La nuova filiera normativa (dalle raccomandazioni Gafi al D.lgs. 231/2007). I principi generali che regolano il nuovo sistema. Le definizioni di riciclaggio e di finalità di terrorismo. Gli obblighi previsti dal D.lgs. 22 giugno 2007, n. 109
La nuova filiera normativa
(dalle raccomandazioni Gafi al D.lgs. 231/2007).
I principi generali che regolano il nuovo sistema.
Le definizioni di riciclaggio e di finalità di terrorismo.
Gli obblighi previsti dal D.lgs. 22 giugno 2007, n. 109
di Marco Krogh
Notaio in Mugnano di Napoli
Introduzione
La presente relazione intende offrire una panoramica dei principi generali e dei precetti guida che regolano la normativa antiriciclaggio, intendendo per tali, sia i criteri aggreganti che hanno consentito alle disposizioni antiriciclaggio di assurgere al rango di sistema, sia le motivazioni che, nel loro insieme, rappresentano l'intentio legis ed hanno fatto da sfondo e da impulso ai vari provvedimenti normativi all'interno della c.d. filiera normativa, rappresentando la premessa logica e cronologica all'emanazione dei provvedimenti stessi da parte del Gafi, dell'Unione europea, della Commissione europea, del Parlamento italiano e del Governo.
Va, innanzitutto, evidenziato che, mentre le disposizioni antiriciclaggio sono disposte "a cannocchiale" all'interno della filiera normativa e si caratterizzano per una loro progressione da norme di carattere più generale a norme dotate di maggior specificità, i principi generali mantengono una loro costanza idonea ad unificare e sussumere sotto criteri comuni l'intero sistema normativo.
I suddetti principi pur non essendo di volta in volta richiamati all'interno di ciascuna disposizione sono implicitamente contenuti ed integrano ognuna di esse, in modo tale da rendere ogni norma coerente con le altre norme di sistema.
In quest'ottica, i principi generali possono essere assunti quali vere e proprie chiavi di lettura (art. 12, comma 2, disp. prel. c.c.) da utilizzare per dare sistematicità e ragionevolezza all'insieme delle disposizioni, soprattutto nei casi in cui il dato testuale della norma è incerto, equivoco ed incapace di offrire soluzioni soddisfacenti sul piano operativo e rappresentano, in buona sostanza, gli strumenti per operare l'indispensabile mediazione logica tra il dato formale contenuto nella norma e le fattispecie concrete da disciplinare.
All'interno del D.lgs. 231 del 2007 i principi generali che regolano la materia sono espressamente enunciati nell'articolo 3 che riassume e codifica i precetti guida che ritroviamo anche negli atti normativi a monte del decreto stesso.
Dalle raccomandazioni Gafi al D.lgs. 231 del 2007
Prima di esaminare i singoli principi e precetti guida che hanno orientato il legislatore e caratterizzano il nuovo sistema antiriciclaggio ed antiterrorismo, va innanzitutto preso atto che il decreto legislativo 231 del 2007 costituisce il primo passo verso una completa sistemazione organica della materia, in attesa dell'emanazione del testo unico, prevista per il mese di giugno 2008, su cui sta lavorando una commissione di esperti presieduta dal sottosegretario Lettieri.
Fino all'emanazione del D.lgs. de quo, le disposizioni antiriciclaggio si erano stratificate in più atti normativi, a partire dal 1979 con il decreto legge 15 dicembre 1979 n. 625, (conv. in legge 6 febbraio 1980), denominato "Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica", che conteneva le prime norme dettate per contrastare l'utilizzo del sistema finanziario per il riciclaggio di proventi di attività illecite e prescriveva, tra le altre misure, l'acquisizione di determinati dati ed informazioni, a carico di enti creditizi e finanziari per le operazioni superiori a determinati importi.
Successivamente, si erano susseguiti altri provvedimenti normativi rivolti a reprimere il riciclaggio di proventi illeciti, i cui destinatari risultavano invariabilmente gli enti creditizi e finanziari (e soggetti equiparati), fino ad arrivare al D.lgs. 56 del 2004 - emanato in attuazione della II direttiva Ce -, che estendeva l'insieme degli obblighi antiriciclaggio, tra le altre categorie, anche ai professionisti.
Con il D.lgs. 56 del 2004, pertanto, si codifica l'idea che per contrastare in modo efficace le nuove emergenze criminali è necessario coinvolgere oltre ai soggetti che svolgono la loro attività nell'area tipicamente finanziaria, anche i professionisti che si muovono in un'area indirizzata in modo più specifico alla consulenza ed all'assistenza nella preparazione e nell'esecuzione di operazioni di tipo economico e finanziario.
Ciò non è elemento di secondaria importanza ed andrà tenuto in debita considerazione, ogni qual volta si renderà necessario interpretare norme che hanno come generici destinatari sia i soggetti di area finanziaria che i professionisti: l'assolvimento degli obblighi e dei doveri da parte dei destinatari delle norme potrà avvenire con modalità e criteri diversi in ragione della diversa area operativa degli uni e degli altri che si traduce in una non coincidenza dei presupposti applicativi delle norme stesse.
La diversità dei presupposti applicativi delle norme, sotto altro angolo prospettico, va ricordato che ha rappresentato uno dei limiti più significativi all'(in)efficienza della normativa previgente era rappresentato proprio dall'estensione tout court degli obblighi dettati per i soggetti finanziari anche ai professionisti, trascurando quelle peculiarità che caratterizzano lo svolgimento della prestazione professionale e la diversità strutturale, in termini di organizzazione del lavoro e di risorse impiegate, tra un ente creditizio e finanziario (e soggetti assimilati) ed uno studio professionale.
In parte, il nuovo decreto legislativo costituisce il tentativo iniziale per una migliore articolazione degli obblighi tra i vari soggetti destinatari della normativa, pur riscontrandosi tuttora numerose disposizioni all'interno del sistema che mantengono un'eccessiva generalizzazione, genericità ed imprecisione che, a mio giudizio, può nuocere all'efficienza del sistema.
Probabilmente, risultati migliori potrebbero realizzarsi invertendo l'attuale prevalenza, all'interno del sistema antiriciclaggio ed antiterrorismo, delle norme comuni rispetto alle norme speciali; una più dettagliata regolamentazione in ragione delle specificità e peculiarità che caratterizzano ciascun destinatario degli obblighi gioverebbe e faciliterebbe un corretto assolvimento degli obblighi da parte dei destinatari stessi.
Le disposizioni antiriciclaggio ed antiterrorismo all'interno della gerarchia delle fonti: problematiche sul conflitto tra le norme e sull'adeguamento del sistema antiriciclaggio all'evoluzione delle nuove strategie di contrasto alla criminalità
Un altro dato che rileva dalla lettura del D.lgs. 231 del 2007 è la scelta del legislatore di regolamentare aspetti e modalità operative, in precedenza oggetto di disposizioni di attuazione e di regolamentazione secondaria.
Ciò non è, a mio giudizio, di importanza marginale. All'interno del sistema antiriciclaggio ed antiterrorismo l'individuazione delle fonti di produzione delle disposizioni e la loro collocazione piramidale in ragione della minore o maggiore forza cogente è fondamentale sotto due aspetti:
1. in primo luogo, per risolvere eventuali conflitti tra norme appartenenti allo stesso micro-sistema o a micro-sistemi diversi;
2. in secondo luogo, per l'incidenza che una tale scelta del legislatore può avere su un rapido adeguamento delle disposizioni antiriciclaggio ed antiterrorismo all'evoluzione delle strategie di contrasto alla criminalità via via emergenti nel tempo; esigenza questa espressa sia nella III direttiva che nella legge comunitaria (n. 29 del 2006).
Riguardo al primo aspetto, va tenuto presente che la normativa antiriciclaggio ed antiterrorismo essendo diretta a prevenire ed a reprimere attività criminose è normativa di polizia e come tale fisiologicamente destinata ad entrare in conflitto con le norme a tutela delle libertà individuali delle persone.
Spetterà all'interprete coniugare e conciliare, in modo efficace, le opposte esigenze di contrasto della criminalità e di garanzia della sfera privata delle persone, dando maggior peso a quei valori che in un determinato contesto sociale e temporale meritano prevalenza.
Allo stato attuale, non può, comunque, non prendersi atto che, con l'estensione degli obblighi antiriciclaggio ed antiterrorismo ai professionisti, si assiste ad una trasformazione della regolamentazione del rapporto professionista-cliente da prevalentemente privatistica a marcatamente pubblicistica che si traduce, in buona sostanza, in un significativo vulnus della sfera privata delle persone.
