Il concordato preventivo e il concordato fallimentare dopo la riforma
Il concordato preventivo e il concordato fallimentare dopo la riforma
di Antonio Nicolini
Notaio in Sassuolo

Gli argomenti della mia relazione sono stati oggetto di notevoli mutamenti legislativi che ne hanno, seppur a più riprese, ridisegnato le caratteristiche.

In particolare, per il concordato preventivo, si sono susseguiti il D.l. 14 Marzo 2005, n. 35 (c.d. decreto competitività), convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80, il D.lgs. 5 del 2006 e, da ultimo, il decreto legislativo n. 169 del 2007 (c.d. decreto correttivo).

La particolare genesi della normativa attuale ha peraltro determinato una copiosa elaborazione dottrinale e un significativo numero di provvedimenti giurisprudenziali fondati, come logico, sul testo normativo di volta in volta in vigore.

Ora molti degli argomenti addotti dai giudici in primo esame sono stati superati dal legislatore che, invero, ha recepito proprio le indicazioni di dottrina e giurisprudenza.

La produzione letteraria è peraltro invecchiata precocemente date le correzioni e gli aggiustamenti in corso d'opera. Ciò nonostante gli istituti in esame, ed in particolare, il concordato preventivo sono stati oggetto di approfondite analisi da parte della dottrina specialistica e dalla giurisprudenza del settore, dalle quali ho tratto gli spunti per questo incontro, nel quale cercherò di evidenziare le novità legislative e le ricadute operative che gli istituti in esame hanno nell'attività notarile.

Le caratteristiche del concordato preventivo nel testo ante riforma erano come, noto, penalizzanti per l'imprenditore in quanto:

- erano ancorate ad un giudizio di meritevolezza (la procedura era infatti riservata all'imprenditore "onesto ma sfortunato" [nota 1]);

- implicavano il pagamento integrale dei creditori privilegiati [nota 2] (a prescindere dall'effettivo valore del bene oggetto di privilegio) e il pagamento di almeno il 40% dei creditori chirografari;

- se attuato mediante cessione dei beni doveva necessariamente coinvolgere tutti i beni dell'imprenditore;

- regnava incertezza sulla natura dei crediti sorti durante la procedura, in caso di successivo fallimento; si discuteva infatti se tali crediti costituissero crediti di massa o comunque "prededucibili" [nota 3].

Nel sistema previgente non vi era poi alcuna disposizione che regolasse la sorte degli accordi "stragiudiziali" di risoluzione della crisi.

I problemi che si ponevano all'interprete vertevano, in particolare:

a. sulla liceità di tali accordi, posto che essi dovrebbero essere considerati illeciti, contrastando con la norma che impone all'imprenditore in stato di insolvenza di chiedere il proprio fallimento [nota 4] (arg. ex art. 217, n. 4 L. fall.), e comunque sui principi generali desumibili dalla disciplina del concordato preventivo e dell'amministrazione controllata quali figure tipiche (e in ipotesi quindi uniche) per evitare il fallimento all'imprenditore insolvente;

b. una volta superato lo scoglio dell'ammissibilità, sulla tenuta degli accordi qualora non fossero stati sottoscritti da tutti i creditori;

c. sulla sorte dei rapporti (pagamenti e nuovi debiti) eseguiti o assunti nel contesto dell'accordo stragiudiziale una volta sopraggiunto il fallimento.

L'operatore economico infatti era disposto al sacrificio imposto dall'accordo stragiudiziale ove venisse garantita:

- l'esenzione dalla revocatoria dei pagamenti;

- l'esclusione della fattispecie delittuosa di cui alla bancarotta preferenziale e all'abusiva concessione di credito.

Su questo scenario è intervenuto il legislatore del 2005, il quale, nel tentativo di rendere più agevole la soluzione extra-fallimentare della crisi dell'imprenditore ha introdotto:

- una disciplina specifica di esenzione della revocatoria fallimentare per i pagamenti posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo (e sia in tal senso certificato) a «risanare l'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il ri-equilibrio finanziario)» [nota 5];

- la nuova figura degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis), i quali si affiancano al concordato preventivo, ed hanno come peculiarità i) di essere accordi conclusi con ciascun creditore, al di fuori di logiche di maggioranza, ii) vincolanti solo per i creditori che li abbiano sottoscritti; iii) esentati da revocatoria per quanto concerne i relativi pagamenti, e iv) con effetto preclusivo, per i creditori, per un termine di 60 giorni dalla pubblicazione al Registro delle Imprese, di agire esecutivamente o con misure cautelari sul patrimonio dell'imprenditore;

- la rinnovata disciplina del concordato preventivo che, come il precedente, mira all'esdebitazione, ma è un istituto svincolato da requisiti di meritevolezza [nota 6], essendo l'attenzione del legislatore incentrata sul contenuto del piano che, nei modi più variegati, deve mirare al soddisfacimento dei creditori [nota 7].

- in ambito fallimentare: maggiore spazio all'iniziativa ed ai contenuti del concordato fallimentare che ora può essere chiesto non solo dal debitore ma anche da creditori, da terzi e, almeno pare [nota 8], anche dal curatore, e che, al pari del concordato preventivo può essere di contenuto quanto mai vario.

Non è più richiesto, questa a mio avviso la novità più importante, il rispetto della par condicio creditorum, che quindi, salvo i limiti che illustreremo in ordine ai creditori privilegiati, può essere sacrificata, salvo il limite della ragionevolezza.

Alcune notazioni:

- la legge non pone più tra i requisiti di ammissione l'iscrizione dell'imprenditore nel Registro delle Imprese; pertanto l'istanza potrà essere presentata anche da società di fatto o, comunque, irregolari [nota 9];

- tra i requisiti soggettivi si continua a parlare di imprenditore [nota 10]; per la qualifica di imprenditore rilevante ai fini della normativa in esame si veda la definizione di cui all'articolo 1, testo novellato, della legge fallimentare; e pertanto il concordato preventivo non può essere chiesto da un imprenditore non fallibile; l'assunto non è peraltro testualmente riprodotto per l'accordo di ristrutturazione (che però ha di mira l'esenzione dalla revocatoria e la tenuta nel successivo fallimento, quindi non ha utilità per un non fallibile);

- il presupposto oggettivo è lo stato di crisi e non più lo stato di insolvenza.

