La rilevanza dei fallimenti dichiarati all'estero per il notaio italiano
La rilevanza dei fallimenti dichiarati all'estero per il notaio italiano
di Marina Castellaneta
Professore associato di diritto internazionale Università di Bari

Premessa

In un mercato globalizzato, nel quale le attività economiche realizzate su un territorio hanno riflessi sui mercati di tutto il mondo, con un incremento della competitività, è inevitabile che effetti giuridici prodotti all'interno di una dimensione territoriale abbiano ripercussioni anche in altri Stati, con la consequenziale necessità di regolare simili situazioni dal punto di vista giuridico, con atti non adottati singolarmente dagli Stati, ma frutto di una cooperazione giuridica internazionale.

Un esempio di attività condotta all'estero, che determina conseguenze su beni o su persone situate sul territorio di un altro Stato, è rintracciabile nell'esercizio di un'attività imprenditoriale su ampia scala che, a seguito di una pronuncia di fallimento in un Paese, provoca effetti transnazionali. Infatti, se un imprenditore (ma, come vedremo, non solo) ha la sede principale della sua attività all'estero ed è dichiarato fallito in tale Stato, ma ha beni in Italia appare inevitabile la necessità di un coordinamento tra poteri del curatore che si trova in un altro Paese e, ad esempio, un notaio italiano che è incaricato della stipulazione di un contratto preliminare di acquisto per conto di un venditore dichiarato fallito, senza che il professionista ne sia a conoscenza. Così, effetti della dichiarazione di fallimento resa all'estero possono riguardare beni situati in Italia appartenenti al fallito; oppure può trattarsi di una dichiarazione di fallimento pronunciata all'estero di un imprenditore italiano che, a titolo successorio, diventa erede in Italia e voglia disporre di tali beni.

Si tratta, come risulta evidente, di situazioni che mostrano la rilevanza dei fallimenti pronunciati all'estero anche per le ripercussioni sull'attività degli operatori giuridici in Italia, a causa degli effetti della procedura d'insolvenza aperta all'estero sullo status del fallito e sui contratti in corso, con possibili nullità degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori.

Rispetto ai fallimenti dichiarati all'estero bisogna distinguere due ipotesi: quella che vede la dichiarazione di fallimento pronunciata in un Paese extracomunitario per la quale assumono rilievo, in assenza di convenzioni internazionali bilaterali o multilaterali, le norme della legge di riforma di diritto internazionale privato 31 maggio 1995, n. 218 e quella che riguarda fallimenti pronunciati nello spazio giudiziario europeo.

Per ragioni di tempo, ma anche per questioni di effetti pratici più frequenti nella seconda ipotesi, conviene soffermarsi sul rilievo che possono avere le pronunce di fallimento in ambito comunitario, evidenziando unicamente che laddove debba trovare attuazione la legge di riforma n. 218 si applicherà, per individuare la giurisdizione, l'articolo 3 di tale legge che, per le materie escluse dall'ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, oggi sostituita, ad esclusione della Danimarca, dal regolamento n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 del 1968, richiama i criteri di competenza per territorio e quindi l'articolo 9 della legge fallimentare in base al quale è competente il Tribunale del luogo dove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa [nota 1] (pur facendo salva l'applicazione delle convenzioni internazionali e delle norme sull'Ue, pur ponendo alcuni limiti nei casi di trasferimento dell'impresa all'estero che consentono al giudice italiano di rimanere competente se vi è stato un trasferimento di sede «intervenuto nell'anno antecedente all'esercizio dell'iniziativa per la dichiarazione di fallimento» e pur stabilendo che l'imprenditore che ha all'estero la sede principale può essere dichiarato fallito in Italia «anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all'estero») [nota 2]; per il riconoscimento e l'esecuzione di decisioni provenienti da Stati terzi, gli articoli da 64 a 67, per altre questioni di carattere processuale l'articolo 12 della legge n. 218 il quale dispone che il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana.

Passando all'esame delle pronunce di fallimento in ambito comunitario, com'è noto, la Comunità europea, grazie alla comunitarizzazione della cooperazione giudiziaria civile [nota 3], è intervenuta adottando diversi provvedimenti volti a favorire la libera circolazione degli atti giudiziari, a determinare i criteri di giurisdizione per ripartire la competenza tra i giudici e, seppure in casi più limitati, ad armonizzare le norme di conflitto tra gli Stati membri. Questo è avvenuto nel settore delle obbligazioni extracontrattuali con l'adozione del regolamento n. 864/2007 dell'11 luglio 2007 sulla legge applicabile a dette obbligazioni ("Roma II") [nota 4] così come in quello dei contratti, con la trasformazione della Convenzione di Roma sulle obbligazioni contrattuali del 19 giugno 1980 [nota 5] in un regolamento comunitario approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo il 7 dicembre 2007 e in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea. Era quindi inevitabile, sia per l'assenza di convenzioni di ampia portata ratificate da tutti gli Stati membri (ad esempio, la Convenzione su taluni aspetti internazionali del fallimento adottata a Istanbul il 5 giugno 1990, nell'ambito del Consiglio d'Europa, è stata ratificata solo da Cipro), sia per gli effetti sullo stesso mercato interno, un intervento comunitario proprio nel settore delle procedure d'insolvenza per fare in modo che gli effetti si estendano, a prescindere dal dato territoriale, su tutto il territorio comunitario.

Una scelta finalizzata ad evitare che gli interessati trasferiscano i propri beni o i procedimenti giudiziari con il solo fine di ottenere una migliore soluzione giuridica in un altro Stato membro (forum shopping), nonché a favorire come vedremo nell'ultimo paragrafo, la libera circolazione dei provvedimenti giudiziari, funzionale a evitare situazioni confliggenti o a impedire che una sentenza straniera non produca effetti in ragione dei diversi principi, come quello di territorialità, seguiti nei diversi ordinamenti. A tal proposito, basti ricordare la sentenza del Tribunale di Napoli del 10 gennaio 2008 [nota 6], nella quale l'Autorità giudiziaria ha ritenuto che, in mancanza di convenzioni internazionali, la procedura concorsuale aperta in Ucraina non blocca il procedimento esecutivo individuale pendente in Italia perché l'eventuale riconoscimento della sentenza ucraina «non comporta che questa decisione abbia la stessa efficacia della corrispondente decisione italiana, ma che consegua gli effetti suoi propri». Una conclusione questa, come vedremo successivamente, del tutto diversa rispetto a quella che sarebbe stata raggiunta nel caso di applicabilità del regolamento comunitario.

La disciplina comunitaria predisposta nel regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure d'insolvenza

Il punto di partenza della nostra analisi è senza dubbio costituito dal regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure d'insolvenza, adottato in base agli articoli 61, lettera c) e 67, comma 1 del Trattato Ce, il 29 maggio 2000 [nota 7] ed entrato in vigore il 31 maggio 2002, modificato, da ultimo, dal regolamento n. 694/2006 del 27 aprile 2006 [nota 8], applicabile tra tutti gli Stati membri ad esclusione della Danimarca che, salvo in caso di espressa accettazione, non partecipa al settore della cooperazione giudiziaria civile.

Si tratta di una regolamentazione necessaria, per evitare che, come detto, in un contesto di globalizzazione dei mercati, ciascuno Stato proceda autonomamente, occupandosi di una parte limitata dei beni del debitore con risultati talvolta confliggenti tra le pronunce eventualmente adottate in diversi Stati membri. Tale atto, che ha quindi un particolare rilievo nel contesto del mercato interno, è applicabile ai procedimenti d'insolvenza che hanno natura transfrontaliera. Si tratta, per certi aspetti, di un provvedimento onnicomprensivo perché a differenza di altri regolamenti che si occupano solo di giurisdizione o di riconoscimento delle sentenze come il regolamento n. 44/2001 che però esclude dal suo ambito di applicazione proprio i fallimenti, i concordati e le procedure affini, il regolamento n. 1346 detta una disciplina articolata in materia di ripartizione della giurisdizione tra le Autorità giudiziarie degli Stati membri, nel settore del riconoscimento e dell'esecuzione dei provvedimenti assunti dai Tribunali dei Paesi Ue, nonché, seppure con una disciplina meno dettagliata, in materia di diritto applicabile, inserendo, in questo contesto, anche norme materiali uniformi con ciò sostituendo la disciplina propria degli ordinamenti nazionali [nota 9].

Questo, però, solo nei casi in cui siano presenti le condizioni di applicabilità del regolamento che, com'è noto, trova attuazione per le procedure concorsuali fondate sull'insolvenza del debitore che comportano lo spossessamento parziale o totale del debitore e la designazione di un curatore, con l'esclusione dei casi in cui i debitori siano imprese assicuratrici, enti creditizi, «imprese d'investimento che forniscono servizi che implicano la detenzione di fondi o di valori mobiliari di terzi, agli organismi di investimento collettivo» [nota 10]. In questi casi, così come quelli nei quali non esiste un centro principale degli interessi in uno Stato membro, continuerà ad applicarsi la legge di riforma di diritto internazionale privato o, laddove possibile, le direttive comunitarie adottate nei settori indicati.