Questo elemento ha, per il notaio, certamente un impatto meno dirompente rispetto agli altri professionisti, essendo per sua natura deputato, nello svolgimento della prestazione professionale a conciliare funzione pubblica ed attività libero professionale.
Alle molteplici esternalità positive prodotte dalla prestazione notarile oggi si aggiunge anche la prevenzione e la repressione del riciclaggio di proventi illeciti e del finanziamento del terrorismo.
Ciò è da tener in debito conto allorquando sul piano operativo dovranno essere risolti i potenziali conflitti tra norme di pari grado gerarchico.
Per alcune fattispecie questi conflitti sono stati risolti espressamente dal legislatore.
L'articolo 12, comma 2, del D.lgs. 231 del 2007, ad esempio, espressamente prevede che «l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette di cui all'articolo 41 non si applica ai soggetti indicati nelle lettere a), b) e c), del comma 1 per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso» e l'articolo 23 del medesimo decreto, a sua volta, espressamente prevede che «i soggetti di cui all'articolo 12, comma 1, lettere a), b) e c) e all'articolo 13, non sono obbligati ad applicare il comma 1 (obbligo di astensione) nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento».
Per queste ipotesi, il legislatore ha ritenuto prevalenti gli interessi protetti dal segreto professionale, preso in considerazione quest'ultimo, tuttavia, non come valore di per sé meritevole di maggior tutela rispetto alle finalità perseguite dalla normativa antiriciclaggio, ma come strumento per assicurare e garantire l'esercizio del diritto alla difesa garantito dall'articolo 24 della Costituzione.
Un altro conflitto potenziale tra norme dello stesso rango, risolto espressamente dal legislatore, riguarda specificamente i notai ed attiene all'obbligo di prestare il proprio ministero, sancito dall'art. 27 della legge notarile (legge 16 febbraio 1913, n. 89), con le sole limitazioni prescritte dall'art. 28 della legge notarile stessa.
I notai, a differenza degli altri professionisti, non possono astenersi dal prestare il proprio ministero, anche nel caso in cui non siano in grado di adempiere tutti gli obblighi di adeguata verifica ovvero nel caso in cui sussistono indici di anomalia che generino sospetti sull'operazione da compiere.
Ove si verifichino queste ipotesi, il notaio sarà, comunque obbligato a ricevere l'atto notarile, salvo l'obbligo di segnalazione dell'operazione sospetta all'Uif o all'ordine professionale (articolo 24 della III direttiva 2005/60/Ce e articolo 42 e 43 del D.lgs. 231/2007) e fatti salvi i casi in cui l'atto non è irricevibile, ai sensi dell'art. 28 della legge notarile perché, ad esempio, espressamente proibito dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico.
Il legislatore ha riconosciuto, anche in questa ipotesi, una prevalenza degli interessi protetti dalle norme che obbligano il notaio ad effettuare la prestazione notarile rispetto alle emergenze tutelate dalla disciplina antiriciclaggio ed antiterrorismo (deroga, peraltro, consentita dall'art. 24 della III direttiva).
Questa fattispecie può essere assimilata, per certi aspetti, a quella precedentemente esaminata, caratterizzandosi, la prima per essere diretta a garantire il diritto costituzionale alla difesa dei propri diritti e la seconda essendo diretta a garantire alle persone l'esercizio dei propri diritti, nei casi in cui essi il mancato compimento di un atto può, di fatto espropriare il diritto stesso, senza una proporzionata e ragionevole giustificazione.
Sono questi due esempi di potenziali conflitti tra norme operanti in micro-sistemi giuridici diversi espressamente risolti dal legislatore, altri tuttavia potranno essere i potenziali conflitti che richiederanno, invece, una risposta da parte dell'interprete, attraverso l'uso degli strumenti ermeneutici messi a disposizione dal legislatore stesso.
All'interno della casistica che può riguardare l'attività notarile, ad esempio, merita attenzione la mancata espressa esclusione degli atti di ultima volontà tra le operazioni soggette agli obblighi antiriciclaggio.
In base ai principi generali e seguendo le indicazioni offerte dal legislatore nella soluzione espressa dei potenziali conflitti testé esaminati, tuttavia, può ragionevolmente ritenersi che l'esclusione di questa tipologia di atti sia implicita nel sistema per due ordini di motivi:
1. in primo luogo, in considerazione della produzione degli effetti di questi atti, solo eventuale e destinata a prodursi in un momento futuro e legato ad un evento temporalmente incerto (la morte della persona);
2. in secondo luogo perché l'autonomia testamentaria, che trova specifica considerazione e tutela nell'articolo 42 della Costituzione, subirebbe in caso di violazione della segretezza della volontà testamentaria un vulnus così forte da metterne in discussione il suo esercizio. La segretezza, invero, rappresenta, per l'autonomia testamentaria, più che una modalità accessoria, una sua caratteristica essenziale a garanzia della libera manifestazione delle ultime volontà e spesso il testamento per atto notarile rappresenta l'unico mezzo per poter manifestare le proprie ultime volontà.
Oltre a questi aspetti di natura "gerarchica", rilevanti ai fini della soluzione di potenziali conflitti tra norme, l'inclusione di norme c.d. di dettaglio all'interno del decreto legislativo assume, come già detto, importanza anche sotto il profilo di una minor flessibilità del sistema antiriciclaggio alle richieste di nuovi adattamenti alle strategie di contrasto al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo.
Invero, la possibilità di introdurre nuove procedure, nuovi criteri operativi, nuove modalità nell'attuazione degli obblighi antiriciclaggio è un'esigenza primaria all'interno del sistema antiriciclaggio ed antiterrorismo che può essere rallentata dalla necessità di attuare modifiche non attraverso l'emanazione di nuove disposizioni d'attuazione ma attraverso l'emanazione di provvedimenti legislativi che richiedono sicuramente tempi più lunghi e procedure più complesse.
Va rammentato, che l'adeguamento del sistema, soprattutto dei suoi aspetti procedurali ed operativi, alle nuove strategie di lotta alla criminalità è un'esigenza particolarmente avvertita in questo settore, come sottolineato sia all'interno della III direttiva (articolo 40) e sia nei criteri guida della c.d. legge comunitaria (lett. b, articolo 22 della legge n. 29/2006) e di cui l'unica traccia all'interno del D.lgs. 231 del 2007 risulta nell'art. 19, comma 2, laddove è previsto che il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria, può emanare, con proprio decreto, disposizioni attuative per l'esecuzione degli adempimenti di cui al comma 1 dell'art. 19 stesso. è evidente che le disposizioni emesse dal Mef potranno solo integrare ma non modificare quanto prescritto dal decreto legislativo.
I presupposti che hanno fatto da sfondo alla nuova filiera normativa. La definizione di riciclaggio
Soffermandoci sull'esame dei presupposti logici e temporali che hanno fatto da sfondo all'emanazione dei provvedimenti all'interno della filiera normativa, va ricordato che la sollecitazione iniziale è partita dalle raccomandazioni impartite dal Gafi (Gruppo di azione finanziaria internazionale).
Il Gafi è un organismo internazionale indipendente il cui segretario si trova presso l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) con il compito di concepire e promuovere strategie che rendano possibile la prevenzione, la scoperta e la repressione del riciclaggio di capitali mediante l'adozione di appropriate misure da parte di tutti i paesi aderenti ed è composto da 29 membri: l'Argentina, l'Australia, l'Austria, il Belgio, il Brasile, il Canada, la Danimarca, la Finlandia, la Francia, la Germania, il Giappone, la Grecia, Hong Kong, l'Irlanda, l'Islanda, l'Italia, il Lussemburgo, il Messico, la Norvegia, la Nuova Zelanda, i Paesi Bassi, il Portogallo, il Regno Unito, Singapore, la Spagna, gli Stati Uniti, la Svezia, la Svizzera e la Turchia. Del Gafi fanno, inoltre, parte la Commissione europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo.
Obiettivo prioritario di questo organismo è quello di promuovere, dunque, una globalizzazione nella lotta al crimine organizzato; obiettivo questo certamente condivisibile ed irrinunciabile da parte di chiunque avverta la necessità di contrastare in modo efficace queste gravi emergenze criminali; ciò che, invece, appare inadeguato è la tendenza a globalizzare la "norma giuridica", attraverso l'adozione di un sistema di tipo piramidale in cui il provvedimento normativo successivo si conforma in modo pedissequo al provvedimento normativo che lo precede senza articolarsi in ragione della specificità delle fattispecie da regolamentare: l'inserimento generalizzato e disarticolato di norme in sistemi giuridici con diverse radici, senza i dovuti adattamenti, rischia di rendere il sistema stesso inefficiente.
