Le verifiche notarili in merito all'esistenza di procedure concorsuali e l'intervento in atto dell'imprenditore dichiarato fallito
Le verifiche notarili in merito all'esistenza di procedure concorsuali e l'intervento in atto dell'imprenditore dichiarato fallito
di Maurizio Corona
Notaio in Cagliari
Delimitazione del tema. L'incidenza della nuova legge fallimentare sui tradizionali strumenti di verifica
La relazione che mi è stata assegnata accosta sotto un unico titolo due distinti e complessi temi: l'individuazione degli strumenti utilizzabili dal notaio per accertare l'esistenza di una procedura concorsuale e l'intervento in atto dell'imprenditore dichiarato fallito.
Lo svolgimento del primo tema, a rigore, dovrebbe abbracciare tutte le procedure concorsuali [nota 1], ma poiché questo Convegno si propone di segnalare le ripercussioni del "nuovo diritto fallimentare" sull'attività del notaio, mi è parso opportuno restringerne l'oggetto alle sole procedure concorsuali investite dalla novellazione [nota 2] del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e segnatamente al fallimento e al concordato preventivo.
Come emergerà dalle riflessioni che seguono, la legge fallimentare riformata [nota 3] contiene significative novità rispetto alla previgente disciplina anche in merito al regime di pubblicità dei provvedimenti giurisdizionali che segnano l'avvio delle due procedure concorsuali di diritto comune cui si è appena fatto riferimento [nota 4]: novità tali da incidere sul ruolo e sulla rilevanza degli strumenti adoperati in passato per verificarne l'instaurazione.
Ricognizione e analisi dei dati normativi in materia di fallimento: gli artt. 16 e 17 L. fall. [nota 5] L'art. 16, secondo comma ultima parte, e il sistema di pubblicità del Registro delle Imprese disciplinato nel codice civile. Il coordinamento tra gli artt. 16 e 17 e gli artt. 42 e 44. Il duplice adempimento pubblicitario nell'ipotesi di divergenza tra sede legale e sede effettiva dell'impresa dichiarata fallita
I dati normativi da cui conviene prendere le mosse sono gli artt. 16 e 17 per il fallimento e l'art. 166 per il concordato preventivo.
In particolare, l'art. 16, secondo comma, distingue in ordine alla decorrenza degli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento tra due diversi momenti. Il primo attiene alla data della sua «pubblicazione ai sensi dell'art. 133, primo comma, del codice di procedura civile», vale a dire del deposito della sentenza nella cancelleria del tribunale che l'ha pronunziata.
Il secondo è coincidente con la data d'«iscrizione della sentenza nel Registro delle Imprese».
A quest'ultimo evento la norma ricollega espressamente la produzione degli effetti della sentenza «nei riguardi dei terzi»; con riferimento alla pubblicazione, invece, il dato legislativo non offre alcuna specificazione: è opinione comune, tuttavia, che i soggetti, nei cui confronti la sentenza esplica la sua efficacia sin dal deposito in cancelleria, siano il fallito, la massa dei creditori e gli organi del fallimento [nota 6].
La prima parte del secondo comma dell'art. 16 non contiene particolari elementi di novità. Il frammento normativo in esame, infatti, nel riferirsi alla pubblicazione della sentenza, recepisce il consolidato indirizzo della Suprema Corte [nota 7] formatosi sotto la vigenza della vecchia disciplina, che proprio alla pubblicazione (e non alla deliberazione della sentenza) ricollegava gli effetti della dichiarazione di fallimento [nota 8].
La dottrina [nota 9] ritiene che continui a valere rispetto alla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, richiamata dalla disposizione in commento, quel risalente ma mai smentito orientamento della Cassazione, in base al quale gli effetti della sentenza dichiarativa decorrono dalla prima ora del giorno della sua pubblicazione [nota 10].
Invero la giurisprudenza di legittimità, sin dagli anni Settanta del secolo scorso, ha sempre fatto risalire gli effetti della sentenza dichiarativa dalla c.d. ora zero del giorno del suo deposito in cancelleria.
Tale orientamento generava due importanti corollari: all'ora zero risaliva il c.d. spossessamento (o meglio la perdita del potere di amministrare e di disporre) del fallito e, di conseguenza, dall'ora zero gli atti compiuti dal medesimo e i pagamenti da lui eseguiti o ricevuti erano inefficaci anche se, di fatto, anteriori alla pubblicazione della sentenza (dichiarativa).
L'ultima parte del secondo comma dell'art. 16, invece, nell'ancorare l'efficacia della sentenza verso i terzi alla sua iscrizione nel Registro delle Imprese, sancisce un principio assolutamente nuovo in materia fallimentare e di grande rottura con il passato [nota 11].
L'applicazione in concreto del principio è affidata al terzo e al quarto comma del successivo art. 17, che ne fissano le modalità operative: la sentenza dichiarativa di fallimento è «annotata» [nota 12] presso l'ufficio del Registro delle Imprese dove l'imprenditore ha la sede legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo dove la procedura è stata aperta (terzo comma); a tal fine il cancelliere, entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, trasmette, anche per via telematica, l'estratto della sentenza al suddetto Registro delle Imprese (quarto comma).
A parte alcuni difetti di tecnica legislativa [nota 13], l'attuale disciplina [nota 14] - come si è anticipato - contiene una dirompente innovazione rispetto alla regolamentazione vigente prima della novella del 2006.
Infatti, e in estrema sintesi, sotto la vecchia legge fallimentare - per opinione comune - gli effetti del fallimento si realizzavano per tutti, e dunque anche per i terzi, dall'ora zero del giorno di deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa: quindi prima (e a prescindere dall'esecuzione) degli adempimenti pubblicitari previsti da quella stessa legge [nota 15] (tra cui appunto vi era anche la comunicazione dell'estratto della sentenza al Registro delle Imprese eseguita a cura del cancelliere).
In sostanza, la vecchia disciplina concorsuale creava un'evidente disarmonia all'interno dell'ordinamento in quanto disapplicava un principio cardine del sistema di pubblicità affidato al Registro delle Imprese secondo la normativa codicistica [nota 16]. Si allude - è evidente - al dettato dell'art. 2193 c.c. secondo cui i fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione non sono opponibili, se non iscritti, ai terzi (salva la possibilità di provare che il terzo ne abbia avuto comunque conoscenza) [nota 17].
L'art. 16, secondo comma ultima parte, sembra eliminare tale discrasia sistematica e apprestare un'ampia tutela ai terzi di buona fede.
In definitiva, se la sentenza dichiarativa non è resa conoscibile mediante l'iscrizione del suo estratto nel Registro delle Imprese essa - in virtù del dettato dell'art. 16, secondo comma ultima parte - non ha effetto nei confronti dei terzi, a meno che non venga fornita la prova che i terzi stessi ne erano comunque a conoscenza. Al contrario, l'iscrizione dell'estratto della sentenza rende il fallimento noto erga omnes con una presunzione iuris et de iure, onde non se ne può invocare l'ignoranza, in conformità alla regola generale sancita dall'art. 2193, secondo comma, c.c.
Per la verità qualche dubbio sulla fondatezza della ricostruzione in termini così ampi della portata innovativa dell'art. 16, secondo comma ultima parte, è insinuato dal fatto che le varie novelle hanno lasciato immutati sia il primo comma dell'art. 42 sia il primo e il secondo comma dell'art. 44.
L'attuale legge fallimentare infatti conserva inalterate le disposizioni contenute nel testo originario del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 in ordine alla decorrenza degli effetti dello spossessamento dalla data della sentenza dichiarativa (art. 42, primo comma) e alla conseguente inefficacia degli atti compiuti dal fallito e dei pagamenti da lui eseguiti o ricevuti dopo la dichiarazione di fallimento (art. 44, primo e secondo comma).
Il coordinamento tra gli artt. 16 e 17 da un lato e gli artt. 42 e 44 dall'altro, rappresenta dunque la chiave di volta per verificare la reale entità delle innovazioni apportate dalla riforma in materia di tutela dei terzi di buona fede.
L'esigenza di coordinare i due gruppi di norme appena citate appare ancora più rilevante se si considera che il lasso di tempo destinato a frapporsi tra la data del deposito in cancelleria della sentenza dichiarativa di fallimento (che fa scattare lo spossessamento e l'inefficacia ex artt. 42 e 44) e la data della sua iscrizione nel Registro delle Imprese (che determina la produzione degli effetti della sentenza nei riguardi dei terzi ex art. 16, secondo comma) è tendenzialmente breve, ma non così breve come se lo è - verosimilmente - prefigurato il legislatore nel riformare la legge fallimentare.
L'art. 17, quarto comma, infatti, prevede che la trasmissione dell'estratto della sentenza all'ufficio del Registro delle Imprese competente sia effettuata dal cancelliere, anche per via telematica [nota 18], entro il giorno successivo al deposito.