Prima condizione di applicabilità è quindi che la procedura conduca allo spossessamento totale o parziale e, congiuntamente, alla designazione di un curatore. Inoltre, non è sufficiente che sia presente una semplice dipendenza in uno Stato membro, salvo in casi particolari di cui all'articolo 3, comma 4, perché il regolamento si applica «unicamente alle procedure in cui il centro degli interessi principali si trovi all'interno della Comunità» (par. 14 del Preambolo), ad esclusione della Danimarca. Determinante è quindi l'individuazione del centro principale degli interessi del debitore che consente di stabilire l'Autorità giudiziaria competente e di conseguenza, in relazione alla coincidenza tra forum e ius, il contenuto della legge applicabile anche riguardo agli effetti delle procedure in altri Stati. A ciò si aggiunga che l'automaticità del riconoscimento delle decisioni sull'apertura di una procedura d'insolvenza, si applica solo laddove il giudice che adotta il provvedimento è competente in base all'articolo 3 del regolamento.

Ulteriore condizione, ai fini dell'applicabilità, è che la procedura sia iniziata ("aperta") dopo l'entrata in vigore del regolamento: pertanto, «gli atti compiuti dal debitore prima dell'entrata in vigore del presente regolamento continuano ad essere disciplinati dalla legge ad essi applicabile al momento del loro compimento» (articolo 43). Sul punto occorre ricordare che, la Corte di giustizia delle Comunità europee, nella prima sentenza interpretativa sull'indicato atto comunitario, depositata il 17 gennaio 2006 (causa C-1/04, Staubitz-Schreiber) [nota 11], ha precisato che il regolamento è applicabile anche se è stata presentata una domanda di apertura di procedura di insolvenza prima dell'entrata in vigore del regolamento, a condizione che non sia stato emanato un provvedimento che incida sul patrimonio riguardante la procedura in esame. In tal caso, infatti, la procedura non si considera avviata [nota 12] proprio perché non sono stati adottati atti, prima dell'entrata in vigore del regolamento, suscettibili di avere ripercussioni sul patrimonio del debitore. Se la condizione temporale volta a delimitare l'ambito di applicazione del regolamento è stabilita in ambito comunitario, la nozione di procedura d'insolvenza è stata invece demandata ai vari Stati che hanno indicato, nell'Allegato A al regolamento, quali procedure devono essere incluse tra quelle d'insolvenza, senza alcun ulteriore controllo o accertamento discrezionale sul possibile inquadramento di una procedura nell'ambito del regolamento da parte di altri Stati. L'Italia ha indicato inizialmente il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l'amministrazione controllata e quella straordinaria delle grandi imprese in crisi, escludendo poi, come risulta dalle modifiche apportate con il regolamento n. 694/2006 del 27 aprile 2006, l'amministrazione controllata, a seguito dei cambiamenti inseriti nel decreto legislativo n. 5 del 9 gennaio 2006, riguardante la "Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80", che ha modificato, insieme con il successivo decreto legislativo n. 169 del 12 settembre 2007, il sistema concorsuale italiano disciplinato dal regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942 [nota 13]. Per quanto riguarda invece le procedure di liquidazione (articolo 2, lett. c), l'Italia ha incluso il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa (Allegato B) [nota 14], ai quali ha aggiunto, con il regolamento n. 603/2005 del 12 aprile 2005 [nota 15], anche il concordato preventivo con cessione dei beni.

Proprio riguardo alla questione della definizione di «apertura di una procedura di insolvenza», conviene ricordare che la Corte di giustizia, nella sentenza del 2 maggio 2006 sul caso Eurofood (causa C-341/04), su richiesta della Corte suprema irlandese, ha chiarito che la presentazione di una domanda e la nomina di un amministratore provvisorio possono essere considerati come «decisione di apertura della procedura di insolvenza» secondo l'articolo 16 del regolamento [nota 16], perché nell'elenco fornito dall'Irlanda, in base a quanto previsto dall'Allegato A, è inclusa la compulsory winding-up by the Court, ossia la liquidazione coattiva da parte del giudice e la nomina di un curatore provvisorio [nota 17], che è la prima forma di ordinanza giudiziale resa in un procedimento di liquidazione coattiva per l'ordinamento irlandese. Nella nozione di «decisione di apertura di una procedura di insolvenza», secondo l'articolo 2 lett. e), inoltre, non rientra «solo una decisione formalmente indicata come decisione di apertura della normativa dello Stato membro cui appartiene il giudice che l'ha pronunciata, ma anche la decisione emessa a seguito di una domanda, fondata sull'insolvenza del debitore, finalizzata all'apertura di una procedura di cui all'Allegato A al regolamento, quando tale decisione comporta lo spossessamento del debitore e comprende la designazione di un curatore ai sensi dell'allegato C del regolamento stesso» [nota 18]. Con la conseguenza che tale decisione deve essere riconosciuta negli altri ordinamenti dal momento in cui «produce effetto nello Stato in cui la procedura è aperta», secondo quanto disposto dall'articolo 16, 1° comma [nota 19], con un carattere universale e un effetto contemporaneo in tutti gli Stati membri ad esclusione della Danimarca, senza alcun potere di valutazione da parte dell'ordinamento che deve procedere all'esecuzione del provvedimento adottato in un altro Stato.

Delimitato l'ambito di applicazione del regolamento, trattandosi di un atto particolarmente ampio, piuttosto che limitarsi a passare in rassegna i diversi aspetti del provvedimento, conviene soffermarsi unicamente sulle questioni che più da vicino possono interessare l'attività del notaio, con particolare riferimento alla necessità per il notaio italiano di avere conoscenza dell'apertura di una procedura di insolvenza in un altro Stato. Un'esigenza che, come detto, può verificarsi in diversi contesti: ad esempio, nei casi in cui un cittadino italiano sia dichiarato fallito in un altro Paese membro e poi acquisendo altri beni a titolo successorio in Italia decida di venderli, oppure nei casi in cui il notaio concluda un atto di compravendita per una persona fisica o giuridica sottoposta a procedura d'insolvenza o abbia il compito di concludere contratti di compravendita per persone fisiche o giuridiche su beni immobili che si trovano in Italia, ma che rientrano in una procedura d'insolvenza aperta all'estero.

In questi casi, infatti, il notaio sarà tenuto a non compiere atti giuridici che coinvolgono determinate persone fisiche e giuridiche che, secondo la legge dello Stato di apertura della procedura d'insolvenza, sono considerati incapaci, sul presupposto però di essere a conoscenza dei casi di apertura di procedure di insolvenza in altri Stati membri.

In caso contrario verrebbe meno uno degli obiettivi del regolamento che è quello di coordinare -come stabilito nel Preambolo - «i provvedimenti da prendere in merito al patrimonio del debitore insolvente», soprattutto alla luce dell'incremento delle attività transfrontaliere delle imprese, della presenza di creditori in diversi Stati e dell'aumento dei casi di fallimento transfrontalieri, almeno nel territorio comunitario, che presentano, come dimostrato dalla vicenda Parmalat, diversi problemi applicativi.

Ancora una volta, quindi, si sottolinea la necessità di operare con particolare diligenza al fine di conoscere con tempestività l'apertura di una procedura in un altro Stato membro. Il regolamento, come vedremo con maggiore attenzione quando ci occuperemo delle questioni legate al riconoscimento delle sentenze, pur disponendo in materia di legge applicabile il richiamo alla lex concursus, ha fissato norme materiali uniformi in materia di pubblicità. Ad esempio, in base all'articolo 21, il curatore ha la facoltà, quindi non l'obbligo, di chiedere la pubblicazione del contenuto essenziale della decisione di apertura; lo Stato in cui ha sede una dipendenza, dal canto suo, ha la facoltà di prevedere nel proprio ordinamento come obbligatoria la pubblicazione. Si tratta però, come risulta dal dettato normativo, di forme di pubblicità lasciate alla scelta discrezionale degli Stati (la Finlandia prevede che su richiesta di un curatore le procedure fallimentari avviate in altri Stati siano pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, nonché nei diversi registri, con una responsabilità affidata al centro dei registri legali). Pertanto, queste disposizioni non sono sufficienti ad assicurare una circolazione adeguata delle informazioni necessarie per gli operatori giuridici, soprattutto nella fase iniziale riguardante la conoscenza dell'apertura delle procedure d'insolvenza in altri Stati membri, che impongono quindi un'attività di accertamento più accurata.

Un dato, infatti, è certo: non è possibile, per l'operatore giuridico, invocare la mancata conoscenza dell'apertura della procedura d'insolvenza o della legge straniera applicabile eventualmente al fallimento per salvare gli effetti di determinati atti.

È quindi possibile che un atto sia sempre sottoposto alla spada di Damocle dell'apertura di una procedura d'insolvenza aperta in un altro Stato membro? Fino a che punto è possibile richiedere agli operatori giuridici sforzi di carattere istruttorio per sapere se un fallimento è stato pronunciato in un altro Stato? In realtà, proprio tenendo conto delle difficoltà che possono realizzarsi in assenza di registri comunitari che consentano di iscrivere le procedure di fallimento con una circolazione delle notizie in tutta Europa, il legislatore comunitario ha previsto, nel considerando n. 30 del Preambolo che, in determinati casi, qualora gli interessati ignorino l'apertura di una procedura all'estero, ma agiscano in buona fede, «adempiendo obbligazioni a favore del debitore, laddove di fatto avrebbero dovuto eseguirle a favore del curatore straniero», di «attribuire carattere liberatorio a tale prestazione o pagamento». In effetti, anche tenendo conto della flessibilità del criterio idoneo a consentire l'apertura della procedura d'insolvenza, che impone un accertamento nel caso concreto, con certo rischio di soggettività nella valutazione che potrebbe incidere sulla certezza del diritto, lo stesso regolamento fa propria l'esigenza di non gravare il professionista o altri soggetti di un'eccessiva responsabilità.