Numerose disposizioni contenute nel D.lgs. 231/2007 costituiscono la mera traduzione delle raccomandazioni Gafi. Ciò appare inadeguato, in quanto disposizioni normative efficienti all'interno di un determinato sistema ovvero efficienti se riferite a determinate categorie di soggetti possono rivelarsi inefficienti o di difficile applicazione o addirittura incomprensibili in un altro sistema giuridico ovvero se riferite ad un'altra categoria di soggetti.
Questa critica ovviamente attiene alla struttura delle disposizioni, al contenuto degli obblighi ed al loro modo di articolarsi all'interno del sistema e non alle finalità perseguite sicuramente comuni ai vari ordinamenti e condivisibili dalla generalità dei destinatari della normativa.
Fatta questa premessa di carattere "procedurale", va detto che sotto l'aspetto "sostanziale" il primo presupposto logico che ha sollecitato l'avvio della nuova filiera normativa, come espressamente enunciato nella III direttiva, è da rinvenirsi nell'esigenza di concretizzare, in efficaci strumenti normativi, le nuove conoscenze, via via perfezionatesi a livello internazionale, nella lotta al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo.
Si è ritenuto opportuno, innanzitutto allineare la definizione di "reato grave" a quella contenuta nella decisione quadro 2001/500/Gai del Consiglio del 26 giugno 2001, in considerazione del fatto che, se inizialmente la definizione di riciclaggio era ristretta ai proventi dei reati connessi agli stupefacenti, negli anni più recenti è emersa la tendenza ad una definizione molto più ampia, fondata su una gamma più vasta di reati-base (7° considerando della III direttiva).
Su questo aspetto va precisato che l'ampliamento della gamma di reati presupposti presi in considerazione ha come finalità non quella di introdurre all'interno degli ordinamenti dei singoli Stati membri nuove definizioni del reato di riciclaggio o nuove fattispecie criminali, area questa di pertinenza esclusiva degli Stati membri, ma di dare una più articolata elencazione delle fattispecie che fanno da presupposto o da sfondo per l'applicazione degli obblighi antiriciclaggio e, segnatamente, per la sussistenza dell'obbligo di segnalazione di operazione sospetta.
In buona sostanza, il reato di riciclaggio, nelle sue forme di riciclaggio proprio ed improprio, continuerà ad essere disciplinato dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, tuttavia, ai fini dell'applicazione della normativa antiriciclaggio, dovranno essere prese in considerazione anche condotte tecnicamente non riconducibili a tali fattispecie criminose ma ad altre fattispecie criminose quali la ricettazione, il favoreggiamento reale ovvero a fattispecie che non costituiscono figura autonoma di reato (si pensi all'autoriciclaggio).
L'utilizzo del termine riciclaggio, all'interno del sistema è, quindi, "atecnico" e non riferibile alle fattispecie sanzionate all'interno del nostro sistema penale e ciò risulta affermato espressamente nel D.lgs. 231 del 2007, laddove l'articolo 2 nel dettare la definizione di "riciclaggio" precisa nel suo incipit: «ai soli fini del presente decreto».
In dettaglio, sono considerate fattispecie presupposte che fanno sorgere gli obblighi antiriciclaggio a carico dei soggetti destinatari, per espressa definizione contenuta nel D.lgs. 231 del 2007:
a. la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;
b. l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
c. l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
d. la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione.
Il principio di collaborazione attiva
Passando all'esame degli altri principi generali che attualmente reggono il sistema antiriciclaggio ed antiterrorismo, merita attenzione, perché fondamentale nel nuovo assetto normativo, innanzitutto la prescrizione contenuta nella parte iniziale dall'articolo 3 del D.lgs. 231 del 2007, riguardante la condotta che deve assumere il professionista nei confronti del cliente: «le misure di cui al presente decreto si fondano anche sulla collaborazione attiva da parte dei destinatari delle disposizioni in esso previste».
Collaborazione attiva che si traduce nell'obbligo non più di mera e passiva identificazione del cliente ma nell'obbligo di adeguata verifica del cliente, articolato nei suoi aspetti di:
- identificazione del cliente;
- identificazione del titolare effettivo, se necessario;
- controllo costante del rapporto continuativo;
- dovere di ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura dell'operazione economica.
Dal professionista si pretende non la mera acquisizione passiva dei dati identificativi del cliente, ma una conoscenza del cliente rapportata alla prestazione professionale da svolgere (customer due diligence).
I principi generali della giusta calibratura degli obblighi in funzione del rischio e dell'articolazione degli obblighi in funzione delle specificità delle professioni e delle diversità in scala e dimensioni dei soggetti destinatari
Il principio della collaborazione attiva, così enunciato, tuttavia, rischierebbe di comportare una dilatazione senza confini degli obblighi a carico dei soggetti passivi, se non contestualizzato e coordinato in modo coerente agli altri principi del sistema.
Particolarmente significativo, in questo senso, è l'espresso invito, contenuto nella III direttiva, agli Stati membri ad una migliore calibratura degli obblighi antiriciclaggio ed antiterrorismo in funzione del minore o maggior rischio ricollegabile a determinate fattispecie.
Imporre condotte particolarmente invasive della sfera privata altrui, anche in situazioni prive di rischi oggettivi, nelle quali nessuna particolare anomalia emerge, non soddisferebbe il requisito della ragionevolezza, richiesto sia al legislatore nell'emanazione della disposizione e sia all'interprete nell'applicazione delle stesse.
Nel decreto legislativo ciò si è tradotto nell'inserimento, accanto all'obbligo di adeguata verifica, degli obblighi di semplificata verifica e degli obblighi di rafforzata verifica.
Si è tentato di graduare, in modo ragionevole, gli adempimenti antiriciclaggio, nella consapevolezza che una distribuzione a pioggia degli obblighi antiriciclaggio ed antiterrorismo rende il sistema inefficiente.
L'inutile dispendio di risorse umane ed economiche, un'acritica e generalizzata acquisizione di dati ed informazioni non giova all'efficienza del sistema che, al contrario, richiede un monitoraggio ragionevole e selettivo sin dalla prima fase applicativa delle norme.
Scelta ampiamente condivisibile è stata quella di eliminare gli obblighi di adeguata verifica tra soggetti destinatari delle medesime norme antiriciclaggio (art. 25 del D.lgs. 231/2007). Si è eliminato, ad esempio, ogni dubbio, in ordine all'insussistenza dell'obbligo dei notai di acquisire dati ed informazioni (attualmente adeguata verifica) nei riguardi dei funzionari degli istituti di credito in relazione alle prestazioni professionali svolte nei loro confronti (atti di mutuo, finanziamenti, aperture di credito, assensi alle cancellazioni ipotecarie, ecc.).
Strettamente collegato al principio testé esposto è l'ulteriore precetto guida espresso all'interno della III direttiva (cfr. i 37°, 43° e 47° considerando, soprattutto se collegati ai 19° e 22° considerando), diretto a sollecitare gli Stati membri ad adeguare l'applicazione dettagliata delle disposizioni in rapporto:
1. alle peculiarità delle varie professioni;
2. alle differenze in scala e dimensioni delle persone ed enti soggette alla III direttiva.
Mentre una giusta calibratura degli obblighi, in ragione del rischio effettivo, consente di selezionare a monte situazioni che meritano maggior attenzione rispetto ad altre poco significative, il principio da ultimo enunciato consente di modulare a monte le condotte (rectius: il contenuto degli obblighi) che possono essere pretese dai soggetti destinatari della normativa, articolando e graduando gli obblighi in ragione dell'attività e della tipologia organizzativa del destinatario stesso.
Anche questo principio risponde alla necessità di rendere ragionevole la normativa antiriciclaggio ed antiterrorismo per sua natura particolarmente aggressiva della sfera privata altrui e tendenzialmente limitativa delle altrui libertà individuali.
In altri termini, il rispetto di questi "precetti guida", anche da parte di coloro che sono chiamati ad applicare ed a vigilare sul rispetto della nuova normativa, consentirà di conciliare e coniugare le opposte esigenze di una efficace lotta alle nuove emergenze criminali con il rispetto non solo dell'altrui sfera privata ma anche di un regolare svolgimento del rapporto professionista–cliente, eliminando ogni inutile tentativo di trasformare il professionista in un inutile burocrate o in un poliziotto investigatore.