Tale trasmissione, seppur effettuata mediante lo strumento più tempestivo, ossia per via telematica [nota 19], è comunque soggetta ai tempi tecnici di lavorazione previsti dall'art. 11, ottavo comma, del D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581 secondo cui l'iscrizione va eseguita «senza indugio» e comunque entro il termine di cinque giorni dalla c.d. protocollazione [nota 20]; se invece la trasmissione non è compiuta per via telematica o su supporto informatico, ai sensi della stessa norma i tempi di iscrizione possono protrarsi sino a dieci giorni dalla protocollazione [nota 21].
Dunque, il divario temporale tra deposito e iscrizione della sentenza dichiarativa può «fisiologicamente» arrivare sino ad undici giorni, termine assolutamente inadeguato rispetto alla celerità che caratterizza oggi l'attività di contrattazione.
Ritornando al punto fondamentale, vale a dire al coordinamento tra i due gruppi di disposizioni della legge fallimentare, nella letteratura specializzata si registrano opinioni contrastanti.
Per una parte della dottrina gli atti compiuti prima dell'iscrizione della sentenza di fallimento nel Registro delle Imprese non subiscono la mannaia dell'inefficacia ex art. 44: secondo questo orientamento la specificazione contenuta nell'art. 16, secondo comma ultima parte, in ordine alla decorrenza degli effetti della sentenza dichiarativa per i terzi, introduce una piena tutela di costoro se, in buona fede (ossia ignari dell'intervenuto fallimento), siano stati destinatari di atti compiuti dal fallito o autori di pagamenti dallo stesso ricevuti [nota 22].
Altri, invece, ritiene che la sopravvivenza delle norme racchiuse nell'art. 44, primo e secondo comma, implica che gli atti in esse contemplati siano inefficaci indipendentemente dall'iscrizione della sentenza nel Registro delle Imprese, ma la previsione dell'art. 16 secondo cui gli «effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel Registro delle Imprese» comporta che l'inefficacia di tali atti non sia opponibile ai terzi di buona fede [nota 23].
Una terza corrente di pensiero, infine, propende per una ricostruzione decisamente restrittiva della portata dell'art. 16: gli artt. 42 e 44 operano nei confronti dei terzi anche prima dell'esecuzione della formalità pubblicitaria nel Registro delle Imprese, ma l'art. 16 attribuisce rilievo alla loro buona fede riconoscendo ad essi una qualche forma di tutela, seppure assai meno ampia di quella derivante dalle prime due tesi [nota 24]. In particolare, secondo questa opinione, se nell'arco di tempo compreso tra la pubblicazione e l'iscrizione della sentenza di fallimento il terzo si è reso acquirente di un bene mobile del fallito, potrà opporre la propria buona fede al fine di avvalersi della regola di cui all'art. 1153 c.c.; se, invece, il terzo ha pagato un suo debito nei confronti del fallito potrà eccepire la propria liberazione ex art. 1189 c.c., giovandosi della disciplina prevista per il pagamento al creditore apparente.
Pur con la cautela necessaria, sembra preferibile la seconda delle tesi riferite. La prima, infatti, svuota di significato gli artt. 42 e 44 mentre la terza annacqua la portata precettiva dell'art. 16 [nota 25].
La ricostruzione che si predilige del resto si sposa in pieno con una delle linee guida del diritto fallimentare riformato, ossia l'accentuazione della tutela fornita al contraente in bonis, ben evidente nella drastica riduzione dell'area applicativa della revocatoria fallimentare [nota 26].
Anzi, può dirsi che la tutela del contraente in bonis ha costituito per il legislatore un obbiettivo così primario che, in parte, l'ha attuata ancora prima del varo della novella del 2006 rendendo immuni dall'esperimento della revocatoria gli atti di cui all'art. 10 del D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122 posti in essere al giusto prezzo [nota 27].
Un ultimo punto va approfondito in merito agli artt. 16 e 17.
Il terzo comma dell'art. 17 stabilisce, nell'ipotesi di divergenza tra sede legale e sede effettiva dell'impresa dichiarata fallita, che la sentenza venga «annotata» sia presso l'ufficio del Registro delle Imprese del luogo della sede legale sia presso l'ufficio corrispondente al luogo in cui si è aperta la procedura [nota 28].
Se il fallimento è stato dichiarato dal Tribunale del luogo della sede effettiva dell'impresa e tale luogo rientra nella competenza territoriale di un ufficio del Registro delle Imprese diverso da quello della sede legale [nota 29], il cancelliere è tenuto a un duplice adempimento: deve effettuare la trasmissione dell'estratto della sentenza sia all'ufficio del Registro delle Imprese corrispondente alla sede legale dell'imprenditore dichiarato fallito (l'unico, di regola, in cui l'imprenditore stesso è iscritto) [nota 30] sia all'ufficio del Registro delle Imprese individuato in base al luogo di apertura della procedura (nel quale, invece, l'imprenditore fallito non risulta iscritto).
Viene da chiedersi come operi in tale eventualità il principio che riconnette all'«iscrizione» nel Registro delle Imprese l'efficacia della sentenza di fallimento nei confronti dei terzi (art. 16, secondo comma ultima parte). In altri termini viene da domandarsi se la pubblicità dichiarativa propria di tale iscrizione richieda il perfezionamento di entrambe le due forme di pubblicità [nota 31] o di una soltanto e - in tal caso - di quale tra le due.
Pur con la prudenza imposta da un dato normativo di non agevole decifrazione, sembra corretto sostenere che la trasmissione dell'estratto della sentenza dichiarativa al Registro delle Imprese della sede legale - ossia all'ufficio presso il quale l'impresa dichiarata fallita è anagraficamente censita - determina una vera e propria «iscrizione» ai sensi dell'art. 11, ottavo comma, del D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581 [nota 32]; la trasmissione al Registro delle Imprese della sede effettiva comporta, invece, una mera «annotazione» presso quell'ufficio dell'estratto della sentenza.
In quest'ultimo ufficio non esiste infatti una sezione o un albo o un elenco in cui possa eseguirsi l'iscrizione dell'estratto della sentenza di fallimento. L'estratto sarà pertanto oggetto di «archiviazione», ai sensi dell'art. 8 del citato D.P.R. n. 581/1995, e diverrà accessibile e quindi conoscibile per i terzi anche presso quello stesso Registro delle Imprese.
In sostanza, all'«iscrizione» si accompagnerà la tipica pubblicità dichiarativa di cui all'art. 2193 c.c., mentre l'annotazione assolverà soltanto una funzione di pubblicità notizia, vale a dire fornirà un'utilità informativa, ma non inciderà sull'opponibilità dell'atto nei confronti dei terzi [nota 33]. In conclusione, ai fini dell'operatività del principio sancito dall'art. 16, secondo comma ultima parte, sarà necessario e sufficiente che sia eseguita l'iscrizione dell'estratto della sentenza di fallimento nel Registro delle Imprese della sede legale dell'imprenditore dichiarato fallito [nota 34].
Ricognizione e analisi dei dati normativi in materia di concordato preventivo: l'art. 166. Il regime di pubblicità del decreto di ammissione alla procedura. L'efficacia dell'iscrizione nel Registro delle Imprese
In materia di concordato preventivo, nel testo modificato dal correttivo, l'art. 166 disciplina la pubblicità del decreto che dichiara aperta la procedura e, sinteticamente, stabilisce che esso è «pubblicato a cura del cancelliere a norma dell'art. 17» [nota 35].
Nel testo previgente, introdotto dalla novella del 2006, il primo comma dell'articolo in esame specificava che «il decreto è pubblicato, a cura del cancelliere, mediante affissione all'albo del Tribunale e comunicato in via telematica per l'iscrizione all'ufficio del Registro delle Imprese».
La relazione illustrativa alla novella del 2007 chiarisce che la modifica si è resa necessaria al fine di «uniformare il modo di pubblicazione del decreto di apertura della procedura di concordato preventivo con quella della sentenza di fallimento».
In sostanza, in virtù del rinvio operato dall'art. 166, primo comma, all'art. 17, e tenuto conto della relazione illustrativa, il decreto di ammissione al concordato preventivo sembra soggetto alle stesse forme di pubblicità nel Registro delle Imprese stabilite per la sentenza dichiarativa di fallimento.
Tuttavia nonostante il dichiarato intento legislativo di equiparare il regime di pubblicità dei due provvedimenti, per la sentenza dichiarativa di fallimento l'art. 16, secondo comma ultima parte, statuisce espressamente che i suoi effetti si producono nei confronti dei terzi dalla data di iscrizione nel Registro delle Imprese; per il decreto di apertura del concordato, invece, manca un'analoga disposizione.
Il silenzio del legislatore genera gravi incertezze interpretative, anche perché sotto la vigenza della vecchia legge fallimentare la dottrina, in modo unanime, assegnava alla pubblicità del decreto di ammissione attuata mediante iscrizione nel Registro delle Imprese la stessa funzione riconosciuta, all'epoca, alla iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento, cioè un ruolo di mera pubblicità notizia [nota 36].