Nozione di crisi

Come detto in apertura, la disciplina dell'istituto in esame è stata più volte modificata dal 2005 ad oggi.

All'indomani della mini riforma del 2005, venne sollevata la questione circa il rapporto tra stato di crisi e stato di insolvenza: questione che aveva indotto più di un autore [nota 11], a ritenere che il concordato preventivo fosse 'riservato' all'imprenditore in crisi ma non ancora insolvente.

Sul punto è peraltro intervenuto il legislatore [nota 12] che, introducendo l'ultimo comma dell'articolo 160, ha sopito la questione specificando che «ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza».

L'intervento del legislatore ha quindi definitivamente chiarito che il concordato non ha necessariamente come obbiettivo il rilancio dell'impresa, ma può avere anche un mero contenuto liquidativo.

Risolta legislativamente la questione, la dottrina ravvede nell'insolvenza una species del genus crisi; in definitiva l'imprenditore in stato di insolvenza versa sicuramente in stato di crisi; ma non viceversa.

Ma se così è, resta da chiarire che cosa si intenda per crisi.

Il termine non è inedito nel nostro ordinamento [nota 13].

La crisi si differenzia anche dall'insolvenza temporanea … temporanea difficoltà ad adempiere … (requisito per l'ammissione all'abrogato istituto dell'amministrazione controllata), in quanto, piuttosto, è individuabile in una situazione di potenziale insolvenza (ad es. per squilibrio finanziario), superabile attraverso un piano di ristrutturazione del debito.

Non rientra nella nozione di crisi la mancata redditività dell'azienda: ciò invero si porrebbe in contrasto con la tutela della proprietà (e quindi anche dei diritti di credito), non essendo ipotizzabile fare ricadere sul ceto creditorio l'onere (sopportato attraverso la falcidia fallimentare o concordataria) del recupero della redditività dell'impresa.

Ricadute operative della distinzione tra crisi e insolvenza

Superata, come sopra detto, la questione circa i rapporti tra crisi e insolvenza, resta da verificare se il mutamento di terminologia del legislatore abbia una ricaduta operativa pratica per la soluzione di alcune questioni classiche della materia fallimentare.

Vediamone alcune:

Azione revocatoria fallimentare … il presupposto dell'azione è la conoscenza dello stato di insolvenza del contraente in bonis (e non dello stato di crisi); pertanto sarà più arduo per le curatele dimostrare tale conoscenza in capo al terzo, laddove si fosse in presenza di segnali di crisi e non di insolvenza.

Consecuzione delle procedure: il principio, da dimostrare, mira, nella sostanza, a risolvere due questioni:

a. la qualificazione come "debiti di massa" dei crediti sorti pendente il concordato cui sia seguito il fallimento;

b. la retrodatazione del periodo sospetto dalla data di dichiarazione del fallimento alla data di ammissione al concordato (o all'amministrazione controllata).

La questione sub a) è ora risolta legislativamente dall'articolo 111 comma 2 che qualifica come debiti di massa quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge.

La questione sub b), invece, lungi dall'essere risolta, si presenta più problematica.

Ed invero:

da un lato si potrebbe sostenere che, applicando il principio espresso dal brocardo ubi lex voluit dixit, ubi lex noluit tacuit, la questione della retrodatazione sia stata risolta in senso negativo;

parimenti in senso negativo dovrebbe risolversi la questione, ove si abbia presente la diversità di presupposti per l'ammissione al concordato e per la dichiarazione di fallimento; diversità di presupposti che impone che il Tribunale (il quale non può comunque più procedere alla pronuncia di fallimento d'ufficio) debba … verificare se ricorre l'insolvenza … per potere dichiarare il fallimento anche ove il fallimento consegua al rigetto della domanda di ammissione al concordato o al diniego di omologazione del concordato stesso;

in senso contrario si è però espressa parte della dottrina [nota 14] la quale ha messo in luce:

- l'argomento storico: anche nel sistema previgente, seppur con un artifizio lessicale, si era giunti a sostenere la consecutio addirittura tra fallimento e amministrazione controllata, evidenziando che lo stato di insolvenza ricorreva anche nella procedura minore, seppur con caratteristiche diverse (insolvenza reversibile);

- l'argumentum ab inconvenienti : laddove non si affermasse il principio di consecuzione delle procedure, proprio ora che sono stati dimezzati i termini per la revocabilità degli atti, si legittimerebbe il debitore a compiere atti in frode (ad esempio alienando beni o pagando solo alcuni creditori) e consolidare gli effetti di tali atti richiedendo l'ammissione al concordato preventivo per fare spirare il termine di revocabilità.

Non resta quindi che attendere le applicazioni giurisprudenziali in merito, segnalando peraltro che il principio della consecuzione delle procedure non sembra sconfessato dal legislatore laddove si ragioni sulle applicazioni concrete dell'azione revocatoria a seguito dell'introduzione dell'articolo 69-bis che sancisce, con formulazione peraltro criticabile [nota 15], lo spirare del termine di decadenza delle azioni revocatorie decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell'atto revocando.

Come operatori del diritto dovremo quindi fare attenzione all'esperibilità delle azioni revocatorie fallimentari rispetto ad atti compiuti sei mesi o addirittura un anno prima non della sentenza dichiarativa di fallimento, ma del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo (evidentemente sfociata poi, seppur con nuovo esame da parte del Tribunale, in fallimento). E ciò anche qualora il soggetto disponente sia un avente causa da un avente causa del fallito, dovendosi verificare, anche ai sensi dell'articolo 2901 ultimo comma del codice civile, la tenuta del titolo di provenienza in capo al nostro "alienante".

Caratteristiche del piano

La dottrina evidenzia che finalità del legislatore è quella di fornire al debitore uno strumento idoneo al superamento della crisi non legato a rigidi schemi.

