Contenuti prescrittivi della figura della "persona fisica titolare effettivo in ultima istanza", nel D.lgs. 231 del 2007 attuativo della III direttiva antiriciclaggio
Contenuti prescrittivi della figura della "persona fisica titolare effettivo in ultima istanza", nel D.lgs. 231 del 2007 attuativo della III direttiva antiriciclaggio
di Cesare Licini
Notaio in Pesaro

Premessa

L'adeguata verifica della clientela da parte del professionista nell'ultima edizione del sistema antiriciclaggio, è un'attività complessa che impone diversi compiti. L'art. 18 D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, che li pone, dopo avere fissato le definizioni stipulative dell'art. 1, li articola nelle seguenti attività:

- identificare il cliente e verificarne l'identità sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente;

- identificare l'eventuale titolare effettivo e verificarne l'identità;

- ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo o della prestazione professionale;

- svolgere un controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale.

Si tratta come si vede di un comportamento che richiede attività complesse, certamente più articolato e più ampio del set di doveri cui il soggetto passivo era sottoposto nella previgente normativa fondata sulla c.d. "II direttiva" (D.lgs. 56/2004), e che viene etichettato sinteticamente come Customer due diligence.

Il nuovo modulo operativo reca un'importante novità, nel senso che si caratterizza per un ampliamento dell'attenzione per la raccolta e la razionalizzazione critica delle informazioni, e per una connotazione discrezionale lasciata all'operatore nella scelta di procedure e mezzi, il che finisce per imporre condotte attive.

I primi interpreti sono peraltro concordi nel ritenere che questo, se non consente certamente di pretendere da parte del professionista, esoneri da responsabilità non motivati, nemmeno lo onera di compiti, per così dire, di polizia investigativa.

Il fondamento testuale di questo approccio viene rinvenuto nell'art. 3 del D.lgs. 231/2007 ("Principi generali"), il quale detta lo standard e la natura della "ricerca" alla quale sono tenuti i soggetti passivi, stabilendo che essi «adempiono gli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite nell'ambito della propria attività istituzionale o professionale»: ciò chiaramente allude a dati già disponibili, o ricevuti per spontanea risposta alla richiesta del professionista, non anche ottenuti con azioni da detective. Nell'ultimo comma, l'articolo 3 pone inoltre il limite di intensità, che «deve essere proporzionata alla peculiarità delle varie professioni e alle dimensioni dei destinatari della presente normativa». In ciò, corrisponde alle linee-guida tracciate nella stessa direttiva, che pone i "paletti" rappresentati dalla sostenibilità (il sacrificio richiesto al professionista deve essere direttamente proporzionato al beneficio che si attende dall'applicazione della norma); dalla proporzionalità; dalla corrispondenza alla valutazione del profilo di rischio.

Dopo questa breve premessa di carattere generale, ci occuperemo qui per espressa ipotesi di lavoro, solo di un frammento della complessiva attività di due diligence, quello dedicato alla nuova figura soggettiva della «persona fisica titolare effettivo in ultima istanza» (art. 1, comma 2, lett. u), e nella particolare e ricorrente situazione in cui il cliente sia una qualsiasi struttura organizzata di natura metaindividuale, perché essa porta con sé problematiche non risolte, e racchiude contenuti potenzialmente velenosi per il professionista.

Davanti ad una formula così generica, e nonostante la constatata non sottoposizione a doveri di stampo investigativo, bisogna con decisione reclamare una lettura che, nel rispetto della norma e del sistema, nazionale e comunitario, non dia spazio ad un pericolosissimo corto-circuito fra doveri impossibili da attuare, e deduzioni di responsabilità per omissione di quei doveri, che potrebbe arrivare a declinarli pretendendo uno specifico obbligo d'indagine per scoprire con certezza ed in ogni operazione il vertice della piramide [nota 1], o fino a trarne addirittura ipotesi investigative che associno il professionista ignaro, al cliente che si scoprirà essere un criminale o un terrorista.

Limitare, usando robusti elementi normativi, la profondità che si può richiedere al professionista nella sua ricerca del "titolare effettivo" al quale imputare situazioni giuridiche, è cruciale per il buon esito del progetto, perché la lett. u) al comma 2 dell'art. 1, del decreto legislativo precisa che il titolare effettivo su cui si ragiona, è quella persona fisica che possiede o controlla il cliente, o quella per conto della quale è realizzata un'operazione o un'attività, in ultima istanza.

«In ultima istanza» [nota 2] è un'espressione particolarmente impegnativa, perché può alludere (per fortuna, solo nel senso comune, come si vedrà), agli stessi vertici soggettivi coperti e protetti da vari prestanome e interposizioni, e deve essere oggetto di un'attenta esegesi al dichiarato scopo di delimitarne ragionevolmente le pretese estensive.

Si può pretendere dal professionista un'indagine seria; ma essa deve anche essere sostenibile. E per essere considerata tale, con le forze e i poteri limitati che il professionista ha, si deve accettare che quest'indagine si fermi alle risultanze di registri senza che diventino attività di polizia, o di dichiarazioni, senza che diventino interrogatori. Si può dunque pretendere dal professionista che impieghi le sue attitudini tipiche, purché lo si utilizzi come si utilizzerebbe un check-point sulle porte della legalità, da cui può cogliere "segnali di allerta", o elementi visibili della filiera, o può acquisire dati.

Magari lo si può anche impiegare come un whistle-blower, come si dice in gergo, quello che suona il fischietto per dare l'allarme; ma non lo si trasformi in detective che insegue e indaga, perché oltre questo limite, si innesca una deriva inavvertita ma inesorabile: gli obblighi dei professionisti sono diretti alla "tracciabilità", cioè all'ottenimento di dati utili ad intercettare un elemento della filiera criminale, da consegnare nelle mani delle autorità preposte a questa funzione e all'uopo dotate di poteri capaci di risalire un percorso conoscitivo. Non devono diventare, tramite obblighi interpretati in modo irragionevole, l'aspettativa di un "tracciamento", cioè la compiuta ricostruzione dell'intera filiera criminale, dal prestanome alla scoperta del titolare effettivo al vertice della piramide: il tracciamento è compito che deve restare gelosamente riservato alla forza pubblica e al magistrato inquirente, perché in una società che distribuisce in modo ordinato e responsabile questi ruoli, sono i soli a possedere i necessari poteri coercitivi e inquisitori, e le irrinunciabili coperture simboliche [nota 3].