È evidente che qualora si ritenesse che il principio sancito dall'art. 16, secondo comma ultima parte, sia circoscritto alla sola procedura fallimentare, la portata innovativa della riforma resterebbe incomprensibilmente limitata.
In realtà non vi sono ragioni [nota 37] per giustificare una difformità di trattamento tra fallimento e concordato preventivo. Pertanto l'iscrizione nel Registro delle Imprese del provvedimento del giudice che determina l'apertura del concordato preventivo è assoggettata alla disciplina generale fissata dall'art. 2193 c.c., essendo ormai stabilito che ad essa non si sottrae più la materia del fallimento, proprio in virtù della nuova regolamentazione introdotta dall'art. 16 [nota 38].
Le verifiche notarili in merito all'esistenza di una procedura fallimentare. L'esenzione da fallimento dell'impresa di piccole dimensioni: i nuovi parametri quantitativi introdotti dal correttivo. L'equiparazione delle imprese individuali a quelle collettive ai fini della sussistenza dei parametri dimensionali. Insidie vecchie e note dell'attività di verifica
Individuata la cornice normativa di riferimento, analizziamo quali tipi di verifiche debba compiere il notaio al fine di accertarsi dell'eventuale apertura di una procedura concorsuale di diritto comune nei confronti di chi interviene in atto come parte.
Prima però è necessaria un'ulteriore puntualizzazione.
La selezione all'interno della nozione generale di impresa delle fattispecie rientranti nell'ambito di applicazione del fallimento è operata con criteri non omogenei dal vigente art. 1 [nota 39].
Infatti, per quanto riguarda il tipo di attività, sono assoggettate al fallimento le sole imprese commerciali, con implicita esclusione di quelle agricole; per quanto concerne il tipo di ente (che svolge l'attività) sono espressamente esonerate dal fallimento le imprese pubbliche; infine, per quanto attiene alla dimensione, sono escluse dal fallimento le imprese che non raggiungono le soglie quantitative stabilite nel secondo comma del citato art. 1.
Non interessano in questa sede i primi due punti, non toccati dalla novellazione; mentre, seppure in sintesi, occorre soffermarsi sul terzo.
La novella del 2007 esenta dall'applicazione della disciplina fallimentare gli imprenditori commerciali i quali dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui alle lettere a), b), e c) dell'art. 1, secondo comma.
Il D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, infatti, riscrive il primo e il secondo comma dell'art. 1 e, abbandonato il riferimento alla nozione di piccolo imprenditore, indica una categoria di imprenditori commerciali esclusi dal regime concorsuale sulla base di parametri quantitativi, anch'essi modificati rispetto a quelli introdotti dalla novella del 2006.
L'art. 1, nel testo in vigore sino al 31 dicembre 2007, invero, escludeva dal fallimento i piccoli imprenditori (primo comma) e individuava la categoria della piccola impresa, individuale o collettiva, attraverso la formulazione di due tipologie di requisiti dimensionali operanti in alternativa tra loro (secondo comma) [nota 40].
L'attuale art. 1, invece, sancisce la non fallibilità degli imprenditori commerciali che provino [nota 41] di possedere congiuntamente tre requisiti:
a. «aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila».
La nuova disposizione - senza dubbio di più agevole interpretazione della precedente, che utilizzava il parametro «alquanto vago e di incerta definizione» [nota 42] degli «investimenti» effettuati nell'azienda [nota 43] (per di più senza specificazioni di natura temporale) - ricorre al diverso concetto di «attivo patrimoniale», che ha un preciso riscontro normativo nel dettato dell'art. 2424 c.c. Nei primi commenti si è evidenziato che il requisito in esame va individuato tenendo presente la disciplina in materia di formazione del bilancio delle SpA (art. 2423 e ss. c.c.) valida anche per le imprese non tenute all'integrale osservanza di quelle norme [nota 44]: in sostanza andrebbe conteggiato l'intero ammontare dell'attivo dello stato patrimoniale, composto da tutte le voci indicate nell'art. 2424 c.c. Quanto al profilo temporale si ritiene che debba farsi riferimento alle risultanze finali di ciascuno dei tre esercizi chiusi prima della data di deposito dell'istanza di fallimento [nota 45] (se, invece, la durata dell'attività fosse inferiore, si dovrà fare riferimento, a seconda dei casi, alle risultanze finali dei due esercizi chiusi prima dell'istanza di fallimento, oppure dell'unico esercizio concluso prima di tale data o, in mancanza, alla situazione patrimoniale riferibile alla data medesima) [nota 46];
b. «aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o di inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila».
Il secondo criterio quantitativo si riferisce - come quello enunciato dall'art. 1 nella versione anteriore al correttivo - ai «ricavi lordi», ma è stato reso più rigido per effetto dell'abbandono della previsione circa la media dei ricavi degli ultimi tre anni: è richiesto, infatti, che l'ammontare dei «ricavi lordi» non superi il limite stabilito in ciascuno dei tre esercizi di riferimento, ossia - anche in questo caso - nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento [nota 47].
In tale parametro si ritengono compresi tutti i «ricavi delle vendite e delle prestazioni», nonché tutti gli altri ricavi di cui all'art. 2425, primo comma, lett. a) c.c. in tema di conto economico del bilancio di esercizio delle società di capitali, benché tale norma non sia direttamente applicabile a tutte le forme di attività di impresa assoggettabili a fallimento [nota 48];
c. «avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila».
Il terzo requisito è una novità della novella del 2007 e, a differenza dei primi due, si riferisce alla data di deposito dell'istanza di fallimento.
Se si condivide l'orientamento che interpreta i limiti quantitativi stabiliti dall'art. 1, secondo comma, alla luce della disciplina in materia di bilancio delle SpA, la sussistenza di quest'ultimo requisito va valutata tenendo conto di tutte le voci del passivo dello stato patrimoniale di cui all'art. 2424 c.c., fatta eccezione per quelle relative al patrimonio netto (costituite dal capitale e dalle varie specie di riserve) [nota 49].
Al parametro dei debiti anche non scaduti si aggiunge, quale ulteriore elemento di delimitazione dell'area della fallibilità, il requisito di procedibilità dei debiti scaduti. L'art. 15, penultimo comma, infatti, nell'intento di evitare l'instaurazione di procedure con costi eccessivi rispetto ai risultati conseguibili, le quali comporterebbero un inutile aggravio del carico degli uffici giudiziari, dispone che non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento «se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila» [nota 50].
L'esclusione delle imprese di piccole dimensioni dall'ambito di applicazione del fallimento non pone più particolari problemi sistematici in ordine al rapporto tra la nozione di piccolo imprenditore - così come definita dall'art. 2083 c.c. in base al concetto di prevalenza del lavoro personale dell'imprenditore e dei componenti della famiglia - e i parametri quantitativi previsti dalla legge fallimentare.
L'art. 1, secondo comma, infatti, non contiene un criterio interpretativo della nozione codicistica di piccolo imprenditore, ma fornisce una nozione diversa, non più fondata sul concetto di prevalenza, bensì esclusivamente sul dato economico-dimensionale espresso dai limiti di attivo, ricavi lordi e passivo indicati dalla norma [nota 51].
In conclusione, l'imprenditore commerciale che supera anche uno solo dei tre parametri stabiliti dal secondo comma dell'art. 1 è sempre un imprenditore di dimensioni non piccole e come tale assoggettato al fallimento; mentre chi non li supera è sempre un imprenditore di piccole dimensioni e pertanto escluso dall'ambito di applicazione della procedura concorsuale [nota 52].
Un'ultima considerazione in ordine alla nozione di impresa di piccole dimensioni. La novella del 2006 equiparava espressamente le imprese collettive a quelle individuali ai fini della loro riconducibilità nell'ambito della categoria della piccola impresa e della conseguente immunità da fallimento.
L'art. 1, secondo comma, nel testo introdotto dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 segnava la definitiva caduta di uno dei principi cardine della originaria legge fallimentare, espresso nel sintagma secondo cui «in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali» (art. 1, secondo comma ultima parte, vecchio stile).
La norma originaria era stata oggetto di aspre critiche perché ritenuta contraria ai canoni di ragionevolezza in quanto sottoponeva a regole diverse fattispecie identiche: l'impresa sociale, anche di piccole dimensioni, era in forza di tale frammento normativo assoggettata a fallimento, con danno per i suoi creditori a causa degli eccessivi costi generati dalla procedura concorsuale.
L'assolutezza del principio era stata per la verità vulnerata - come è noto - dalla legge 20 maggio 1997, n. 133 (legge speciale sull'artigianato), che aveva escluso dalle procedure concorsuali le piccole imprese artigiane organizzate nelle forme della società in nome collettivo o in accomandita semplice, della cooperativa o della società a responsabilità limitata con unico socio (forme consentite già dall'art. 3, secondo e terzo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443, c.d. legge quadro per l'artigianato) [nota 53].