Quindi l'opzione legislativa è nel senso di concedere al debitore (e nel concordato fallimentare ai soggetti legittimati alla proposizione del ricorso) ampia libertà di contenuto: la legge richiede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori … in qualsiasi forma, anche mediante …

La dizione della norma non lascia adito a dubbi: l'indicazione "tipologica" è esemplificativa e non tassativa.

La rubrica della norma in esame (articolo 160), "Presupposti per l'ammissione" si spiega evidenziando il minimo comune denominatore che le diverse tipologie di piani devono avere: la finalità di soddisfare i creditori eventualmente mediante attribuzione ad un assuntore.

Tra le tipologie di concordato resta peraltro ammessa dai più la figura del concordato remissorio e dilatorio.

Importante distinzione non più presente nella normativa ma non priva di significato sul piano applicativo è quella tra il concordato con garanzia e il concordato con cessione dei beni.

La cessio bonorum si pone infatti come una delle possibili modalità della soluzione concordataria, che la norma colloca accanto all'accollo e ad altre operazioni straordinarie compresa l'assegnazione a creditori di azioni, quote, obbligazioni (anche convertibili) o altri strumenti finanziari o titoli di debito.

La distinzione tra le tipologie di concordato (rectius di piano), continua, come si diceva poc'anzi, ad essere rilevante in quanto mentre nel concordato con garanzia il debitore rimane nella disponibilità del proprio patrimonio, nel concordato con cessione dei beni con il decreto di omologazione il Tribunale provvede alla nomina del liquidatore (articolo 182 testo novellato).

La cessione dei beni ai creditori, come già nella disciplina previgente, può dare luogo al trasferimento della proprietà dei beni o ad un mandato a liquidare, con restituzione del surplus al debitore (secondo lo schema della cessio pro solvendo) o al contrario con incameramento in capo ai creditori (secondo lo schema della cessio pro soluto).

Il concordato con garanzia, pur se non tipicamente previsto permane a detta della dottrina una delle possibili forme di concordato.

Tra le forme di garanzie improprie possono indicarsi:

- la postergazione;

- il trust da parte di un terzo, con finalità liquidatorie e satisfattive.

Altre modalità:

- accollo (deve peraltro trattarsi di accollo privativo, altrimenti non si verifica l'effetto esdebitatorio);

- delegazione ed espromissione.

L'economia di questo lavoro non consente un approfondimento di tutte le possibili tipologie di contenuti dei piani [nota 16] che devono essere peraltro esaminati dal notaio, secondo quanto diremo a breve, in ipotesi di proposta di concordato da parte di società di capitali o cooperative.

Come sopra detto, caratteristica dei nuovi concordati (preventivo e fallimentare) è la possibilità della suddivisione dei creditori in classi, differenziate nel trattamento (sia quantitativo che qualitativo) in ragione delle loro caratteristiche o dell'interesse sotteso alla loro obbligazione (la ripartizione ormai classica è quella che distingue tra fornitori, banche e dipendenti).

Ora la suddivisione in classi permette di superare lo schema, rigido, della par condicio creditorum, ma non permette, nel concordato a differenza che negli accordi di ristrutturazione dei debiti, di superare il cosiddetto ordine di soddisfacimento dei creditori, con il rispetto delle cause legittime di prelazione.

La novità più importante, introdotta per il concordato preventivo con il decreto correttivo del 2007, consiste nella possibilità di proporre anche ai creditori privilegiati, il pagamento parziale, o comunque falcidiato, a condizione che la falcidia faccia avvicinare il valore di realizzo del credito proposto in concordato al valore di realizzo coattivo che il creditore otterrebbe procedendo all'esecuzione sul bene oggetto di privilegio.

In sostanza il creditore privilegiato può non ricevere in concordato più di quanto sarebbe in grado di ottenere mettendo in esecuzione il suo diritto di prelazione.

La disposizione che sancisce che la suddivisione dei creditori in classi non può avere per effetto quello di alterare le cause di legittime di prelazione rende problematica la soluzione della questione relativa alla falcidiabilità dei creditori muniti di privilegio generale.

Ed invero, la relazione al decreto dà per scontata la risposta in senso affermativo; la dottrina al riguardo evidenzia che se il creditore è munito di privilegio generale egli deve essere soddisfatto integralmente se si vogliono pagare, anche in misura modestissima, i creditori chirografari.

In difetto di integrale soddisfacimento del creditore munito di privilegio generale, infatti, il pagamento al creditore chirografario costituirebbe violazione della norma testè esaminata, in quanto si altererebbero le cause legittime di prelazione.

Ad analoghe conclusioni deve giungersi con riguardo ai soci finanziatori, di cui all'articolo 2467 codice civile; invero, laddove ricorressero i presupposti, questi sarebbero postergati agli altri creditori sociali, e quindi potrebbero essere soddisfatti, seppur anche solo in parte, solo ove siano stati interamente pagati anche tutti i creditori chirografari della società.

Concordato societario

Quando l'imprenditore è una società il ventaglio delle proposte contenute nel piano può essere variegato, essendo prevista testualmente l'adozione di operazioni straordinarie.

Sul punto è inevitabile fare alcune riflessioni.

L'articolo 161 richiama direttamente l'articolo 152 dettato in tema di concordato fallimentare e sancisce, con disposizione innovativa, che la proposta di concordato è, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo:

a. sottoscritta dal legale rappresentante (e qui nulla cambia rispetto alla disciplina previgente);

b. approvata dalla maggioranza assoluta del capitale sociale nelle società di persone;

c. approvata dagli amministratori nelle società di capitali e nelle cooperative, con precisazione che in tale ipotesi la decisione o la deliberazione deve essere verbalizzata da notaio ed iscritta al Registro delle Imprese, a norma dell'articolo 2436 c.c.

Le questioni:

a. la legittimazione rappresentativa sarà desumibile dall'atto costitutivo o dallo statuto o, in assenza di indicazione specifica sul punto, dalla legge;

b. il potere di decidere la proposta, invece è rimesso non al (semplice rappresentante) ma a soggetti diversi a seconda del tipo di società e dell'eventuale norma pattizia.