Su questo punto, va sottolineato che per i notai è stata dettata, almeno in parte, una disciplina speciale rispetto agli altri professionisti, in considerazione del diverso ruolo istituzionale e dalla specifica disciplina ordinamentale che regola l'attività del notaio.
Oltre alla deroga espressa rispetto all'obbligo di astensione in caso di operazione sospetta o per la quale non si è in grado di adempiere l'obbligo di adeguata verifica, contenuta nell'art. 41 del D.lgs. 231 del 2007, sono state dettate, tra le altre, disposizioni speciali in relazione agli obblighi di conservazione e registrazione dei dati ed informazioni ed in relazione all'identificazione del cliente.
L'articolo 40, comma 6 del D.lgs. de quo espressamente dispone che la custodia dei documenti, delle attestazioni e degli atti presso il notaio e la tenuta dei repertori notarili, a norma della legge 16 febbraio 1913, n. 89, del regolamento 10 settembre 1914, n. 1326, e successive modificazioni e integrazioni, e la descrizione dei mezzi di pagamento ai sensi dell'articolo 35, comma 22, decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 costituiscono idonea modalità di registrazione dei dati e delle informazioni.
Un pieno riconoscimento dell'idoneità dei mezzi di archiviazione e di conservazione adottati dal notaio nello svolgimento della sua attività istituzionale.
Ulteriore specifico riconoscimento riguarda l'identificazione del cliente. Nell'allegato tecnico è espressamente previsto (art. 3) che, in alternativa all'identificazione a mezzo documento d'identità o di riconoscimento «l'identificazione può essere svolta anche da un pubblico ufficiale a ciò abilitato ovvero a mezzo di una foto autenticata; in quest'ultimo caso sono acquisiti e riportati nell'archivio unico informatico, ovvero nel registro della clientela, gli estremi dell'atto di nascita dell'interessato».
Con il nuovo D.lgs., dunque, è stata equiparata, ai fini antiriciclaggio ed antiterrorismo, l'identificazione delle persone fisiche effettuata da un pubblico ufficiale (notaio, ecc.) all'identificazione effettuata a mezzo documento d'identità o di riconoscimento.
Ciò ha una ricaduta importante ai fini degli obblighi di identificazione, in più di una fattispecie che con la normativa previdente avrebbe messo a rischio il regolare svolgimento dell'attività notarile.
Si pensi a chi pur essendo conosciuto e noto al notaio sia in possesso di un documento d'identità (o di riconoscimento) scaduto o all'ipotesi in cui il cliente si costituisce nell'atto a mezzo procuratore che non conosce gli estremi del documento d'identità (o di riconoscimento) del cliente pur essendo il suo operato legittimato da una procura notarile.
In queste ipotesi, in luogo degli estremi del documento di identità o di riconoscimento il cliente dovrà ritenersi correttamente identificato con la sola attestazione di certezza dell'identità da parte del notaio che riceve l'atto o che ha ricevuto la procura. In quest'ultimo caso il notaio che effettua la prestazione a favore di cliente rappresentato (not face to face) potrà far affidamento sull'adeguata verifica compiuta dal collega che ha ricevuto la procura stessa.
Invero, la fattispecie da ultimo prospettata è regolata dall'articolo 28 del D.lgs. 231/2007 che prescrive obblighi rafforzati di adeguata verifica, che si ritengono comunque assolti «c. per i clienti i cui dati identificativi e le altre informazioni da acquisire risultino da atti pubblici, da scritture private autenticate o da certificati qualificati utilizzati per la generazione di una firma digitale associata a documenti informatici ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82» [nota 1].
Per quanto riguarda l'invito, contenuto nella III direttiva, ad una migliore articolazione degli obblighi in funzione della diversità in scala e dimensione dei soggetti destinatari, il D.lgs. de quo ha operato distinzioni che riguardano soprattutto le modalità di archiviazione e di conservazione dei dati ed informazioni (diverse in funzione della categoria dei soggetti destinatari) e la trasmissione da parte degli intermediari finanziari individuati nell'art. 40 del D.lgs. dei dati aggregati concernenti la propria operatività, finalità quest'ultima diretta a consentire l'effettuazione di analisi mirate a far emergere eventuali fenomeni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo nell'ambito di determinate zone territoriali.
Probabilmente sarebbe stato auspicabile una ulteriore e più netta articolazione della normativa per differenziare e modulare in modo ancor più deciso il contenuto degli obblighi a carico dei destinatari della normativa in funzione delle suddette variabili.
Per quanto in uno studio professionale ci possa essere un'organizzazione complessa ed articolata ciò non potrà in nessun caso essere paragonabile alle strutture di un ente creditizio o finanziario.
La diversità organizzativa, in scala e dimensioni, dei destinatari della normativa è in grado:
- da un lato, di condizionare, in modo significativo, le procedure di assolvimento degli obblighi antiriciclaggio da parte del soggetto destinatario; in una struttura organizzativa piramidale complessa sarà comprensibile una ripartizione segmentata tra più soggetti dei compiti necessari per l'assolvimento degli obblighi stessi ed una più ampia delega di funzioni;
- da altro lato, di determinare una sproporzione tra i destinatari della normativa in termini di impegno di mezzi e di persone rispetto alle normali risorse impiegate, con ricadute eccessivamente gravose ed onerose per i soggetti dotati di piccoli studi o di piccole aziende.
L'articolo 3 del D.lgs. 231 del 2007, racchiude al suo interno implicitamente questo principio laddove afferma che i destinatari delle norme antiriciclaggio adottano "idonee e appropriate" politiche e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione delle operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e di gestione del rischio, di garanzia dell'osservanza delle disposizioni pertinenti e di comunicazione per prevenire e impedire la realizzazione di operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
L'idoneità e l'appropriatezza delle misure non può non essere valutata, per quanto detto, se non in ragione alle differenze in scala e dimensioni dei soggetti destinatari. La valutazione delle "appropriate politiche" potrà assumere particolare significato in relazione ai criteri organizzativi del personale di una banca, mentre sembra eccessiva se rapportata ad uno studio professionale di dimensioni medio piccole.
Peraltro, questa chiave di lettura è perfettamente coerente con l'ulteriore principio dettato nella III direttiva, laddove invita gli Stati membri ad assicurare, in ogni misura di attuazione, l'equilibrio, a lungo termine, dei costi e dei benefici per gli enti e le persone destinatari degli obblighi nell'esigenza di rispettare la necessaria flessibilità nell'applicazione delle misure di attuazione conformemente ad un approccio basato sulla valutazione del rischio esistente.
Non è ragionevole, né conforme al principio da ultimo enunciato, prescrivere obblighi il cui adempimento richieda l'impiego di risorse economiche ed umane non proporzionate all'organizzazione dello studio, scelta quest'ultima demandata ad una libera scelta del professionista.
Il principio del divieto di svolgere indagini al di fuori della propria attività istituzionale e professionale
Altro principio contenuto nell'art. 3 del D.lgs. de quo che si collega e definisce in modo più preciso il principio sopra esposto di collaborazione attiva, contribuendo a tracciarne il perimetro, è il divieto implicito, a carico dei destinatari delle norme, di porre in essere attività investigative ulteriori non direttamente collegate con la prestazione professionale o con l'attività istituzionale da svolgere.
Invero, nel suddetto articolo 3 si afferma che i soggetti destinatari della normativa «adempiono gli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite nell'ambito della propria attività istituzionale o professionale».
Dunque, le informazioni devono essere acquisite nell'ambito della propria attività professionale e non aliunde. Non è consentita alcuna attività di polizia giudiziaria e, simmetricamente, non potranno essere imputate a professionisti o altri destinatari delle norme eventuali carenze nella ricerca di prove e indizi se non limitatamente a quei dati ed informazioni oggettivamente e direttamente connessi con lo svolgimento dell'operazione e che, in buona sostanza, si concretizzano nell'acquisizione di dati ed informazioni nei registri pubblici o direttamente dai clienti.
Questo principio, oltre a definire il contenuto del dovere di collaborazione attiva pretesa dal professionista, per altro verso, concorre a definire il contenuto dell'obbligo, prescritto dall'art. 21 del D.lgs. 231/2007, a carico dei clienti di fornire, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate per consentire ai soggetti destinatari di adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela.
Il principio della tutela della riservatezza del soggetto segnalante
Fin qui i principi generali che attengono al contenuto degli obblighi, alla c.d. customer due diligence, l'articolo 27 della III direttiva enuncia, invece, il principio di riservatezza del segnalante, che riguarda, in modo più specifico, il dovere degli Stati membri diretto a garantire ai soggetti destinatari della normativa un regolare e sostenibile adempimento dei doveri richiesti.