Inspiegabilmente il correttivo ha eliminato l'espressa equiparazione tra impresa collettiva e individuale contenuta nella novella del 2006. Tuttavia ad una prima lettura della nuova norma, considerata l'avvenuta abrogazione del principio contenuto nell'art. 1, secondo comma ultima parte, della vecchia legge fallimentare, che imponeva la generalizzata soggezione al fallimento delle imprese sociali, sembra che la disciplina dettata dalla novella del 2006 non abbia, sotto questo aspetto, subito modificazioni, nonostante il diverso tenore letterale del nuovo testo legislativo.
Tirando le fila delle riflessioni sin qui svolte può dirsi che in base all'attuale disciplina la valutazione in ordine alla possibile soggezione al fallimento dell'imprenditore esercente un'attività commerciale, in forma individuale o collettiva, deve tenere conto di una serie di parametri quantitativi il cui accertamento non si rivela agevole (e tanto meno immediato).
? impensabile pertanto che l'indagine sulla ricorrenza dei limiti dimensionali previsti dal nuovo testo dell'art. 1, secondo comma, possa essere compiuta dal notaio, specie nei ristretti tempi oggi imposti dalla rapidità delle contrattazioni. Per contro è facile supporre che l'accertamento circa l'eventuale dichiarazione di fallimento sarà tuzioristicamente effettuato da noi notai nei confronti di qualsiasi imprenditore commerciale - ossia a prescindere dalle sue dimensioni - tramite la sistematica consultazione del Registro delle Imprese.
Resta da segnalare che permangono rispetto all'attività di accertamento le vecchie e note insidie derivanti dall'estensione del fallimento ex art. 147 [nota 54].
La dichiarazione di fallimento di una società in nome collettivo, in accomandita semplice o in accomandita per azioni comporta infatti - come è noto - il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, anche qualora non siano persone fisiche [nota 55], in via automatica e indipendentemente dalla sussistenza nei loro confronti dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5.
La procedura fallimentare si estende dunque ai soci di società in nome collettivo e agli accomandatari di società in accomandita semplice e in accomandita per azioni che siano ancora tali al momento della dichiarazione di fallimento o che abbiano dismesso tale loro qualità da meno di un anno dalla data della sentenza dichiarativa. In tale contesto, è facile immaginare che il controllo del notaio continuerà necessariamente ad essere generalizzato, vale a dire esteso a qualsiasi persona fisica che sia parte di un atto da lui ricevuto o autenticato, data l'impossibilità per il pubblico ufficiale di escludere, altrimenti, l'appartenenza di quella stessa parte ad una delle categorie di soggetti a rischio di fallimento.
Le altre formalità pubblicitarie prescritte dall'attuale legge fallimentare. La trascrizione nei registri immobiliari della sentenza dichiarativa di fallimento e del decreto di ammissione al concordato preventivo. Le trasmissioni e comunicazioni ex art. 55 del regolamento notarile. L'abrogazione delle norme che prevedono l'iscrizione nel casellario giudiziale delle notizie relative alle procedure concorsuali
La descritta rilevanza nei riguardi dei terzi dell'iscrizione nel Registro delle Imprese della sentenza dichiarativa di fallimento e del decreto di ammissione al concordato preventivo assegna alla consultazione di tale registro il ruolo di principale e imprescindibile strumento di verifica dell'eventuale instaurazione delle due procedure concorsuali di diritto comune.
Del resto, le ulteriori formalità pubblicitarie prescritte dalla vigente legge fallimentare per i provvedimenti giurisdizionali che segnano l'avvio del fallimento e del concordato preventivo svolgono una mera funzione di pubblicità notizia.
Abrogate dalla novella del 2006 le anacronistiche disposizioni della vecchia legge fallimentare che richiedevano l'affissione dell'estratto della sentenza di fallimento alla «porta esterna del Tribunale» [nota 56] e la sua pubblicazione nel foglio degli annunzi legali [nota 57], è rimasta nell'attuale la prescrizione dell'art. 88, secondo comma, che, per l'eventualità in cui il fallito possieda «beni immobili o altri beni soggetti a pubblica registrazione», fa obbligo al curatore di notificare un estratto della sentenza «ai competenti uffici, perché sia trascritto nei pubblici registri». E la stessa disposizione vale mutatis mutandis per il decreto di ammissione al concordato preventivo in quanto espressamente richiamata dall'art. 166, secondo comma [nota 58].
La novella del 2007 corregge - come si legge nella relazione illustrativa - un difetto lessicale della previgente legislazione sostituendo il participio «annotato», contenuto nel secondo comma dell'art. 88, con quello più appropriato di «trascritto». L'imprecisione terminologica dell'originario testo del regio decreto n. 267/1942, cui la riforma del 2006 non aveva posto rimedio, era stata peraltro da tempo superata dalla prassi. Infatti, sulla scia dell'opinione dominante in dottrina e giurisprudenza [nota 59], nel territorio dello Stato soggetto al sistema di pubblicità immobiliare a base personale [nota 60], la sentenza dichiarativa di fallimento veniva trascritta [nota 61] (e non annotata) nei registri immobiliari.
L'efficacia di mera pubblicità notizia propria di tale trascrizione [nota 62] ne ha da sempre attenuato la rilevanza sul piano operativo: e ancor più la riduce la novellazione con l'introdurre la regola che subordina l'efficacia della sentenza dichiarativa nei confronti dei terzi alla sua iscrizione nel Registro delle Imprese.
L'attuale quadro normativo degrada dunque l'ispezione nei registri immobiliari - che pure il notaio svolgerà nell'ambito della più ampia indagine ipo-catastale ancillare al ricevimento di atti traslativi di diritti reali immobiliari - a un ruolo del tutto secondario per la finalità che qui interessa rispetto alla consultazione del Registro delle Imprese.
Solo un cenno all'ulteriore strumento informativo fornito dall'art. 55 del regolamento notarile [nota 63], la cui utilità pratica è però strettamente legata alla tempestività delle trasmissioni e comunicazioni in esso contemplate, non regolate da precisi termini.
Infine, resta da segnalare l'abrogazione delle norme contenute nel D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, che stabiliscono l'iscrizione nel casellario giudiziale delle notizie relative alle procedure concorsuali. L'art. 21 del correttivo sopprime tali disposizioni a decorrere dal 1° gennaio 2008 perché - come spiega la relazione illustrativa - l'iscrizione nel casellario giudiziale è parsa un inutile duplicato della pubblicità affidata dalla legge fallimentare riformata al Registro delle Imprese [nota 64].
L'intervento in atto dell'imprenditore dichiarato fallito: distinzioni in ordine al tipo e alla data dell'atto. A) Gli atti relativi a «beni non compresi nel fallimento». L'espressa sottrazione al fallimento dei beni costituiti in fondo patrimoniale. B) Il profilo temporale: l'atto stipulato tra l'ora zero del giorno di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento e la data di iscrizione (del suo estratto) nel Registro delle Imprese; l'atto concluso dopo l'iscrizione della sentenza dichiarativa nel Registro delle Imprese
In ordine al regime dell'atto compiuto dall'imprenditore dichiarato fallito occorre distinguere in relazione sia al tipo di atto sia alla sua data.
Quanto alla tipologia, la disciplina fallimentare non incide sugli atti relativi ai «beni non compresi nel fallimento» indicati dall'art. 46 con elencazione giudicata tassativa anche dopo la novellazione [nota 65].
Tra i beni esclusi dallo spossessamento e di cui quindi il fallito conserva l'amministrazione e il potere di disporre rientrano, per espressa previsione già della novella del 2006, quelli costituiti in fondo patrimoniale.
La riforma ha conformato il n. 3) dell'art. 46 all'attuale diritto di famiglia che, come è noto, ha sostituito il patrimonio familiare con il fondo patrimoniale, sanando una profonda spaccatura che si era venuta a creare sul tema. Sotto la vecchia disciplina, infatti, parte della giurisprudenza di merito e della dottrina sosteneva che il fondo patrimoniale, per le sue differenze rispetto al patrimonio familiare, non beneficiasse dello stesso regime di quest'ultimo e che, pertanto, i beni in esso costituiti potessero essere appresi dal curatore in caso di fallimento [nota 66].
L'innovazione legislativa, dunque, consente all'imprenditore individuale dichiarato fallito di intervenire personalmente negli atti di straordinaria amministrazione relativi a beni inclusi nel fondo patrimoniale, nel rispetto ovviamente della disciplina dettata dall'art. 169 c.c. [nota 67]
Quanto alla data è necessario distinguere a seconda che l'atto sia stato posto in essere dall'imprenditore fallito nel lasso di tempo compreso tra l'ora zero del giorno di pubblicazione della sentenza dichiarativa [nota 68] e la data di iscrizione del suo estratto nel Registro delle Imprese ovvero in un momento successivo.
