Le vendite competitive all'interno della riforma della liquidazione dell'attivo ed il ruolo del notaio
Le vendite competitive all'interno della riforma della liquidazione dell'attivo ed il ruolo del notaio
di Piervincenzo D'Adamo
Avvocato in Bologna

Profili generali delle vendite nella nuova legge fallimentare

Il decreto legislativo n. 5 del 9 gennaio 2006 e successivamente il correttivo D.l. 12 settembre 2007, n. 169 hanno innovato la fase di liquidazione dell'attivo che contraddistingue la disciplina della procedura fallimentare.

Oggetto di particolari dubbi interpretativi e di altrettante mancanze logico strutturali è l'art. 107 della nuova legge fallimentare che si và ad incasellare nel capo IV della legge stessa nella parte in cui si disciplina l'esercizio provvisorio e la liquidazione dell'attivo, ed in particolar modo nella sezione III dello stesso capo, in cui si disciplina la vendita degli immobili.

L'analisi della nuova normativa relativa alla liquidazione dell'attivo evidenzia come primo elemento destrutturante il mancato richiamo alle regole generali del processo esecutivo.

La precedente legge fallimentare riportava con chiarezza nell'art. 105 che tutte le vendite fallimentari erano sottoposte alle regole dettate dal codice di procedura civile compatibilmente con le specificità della procedura concorsuale in esame.

Tale affermazione tanto era vera quanto era stata evidenziata nella stessa relazione al Re illustrativa del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 in cui il ministro competente evidenziava come «la liquidazione dell'attivo del fallimento ha richiesto poche disposizioni poiché la riforma già in atto dell'espropriazione individuale ha reso tanto semplice e snella la procedura che l'art. 105 della legge ha potuto rinviare puramente e semplicemente ad essa per quel che concerne la vendita dei beni mobili ed immobili del fallito».

La dottrina prima e la giurisprudenza successivamente avevano equilibrato ulteriormente il rapporto tra vendite fallimentari e ordinamento processuale sottolineando l'assoluto compatibile allineamento tra gli effetti civili della vendita coattiva, così come disciplinati negli artt. 2919-2929 del codice civile, e la vendita nelle procedure concorsuali [nota 1].

Nell'intento di modificare radicalmente i supporti strutturali dell'impianto alienativo della nuova procedura fallimentare il legislatore ha omesso consapevolmente il collegamento alle discipline del codice di rito in materia coattiva e ha fatto riferimento a concetti del tutto nuovi come le "vendite competitive" contenute nell'art. 107 L. fall. [nota 2], salvo l'ultimissima modifica dello stesso articolo che al secondo comma prevede una nuova ed ulteriore possibilità per il curatore vale a dire la possibilità di lasciare le vendite di beni immobili, mobili e mobili registrati al giudice delegato secondo le regole del codice di rito.

La norma appena citata delinea un nuovo impianto liquidativo: «le vendite e gli altri atti di liquidazione sono effettuati dal curatore, tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati».

Innanzi tutto l'art. 107 introduce una assoluta novità cioè l'attribuzione al curatore di compiti relativi alla materiale liquidazione dei beni facenti parte della massa attiva della procedura in corso; sarà dunque tale figura a dover stabilire le modalità attraverso le quali monetizzare i diritti del patrimonio del fallito. Tali decisioni, ovviamente, non sono prive di controllo, tanto è vero che l'art. 104-ter, introduce una sorta di programma preventivo di monetizzazione sottoposto al vaglio del giudice delegato che è chiamato "Programma di liquidazione".

Come si diceva il curatore entro 60 giorni dalla redazione dell'inventario deve predisporre un programma di liquidazione, programma che deve essere sottoposto al vaglio del comitato dei creditori e all'approvazione del giudice delegato. Questo programma di liquidazione altro non è che lo strumento processuale con il quale si razionalizza il percorso di monetizzazione del patrimonio del fallito, ed è in questo momento che il curatore deve indicare al comitato dei creditori e al giudice delegato quali siano le modalità con le quali provvederà ad alienare i beni immobili e mobili oggetto del fallimento; per esser chiari è questo il momento in cui il curatore deve indicare quali delle procedure competitive intenderà utilizzare per ottenere il massimo attivo possibile [nota 3].

Il nuovo art. 104-ter ed i nuovi sistemi di controllo sul programma di liquidazione

Il correttivo D.l. 12 settembre 2007, n. 169, a differenza di quello che tutta la dottrina prevedeva si è spinto ancora molto più in là sulla strada della privatizzazione della procedura fallimentare modificando il primo comma e quindi limitando l'approvazione del programma di liquidazione al solo comitato dei creditori e prevedendo nell'ultimo comma che «il programma approvato è comunicato al giudice delegato che autorizza l'esecuzione degli atti ad esso conformi».

Sulla effettiva portata di tale disposizione la dottrina si è decisamente spaccata in due. Da un lato vi sono quegli autori che ritengono che il legislatore del 2007 abbia portato alle estreme conseguenze il concetto di privatizzazione della procedura fallimentare enfatizzando, quindi la centralità del comitato dei creditori a discapito della funzione di controllo giurisdizionale esercitata dal giudice delegato, che, invece, diventa un mero notaio, quale verificatore della rispondenza dei singoli atti, posti in essere dal curatore, al programma di liquidazione, stando attento a che il singolo atto sia sincronico rispetto alla legislazione vigente, evitando, quindi, la c.d. violazione di legge [nota 4]. Questa corrente dottrinale ha addirittura ipotizzato che la nuova norma abbia degli estremi di illegittimità, per eccesso di delega [nota 5]. Secondo alcuni autori, in realtà con il nuovo art. 104-ter si è giocato sull'equivoco indotto dal fatto che nella delega al governo si parlava di autorizzazione del giudice, ma con riferimento al programma di liquidazione e non ai singoli atti; quindi, in sostanza il diverso sistema di controllo evidenziato dal nuovo art. 104-ter nascerebbe sostanzialmente da un quid pro quo.

