I vincoli di destinazione ex 2645-ter: casi pratici
I vincoli di destinazione ex 2645-ter: casi pratici
di Raffaele Lenzi
Associato di Diritto privato, Università degli Studi di Siena

La famiglia come ambito sperimentale del negozio di destinazione

La circolare oggetto della odierna riflessione, affronta il problema del trattamento tributario degli atti costitutivi di vincoli di destinazione e offre, pur nella specificità della prospettiva tributaria, alcuni elementi utili alla definizione della figura del negozio di destinazione, di cui l'art. 2645-ter delinea effetti ed elementi costitutivi [nota 1].

La figura, dai contorni ancora incerti, comincia a trovare le prime occasioni applicative, che aiutano a meglio definire la tassonomia di valori che soddisfano il richiesto requisito della meritevolezza degli interessi perseguiti.

È recente un decreto del Tribunale di Reggio Emilia [nota 2] in cui si affronta la possibilità di utilizzare la destinazione ex 2645-ter come strumento a tutela dei figli minori nell'ambito della revisione delle condizioni di separazione tra coniugi.

Nel caso specifico le parti intendevano modificare quanto convenuto in sede di separazione relativamente al mantenimento dei figli, sostituendo la corresponsione periodica in denaro con il trasferimento una tantum di un immobile a favore del coniuge affidatario. Considerato che tale soluzione non offriva alcuna garanzia ai figli in ordine all'utilizzazione dei cespiti e alla destinazione dei frutti, i coniugi hanno previsto nella domanda l'apposizione sui beni di un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter, in virtù del quale il coniuge assegnatario veniva privato della libera disponibilità del bene e avrebbe dovuto utilizzare i frutti prima per l'estinzione del mutuo ipotecario gravante i beni stessi e successivamente per il mantenimento della prole, fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica del più giovane dei figli. Nel valutare la meritevolezza della fattispecie il Tribunale riconosce al vincolo l'attitudine ad incidere, e quindi limitare, sia la facoltà di godimento che la facoltà di disposizione, evidenziando che l'istituto ben si presta alla regolazione dei rapporti tra coniugi e figli successivi alla separazione.

Il diritto di proprietà trasferito al coniuge trova quindi, nell'interesse dei figli, una limitazione interna per effetto del vincolo apposto sui beni.

Un altro caso, sempre correlato all'interesse della prole, è costituito dal negozio di destinazione ex 2645-ter mediante il quale due conviventi more uxorio intendono destinare determinati beni immobili a far fronte ai bisogni della famiglia di fatto [nota 3] costituita da loro stessi e dai figli nati dalla loro unione. I conviventi intendono conservare la proprietà dei rispettivi beni ma, durante la vigenza del vincolo, intendono amministrare i beni congiuntamente [nota 4].

Si tratta di una figura che mira a realizzare le finalità proprie del fondo patrimoniale, istituto tipicamente predisposto a far fronte ai bisogni della famiglia ma che, come noto, non può trovare applicazione al di fuori della famiglia legittima.

I casi citati evidenziano significativamente come le prime applicazioni del negozio di destinazione atipico appartengono all'area del diritto di famiglia ove l'accertamento della meritevolezza degli interessi, richiesto dalla legge, appare relativamente semplice.

La destinazione tra categoria generale e figure speciali

Residuano tuttavia ancora molte incertezze interpretative che frenano l'adozione della figura e la circolare concorre utilmente a definire la comprensione della categoria del negozio di destinazione, pur sollevando alcune perplessità sulle soluzioni adottate.

In particolare la circolare, allorchè definisce l'ambito oggettivo di applicazione, attribuisce all'atto di destinazione valenza di categoria generale. Vengono richiamate, a titolo esemplificativo, le figure del trust, del fondo patrimoniale, dell'intestazione fiduciaria, evidentemente riferendosi ai casi presenti nel nostro ordinamento di fiducia c.d. germanistica, regolata da leggi speciali.