Al riguardo si pone innanzi tutto il problema di individuare la nozione di data di iscrizione della sentenza di fallimento e, in particolare, di stabilire se essa comprenda soltanto il giorno in cui la formalità pubblicitaria è inserita nel Registro delle Imprese ovvero se la stessa sia comprensiva anche dell'ora e dei minuti.
Ciò rileva al fine di determinare la priorità temporale dell'atto o dell'iscrizione nell'ipotesi in cui entrambi siano compiuti il medesimo giorno e, conseguentemente, l'applicabilità o no dell'art. 16.
Per gli atti, pubblici o autenticati, conservati a raccolta il preciso momento del loro perfezionamento è oggi desumibile dalla specificazione dell'ora (e dei minuti) della sottoscrizione, inserita in ossequio alla norma del codice deontologico [nota 69].
Per l'iscrizione, invece, la data riportata nella c.d. visura estraibile dal Registro delle Imprese contiene l'indicazione soltanto del giorno (mese e anno) in cui la stessa è eseguita.
Dunque, posto che non è certo applicabile in via analogica alla data di iscrizione della sentenza dichiarativa nel Registro delle Imprese l'orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione all'ora di pubblicazione della stessa sentenza, per evidente mancanza dell'eadem ratio, occorre chiedersi se e come trovi applicazione l'art. 16 a tutela del terzo.
La soluzione va ricercata nei principi che governano la pubblicità dichiarativa nel cui alveo si inserisce appieno l'art. 16.
I fatti non iscritti per i quali la legge prevede l'obbligo di iscrizione non sono opponibili ai terzi (salva la facoltà di dimostrare che il terzo nel caso concreto ne era comunque a conoscenza).
Se quindi dalla consultazione del Registro delle Imprese eseguita lo stesso giorno dell'atto cui interviene il fallito (e a fortiori se la verifica è compiuta in stretta contiguità temporale rispetto all'atto) non risulta l'iscrizione della sentenza dichiarativa, quest'ultima, anche se iscritta in un momento successivo di quello stesso giorno, non produrrà effetti nei confronti del terzo; a costui dunque non sarà opponibile l'inefficacia dell'atto ex art. 44, salva ovviamente la facoltà di dimostrare che egli era comunque a conoscenza dell'apertura della procedura concorsuale.
In siffatti casi, di conseguenza, non è neppure ipotizzabile una responsabilità professionale del notaio rogante o autenticante né tantomeno una sua responsabilità disciplinare ex art. 54 del regolamento notarile, perché altrimenti si finirebbe per configurare in capo al pubblico ufficiale una responsabilità oggettiva non in linea con i principi informatori del nostro ordinamento.
Quanto infine agli atti successivi all'iscrizione della sentenza dichiarativa nel Registro delle Imprese, essi sono sanzionati di inefficacia relativa, ossia non producono effetti esclusivamente nei confronti della massa dei creditori, con le note conseguenze [nota 70].
[nota 1] Come è noto nel nostro ordinamento convivono più procedure finalizzate a regolare le crisi economiche delle imprese, denominate concorsuali in quanto ad esse partecipano tutti i creditori in concorso tra loro e investono l'intero patrimonio del debitore: il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l'amministrazione straordinaria delle «grandi» imprese e l'amministrazione straordinaria delle imprese di dimensioni ancor più grandi e qualificate come «rilevanti».
Tali procedure si distinguono per le fonti legislative che le disciplinano, per i differenti presupposti che ne determinano l'avvio, per la diversa natura dei rispettivi procedimenti e per le non coincidenti finalità proprie di ciascuna di esse (R. ROSAPEPE, Il sistema delle procedure concorsuali, in Diritto fallimentare. Manuale breve, Milano, 2008, p. 77).
Il regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 disciplina il fallimento e il concordato preventivo e solo in via residuale la liquidazione coatta amministrativa. Di questa, in realtà, non esiste un regime uniforme perché sotto la denominazione di liquidazione coatta amministrativa sono accomunate procedure variamente regolate dalle singole leggi speciali riferite all'impresa o alla categoria di imprese che vi sono assoggettate (cfr. N. ABRIANI, Il sistema delle procedure concorsuali e C. MOTTI, Le liquidazioni coatte amministrative, entrambi in Diritto fallimentare…, cit., rispettivamente a p. 88 e ss. e a p. 418 e ss.).
L'amministrazione straordinaria, nelle due varianti dell'amministrazione straordinaria «comune» (cui sono sottoposte le imprese che, singolarmente o come gruppo, abbiano almeno duecento dipendenti e un indebitamento non inferiore ai due terzi sia del totale attivo sia del fatturato dell'ultimo esercizio) e dell'amministrazione straordinaria «speciale» (cui sono ammesse le imprese ancor più rilevanti sotto il profilo del numero dei dipendenti e dell'esposizione debitoria) è regolata, dal D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (c.d. legge Prodi-bis) e dal D.l. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, varata per fronteggiare il gravissimo dissesto industriale e finanziario del gruppo Parmalat. Su entrambe le articolazioni di questa procedura si veda D. REGOLI, L'amministrazione straordinaria, in Diritto fallimentare…, cit., p. 375 e ss.
La procedura dell'amministrazione controllata prevista dalla originaria legge fallimentare è stata abrogata dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.
[nota 2] La riforma della legge fallimentare è stata attuata - secondo un modello già sperimentato di recente nel nostro ordinamento per il diritto societario - con il metodo della c.d. novellazione, ossia «attraverso una serie di amputazioni-sostituzioni e di innesti» che hanno però lasciato inalterata, sotto il profilo dell'articolazione, l'impalcatura di riferimento costituita dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (cfr. A. PIRAS, Prefazione, in Diritto fallimentare…, cit., p. XVIII).
[nota 3] Il testo dell'attuale legge fallimentare è il risultato delle modifiche apportate al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 da ultimo con il D.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80, dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (per brevità indicato, d'ora in avanti, anche come «novella del 2006») e, infine, dal D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (d'ora in poi designato anche come «correttivo» o «novella del 2007»).
[nota 4] Così sono tradizionalmente definiti in dottrina il fallimento e il concordato preventivo in quanto interamente disciplinati dalla legge fallimentare in contrapposizione alla liquidazione coatta amministrativa, che trova invece in tale legge una regolamentazione solo residuale (cfr. art. 194, primo comma, L. fall.).
[nota 5] Gli articoli della legge fallimentare sono indicati nel prosieguo senza essere seguiti dall'abbreviazione "L. fall." che, considerati i continui richiami, appesantirebbe inutilmente il testo.
[nota 6] N. ROCCO DI TORREPADULA, Il nuovo diritto fallimentare, Comm. diretto da A. Jorio, coordinato da M. Fabiani, t. I, artt. 1-103 L. fall., Bologna, 2006, sub art. 42, p. 695.
[nota 7] Cfr. ex multis Cass. 15 luglio 1995, n. 7748, in Dir. fall., 1996, II, p. 167 (solo la massima); Cass. 11 marzo 1994, n. 2382, in Fall., 1994, p. 819; Cass. 16 aprile 1992, n. 4705, ivi, 1992, p. 911; Cass. 22 novembre 1991, n. 12573, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, p. 510, con nota di P. BONTEMPI, «Il momento perfezionativo della sentenza dichiarativa di fallimento» e in Dir. fall., 1992, p. 734.
[nota 8] La decisione in camera di consiglio rappresenta soltanto un mero atto interno del procedimento di formazione del provvedimento giurisdizionale e può essere dal collegio «riveduta, corretta ed anche totalmente modificata sino a quando non avrà avuto il crisma dell'irretrattabilità e immodificabilità mediante la pubblicazione» (così Cass. 22 novembre 1991, n. 12573, cit., che prosegue «solo la pubblicazione … attribuisce forza, autonomia ed imperatività nel mondo esterno alla sentenza, idonea - solo a decorrere da tale data - a produrre gli effetti giuridici propri del comando giurisdizionale»).
[nota 9] F. DE SANTIS, Il nuovo diritto fallimentare, cit., sub art. 16, p. 338.
[nota 10] Cass. 18 agosto 1976, n. 3047, in Giust. civ., 1976, I, p. 1557.
[nota 11] La disciplina relativa alla diversa decorrenza degli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento è stata introdotta con la novella del 2006. Il correttivo non vi ha apportato modifiche di natura sostanziale, ma ne ha mutato la collocazione topografica: infatti, nel testo attuale dell'art. 16, novellato dal D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, la disciplina in questione è contenuta nel secondo comma; nel testo dell'art. 16 risultante dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, invece, era racchiusa nel terzo comma.
[nota 12] Così si legge testualmente nell'art. 17.
Sul punto si vedano i rilievi esposti nella successiva nota 13 e infra nel testo.
