere considerati pertinenze di immobili ad uso abitativo, analogamente a quanto avviene in materia fiscale.

In tale modo possiamo far escludere dalla revocatoria fallimentare non solo gli acquisti di immobili ad uso abitazione, ma anche quelli relativi alle relative pertinenze, acquistate contestualmente ovvero, riterrei, anche acquistate successivamente al bene principale.

Può essere, poi, esaminata anche la peculiare ipotesi in base alla quale venga acquistato un terreno da utilizzare per la realizzazione dell'abitazione principale.

Tale fattispecie, infatti, è stata valutata dal legislatore fiscale in maniera estensiva (ad esempio in tema di mancata decadenza delle agevolazioni godute per l'acquisto della prima abitazione) [nota 33] per cui anche il nostro interprete potrebbe fare uno sforzo per fare rientrare anche tale ipotesi in quelle tutelate dal legislatore, tenendo presente sempre lo stato di "contraente debole" dell'acquirente.

… destinati …

Particolare attenzione deve essere posta alla locuzione "destinati" che il legislatore utilizza per qualificare il bene immobile acquistato.

La ratio della norma, infatti, vuole che la tutela straordinaria al negozio di trasferimento sia attribuita soltanto se l'immobile venga utilizzato come abitazione, in quanto limitata a quei soggetti che hanno investito il proprio denaro per l'acquisto di un bene primario quale la casa di abitazione, e non per semplice investimento.

La norma, però, non indica espressamente il periodo entro il quale deve avvenire la prescritta destinazione, come invece fa in tema di tutela dell'acquirente di immobile da costruire, quando statuisce che « … l'acquirente si impegni a stabilire entro dodici mesi dall'acquisto o dalla ultimazione … » lasciando così all'interprete il compito di valutare preliminarmente se esiste un termine entro il quale deve avvenire tale utilizzo, e successivamente quale sia [nota 34].

Preliminarmente si può rilevare che anche in altre circostanze è stata utilizzata la qualificazione "destinata" per determinati beni considerati rilevanti dal sistema: si possono ricordare i beni destinati all'esercizio di impresa ex art. 178 c.c.; i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge ex art. 179 lettera d) prima parte c.c.; i beni destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione ex art. 179 lettera d) seconda parte c.c.; i patrimoni destinati introdotti dalla recente riforma del diritto societario; i beni destinati a far fronte ai bisogni della famiglia in tema di fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., nonché da ultimo l'introduzione nel codice civile della disciplina ex art. 2645-ter c.c. relativa alla costituzione per taluni beni del vincolo di destinazione per la realizzazione di particolari interessi meritevoli di tutela.

Come si vede, quindi, il legislatore ha utilizzato un concetto non nuovo nel nostro ordinamento - e cioè la destinazione - per il cui approfondimento possiamo rinviarci agli studi in materia di destinazione [nota 35].

Può sostenersi, comunque, che la destinazione del bene debba essere rilevata inevitabilmente in un momento successivo alla stipula del contratto, in quanto il concetto di destinazione deve essere visto non nella intenzione del contraente – circostanza che può costituire un motivo della compravendita - ma anche e soprattutto nella effettiva destinazione del bene.

Sarà, quindi, compito del giudice stabilire se il bene immobile acquistato sia stato effettivamente "destinato" secondo il nuovo dettato normativo.

Così come sarà il giudice a valutare se la effettiva destinazione immediata sia stata impedita da cause di forza maggiore, che non dovrebbero fare escludere il bene dalla particolare tutela prevista dalla novella.

In tale valutazione, poi, dovranno trovare equilibrato sviluppo le ipotesi di acquisto di beni locati (con riferimento quindi alla tipologia del relativo contratto di locazione, alla sua durata, alle modalità di risoluzione ecc.) [nota 36], di acquisto di nuda proprietà (con riferimento al consolidamento di usufrutto, ed anche se non ancora verificatosi), di acquisto di beni da ristrutturare, di beni per i quali è stata effettuata o iniziata una trasformazione (ad es.: da ufficio - A/10 ad abitazione -A/2). Ed il tutto in una ragionata considerazione dei tempi brevi nei quali l'azione revocatoria può essere attivata.