È ora espressamente previsto che nelle società di persone la norma sia derogabile; in passato l'analoga prescrizione che rimetteva la competenza alla maggioranza assoluta del capitale sociale, era ritenuta da parte della dottrina inderogabile, sussistendo un favor per l'accesso al concordato che male avrebbe sopportato un criterio più rigido (es.: aumentando i quorum o prescrivendo addirittura l'unanimità).

Ora si ritiene che la diversa disposizione dell'atto costitutivo possa comportare, oltre all'innalzamento del quorum, anche la delega agli amministratori del potere di formulare la proposta [nota 17].

Si è discusso sulla necessità che il socio receduto manifesti il suo consenso, avendo interesse ad evitare il fallimento per estensione nell'anno successivo alla sua uscita dalla società. Sul punto è peraltro intervenuta la Corte Costituzionale [nota 18] che ha deciso che sussiste disparità di trattamento tra socio attuale ed ex-socio, ma che tale disparità è giustificata da scelte discrezionali del legislatore non sindacabili.

La norma, inoltre, non discrimina, ora come in passato, tra accomandanti ed accomandatari: per alcuni autori [nota 19] e per una pronuncia milanese [nota 20] sussisterebbe per l'accomandante il divieto di partecipare alla decisione, essendo ciò parificato ad un atto di gestione; per altri autori [nota 21], invece la norma è testuale nello specificare che anche gli accomandanti (in quanto soci di capitale) devono essere computati nel quorum deliberativo.

Gli effetti della domanda di concordato sul patrimonio dei singoli soci

L'articolo 184 estende l'effetto esdebitatorio del concordato della società ai soci illimitatamente responsabili.

La previsione dell'indicazione del piano dei beni dei soci e dei creditori particolari degli stessi potrebbe condurre alla conclusione che il concordato preventivo della società estenda i suoi effetti anche ai singoli soci.

La giurisprudenza prevalente ritiene l'articolo 147 (fallimento per estensione) una norma di carattere eccezionale che non può trovare applicazione al di fuori del fallimento.

Non sono peraltro mancate pronunce (motivate forse anche dall'applicazione del principio della consecuzione delle procedure) che hanno fatto applicazione dell'articolo 55 L. fall., in materia di sospensione del corso degli interessi e di scadenza delle obbligazioni, anche al socio [nota 22], oppure che hanno imposto la cessione di tutti i beni (anche dei soci) per il concordato preventivo della società [nota 23].

Si è osservato, sotto altro profilo: che se il piano deve contenere l'indicazione dei beni dei soci e l'elenco dei creditori particolari, e che se il concordato non si estendesse ai soci, le indicazioni del piano potrebbero essere disattese, essendo il patrimonio dei singoli soci aggredibile, fuori concorso, dai creditori particolari dei soci medesimi.

Si è evidenziato inoltre che il piano può prevedere la cessione dei beni dei soci; ma il punto critico è la tenuta della cessione dei beni dei soci (o di terzi) rispetto alla revocatoria (ordinaria o fallimentare), dal momento che l'articolo 67 lett. d) (in tema di esenzione da revocatoria per i piani certificati) prevede l'esenzione da revocatoria per gli atti … e le garanzie … sui beni del debitore, mentre alla lettera e) prevede genericamente … in esecuzione del concordato … senza specificare quale sia il patrimonio oggetto di trasferimento.

La differente terminologia è voluta? O si tratta di una svista legislativa, dal momento che, per il terzo o per il socio il trasferimento potrebbe addirittura essere considerato "gratuito" e si priverebbero i creditori particolari di rimedi, in quanto non potrebbero essi opporsi all'ammissione al concordato preventivo [nota 24].

Ne consegue che non estendendosi al socio il concordato sociale, non si applicherà il disposto di cui all'articolo 168 e nemmeno (questo ai notai interessa maggiormente) quello di cui all'articolo 167; pertanto il socio illimitatamente responsabile di società di persone ammessa alla procedura di concordato preventivo manterrà in pieno la legittimazione a disporre del suo patrimonio personale anche laddove sia previsto, nel piano concordatario, la cessione ai creditori della società di parte dei suoi beni [nota 25].

Società di capitali

Per quanto concerne le società di capitali e le società cooperative ci si chiede se la diversa disposizione dell'atto costitutivo o dello statuto che chiedesse, ad esempio, la deliberazione dei soci, debba essere considerata una delibera di autorizzazione ex articolo 2364 n. 5) [nota 26], o una vera e propria deliberazione gestionale-decisionale, con obbligo, quindi in capo agli amministratori di darvi esecuzione.

Invero a me pare che … la diversa disposizione dell'atto costitutivo … non costituisca una semplice integrazione dei poteri che per legge sarebbero in capo agli amministratori, posto che non sussiste in materia una competenza "riservata", (come invece per l'attività di gestione dell'impresa), ma solo una competenza "naturale". Il dato normativo è quindi analogo a quello dell'articolo 2410 in materia di emissione di obbligazioni non convertibili, che dispone la competenza dell'organo amministrativo in assenza di diversa disposizione dello statuto.

Ci si chiede inoltre se lo statuto possa fare ritorno alla disciplina previgente, sancendo la regola della competenza assembleare, con possibilità di delega dei poteri da parte dell'assemblea stessa all'organo amministrativo o all'organo di liquidazione.

Non si vedono argomenti contrari dal momento che si arriverebbe ad una soluzione che è conforme alla norma sia nella previsione (la diversa disposizione statutaria) sia nell'applicazione della deroga stessa (che, in particolare, autorizzerebbe la delegabilità).

Il punto critico deve ravvisarsi nelle modalità con cui operare:

- da un lato è indubitabile che la deliberazione assembleare che approvi direttamente la proposta debba essere verbalizzata da notaio e che la deliberazione stessa debba essere iscritta al Registro delle Imprese;

- dall'altro lato ci si chiede quale sia la forma del verbale di quell'assemblea (titolare del potere statutario di approvazione) che esercitasse (in forza di apposita clausola statutaria) il potere di delega all'organo amministrativo una tantum; in tale caso, a ben vedere, si è al di fuori di una modifica statutaria e non si delibera su una proposta di concordato; pertanto lo spazio di applicazione del verbale notarile e dell'iscrizione al Registro delle Imprese sembra compromesso, salvo ritenere, ma qui sollevo tutte le mie perplessità, la necessità di un intervento notarile per principio di simmetria delle forme desumibile anche dall'articolo 1392 in tema di forma della procura, con esclusione, comunque della necessità di iscrizione al Registro delle Imprese.