Qui si cercherà appunto di dimostrare con dati giuridici positivi, come in realtà questo desiderio, che è occasione per l'applicazione del brocardo ad impossibilia nemo tenetur trovi nella combinazione delle norme e dei principi comunitari e nazionali, una puntuale applicazione autolimitante.

Il "titolare effettivo" nelle definizioni di Gafi

Per cominciare a comprendere l'estensione del perimetro che declina il cruciale concetto di titolare effettivo, bisogna tornare nel "laboratorio" dove questo concetto è stato messo a punto.

Per Gafi [nota 4], che ha introdotto il termine di "titolare effettivo" (beneficial owner) (40 Raccomandazioni - glossario), con questa figura si intende la persona fisica che, al vertice, possiede o controlla il cliente; e/o la persona per la quale una transazione è effettuata. Ciò comprende ugualmente le persone che esercitano in ultima istanza un controllo effettivo su una persona morale o su una costruzione non fisica ma giuridica che intervenga nel ruolo del "cliente", affinché si possa impedire di utilizzare entità giuridiche abusivamente da parte di persone fisiche, per operare in realtà a mezzo attraverso prestanome.

Beneficial owner è figura propria degli ordinamenti di matrice anglo-sassone, e dunque la comprensione dell'estensione dei termini qui usati deve transitare necessariamente attraverso alcune precisazioni proprie del contesto di common law dal quale detti termini sono stati prelevati.

In origine il beneficiary è tale in quanto equitable owner [nota 5]: definizione "in diritto" che identifica (non chiunque abbia una pretesa su una risorsa o un profitto, ma solo) il soggetto che ha titolo legale per ricevere un profitto o un vantaggio da un contratto o da una proprietà in qualità di equitable owner, in virtù di un equitable title (= un titolo riconosciuto come "ownership" in equity, derivante da un valido contratto basato sui principi di equità) [nota 6]. è quindi il titolare di un beneficial interest, che è «il potere legale di pretendere di intestare sé stesso».

Quindi la figura del beneficial owner (detto anche equitable owner: proprietario o titolare beneficiario o effettivo secondo le regole dell'equity, e dunque, comunque, in diritto) va assunta giuridicamente, non nel senso che sembra derivare dal significato comune della parola, ma nel senso tecnico per cui esiste solo all'interno di una endiadi nella quale è il primo termine necessario, richiedendo la presenza non rinunziabile senza vanificare l'insieme, come secondo termine che la completa, di un altro soggetto-prestanome (c.d. street name) che, ovviamente anche in modo del tutto legittimo, si interpone come intestatario per conto del titolare [nota 7].

I punti a) e b) del comma 3 dell'art. 2, direttiva 2006/70/Ce (misure di esecuzione per quanto riguarda la definizione di "persone politicamente esposte" e i criteri tecnici per le procedure semplificate di adeguata verifica della clientela) che possono considerarsi una sorta di interpretazione autentica dei limiti del concetto di beneficial owner, usano le seguenti definizioni, che qui si richiamano, anticipando subito che ciò serve per portare l'attenzione sulla presenza nel secondo, e sull'assenza nel primo, della modalità de facto:

punto a): «qualsiasi persona fisica che abbia notoriamente la titolarità effettiva congiunta di entità giuridiche o di istituti giuridici o qualsiasi altra stretta relazione d'affari con una persona di cui al paragrafo 1 [persone politicamente esposte]»;

punto b): «qualsiasi persona fisica che sia unica titolare effettiva di entità giuridiche o di istituti giuridici notoriamente creati di fatto a beneficio [for the benefit de facto] della persona di cui al par. 1».

Queste modellazioni indicano che nell'impianto combinato delle direttive 2005/60/Ce e 2006/70/Ce, si danno due possibili configurazioni del concetto di beneficiario effettivo.

In linea generale, esso è inteso come quella persona fisica che ha un'aspettativa ad appropriarsi i profitti e/o controllarli, in virtù di un titolo diretto o indiretto, di natura contrattuale-gestoria ma comunque giuridico, costitutivo di una posizione di "alienità" del diritto in capo a colui che appare titolare.

Per le particolari esigenze poste dalle persone politicamente esposte, e diverse da quelle che ci occupano (declinate nell'attuazione italiana, all'art. 28, comma 5, D.lgs. 231/2007), in via di eccezione non estensibile oltre questo contesto, si intende invece che il "titolare effettivo", è colui che è comunque il dominus finale anche in virtù di rapporti di fatto e non-giuridici (de facto).

Ne esce confermato che il limite generale non superabile rispetto agli obblighi di verifica è quindi la giuridicità del rapporto gestorio. Oltre non si va, fuori dalla giuridicità non è più competenza dei professionisti.

Altrimenti non si spiegherebbe perché si distinguano necessariamente non una, ma due persone, per c.d. utilizzatrici.

Da un lato, c'è «la persona esclusiva beneficiaria effettiva di una persona morale», alla quale l'assenza di ogni ulteriore caratterizzazione, fa assumere quel connotato giuridico generale, che la fa dipendere solo da un titolo negoziale.

E dall'altro, un'altra persona, che ha, sì, anch'essa il profitto ultimo, ma non solo quello giuridico, bensì anche quello allargato alla sua esistenza di fatto: figura per ammettere la quale, il legislatore comunitario ha dovuto estendere la qualificazione della condizione beneficiaria, anche alle creazioni de facto (nella speciale fattispecie di cui all'art. 2, comma 3, lett. b, direttiva 2006/70/Ce), avendo consapevolezza che senza questo predicato essa non sarebbe proseguita oltre il limite della giuridicità del rapporto di agency, quale emerge come figura generale.