Dall'altro lato vi sarebbe al contrario tutta quella dottrina che, ritiene che la nuova norma non solo non abbia depotenziato la funzione del giudice delegato ma lo abbia addirittura enfatizzato [nota 6]. Gli autori a cui si fa cenno ipotizzano un doppio livello di controllo con funzioni e metodi di rilievo profondamente diversi: il primo più generico ma più organico effettuato dal comitato dei creditori sull'intero programma di liquidazione, il secondo più analitico, più complesso e maggiormente approfondito effettuato dal giudice delegato ogni volta che il curatore stia per compiere un atto volto alla monetizzazione dei diritti del fallito.

La dottrina a cui si fa riferimento ritiene che la funzione prima di un giudice delegato è quella di vigilare e controllare sulla regolarità della procedura; limitare la sua funzione a mera certificazione della rispondenza degli atti a quanto già approvato da altri significherebbe togliere contenuto e destituire di fondamento logico-processuale la stessa figura del giudice delegato. Al contrario si ritiene che l'autorizzazione dei singoli atti conformi al programma di liquidazione abbia introdotto un nuovo e più capillare sistema di controllo del giudice delegato. Partendo da una nuova visione di questa figura e pensando al business judgement rule si è voluto attribuire al giudice delegato un controllo analitico dei singoli atti di liquidazione posti in essere dal curatore ed approvati dal comitato dei creditori.

La dottrina più evoluta [nota 7] ha dato una spiegazione, a nostro avviso, assai convincente dell'innovazione apportata dal nuovo 104-ter L. fall.; secondo tale corrente dottrinale «la funzione di correzione dell'art. 104-ter stà nel fatto che si vuole indurre all'analicità ed alla chiarezza, nel senso che gli atti autorizzati come desumibili dal programma di liquidazione siano anche essi specificamente individuabili e non debbano essere desunti come accadeva prima dell'intervento correttivo in commento, ex post come evincibili dall'approvazione del programma».

Si tende quindi a pensare che il correttivo abbia voluto ovviare ad un problema pratico che si stava verificando in tutte le nuove procedure fallimentari. In concreto si ravvisava una estrema genericità dei programmi di liquidazione che soltanto in modo grossolano evidenziavano quale fosse il percorso di monetizzazione dei diritti patrimoniali del fallito. Questo programma di liquidazione veniva approvato da un comitato dei creditori spesso inesistente o a composizione limitata e sicuramente difficoltosa e di default approvato anche dal giudice delegato.

Un sistema di questo genere lasciava moltissime incognite sui singoli passaggi liquidativi che ovviamente non potevano, anche se avrebbero dovuto, essere specificati nel programma di liquidazione e che quindi costringevano gli organi della procedura ad una interpretazione ex post degli atti considerati autorizzati alla luce del programma di liquidazione. Si otteneva una sorta di interpretazione estensiva del programma di liquidazione e delle sue singole componenti, e di una autorizzazione successiva e consequenziale di tutti gli atti posti in essere dal curatore successivamente e che venivano considerati legittimi e congrui per il sol fatto che nascessero, anche lontanamente, da una singola parte del programma di liquidazione approvato.

Il controllo analitico dei singoli atti posti in essere dal curatore e sottoposti all'autorizzazione del giudice delegato, è stato previsto, proprio per evitare l'inconveniente di una autorizzazione estensiva ad effetto posticipato; tale previsione evita che gli atti di liquidazione posti in essere debbano essere interpretati ex post e li sottopone, invece ad un controllo a maglie strette che muta ed enfatizza, allo stesso momento, la funzione del giudice delegato che da organo di indirizzo e controllo processuale assorbe alcune funzioni tipiche del comitato dei creditori ed espande il suo potere di verifica e controllo anche «alla convenienza economica tout court ossia di stretto merito nei limiti della discrezionalità tecnica del curatore» [nota 8].

Le regole generali che caratterizzano le procedure competitive

Parte della dottrina introduce il sospetto che il legislatore nel modificare l'art. 107 della legge fallimentare non abbia potuto esimersi dal fare i conti con le ingombranti best practices che tanto avevano dato alla razionalizzazione delle esecuzioni individuali [nota 9] pur non riuscendo ad ottenere quel procedimento di "flessibilizzazione" che una economia così evoluta e variegata, come la nostra, richiede in una fase così delicata come quella della monetizzazione dei diritti [nota 10]; la stessa dottrina chiama a connotato intrinseco delle procedure competitive «l'apertura alla competizione tra gli offerenti».

Probabilmente pur prendendo atto di una assoluta difficoltà di individuazione di quelle che possono essere qualificate come procedure competitive, può essere data una ulteriore chiave di lettura delle procedure evidenziate dall'art. 107, pensando alle procedure competitive come a dei meccanismi processuali che siano finalizzati all'ottenimento del miglior risultato possibile, nel minor tempo possibile, con la maggior trasparenza possibile, e non soltanto a meccanismi alienativi che si riducano ad una competizione tra più interessi contrastanti sulla base di regole preventivamente determinate.

Proprio in coerenza con quanto appena evidenziato gli artt. 105 e seguenti della riformata legge fallimentare dettano alcune regole di base volte proprio a permettere che la competitività passi attraverso gli indici di garanzia prima evidenziati (prezzo, tempo, trasparenza).