Deve essere comunque considerato che la effettiva destinazione del bene può emergere – e probabilmente non può non emergere – dopo la stipula dell'atto, per cui occorrerà un particolare equilibrio dell'interprete per verificare se la effettiva destinazione all'uso indicato dal legislatore sia avvenuta in tempi adeguati allo spirito della normativa.

È evidente, infatti, che la destinazione immediata cautela al massimo l'acquirente, ma perchè escludere dalla fattispecie protetta, come abbiamo visto sopra, l'acquisto di un immobile occupato, oppure gravato da un diritto di usufrutto?

Altra valutazione, poi, deve essere fatta con riferimento all'eventuale cambio di destinazione dell'immobile, ovvero, sia all'ipotesi in cui il soggetto beneficiato destini inizialmente il bene a propria abitazione principale e successivamente, poi, ne faccia uso diverso, sia a quella in cui lo alieni ulteriormente a terzi dopo averne fatto un uso adeguato alla previsione normativa.

Rimanendo sempre in tema fiscale può essere poi ricordato l'art. 81 lett. b) sulle imposte sui redditi laddove esclude dall'obbligo di dichiarazione dei redditi prodotti con l'alienazione infra quinquennio degli immobili ad uso abitativo destinati ad abitazione principale per la maggior parte del periodo.

Anche tali circostanze, data la peculiarità della norma, vanno lasciate al prudente apprezzamento dell'interprete prima, e del giudice poi, i quali non potranno non tener conto della buona fede dei contraenti e, quindi, procedere per quanto possibile ad una ricomprensione nella fattispecie a tutte le ipotesi tutelabili dall'ordinamento.

Un diverso approfondimento, poi, merita l'ipotesi in base alla quale l'acquirente cambi, successivamente, il proprio programma di destinazione. Non è raro che un soggetto alieni il proprio immobile dopo averlo destinato a propria abitazione principale, ovvero modifichi la destinazione dello stesso in seguito ad una diversa organizzazione della propria vita. Così come si è varie volte verificata l'ipotesi nella quale due fidanzati acquistano l'immobile per destinarlo a casa coniugale, salvo poi non addivenire alle nozze.

Anche tali casi rappresentano acquisti effettuati da contraenti deboli, e forse non vanno esclusi senza adeguata riflessione dalla tutela prevista dalla legge.

… a costituire l'abitazione principale …

La destinazione dell'immobile deve essere quella di "costituire l'abitazione principale" dell'acquirente per cui occorre esaminare il contenuto di tale locuzione.

Si tratta di un'espressione nuova in tema di norma squisitamente civilistica poiché questa circostanza - la destinazione - è stata fino ad oggi ritenuta rilevante soltanto dalla legislazione fiscale [nota 37].

Necessitando, poi, una verifica a posteriori il concetto è più vicino a quello di dimora ex art. 43 c.c. [nota 38], intesa come il luogo di normale abitazione [nota 39], che prescinde dalle risultanze anagrafiche, di mero valore presuntivo [nota 40].

È noto, infatti, che per i beni da destinare ad abitazione principale sono previste particolari agevolazioni in tema sia di imposta di registro, sia di imposta sui redditi, sia di Ici [nota 41]. Per ciascuna di dette imposte, peraltro, il legislatore prevede requisiti variegati, proprio per la particolare natura delle varie imposte, concettualmente differenti.

Appare, quindi, particolarmente arduo il compito dell'interprete di enucleare la fattispecie ipotizzata dal legislatore, dovendo procedere più che ad uno sforzo interpretativo della norma, ad una mera intuizione dell'ampiezza del favor concesso alla parte acquirente.

Considerando lo spirito della norma che tende a tutelare il soggetto debole del sinallagma, si può sostenere che tale destinazione ad abitazione principale possa essere interpretata latu sensu, ricomprendendo così tutte le ipotesi nelle quali l'acquirente destini il bene ad abitazione principale, ovvero al luogo ove materialmente abiti e, comunque, indipendentemente dalla fruizione di benefici fiscali di alcun genere.

… dell'acquirente … o dei suoi parenti e affini entro il terzo grado

Il legislatore ha inteso proteggere l'acquisto della propria abitazione principale e conseguentemente tutelare soltanto le persone fisiche.