[nota 13] Segnalo: a) l'art. 16, secondo comma ultima parte, stabilisce che «gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel Registro delle Imprese ai sensi dell'art. 17, secondo comma»: in realtà il richiamato secondo comma dell'art. 17 si riferisce al contenuto dell'estratto della sentenza dichiarativa di fallimento, mentre le modalità relative all'esecuzione della pubblicità presso il Registro delle Imprese sono regolate dal terzo e quarto comma dell'art. 17; b) l'art. 16, secondo comma ultima parte, qualifica la formalità pubblicitaria da eseguirsi nel Registro delle Imprese come «iscrizione», mentre l'art. 17, terzo comma, dispone che la sentenza è «annotata» presso quell'ufficio (secondo F. SANTANGELI, Il nuovo fallimento. Commentario al R. D. 16 marzo 1942, n. 267 coordinato con le modifiche apportate dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 e dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, sub art. 16, Milano, 2006, p. 91, nota 5, si tratterebbe di un mero difetto di coordinamento terminologico). Su quest'ultimo punto la relazione illustrativa al correttivo non aiuta a fare chiarezza in quanto in essa si legge che sono state «dettate norme più precise per l'annotazione della sentenza attraverso la sua iscrizione presso l'ufficio del Registro delle Imprese».
Per una più approfondita analisi del contenuto precettivo degli artt. 16, secondo comma ultima parte e 17, terzo comma, si vedano le osservazioni svolte più avanti nel testo nonché M. MONTANARO, La riforma della legge fallimentare, a cura di A. Nigro e M. Sandulli, t. I, Artt. 1-103, sub art. 17, Torino, 2006, p. 96 e ss.
Alla data dell'«iscrizione» della sentenza dichiarativa nel Registro delle Imprese fa riferimento anche l'art. 18, quarto comma, ai fini della decorrenza del termine per il reclamo «per tutti gli altri interessati» diversi dal fallito (per il quale, invece, il suddetto termine decorre ai sensi della medesima disposizione dalla data della notificazione della sentenza).
[nota 14] Gli artt. 16 e 17 hanno subito modifiche marginali con il correttivo: la novità sostanziale della distinzione tra data della pubblicazione della sentenza dichiarativa e data dell'iscrizione del suo estratto presso il Registro delle Imprese ai fini della diversa decorrenza dei suoi effetti risale alla novella del 2006.
[nota 15] Cfr. N. ROCCO DI TORREPADULA, Il nuovo diritto fallimentare, cit., sub art. 42, p. 694 e nota 20, dove ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza.
[nota 16] La disarmonia è rimasta per cosi dire latente fino all'attuazione del Registro delle Imprese (cfr. l'abrogato art. 101 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 318 contenente le cosiddette disposizioni di attuazione del codice civile), ma è divenuta di tutta evidenza dal momento dell'entrata in vigore del D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581 recante il regolamento che ha reso operativi i Registri delle Imprese e con essi il regime di pubblicità previsto dall'art. 2193 c.c.
[nota 17] Sulla portata del principio sancito dall'art. 2193 c.c. cfr. G. MARASà - C. IBBA, Il Registro delle Imprese, Torino, 1997, p. 211 e ss.; C. VENTURI, Il Registro delle Imprese e il repertorio economico amministrativo, Milano, 1996, p. 26 e G. RAGUSA MAGGIORE, Il Registro delle Imprese, in Comm. cod. civ. diretto da P. Schlesinger, Artt. 2188-2202, Milano, 1989, p. 117 e ss.
[nota 18] Ai sensi dell'art. 31, secondo comma, della legge 24 novembre 2000, n. 340 «le domande, le denunce e gli atti che le accompagnano presentate all'ufficio del Registro delle Imprese … sono inviate per via telematica ovvero presentate su supporto informatico ai sensi dell'art. 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59» (e cfr. anche l'art. 4, primo comma, del D.P.R. 14 dicembre 1999, n. 558 che, non senza contrasti, si ritiene non integralmente abrogato dal citato art. 31 della legge n. 340/2000, in quanto continua ad esplicare i propri effetti «come fonte dell'obbligo di redigere le domande su "supporto informatico", senza l'utilizzo della firma digitale»: così M. PIRAZZINI, L'evoluzione del sistema di pubblicità legale: profili teorico-pratici e criticità, in L'applicazione della firma digitale al Registro delle Imprese, in Notariato, Rassegna sistematica di diritto e tecniche contrattuali, Quaderni, 8, s. l., 2002, p. 65).
Si tratta di un vero e proprio obbligo, a regime in via generale dal 9 dicembre 2002 (tranne che per gli imprenditori individuali e per i soggetti iscritti solo nel repertorio delle notizie economiche e amministrative per i quali le modalità e i tempi dell'assoggettamento a tale prescrizione devono a tutt'oggi essere ancora stabilite con il decreto ministeriale previsto dall'inciso finale del secondo comma dell'art. 31 in esame).
Il testo unico in materia di documentazione amministrativa, invece, stabilisce che tutte le istanze e le dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione o ai gestori o esercenti di pubblici servizi «possono essere inviate anche per fax e via telematica» (art. 38, primo comma, D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445).
Quest'ultima disposizione, dunque, tiene distinte la trasmissione via fax e quella effettuata per via telematica e consente di avvalersi dell'una o dell'altra.
Viene da chiedersi tuttavia se l'uso dello strumento telefax - cui tutt'oggi fanno ricorso le cancellerie per la trasmissione dell'estratto della sentenza dichiarativa di fallimento al Registro delle Imprese - sia legittimo alla luce della prescrizione contenuta nell'art. 31, secondo comma, della legge n. 340/2000 che, in quanto relativa ai soli procedimenti di competenza dell'ufficio del Registro delle Imprese, è da considerarsi legge speciale rispetto all'art. 38, primo comma, del D.P.R. n. 445/2000, norma generale riguardante tutti i procedimenti nei confronti di pubbliche amministrazioni (sul punto cfr. M. PIRAZZINi, L'evoluzione del sistema di pubblicità legale: profili teorico-pratici e criticità, cit., p. 60).
[nota 19] Il deposito su supporto informatico non consente a chi se ne avvale di beneficiare dei vantaggi propri della trasmissione in via telematica (risparmi di tempo, eliminazione di orari e code agli sportelli camerali o postali).
[nota 20] Il decreto ministeriale 20 gennaio 2004 (pubblicato in G. U. n. 21 del 27 gennaio 2004) ha disciplinato l'attivazione in via sperimentale, sino alla riforma dell'art. 6 del D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, della protocollazione automatica delle pratiche trasmesse per via telematica al Registro delle Imprese. Ai sensi dell'art. 2 di tale decreto il sistema automatico di protocollazione «garantisce l'attribuzione del numero di protocollo nella stessa giornata d'invio se effettuato in orario d'ufficio, o altrimenti entro il giorno lavorativo successivo, con rilascio di apposita ricevuta al mittente».
Tuttavia, se non ci si avvale della protocollazione automatica (in quanto l'impiego della procedura è facoltativo), l'invio telematico (mediante posta elettronica certificata) di una domanda d'iscrizione al Registro delle Imprese genera un documento interlocutorio, di incerta rilevanza giuridica, nel quale lo sportello telematico amministrativo, denominato Telemaco, attesta l'«accettazione della pratica» (identificata da un «codice») da parte dell'ufficio, nonché la data e l'ora di invio.
L'effettiva protocollazione, invece, avviene successivamente (spesso anche dopo diversi giorni) una volta che l'operatore del Registro delle Imprese, cui il sistema Telemaco ha assegnato quella stessa pratica, la prende in lavorazione al fine di eseguire i controlli richiesti all'ufficio prima di procedere all'iscrizione, ai sensi dell'art. 11, sesto comma, del D.P.R. n. 581/1995 ovvero nei più ristretti limiti fissati dall'art. 31, comma 2-ter, della legge 24 novembre 2000, n. 340 (sul sistema Telemaco cfr. S. NASONI, La verifica delle qualifiche con il documento informatico: Infocamere e la firma digitale, in L'applicazione della firma digitale al Registro delle Imprese, cit., p. 91 e ss.; sull'art. 31, comma 2-ter, sopra citato, che sottrae al Registro delle Imprese il controllo sull'iscrizione degli atti ricevuti o autenticati dai pubblici ufficiali affidando all'ufficio soltanto la competenza a verificare la mera regolarità formale della documentazione, si veda F. MAGLIULO, «Il ruolo del Registro Imprese nella riforma societaria», in Notariato, 2005, p. 51).
Evidente la distonia della descritta procedura con la regola sancita dall'art. 6 del D.P.R. n. 581/1995 ogni qualvolta la protocollazione non sia eseguita lo stesso giorno di ricevimento della pratica (ossia nella stessa data della cosiddetta «accettazione» da parte dello sportello telematico).