Il raggiungimento del prezzo più alto possibile si ottiene attraverso una sorta di potere di veto attribuito sia al giudice delegato sia al curatore. L'art. 108 stabilisce che «il giudice delegato, su istanza del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero» continua lo stesso art. 108 evidenziando una seconda condizione di espletamento di questo potere di veto attribuito al giudice delegato «su, istanza presentata dagli stessi soggetti entro 10 giorni dal deposito di cui al quarto comma dell'art. 107, impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto tenuto conto delle condizioni di mercato». è evidente che uno degli strumenti principali per ottenere il prezzo più alto possibile è quello di permettere all'organo garante della procedura di intervenire sospendendo la vendita o impedendo il trasferimento quando il prezzo di aggiudicazione non sia il più alto possibile. Ad un attento lettore non può non risaltare agli occhi lo stretto collegamento, anche linguistico tra il citato art. 108, I comma L. fall. e l'art. 586 c.p.c.

Tale norma attribuisce al giudice dell'esecuzione gli stessi poteri a cui abbiamo appena fatto cenno: «avvenuto il versamento del prezzo il giudice dell'esecuzione può sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto … ». Questa osmosi normativa tra procedure concorsuali e procedure individuali riscontrabile nel collegamento funzionale tra art. 108 L. fall. e art. 586 c.p.c. potrebbe mettere in dubbio l'opinione di chi ha sicuramente escluso che il legislatore abbia voluto creare, come nella disciplina precedente, un collegamento logico-processuale con il codice di rito.

Ritornando ai "poteri di veto" a cui si faceva cenno in precedenza il terzo comma dell'art. 107 L. fall. attribuisce un analogo potere di sospensione allo stesso curatore: «il curatore può sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d'acquisto migliorativa per un importo non inferiore al 10 per cento del prezzo offerto». Questa norma impone un giusto equilibrio tra certezza e valore dell'offerta e risparmio processuale, facendo proprio un principio processuale già presente nella procedura senza incanto relativa alle esecuzioni individuali che, nell'art. 572 c.p.c, attribuisce certezza di accoglimento soltanto a quelle offerte che siano superiori di 1/5 al prezzo base d'asta: «se l'offerta è superiore al valore dell'immobile determinato a norma dell'art. 568, aumentato di un quinto, la stessa è senz'altro accolta». Anche in questo caso il collegamento logico-funzionale tra legge fallimentare e codice di rito contribuisce a mettere in dubbio l'opinione di quella dottrina che ritiene escluso il richiamo ai principi generali delle esecuzioni individuali disciplinate dal codice di procedura civile [nota 11].

Non da ultimo è importante sottolineare l'indice di garanzia processuale rappresentato dalla trasparenza, tanto è vero che il secondo comma dell'art. 107 L. fall. obbliga il curatore, in materia immobiliare, ad una operazione di notificazione dell'attività alienativa, prima che essa sia completata, a tutti i creditori ipotecari e a quelli dotati di privilegio affinchè possano ottemperare al loro onere di sorveglianza e di controllo dell'operato del curatore e delle operazioni di monetizzazione che ha posto in essere.

La osmosi tra legge fallimentare e codice di rito è ulteriormente confermata dal nuovo secondo comma dell'art. 107 L. fall. che ha introdotto a chiare lettere la possibilità per il curatore, di chiedere che le vendite di beni mobili, immobili e mobili registrati siano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni di quel codice di procedura civile che tanto si voleva allontanare dalle regole generali della nuova legge fallimentare.

Il primo comma dell'art. 107 legge fallimentare e le procedure competitive

Il primo comma dell'art. 107 L. fall. è norma di particolare interesse, ma non di immediata analisi, visto il riferimento a concetti astratti, come le "procedure competitive", o il richiamo a caratteristiche essenziali delle esecuzioni individuali, pur rifiutando, però, un collegamento espresso al codice di procedura civile.

Riservandoci successivamente un tentativo di individuazione di quelle che sono, processualmente, le procedure competitive non possiamo esimerci dall'evidenziare che il curatore nell'utilizzare le procedure competitive nell'intento finale di ottenere il prezzo più alto possibile deve assicurare alle stesse "adeguate forme di pubblicità". Anche in questo caso è evidente il richiamo a quelle che sono state le esperienze delle c.d. best practices in materia di esecuzione individuale, che per prima avevano compreso l'importanza di un adeguato accesso alle informazioni relative all'immobile oggetto di vendita, portando il legislatore a modificare radicalmente l'art. 490 c.p.c., introducendo ad esempio la pubblicità informatica, attraverso l'inserzione dei provvedimenti di vendita, la perizia e le foto su appositi siti internet [nota 12].

Altro strumento chiaramente acquisito dalle prassi virtuose che avevano spinto il legislatore del 2005 a modificare radicalmente le procedure esecutive individuali è il diffuso utilizzo dei periti stimatori; nella norma si fa espresso riferimento a «stime effettuate … da operatori esperti». Anche in questo caso è evidente l'intento del legislatore di permettere che il momento alienativo della fase di liquidazione del fallimento parta da un valore reale più vicino possibile a quello di commercio.

Altra importante innovazione apportata dal nuovo art. 107 L. fall. è l'espresso richiamo a "soggetti specializzati" di cui si può avvalere il curatore per attivare le procedure competitive. A nostro avviso il riferimento è volto ad individuare quei soggetti che possano ausiliare il curatore al cospetto di beni o condizioni di vendita particolari; si pensi all'alienazione di diritti di credito che necessitino di accesso a mercati borsistici o finanziari caratterizzati da circuiti a partecipazione limitata, oppure ad alienazioni immobiliari su circuiti internazionali in cui sia necessario uno strumento di intermediazione per immobili di ampissimo rilievo economico. In tutti questi casi non era, già prima della riforma, difficile immaginare l'utilizzo di broker o di intermediatori finanziari o immobiliari di levatura internazionale; oggi l'art. 107 riformato evidenzia con chiarezza l'esigenza, per la procedura, di adeguarsi con velocità ed efficienza, alle condizioni particolari dei diritti da monetizzare, utilizzando i soggetti e gli strumenti più idonei per ottenere il risultato migliore nel minor tempo possibile.