Di particolare rilievo è quindi la buona fede che può essere dimostrata fornendo elementi in relazione allo svolgimento di alcuni controlli finalizzati, in primo luogo, a individuare l'autorità giurisdizionale competente che poi, come sottolineato in precedenza, incide anche sulla legge applicabile e sugli effetti delle pronunce. In quest'attività di accertamento, applicando correttamente i parametri necessari a stabilire il centro degli interessi principale del debitore, il notaio potrebbe anche verificare l'abusiva apertura della procedura d'insolvenza.

La tesi della difficoltà di conoscere l'esistenza di una procedura d'insolvenza in un altro Stato membro per salvaguardare gli effetti di alcuni atti è stata anche proposta dalla Commissione europea dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee.

In relazione a una controversia tra Commissione, un'azienda belga e un'austriaca (causa C-294/02) Bruxelles aveva adito, in forza di una clausola compromissoria, la Corte di giustizia. Il curatore fallimentare di una delle società coinvolte riteneva che il ricorso dovesse essere dichiarato irricevibile perché in Austria era stata aperta una procedura fallimentare: in base all'articolo 16 del regolamento n. 1346 l'apertura di una procedura in uno Stato membro deve essere riconosciuta automaticamente, oltre a produrre effetti secondo il diritto dello Stato di apertura della procedura. In base alla legge austriaca, le azioni volte a rivendicare diritti sui beni patrimoniali non possono essere proseguite se i beni rientrano nella massa patrimoniale e quindi la Commissione non poteva avviare il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia. Oltre a rilevare che il regolamento non si poteva applicare alla Commissione, quest'ultima sosteneva che non aveva avuto conoscenza dell'apertura della procedura d'insolvenza se non due mesi e mezzo dopo dall'apertura della procedura, malgrado l'articolo 40 richieda che i creditori conosciuti siano informati senza ritardo dal giudice dello Stato o dal curatore. In realtà, come sostenuto dall'Avvocato generale Kokott, l'articolo 40 non prevede alcuna sanzione nei casi di mancata informazione anche perché l'apertura della procedura, secondo il diritto austriaco, era stata trascritta nel Registro delle Imprese e quindi la Commissione, pur in assenza di una comunicazione, «era in grado di venire a conoscenza dell'avvio di detta azione» (par. 88). Quest'indirizzo è stato confermato nella sentenza del 17 marzo 2005 nella quale la Corte ha rilevato che non è corretto - come aveva fatto la Commissione - invocare l'articolo 40 fondandosi sul lasso di tempo tra apertura della procedura d'insolvenza e notifica di essa, sia perché l'articolo 17 produce effetti senza che sia necessaria alcuna notifica e sia perché, nel regolamento, non è prevista una conseguenza negativa in ordine al riconoscimento, nei casi di notifica tardiva dell'apertura di una procedura d'insolvenza.

Questa vicenda mette in risalto le difficoltà che possono incontrare operatori giuridici e creditori che, in buona fede, possono avviare un'azione non sapendo – ed in questo caso era toccato addirittura alla Commissione europea – dell'apertura di una procedura d'insolvenza in un altro Stato.

Le verifiche necessarie per individuare il centro degli interessi principali del debitore

L'individuazione dell'autorità competente per l'apertura di una procedura d'insolvenza ha rilievo anche nel caso in cui il notaio venga consultato come libero professionista, richiesto di un parere professionale sull'individuazione del luogo più idoneo, per un imprenditore, per stabilire un'attività economica.

Il regolamento prevede l'apertura di una procedura principale e, nei casi in cui ciò sia necessario, di una procedura secondaria collegata all'esistenza di una dipendenza in un altro Stato membro e alla preliminare apertura di quella principale, che è quindi il punto sul quale conviene focalizzare l'attenzione.

Per quanto riguarda la prima delle indicate procedure, la competenza è affidata all'Autorità giudiziaria del luogo in cui il debitore ha il suo centro principale degli interessi o in caso di società quello della sede statutaria, salva la prova contraria. Se la nozione di "giudice" è fornita nello stesso regolamento e include qualsiasi organo dello Stato competente ad aprire una procedura di insolvenza, quella del centro degli interessi principali, titolo di giurisdizione che è strettamente vicino al criterio del collegamento più stretto, presenta diverse difficoltà d'individuazione.

Si tratta, infatti, di un criterio che se da un lato favorisce l'individuazione dell'Autorità giudiziaria competente più vicina all'effettiva attività del debitore, dall'altro lato richiede un ulteriore sforzo per l'operatore giuridico che può commettere un errore nell'individuazione di tale centro rispetto a titoli usuali di giurisdizione, predefiniti con maggiore sicurezza. Lo stesso regolamento non fornisce particolari strumenti interpretativi: il considerando n. 13 del Preambolo, che specifica i parametri da utilizzare per la qualificazione di tale titolo, si limita ad affermare che deve trattarsi del luogo «in cui il debitore esercita in modo abituale e, pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi».

Tuttavia, grazie agli interventi della Corte di giustizia delle Comunità europee, è possibile individuare alcune caratteristiche da prendere in esame ai fini della determinazione del centro degli interessi principali del debitore (noto come Comi, "Centre of main interests") che, come detto, è il titolo principale, che lascia margini di discrezionalità nell'individuazione dell'autorità competente e che è determinante, come vedremo, anche per stabilire la legge applicabile. L'indicata discrezionalità sussiste altresì nell'ipotesi in cui il procedimento di insolvenza riguardi società o persone giuridiche perché, anche se in quest'ultimo caso è fissata una presunzione a vantaggio dell'autorità del luogo in cui si trova la sede statutaria, il giudice di uno Stato membro può ritenere, facendo valere la prova contraria ai sensi del regolamento, che il centro degli interessi principali sia sul proprio territorio.

La possibilità di ribaltare la presunzione effettuata nel regolamento in ordine al Comi delle persone giuridiche e l'assenza di criteri applicabili in via generale per stabilire il centro degli interessi principali se il debitore è una persona fisica, rendono opportuno un esame della prassi applicativa nei diversi Stati membri, ormai abbastanza ampia, trascorsi sei anni dall'entrata in vigore del regolamento, e degli interventi della Corte di giustizia delle Comunità europee. Questo con l'obiettivo di verificare se si siano consolidati criteri di applicazione generale idonei a individuare il Comi del debitore, che consentano di limitare un effetto negativo insito nella scelta di tale titolo di giurisdizione, a causa del carattere di variabilità e dell'assenza di predeterminazione degli elementi da valutare, che rendono più difficile l'individuazione preventiva dell'autorità competente e che possono condurre a una proliferazione di giudici che si ritengono competenti.

Ciò appare di particolare interesse per gli operatori giuridici che potranno segnalare, con maggiore consapevolezza, le conseguenze della scelta di un luogo come centro degli interessi di un imprenditore, anche sotto il profilo processuale, affinché i rischi dell'avvio di una relazione economica tra le diverse parti vengano assunti conoscendo ex ante il giudice competente nelle operazioni di debito transfrontaliere e tenendo conto che è il luogo di apertura della procedura di insolvenza a determinare la legge applicabile (lex fori concursus).

Di particolare aiuto è la sentenza della Corte di giustizia, nella sentenza del 2 maggio 2006 sul caso Eurofood (causa C-341/04) che è arrivata a Lussemburgo su rinvio pregiudiziale della Corte suprema irlandese che, come giudice di ultimo grado, ha potuto effettuare il rinvio ai giudici comunitari [nota 20].

La Bank of America aveva presentato, il 27 gennaio 2004, all'High Court irlandese la domanda di liquidazione della controllata irlandese Eurofood del gruppo Parmalat SpA, chiedendo altresì la nomina di un curatore provvisorio. Al tempo stesso, la Eurofood era stata ammessa all'amministrazione straordinaria della Parmalat in Italia, deliberata il 24 dicembre 2003, con la nomina di Enrico Bondi come commissario. Con ordinanza del 10 febbraio 2004, il Tribunale di Parma aveva fissato l'udienza, a seguito dell'istanza di dichiarazione di insolvenza di Eurofood e il 20 febbraio aveva pronunciato la sentenza di apertura del procedimento di insolvenza, sostenendo altresì che il centro degli interessi principali di Eurofood era in Italia. Poco dopo, il 23 marzo 2004, il giudice irlandese adito, come detto, dalla Bank of America, sosteneva che il centro principale degli interessi era in Irlanda, rilevando altresì l'incompatibilità della decisione del Tribunale di Parma con il regolamento n. 1346. Di conseguenza, il Tribunale irlandese non ha riconosciuto la decisione di quello di Parma; l'amministratore Bondi ha presentato appello e la Corte suprema irlandese si è rivolta ai giudici comunitari chiedendo di chiarire, per l'individuazione della giurisdizione, il significato da attribuire alla nozione di domanda di apertura della procedura di insolvenza e quella di centro degli interessi principali del debitore.

La posizione dei Tribunali italiani è stata quella di ribaltare la presunzione della sede statutaria fissata nell'atto comunitario (nel caso di Eurofood in Irlanda) ritenendo che quella effettiva si trovasse in Italia, territorio nel quale era condotta la gestione dell'impresa, riconoscibile da terzi [nota 21].