Nel caso in cui l'organo amministrativo sia unipersonale, nessuno ormai dubita che (stante la locuzione "decisione") spettino all'amministratore unico anche i relativi poteri.

È più dubbia la delegabilità del potere di presentazione della proposta all'amministratore delegato, anche se non vi sono, sul punto, divieti legislativi; si osserva infatti che il piano strategico contenuto nella proposta di concordato potrebbe essere redatto dall'amministratore delegato essendo di competenza del Consiglio solo l'esame del piano stesso (argomento ex articolo 2381 comma 3 c.c.).

Si discute su quale sia la ratio della necessità che la deliberazione di approvazione della proposta di concordato sia iscritta al Registro delle Imprese.

Nel vigore della normativa abrogata, la giurisprudenza prevalente era orientata nel senso di non sottoporre all'omologazione ed alla conseguente iscrizione la deliberazione di approvazione della proposta di concordato, evidenziandosi il principio della tassatività degli atti da iscrivere; una pronuncia del Tribunale di Roma [nota 27] ne sancì invece la necessità argomentando dall'analogia con la delibera di scioglimento anticipato (messa in liquidazione) e, in ipotesi di delega all'organo amministrativo del potere di presentare la proposta, con la modifica statutaria che ne sarebbe conseguita.

Ora la dichiarazione di fallimento non è più causa di scioglimento della società; a maggior ragione la proposta di concordato preventivo (o fallimentare) non ha valenza di deliberazione implicita di scioglimento anticipato.

L'inversione di tendenza legislativa si spiega forse con la necessità che la società (di capitali) renda conoscibile a tutti il suo stato di crisi; la ratio pare dunque essere simile a quella che richiede l'adozione della pubblicità laddove si operi un ripianamento perdite con ricostituzione del capitale alla somma originaria; anche in quest'ipotesi non vi è modifica statutaria, ma parimenti si ritiene necessaria la pubblicazione della deliberazione di ricostituzione.

La necessità dell'iscrizione al Registro delle Imprese può peraltro permettere ai terzi di correre ai ripari prima della presentazione della domanda, eludendo quindi il disposto dell'articolo 168 L. fall. In quest'ottica si evidenzia [nota 28] che dovrebbe essere sufficiente, ai fini dell'ammissibiltà della proposta, l'esistenza della deliberazione e del relativo verbale; a ciò peraltro potrebbe ostare, stante il richiamo all'articolo 2436 nella sua interezza, il penultimo comma dell'articolo 2436 stesso, che sancisce l'inefficacia della deliberazione prima dell'iscrizione.

Controllo notarile

Che tipo di controllo deve eseguire il notaio?

Sicuramente deve verificare la ricorrenza del potere decisionale in capo al soggetto deliberante, rispetto alle disposizioni statutarie e legali in materia di competenza.

Nell'ambito del concordato fallimentare dovrà inoltre verificare che siano decorsi i termini iniziali (ora un anno) dalla data di dichiarazione di fallimento e non siano ancora decorsi due anni dal decreto di esecutività dello stato passivo (articolo 124).

Quanto al contenuto della proposta è difficile ipotizzare un obbligo del notaio di verifica tenendo conto che la proposta stessa è soggetta al vaglio del Tribunale sia in fase di ammissione sia in fase di conclusione del procedimento (omologazione) una volta che la stessa sia accettata dai creditori.

Si può forse ritenere che l'esame del notaio debba limitarsi al riscontro dell'esistenza delle condizioni minime richieste dall'articolo 160; la deliberazione deve quindi avere ad oggetto l'approvazione di una proposta che sia auto-sufficiente e dovrà quindi essere completa, dovendo invece la documentazione prevista dall'articolo 161 essere prodotta alla Cancelleria del Tribunale con la presentazione del ricorso.

Come già detto, il richiamo all'articolo 2436 c.c. rende inoltre operante il disposto del penultimo comma che sancisce, come noto, l'inefficacia della deliberazione, ante iscrizione al Registro delle Imprese; pertanto una deliberazione non iscritta non legittimerebbe la presentazione del ricorso.

Sul punto si rileva peraltro che nel sistema previgente era diffusa l'opinione che ammetteva l'approvazione della proposta da parte dell'Assemblea, anche dopo la presentazione della domanda, a mo' di ratifica, desumendo dalla norma in materia di rappresentanza processuale (articolo 75 c.p.c.) il principio che rende sempre possibile ratificare gli atti, o integrare i medesimi con le deliberazioni degli organi competenti.

Da rammentare infine l'articolo 2415, n. 3 (applicabile agli strumenti finanziari che attribuiscano il diritto anche condizionato, al rimborso del capitale, in virtù del richiamo di cui all'articolo 2411 comma 3, c.c.) che attribuisce all'assemblea degli obbligazionisti la competenza ad approvare le proposte di concordato.

Corollari e precisazioni

Argomentando dall'art. 152 in esame e considerando che, per le società di capitali, il fallimento non è più causa di scioglimento si ritiene che l'organo competente a richiedere il fallimento ai sensi dell'articolo 6 della legge fallimentare sia l'organo amministrativo e non l'assemblea.

La norma, se può giustificarsi in ambito SpA ove la competenza gestoria è riservata in via esclusiva all'organo amministrativo, pare invece collidere con il precetto che nelle Srl impone la decisione dei soci (adottata in contesto necessariamente assembleare) laddove si compiano operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti dei soci.

È quindi opportuno che il notaio rogante l'atto costitutivo di società a responsabilità limitata, o di società per azioni a ristretta base familiare, evidenzi il rischio che la mancanza di una disposizione statutaria derogatrice dell'articolo 152, faccia perdere ai soci (o meglio non ristabilisca in capo ai soci) il controllo sulla proposta del piano concordatario, o addirittura, sulla richiesta di fallimento, lasciando spazio, forse non giustificato, agli amministratori.