Non si deve dimenticare che sia le adeguate forme di pubblicità a cui fà riferimento la norma in esame, sia i criteri di onorabilità e professionalità degli "operatori esperti" e dei "soggetti specializzati" verranno stabiliti con apposito regolamento del Ministero di giustizia [nota 13] così come ricorda l'ultimo comma dello stesso art. 107 L. fall.

Riassumendo con chiarezza tutti i tratti essenziali dei procedimenti di monetizzazione nascenti dalla richiamata riforma della procedura fallimentare, a cui abbiamo appena fatto cenno, si può arrivare ad individuare i caratteri tipo delle c.d. procedure competitive; queste, ad una prima lettura della norma sembrano essere caratterizzate da:

1. un sistema incrementale di offerte, che ponga in competizione tutti gli offerenti; sistema finalizzato al raggiungimento del prezzo più alto possibile nel minor tempo possibile;

2. un funzionamento procedimentale altamente trasparente in cui tutte le parti della procedura concorsuale siano sempre a conoscenza dei passaggi e dei risultati. Ciò è garantito, anche, da un adeguato sistema di pubblicità, che ha garantito e garantisce, anche nelle procedure individuali, da ogni rischio di discrezionalità degli organi della procedura stessa.

3. da meccanismi alienativi volti al risparmio processuale, quindi gare altamente informali, modalità di partecipazione facilitate, strumenti di versamento del prezzo altamente efficienti, strumenti di sganciamento dalla vendita altamente velocizzati e non burocraticizzati.

Le procedure competitive

Buona parte di tutta la recente dottrina, che si è presa il grave onere di confrontarsi con le astratte definizioni presenti nelle norme che hanno modificato la fase liquidativa della procedura fallimentare, concorda nell'affermare che possono rientrare tra le procedure competitive la trattativa privata e la licitazione privata [nota 14].

Alcuni autori [nota 15] si spingono ad una classificazione ulteriore delle procedure competitive distinguendo tra vendite a procedure competitive semplificate tra cui si annovera sicuramente la vendita mobiliare a offerte private, nella quale si riconosceva al giudice delegato ampi spazi di discrezionalità quanto alle modaliltà della vendita e alla selezione dell'acquirente [nota 16], e vendite a procedure competitive rigide di cui sono l'espressione più evidente la procedura di vendita con incanto e la procedura di vendita senza incanto [nota 17]. Da questo, e dalle caratteristiche intrinseche delle stesse categorie, gli autori citati fanno nascere una naturale esclusione dalle procedure competitive di tutti quei meccanismi alienativi che «non conoscano una fase competitiva tra gli offerenti, quali le procedure ad offerte chiuse, in cui si procede alla scelta in favore dell'offerta maggiore senza una ulteriore gara tra gli interessati» nonchè «di tutte quelle procedure che prevedevano la possibilità che all'inadempimento dell'acquirente subentri automaticamente l'ultimo degli offerenti in aumento» [nota 18] .

Altra parte della dottrina [nota 19] fa rientrare indistintamente tra le procedure competitive sia la vendita a licitazione privata che l'istituto della trattativa privata; tale corrente dottrinale si spinge ancora oltre escludendo che tra le procedure competitive possano essere annoverate la vendita senza incanto e la vendita con incanto. Tale dottrina giustifica questa posizione scientifica affermando che nel processo esecutivo individuale è il giudice dell'esecuzione che stabilisce le modalità della vendita, controlla i meccanismi concorrenziali, invita gli offerenti alla gara, assume ogni provvedimento relativo all'aggiudicazione, al versamento del prezzo ed infine al trasferimento del bene espropriato, mentre nella fase liquidativa del fallimento, nata dalla riforma del D.lgs. 5/2006, questo potere che prima era attribuito al giudice delegato oggi gli è tolto senza che il curatore possa surrogarlo «in compiti propri del giudice dell'esecuzione nell'esercizio di poteri che la legge non gli attribuisce più».

La stessa dottrina ritiene che, al massimo, possano essere mutuate dal codice di procedura civile, mai richiamato nella fase di liquidazione della procedura fallimentare riformata, alcune regole generali delle procedure espropriative individuali tra cui il sistema concorrenziale delle offerte, l'analisi dei requisiti degli offerenti, la disciplina delle cauzioni, «ma certamente non si potranno applicare le norme, ad es. in materia di deliberazioni sull'offerta, in tema di vendita senza incanto, nè si potranno applicare le norme di cui all'art. 591-bis di delega delle operazioni di vendita, nè infine quelle sulla nomina dell'amministratore giudiziario o la custodia che presuppongono l'esercizio di poteri del giudice».

Analisi d'insieme delle tecniche di monetizzazione del patrimonio del fallito

Durante il lungo percorso di analisi delle c.d. procedure competitive si è evidenziato chiaramente che il legislatore, secondo alcuni autori [nota 20], non ha voluto richiamare il codice di rito per sopperire alle regole generali e di dettaglio della procedura fallimentare; si è anche cercato di evidenziare che molto spesso le stesse norme della riformata fase liquidativa sono strutturate sugli stessi supporti linguistici e concettuali delle norme delle procedure esecutive individuali (ad es., art. 108 in collegamento con l'art. 586 c.p.c, art. 107 terzo comma ed art. 572 c.p.c, art. 107 ed art. 490 c.p.c). Questo ci porta a pensare che il legislatore del D.lgs. 5/2006 abbia fatto qualcosa di diverso dal rifiutare, non richiamandolo, il codice di procedura civile ma lo abbia addirittura incardinato nella riforma riportando al suo interno i concetti stessi di alcune norme delle procedure individuali, che erano il supporto normativo della precedente legge fallimentare.