Tali figure vengono così considerate come speciali e tipiche, e ad esse si affianca, all'interno della categoria generale, l'atto di destinazione atipico, che deve conformarsi, quantomeno, ai criteri fissati all'art. 2645-ter c.c.

La adottata relazione di genere a specie tra la categoria atto di destinazione e le figure tipiche, costituisce un condivisibile criterio classificatorio, che conduce ad una serie di conseguenze anche sotto il profilo applicativo, quale ad esempio la possibile utilizzazione del criterio dell'analogia come strumento ricostruttivo della disciplina [nota 5] del negozio di destinazione.

La asserita gratuità della destinazione

Dopo aver offerto, al paragrafo 5, una definizione generale di atto di destinazione, la circolare fonda le proprie conclusioni su due elementi caratterizzanti il negozio stesso:

a. la necessaria gratuità dell'atto di destinazione, espressamente affermata al paragrafo 5.2

b. l'effetto traslativo eventuale, strumentale alla realizzazione della destinazione, come descritto al paragrafo 5.1

Sull'essenziale gratuità dell'atto di destinazione, l'affermazione contenuta nella circolare sembra apodittica e non sufficientemente provata ed anzi la stessa circolare segnala esemplificativamente una fattispecie, la destinazione traslativa a scopo di garanzia (ancora al paragrafo 5.2), per la quale non sembra potersi escludere una possibile configurazione onerosa.

Destinazione pura e destinazione attributiva

Ma il profilo della circolare che desta più perplessità è l'adozione del criterio dell'efficacia traslativa dell'atto come unico criterio discriminante il trattamento tributario.

Il criterio classificatorio che distingue tra destinazione pura, cioè priva di effetto attributivo e destinazione traslativa [nota 6], ove accanto al vincolo di destinazione si attua una attribuzione con carattere strumentale, cioè in funzione della realizzazione dello scopo, non è esaustivo né soddisfacente.

Il negozio di destinazione, oltre alla naturale caratteristica di atto di configurazione di beni ad uno scopo, può realizzare un effetto dispositivo, attraverso un'attribuzione strumentale; anzi vi è chi sostiene che tale effetto dispositivo è coessenziale alla fattispecie in quanto, attraverso la selezione degli specifici interessi, determina comunque un distacco di alcuni beni dal residuo patrimonio del disponente, beni caratterizzati da uno specifico statuto normativo. Il destinare sarebbe quindi sempre un peculiare modo di disporre, in cui comunque si distinguono una fase programmatica ed una fase attuativa.

Dalla circolare si evidenzia che sotto il profilo tributario sono indifferenti sia il profilo programmatico di destinazione che l'effetto di separazione: rileva esclusivamente il momento attuativo e limitatamente all'eventuale profilo attributivo. La circolare prende in considerazione l'eventuale attribuzione strumentale immediata all'attuatore della destinazione ed anche la retrocessione al disponente, ad avvenuta cessazione della destinazione, secondo il variabile atteggiarsi del negozio, mentre solo indirettamente sembra regolata l'eventuale attribuzione differita ad un terzo beneficiario (espressamente affrontata invece per il trust).

In questo senso la previsione di un possibile collegato effetto traslativo strumentale, relativamente al negozio atipico di destinazione ex art. 2645-ter, sembra corretta. Infatti, nonostante la disposizione non faccia alcun riferimento al terzo attuatore, i primi commentatori hanno pressochè unanimamente riconosciuto che il negozio di destinazione può sostenere anche un effetto traslativo a favore di un terzo, funzionale alla realizzazione degli scopi della destinazione; anzi vi è addirittura chi ha escluso l'ammissibilità di vincoli di destinazione autodichiarati, ritenendo essenziale l'alterità soggettiva tra gestore e gerito [nota 7].

Al riguardo suscita invece qualche perplessità il differente trattamento adottato nella circolare tra negozio di destinazione atipico e trust [nota 8]. Le possibili differenze tra i due istituti non sembra infatti possano motivamente fondarsi su una presunta differente relazione tra atto ed effetto traslativo-attributivo, con la prevista conseguenza dell'imposta proporzionale anche in caso di trust autodichiarato e quindi privo di effetto attributivo, quantomeno nel senso indifferenziato ad esso attribuito nella circolare.