Vanno, pertanto, esclusi dalla fattispecie protetta gli acquisti da parte di persone giuridiche e comunque, di soggetti diversi dalle persone fisiche i quali, pur potendo acquistare beni potenzialmente destinati ad abitazione, non possono certo adibirli a "propria" abitazione, non rientrando nella previsione agevolata della norma, neppure con riferimento alla propria sede.

Con una ulteriore estensione il legislatore ha consentito che il bene sia destinato ad abitazione principale non soltanto dell'acquirente, ma anche dei suoi parenti ed affini entro il terzo grado.

Pur non essendo testualmente previsto, possiamo inserire in detti soggetti anche il coniuge, pur se potrebbe essere un'ipotesi residuale quella rappresentata dai due coniugi (acquirente e coniuge) con diversa dimora. La stessa previsione degli affini, che possono quindi essere i parenti del coniuge stesso, lascia vedere come tale omissione sia il frutto di una evidente svista.

Tale allargamento costituisce un evidente ulteriore favor per quelle situazioni di fatto che si vengono a creare nelle famiglie. è infatti ad esempio diffusa la circostanza che il genitore acquisti un immobile da far utilizzare come abitazione dal proprio figlio. Il legislatore ha così voluto tutelare tutte quelle numerose situazioni di carattere endo-familiare nelle quali i beni di un soggetto vengono in qualche modo utilizzati come abitazione principale di un altro componente dello stesso nucleo familiare.

Anche tale previsione va, quindi, vista in senso ampio, rafforzando il principio in base al quale l'effettiva destinazione dell'immobile non può che avvenire dopo l'acquisto e, quindi, indipendentemente da ciò che risulta dal contratto.

B. Tecniche redazionali e cautele notarili

Alla luce di quanto sopra diventa particolarmente delicato l'intervento del notaio, sia in fase di consulenza preventiva, informando le parti circa il contenuto della norma e delle fattispecie tutelate, sia in fase di redazione dell'atto, onde far risultare con la massima chiarezza possibile l'eventuale esistenza dei requisiti previsti dalla legge.

Sarà, quindi, certamente utile che dall'atto emergano tutti gli indicatori previsti dalla norma - con riferimento quindi, non soltanto al giusto prezzo, ma anche alla destinazione del bene - ma in assenza di una espressa previsione normativa si deve ritenere che non esiste un obbligo in tal senso.

In altre circostanze, infatti, il legislatore ha lasciato dipendere dalla dichiarazione in atto la sussistenza dei presupposti per il godimento di particolari norme, statuizione che nel nostro caso non è stata ribadita [nota 42].

Prevedere l'obbligo di menzionare in atto tale intenzione appare perciò penalizzante per l'acquirente, il quale sarebbe costretto da un lato ad indicare "un motivo" del suo acquisto e dall'altro a non poter cambiare i suoi programmi di vita.

Cosa dire poi, ad esempio, dei fidanzati che dichiarano di volere destinare la casa a propria abitazione e poi interrompano il loro rapporto dopo una iniziale convivenza? Si avrebbe una revocatoria parziale?

Va poi aggiunto che la nuova previsione di tutela anche all'ipotesi di contratto preliminare costringerebbe la impossibilità di stipularlo per persona da nominare come viceversa accade normalmente.

Il tutto, ripetesi, senza alcuna disposizione in merito del legislatore.

Per il notaio poi, si tratterebbe di una ulteriore menzione da inserire in atto proprio nel momento in cui si ritiene più in generale di semplificare la stesura del documento.

Si può, pertanto, affermare che tutte le condizioni previste dalla legge per sottrarre l'acquisto del bene all'azione revocatoria non debbano necessariamente risultare dall'atto, lasciandone alla prudente analisi del giudice la verifica della sussistenza [nota 43].

Altro settore nel quale l'intervento notarile deve trovare spazio è quello nella consulenza preventiva nei confronti di chi intenda acquistare un immobile da un avente causa di un imprenditore, cioè da un soggetto persona fisica che ha acquistato da un imprenditore godendo della protezione prevista dalla nuova norma.

La sussistenza in capo a questa categoria di venditori dei requisiti per sottrarre il proprio acquisto alla revocatoria può essere determinante al fine di un prudente successivo trasferimento.