Come già altri autori hanno rimarcato, il legislatore del 2006 e successivamente quello del 2007 ha addirittura recepito all'interno della nuova fase di liquidazione dell'attivo quelle che erano le caratteristiche fondanti delle best practices in materia di espropriazioni individuali. Conferma a quanto appena detto si trova, inoltre, nel terzo comma dell'art. 104-ter della nuova legge fallimentare; tale norma dispone che «il curatore può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare ad altri professionisti alcune incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo». Questa norma a nostro avviso ricalca in modo fedele l'esigenza del legislatore di approntare anche in materia fallimentare l'outsurcing avutosi nelle esecuzioni individuali attraverso la delega delle operazioni di vendita ai professionisti delegati ex art. 591-bis c.p.c.

È chiaro l'intento della riforma di utilizzare al meglio tutte le singole professionalità per avere un sistema competitivo di liquidazione dell'attivo ed è chiaro l'utilizzo, attraverso il terzo comma dell'art. 104-ter L. fall., della delega frazionata di competenze liquidative, conquista irrinunciabile prima delle best practices e poi dell'intera esperienza giudiziaria.

Sorge a questo punto il dubbio se i professionisti citati dall'art. 104-ter siano esattamente corrispondenti a quelli citati dall'art. 591-bis c.p.c.

Quello che ci sentiamo di affermare e che questi ultimi sicuramente ne sono ricompresi e che difficilmente si riescono ad immaginare altri professionisti che possano avere competenze attinenti alla fase di liquidazione e che siano diversi da quelli indicati nell'art. 591-bis c.p.c. e che non rientrino, inoltre, nei concetti di "operatori esperti" con riferimento alla perizia di stima o di "soggetti specializzati" con riferimento alle procedure competitive necessarie per monetizzare il patrimonio del fallito [nota 21].

Questo stretto collegamento tra art. 104-ter L. fall. e 591-bis c.p.c. confermerebbe l'idea suenunciata secondo la quale il legislatore della riforma non ha rinunciato al codice di procedura civile, non richiamandolo, ma lo ha "cannibalizzato", lo ha, cioè, direttamente inserito nelle norme riformate facendo della riforma delle esecuzioni individuali, avutasi con la legge n. 80/05, una sorta di prima tappa nella disciplina della fase liquidativa [nota 22] della procedura fallimentare.

Tutto ciò ci porta a considerare come non condivisibile l'opinione di chi ritiene non rientranti nelle procedure competitive le procedure di vendita con incanto e senza incanto riformate dalla legge 80/05. Il legislatore a nostro avviso ha voluto spingersi ancora più in là di quanto aveva già fatto con le procedure individuali, ampliando lo spettro delle possibilità liquidative. Il legislatore ha voluto aggiungere opportunità metodologiche e non limitare gli strumenti applicativi attribuiti al curatore o agli altri soggetti autorizzati alla liquidazione dell'attivo. Non è pensabile che tra le procedure competitive, richiamate dall'art. 107 L. fall., non possano rientrare le vendite disciplinate dal codice di procedura civile che in realtà fanno da paradigma per le procedure ritenute competitive proprio perchè contenenti le caratteristiche essenziali di un sistema competitivo:

1. sistema incrementale di offerte;

2. adeguata pubblicità;

3. trasparenza (attraverso la comunicazione alle parti);

4. regole prestabilite e non discrezionali di selezione dell'offerente.

Su questo presupposto non si può non riflettere sull'istituto della trattativa privata; a differenza di quello che ritiene gran parte della dottrina noi dubitiamo che la trattativa privata possa essere annoverata tra le procedure competitive previste dall'art. 107 legge fallimentare. Tale istituto per caratteristiche intrinseche è caratterizzato da una fortissima velocità di attivazione e di conclusione, ma è anche condizionata da una fortissima discrezionalità nelle scelte e da una assoluta mancanza di competizione tra le parti interessate, elemento questo sostituito, appunto, dal potere discrezionale di selezione dell'organo da cui promana la trattativa privata stessa.

L'assenza di una forte trasparenza nei criteri di selezione degli offerenti [nota 23], la mancanza di un sistema incrementale di offerte, la intrinseca assenza di adeguate forme di pubblicità nei criteri di scelta degli interessati, fanno fuoriuscire la trattativa privata da quelle procedure ritenute competitive che possano essere inserite dal curatore nel programma di liquidazione, ex art. 104-ter L. fall., ed usata come strumento alienativo dei beni compendio della procedura fallimentare; a nostro avviso la trattativa privata rientra in quelle formule competitive utilizzabili dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori, prima ancora dell'approvazione del programma di liquidazione, quando dalla mancanza di velocità di esecuzione ne possano derivare pregiudizio all'interesse dei creditori (ex art. 104-ter VII comma L. fall.) e quindi, sostanzialmente come strumento di assoluta urgenza utilizzabile in condizioni di necessità.

La qualificazione del notaio quale professionista ex art. 104-ter L. fall.

Un ulteriore dubbio resta collegato all'inserimento dei notai all'interno delle nuove vendite competitive e cioè il valore processuale del conferimento «di alcune incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo» ai professionisti; ci si chiede, appunto, se tale conferimento sia riconducibile ad una vera e propria delega di poteri e/o di funzioni, al pari di quanto avviene per notai, commercialisti ed avvocati nelle procedure esecutive individuali, così come previsto dall'art. 591-bis c.p.c.

Se l'istituto processuale di riferimento del conferimento delle incombenze fosse quello della delega, quest'ultima non potrebbe non trovare sponda normativa nell'art. 591-bis c.p.c., unica norma in materia di coazione di diritti che affronti in materia analitica le problematiche connesse al trasferimento di competenze giudiziarie ad un soggetto precostituito.