Dall'efficace e reale attuazione di questo precetto guida dipenderà il successo o l'insuccesso di tutto il sistema.
Recita espressamente l'art. 27 testé richiamato: «gli Stati membri adottano misure appropriate per proteggere da qualsiasi minaccia o atto ostile i dipendenti degli enti o delle persone soggetti alla presente direttiva che segnalano, all'interno dell'impresa o all'Uif, un caso sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo».
Se l'obiettivo del sistema è la prevenzione e repressione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo tentati o consumati mediante l'utilizzo del sistema finanziario ovvero avvalendosi delle prestazioni professionali, lo snodo fondamentale sarà costituito dal grado di sicurezza che lo Stato saprà garantire a coloro che sono chiamati ad assolvere obblighi esponendosi al rischio di rappresaglie.
In caso contrario, la normativa rischierà di tradursi nell'ennesima raccolta ed archiviazione di dati ed informazioni, priva di quelli più significativi e soprattutto priva dell'output necessario per rendere efficiente il sistema.
Solo se sarà prestata la massima attenzione agli aspetti legati all'incolumità del soggetto segnalante si eviteranno comportamenti omissivi di chi pur non essendo connivente o colluso con la criminalità sarà orientato a compiere scelte opportunistiche, in considerazione dei pericoli legati all'attività di contrasto di criminalità non legata a piccoli truffatori o balordi ma a pericolose organizzazioni criminali internazionali.
In caso contrario, il motto "tengo famiglia" - coniato da Leo Longanesi per gli Italiani negli anni '50 - rischia di diventare la triste metafora condizionante l'intero sistema antiriciclaggio ed antiterrorismo.
Sul piano positivo - all'interno del D.lgs. 231 del 2007 -, la particolare attenzione sulla riservatezza e sulla protezione dei dati del segnalante si è tradotta in un gruppo di disposizioni miranti a garantire l'anonimato del segnalante stesso.
è previsto che in caso di denuncia o di rapporto, ai sensi degli articoli 331 e 347 del codice di procedura penale, l'identità delle persone fisiche che hanno effettuato le segnalazioni, anche qualora sia conosciuta, non è menzionata e svelata salvo che ciò non sia indispensabile e su decisione dell'Autorità giudiziaria (con decreto motivato), ai fini dell'accertamento dei reati per i quali si procede.
è espressamente prescritto che la riservatezza del segnalante dovrà, altresì, essere assicurata anche in caso di sequestro di atti o documenti.
Le misure previste, per quanto lodevoli nel loro intento di protezione dei soggetti segnalanti, appaiono, almeno per i professionisti, ancora poco efficaci, tenuto conto dello stretto legame che nella prestazione professionale sussiste tra il professionista, il cliente e l'operazione eseguita, talché è difficile immaginare che il soggetto sottoposto ad indagine per una determinata operazione non sia in grado di collegare, con poco sforzo, l'indagine stessa alla segnalazione eseguita dal professionista che ha ricevuto l'atto notarile, al di là delle accennate misure a garanzia dell'anonimato.
L'identificazione del professionista segnalante può dedursi non solo dalla manifesta indicazione del suo nome, ma anche dalle modalità di contestazione al soggetto segnalato dell'operazione eseguita.
Una vera tutela di riservatezza, in questi casi, non può prescindere da disposizioni normative ed istruzioni specifiche agli organi investigativi, che riguardino soprattutto il momento successivo alla segnalazione, con particolare riguardo alla contestazione dei fatti al soggetto segnalato.
Sotto altro aspetto, nella misura in cui il grado di sicurezza del segnalante aumenta in modo inversamente proporzionale alla discrezionalità nella scelta se effettuare o meno la segnalazione, è sicuramente opportuno che siano individuati indici obiettivi e precisi in presenza dei quali il professionista è obbligato alla segnalazione, senza possibilità di effettuare scelte discrezionali che potrebbero esporlo a odiose rappresaglie o condizionamenti.
Gli obblighi previsti dal D.lgs. 22 giugno 2007, n. 109 [nota 2]
Il decreto legislativo 22 giugno 2007 n. 109 è stato il primo dei decreti emanati sulla base della delega contenuta nella citata legge 25 gennaio 2006, n. 29 di attuazione della direttiva 2005/60/Ce (c.d. III direttiva) ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 luglio 2007.
Il decreto detta l'insieme delle misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.
Il decreto in oggetto, si aggiunge, all'attività di contrasto al terrorismo sul piano finanziario svolta attualmente dall'Uic, in forza degli obblighi imposti dai regolamenti dell'Unione europea (regolamento 2580/2001 e regolamento 881/2002 come modificato dal regolamento 561/2003), di congelare capitali, attività economiche e risorse finanziarie di persone o entità, collegate al terrorismo internazionale ed incluse nelle liste allegate ai regolamenti stessi nonché il divieto di mettere direttamente o indirettamente a disposizione di costoro altre attività finanziarie e risorse economiche.
Oltre ai regolamenti dell'Ue di immediata applicazione, la legislazione italiana ha dato una prima regolamentazione alla materia con le leggi 14 dicembre 2001, n. 431 e 27 novembre 2001 che prescrivono la nullità degli atti compiuti in violazione delle disposizioni di embargo finanziario contenute nei regolamenti Ue e l'obbligo di comunicare tutte le misure di congelamento adottate al Comitato di sicurezza finanziaria, organo di coordinamento e di accentramento delle informazioni istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze e all'Ufficio italiano dei cambi.
Le disposizioni si collegano direttamente a liste comunitarie di soggetti designati nei cui confronti devono essere adottate le suddette misure.
Il decreto in oggetto, sebbene si può collocare all'interno dello stesso solco tracciato dai suddetti regolamenti Ue e dalla normativa nazionale in materia, sembra caratterizzarsi per l'intento di dare una disciplina più generalizzata alla materia non immediatamente collegata ai vincoli derivanti dall'embargo [nota 3].
Innanzitutto, nel decreto è definita la nozione di "finanziamento del terrorismo", intendendosi per tale: «qualsiasi attività diretta, con qualsiasi mezzo, alla raccolta, alla provvista, all'intermediazione, al deposito, alla custodia o all'erogazione di fondi o di risorse economiche, in qualunque modo realizzati, destinati ad essere, in tutto o in parte, utilizzati al fine di compiere uno o più delitti con finalità di terrorismo o in ogni caso diretti a favorire il compimento di uno o più delitti con finalità di terrorismo previsti dal codice penale, e ciò indipendentemente dall'effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione dei delitti anzidetti».
L'art. 2, comma 4 del D.lgs. 231/2007 conferma che, ai fini del presente decreto, per finanziamento del terrorismo vale la definizione di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109.
Nel decreto legislativo è fissata sia la definizione di "fondi" che comprende qualunque attività ed utilità finanziaria di qualsiasi natura e sia la definizione di "risorse economiche" che comprende le attività di qualsiasi tipo, materiali o immateriali, mobili o immobili, ivi compresi gli accessori, le pertinenze e i frutti, che non sono fondi ma che possono essere utilizzate per ottenere fondi, beni o servizi.
La misura fondamentale prevista nel decreto per prevenire e contrastare il finanziamento del terrorismo è, appunto, il congelamento dei "fondi" e delle "risorse economiche".
Il congelamento dei fondi è attuato imponendo il divieto, in virtù dei regolamenti comunitari e dei decreti ministeriali, di movimentazione, trasferimento, modifica, utilizzo o gestione dei fondi o di accesso ad essi, così da modificarne il volume, l'importo, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura, la destinazione o qualsiasi altro cambiamento che consente l'uso dei fondi, compresa la gestione di portafoglio.
Il congelamento di risorse economiche è attuato imponendo il divieto, in virtù dei regolamenti comunitari e dei decreti ministeriali, di trasferimento, disposizione o, al fine di ottenere in qualsiasi modo fondi, beni o servizi, utilizzo delle risorse economiche, compresi, a titolo meramente esemplificativo, la vendita, la locazione, l'affitto o la costituzione di diritti reali di garanzia.
Al fine di dare esecuzione alle misure di congelamento di fondi e risorse economiche è previsto nell'art. 4 del D.lgs. de quo che il Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro degli affari esteri dispone con decreto, su proposta del Comitato di sicurezza finanziaria, il congelamento dei fondi e delle risorse economiche detenuti da persone fisiche, giuridiche, gruppi o entità, designati, secondo i criteri e le procedure stabiliti dalle risoluzioni adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni unite dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite o da un suo Comitato.