In particolare, considerato che l'attività di direzione e "il centro propulsore dell'impresa" erano di fatto nella sede della Parmalat SpA di Collecchio, che la Eurofood era amministrata da un organo composto dagli amministratori «executive, a cui era di fatto demandata la reale gestione della impresa … impiegati italiani del gruppo Parmalat», che gli amministratori di questo gruppo avevano partecipato «al CdA di Eurofood in collegamento telefonico, senza mai recarsi, se non in rare occasioni, presso gli uffici irlandesi» e che Eurofood non aveva impiegati in Irlanda, ma solo «un domicilio coincidente con gli uffici» di uno studio legale, la presunzione stabilita nel regolamento arretrerebbe di fronte al fatto che il centro degli interessi principali era in Italia. «L'oggetto sociale di Eurofood - ha precisato il Tribunale - non lascia dubbi in merito alla sua funzione ancillare e strumentale rispetto al conseguimento degli interessi economici della Parmalat SpA e delle altre società del gruppo, per cui si potrebbe parlare di una branch della Parmalat SpA», anche perché «tutte le operazioni di private placements effettuate da Eurofood sono state garantite da Parmalat SpA ed il relativo ricavato è stato vincolato ad esclusivo beneficio delle società del gruppo».

Pertanto, l'effettivo totale controllo della Parmalat SpA, l'attività finalizzata unicamente agli interessi della controllante, la presenza di un «organo amministrativo mero esecutore delle direttive provenienti dalla sede di Parma», permettono di chiarire che la gestione degli interessi non è nella sede statutaria.

A rafforzare questa soluzione, il Tribunale ha ricordato che le operazioni compiute da Eurofood sono «connesse e strumentali» a quelle della Parmalat, anche per le questioni legate alle emissioni obbligazionarie, perché il collocamento sul mercato delle obbligazioni era avvenuto tramite banche italiane. Profilo che mostra altresì - ha precisato il giudice italiano - la sussistenza della «riconoscibilità da parte dei terzi dell'effettiva localizzazione dell'attività di impresa», come richiesto dal 13° considerando del regolamento n. 1346/2000.

La pendenza di una procedura di liquidazione in Irlanda, sarebbe poi irrilevante nella visione dei giudici italiani, perché la sola presentazione dell'istanza di liquidazione e la nomina del provisional liquidator, «non può certo qualificarsi come apertura della procedura, posto che solo un provvedimento che accerta con efficacia anche provvisoriamente esecutiva, ma tendenzialmente definitiva (fatta quindi salva l'impugnazione) lo stato di insolvenza può avere gli effetti processuali e sostanziali che il regolamento allo stesso ricollega».

Da quanto illustrato, risulta evidente come, pur partendo dalla comune applicazione del regolamento, le autorità giurisdizionali di due diversi Stati membri abbiano interpretato in modo differente la nozione di centro degli interessi del debitore, malgrado la presunzione prevista per le persone giuridiche, dando vita a un conflitto positivo di giurisdizione a causa del fatto che, invece di interpretare in modo autonomo rispetto agli ordinamenti nazionali la nozione del Comi, hanno fatto riferimento alle legislazioni interne ai fini della qualificazione.

In questo contesto, la sentenza Eurofood è di grande rilievo proprio perché indica gli elementi da prendere in considerazione per riempire di contenuto la nozione di «centro degli interessi principali del debitore», non limitando l'affermazione dei principi al caso delle società controllate e ribadendo la necessità di un'interpretazione che prescinda dalle leggi interne, collocandosi in un ambito diverso, quale quello comunitario.

La Corte di giustizia ha prima di tutto precisato che, nella qualificazione del Comi, è necessario tenere presente che l'articolo 3 fa un chiaro riferimento all'applicazione di criteri obiettivi, funzionali alla riconoscibilità da parte dei terzi che, nel caso delle persone giuridiche, coincide con la sede statutaria, salva la prova contraria.

Per i giudici comunitari è determinante lo svolgimento dell'attività sul territorio di uno Stato proprio perché si tratta di un elemento visibile, che prevale sul fatto che le scelte decisionali e di carattere amministrativo sono prese da una società madre con sede in un altro Paese che, invece, secondo l'amministratore straordinario Bondi e il Governo italiano, era determinante per l'attribuzione della giurisdizione, ribaltando, proprio per il controllo esercitato dalla Parmalat su Eurofood, la presunzione dell'articolo 3, che indica nella sede statutaria delle persone giuridiche il titolo di giurisdizione.

Dal ragionamento seguito dalla Corte di giustizia, appare evidente che la presunzione applicabile nel caso delle persone giuridiche può essere ribaltata solo in casi eccezionali, tenendo conto che il criterio guida è quello della riconoscibilità da parte dei terzi, che devono essere messi nelle condizioni di «calcolare i rischi giuridici che si dovrebbero assumere in caso di insolvenza» e partendo dal presupposto che la società madre e la controllata hanno una «separata identità giuridica». Pertanto, «ogni controllata nell'ambito di un gruppo deve essere considerata individualmente», tenendo conto, allo stesso tempo, che il considerando n. 13 dà rilievo alla gestione degli interessi del debitore. Se sussiste un controllo totale della società madre e ciò è riconoscibile dai terzi, il cambiamento del centro degli interessi del debitore nella sede della "capogruppo" non è altro che un'applicazione del principio dell'effettività, senza che però rilevi un mero potere della società madre attraverso la nomina degli amministratori, poiché si tratta di un fattore non sempre riconoscibile dai terzi. L'onere della prova, per i creditori che intendono modificare la presunzione in materia di persone giuridiche risulta particolarmente complesso e condizionato dall'esistenza di due requisiti indispensabili, presenti cumulativamente, quali abitualità e riconoscibilità riscontrabili sulla base di criteri obiettivi. In pratica, per la Corte, lo svolgimento di un'attività, "blocca" il cambiamento della presunzione fissata nel regolamento, senza che rilevi l'attribuzione di un potere decisionale ad altre entità. Per questo, proprio a sottolineare l'eccezionalità della prova contraria, la Corte comunitaria indica come esempio in grado di escludere la giurisdizione del Tribunale del luogo in cui la singola entità ha la sede statutaria, il caso di una società fantasma che non svolge «alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui si trova la sua sede sociale». Questo vuol dire che non è necessario alcun confronto fra le diverse attività compiute dalla controllante e dalla controllata perché, per confermare l'applicazione del titolo di giurisdizione della sede statutaria è sufficiente lo svolgimento di una qualsiasi attività, proprio perché in questo caso i creditori riconducono alla controllata le responsabilità, senza necessità di ulteriori accertamenti.

Per la Corte di giustizia i suddetti requisiti si trovano in una posizione di primo piano anche nel caso in cui si verifichi il trasferimento del centro degli interessi principali del debitore dopo la presentazione della domanda di apertura della procedura, ma prima di una decisione in grado di incidere sulla situazione controversa, ipotesi non espressamente disciplinata nel regolamento. In questi casi - ha precisato la Corte di giustizia nella citata sentenza del 17 gennaio 2006 (C-1/04) - «un trasferimento di competenza dal giudice inizialmente adito verso un giudice di un altro Stato membro su tale fondamento [il trasferimento del centro degli interessi principali] sarebbe contrario agli obiettivi perseguiti dal regolamento», che è proprio quello di «dissuadere le parti della procedura dal trasferire i beni o i procedimenti giudiziari da uno Stato membro ad un altro al fine di ottenere una migliore situazione giuridica». In caso contrario e, a discapito delle esigenze di certezza del diritto, si consentirebbe la scelta del giudice e del diritto applicabile, incentivando il forum shopping che, invece, in tutti i regolamenti comunitari nel settore della cooperazione giudiziaria civile che si occupano di giurisdizione, il legislatore ha inteso evitare. Questa soluzione permette altresì di salvaguardare gli interessi dei creditori che, ad accogliere l'altra soluzione, non potrebbero valutare i rischi nel momento in cui avviano relazioni commerciali con il debitore.

In conclusione, quindi, dall'esame svolto, risulta che, per stabilire con precisione il centro principale degli interessi del debitore devono essere presi in considerazione in via cumulativa due elementi: l'abitualità dell'esercizio dell'attività, che rappresenta un elemento di stabilità, e la riconoscibilità da parte dei terzi e quindi dei possibili creditori, che rafforza la trasparenza, anche se la formulazione della norma sembra quasi far coincidere l'abitualità con la riconoscibilità.

La rilevanza della legge applicabile alle procedure d'insolvenza in relazione agli effetti delle decisioni pronunciate in uno Stato membro

Il rilievo della giurisdizione e quindi della corretta determinazione del centro degli interessi principali del debitore ha poi un particolare ruolo per quanto riguarda la legge applicabile alle procedure d'insolvenza perché è tale legge con alcune limitazioni, a stabilire gli effetti della procedura d'insolvenza pronunciata all'estero. è questo il caso di un cittadino italiano dichiarato fallito all'estero ma che diventa erede in Italia. Può disporre dei suoi beni? Quale legge si applica?

Come detto, il regolamento pur puntando ad armonizzare le legislazioni esistenti, non ha dettato norme materiali uniformi, inserendo invece una norma di conflitto che sostituisce quelle proprie degli ordinamenti nazionali e armonizza, seppure in via limitata e solo per alcuni aspetti, il diritto internazionale privato. L'articolo 4 del regolamento, infatti, rinvia all'ordinamento dello Stato membro sul cui territorio è aperta la procedura principale o quella secondaria (articolo 28), disponendo in entrambi i casi l'applicazione della lex concursus. Questa legge determina in particolare, (citiamo solo alcuni casi) i debitori che per la loro qualità possono essere assoggettati alla procedura d'insolvenza, i beni oggetto di spossessamento, la sorte dei beni acquisiti dal debitore dopo l'apertura della procedura d'insolvenza, gli effetti della procedura d'insolvenza sui contratti in corso, le disposizioni sulla nullità degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori. Conviene poi ricordare che, in ogni caso, l'articolo 4 ha un carattere esemplificativo come risulta dal considerando n. 23 del Preambolo in base al quale la lex concursus disciplina tutte «le condizioni di apertura, lo svolgimento e la chiusura della procedura di insolvenza», nonché tutti gli effetti procedurali e sostanziali della procedura d'insolvenza, con deroghe che hanno invece carattere tassativo, elencate all'articolo 5 e poi specificate anche agli articoli da 7 a 14.