Il notaio pertanto, dovrà procedere con attenzione alla analisi di tutti gli elementi in base ai quali valutare se l'acquirente originario possa ritenersi "inattaccabile" e quindi non avere conseguenze negative a cascata sulla successiva rivendita.

Può, inoltre, verificarsi la necessità di procedere ad un'analisi ulteriore dei titoli di provenienza, fino a giungere a quello eventualmente soggetto all'azione revocatoria.

Si può cioè immaginare il caso in cui possa fallire il dante causa del venditore di un appartamento ad uso abitazione principale acquistato a giusto prezzo da un acquirente che ha i requisiti previsti dalla norma in oggetto.

Ci si chiede se tale acquisto possa "resistere" ad una azione revocatoria relativa alla prima vendita, che conseguentemente travolgerebbe anche la seconda.

Laddove riteniamo che lo spirito della legge non vuole alterare i principi della par condicio che regolano il fallimento, bisognerebbe escludere una tale tutela poiché la prima vendita non è protetta dalla tipologia dell'acquisto, né il giusto prezzo è entrato nell'attivo dell'imprenditore.

Se invece si sostiene che il legislatore abbia voluto privilegiare in ogni caso la tipologia dell'acquirente rispetto a qualsiasi esigenza fallimentare, l'interprete potrebbe "salvare" l'acquisto della abitazione.

Si tratta, cioè, di leggere la norma alla stregua di quanto è stato sostenuto con riferimento ai rapporti tra promissario acquirente munito di titolo trascritto e la banca creditrice del promittente venditore pur se garantita da iscrizioni precedenti.

Volendo analizzare la ratio della disposizione alla luce del momento storico in cui è stata introdotta, possiamo rilevare che la stessa è stata varata prima della riforma del diritto fallimentare, nell'ambito invece in un decreto c.d. "competitività" rientrante in un più ampio tentativo del legislatore di rilanciare l'economia favorendo i traffici commerciali. Il legislatore, cioè ha inteso favorire e semplificare al massimo l'acquisto di beni sottraendoli al rischio revocatoria, ritenendo così che un acquisto effettuato al giusto prezzo di un immobile destinato ad abitazione debba prevalere su altri interessi.

L'intervento notarile nella analisi di tali elementi, può contribuire a fornire all'acquirente tutti i dati necessari per una scelta consapevole dell'acquisto.


[nota 1] Così come modificato dall'art. 2, primo comma, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge 14 maggio 2005, n. 80, avente ad oggetto "Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale", (c.d. decreto competitività), successivamente modificato dall'art. 4 del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 in G.U. del 16 ottobre 2007 che ha sostituito la lettera c) del terzo comma.

[nota 2] Per un confronto con il diritto comunitario in materia, vedi lo studio n. 05.07.07.42/Ue di BARONE, Compatibilità della legge Prodi con il diritto comunitario ed esercizio della revocatoria fallimentare, approvato dalla Commissione affari europei ed internazionali del Consiglio Nazionale del Notariato il 7 luglio 2005, in CNN Notizie n. 148 del 4 agosto 2005.

[nota 3] PETRELLI, Gli acquisti di immobili da costruire, Milano, 2005, in part. p. 351 e ss., ove la fattispecie in oggetto è ampiamente commentata; RIZZI, Decreto legislativo 122/2005: assicurazione indennitaria, frazionamento del mutuo, revocatoria fallimentare e le altre novità legislative, studio n. 5812/C, approvato dalla Commissione Studi civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato il 20 luglio 2005 in CNN Notizie del 22 luglio 2005, il quale commenta diffusamente il parallelo tra le norme, nonché ID., «La nuova disciplina di tutela dell'acquirente di immobile da costruire», in Notariato, 2005 p. 433 e ss.

[nota 4] Ad eccezione delle vendite di immobili da costruire di cui all'articolo 52 del D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122 regolate dall'articolo 72-bis L. fall. come sostituito dall'articolo 4 D.lgs. 169/2007.

[nota 5] Art. 10 D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122.

[nota 6] Per un'interpretazione estensiva riferita ad ogni atto dispositivo, vedi DE CRESCENZO – PANZANI , Il nuovo diritto fallimentare, della Collana diretta da L. Panzani, Milano, 2005, p. 97 nonché della medesima collana GUALANDI, La disciplina dell'azione revocatoria, Milano, 2005, p. 303; RAGO, Manuale della revocatoria fallimentare, II ed., Padova, 2006, p. 879 e ss.