[nota 21] Il diverso termine di cinque o dieci giorni dalla data di protocollazione della domanda stabilito dall'art. 11, ottavo comma, del D.P.R. n. 581/1995 trae origine - come è evidente - dal differente tempo richiesto per la lavorazione delle pratiche presentate su supporto informatico rispetto a quelle cartacee. Attualmente il termine lungo ha ragion d'essere solo in relazione alle fattispecie per le quali non opera ancora l'art. 31, secondo comma, della legge n. 340/2000 (cfr. la precedente nota 18). Tuttavia anche la trasmissione dell'estratto della sentenza dichiarativa di fallimento eseguita tramite telefax dal cancelliere dovrebbe determinare l'applicazione del termine di dieci giorni (decorrenti dalla data di protocollazione) ai fini dell'iscrizione: ciò in quanto la trasmissione via fax non può concettualmente ricondursi a quella in via telematica e considerato inoltre che la prima obbliga gli operatori del Registro delle Imprese alla trasformazione in formato digitale dei dati contenuti nella domanda (ossia alla stessa attività richiesta nel caso di presentazione su supporto cartaceo).
[nota 22] F. SANTANGELI, Il nuovo fallimento…, cit., p. 87.
[nota 23] L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali, Torino, 2006, p. 99 e ss.
Secondo tale tesi colui che dopo la dichiarazione di fallimento: a) in buona fede esegue un pagamento al fallito, inefficace ex art. 44, secondo comma, è tuttavia liberato se la sentenza non è stata iscritta nel Registro delle Imprese; b) in buona fede riceve un pagamento o acquista un bene o un diritto in base ad un atto, inefficace ex art. 44, secondo comma, è parimenti tutelato se la sentenza non è stata iscritta nel Registro delle Imprese in quanto l'inefficacia non gli è opponibile.
[nota 24] Cfr. N. ROCCO DI TORREPADULA, Il nuovo diritto fallimentare, cit. sub art. 42, p. 695 e ss.
[nota 25] La tesi che si predilige implica il riconoscimento che l'atto proveniente da un soggetto privo di legittimazione a disporre (tale è il fallito dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa: cfr. infra la nota 70) sia comunque idoneo a rendere opponibile l'acquisto del terzo.
Tale circostanza non può dirsi inusuale nel nostro ordinamento che in materia di atti traslativi relativi a particolari tipi di beni affianca ai principi sostanziali, che ne disciplinano gli effetti tra le parti, regole che ne prescrivono la pubblicità in funzione della tutela dei terzi. Il tema è vastissimo e dalle innumerevoli articolazioni in ragione innanzi tutto della natura del bene oggetto dell'atto di disposizione (immobile, mobile registrato, quota di Srl) e del relativo regime di pubblicità.
In questa sede interessa però porre l'accento sul dettato dell'art. 2470, terzo comma, c.c. che, con riferimento alla c.d. doppia alienazione di quota di Srl, fissa una regola di risoluzione del conflitto tra i cessionari idonea ad ammettere la prevalenza di quello tra i due che abbia acquistato dal cedente quando costui era ormai privo del potere di disporre. La norma, infatti, stabilisce che se «la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel Registro delle Imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore».
Se è vero che l'art. 2470, terzo comma, c.c. stabilisce per la quota di Srl una disciplina analoga a quella dettata dall'art. 1155 c.c. per i beni mobili - cfr. per tutti M. MALTONI, (C. CACCAVALE - F. MAGLIULO - F. TASSINARI), La riforma della società a responsabilità limitata, in Notariato e nuovo diritto societario, collana diretta da G. Laurini, s. l. , 2007 (2 ed.), p. 234 e ss. - e che in entrambi i casi l'acquirente il quale vanta il titolo di data posteriore acquista a non domino, va sottolineato il ruolo svolto nella prima fattispecie dall'anteriorità dell'iscrizione nel Registro delle Imprese quale ulteriore elemento, insieme al titolo e alla buona fede, idoneo a determinare la prevalenza tra i due cessionari.
[nota 26] Sul punto rinvio alle relazioni del dott. Guido Federico e del notaio Paolo Guida in questo volume.
[nota 27] In argomento cfr. G. PETRELLI, Gli acquisti di immobili da costruire. Le garanzie, il preliminare e gli altri contratti, le tutele per l'acquirente (D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122), in Letture notarili, collana diretta da G. Laurini, s. l., 2005, p. 351 e ss. e F. DI MARZIO, «Crisi d'impresa e contratto. Note sulla tutela dell'acquirente dell'immobile da costruire», in Dir. fall., I, 2006, p. 31 e ss.
[nota 28] Avuto riguardo al principio sancito dall'art. 9, primo comma, della originaria legge fallimentare, non modificato dalla novellazione, secondo cui «il fallimento è dichiarato dal Tribunale del luogo dove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa», la giurisprudenza e la pressoché unanime dottrina (per ogni riferimento si rinvia a P. CELENTANO, La riforma della legge fallimentare, cit., sub art. 9, p. 36 e ss.) erano concordi nell'affermare che la sede dell'impresa rilevante ai fini della competenza fosse quella effettiva e che questa, in linea di principio, dovesse presumersi coincidente con quella legale risultante dal Registro delle Imprese, salvo prova contraria.
[nota 29] L'ufficio del Registro delle Imprese è istituito presso la Camera di commercio (art. 8, primo comma, legge 29 dicembre 1993, n. 580).
Le Camere di commercio hanno sede in ogni capoluogo di provincia e la loro circoscrizione territoriale coincide, di regola, con quella della provincia o dell'area metropolitana di cui all'art. 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (art. 1, secondo comma, legge 29 dicembre 1993, n. 580).
[nota 30] Salva l'ipotesi di sedi secondarie con rappresentanza stabile: cfr. art. 2197, primo e secondo comma, c.c.
[nota 31] Il cancelliere procederà alle due trasmissioni pressoché contestualmente, ma non è detto che coincidano i tempi di lavorazione degli uffici delle imprese che le ricevono.
[nota 32] Secondo la disposizione citata nel testo l'iscrizione consiste «nell'inserimento nella memoria dell'elaboratore elettronico e nella messa a disposizione del pubblico sui terminali per la visura diretta del numero dell'iscrizione e dei dati contenuti nel modello di domanda».
[nota 33] Sulla efficacia dichiarativa e di certificazione anagrafica della pubblicità commerciale cfr. F. TASSINARI, Il procedimento di iscrizione nel Registro delle Imprese: prospettive di diritto commerciale, in L'applicazione della firma digitale al Registro delle Imprese, cit., p. 129 e ss.
[nota 34] Di diverso avviso L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali, cit., p. 98, nota 2, secondo cui «entrambe le annotazioni» sarebbero necessarie per l'opponibilità ai terzi della sentenza di fallimento.
In realtà, come scrivo nel testo, non si tratta di due annotazioni, ma di un'iscrizione e di un'annotazione.
[nota 35] La norma aggiunge che il Tribunale «può inoltre disporne la pubblicazione in uno o più giornali da esso indicati» e che se «il debitore possiede beni immobili o altri beni soggetti a pubblica registrazione, si applica la disposizione dell'art. 88, secondo comma».
[nota 36] Cfr. AA. VV., Codice del fallimento, a cura di P. Pajardi, Milano, 1997 (3 ed.), p. 1059 e la dottrina ivi citata.
[nota 37] Certo, la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo denota un atteggiamento collaborativo dell'imprenditore, che induce a considerare improbabile il compimento di atti diretti alla sottrazione dei beni ai creditori nel periodo immediatamente successivo alla pubblicazione del decreto che dà avvio alla procedura. Ma tale rilievo empirico non può avere il sopravvento su considerazioni di ordine sistematico.
[nota 38] L'art. 167, ultimo comma, sanziona di inefficacia relativa gli atti in esso specificamente indicati e, in genere, tutti quelli eccedenti l'ordinaria amministrazione compiuti dal commissario giudiziale senza l'autorizzazione scritta del giudice delegato.
[nota 39] M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle crisi, in Diritto fallimentare…, cit., p. 101.
[nota 40] Si riporta per comodità di lettura il testo dell'art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 introdotto dalla novella del 2006:
«Art. 1 - Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo.
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.
Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente:
a. hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila;
b. hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.
I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni, con decreto del Ministro della Giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento».
[nota 41] Grava sull'imprenditore fallendo l'onere di fornire la prova della sussistenza congiunta di tutti e tre i requisiti di non fallibilità, intesi come fatti impeditivi della dichiarazione di fallimento. Cfr. G. ACCIARO - P. CEROLI - V. DE MICHELE - A. MARCHEGIANI, L. MARTINO - C. SABATTINI, La controriforma al diritto fallimentare. Primi commenti al decreto correttivo del 7 settembre 2007, Milano, 2007, p. 14; G. CHERUBINI - M. DI TERLIZZI, La nuova legge fallimentare. Dal D.lgs. 5/2006 al decreto correttivo 169/2007, Milano, 2007, p. 4.
La nuova disposizione - si legge nella relazione illustrativa - supera i gravi problemi interpretativi emersi sotto il previgente testo dell'art. 1 in materia di onere della prova circa il presupposto soggettivo del fallimento ed evita «di "premiare" con la non fallibilità quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non depositano la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali».
[nota 42] Cfr. la relazione illustrativa all'art. 1.