Malgrado l'obbligo di applicare la legge dello Stato membro di apertura della procedura, il regolamento pone taluni limiti all'attuazione di tale legge. Infatti, per quanto riguarda i diritti reali dei terzi (ai quali sono assimilati i diritti iscritti in un pubblico registro e opponibile ai terzi, che consentono di ottenere un diritto reale), il regolamento stabilisce che tali diritti, di cui sono titolari i creditori su beni materiali o immateriali, mobili o immobili che si trovano in un altro Stato membro, non possono essere pregiudicati dall'apertura di una procedura di insolvenza all'estero [nota 22]. Questo vale anche nel caso di compensazione del credito, di riserva di proprietà, nei rapporti di lavoro, per i diritti legati ai mercati finanziari, per brevetti e marchi, con una generale tutela del terzo acquirente (articolo 14). Per quanto riguarda i contratti relativi ai beni immobili, gli effetti di una procedura di insolvenza sono disciplinati «esclusivamente dalla legge dello Stato membro nel cui territorio il bene è situato», questo anche in ragione delle esigenze di sicurezza giuridica e di tutela dei proprietari e dei terzi.

Ottica che ha ispirato il legislatore comunitario nella previsione di cui all'articolo 11, in base al quale gli effetti della procedura di insolvenza su un bene immobile, una nave o un aeromobile «soggetti a iscrizione in un pubblico registro, sono disciplinati dalla legge dello Stato membro sotto la cui autorità si tiene il registro».

Come detto è la legge dello Stato di apertura della procedura fallimentare a disciplinare, tra l'altro, i soggetti che possono essere oggetto di una procedura fallimentare. Pertanto, per quanto riguarda l'Italia, non sarà possibile avviare la procedura di insolvenza nei confronti di soggetti che secondo la legge italiana non possono essere sottoposti a tali procedure, come ad esempio i consumatori. Con l'adozione del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 [nota 23] e del successivo decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 [nota 24] è stata confermata, con alcuni cambiamenti, la limitazione prevista nel regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Di conseguenza, sono «soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori», dalla cui nozione sono a loro volta lasciati fuori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva [nota 25]. è opportuno ricordare che il decreto correttivo ha provato a superare la nozione di piccoli imprenditori facendo riferimento anche al livello di esposizione debitoria.

La scelta però di applicare la lex concursus anche in ordine alle condizioni di apertura determina che in altri Stati, se ciò è possibile in base alle leggi nazionali, la procedura d'insolvenza potrà riguardare persone fisiche inclusi i consumatori o categorie professionali diverse dagli imprenditori. Ciò può avere effetti diretti nell'ordinamento italiano proprio in ragione del sistema di riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri. Infatti, in base all'articolo 25, «le decisioni relative allo svolgimento e alla chiusura di una procedura di insolvenza, pronunciate da un giudice la cui decisione di apertura è riconosciuta a norma dell'articolo 16 … sono ugualmente riconosciute senza altra formalità». Questo vuol dire che, in base alla lex concursus, si potranno avere anche effetti non previsti nei casi di procedure d'insolvenza aperte in Italia.

A tal proposito, a titolo meramente esemplificativo, si può ricordare che il Belgio pone limiti all'applicazione del fallimento a talune figure prevedendo che possono essere dichiarati falliti solo i debitori commercianti, intesi come coloro che svolgono atti di natura commerciale, a scopo di lucro, come attività professionale principale o supplementare, pur introducendo una procedura di regolamento collettivo dei debiti per i non commercianti (persone fisiche residenti in Belgio e che non svolgono attività commerciale se non sono in grado in modo durevole di pagare i propri debiti); in Inghilterra e nel Galles può essere dichiarato il fallimento anche di una persona fisica che non sia in grado di onorare i suoi debiti; in Spagna, secondo la nuova legge sul fallimento del 9 luglio 2003, n. 22 è stato istituito un unico procedimento giudiziale per le situazioni di crisi generate dall'insolvenza di un debitore civile o di un commerciante; in Germania, la procedura fallimentare può avere ad oggetto i beni di ogni persona fisica o giuridica anche nel caso in cui non eserciti un'attività imprenditoriale; in Francia, vi sono due regimi per le procedure di insolvenza: uno che riguarda commercianti, agricoltori e ogni persona giuridica ad esclusione degli amministratori condominiali e un altro per le persone fisiche che hanno debiti di natura non professionale; in Lussemburgo, esistono cinque procedure di insolvenza che possono riguardare anche persone fisiche che non svolgono attività imprenditoriale; in Finlandia, è stato predisposto un sistema di adeguamento dei debiti delle persone fisiche.

Nei casi in cui si applichi una procedura d'insolvenza nei confronti di questi soggetti, sempre laddove il regolamento risulti applicabile, la sentenza - come vedremo nel paragrafo successivo - dovrà essere riconosciuta in modo automatico negli Stati membri con effetti anche in ordine alla capacità dei soggetti coinvolti.

Il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni

Il regolamento n. 1346/2000, come detto, disciplina anche gli effetti delle decisioni delle procedure d'insolvenza pronunciate in un Paese comunitario nello spazio giudiziario europeo, disponendo il principio del riconoscimento automatico delle sentenze come consequenziale applicazione del criterio di universalità seguito nell'atto comunitario. L'affermazione di detto principio, che comporta una operatività limitata dei motivi ostativi al riconoscimento automatico e che riguarda unicamente le decisioni pronunciate dalle autorità giudiziarie di uno Stato membro competenti in base all'articolo 3, ha, come prima conseguenza, che si può verificare un ampliamento della sfera dei soggetti dichiarati falliti. Infatti, se in una decisione giudiziaria straniera è affermato, in forza dell'applicazione della lex concursus, il fallimento di un soggetto non assoggettabile alle procedure d'insolvenza nel nostro ordinamento, dovrà essere consentito un simile effetto proprio in forza del regolamento e del principio di automaticità in esso inglobato.

Ciò in linea con il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri, in base al quale gli effetti contemplati dallo Stato di apertura della procedura di insolvenza sia in relazione al soggetto sia ai beni, si producono in tutta l'Unione europea, senza che rilevino le differenti disposizioni nazionali, con una semplificazione anche in relazione alle procedure di trascrizione, notevolmente più rapide con l'eliminazione della procedura di exequatur.

L'impossibilità per uno Stato membro di invocare il diritto interno per bloccare gli effetti di una decisione di un altro Stato è espressamente indicata all'articolo 16, comma 1, che di fatto sancisce il divieto di opporre motivi legati alla qualità dei debitori che in un determinato ordinamento non potrebbero essere dichiarati insolventi. Infatti, l'articolo 16, dopo aver stabilito che la decisione di apertura della procedura d'insolvenza è riconosciuta in tutti gli altri Stati membri «non appena essa produce effetto nello Stato in cui la procedura è aperta», ha cura di precisare che tale automaticità opera «anche quando il debitore, per la sua qualità non può essere assoggettato a una procedura di insolvenza negli altri Stati membri».

Nei casi di automaticità del riconoscimento, quindi, i limiti soggettivi posti nel citato decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e nel decreto correttivo, sono superati dal regolamento che, com'è noto, prevale sul diritto interno, con l'obbligo, per le autorità nazionali, di procedere all'applicazione degli effetti di una procedura concorsuale conclusasi in un altro Paese a soggetti diversi dagli imprenditori commerciali o, in ogni caso, senza tener conto dei limiti posti nella legge italiana, non solo dal punto di vista della soglia quantitativa fissata, ma anche sotto il profilo della diversa qualificazione effettuata in un altro Stato membro.

Per quanto riguarda gli effetti del riconoscimento, l'articolo 17 stabilisce che, in relazione alla procedura principale, gli effetti sono quelli dello Stato in cui è stata aperta la procedura di insolvenza, senza alcuna ulteriore formalità. Sotto il profilo dell'ambito temporale di applicazione, l'indicata disposizione prevede che gli effetti si producono dal momento in cui la procedura d'insolvenza inizia ad avere conseguenze nello Stato in cui è stata aperta, pur facendo salva l'ipotesi di apertura di una procedura secondaria ai sensi del 2° comma dell'articolo 3 che, come detto, ha effetti limitati unicamente ai beni del debitore che si trovano su un territorio, senza possibilità di contestazione negli altri Stati membri.

Quali effetti possono derivare dall'automaticità del riconoscimento? A questo quesito risponde l'articolo 17 che prevede una corrispondenza tra gli effetti dello Stato in cui è stata pronunciata la procedura d'insolvenza e quelli nel quale gli effetti dichiarativi o costitutivi devono avere attuazione. Proprio in forza di tale disposizione, il Tribunale di Liegi, con sentenza del 12 maggio 2005, ha ritenuto che non si potesse procedere all'attribuzione a un notaio del compito di effettuare la vendita pubblica di immobili situati in Belgio appartenenti a una società dichiarata fallita in Lussemburgo, perché non si poteva applicare il diritto belga, ma solo quello lussemburghese.