Con i medesimi decreti sono individuate, sulla base delle disposizioni contenute nelle risoluzioni, le esenzioni dal congelamento.
Soggetti passivi della normativa contenuta nel decreto legislativo sono i medesimi già elencati nell'art. 2 del decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, emanato in attuazione della direttiva 2001/97/Ce (c.d. II direttiva) per prevenire il riciclaggio di proventi da attività illecite, tra i quali rientrano, come è noto, i notai.
I soggetti passivi, in base al decreto legislativo in oggetto, hanno sostanzialmente due obblighi principali:
- di comunicazione;
- di segnalazione.
Riguardo all' "obbligo di comunicazione" i soggetti passivi devono:
1. comunicare all'Ufficio italiano dei cambi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore dei regolamenti comunitari, dei decreti di cui all'articolo 4 del D.lgs. in oggetto ovvero, se successiva, dalla data di detenzione dei fondi e delle risorse economiche, le misure applicate ai sensi del decreto stesso, indicando i soggetti coinvolti, l'ammontare e la natura dei fondi o delle risorse economiche;
2. comunicare all'Ufficio italiano dei cambi le operazioni, i rapporti, nonché ogni altra informazione disponibile riconducibile ai soggetti designati;
3. comunicare all'Ufficio italiano dei cambi, sulla base di informazioni dallo stesso fornite, le operazioni ed i rapporti, nonché ogni altra informazione disponibile riconducibile a soggetti in via di designazione in base ad indicazioni fornite dal Comitato.
Per le "risorse economiche" le comunicazioni di cui sopra devono essere effettuate anche al Nucleo speciale polizia valutaria della Guardia di finanza.
Per quanto riguarda l'attività del notaio va osservato che relativamente alla comunicazione di cui al primo punto, presupposto per il sorgere dell'obbligo sarà la particolare relazione esistente tra il notaio ed i fondi o le risorse economiche da congelare, tale da consentire l'applicazione delle misure dettate nei regolamenti comunitari o nei decreti ministeriali.
Per la comunicazione di cui al secondo punto, invece, presupposto per il sorgere dell'obbligo sarà la disponibilità, da parte del notaio, di informazioni o dell'esistenza di un rapporto riferibile ad un soggetto designato nei regolamenti comunitari o nei decreti ministeriali.
è auspicabile che nei decreti ministeriali si chiarisca quali debbano essere le informazioni da comunicare da rinvenire presumibilmente nei propri repertori e nell'archivio dei propri atti notarili e l'arco di tempo entro il quale il professionista dovrà verificare l'esistenza di eventuali informazioni in suo possesso.
Peraltro, l'obbligo di comunicazione de quo andrebbe limitato a quei dati e notizie che non siano rinvenibili nei pubblici registri, tenuto conto che l'art. 6 del D.lgs. pone uno specifico obbligo di comunicazione, all'Ufficio italiano dei cambi ed al Nucleo speciale polizia valutaria della Guardia di finanza, a carico delle amministrazioni dello Stato e gli altri enti pubblici che curano la tenuta di pubblici registri per le informazioni sulle risorse economiche congelate contenute nei registri stessi.
Per quanto riguarda la comunicazione di cui al terzo punto essa ha lo stesso contenuto di quella di cui al secondo punto riguardando, però, non soggetti designati, ma soggetti in via di designazione il cui nominativo è segnalato dal Comitato di sicurezza finanziaria.
Relativamente all' "obbligo di segnalazione" di operazioni sospette si applicano le medesime norme previste dalla legge antiriciclaggio anche in relazione alle operazioni ed ai rapporti che, in base alle informazioni disponibili, possano essere riconducibili ad attività di finanziamento del terrorismo.
L'art. 64 lett. h) del D.lgs. de quo ha, tra le altre disposizioni, espressamente abrogato l'art. 8 del D.lgs. 109 del 2007, che imponeva l'obbligo di segnalazione per le operazioni ed i rapporti riconducibili ad attività di finanziamento del terrorismo; ciò non per eliminare l'obbligo stesso, ma per ricondurlo interamente alla disciplina prevista dagli artt. 41 e ss. del D.lgs. da ultimo emanato.
I fondi sottoposti a congelamento non possono costituire oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o utilizzo.
Le risorse economiche sottoposte a congelamento non possono costituire oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o, al fine di ottenere in qualsiasi modo fondi, beni o servizi, utilizzo, fatte salve le attribuzioni conferite all'Agenzia del demanio ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo stesso.
L'art. 11 del D.lgs. prevede che, nel caso di sussistenza di beni immobili, mobili registrati, società o imprese, il Nucleo speciale polizia valutaria della Guardia di finanza provvede a trasmettere un estratto della relazione ai competenti uffici, ai fini della trascrizione del congelamento nei pubblici registri.
Gli atti posti in essere in violazione dei suddetti divieti sono nulli.
La partecipazione consapevole e deliberata ad attività aventi l'obiettivo o il risultato, diretto o indiretto, di aggirare le misure di congelamento è vietata.
è, altresì, vietato mettere direttamente o indirettamente fondi o risorse economiche a disposizione dei soggetti designati o stanziarli a loro vantaggio, così come è vietata la partecipazione consapevole e deliberata ad attività aventi l'obiettivo o il risultato, diretto o indiretto, di aggirare le misure di congelamento.
Relativamente alla gestione, all'amministrazione ed alla custodia delle risorse economiche oggetto di congelamento è disposto che alle relative funzioni provveda l'Agenzia del demanio in via diretta, ovvero mediante la nomina di un custode o di un amministratore, allo svolgimento delle attività di amministrazione delle risorse economiche.
Ai sensi dell'art. 12 del decreto, l'amministratore potrà compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti di straordinaria amministrazione è necessario il parere favorevole del Comitato di sicurezza finanziaria di cui all'art. 3 del decreto stesso.
Se vengono adottati, nell'ambito di procedimenti penali o amministrativi, provvedimenti di sequestro o confisca, aventi ad oggetto le medesime risorse economiche, alla gestione provvede l'autorità che ha disposto il sequestro o la confisca.
Va precisato che il congelamento, come espressamente previsto dall'art. 5, comma 6 del decreto legislativo in oggetto, è efficace dalla data di entrata in vigore dei regolamenti comunitari ovvero dal giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dei decreti di cui sopra si è fatto cenno.
Oltre ai decreti emanati per individuare i fondi e le risorse economiche da congelare è previsto che la Banca d'Italia, sentito l'Ufficio italiano dei cambi, d'intesa con le autorità di vigilanza di settore, nell'ambito delle rispettive competenze, emani istruzioni applicative per l'individuazione delle operazioni sospette e per la predisposizione di procedure di esame delle operazioni, anche con l'utilizzo di strumenti informatici e telematici.
Definizione di finalità di terrorismo e condotta del notaio [nota 4]
Accanto all'obiettivo di contrastare il riciclaggio di proventi di attività criminosa, che ha caratterizzato, in via esclusiva, la produzione normativa precedente, il decreto legislativo 231/2007, recependo i principi espressi dalla III direttiva, ha come finalità ulteriore quella di prevenire, contrastare e reprimere operazioni finanziarie dirette al finanziamento del terrorismo.
La nozione di "finalità di terrorismo" è sicuramente più sfumata ed incerta rispetto a quella di "riciclaggio", in quanto non collegabile ad indici di anomalia riferibili ad un possesso astrattamente ingiustificato di beni o di somme, ma da rapportare agli scopi ulteriori che uno o più soggetti intendono realizzare ponendo in essere una determinata operazione finanziaria.
è di particolare efficacia la definizione anglosassone money dirting riferita al finanziamento del terrorismo rispetto al money laundering riferita al riciclaggio di proventi illeciti: nel primo caso fondi o risorse di provenienza lecita sono attratte nell'area dell'illegalità per la destinazione successiva che viene impressa alle stesse; nel secondo caso, invece, l'obiettivo è quello di traghettare fondi e risorse di provenienza illecita verso un'area apparentemente legale.
Sarà senza dubbio più difficile cogliere la strumentalità illecita dell'operazione finanziaria svolta laddove l'operazione stessa non si rivolga espressamente verso soggetti o aree che possono collegarsi astrattamente al terrorismo.