Indagine di conformità della definizione attuativa nazionale alle direttive

Dobbiamo ora occuparci dell'espressione "in ultima istanza" che evoca in modo inquietante il soggetto al vertice della filiera: ma anticipando le conclusioni del ragionamento (che tuttavia necessita dell'ulteriore analisi che segue) bisogna intendere che si fa riferimento invece al soggetto che si pone come controllore immediato del cliente, essendo un fatto, prima di tutto e al di là dei tecnicismi, che una norma non può imporre al professionista, privo di vocazione e mezzi, di ricercare il vertice di un sistema potenzialmente criminale o terroristico, perché sarebbe impraticabile e irraggiungibile.

Nel dire come identificare e verificare l'identità del titolare effettivo, il D.lgs. 231/2007 si distacca arbitrariamente dalla direttiva 2005/60/Ce che lo fonda, e non sembra recepirne correttamente l'architettura enunziata, per cui è necessario intraprendere un lavoro che riconduca l'interpretazione del decreto legislativo in esame nell'alveo comunitario.

La direttiva 2005/60/Ce impone al legislatore nazionale che le misure tengano conto del profilo di rischio, delle peculiarità e delle differenze di scala delle varie professioni, dell'equilibrio dei costi e benefici per gli obbligati, e delle semplificazioni delle procedure, nel quadro dei principi generali comunitari di necessità e proporzionalità, e già questo, evoca protocolli di comportamento necessariamente variabili.

In caso di persone giuridiche-clienti, dispone (art. 8, comma 1, lett. b) di identificare il titolare effettivo, e di adottare misure adeguate (reasonable, nel testo inglese) [nota 8] e commisurate al rischio per verificarne l'identità (che i soggetti obbligati calibrano in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto d'affari, prodotto o transazione di cui trattasi: comma 2 dello stesso art. 8), in modo tale che il professionista sia certo di conoscere chi sia il titolare effettivo. Questo implica per le persone giuridiche, i trust ed istituti giuridici simili, adottare misure adeguate e commisurate alla situazione di rischio per comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente; (omissis).

La norma completa i propri connotati prescrittivi, ove la si legga congiuntamente al considerandum 10 [nota 9], il quale prescrive che per soddisfare il requisito, spetterà agli obbligati decidere, o di far ricorso a registri disponibili al pubblico contenenti informazioni sui titolari effettivi / o di chiedere ai loro clienti i dati pertinenti / ovvero di ottenere le informazioni in altro modo, (fra l'altro) tenendo presente che la portata di tali obblighi di adeguata verifica della clientela si riferisce al rischio del riciclaggio dei proventi da attività criminose e di finanziamento del terrorismo, che dipende dal tipo di cliente, dal rapporto d'affari, dal prodotto o dalla transazione.

Lo stesso Gafi, ispiratore del progetto non solo comunitario che ci occupa, enunziando nelle sue "40 Raccomandazioni", come abbiamo visto, che il fine delle prescrizioni in questione è di fare in modo che delle entità giuridiche non possano essere utilizzate abusivamente da parte di persone fisiche come metodo per operare in realtà a mezzo di conti anonimi e attraverso prestanome, assevera che i soggetti obbligati dovrebbero, se l'informazione non è altrimenti disponibile a partire da registri pubblici o altre fonti affidabili, domandare al cliente informazioni relative ai principali proprietari o beneficiari del controllo reale.

In questo contesto così ricostruito, l'espressione dell'art. 8, comma 1, lett. b), «Comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente-non persona fisica» è la proposizione normativa che emerge dallo scioglimento della "parentesi linguistica" che sta sotto l'etichetta «identità del titolare effettivo» [nota 10]; non è cioè, come potrebbe apparire ad una lettura superficiale, lo strumento attraverso il quale raggiungere il risultato finale, ma è esso stesso, l'obiettivo finale raggiunto. Se ne può estrarre la massima operativa che d'ora in poi ci guiderà: «si conosce il titolare effettivo quando si conosce la struttura della proprietà e del controllo su di essa».

Torniamo al D.lgs. Il professionista ha certamente l'onere della congruità e dell'idoneità del mezzo prescelto per identificare il titolare effettivo, graduato in base alla concretezza del rischio. Ma scelto (scelto, non imposto) alternativamente fra (art. 19, comma 1, lett. b, D.lgs. 231/2007):

- ricorso a pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque contenenti informazioni sui titolari effettivi;

- richiesta ai propri clienti, dei dati pertinenti;

- ottenimento delle informazioni in altro modo.

All'esito delle verifiche effettuate, potrà ben emergere che il professionista non sia in grado, pur attraverso visure presso i pubblici registri ovvero con i mezzi in suo possesso, di pervenire ad un'identificazione della persona fisica titolare effettivo.

I punti di dubbio che emergono sono dunque i seguenti:

1. se nella visura degli assetti proprietari di una società-cliente, emerge ad es. che soci sono a loro volta delle entità non persone naturali, si deve proseguire la ricerca, facendo un'altra visura, in quell'altra partita dei pubblici registri competenti dove sono depositate le informazioni su questi enti? E se questi sono di nazionalità straniera, cosa si fa, specie se le lingue sono esotiche, o i registri non facilmente accessibili, e non telematici? E se le partecipazioni sono al portatore, che si fa?

2. in queste ipotesi il notaio dovrà attenersi alla dichiarazione resa dal cliente?

Ricordiamo prima di tutto che l'intensità dell'approccio ordinario alla due diligence deve essere tenuto al livello low-risk come conferma espressamente il considerandum 6 della direttiva 2006/70/Ce.