Naturalmente la norma in materia di competenza a presentare la domanda di concordato preventivo non può andare oltre al suo stretto significato, e pertanto, le eventuali operazioni straordinarie, indicate quali vie per procedere al risanamento, devono essere deliberate/autorizzate secondo i consueti paradigmi.

Così l'aumento del capitale sociale o l'emissione di obbligazioni convertibili, riservati ai creditori non potrà essere "deliberato dall'organo amministrativo" anche se l'aumento sia preso a base della domanda di concordato e costituisca quindi la via per superare lo stato di crisi.

In tale fattispecie sarà pertanto necessario, alternativamente:

- delegare, da parte dell'assemblea, agli amministratori, il potere di procedere alla deliberazione di aumento/emissione delle obbligazioni;

- condizionare la proposta di concordato all'assunzione della deliberazione da parte dell'assemblea.

La dottrina ha evidenziato diverse tipologie di operazioni straordinarie idonee a costituire la base per il piano concordatario:

Aumento capitale sociale con deroga all'opzione e riserva ai creditori delle azioni emesse; corollario importante che si trae da questa previsione è la possibilità di compensare il credito del sottoscrittore con il debito da conferimento, come la giurisprudenza, ormai costante, ammette.

Per le società a responsabilità limitata si dovrà peraltro porre particolare attenzione agli articoli 2481-bis (diritto di recesso del socio dissenziente) e ancora più all'articolo 2482-ter; a tale proposito si ritiene che ciascun singolo socio possa rinunciare al diritto di sottoscrizione e quindi la deliberazione di ripianamento perdite, con aumento da riservarsi ai creditori deve essere in tale caso adottata all'unanimità dei soci.

Quanto alla necessità della preventiva copertura delle perdite si ritiene che ciò costruisca un onere e non obbligo, in quanto gli articoli 2446 e 2447 non si ritengono applicabili pendente il concordato; il ripianamento costituirebbe quindi il presupposto logico per aumentare il capitale sociale, dovendosi ritenere che, anche in questa fase, non sia possibile chiedere nuovi finanziamenti prima della copertura delle perdite.

Emissione di obbligazioni (anche convertibili) o di altri strumenti finanziari collegati magari alla creazione di un patrimonio destinato per il soddisfacimento, in forma diversa dal denaro, di creditori interessati e disponibili.

Trasformazione della società (vedi art. 2499) in quanto non incompatibile con la procedura fallimentare.

Fusione, (anche pendente il fallimento, quindi anche nel concordato fallimentare) con società in bonis per permettere il ripianamento anche tenendo conto dell'esdebitazione che provoca il concordato; si sottolinea che la riforma delle società ha eliminato il divieto legislativo di partecipazione a fusione di società sottoposte a procedure concorsuali.

Scissione finalizzata al riassetto della compagine sociale, al ridimensionamento dell'impresa, attraverso dismissioni mirate di aziende o solo rami o alla riorganizzazione del patrimonio della società.

Conferimento di azienda in nuova società, con attribuzione ai creditori delle partecipazioni emesse a fronte del conferimento.

Non vi è dubbio che il piano, e l'attuazione dello stesso condizionino l'adozione delle deliberazioni assembleari o degli organi competenti a produrre il riassetto organizzativo della società.

Sotto questo profilo si deve approfondire la tematica delle deliberazioni condizionali che come noto trova in dottrina risposte differenti anche in considerazione della mancanza di una norma che ne renda concretamente attuabile la pubblicità in pendenza della condizione.

Parimenti possono venire in gioco interessi, regolati dagli Statuti, quali ad esempio, norme limitative della circolazione delle azioni, clausole di prelazione o gradimento, che dovranno essere coordinate con l'assunzione della proposta di concordato e che quindi condizioneranno la fattibilità del piano stesso, non essendo ipotizzabile che la "ragione del concordato" prevalga indistintamente sulla "ragione del singolo socio".

Da ultimo deve analizzarsi il conflitto potenziale tra le norme specifiche di tutela dei creditori (in materia di opposizione alla fusione, alla scissione ed alla trasformazione, così come in materia di revoca dello stato di liquidazione) e le norme sul concordato: la dottrina che si è occupata del tema [nota 29] ha peraltro indicato che laddove l'operazione sia contenuta nel piano concordatario, per effetto della sua obbligatorietà per tutti i creditori anteriori, questi non avrebbero legittimazione all'opposizione. Il problema peraltro si pone per i creditori posteriori alla domanda di ammissione al concordato ed anteriori alla deliberazione, ad esempio, di fusione.

Decorrenza degli effetti del concordato

La norma base è l'art. 166 che in materia di pubblicità del decreto di apertura; fa riferimento all'articolo 17.

Non è chiaro al riguardo se a questo articolo si debba fare riferimento anche con riguardo all'opponibilità ai terzi, dal momento che l'articolo 17 non richiama l'articolo 16 che sancisce:

- l'efficacia della sentenza dalla data della sua pubblicazione (deposito in cancelleria);

- l'opponibilità ai terzi solo a decorrere dalla pubblicità al Registro delle Imprese.

Il tema è peraltro oggetto della relazione del collega Corona, al quale quindi rinvio.

In materia di concordato, peraltro, l'applicazione della disciplina è inoltre complicata dal disposto dell'articolo 168 che pone come dies a quo per il divieto di azioni esecutive il giorno di presentazione del ricorso.

Effetti sui rapporti giuridici preesistenti

Non sussiste un impianto normativo che regola la sorte dei rapporti giuridici pendenti, a differenza di quanto disposto dagli articoli 72 e seguenti, dettato per il caso di fallimento.

In dottrina prevale la tesi dell'insensibilità, su detti contratti, della procedura concorsuale, non verificandosi nel concordato preventivo, a differenza che nel fallimento, lo spossessamento del debitore; sono fatte salve comunque le norme di diritto comune che legittimano lo scioglimento del rapporto contrattuale in caso di minaccia di insolvenza (tra cui l'articolo 1461 c.c.).