L'applicazione in tutto il territorio comunitario degli effetti previsti nello Stato nel quale è stata resa la pronuncia sull'insolvenza incontra però, come detto, un limite, costituito dall'eventuale apertura di una procedura d'insolvenza territoriale nello Stato nel quale la pronuncia deve essere attuata. Occorre poi ricordare che l'applicazione di effetti del provvedimento straniero su tutto il territorio comunitario deriva, senza dubbio, dal principio di universalità limitata seguito nel regolamento. Diverso è il caso di pronunce rese in Paesi extracomunitari, nei confronti delle quali sono applicabili gli articoli 64 e 67 della legge n. 218 del 1995. Come osservato dal Tribunale di Napoli nella sentenza del 10 gennaio 2008 [nota 26] relativa agli effetti nel nostro ordinamento di una decisione d'insolvenza pronunciata in Ucraina, il provvedimento straniero può produrre «tutti gli effetti suoi propri, solo allorché sia applicabile il c.d. principio dell'universalità del fallimento ovunque dichiarato. Nel caso in cui, invece, in mancanza di apposite convenzioni internazionali, valga il principio della territorialità, la sentenza straniera comunque non potrebbe produrre in Italia quegli effetti necessariamente vincolati al presupposto che la dichiarazione di fallimento sia stata pronunciata dall'Autorità giudiziaria italiana e che la procedura fallimentare si svolga ed operi sotto il controllo della medesima». Poiché nel nostro ordinamento vige il principio di territorialità del fallimento che - ad avviso del Tribunale di Napoli - è ribadito dall'articolo 9 della legge fallimentare che consente di dichiarare in Italia il fallimento dell'imprenditore già dichiarato insolvente all'estero, la localizzazione del bene nello Stato determina «il limite territoriale della potestà statuale, con la conseguenza che la procedura concorsuale aperta in Ucraina resta in un rapporto di estraneità nel nostro ordinamento, con riguardo all'eventuale sospensione delle azioni esecutive individuali pendenti in Italia».

Tornando all'esame del regolamento, occorre ricordare che, per quanto riguarda i motivi che possono essere opposti per impedire il riconoscimento, è opportuno sottolineare che essi sono ridotti al minimo, anche rispetto allo stesso regolamento n. 44/2001. Nel regolamento n. 1346/2000 è infatti stabilito che la pubblicità di una pronuncia non costituisce un presupposto per il riconoscimento. Una scelta quest'ultima, che se senza dubbio è in linea con la volontà di assicurare la circolazione dei provvedimenti, determina non pochi problemi per gli operatori giuridici che non hanno la possibilità di ricevere tempestivamente e in modo certo notizia sulle pronunce rese sul territorio comunitario. A tal proposito, vale la pena di sottolineare che alla luce del regolamento n. 1346 non si può più ritenere sufficiente il controllo previsto dall'articolo 54 del regolamento notarile: di fronte all'esistenza di una procedura d'insolvenza in un Paese comunitario che come rilevato comporta poi il riconoscimento automatico senza che sia necessaria la preliminare pubblicità, il notaio non può addurre la mancata conoscenza senza almeno aver mostrato un comportamento diligente che va valutato tenendo conto degli accertamenti da lui compiuti per individuare il centro principale degli interessi del debitore. Per temperare però l'esistenza di oneri eccessivi sugli operatori giuridici e non porre ostacoli insormontabili sullo svolgimento di attività economiche all'interno del mercato comune, il regolamento n. 1346, all'articolo 8, ha disposto che gli effetti della procedura di insolvenza su un contratto che dà diritto di acquistare un bene immobile o di goderne «sono disciplinati esclusivamente dalla legge dello Stato membro nel cui territorio il bene è situato».

Il principio del riconoscimento automatico, affermato in relazione agli effetti di una procedura d'insolvenza, colma una lacuna del regolamento n. 1346 che non ha inserito una disposizione ad hoc sulla litispendenza: in base al considerando n. 22 del Preambolo, infatti, si desume che, nel caso in cui i giudici di due Stati membri si ritengano ugualmente competenti ad aprire la procedura d'insolvenza, le autorità adite successivamente devono assicurare la prevalenza al giudice che apre per primo la procedura senza che la decisione del primo giudice possa essere sottoposta a valutazione.

Tra gli effetti che produce una sentenza di apertura di una procedura d'insolvenza vi è lo spossessamento dei beni del debitore e la designazione del curatore che può trasferire beni anche al di fuori del territorio dello Stato membro in cui si trovano i beni, in linea con l'articolo 18. Con alcuni limiti legati all'adozione di misure conservative in uno Stato membro nel quale è stata aperta una procedura secondaria i cui effetti sono disciplinati dal comma 2 e che consentono al curatore anche di far valere ogni azione revocatoria nell'interesse dei creditori.

In ogni caso, secondo quanto stabilito dall'articolo 18, comma 2, i curatori di entrambe le procedure sono tenuti a rispettare la legge dello Stato in cui intendono agire soprattutto in ordine alla liquidazione dei beni. A ciò si aggiunga che il curatore può chiedere, oltre alla pubblicazione del contenuto essenziale della decisione di apertura della procedura di insolvenza (articolo 21), che la decisione di apertura di una procedura principale «sia annotata nei registri immobiliari, nel registro del commercio o altro pubblico registro tenuto negli altri Stati membri», pur lasciando salva la possibilità, per ciascuno Stato, di prevedere un'annotazione obbligatoria (articolo 22).

Anche questo regolamento segue quanto fissato nella Convenzione di Bruxelles del 1968 (sostituita dal regolamento n. 44/2001), che ha scelto il principio del riconoscimento automatico per quanto riguarda gli effetti dichiarativi e costitutivi, facendo salva la procedura di exequatur per quelli esecutivi e nel caso di contestazione della pronuncia straniera [nota 27]. Tuttavia, rispetto alla Convenzione di Bruxelles e al successivo regolamento n. 44, in quello sulle procedure di insolvenza, in materia di esecuzione, che – conviene ricordarlo – rinvia agli articoli da 31 a 51 (ad eccezione dell'articolo 34, comma 2) della Convenzione di Bruxelles, il legislatore comunitario ha limitato i motivi ostativi, con l'obiettivo di accelerare l'attuazione dei provvedimenti in tutta l'Unione europea ed evitare procedure di esecuzione troppo lunghe [nota 28].

Secondo l'articolo 26 del regolamento, infatti, uno Stato membro «può rifiutarsi di riconoscere una procedura di insolvenza aperta in un altro Stato membro o di eseguire una decisione presa nell'ambito di detta procedura, qualora il riconoscimento o l'esecuzione possano produrre effetti palesemente contrari all'ordine pubblico, in particolare ai principi fondamentali o ai diritti e alle libertà personali sanciti dalla Costituzione». Non deve quindi trattarsi solo di un potenziale contrasto in ordine ai principi, ma la decisione da riconoscere ed eseguire deve, in modo concreto, produrre effetti che siano in aperto conflitto con l'ordine pubblico [nota 29]. Sul quale può esercitare un controllo anche la Corte di giustizia delle Comunità europee - come sottolineato dai giudici comunitari nella causa Krombach dell'8 marzo 2000 [nota 30] - i quali hanno sì stabilito che tocca ai giudici degli Stati contraenti definire il contenuto dell'ordine pubblico, ma spetta alla Corte «controllare i limiti entro i quali il giudice di uno Stato contraente può ricorrere a tale nozione per non riconoscere una decisione emanata da un giudice di un altro Stato contraente».

La stessa Corte di giustizia, poi, sempre nella sentenza Eurofood citata in precedenza, ha rilevato la portata eccezionale del limite dell'ordine pubblico, precisando che i limiti rigorosi al suo utilizzo, fissati nell'interpretazione della Convenzione di Bruxelles del 1968, devono essere applicati anche al regolamento n. 1346. Di conseguenza, i giudici di uno Stato membro possono rifiutarsi di riconoscere una decisione assunta dalle autorità di un altro Paese solo in presenza di una "manifesta violazione" di un diritto fondamentale, come quello a un processo equo che include la comunicazione degli atti del procedimento e il diritto ad essere sentiti, di particolare importanza per i creditori e i loro rappresentanti. La Corte poi, pur lasciando la decisione sul punto al giudice del rinvio, mostra che, nel caso di specie, non si era verificata una simile valutazione laddove afferma che in questa valutazione il giudice remittente «non può limitarsi ad utilizzare la propria concezione dell'oralità della trattazione e del carattere fondamentale che essa riveste nel suo ordinamento giuridico», ma deve compiere una valutazione tenendo conto «dell'insieme delle circostanze». Nel caso di specie quindi il giudice irlandese non deve rifiutarsi di riconoscere la sentenza italiana sulla base dell'assunto contrasto con l'ordine pubblico, ma perchè quella italiana «non è una procedura di apertura di una procedura principale perché la procedura principale era già aperta in Irlanda» [nota 31].

Giova poi ricordare che la disciplina in materia di riconoscimento e di esecuzione si applica non solo alle decisioni sulla procedura d'insolvenza, ma anche a quelle che, come chiarito al comma 2 dell'articolo 25, «derivano direttamente dalla procedura d'insolvenza e le sono strettamente connesse, anche se sono prese da altro giudice». In tal modo, si rimuove il limite soggettivo proprio dell'articolo 16 che, nell'affermare il principio del riconoscimento automatico, ha disposto l'applicabilità della disciplina solo in relazione a quei provvedimenti adottati da un'Autorità giudiziaria competente in base all'articolo 3 ossia dall'autorità dello Stato in cui il debitore ha il centro principale dei suoi interessi.