Ricordiamo inoltre che, affinché questa nuova configurazione si mantenga nei limiti di sostenibilità e proporzionalità, occorre che il grado tollerabile di intensità delle misure di piercing the veil adottate, essendo in attuazione di direttive comunitarie, sia trovato in sede di interpretazione, al punto dell'incontro dell'interesse comunitario specifico (l'accertamento della struttura di proprietà e controllo del cliente), con i principi generali comunitari che come "principi costituzionali comunitari" danno il paradigma di legittimità dell'estensione di una normativa. La declinazione del diritto nazionale deve sempre superare il "test di conformità comunitaria", oltre il quale, vi è un effetto di disattivazione della parte "eccedente" delle norme nazionali [nota 11].

Il test comunitario - che è una vera e propria norma giuridica - tollera solo le misure nazionali strettamente necessarie al raggiungimento dell'obiettivo perseguito [nota 12], e all'ulteriore duplice condizione che, comunque, la misura rispetti i canoni di necessità e proporzionalità, intesi come effettiva capacità di servire per il raggiungimento di un obiettivo di interesse pubblico chiaramente definito; idoneità oggettiva a conseguire quell'obiettivo senza imporre più di quanto all'uopo è necessario, assenza di soluzioni più efficienti [nota 13].

La tesi da confermare ora è la seguente: per il complesso sistema che dalla direttiva discende in modo piramidale fino al decreto legislativo nazionale che la attua, identificare il titolare effettivo è sinonimo di conoscenza della struttura di proprietà e di controllo del cliente, per come emerge dall'interrogazione dei registri e come eventualmente "chiuso" o incrociato dalla interrogazione del cliente.

Bisogna concentrare la riflessione sulla ricordata espressione del comma 1, lett. b) dell'art. 8, direttiva 2005/60/Ce: «misure … per comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente», tenendo conto che la corretta portata tecnico-giuridica dell'espressione assume che "il cliente" è la persona giuridica che compie una operazione data, e che questa, e solo questa, è l'entità rispetto alla quale va accertato di chi sia la proprietà e il controllo.

Riferita l'espressione, per fare un esempio semplificante, ad una società, essa va intesa come formula sintetica di riferimento alla titolarità del capitale sociale della società, cioè come riferimento a chi siano formalmente gli attuali soci, perchè solo rispetto ad essi si può tecnicamente configurare una condizione di proprietà, con i diritti che discendono dallo status di socio (cfr art. 2370, 2479 c.c.: se non si attua la legittimazione della qualità di socio nei confronti della società - il codice civile parla di «effetto di fronte alla società» -, il terzo, che in ipotesi è il beneficiario effettivo, non acquista la qualità di socio e resta privo di qualificazione e poteri endosocietari). Si deve probabilmente ritenere che in linea di principio, cioè senza ancora attivare, qui, quell'effetto interruttivo prodotto dalla clausola generale comunitaria di proporzionalità, questa acquisizione imporrebbe la continuazione della ricerca usque ad infera rispetto alle strutture proprietarie e di controllo dell'ente che risulti socio della società-cliente, perché l'obiettivo strategico è di scoprire le persone fisiche proprietarie.

Per completare il catalogo delle caratteristiche che debbono essere rivestite per qualificare un individuo come "titolare effettivo", è però necessario anche attingere un dato numerico, quella soglia di importanza della consistenza quantitativa della sua presenza nel possesso o nel controllo dell'ente, tracciata positivamente dall'art. 2 dell'Allegato tecnico al D.lgs. in esame; questo articolo la denomina - uso qui come paradigma semplificativo [nota 14] la sola ipotesi che cliente sia una società, ma il principio è generale - «percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica» e ne fornisce ex lege la caratura asseverando che la soglia è raggiunta ove la percentuale corrisponda al 25 per cento più uno di partecipazione al capitale sociale. Se non si raggiunge questa caratura percentuale, la ricerca del titolare effettivo si conclude senza titolare effettivo, dato che anche se un interponente emergesse, sotto quella soglia non interessa come tale. Questa caratura si raggiunge computando in modo aggregato anche le partecipazioni c.d. indirette, possedute per il tramite di un altro ente formale intestatario, attraverso un rapporto di controllo, di fiducia, o di interposizione. Si deve ritenere che la rilevanza dell'interposizione vada assunta in base all'ordinamento competente a disciplinare l'ente, e quindi questo profilo per una società straniera dovrà essere regolato dalla lex societatis individuata secondo le tecniche del d.i.p.

Definitiva ricostruzione della conformazione positiva della prescrizione

Dalla combinazione della clausola generale comunitaria di proporzionalità con le disposizioni citate escono con nettezza, la norma, ed il suo limite (art. 8, direttiva 2005/60/Ce):

- in caso di persone giuridiche-clienti, è soddisfatto l'obbligo di conoscenza del titolare effettivo quando si conosce la struttura della proprietà e del controllo su di essa;

- conoscere la struttura della proprietà e del controllo sul cliente-persona giuridica, significa che il soggetto può arrivare autonomamente, usando lo strumento espressamente messo a disposizione, delle investigazioni sulla pubblicità, fino a quella struttura soggettiva, per così dire di primo grado, la quale emerge dalla lettura dello statuto dell'ente incrociata con le eventuali evidenze rinvenibili nella partita del registro pubblico intestata all'ente-cliente stesso: questa lettura darà la composizione di quei soggetti che sono i primi intestatari del rapporto diretto e riconosciuto dagli organi corporativi, in quanto titolari dello status socii e delle situazioni giuridiche formali che innervano l'impianto soggettivo; e potrà ritenersi che in presenza di soci non persone fisiche, la tecnica richieda che si debba procedere rispetto a queste, alla ripetizione dello stesso controllo (del resto, lo "sfruttamento" ottimale del notaio sta proprio nella sua attitudine ad interrogare pubblici registri ed atti, e ad interpretarli in modo ragionato).

La ricerca di questo primo livello non si spinge in ogni caso oltre la latitudine permessa dai dati dei registri pubblici, anche se essi non recano la persona fisica-beneficiaria finale: non avendo il professionista poteri inquisitori da esercitare autoritativamente, per provare ad andare oltre le risultanze dei registri pubblici, egli non può che optare per chiedere «tutte le informazioni necessarie e aggiornate» (art. 21) al cliente, nella persona fisica nella quale è organicamente immedesimata questa persona giuridica.