La tesi non tiene tuttavia nel debito conto che fatta eccezione, forse, per i rapporti che proseguono di diritto anche nel fallimento (come la vendita di bene già passato in proprietà del compratore in bonis), la sorte dell'attività gestoria del debitore è regolata dagli articoli 167–168.

L'interpretazione, dai più data, in senso restrittivo dell'articolo 72 comma quinto della legge fallimentare, introdotto con la riforma del 2006, che sancisce l'inefficacia delle clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento, porta alla conclusione nel senso della legittimità di una clausola che disponga la risoluzione del contratto in caso di adozione di una procedura di concordato preventivo, salvo, nella concreta fattispecie, dimostrare che l'ammissione al concordato preventivo era stata "tentata" solo per fare operare la clausola di risoluzione, ben sapendo che non sarebbe stato possibile onorare il concordato e quindi che il fallimento sarebbe stato inevitabilmente dichiarato.

A prescindere da altre tipologie contrattuali ci si chiede in particolare se possa essere data esecuzione ad un contratto preliminare di vendita trascritto prima della trascrizione dell'apertura del concordato.

Ci si chiede innanzi tutto se il contraente in bonis possa chiedere l'esecuzione in forma specifica

Ci si chiede inoltre se, date le qualità dell'imprenditore "in concordato", l'eventuale vendita esecutiva del preliminare sia atto che necessita dell'autorizzazione o meno; e quindi se sia opportuno dare prevalenza all'aspetto oggettivo (trattasi di vendita immobiliare) o soggettivo (l'atto rientra nella gestione ordinaria, ad esempio di un'impresa di costruzioni).

In sostanza ci si chiede se l'inclusione dell'espressione alienazione immobiliare contenuta nell'articolo 167 sia una categoria autonoma che impone sempre l'autorizzazione scritta del giudice delegato, o assuma rilevanza solo se rientrante in un concetto di "straordinaria amministrazione".

Parimenti è da sottolinearsi il rapporto tra una vendita siffatta quando ricada in una delle fattispecie di cui all'articolo 67 comma 3 lettera c) e cioè di esenzione dalla revocatoria [nota 30].

Liquidatore del concordato preventivo

Se il concordato prevede la cessione dei beni e non dispone diversamente, il Tribunale, con decreto di omologazione del concordato, provvede alla nomina di uno o più liquidatori e di un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione.

Secondo la posizione più accreditata il liquidatore è organo della procedura; conclusione oggi suffragata anche dall'introduzione del comma 2 che richiede per il liquidatore i requisiti per essere curatore.

Secondo la giurisprudenza prevalente [nota 31] le alienazioni realizzate dal liquidatore devono essere considerate, quoad effectum, vendite giudiziali, con conseguente "purgazione", tipica della vendita coatta [nota 32].

Parte della dottrina è contraria e ritiene che in tale situazione sia necessaria la collaborazione del creditore iscritto per procedere alla cancellazione dell'ipoteca [nota 33].

La cessione può, a seconda di quanto indicato nella proposta, effettuare un trasferimento della proprietà o un mandato ad alienare. In questo caso l'effetto esdebitatorio consegue alla distribuzione in capo ai creditori del ricavato della liquidazione.

Laddove nulla sia specificato si ritiene che la cessione sia pro solvendo e non pro soluto intendendosi quindi disciplinare diversamente la sorte dell'eventuale surplus del ricavato; a favore del debitore (pro solvendo) o dei creditori (pro soluto).

Chiusura della procedura

La procedura si chiude con l'omologazione.

L'omologazione è pronunciata con decreto.

Effetto - Decorrenza

L'effetto di chiusura si ha, secondo l'opinione dominante, con la pubblicazione del decreto, il quale è provvisoriamente esecutivo (sintagma aggiunto con il decreto correttivo).

Per il debitore

Da tale momento il debitore "ri-acquista" piena legittimazione a disporre dei beni, tranne che per quelli oggetto di cessione, per i quali la legittimazione è in capo al liquidatore nominato dal Tribunale con il decreto di omologazione; l'articolo 167 si applica infatti solo pendente la procedura.

Per parte della dottrina [nota 34] la chiusura, o meglio l'effetto ripristinatorio della piena legittimazione in capo al debitore, si avrebbe solo al momento dell'adempimento degli obblighi concordatari; ma, si osserva [nota 35], questi aspetti attengono alla risoluzione o all'annullamento del concordato, con le relative conseguenze.

Per i creditori

I creditori anteriori al decreto di apertura (articolo 184) sono soggetti alla falcidia concordataria, ma mantengono inalterate le loro ragioni contro i coobbligati, i garanti e gli obbligati in via di regresso, con ciò derogandosi al principio di cui all'articolo 1301.

La norma è di stretta interpretazione, giustificata, secondo la Cassazione, dal favor per il concordato.

Non si dovrebbe estendere al di là della fattispecie e quindi non dovrebbe trovare applicazione negli accordi di ristrutturazione dei debiti.

I soli creditori che mantengono impregiudicate le ragioni sono quelli le cui ragioni non siano opponibili alla procedura (perché per esempio non hanno eseguito la pubblicità richiesta ai fini dell'opponibilità) prima della trascrizione del decreto di apertura della procedura, o sono creditori della massa.

Per i soci

L'effetto esdebitatorio si estende ai soci illimitatamente responsabili.

Nell'individuare l'ambito di applicazione della norma in esame, che pone una deroga al principio sancito dall'articolo 184, si è sottolineato che questi soci fallirebbero per estensione, e quindi ben si giustificherebbe la deroga, per indurre i soci stessi alla presentazione, ed alla positiva esecuzione, del piano concordatario.

Ma se tale è la ratio, deve prestarsi attenzione al caso del socio unico di società di capitali, che oggi non può fallire per estensione (vedi nuovo articolo 147) e che quindi non dovrebbe godere dell'effetto esdebitatorio.

A rigore, il socio di società di persone che abbia prestato fideiussione non dovrebbe, come fideiussore, godere dell'effetto esdebitatorio, essendo l'effetto liberatorio connesso allo status socii.