Sul punto si veda anche A. CAIAFA, La legge fallimentare riformata e corretta, Padova, 2008, p. 57.
[nota 43] Cfr. F. SANTANGELI, Il nuovo fallimento…, cit., sub art. 1, p. 7 e ss.
[nota 44] M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle crisi, in Diritto fallimentare…, cit., p. 105.
[nota 45] In tal senso M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle crisi, in Diritto fallimentare…, loc. cit., il quale esclude che il riferimento temporale sia relativo «alla media delle risultanze finali dei tre esercizi» ovvero «al dato medio ricavabile nel corso dei tre esercizi».
[nota 46] M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle crisi, in Diritto fallimentare…, loc. cit., p. 105.
[nota 47] Non va dunque considerato l'esercizio in corso al momento dell'istanza di fallimento.
[nota 48] M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle crisi, in Diritto fallimentare…, cit., p. 106.
Se si tratta di imprenditore individuale i «ricavi lordi» in prima battuta saranno desumibili dalle risultanze dei registri e delle dichiarazioni Iva, che riportano il fatturato complessivo dell'impresa (cfr. F. SANTANGELI, Il nuovo fallimento…, cit., sub art. 1, p. 15).
[nota 49] M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle crisi, in Diritto fallimentare…, loc. cit.
L'Autore sottolinea che il parametro quantitativo relativo ai debiti unito al fatto che l'esclusione dal fallimento è subordinata al possesso congiunto dei tre requisiti dimensionali stabiliti dall'art. 1 impedisce il risultato paradossale di sottrarre alla procedura concorsuale le imprese, anche di rilevanti dimensioni, le quali nell'ultimo periodo abbiano perso i propri cespiti attivi ovvero abbiano avuto ricavi ridotti e altresì quelle scarsamente patrimonializzate ma che abbiano fatto ampio ricorso al credito e ai finanziamenti esterni.
[nota 50] L'ultimo comma dell'art. 1, per evitare che i limiti quantitativi da esso stabiliti diventino inadeguati con il decorso del tempo, prescrive che il Ministro della giustizia li adegui con proprio decreto e con cadenza triennale sulla base della media delle variazioni degli indici Istat (dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relative al triennio cui l'aggiornamento si riferisce); a tali modalità rinvia espressamente anche l'art. 15, ultimo comma, per l'aggiornamento periodico dell'importo relativo ai debiti scaduti.
[nota 51] M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle crisi, in Diritto fallimentare…, cit., p. 107.
[nota 52] M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle crisi, in Diritto fallimentare…, loc. cit.
[nota 53] In tale contesto era ancora più accentuata la contraddizione del sistema che continuava ad assoggettare al fallimento il piccolo commerciante che esercitava la propria attività in forma di società di persone o di società a responsabilità limitata con unico socio. Cfr. C. CECCHELLA, Il diritto fallimentare riformato, Milano, 2007, p. 29.
[nota 54] P. PISCITELLO, Ambito di applicazione delle discipline delle crisi, in Diritto fallimentare…, cit., p. 109.
[nota 55] Espressamente ammessa l'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili anche quando essi non sono persone fisiche: eventualità da mettere in relazione con le disposizioni che consentono la partecipazione di società di capitali in società di persone (cfr. art. 2361 c.c. e art. 111-duodecies disp. att. c.c.).
[nota 56] Nella prassi degli uffici giudiziari la sentenza veniva affissa all'albo del Tribunale.
[nota 57] Stante l'abolizione dei fogli degli annunzi legali delle province disposta dall'art. 31, primo comma, della legge 24 novembre 2000, n. 240, sotto il profilo sostanziale l'abrogazione della formalità pubblicitaria di cui parlo nel testo non è opera della novella del 2006, che ha solo adeguato il testo normativo.
[nota 58] Nel caso del decreto di ammissione al concordato preventivo la relativa trascrizione è eseguita dal commissario giudiziale: al riguardo valgono le stesse considerazioni esposte in appresso nel testo per la trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento.
[nota 59] Cfr. A. ETTORRE - S. IUDICA, La pubblicità immobiliare e il testo unico dell'imposte ipotecaria e catastale, Milano, 2007 (3 ed.), p. 310 e ss. e ivi ampie indicazioni di dottrina e giurisprudenza cui adde Trib. Modena 13 gennaio 1987, in Dir. fall., 1987, II, p. 750.
[nota 60] Sulle differenze relative alla pubblicità della sentenza dichiarativa di fallimento nel sistema a base personale e in quello tavolare cfr. A. ETTORRE - S. IUDICA, La pubblicità immobiliare e il testo unico dell'imposte ipotecaria e catastale, cit. p. 308.
[nota 61] Sulle modalità di esecuzione di tale trascrizione si veda il parere del Ministero della giustizia - Dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale della giustizia civile e la conseguente circolare n. 3/2003 del 23 aprile 2003 prot. n. 33960 della Direzione dell'Agenzia del territorio. Entrambi sono riportati, per ampi stralci, in A. ETTORRE - S. IUDICA, La pubblicità immobiliare e il testo unico dell'imposte ipotecaria e catastale, cit., p. 313.
[nota 62] Cfr., per tutti, F. FERRARA, Il fallimento, Milano, 1974, p. 443.
[nota 63] La norma - è noto - stabilisce che i «cancellieri dei Tribunali, delle Corti o sezioni di Corte di appello, debbono trasmettere prontamente al Consiglio notarile ed all'Archivio notarile del luogo un estratto di tutte le sentenze civili e penali divenute irrevocabili portanti interdizione, inabilitazione, dichiarazione di fallimento e annullamento di concordato tra falliti e loro creditori … » e che il presidente del Consiglio notarile deve comunicare «detto estratto per copia ai notari del distretto ed ai presidenti degli altri Consigli notarili, compresi nella circoscrizione territoriale della Corte d'appello» affinché essi possano darne comunicazione ai notai del rispettivo distretto.
Tali obblighi permangono, pur avendo la novella del 2006 soppresso il pubblico registro dei falliti che doveva essere tenuto presso la cancelleria di ciascun Tribunale: cfr. M. DI FABIO, Manuale di notariato, Milano, 2007 (2 ed.), p. 321 e ss.
[nota 64] Molti Tribunali (senza pretesa di completezza: Ancona, Aosta, Avellino, Bergamo, Brindisi, Cagliari, Como, Crotone, Fermo, Isernia, La Spezia, Messina, Milano, Monza, Padova, Palermo, Patti, Perugia, Pescara, Ravenna, Rimini, Rovigo, Salerno, Santa Maria Capua Vetere, Trento, Treviso, Verbania, Venezia, Verona, Vicenza) consentono, collegandosi ai loro siti web, di avere notizia e di prendere visione delle sentenze dichiarative di fallimento. Il servizio, per quanto ho potuto sperimentare, garantisce un'informazione tempestiva nella maggioranza dei casi.
[nota 65] Cfr. N. ROCCO DI TORREPADULA, Il nuovo diritto fallimentare, cit., sub art. 46, p. 737; S. PACCHI, La riforma della legge fallimentare, cit., sub art. 46, p. 299; C. MOTTI, Il fallimento. L'attivo (§§ 64-69), in Diritto fallimentare…, cit., p. 216.
[nota 66] Sul punto si veda N. ROCCO DI TORREPADULA, Il nuovo diritto fallimentare, cit. sub art. 46, p. 743 nonché la dottrina e la giurisprudenza di merito ivi citate alla nota 24.
Secondo Cass. 20 giugno 2000, n. 8379, in Giust. civ., 2000, I, p. 2584, invece, i beni costituiti in fondo patrimoniale non sono compresi nel fallimento, in quanto, pur appartenendo al fallito, rappresentano un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento di specifici scopi che prevalgono sulla funzione di garanzia per la generalità dei creditori.
[nota 67] Sulla disciplina stabilita dall'art. 169 c.c. e sulle clausole in deroga introducibili nell'atto costitutivo del fondo cfr., da ultimo, G. TRAPANI, «Il fondo patrimoniale come strumento di soddisfazione dei bisogni della famiglia», in Notariato, 2007, p. 678 e ss.
Sugli altri atti che l'imprenditore fallito poteva compiere personalmente (revoca di precedente donazione, riconoscimento di figlio naturale, testamento) anche prima della novellazione nulla è mutato.
[nota 68] Si vedano le precedenti note 9 e 10 e il testo corrispondente.
[nota 69] Cfr. il punto 48-bis della sezione I del capo III del codice deontologico.
[nota 70] Poiché il fallito viene privato della legittimazione a disporre ma non della capacità di agire gli atti da lui compiuti sono validi benché inefficaci nei confronti dei creditori. La validità dell'atto non è priva di rilievo concreto: se il fallimento si chiude senza che venga coattivamente venduto il bene di cui il fallito ha disposto, l'acquisto del suo avente causa rimane fermo.
Per ulteriori implicazioni cfr. L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali, cit., p. 98.
|