Come per la nozione di "riciclaggio" anche per la nozione di "finalità di terrorismo" è offerta all'interprete una specifica definizione contenuta, tuttavia, non nel D.lgs. di nuova emanazione ma - come già detto - nel decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109 che definisce tale:
«qualsiasi attività diretta, con qualsiasi mezzo, alla raccolta, alla provvista, all'intermediazione, al deposito, alla custodia o all'erogazione di fondi o di risorse economiche, in qualunque modo realizzati, destinati ad essere, in tutto o in parte, utilizzati al fine di compiere uno o più delitti con finalità di terrorismo o in ogni caso diretti a favorire il compimento di uno o più delitti con finalità di terrorismo previsti dal codice penale, e ciò indipendentemente dall'effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione dei delitti anzidetti».
Il 4° comma dell'art. 2 del D.lgs. 231/2007 espressamente prevede che ai fini del decreto stesso per finanziamento del terrorismo vale la definizione di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109.
La definizione è certamente più articolata di quella contenuta nel 4° comma dell'art. 2 della citata III direttiva che si limita a disporre:
«Ai fini della presente direttiva, per "finanziamento del terrorismo" si intende la fornitura o la raccolta di fondi, in qualunque modo, direttamente o indirettamente, con l'intenzione di utilizzarli, in tutto o in parte, per compiere uno dei reati di cui agli articoli da 1 a 4 della decisione quadro 2002/475/Gai del Consiglio, del 13 giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo, o sapendo che saranno utilizzati a tal fine».
La decisione quadro 2002/475/Gai, citata come punto di riferimento della III direttiva sul finanziamento del terrorismo, più che offrire una definizione della finalità di terrorismo auspicava che si arrivasse ad una definizione dei reati terroristici omogenea in tutti gli Stati membri ed auspicava un'applicazione generalizzata delle nuove misure [nota 5] a ogni atto terroristico commesso intenzionalmente, tale da arrecare pregiudizio a un'organizzazione internazionale o a uno Stato [nota 6].
All'interno del nostro ordinamento statale, la materia, recependo le sollecitazioni ed indicazioni internazionali successive ai noti eventi dell'11 settembre 2001, è stata regolata dalla legge 15 dicembre 2001, n. 438 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 2001, n. 374, recante disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale" che ha adeguato le disposizioni del codice penale in materia.
Gli articoli più significativi sul punto sono:
• l'art. 270-bis che dispone:
«(Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico) - Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione e un organismo internazionale. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego»;
• l'art. 270-sexies che dispone:
«(Condotte con finalità di terrorismo) - Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia».
Dal quadro normativo esposto emerge, dunque, che per individuare il concetto di finalità di terrorismo, ai fini dell'assolvimento degli obblighi contenuti nel decreto legislativo in oggetto, l'interprete dovrà avere come riferimento la definizione contenuta nel D.lgs. 109/2007 che, tuttavia, sul punto rinvia ai delitti con finalità di terrorismo previsti dal codice penale al cui interno si fa ulteriore riferimento alle convenzioni o ad altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia.
Sotto altro aspetto, va notato che mentre in caso di riciclaggio gli indici di anomalia che accompagnano l'operazione si proiettano su elementi che appartengono al passato facendo emergere dall'ombra fattispecie illegali, in caso di finanziamento del terrorismo gli indici di anomalia dovranno essere proiettati principalmente nel futuro dovendo far emergere la finalità ulteriore (illegale) che si intende realizzare mediante l'utilizzo di fondi e risorse economiche che possono anche non essere di provenienza illecita.
Al di là dell'importanza della sussistenza di tutti gli elementi previsti dalla norma per integrare la fattispecie criminosa, va ricordato che la norma certamente non chiede al professionista di stilare un vero e proprio "capo di imputazione", attività di stretta competenza dell'Autorità giudiziaria, ma più ragionevolmente la norma sembra chiedere al professionista di monitorare e vigilare su quelle fattispecie che, in base ad elementi soggettivi o oggettivi, possono essere collocate in un'area grigia contigua al terrorismo.
Il dottor Piero Luigi Vigna [nota 7], in un quadro ricostruttivo delle fattispecie o delle "aree" che devono essere oggetto di maggior attenzione per i destinatari della normativa, in un primo commento alla normativa in oggetto affermava che: «mentre il terrorismo interno si muove "sotto traccia", quello internazionale, che trascende dal pur vasto ambito dell'Unione europea, è oggi incentrato su quello del fondamentalismo islamico ed offre ampie dimostrazioni della sua vitalità e delle sue diffuse dislocazioni territoriali. Le cellule islamiste non sono strutturate rigidamente sotto un'unica organizzazione gerarchica, ma si muovono autonomamente, solo eventualmente confederandosi fra loro, peraltro in modo informale, anche in vista di un solo progetto di attentato. Esse ruotano intorno a strutture di servizio (finanziario e logistico) come Al Quaeda ed operano con estrema mobilità nella rete transnazionale del terrorismo».
Sarà questa l'area verso la quale dovrà appuntarsi la massima attenzione da parte dei soggetti passivi della normativa nella consapevolezza, tuttavia, che non potrà pretendersi dal professionista destinatario dei nuovi obblighi un'indagine tecnico-giuridica sui reati con finalità terroristiche allo scopo di impedirne il finanziamento [nota 8].
In realtà, l'esatta definizione tecnico giuridica di "terrorismo" potrà interessare solo marginalmente l'opera svolta dai professionisti, posto che si chiede a questi ultimi non di individuare fattispecie criminose ma, più limitatamente, di individuare, nell'esecuzione di prestazioni professionali, indici di anomalia che possano far sorgere il sospetto che l'operazione che si intende porre in essere (o che si è posta in essere) sia riconducibile o a soggetti che siano sospettati di appartenere ad area di terrorismo ovvero che le modalità utilizzate siano riconducibili a prassi utilizzate, secondo l'id quod plerumque accidit per finanziarie il terrorismo.
Da un punto di vista soggettivo, quindi, l'anomalia dovrà rapportarsi al coinvolgimento nella prestazione professionale di determinati soggetti, persone giuridiche o organizzazioni che siano sospettate di terrorismo, così come designate dall'Autorità competente, non potendo il singolo professionista, tramite personali congetture ed illazioni ritenere che una persona sia appartenente ad un'area di sospetto terrorismo, sol perché proveniente da determinate zone geografiche o per l'appartenenza a determinate fedi.
Da un punto di vista oggettivo, la normativa in oggetto potrà riguardare il professionista sotto un triplice profilo:
- relativamente ai fondi e risorse economiche congelati, qualora i proventi utilizzati provengano da attività lecite [nota 9];
- relativamente ai fondi e risorse di provenienza illecita;
- relativamente alle modalità di esecuzione delle operazioni finanziarie collegate ad atti di disposizione di fondo e risorse economiche non congelate.
Sul primo punto è espressamente previsto dall'art. 5 del D.lgs. 109 del 22 giugno 2007 quali siano gli effetti del congelamento di fondi e di risorse economiche.
I fondi sottoposti a congelamento non possono costituire oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o utilizzo.
Le risorse economiche sottoposte a congelamento non possono costituire oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o, al fine di ottenere in qualsiasi modo fondi, beni o servizi, utilizzo, fatte salve le attribuzioni conferite all'Agenzia del demanio ai fini dell'amministrazione e gestione delle risorse stesse.
Sono nulli gli atti posti in essere in violazione dei suddetti divieti.
è vietato mettere direttamente o indirettamente fondi o risorse economiche a disposizione dei soggetti designati o stanziarli a loro vantaggio.
La partecipazione consapevole e deliberata ad attività aventi l'obiettivo o il risultato, diretto o indiretto, di aggirare le misure di congelamento è vietata.
Sul secondo punto, quello relativo all'utilizzo di fondi di provenienza illecita c'è perfetta coincidenza con l'impianto già esistente diretto a contrastare il riciclaggio di proventi di attività criminose.
Sul terzo punto, quello riguardante le modalità di esecuzione della prestazione, l'anomalia sarà riscontrabile in quelle transazioni effettuate in modo da "opacizzare" la tracciabilità del percorso finanziario dei pagamenti.
Quindi, l'indice di sospetto potrà essere riscontrato sia nel caso di pagamenti indirizzati o provenienti da Paesi non cooperativi, così come individuati dal Gafi, ovvero qualora siano utilizzati intermediari, enti, prodotti finanziari genericamente definibili offshore per un livello di trasparenza inferiore a quello richiesto dalla normativa interna ed internazionale in materia e così a mero titolo esemplificativo:
- l'impiego di canali di money remittance, ovvero di circuiti alternativi di trasferimento, specie se di natura abusiva;
- l'effettuazione di bonifici internazionali che non recano l'indicazione della controparte;
- l'effettuazione di frequenti bonifici disposti con provvista in contanti verso Paesi diversi da quello d'origine dell'ordine;
- l'esecuzione di operazioni o di apertura di rapporti commerciali privi di apparente giustificazione tra imprese gestite o possedute da soggetti sospetti;
- le disposizioni da parte di enti senza scopo di lucro di operazioni che dimostrano una incoerenza rispetto agli obiettivi perseguiti dagli stessi;
- i comportamenti posti in essere con il possibile intento di eludere l'applicazione delle misure comunitarie di congelamento.