Sul punto peraltro si è pronunciata in senso contrario la Cassazione a Sezioni Unite [nota 36], che ha sottolineato che la fonte dell'obbligazione dei soci, ancorchè fideiussori, starebbe proprio nella qualità di socio che in via assorbente sancisce la responsabilità dello stesso, rispetto ad altre fonti.


[nota 1] L'assunto è pacifico in tutta la manualistica, e vuole riassumere le condizioni di ammissione indicate dall'articolo 160 comma primo della legge fallimentare, e quindi … l'iscrizione al Registro delle Imprese da almeno un biennio, la tenuta di regolare contabilità, l'assenza di sentenze di fallimento e di condanne per delitti di bancarotta, delitti contro il patrimonio, ecc.

[nota 2] Secondo alcuni autori, tra cui LO CASCIO, Il concordato preventivo, Giuffrè, 2008, p. 218, il concordato, nei confronti dei creditori privilegiati, non poteva avere neppure contenuto dilatorio.

[nota 3] Per un'organca illustrazione delle caratteristiche del concordato ante riforma si veda MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2000, p. 663 e ss.

[nota 4] Cfr. Tribunale di Ferrara 28 giugno 1980, in Giur. comm., 1981, II, p. 306, con nota critica di MENGHI, «Il concordato stragiudiziale: variazioni minime ad una voce per una grande fuga sul tema».

[nota 5] Si veda il nuovo testo dell'articolo 67 lett. d).

[nota 6] Sulla quale si veda supra nota n. 1.

[nota 7] Il concordato preventivo peraltro «appare astrattamente neutrale di fronte all'obbiettivo di garantire il salvataggio dell'impresa o di consentire al debitore la continuazione della propria attività una volta superato il dissesto», così testualmente S. BONFATTI – P. F. CENSONI, La riforma della disciplina dell'azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006, p. 179.

[nota 8] Sul punto si veda, tra gli altri, L. STANGHELLINI, in Il nuovo diritto fallimentare diretto da Alberto Jorio, Bologna, 2006, II, p. 1954.

[nota 9] Assunto pacifico tra i commentatori: per tutti si veda S. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, in Tratt. dir. comm. diretto da G. Cottino, Padova, 2008, vol. 11, tomo 1, p. 19.

[nota 10] Per una ampia disanima delle motivazioni che hanno indotto il legislatore della Riforma a mantenere fermo il carattere eccezionale della procedura concorsuale, riservata ai soli imprenditori individuati ai sensi dell'articolo 1 della legge fallimentare e non ai debitori 'civili' o 'consumatori', si veda L. STANGHELLINI, La crisi di impresa fra diritto ed economia – Le procedura di insolvenza, Il Mulino, 2007, p. 167 e ss.

[nota 11] Tra cui in particolare BOZZA, «Le condizioni soggettive ed oggettive del nuovo concordato», in Il fallimento, 2005, p. 952 e ss.

[nota 12] Con decreto legge n. 36 e decreto legge n. 273 del 2005, convertito con modificazioni con legge 51 del 2006.

[nota 13] La legge del 1979 istitutiva dell'amministrazione straordinaria, infatti, si riferiva alle imprese in crisi; così il titolo IV del testo unico bancario è rubricato "Disciplina della crisi". Osserva AMBROSINI, op. cit., p. 21, nota 10, che il D.lgs. n. 122 del 2005 (in tema di tutela degli acquirenti degli immobili da costruire), si riferisce ad uno stato di crisi prodromica all'escussione della fideiussione e quindi non dà una nozione di crisi dotata di valenza generale.

[nota 14] AMBROSINI, op. cit., p. 27 e ss. ove anche ampie citazioni.

[nota 15] Il rilievo è di MONTANARI, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., tomo I, p. 1090.

[nota 16] Per un'ampia disamina dei possibili contenuti del piano si vedano AMBROSINI, op. cit., p. 34 e ss., in particolare p. 38; GALLETTI, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., tomo II, p. 2295.

[nota 17] Sull'articolo 152, in generale, si leggano le brillanti considerazioni di F. GUERRERA, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., tomo II, p. 2203, ove ampia disamina delle questioni ed ampi riferimenti bibliografici.

[nota 18] Corte Costituzionale, 6 febbraio 1991, n. 52, in Il fallimento, 1991, p. 337.

[nota 19] GALGANO, Il principio di maggioranza nelle società di persone, Padova, p. 180.

[nota 20] Tribunale di Milano 20 giugno 1974, in Giur. comm., 1975, II, p. 686.

[nota 21] Per riferimenti si veda MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 161.

[nota 22] Cass. 17 dicembre 1994, n. 10875, in Il fallimento, 1995, p. 824.

[nota 23] Cass. 29 novembre 1995, n. 12405, in Giust. civ., 1995, I, p. 1361.

[nota 24] Il rilevo è di GALLETTI, op. cit., p. 2328.

[nota 25] Che la disciplina dettata dall'articolo 167 legge fallimentare sia inapplicabile agli atti compiuti sui patrimoni dei soci, si veda, da ultimo, Cass. 30 agosto 2001, n. 11343, in Il fallimento, 2002, p. 621, con nota di PANZANI.

[nota 26] In tal senso sembra deporre GUERRERA, op. cit., p. 2212.

[nota 27] Trib. Roma 26 marzo 1998, in Le società, 1998, p. 1192.

[nota 28] GALLETTI, op. cit., p. 2323.

[nota 29] GUERRERA, op. cit., p. 2219.

[nota 30] Sul punto si vedano gli interessanti ragionamenti di CENSONI, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., tomo II, p. 2425.

[nota 31] Cass. 18 luglio 1996, n. 6478, in Il fallimento, 1997, p. 383.

[nota 32] In tal senso anche AMBROSINI, op. cit., p. 140.

[nota 33] In questo senso si veda APICE, «Le vendite nelle procedure concorsuali e gli effetti sostanziali e processuali delle garanzie concesse ai creditori», in Il fallimento, 1987, p. 304.

[nota 34] PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1998, p. 671.

[nota 35] AMBROSINI, op. cit., p. 143.

[nota 36] Cass. Sez. Un., 24 agosto 1989, n. 3749, in Il fallimento, 1990, p. 38.

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