Nel percorso a ritroso all'interno dei pubblici registri, poiché l'estensione della prescrizione di ricercare il titolare effettivo è interrotta di diritto dall'esenzione dal fare più di quanto sia proporzionato e sostenibile rispetto alle (modeste) forze a disposizione, si può ritenere che la diligenza potrà pretendersi al massimo rispetto ai registri pubblici nazionali, ma non anche a quelli stranieri o all'apprensione di dati da libri e documenti sociali, che suppongono costi, modalità, conoscenze, competenze e poteri di accesso e ispezione non giustificati o non coercibili. Fermo restando il fatto che nelle condizioni che fortunatamente costituiscono la normalità quotidiana della professione, che non manifestano alcun livello di pericolosità, nemmeno la ricerca di primo livello si debba ritenere obbligatoria, poiché l'impianto normativo indica l'interrogazione dei registri come uno dei mezzi che possono essere impiegati, ma non obbligatoriamente, e che possono essere surrogati dalle dichiarazioni di parte.

Ad altri mezzi infatti, come conferma testualmente il disgiuntivo "ovvero", non si è tenuti a ricorrere, anche se si può.

Ma in cosa consisterebbe poi questo "altro modo", se fosse obbligatorio? In mancanza di poteri coercitivi, esso non può che finire per coincidere con l'interrogazione del cliente, ex art. 21, D.lgs. Quindi il professionista si fermerà definitivamente ai dati attestati dal cliente, nei casi a scarso rischio, o ai risultati estratti dal confronto fra i dati immessi nei registri, e quelli attestati dal cliente, nelle situazioni a rischio maggiore o dove comunque il professionista lo volesse per disporre di dati incrociati, comunque più rassicuranti.

C'è di più. Se l'art. 19, comma 1, lett. b, D.lgs. 231/2007, attraverso la disgiuntiva «ovvero» rende non cumulativi ma legittimamente alternativi gli strumenti tipici messi a disposizione del professionista, si deve affermare che il professionista possa ricorrere senza timore di sentirsi imputare l'inidoneità della misura al rischio, alla sola dichiarazione del cliente ex art. 21, dato che questa, come dice la sua rubrica, è un obbligo del cliente, che deve fornire sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate per consentire ai soggetti destinatari del decreto di adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela, ed in particolare, ai fini dell'identificazione del titolare effettivo, deve fornire per iscritto, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate delle quali siano a conoscenza.

Il sistema tiene e si chiude con sicurezza, comunque: se non saranno soddisfacenti per la sensibilità del professionista, i dati acquisiti non impongono altre indagini, ma l'attenta riflessione se fare la segnalazione alla Fiu).

Di fatto, se si riscontra questa concordanza di dati, le risultanze del livello primo e diretto, espresso nel dittico «soggetto (persona fisica o giuridica) titolare di posizioni endo-societarie/società-cliente», declinano, limitatamente al giudizio di adeguatezza della risposta agli obblighi di due diligence, la parificazione giuridica per effetto di una fictio juris emersa in modo necessitato dai meccanismi del sistema, del «massimo riconoscibile (lungo la filiera del titolare effettivo)», al «massimo desiderato (del titolare effettivo)».

Chiarite queste dinamiche - e, pur con tutte le cautele imposte da una primissima lettura del testo del decreto, non potrebbe essere diversamente - è pertanto lo stesso acquis communautaire [nota 15] a porre un limite al rinvio indietro ad un'impossibile e comunque impraticabile ricerca della persona fisica che sia titolare ultimo, oltre le evidenze pubbliche coonestate dalle attestazioni del cliente. Ed è testualmente il legislatore comunitario, in conclusione, a dire che lì ci si ferma, nonostante l'apparente contraddittorietà rispetto alla lettera della legge; in più, l'interpretazione concede comunque la patente della presunzione di adeguata esecuzione della due diligence, anche se ci si sia dovuti fermare alla constatazione che la condizione di membro della compagine dell'ente sia rivestita da una entità non-fisica, e quindi non sia stata raggiunta l'evidenza ottimale auspicata dal sistema. Ma va ripetuto ancora una volta: il professionista è chiamato a dare gli elementi di accesso ad una filiera, mentre completarla non è lavoro suo, ma delle polizie e della magistratura.

è dunque assai auspicabile che il Ministro dell'economia e delle finanze prenda atto di questa interpretazione, che oltretutto è l'unica ad essere oggettivamente funzionale alle aspettative di collaborazione dei privati nonostante il loro "forzoso" reclutamento; ed eserciti di conseguenza la facoltà che gli attribuisce il comma 2 dell'art. 19 di adottare con proprio decreto, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria, disposizioni attuative per l'esecuzione degli adempimenti di cui al comma 1, conformi alle risultanze della ricostruzione appena proposta.

Questo è coerente con il descritto metodo della direttiva stessa, e dunque questo è il mandato comunitario.

Così il limite del recepimento è di fermare ad un "primo livello", che è quello delle risultanze dei registri pubblici e degli strumenti legali di conoscenza, l'indagine del professionista: unico modo oltre tutto per evitare che l'indiscriminata pretesa dell'acquisizione dei dati porti il fallimento del sistema, per attuabilità impossibile, e d'altra parte, massimo possibile livello che possa dar corpo al concetto di "verifica dell'identità del titolare effettivo", se con questa espressione si intende il riscontro dell'identificazione con una fonte attendibile e indipendente attraverso la controprova documentale.

La lettura proposta è l'unica a potersi dire conforme a quanto - in base alle citate raccomandazioni Gafi - è lo standard da questo richiesto: per conoscere la vera identità del cliente, allo scopo di fare in modo che delle entità giuridiche non siano utilizzate da parte di persone fisiche come metodo anonimo, i soggetti obbligati debbono assumere le informazioni sulla vera identità, in primo luogo, a partire da registri pubblici; e se non sono altrimenti disponibili, si passa al livello della domanda al cliente sul detentore del controllo.