[nota 1] Si veda MUCCIARELLI, «Spostamento della sede statutaria in un Paese membro della Ue e giurisdizione fallimentare», in Giur. comm., 2006, p. 416 e ss.

[nota 2] Sui problemi di coordinamento tra la legge di riforma di diritto internazionale privato e quella fallimentare, si veda QUEIROLO, Le procedure d'insolvenza nella disciplina comunitaria, Torino, 2007, in specie p. 277 e ss. In generale sul regolamento 1346 cfr., DE CESARI, «L'esecuzione delle decisioni civili straniere nello spazio giudiziario europeo», in Dir. comm. internaz., 2002, p. 277 e ss.; ID., Il regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza, in Diritto internazionale privato e processuale comunitario, Torino, 2005, p. 167 e ss.; QUEIROLO, L'evoluzione dello spazio giudiziario europeo: in particolare la disciplina comunitaria delle procedure d'insolvenza, in Comunicazione e Studi, 2002, vol. XXII, p. 903 e ss.; STARACE, «La disciplina comunitaria delle procedure di insolvenza: giurisdizione ed efficacia delle sentenze straniere», in Riv. dir. internaz., 2002, p. 295 e ss.; BENEDETTELLI, «"Centro degli interessi principali" del debitore e forum shopping nella disciplina comunitaria delle procedure di insolvenza transfrontaliera», in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2004, p. 499 e ss.; CARBONE, Il regolamento (Ce) n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza, in CARBONE, FUMAGALLI, FRIGO, Diritto processuale civile e comunitario, Milano, 2004, p. 87 e ss.; DANIELE, Il regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza: spunti critici, in Picone (a cura di), Diritto internazionale privato e diritto comunitario, Padova, 2004, p. 289 e ss.; OMAR, European Insolvency Law, Burlington, 2004; VIRG?S. e GARCIMARTIN, The European Insolvency Regulation: Law and Practice, The Hague, 2004; FLETCHER, Insolvency in Private International Law, 2 ed., Oxford, 2005, in specie, sul regolamento, p. 339 e ss.; SHANDRO, «EC Regulation on Insolvency Proceedings - Public Policy and Comi», in American Bakruptcy Institute Journal, 2005, p. 28 e ss.; RAIMON, Le règlement communautaire 1346/2000 du 29 mai 2000 relatif aux procédures d'insolvabilité, Paris, 2007.

[nota 3] Per comunitarizzazione si intende il passaggio, avvenuto con il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, della cooperazione giudiziaria civile dall'Unione europea (terzo pilastro) alla Comunità europea, nel primo pilastro, con il potere delle istituzioni comunitarie di adottare atti vincolanti nelle materie loro attribuite, sottratte così alla cooperazione intergovernativa propria del terzo pilastro. Si veda KOHLER, «Interrogations sur les sources du droit international privé européen après le traité d'Amsterdam», in Rev. crit. dr. internat. privé, 1999, p. 1 e ss.; POCAR, «La comunitarizzazione del diritto internazionale privato: una European Conflict of Laws Revolution?», in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, p. 873 e ss.; BASEDOW, «The Communitarization of the Conflict of Laws under the Treaty of Amsterdam», in Common market law review, 2000, p. 687 e ss.; ID., European Conflict of Laws under the Treaty of Amsterdam, in International Conflict of Laws for the Third Millenium, New York, Transnational Publisher, 2001, p. 175 e ss.; ISRAËL, «Conflicts of Law and the EC after Amsterdam. A Change for the Worse», in Maastricht journal, 2000, p. 81 e ss.; BOELE-WOELKI e VAN OOIK, «The communitarization of private international law», in Yearbook of priv. int. law, 2002, p. 1 e ss.; KOTUBY, «Internal Developments and External Effects: the Federalization of Private International Law in the European Community and its Consequences for Transnational Litigants», in The Journ. of law and commerce, 2002, p. 157 e ss.; AUDIT, «L'interprétation autonome du droit international privé communautaire», in Jour. dr. int, 2004, p. 789 e ss.; ROSSI, «L'incidenza dei principi del diritto comunitario sul diritto internazionale privato: dalla "comunitarizzazione" alla "costituzionalizzazione"», in Riv. dir. int. priv. proc., 2004, p. 63 e ss.

[nota 4] Il regolamento è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale Ue del 31 luglio 2007, L 199. Si veda, su tale regolamento, POCAR, «Nelle nuove obbligazioni extracontrattuali alle parti una scelta sulla legge applicabile», in Guida dir., com. e internaz., 5, 2007, p. 11 e ss.; ALPA, «Scattano per la responsabilità da prodotti i principi del luogo dove si verifica il danno», ivi, p. 24 e ss.; HONORATI, «Restrizioni alla concorrenza: l'indennizzo regolato dal mercato dove si subisce l'effetto», ivi, p. 27 e ss.

[nota 5] La Convenzione è stata ratificata dall'Italia con legge 18 dicembre 1984, n. 975 ed è applicabile dal 1° aprile 1991.

[nota 6] La sentenza è reperibile nel sito http://www.ilcaso.it.

[nota 7] In G.U. Ce L 160 del 30 giugno 2000. Il regolamento è anche reperibile in DI STASI e DI MURO, Il codice forense di diritto comunitario ed europeo, Piacenza, 2004, p. 1144 e ss. L'atto è stato emendato dal regolamento n. 603/2005 del 12 aprile 2005, che modifica gli elenchi delle procedure di insolvenza, delle procedure di liquidazione e dei curatori, previsti negli allegati A, B e C (in G.U. Ue L 100 del 20 aprile 2005), nonché dal regolamento n. 694/2006 del 27 aprile 2006 (v. oltre, nota n. 7).

[nota 8] A seguito delle riforme nel settore fallimentare varate in diversi Stati è stato adottato l'indicato regolamento n. 694/2006 (in G.U. Ue L 121 del 6 maggio 2006,) che ha cambiato il contenuto degli allegati. In particolare, con riguardo all'Italia, l'elenco riguardante le procedure di insolvenza di cui all'articolo 2, lett. a), contenuto nell'Allegato I (prima Allegato A) è stato modificato indicando, tra dette procedure, il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l'amministrazione straordinaria (con l'eliminazione quindi dell'amministrazione controllata, a seguito della nuova legge fallimentare, disciplinata dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5); l'Allegato II (prima Allegato B) include, tra le procedure di liquidazione, il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, il concordato preventivo e la cessione di beni (quest'ultime due aggiunte rispetto al precedente allegato); l'Allegato III (prima C) ha inserito, oltre al curatore e il commissario, il liquidatore giudiziale.

[nota 9] Critico nei confronti della scelta di non procedere ad armonizzare le regole di diritto materiale in materia di fallimento è MENJUCQ, L'apport du droit communautaire au reglement des faillites internationales, in Travaux du Comité Français de droit international privé, Droit International Privé, années 2002-2004, Paris, 2005, p. 35 e ss., il quale sottolinea che «pour l'heure, il n'existe que des faillites internationales dont le règlement est soumis au droit international privé communautaire ou au droit international privé commun, qui se distinguent par leurs sources et leur domaine d'application».

[nota 10] In tali settori sono state adottate specifiche direttive. Ad esempio, la 2001/17 del 19 marzo 2001 si applica al risanamento e liquidazione delle imprese di assicurazione (in G.U. Ce L 110 del 20 aprile 2001, p. 28 e ss.), recepita in Italia con decreto legislativo n. 93 del 9 aprile 2003, mentre la 2001/24 del 4 aprile 2001 riguarda il risanamento e liquidazione degli enti creditizi (in G.U. Ce L 125 del 5 maggio 2001, p. 15 e ss.), attuata con decreto legislativo n. 197 del 9 luglio 2004. La direttiva 2001/17 dispone che spetta unicamente alle autorità competenti dello Stato membro di origine «decidere l'applicazione di provvedimenti di risanamento ad un'impresa di assicurazione, incluse le succursali in altri Stati membri … » (articolo 4), così come la 2001/24, stabilisce che le autorità del Paese d'origine sono «le sole competenti a decidere sull'applicazione ad un ente creditizio, incluse le succursali stabilite in altri Stati membri, di uno o più provvedimenti di risanamento» (articolo 3).

[nota 11] In Lussemburgo è stata adita in via pregiudiziale dalla Corte di Cassazione tedesca sull'interpretazione dell'articolo 3 del regolamento. Nel caso che ha dato il via alla pronuncia della Corte, un'imprenditrice residente in Germania, dove gestiva un'impresa individuale di commercio di apparecchi e di accessori di telecomunicazione, aveva chiesto l'apertura della procedura di liquidazione, trasferendosi poi in Spagna. A causa di questo cambiamento di residenza, sia il giudice di primo grado, sia la Corte d'appello si erano dichiarati incompetenti. Sulla sentenza della Corte cfr. DIALTI, «Trasferimento del centro degli interessi principali del debitore nel territorio di un altro Stato successivamente alla proposizione della domanda di apertura di una procedura di insolvenza», in Dir. fall., 2006, p. 413 e ss., il quale ha rilevato che l'articolo 9, 5° comma della nuova legge fallimentare, nella parte in cui ritiene sussistente la giurisdizione italiana anche nel caso di trasferimento all'estero dell'impresa, è in linea con il principio affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza C-1/04, anche se l'applicazione dell'articolo 9 può determinare «conflitti giurisdizionali tra corti».