[nota 7] Il dibattito sorto in relazione all'interpretazione della lettera della norma, tra chi ne vorrebbe un'applicazione in senso restrittivo e chi ne sostiene una lettura estensiva, ricorda quello simile evidenziatosi all'indomani dell'entrata in vigore del D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122.

L'ambito del dibattito in tal caso si è concentrato, tra l'altro, sulla definizione di "acquirente" di cui all'art. 1.

Una parte dei commentatori ha ritenuto che l'acquirente-persona fisica debba considerarsi qualunque persona fisica indipendentemente dall'attività nell'esercizio della quale si effettui l'acquisto, altra parte dei commentatori, al contrario, ha sostenuto che con tale espressione il legislatore abbia inteso riferirsi alla persona fisica quale contraente debole individuato nel "consumatore" come soggetto privo di adeguate conoscenze e forza contrattuale.

In argomento vedi RIZZI, «La nuova disciplina di tutela…», cit., p. 434; RUOTOLO e PAOLINI, Studio n. 5691/C dell'Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, Prime considerazioni sul decreto legislativo in tema di tutela degli acquirenti di immobili da costruire o in corso di costruzione, in CNN Notizie del 13 giugno 2005.

[nota 8] In tal senso sembrano RAGO, op. cit., p. 880 e ss.; MELI, in La riforma della legge fallimentare, a cura di S. Ambrosiani, Bologna, 2006, p. 132.

[nota 9] Cfr. PETRELLI, Gli acquisti di immobili da costruire, Milano, 2005, p. 356

[nota 10] Vedi RAGO, op. cit., p. 881 e ss.

[nota 11] Ad eccezione dei contratti preliminari di vendita di immobili da costruire di cui all'articolo 52 del D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122 regolate dall'articolo 72-bis L. fall. come sostituito dall'articolo 4 D.lgs. 169/2007.

[nota 12] In tal senso RAGO, op. cit., p. 882. L'Autore ante novella D.lgs. 169/2007, in caso di azione revocatoria azionata dal curatore, si era posto la domanda a cui dava risposta affermativa, se in tal caso detto preliminare potesse rientrare o meno tra gli atti esenti di cui all'art. 67 L. fall.

In seguito all'intervenuta novella, crediamo che per dare riposta affermativa non possa prescindersi dalla presenza di tutti i requisiti richiesti dalla lett. c) del comma 3 di detto articolo, ivi compresa la previsione del giusto prezzo.

[nota 13] Interessanti gli spunti di MOSCARINI, «Riflessioni sul tema del contratto giusto», in Temi romana 2004, p. 16, in part. p. 17.

[nota 14] Cfr. BERTACCHINI, in Il nuovo diritto fallimentare, Comm. diretto da A. Jorio, tomo primo, sub art. 67, 3° comma, lett. c), Bologna, 2006, p. 979; MELI, op. cit., p. 132.

[nota 15] CACCAVALE, Giustizia del contratto e presupposizione, Torino, 2005, p. 76.

[nota 16] CACCAVALE, op. cit., p. 77.

[nota 17] «La determinazione, nel contratto di compravendita, del prezzo con riferimento a quello normalmente praticato dal venditore (art. 1474 c.c., primo comma), postula merci di largo consumo e molteplicità di contrattazioni: sicché, ove si tratti di cessione di immobili, tale forma di determinazione del prezzo va esclusa quando i beni appartengono a un genus limitatum di ristrettissima consistenza (o addirittura costituiscono un unicum) per i quali è inconcepibile una molteplicità e continuità di contrattazioni omogenee». Cass. civ., sez. I, 23 luglio 2004, n. 13807 in Giur. it. Mass., 2004, CED Cassazione, 2004.

[nota 18] Così, RAGO, op. cit., p. 887.

[nota 19] Introdotti nel codice civile dall'art. 25, legge 6 febbraio 1996, n. 52 e successivamente sostituiti dall'art. 142 del D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

[nota 20] Come modificato dall'art. 7 del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169.

[nota 21] Per una disamina delle posizioni in materia vedi Codice del fallimento a cura di Pajardi, Milano, 2004, p. 896 e ss.