Tenuto poi conto che gli obblighi dovranno essere declinati (art. 20) in base al modulo basato sui diversi livelli di attenzione e impegno dettati dal c.d. "approccio basato sul rischio", ma che (considerandum 6, direttiva 2006/70/Ce) il normale strumento della direttiva 2005/60/Ce è costituito da procedure generali di customer due diligence al livello di basso rischio, il metodo di accertamento a doppio livello si può risolvere in piena adempienza da parte del professionista, come alternativa fra la rilevazione diretta dei dati dei soggetti resi noti dalle risultanze dei registri di commercio che riportino gli assetti proprietari e di amministrazione, e l'interrogazione (non l'interrogatorio) del cliente stesso: col che, nelle situazioni a basso rischio, si esaurisce la due diligence senza ulteriori accertamenti.

Questo appare in linea con la coerenza e la funzionalità degli strumenti giuridici che configurano i mezzi attraverso i quali i moderni ordinamenti del mondo avanzato consentono ai privati di svolgere, anche in forme riservate, i propri affari e interessi: le varie strutture organizzative esistenti, nascono dall'esistenza di un interesse specifico del mondo degli affari privati, giuridicamente rilevanti e meritevoli di tutela. Qui sta un altro punto, poco esplorato nel nostro contesto, ma molto importante. L'azione di piercing the veil può essere tollerata solo all'interno di un corpo di disciplina espressamente dedicato a ciò, che ne scandisca con tutte le cautele e con tutti i contrappesi le condizioni procedimentali di legalità e di legittimità; non, invece, se è il frutto di un'azione surrettiziamente inserita traendo da una legittimazione generica, ricavata attraverso faticose estensioni implicite di poteri.

L'interpretazione proposta trova edittale conferma nel tenore dell'art. 20 del D.lgs. 231/2007. In questa norma infatti si prescrive (terza proposizione del primo comma) che per l'adeguata valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, i professionisti osservano i criteri generali ivi testualmente posti con riferimento, al cliente (lett. a) e all'operazione, rapporto continuativo o prestazione professionale (lett. b) [nota 16].

L'assenza di alcun riferimento, qui, ad una commisurazione del rischio riferita anche al titolare effettivo, in un testo che però si occupa espressamente del cliente e dell'operazione, cioè degli altri termini soggettivo e oggettivo coessenziali al nostro nel meccanismo antiriciclaggio, consente di affermare con positiva sicurezza, che le indagini sul titolare effettivo non sono fattuali e non sono graduate sul tipo di rischio associato, ma sono solo rigide e giuridico-formali, e nel senso sopra descritto.

Conformità dell'interpretazione alla legge comunitaria 2005

L'interpretazione qui rappresentata deve superare un ultimo esame di legalità, quello svolto rispetto ai principi e ai criteri direttivi contenuti nel mandato racchiuso nella legge 25 gennaio 2006, n. 29 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 2005), la quale a sua volta pone i paletti entro i quali deve contenersi l'azione legiferativa delegata al Governo.

L'art. 22 della legge comunitaria dedicato alle direttive in esame, fissa princìpi e criteri direttivi che non si distinguono infatti per maggiore rigore; maggior rigore che, come sarebbe stato peraltro in quella sede ben possibile, avrebbe potuto essere adottato rispetto alla normativa comunitaria "basica" [nota 17].

Il comma 1 dell'art. 22, contiene una lettera l) che dà mandato di prevedere procedure e criteri per individuare: 1) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva devono identificare il titolare effettivo ed adottare misure adeguate e commisurate al rischio per verificarne l'identità; e 2) i casi nei quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva possono calibrare gli obblighi di adeguata verifica della clientela in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto di affari, prodotto o transazione di cui trattasi.

Queste prescrizioni non sono né diverse né più severe, e dunque nemmeno sul piano del coordinamento e dei vincoli di gerarchia delle fonti discendenti dalla direttiva prima, e dalla comunitaria poi, emergono direttrici contrarie all'interpretazione prescelta.

Lo strano caso delle società fiduciarie

Come è noto, in un apprezzabile sforzo razionale di non imporre inutilmente le verifiche da parte dei soggetti passivi, quando queste procedure siano rivolte nei confronti di certi altri enti che sono essi stessi soggetti alle medesime prescrizioni, del resto in attuazione del principio informativo che i doveri debbono essere proporzionati al rischio effettivo, la sezione II, art. 25, ritiene sufficiente espletare in modo semplificato la due diligence, esonerando dagli adempimenti di identificazione e verifica, rispetto a determinati soggetti che potremmo definire "virtuosi" perché tenuti ai medesimi obblighi di verifica, contenuti nell'elenco degli intermediari finanziari e esercenti attività finanziaria di cui all'art. 11.

La struttura di questo catalogo è però particolare, perché raccoglie le varie forme di questi intermediari, per quanto qui interessa, nei primi due commi.

Nel primo rientrano fra le altre le banche (lett. a), Poste italiane (lett. b), società di intermediazione mobiliare-Sim (lett. d); mentre nel comma 2, alla lett. a) troviamo le società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966.

Il problema nasce dal fatto che l'art. 25 che abilita l'adozione di modalità semplificate consistenti nell'esonero dagli obblighi della sezione I, lo consente al cospetto di soggetti indicati all'art. 11, sì, ma solo se rientranti nell'elenco del comma 1, o nelle lett. b) e c) del comma 2, ma non nella lett. a) del medesimo, quindi non includendo le fiduciarie fra i soggetti che generano l'esonero. Questo comporta l'obbligo di disvelamento al notaio del proprio mandante-fiduciante, il che ha creato grandissimo turbamento nel mondo fiduciario, non perché terminale di occultamenti innominabili, ovviamente, ma perché impone di "tradire" il mandato di segretezza che nella cultura professionale di quel sistema è la cosa più rispettata e protetta.