A dire il vero esiste qualche autore [nota 24] che affronta la problematica in esame da una visuale completamente diversa ed a mio avviso non errata. La dottrina in questione parte da un assunto:

a. la delega delle operazioni di vendita è un'attività delegata ai notai già con la legge 302/98, successivamente la riforma del processo esecutivo ha esteso tale delegabilità anche ad avvocati e commercialisti, ma comunque già prima della legge di riforma del diritto fallimentare;

b. l'esistenza di una norma di collegamento quale l'art. 105 L. fall. vecchio testo disponeva testualmente che: «alle vendite di beni mobili od immobili del fallimento si applicano le disposizioni del codice di procedura civile relative al processo di esecuzione in quanto compatibili con le disposizioni delle sezioni seguenti». Tale norma permetteva un immediato collegamento tra la legge fallimentare e tutte le norme del codice di rito ad esse compatibili e quindi il giudice delegato senza alcun dubbio poteva utilizzare i notai per provvedere alla alienazione dei beni costituenti il patrimonio del fallito.

Partendo dalle precisazioni fatte sub a e sub b una parte della dottrina ritiene che l'utilizzo della delega nelle procedure ante riforma poteva essere tranquillamente fatta alla luce del vecchio art. 105 L. fall. e dell'art. 591-bis c.p.c. e che le forme di opposizione agli atti del delegato non dovesse essere quella dell'art. 26 L. fall. ma l'art. 591-ter c.p.c. poiché la prima norma può essere utilizzata solo per l'opposizione agli atti del giudice delegato [nota 25].

Il venir meno dell'art. 105 L. fall. nel suo testo originario apre il problema del collegamento tra legge fallimentare e codice di rito, ma soprattutto l'introduzione nella legge fallimentare del nuovo art. 104-ter trasforma la figura del notaio quale "professionista". L'art. 104-ter nel suo terzo comma è chiaro «il curatore può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare ad altri professionisti alcune incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo». Secondo una lettura letterale della norma, particolarmente condivisa da una parte della dottrina [nota 26] il "professionista" notaio a cui è affidata, ad esempio, la vendita del compendio immobiliare del fallimento, ai sensi del 104-ter comma 3 non sarebbe più un delegato del giudice ma un delegato del curatore, i cui atti sono sottoposti ad analitica verifica da parte del giudice delegato e sono opponibili, secondo una parte della dottrina [nota 27], con gli stessi strumenti con i quali ci si oppone agli atti del curatore, del quale, il professionista delegato ex art. 104-ter, è portatore di un vero e proprio, potere di rappresentanza nel compimento dei singoli atti delegati.

Con riferimento a quest'ultima problematica, in particolare, riteniamo, con tutte le prudenze del caso, vista la assoluta assenza di provvedimenti giurisdizionali in materia, che al contrario il notaio delegato rimanga comunque un ausiliario del giudice delegato in quanto il potere autorizzativo che legittima la nomina da parte del curatore e a cui è sottoposto l'atto di nomina stesso deriva geneticamente dal giudice delegato, il quale è il solo ed unico portatore del potere di indirizzo e controllo endoprocedurale, potere appunto capace di poter decidere, con una valutazione di merito, che la procedura necessiti di un professionista, per ottimizzare il proprio risultato alienativo; si mantengono, al contrario dei dubbi sulla possibilità che il notaio nominato ex art. 104-ter possa essere considerato un delegato del giudice alla stregua di quanto avviene nelle esecuzioni individuali con l'art. 591-bis c.p.c.

Con il richiamo alle esecuzioni individuali ci si ricollega a tutta quella diatriba dottrinale, ormai datata, che distingueva tra notaio quale sostituto del giudice o mero ausiliario [nota 28], propendendo, la dottrina maggioritara, per la prima delle soluzioni.

A nostro avviso, in questo caso, ci si trova al cospetto di un mero ausiliario del giudice delegato senza poteri di rappresentanza giuridica, tenuto solo a rispettare quanto autorizzato nel programma di liquidazione; non è prospettabile, in base all'art. 104-ter 3° comma, un notaio quale delegato e quindi come sostituto del giudice delegato in quanto, in queste ipotesi, manca quella norma di dettaglio rappresentata, nelle esecuzioni individuali proprio dall'art. 591-bis, che con la sua analitica individuazione dei compiti del delegato rappresenta per alcuni autori proprio un esempio di sostituzione processuale [nota 29].

In conclusione non possiamo esimerci dall'evidenziare che, però, è prospettabile anche una diversa visione del professionista delegato al compimento di determinati atti nel fallimento. Nell'ottica di quella forte osmosi tra legge fallimentare e codice di rito, a cui si è fatto precedentemente cenno, secondo la quale il legislatore del 2006 e 2007 pur eliminando il collegamento letterale con il codice di procedura civile ne ha di fatto cannibalizzato le norme relative alle esecuzioni immobiliari, non sarebbe impensabile oggi poter immaginare ancora una delega ad un professionista (notaio) ai sensi dell'art. 591-bis c.p.c. nel fallimento. A tale riguardo non possiamo non ricordare quale ulteriore esempio del collegamento osmotico tra legge fallimentare e norme sulle esecuzioni individuali previste dal codice di procedura civile il nuovo [nota 30] II comma dell'art. 107 L. fall. il quale testualmente riferisce: «il curatore può prevedere nel programma di liquidazione che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili». Questa norma reintroduce nella legge fallimentare la figura del giudice quale terminale ultimo della fase di liquidazione con espresso riferimento a quanto già previsto, ad esempio nelle esecuzioni immobiliari individuali. Il richiamo alla compatibilità delle norme del codice di rito, così come già accadeva nel vecchio testo dell' art. 105 L. fall. reintroduce, nella nuova legge fallimentare, questa volta in modo anche espresso, l'applicabilità delle regole stabilite dal codice di rito; in sostanza se il giudice può essere richiesto come soggetto che monetizza i diritti del fallito secondo le regole del codice di procedura civile vuol dire che il giudice delegato può, sempre utilizzando le norme del codice di rito, nominare a sua volta un proprio delegato alla vendita utilizzando, ad esempio, l'art. 591-bis c.p.c. che come sappiamo è norma di dettaglio in materia di delega per quanto attiene le esecuzioni immobiliari (individuali). In conclusione possiamo affermare che nel caso in cui il notaio venisse delegato dal giudice delegato ai sensi dell'art. 107 II comma L. fall. e dell'art. 591-bis c.p.c. in questo caso il delegato potrebbe, di nuovo, essere qualificato come un vero e proprio sostituto del giudice in conformità con quella dottrina [nota 31] che da sempre lo ha visto come una promanazione endoprocessuale del giudice stesso.