Su questi punti è, comunque, auspicabile che l'autorità amministrativa fornisca elementi precisi per consentire anche a soggetti non di "area penale" di collaborare in modo efficiente nella realizzazione di un obiettivo ampiamente condiviso [nota 10].
[nota 1] A ciò va aggiunto, tuzioristicamente, che gli artt. 29 e 30 del D.lgs. 231 del 2007, al fine di evitare la ripetizione delle procedure di adeguata verifica consentono al professionista di far affidamento sull'assolvimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela effettuato da terzi.
In particolare l'art. 30 prevede:
«1. Gli obblighi di identificazione e adeguata verifica della clientela si considerano comunque assolti, pur in assenza del cliente, quando è fornita idonea attestazione da parte di uno dei soggetti seguenti, con i quali i clienti abbiano rapporti continuativi ovvero ai quali abbiano conferito incarico a svolgere una prestazione professionale e in relazione ai quali siano stati già identificati di persona: …
d. professionisti di cui all'articolo 12, comma 1, nei confronti di altri professionisti».
L'attestazione non dovendo rivestire particolari formule solenni può essere ritenuta implicitamente contenuta nella procura notarile ricevuta da un altro notaio in cui è menzionata la certezza dell'identità del cliente.
Il notaio che ha ricevuto la procura dovrà, comunque, ai sensi dell'art. 34 del D.lgs. 231 del 2007, ove richiesto mettere:
«1. … immediatamente a disposizione dei destinatari del presente decreto ai quali il cliente è introdotto le informazioni richieste in virtù degli obblighi di cui all'articolo 18, lettere a), b) e c).
2. Le copie necessarie dei dati di identificazione e di verifica e di qualsiasi altro documento pertinente riguardante l'identità del cliente o del titolare effettivo sono trasmesse, senza ritardo, su richiesta, dal terzo all'ente o alla persona soggetti al presente decreto ai quali il cliente è introdotto».
[nota 2] Il presente paragrafo è uno stralcio dello studio I decreti legislativi di attuazione della direttiva 26 ottobre 2005, n. 2005/60/Ce (c.d. III direttiva) in materia antiriciclaggio ed antiterrorismo, est. M. KROGH, approvato dal Gruppo di lavoro antiriciclaggio del Consiglio Nazionale del Notariato il 6 dicembre 2007.
[nota 3] Le liste di congelamento ed i relativi aggiornamenti sono consultabili sul sito dell'Unione europea al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/external_ relations/cfsp/sanctions/list/consol-list.htm.
[nota 4] Il presente paragrafo è uno stralcio dello studio I decreti legislativi di attuazione della direttiva 26 ottobre 2005, n. 2005/60/Ce …, cit.
[nota 5] Decisione 2002/475/Gai - Sintesi tratta dal sito .
[nota 6] Nell'intento di dare una definizione più adeguata del terrorismo la suddetta decisione prescrive all'art. 1:
«1. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché siano considerati reati terroristici gli atti intenzionali di cui alle lettere da a) a i) definiti reati in base al diritto nazionale che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un Paese o a un'organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di:
- intimidire gravemente la popolazione, o costringere indebitamente i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o un'organizzazione internazionale:
a) attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso;
b) attentati gravi all'integrità fisica di una persona;
c) sequestro di persona e cattura di ostaggi;
d) distruzioni di vasta portata di strutture governative o pubbliche, sistemi di trasporto, infrastrutture, compresi i sistemi informatici, piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale ovvero di luoghi pubblici o di proprietà private che possono mettere a repentaglio vite umane o causare perdite economiche considerevoli;
e) sequestro di aeromobili o navi o di altri mezzi di trasporto collettivo di passeggeri o di trasporto di merci;
f) fabbricazione, detenzione, acquisto, trasporto, fornitura o uso di armi da fuoco, esplosivi, armi atomiche, biologiche e chimiche, nonché, per le armi biologiche e chimiche, ricerca e sviluppo;
g) diffusione di sostanze pericolose, il cagionare incendi, inondazioni o esplosioni i cui effetti mettano in pericolo vite umane;
h) manomissione o interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse naturali fondamentali il cui effetto metta in pericolo vite umane;
i) minaccia di realizzare uno dei comportamenti elencati alle lettere da a) a h).
2. L'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici fondamentali quali sono sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea non può essere modificato per effetto della presente decisione quadro».
[nota 7] Dalla relazione introduttiva tenuta dal dottor P.L. VIGNA al Convegno Paradigma "Nuovi adempimenti antiricilaggio e antiterrorismo" tenutosi a Milano il 29- 30 novembre 2007 «il fattore fondante, il fondamentale direbbero gli economisti, del terrorismo internazionale è la diffusione del fondamentalismo religioso islamico mediante la guerra santa (la Jihad) che contempla, nella sua forma estrema, l'eliminazione fisica degli infedeli, anche a costo del martirio, con il fine ultimo di incidere sugli equilibri geo-politici nei Paesi arabi per promuovervi la costituzione di Stati islamici. Il termine Jihad ha, in realtà, una pluralità di significati: da un lato, interiore, quello di sforzo compiuto sulla via di Dio dal singolo credente o da una collettività, dall'altro, quello esterno, di azione militare religiosamente giustificata al fine di creare un ambiente universale islamico ed è questo il senso di Guerra Santa che emerge da documenti sequestrati e da testimonianze».
[nota 8] L'incertezza della nozione di finalità di terrorismo è rappresentata efficacemente dalla nota vicenda che ha coinvolto il Gip Forleo del Tribunale di Milano, la Corte di Appello di Milano e la Corte di Cassazione che ha emesso la sentenza 1072/2007 nella vicenda che ha coinvolto Daki Mohamed nell'accusa di attività terroristiche. Ad avviso della Cassazione, la Corte Territoriale aveva interpretato in maniera troppo restrittiva la definizione di atti terroristici, qualificando come tali solo le azioni dirette contro la popolazione civile e non le azioni dirette anche nei confronti di forze armate, sebbene anche queste azioni hanno un riflesso sulla popolazione civile in quanto è ovvio che creano panico fra i cittadini. Inoltre all'esito del procedimento la Corte territoriale, applicando il principio fissato dalla Suprema Corte, ha deciso che la partecipazione di un soggetto a un gruppo terroristico può concretarsi anche in condotte strumentali e di supporto logistico alle attività dell'associazione che inequivocamente rivelino il suo inserimento nell'organizzazione. Pertanto, la circostanza che il gruppo milanese non fosse direttamente impegnato in attività terroristiche, ma svolgesse azione di sostegno in favore dei militanti che svolgevano all'estero tale attività non vale ad escludere la responsabilità di questo gruppo.
[nota 9] Sul punto P.L. VIGNA, cit. che afferma «una particolare attenzione va riservata alla clausola, contenuta nella definizione, «in qualunque modo realizzate». Essa è infatti funzionale alla demarcazione tra il finanziamento del terrorismo ed il riciclaggio. Mentre nel primo caso le risorse economiche possono derivare sia da attività lecite (es. raccolte nelle moschee, proventi di attività di impresa regolarmente esercitata) che illecite (es. traffico di sostanze stupefacenti), nel secondo il denaro, i beni o le altre utilità oggetto di "lavaggio" devono trarre la loro origine da una attività criminosa.
è per questa ragione che le misure dettate dai testi legislativi per la prevenzione del riciclaggio si applicano anche in relazione al finanziamento del terrorismo, mentre se questo avviene con risorse derivanti da attività lecite, saranno adottabili le specifiche misure consistenti nel "congelamento di fondi e di risorse economiche"».
[nota 10] P.L. VIGNA, cit., sull'attività di acquisizione di prove di attività dirette al finanziamento del terrorismo afferma: «in Italia le indagini hanno consentito di raccogliere prove, risultanti da dichiarazioni di terroristi islamici o da intercettazioni, di rimesse di denaro dal nostro Paese a soggetti impegnati nelle zone di combattimento ed anche la costituzione di società e ditte per attività commerciali di copertura o per la predisposizione di false dichiarazioni fiscali dirette a creare provviste per il finanziamento dei combattenti».
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