Dall'altro lato, l'inclusione nella lett. a) del comma non è né un caso né un infortunio. Si legge nella relazione illustrativa del D.lgs. che l'inclusione nei soggetti esenti «comporterebbe effetti indesiderabili … con chiare ripercussioni negative in termini di adeguatezza delle verifiche. Si rileva, inoltre, che l'operatività delle società fiduciarie necessita della massima attenzione anche in relazione all'esigenza di estendere gli obblighi di adeguata verifica al beneficial owner, che rappresenta una delle principali innovazioni della direttiva 2005/60/Ce. Qualora si continuasse ad ammettere la possibilità di non assoggettare agli obblighi di legge i rapporti tra intermediari bancari e società fiduciarie si finirebbe per vanificare la portata di tale innovazione».

Si potrà discutere, probabilmente a ragione, come si è visto già al capo che precede, se un sistema giuridico come il nostro, profondamente radicato nel principio rule of law possa tollerare di essere costretti al piercing the veil semplicemente con la lettera di un comma strategicamente piazzata, senza una espressa e meditata disciplina di settore che in un quadro di piena legalità e legittimità dia accesso al nuovo interesse pubblico tutelato; il principio rule of law infatti allude all'eguaglianza di fronte alla legge, sicurezza giuridica, trasparenza, equo accesso alla giustizia e indipendenza del potere giudiziario, per evitare l'arbitrio, nel quale contesto di legalità si inserisce anche la protezione degli investimenti e della proprietà, che sono altrettanto fondamentali nella crescita, perché senza la protezione dei diritti e la libertà dell'agire individuale non vi può essere alcuno sviluppo sostenibile. Tuttavia, oggi, questo è il dato al quale bisogna dare soddisfazione ed esecuzione.

Con sicurezza peraltro si può affermare in base ad un'attenta esegesi delle norme in oggetto, che dalla lett. a) del comma 2 migrano, per così dire, quelle società fiduciarie che integrino la qualità di Sim in quanto iscritte alla sezione speciale, all'albo di cui alla c.d. legge Sim, oggi confermata dal T.U.I.F. (D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) [nota 18], per ricollocarsi alla lett. d) – società di intermediazione mobiliare Sim, del primo comma dell'art. 11, godendo della verifica semplificata di cui all'art. 25, che non impone l'identificazione del fiduciante.

Le fiduciarie non-Sim debbono dunque invece attestare il nome del proprio mandante, che non è necessariamente il beneficiario effettivo, dato che il soggetto che nel contratto di fiducia assume il ruolo di fiduciante, ben potrebbe essere a sua volta un interposto. Solo se la fiduciaria dovesse conoscere anche questo soggetto, dovrà darne l'identità, altrimenti sarà il fiduciante a dovere essere individuato, così esaurendo gli obblighi di disclosure in buona fede.

In ogni caso, il professionista non deve dimenticare che deve modulare le proprie pretese sulla base del profilo di rischio del cliente che nella specie è una società fiduciaria; essa è infatti soggetta a penetrante vigilanza da parte del Ministero economia e finanze, ai sensi del D.M. 16 gennaio 1995, in G.U. 4 febbraio 1995, n. 17, e a sua volta deve svolgere un'attentissima profilatura del proprio mandante all'interno di un rapporto continuativo sistematicamente monitorato, e trasmette l'identità anagrafica all'Amministrazione finanziaria attraverso l' "Anagrafe dei rapporti" prevista dal D.l. 4 luglio 2006, n. 223.

Tutto questo contesto normativo molto attento ad avere consapevolezza del soggetto col quale viene intrattenuto il rapporto fiduciario, rende del tutto corretto un approccio da parte del professionista attestato al livello di rischio minimo, che non richiede, legittimamente, particolare intensità nelle ricerche, dato che deve tendenzialmente assumere la società fiduciante, come soggetto ad alta affidabilità.


[nota 1] Non è forse, questo, lavoro dei veri investigatori, quelli che hanno le pistole ed emettono gli ordini di cattura, e di nessun altro?

[nota 2] Dernier lieu; ultimately; ultimate beneficiary, directly or indirectly, sono le nomenclature nella redazione in francese e inglese della direttiva di riferimento.

[nota 3] Vale ancora, e anche per noi, ciò che ha detto l'American Bar Association a proposito dei doveri imposti agli avvocati dal Sarbanes-Oxley Act: «lawyers in the U.S. are not, and cannot be, agents of the U.S. government. Rather, they are independent professional positioned between the state and the persons under its jurisdiction. One of the touchstones of the American legal system is the independence of the legal profession from government regulatory and enforcement authorities. It is as crucial to our system of justice as the independence of judges themselves».

[nota 4] Groupe d'action financière sur le blanchiment de capitaux (o, all'inglese, Fatf – Financial action task force), con sede a per la lotta al riciclaggio Parigi (www.fatf-gafi.org) è il più importante organismo internazionale intergovernativo, dove esperti in questioni giuridiche, finanziarie ed operative perseguono con un'attitudine multidisciplinare e uniformata, fondamentale per una lotta efficace, l'obiettivo di concepire e promuovere le politiche e le strategie di lotta al riciclaggio del denaro proveniente dal crimine, e alla lotta contro il terrorismo. Attualmente si compone di 31 Paesi e Governi, e 2 organizzazioni internazionali, oltre a più di 20 osservatori, fra cui 5 organismi regionali e 15 organizzazioni o organismi internazionali.