[nota 1] Si veda a tale riguardo: RAGUSA MAGGIORE, voce La liquidazione e ripartizione dell'attivo, in Enc. giur., XIII, Roma, 1989; MAZZAMUTO, L'esecuzione forzata, in Tratt. Rescigno, XX, Torino, p. 245.

[nota 2] Molto interessante la ricostruzione logico giuridica che ne fanno LICCARDO-FEDERICO, in Il nuovo diritto fallimentare, tomo II, p. 1781 e ss., Zanichelli editore, 2007, con riferimento all'art. 107 legge fallimentare.

[nota 3] Di particolare interesse C. FERRI, «La liquidazione dell'attivo fallimentare», in Riv. dir. proc., 3, 2006. L'Autore evidenzia in modo estremamente chiaro che nella disciplina precedente alla riforma , il curatore doveva procedere alla vendita dopo il decreto di esecutività dello stato passivo, il giudice delegato autorizzava le modalità di vendita ma il curatore ne stabiliva le tempistiche; al contrario con la nuova normativa non esiste nessun distacco cronologico tra accertamento del passivo e liquidazione perché è l'approvazione del programma di liquidazione a costituire il momento centrale della fase di liquidazione stessa.

[nota 4] Si veda: M. FABIANI, «Il decreto correttivo della riforma», in Foro it., V, 2007, c. 225. Si veda anche M. MONTANARI, «La nuova disciplina del giudizio di apertura del fallimento: questioni aperte in tema di istruzione e giudizio di fatto», in Il fallimento, 2007, p. 568; CARRATTA, «Profili processuali della riforma della legge fallimentare», in Dir. fall., I, 2007, p. 13.

[nota 5] Si veda: M. FABIANI, «Il decreto correttivo della riforma», in Foro it., V, 2007, c. 225.

[nota 6] Si veda: ESPOSITO, Il programma di liquidazione, in La liquidazione dell'attivo fallimentare, Milano, 2006, p. 297; ID., sub art. 104-ter, in Il nuovo diritto fallimentare, 2007, p. 1673; D'ATTORE-SANDULLI, sub art. 104-ter, in La riforma della legge fallimentare, Torino, 2006, p. 619.

[nota 7] C. ESPOSITO, «Il programma di liquidazione nel decreto correttivo», in Il fallimento, 9, 2007, p. 1078 e ss.; si veda anche D'ACQUINO, sub art. 104-ter, in La legge fallimentare, Padova, 2007, p. 773; QUATRARO, sub art. 104-ter, in Il nuovo diritto fallimentare, 2007, p. 1661; LO CASCIO, «I principi della legge delega della riforma fallimentare», in Il fallimento, 2005, p. 985.

[nota 8] Si veda: C. ESPOSITO, «Il programma di liquidazione nel decreto correttivo», in Il fallimento, 9, 2007, p. 1078 e ss.; PANZANI, La tutela dei diritti nella liquidazione fallimentare, in La tutela dei diritti nella legge fallimentare, 2006, p. 179.

[nota 9] Si veda LICCARDO-FEDERICO, in Il nuovo diritto fallimentare, tomo II, Zanichelli editore, 2007, p. 1781 e ss., con riferimento all'art. 107 legge fallimentare.

[nota 10] Di rilevante importanza COSTANTINO, Beni immobili e beni mobili. La disciplina dei beni, in Tratt. Rescigno, VII, Torino, 1985; nonché SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, 1982.

[nota 11] Per tutti si veda C. FERRI, «La liquidazione dell'attivo fallimentare», in Riv. dir. proc., 3, 2006, nonché G. SCHIANO DI PEPE, Diritto fallimentare riformato, Cedam, 2006, BONFATTI-CENSONI, Manuale di diritto Fallimentare, Cedam, 2006.

[nota 12] Si veda: LICCARDO-FEDERICO, op. cit., i quali affermano «la prassi concreta ha avuto modo di dimostrare come la concorrenza libera degli offerenti sia assicurata anche dal governo informativo dei partecipanti agli incanti, da dimensioni procedurali nettamente votate alla certezza dei comportamenti e dal ripudio e conseguente penalizzazione di scelte».

[nota 13] Si veda PANZANI, La liquidazione dell'attivo, consultabile sul sito www.Fallimentoonline.it.

[nota 14] La licitazione privata, in quanto istituto di diritto amministrativo, consiste in una gara non aperta a chiunque vi abbia interesse e possegga i requisiti, ma soltanto a coloro che siano stati invitati dalla P.A., o nel caso delle procedure concorsuali, dal curatore, in base ad una valutazione seria ed imparziale, a partecipare. è consentito ricorrere alla licitazione privata in alternativa al pubblico incanto, a giudizio discrezionale della P. A.

La licitazione privata può aver luogo adottando sopratutto il metodo delle offerte segrete.

La giurisprudenza ha chiarito che la P.A. deve motivare il mancato invito di un'impresa alla licitazione solo quando questa abbia formulato richiesta di partecipazione alla gara (C.d.S., sez. V, 28 gennaio 1998, n. 101).