[nota 22] Per tutti vedi Cassazione 29 agosto 2003, n. 12701, in Gius., 2004, p. 499.

[nota 23] In arg. vedi Cass. civ. 6 agosto 1999, n. 8464, in CED Cassazione; Trib. di Santa Maria Capua Vetere 11 novembre 1997 con nota di CANANZI, «Potere di sospensione della vendita ex art. 586 c.p.c. e riflessi sull'attività del notaio delegato ai sensi della legge n. 302/98», in Notariato, 1999, p. 367 e ss.

[nota 24] Cfr. FABIANI, «L'alfabeto della nuova revocatoria fallimentare», in Fallimento, 2005, p. 573 e ss.

[nota 25] Conseguenza del D.lgs. 169/ 2007.

[nota 26] In arg. vedi, MELI, op. cit., p. 123 e ss.

[nota 27] In tal senso vedi, RAGO, op. cit., p. 886; MELI, op. cit., p. 132; inoltre cfr. GUALANDI, op. cit., p. 304 e ss.; SANTANGELI, Commento all'art. 67 L. fall., in Il nuovo fallimento, a cura di Santangeli, Milano, 2006, p. 282 nonché, FABIANI, «Appunti sulla riforma della revocatoria fallimentare per prestazioni squilibrate con una lente sul mercato immobiliare», in Foro it., 2005, I, c. 1426, secondo il quale, in caso di acquisto della "prima casa", il range del giusto prezzo dovrebbe essere più elastico stante il comprovato favor del legislatore per gli acquisti di tal genere.

[nota 28] Art. 10 D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122.

[nota 29] Modifico così la mia precedente opinione derivante dal diverso testo normativo ed espressa nello studio n. 6112/I approvato il 14 dicembre 2005 dal Gruppo di studio sulla riforma del diritto fallimentare costituito presso il CNN, «Le vendite di immobili non soggette ad azione revocatoria fallimentare (art. 67, comma 3 lett. c)», in Notariato, 2006, p. 184 e ss.

[nota 30] Cfr. art. 10 D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, ove si legge «gli atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili da costruire … ».

[nota 31] Per un'interpretazione estensiva, si veda anche DE CRESCENZO – PANZANI, op. cit., p. 97; PETRELLI, op. cit., p. 356; contra RAGO, op. cit., p. 880.

[nota 32] Tale riflessione scaturisce dalla sempre maggiore sensibilità che la giurisprudenza mostra di avere in ordine alla natura delle partecipazioni sociali in società titolari di immobili. Secondo la Suprema Corte, esse «costituiscono beni "di secondo grado", essendo rappresentative di diritti su beni che, pur essendo ricompresi nel patrimonio della società, sono, in una certa misura, oggetto di appartenenza da parte dei singoli soci». Così Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2004, n. 3370, in Riv. not. 2005, p. 153, con nota di FESTA FERRANTE, «Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente», p. 156 e ss.; in argomento vedi inoltre TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, in part. p. 169 e ss. ove si rinvia all'ampia bibliografia sull'argomento.

[nota 33] Vedi la risoluzione 44/E del 16 marzo 2004 della Agenzia delle entrate, in base alla quale «è da ritenere confermata l'agevolazione fruita al momento dell'acquisto del fabbricato ceduto nel caso in cui sul terreno acquistato venga realizzato entro un anno dalla vendita un immobile utilizzabile come abitazione principale».

[nota 34] In materia di detrazione degli interessi passivi relativi a mutui il legislatore fiscale è intervenuto in tre occasioni:

all'art. 15, comma 1, lett. b), prima parte (ex 13-bis) T.U.I.R (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), relativamente ai «mutui garantiti da ipoteca su immobili contratti per acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale entro un anno dall'acquisto»;

all'art. 15, comma 1, lett. b), seconda parte (ex 13-bis) T.U.I.R (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), nel caso di «immobile acquistato sia oggetto di lavori di ristrutturazione edilizia … la detrazione spetta a decorrere dalla data in cui l'unità immobiliare è adibita a dimora abituale e comunque entro due anni dall'acquisto»;

all'art. 1, comma 3, del D.M. 30 luglio 1999, n. 311 in cui «la detrazione (degli interessi passivi, n.d.r.) è ammessa a condizione che i lavori di costruzione … e che quest'ultima sia adibita ad abitazione principale entro sei mesi dal termine dei predetti lavori».