[nota 5] Beneficial ownership e beneficial owner sono dei concetti di diritto anglosassone, estranei agli ordinamenti (come quello italiano o francese) di derivazione romanistica. Indicano, più o meno, il soggetto che, al di là dell'intestazione formale, ha l'effettivo controllo e gode effettivamente i vantaggi della proprietà di un certo bene. Per esempio, il titolare di un pacchetto azionario può essere una società fiduciaria, ma il beneficial owner sarebbe il soggetto che sta a monte. Beneficial owner, proprietario o titolare beneficiario o effettivo secondo le regole dell'equity, ma si tratta di termine intraducibile giacché esso si rifà alla dicotomia tra common law e equity, priva di corrispondenza nella civil law [civil law=legge di derivazione romanistica]. Il termine correlativo è legal o nominal owner, ossia proprietario o titolare secondo le regole della common law. Così in materia di companies, una cosa è il registered proprietor delle azioni, cioè l'intestatario delle azioni, un'altra è il proprietario effettivo (beneficial owner), … (Dizionario giuridico di Francesco de Franchis). «Beneficial owner: Term applied commonly to cestui que trust (=colui che costituisce il trust n.d.r.) who enjoys ownership of the trust or estate in equity, but not legal title which remains in trustee or personal representative. The persons for whom a trustee holds title to property are beneficial owners of the property, and the trustee has a fiduciary responsibility to them» (West's Law and Commercial Dictionary).

[nota 6] Nei casi in cui gli statutes o le moderne regole di pratica giurisprudenziale hanno cancellato la distinzione fra action in law e suit in equity, gli ordinamenti si fondono in un unico contesto normativo, nel quale le differenze lessicali derivanti dal passato diventano meramente nominalistiche, e le categorie assumono generale cittadinanza.

[nota 7] Beneficial owner: The person entitled (as the real owner) to enjoy the benefit of property or goods of which the legal title may be vested in a trustee.

The individual who enjoys the benefits of owning a security or property, regardless of whose name the title is in.

- shareholder of record: The name of an individual or entity that an issuer carries in its records as the registered holder (not necessarily the beneficial owner) of the issuer's securities. Dividends and other distributions are paid only to shareholders of record. also called stockholder of record or holder of record or owner of record.

- street name: The term given to securities held in the name of a brokerage on behalf of a customer, usually done to facilitate subsequent transactions.

[nota 8] Parola che il Concise Oxford Dictionary spiega con not absurd, tolerable, fair.

[nota 9] è noto che i consideranda hanno valore normativo.

[nota 10] Per usare la tecnica di destrutturazione del metalinguaggio normativo, proposta da F. D'ALESSANDRO, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, Padova, 1989, p. 73.

[nota 11] Anche per le norme di competenza dei singoli Stati membri, simultaneamente la loro efficienza è sottoposta criticamente al diritto materiale di origine comunitaria, che continua a non incidere direttamente sulla capacità degli Stati membri di organizzare le rispettive norme, ma impone tuttavia una sorta di verifica del rispetto di fonte sovra-nazionale, delle norme nazionali inidonee.

La conseguenza è che in virtù dell'efficacia sovraordinata delle norme comunitarie su quelle nazionali, le prime possono finire ab externo per disattivare cruciali segmenti di norme nazionali, la cui efficienza non è più intrinseca, ma relativizzata al superamento del test comunitario per valutarne la compatibilità; il paradigma si fonda sul pregiudiziale riconoscimento dell'efficacia immediata dei principi comunitari, i quali nel caso in cui il diritto nazionale non superi la "prova di conformità comunitaria", producono un effetto di disattivazione delle norme nazionali in contrasto. Perciò la normativa nazionale deve accettare pregiudizialmente di riconoscere che il proprio, come l'ambito nazionale di ogni altro Stato membro, è porzione di uno spazio giuridico comunitario omogeneo e indifferente, all'interno del quale deve accettare di essere interpretata conformemente al diritto comunitario o, altrimenti, rispondere ai criteri giustificativi delle restrizioni e delle deroghe imposte per ragioni imperative d'interesse generale.

L'art. 22 della legge 25 gennaio 2006, n. 29 - legge comunitaria 2005, nel perimetrare la delega conferita al Governo per il recepimento delle direttive in esame, è molto puntuale nel mantenersi aderente ai principi e ai bilanciamenti di queste. E d'altra parte, lo stesso D.lgs., all'art. 4 ("Rapporti con il diritto comunitario") confessa questo puntuale allineamento anche al sistema generale comunitario, disponendo che negli atti amministrativi che verranno presi si tenga conto degli atti emanati dalla Commissione europea ai sensi dell'art. 40 della direttiva.

[nota 12] V. sent. CGCE, 26 aprile 1988, causa 352/85, Bond van Adverteerders, racc., p. 2085.

[nota 13] V. sent. CGCE, 25 luglio 1991, causa C–288/89, Gouda, racc., p. I–4007.

[nota 14] La norma regola in modo simile ogni altra struttura:

«Art. 2 (articolo 1, comma 2, lettera u). Titolare effettivo)

Per titolare effettivo s'intende:

in caso di società:

- la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedano o controllino un'entità giuridica, attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto di una percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica, anche tramite azioni al portatore, purché non si tratti di una società ammessa alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti; tale criterio si ritiene soddisfatto ove la percentuale corrisponda al 25 per cento più uno di partecipazione al capitale sociale;

- la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un'entità giuridica;

- in caso di entità giuridiche quali le fondazioni e di istituti giuridici quali i trust, che amministrano e distribuiscono fondi;

- se i futuri beneficiari sono già stati determinati, la persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del 25 per cento o più del patrimonio di un'entità giuridica;

- se le persone che beneficiano dell'entità giuridica non sono ancora state determinate, la categoria di persone nel cui interesse principale è istituita o agisce l'entità giuridica;

- la persona fisica o le persone fisiche che esercitano un controllo sul 25 per cento o più del patrimonio di un'entità giuridica».

[nota 15] Espressione con cui si denomina l'insieme dei programmi politici, economici e giuridici già realizzati e vincolanti (acquisiti) a livello comunitario.

[nota 16] Questo articolo contempla anche le istruzioni di cui all'articolo 7, che però non si riferisce ai soggetti di cui all'art. 12. Tuttavia è importante richiamarlo qui, perché anch'esso non si interessa a titolari effettivi.

[nota 17] Con le direttive, il legislatore comunitario impone a quelli nazionali degli obiettivi minimi da raggiungere, liberi i Paesi membri di essere più severi nel recepimento.

[nota 18] Così A. ZOPPINI, in un recente parere pro veritate messo cortesemente a disposizione dall'Autore.

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