Al contrario con il sistema della trattativa privata la P. A. dopo aver interpellato (separatamente e riservatamente) più ditte o persone ed aver raccolto le diverse offerte, sceglie quella ritenuta più vantaggiosa ed affida alla ditta prescelta i lavori o le forniture o comunque l'oggetto del contratto passivo o attivo essenza della trattativa, previa stipulazione di un contratto. La trattativa privata non è dunque una vera e propria gara e lascia all'amministrazione piena discrezionalità nel preferire l'uno all'altro contraente, sia in relazione al prezzo offerto sia in relazione alle altre condizioni (quali la qualità dell'oggetto, i termini di consegna ecc.). Per maggiore analisi e approfondimenti degli istituti di diritto amministrativo applicabili alle procedure concorsuali si veda F. CARINGELLA, Il diritto amministrativo, tomo I, ed. Simone, 2005, p. 842.

[nota 15] Si veda LICCARDO-FEDERICO, op. cit.

[nota 16] La vendita in esame si distingue notevolmente dalla trattativa privata, per l'esistenza preponderante di una gara, ma ancor meglio per una serie incrementale di offerte, che come abbiamo già detto in precedenza è presupposto ineludibile di una procedura competitiva.

[nota 17] La vendita con o senza incanto quale esempio di una vendita a procedura competitiva rigida è calzante in quanto portatrice di alcuni elementi essenziali come il termine prefissato per il versamento del prezzo, la misura minima delle cauzioni, il prezzo base d'asta, la forma scritta per la conferma alla partecipazione ecc.

[nota 18] Si veda, con particolare attenzione, la posizione di SANDULLI che in alcune osservazioni consultabili sul sito www.Iudicium.it, dal titolo "Esecuzioni" fallimentari e terzi, distingue tra vendita forzata e vendita effettuata da organo pubblico, escludendo la natura di esecuzione forzata alla liquidazione dell'attivo.

[nota 19] Per tutti si veda C. FERRI, «La liquidazione dell'attivo fallimentare», cit.; nonché G. SCHIANO DI PEPE, Diritto fallimentare riformato, cit.; BONFATTI-CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, cit.

[nota 20] C. FERRI, «La liquidazione dell'attivo fallimentare», cit.

[nota 21] A tale riguardo si veda: PALUCHOWSKI, L'applicazione delle norme sulle espropriazioni individuali alla vendite fallimentari, in AA.VV., Espropriazioni individuali e fallimento, atti del Convegno Sisco, del 6 novembre 1999, Milano, 2001. Si veda anche FERRO, «Problemi e casi nelle vendite mobiliari ed immobiliari», in Dir. fall., 1999.

[nota 22] Si veda CAIAFA, Nuovo diritto delle procedure concorsuali, Padova, 2006, p. 431e ss.; tale Autore ritiene che in assenza di diretto richiamo si applichino comunque le diaposizioni del codice di procedura civile in materia di alienazione coattiva e molte altre norme al quale il curatore può far riferimento; il curatore sostituirebbe quindi il giudice (delegato o dell'esecuzione) nell'esercizio di poteri di direzione del procedimento.

[nota 23] Si veda SALETTI, «Tecniche ed effetti delle vendite forzate immobiliari», in Riv. dir. proc., 2003.

[nota 24] Si veda nota a Cass. 11 maggio 2007, n. 10925, di C. TRENTINI , «Controllo sugli atti del professionista delegato alla vendita del fallimento», in Il fallimento, 10, 2007, p. 1163 e ss.

Si veda anche C. ESPOSITO, «Il programma di liquidazione nel decreto correttivo», cit., p. 1078 e ss.; G. LO CASCIO, «Il decreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169, della nuova normativa fallimentare una sorta di legislazione a puntate», in Corr. giur., 11, 2007, p. 1487.

[nota 25] Proprio su questo specifico argomento si veda nota a Cass. 11 maggio 2007, n. 10925, di C. TRENTINI, «Controllo sugli atti…», cit., p. 1163 e ss. Nello specifico, la sentenza citata affronta il problema delle forme di opposizione agli atti del delegato alla vendita; in particolare si rileva che l'esistenza dell'art. 105 L. fall. ed il suo naturale collegamento con il codice di procedura civile, porta con se che le deleghe alla vendita fatte nel fallimento a favore di notai resisi disponibili, non può avvenire che ai sensi dell'art. 591-bis c.p.c. e la forma di opposizione più specifica agli atti del delegato ex art. 591-bis è necessariamente l'opposizione ex art. 591-ter c.p.c. e non l'art. 26 L. fall. che è la norma che legittima l'opposizione agli atti del giudice delegato.

[nota 26] Si veda nota a Cass. 11 maggio 2007, n. 10925, di C. TRENTINI, op. loc. cit.; si veda anche A. CASTAGNOLA, «Fallimenti: con i ritocchi del correttivo un argine al crollo delle dichiarazioni», in Guida dir., 41, Il Sole 24 Ore, p. 10 e ss. Non sincronico ma attento alla problematica anche M. FABIANI, op. cit., c. 225 e ss.

[nota 27] Si veda nota a Cass. 11 maggio 2007, n. 10925, di C. TRENTINI, op. loc. cit.

[nota 28] Per tutti si veda: E. FABIANI, Funzione processuale del notaio ed espropriazione forzata, in CNN Studi e materiali (a cura della Commissione Studi), 2, 2002, p. 517 ss. e Riv. dir. civ., 2002, II, p. 131 e ss.; ID., Delegabilità ai notai delle operazioni di vendita immobiliare con incanto in sede fallimentare, in CNN Studi e materiali (a cura della Commissione Studi), 1, 2004, p. 230 e ss.

[nota 29] Si veda ancora: E. FABIANI, Funzione processuale…, cit.; ID., Delegabilità ai notai…, cit.

[nota 30] In quanto così modificato dal D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169.

[nota 31] Si veda E. FABIANI, op. cit.

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