[nota 35] Di particolare interesse in quanto racchiude interessanti spunti in materia il volume Destinazione di Beni allo scopo – strumenti attuali e tecniche innovative, che racchiude gli atti della giornata di studio organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato in Roma il 19 giugno 2003, Milano, 2003.

[nota 36] L'art. 3 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 in tema di locazioni disciplina le modalità di disdetta del contratto da parte del locatore quando lo stesso intenda destinare l'immobile ad uso abitativo … proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado.

[nota 37] T.U. delle imposte sui redditi, art. 10, comma 3-bis e art. 13 comma 1-bis; Dlgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8, comma 2; D.M. n. 311/1999, art. 1.

[nota 38] PAOLINI-RUOTOLO, «Alcuni aspetti problematici nel decreto legislativo in tema di tutela degli acquirenti di immobili da costruire», in Riv. not., 2005, p. 887 e ss.

[nota 39] BIANCA, Diritto civile, II, Milano, 1981, p. 244.

[nota 40] Cass. 26 agosto 1997, n. 8011, in CED Cassazione, Rv. 507124; Cass. 27 settembre 1996, n. 8554, in Giur. it., 1997, I, 1, p. 1049; Cass. 22 luglio 1995, n. 8049, in Giur. it., 1996, I, 1, p. 338.

[nota 41] L'art. 8 del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 in materia di Ici stabilisce che «per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale ed i suoi familiari dimorano abitualmente».

[nota 42] Vedi il più volte citato D.lgs. a tutela degli acquisti di immobili da costruire, dove all'art. 10 si fa espresso riferimento ad un «impegno da parte dell'acquirente che deve risultare in atto a stabilire la propria residenza … ».

[nota 43] Ritengo che la questione sulla necessità o meno di dichiarazioni rese in atto, possa essere risolta in senso negativo laddove si sia concordi nel sostenere che l'applicabilità o meno della esenzione revocatoria, sia legata all'effettiva destinazione del diritto acquistato, dove l'effettiva destinazione sia requisito da accertarsi nei fatti e non anche per semplice dichiarazione resa in atto.

Tale considerazione non può non ricordare la lunga questione in tema di interpretazione degli articoli 178 c.c. e 179 lett. d) del codice civile.

Da sempre la dottrina si è cimentata nel trovare il discrimen tra le due norme in ordine al regime da applicare agli acquisti dei beni ex art. 178 c.c. e 179 lett. d) sostenendosi, da parte dell'opinione maggioritaria, che se i beni acquistati dal singolo coniuge e destinati all'attività d'impresa ai sensi dell'articolo 178 codice civile, ricorrendone i presupposti, cadrebbero nella c.d. communio de residuo, quelli destinati all'esercizio di una professione acquistati ex art. 179, lett. d), rimarrebbero definitivamente personali del coniuge acquirente. In arg. tra gli altri, RIMINI, Acquisto immediato e differito nella comunione legale fra i coniugi, Padova, 2001, in part. p. 281 e ss. a cui si rinvia l'ampia bibliografia; TASSINARI, Comunione de residuo nell'azienda individuale, in Famiglia e circolazione giuridica, Milano, 1997, p. 245 e ss.

Ciò detto, anche in ragione del principio espresso dall'importante sentenza della corte di Cassazione n. 2954 del 2003 (pubblicata tra gli altri in Riv. not., 2003, p. 411 con nota di LUPETTI, «Rifiuto del coacquisto: è il tramonto di un'epoca?», p. 416 e ss.) in tema di illegittimità del c.d. rifiuto del coacquisto, si può sostenere che anche laddove, in tema di acquisto di immobile ex art. 179 lett. d) con intervento in atto dell'altro coniuge, l'eventuale accertamento negativo dell'effettiva destinazione del cespite acquistato, produrrebbe comunque la ricaduta dell'acquisto nel regime di comunione legale dei beni. In arg. tra gli altri ROMOLI, «Il regime patrimoniale della famiglia e sistema della comunione legale», in Notariato, 2006, p. 67 e ss. a cui si rinvia per l'ampia bibliografia.

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