È opportuno ricordare che, prima di questa causa, la Corte di giustizia era stata investita dalla Commissione di un ricorso contro alcune società con le quali aveva stipulato un contratto, richiamando il regolamento n. 1346. Tuttavia, con sentenza del 17 marzo 2005 (causa C-294/02), la Corte ha respinto il ricorso e quindi non si è pronunciata sul regolamento.

[nota 12] Questa è anche la posizione del governo tedesco, riportata dall'Avvocato generale Ruiz-Arabo Colomer al par. 47. Tuttavia, egli ha sottolineato che l'azione della ricorrente riguardava non solo la richiesta di «annullamento della decisione di diniego controversa, ma anche una pronuncia giurisdizionale positiva», che il giudice nazionale deve ponderare per verificare la possibile applicazione del regolamento.

[nota 13] Nella relazione illustrativa alla legge è chiarito che «la tecnica utilizzata è quella della novellazione, ritenendo che, nonostante l'ampiezza della delega, questa non consentisse la completa abrogazione della vigente legge fallimentare, di cui lasciava immutati alcuni ambiti, come gli effetti del fallimento per i creditori, il concordato fallimentare, i reati fallimentari».

Il decreto legislativo n. 5/2006, che si occupa solo dell'individuazione della giurisdizione italiana, ha mantenuto la competenza del Tribunale del luogo in cui l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa.

[nota 14] Vedi supra, nota n. 7. Nell'Allegato C, che elenca la nozione di curatore, invece, l'Italia ha indicato «il curatore e il commissario» e, come detto, con le modifiche introdotte dal regolamento n. 603/2005, ha poi aggiunto il liquidatore giudiziale.

[nota 15] In G.U. Ue L 100 del 20 aprile 2005, p. 1 e ss.

[nota 16] In una simile ipotesi, i Tribunali degli Stati membri e quindi anche quello di Parma sarebbero tenuti a riconoscere la procedura di insolvenza, anche qualora si sostanzi nella sola nomina di amministratore provvisorio, decisa dai giudici di altri Stati membri. Non solo. Tale nomina avrebbe un effetto preclusivo sull'apertura di altri procedimenti principali in altri Stati, limitando il campo di intervento delle autorità di altri Paesi alle procedure secondarie.

[nota 17] Il curatore provvisorio, inoltre, secondo il diritto irlandese può privare gli amministratori di ogni potere d'azione nell'attività di impresa.

[nota 18] La Corte ha anche respinto la tesi del Commissario straordinario della Parmalat Bondi, per il quale la provvisorietà intesa come possibilità di disporre solo di provvedimenti conservativi, non permetterebbe di considerare la nomina di un curatore provvisorio come apertura di una procedura di insolvenza. Per la Corte, invece, poiché si tratta di una procedura inclusa nell'allegato A che conduce a uno spossessamento dei beni, con perdita di poteri di gestione da parte del debitore, deve essere considerata come apertura di una procedura di insolvenza.

[nota 19] Per l'Avvocato generale Jacobs, che ha depositato le sue conclusioni il 27 settembre 2005, la tesi di Bondi e del Governo italiano, intervenuto nel procedimento, in base alla quale la nomina di un curatore provvisorio (provisional liquidator) non è da considerare come la nomina di un curatore secondo la definizione dell'articolo 2 del regolamento, è da respingere perché il provisional liquidator, in Irlanda, ha poteri estesi non limitati a quelli previsti dall'articolo 38 che nel regolamento si occupa del curatore provvisorio e che distingue tra richiesta e decisione di apertura della procedura di insolvenza. In più sembra decisivo, nel ragionamento dell'Avvocato generale, il fatto che vi sia congiuntamente la nomina del curatore e la presentazione della domanda di liquidazione coattiva.

[nota 20] La ricostruzione resa in tale paragrafo riproduce quanto riportato in CASTELLANETA, L'utilizzo del centro degli interessi principali del debitore come titolo di giurisdizione secondo il regolamento comunitario n. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza, in Studi e materiali, 2, 2006, p. 1593 e ss., al quale si rinvia anche per i riferimenti bibliografici sulla vicenda.

[nota 21] L'accertamento della giurisdizione è stato compiuto dal giudice italiano sulla base dell'articolo 3, 2° comma della legge n. 218, di riforma del diritto internazionale privato: solo in modo incidentale il Tribunale afferma che tale individuazione trova «conferma nel regolamento n. 1346/2000» mentre, a nostro avviso, avrebbe dovuto immediatamente procedere all'accertamento della giurisdizione sulla base del regolamento che, com'è noto, prevale sul diritto interno. Si veda CASTELLANETA, L'utilizzo del centro degli interessi principali del debitore come titolo di giurisdizione secondo il regolamento comunitario n. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza, cit., p. 1593 e ss.

[nota 22] La determinazione di questi diritti non è lasciata agli Stati membri, ma è fissata nel regolamento (articolo 5). Si tratta, in particolare, del «a) diritto di liquidare o di far liquidare il bene e di essere soddisfatto sul ricavato o sui frutti del bene stesso, in particolare in virtù di un pegno o di un'ipoteca; b) diritto esclusivo di recuperare il credito, in particolare in seguito alla costituzione di un pegno o alla cessione di tale credito a titolo di garanzia; c) diritto di esigere il bene e chiederne la restituzione al debitore o a chiunque lo detenga e/o lo abbia in godimento contro la volontà dell'avente diritto; d) diritto reale di acquistare i frutti di un bene».

[nota 23] La nuova disciplina, entrata in vigore il 16 luglio 2006, ha - come sottolineato nella relazione illustrativa - finalità essenzialmente liquidatoria dell'impresa insolvente e una tutela accentuata dei diritti dei creditori.

[nota 24] Si tratta del decreto correttivo, sul quale si veda CHERUBINI, «Fallimento: il decreto correttivo», in Il civilista, novembre 2007, p. 44 e ss., adottato per risolvere taluni problemi interpretativi derivanti dalla riforma fallimentare.

[nota 25] La disposizione in esame prosegue prevedendo che, dalla nozione di piccoli imprenditori, sono esclusi coloro che «anche alternativamente: a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila; b) hanno realizzato in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila». è poi previsto che questi limiti siano aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia. Di fatto, quindi, rispetto al regio decreto, quella che è cambiata è l'entità che conduce all'esclusione della nozione di piccoli imprenditori, determinante per l'assoggettamento alla normativa in esame. Cfr. NEGRI, «Fallimenti, riforma completa», in Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2006, p. 21, per il quale il nuovo modo «per definire l'identikit del piccolo imprenditore … provocherà una diminuzione nel numero delle procedure aperte. Calo che sarà determinato anche dalla determinazione a 25mila euro del tetto per l'indebitamento minimo». Per FERIOZZI, «Presupposti oggettivi e soggettivi del fallimento», in Italia Oggi (inserto La riforma del fallimento), p. 15 e ss., la legge fallimentare ha ampliato i «soggetti esonerati dalla procedura (cosiddetta: no failure zone), inteso in senso quantitativo e non meramente qualitativo, mediante assoggettamento a fallimento di tutti gli imprenditori commerciali a prescindere dall'attività esercitata. Ne rimangono esclusi, in un'ottica soggettiva, quindi unicamente gli imprenditori agricoli, gli enti pubblici e gli esercenti attività di tipo professionale. Da un punto di vista quantitativo, infatti, mediante l'introduzione di specifici limiti dimensionali, è stata risolta l'annosa questione dell'assoggettabilità delle piccole società commerciali e dei piccoli imprenditori siano essi individuali o collettivi».

[nota 26] Vedi supra, in "Premessa".

[nota 27] Secondo QUEIROLO, Le procedure d'insolvenza nella disciplina comunitaria, cit., p. 237, nel regolamento comunitario vi sarebbe una dimenticanza perché si «fa riferimento alla possibilità di negare il riconoscimento della procedura d'insolvenza nel suo complesso, mentre trascura l'ipotesi di negarlo in relazione ad una singola decisione presa al suo interno o pronunciata nell'ambito di giudizi ad esso strettamente connessi».

[nota 28] L'articolo 25, comma 3, consente invece di bloccare il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni che hanno come effetto «una limitazione della libertà personale o del segreto postale».

[nota 29] Nella causa Eurofood, l'Avvocato generale dà ragione ai giudici irlandesi, per i quali la decisione del Tribunale di Parma non poteva essere riconosciuta in quanto palesemente in contrasto con un principio fondamentale quale quello delle norme sul giusto processo, sia a causa delle modalità con le quali si era svolto il dibattimento, sia perché al curatore provvisorio non erano stati forniti i documenti da lui richiesti. Un ulteriore elemento di contrarietà al principio del giusto processo era costituito dall'omessa notifica, da parte dell'amministratore straordinario Bondi, dell'udienza dinanzi al Tribunale di Parma anche ai creditori di Eurofood.

[nota 30] Si tratta della causa C-7/98, nella quale la Corte, in ordine all'interpretazione dell'articolo 27, 1° comma della Convenzione di Bruxelles, oltre a rilevare l'obbligo di interpretazione restrittiva nell'applicazione dell'eccezione dell'ordine pubblico nel caso di riconoscimento delle sentenze di altri Stati e a sottolineare che gli Stati sono «liberi di determinare … conformemente alle loro concezioni nazionali, le esigenze di ordine pubblico», ha stabilito che i limiti di tale nozione rientrano nell'interpretazione della Convenzione.

[nota 31] V. sul punto BARIATTI, Procedura d'insolvenza principale nello Stato centro di interessi del debitore, in Guida dir., Il Sole 24 Ore, 2006, p. 121 e ss.

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