La strumentalità dell'attribuzione

In relazione al negozio di destinazione atipico l'elemento più significativo è costituito dal fatto che la circolare non tiene conto della differenza qualitativa tra attribuzione strumentale, a favore dell'eventuale terzo attuatore, e quella piena e definitiva, laddove prevista, a favore del beneficiario.

Il regime tributario è determinato attingendo al regime del trasferimento dei diritti reali e più esattamente della proprietà. Dalla circolare emerge quindi una visione naturalmente statica dell'atto di destinazione atipico, tuttalpiù eccezionalmente integrato da un trasferimento di una situazione giuridica soggettiva dai contenuti noti. Manca invece la prospettiva di una visione dinamica della fattispecie in relazione alle regole che disciplinano le vicende successive al momento strutturale.

Per la circolare l'effetto di destinazione è sufficiente ad attrarre la fattispecie nella categoria, unitariamente considerata, e ad assoggettarla ad un omogeneo trattamento tributario, con l'unica distinzione a seconda della produzione o meno dell'effetto traslativo. Si utilizza quindi lo strumento della qualificazione mediante sussunzione che non sembra adeguato, qui ancor meno che in altri casi, a cogliere la multiforme complessità della figura.

Il negozio di destinazione costituisce uno strumento al servizio dell'autonomia privata, che trova di volta in volta la sua tipizzazione, sulla base dell'assetto di interessi perseguito nella concreta fattispecie e dello statuto regolamentare adottato dai contraenti.

La tradizionale concezione secondo la quale la disciplina del negozio è ricostruita in chiave strutturale, sulla rilevazione oggettiva di interessi prefigurati a priori, è insufficiente a dare conto dei mutevoli assetti che possono caratterizzare il negozio di destinazione in concreto, stante l'ampiezza dei suoi possibili impieghi.

Poteri gestori e vincoli di indisponibilità

Un trattamento tributario che non tiene conto della strumentalità dell'attribuzione e che discrimina sulla base del solo effetto traslativo, conduce di fatto a favorire l'adozione di tecniche di contaminazione del negozio di destinazione, sapientemente articolato, mediante l'inserzione di clausole particolari ovvero mediante la previsione di collegamenti negoziali funzionali alla riduzione dell'impatto impositivo, determinando così una perdita delle potenzialità del nuovo istituto.

In particolare il potere attuativo della destinazione potrebbe essere conferito al terzo non mediante l'attribuzione di una titolarità strumentale bensì mediante un collegato mandato [nota 9] con cui il disponente attribuisce al terzo attuatore i poteri di rappresentanza per la realizzazione della destinazione. La trascrizione del vincolo di destinazione consentirebbe comunque la limitazione di responsabilità derivante dalla separazione. Resterebbe il limite del persistente potere di disposizione del costituente, in quanto titolare del bene destinato. L'art. 2645-ter non affronta espressamente il problema dei limiti al potere di disporre indotti dal negozio di destinazione; tuttavia la generica previsione dell'effetto di opponibilità ai terzi del vincolo, prodotto dalla trascrizione dell'atto, induce a ritenere che non vi siano ostacoli a ricomprendere convenzionalmente nel vincolo anche un divieto di alienazione, così da rendere tale divieto opponibile ai terzi, in quanto fondato sul negozio di destinazione e non sul generico patto previsto all'art. 1379 c.c., a cui la legge ricollega esclusivamente un effetto obbligatorio.

In questo senso sembra orientare anche il recente decreto del Tribunale di Reggio Emilia, innanzi citato.

È comunque opportuno che, stante il silenzio della norma al riguardo, nella redazione dell'atto vengano dettate regole specifiche in ordine alla definizione degli atti di disposizione compatibili o meno con la destinazione. Tuttavia vi è chi ha rilevato che l'eventuale clausola di inalienabilità dei beni destinati, non costituendo un effetto automatico dell'atto di destinazione, incorre nei limiti di efficacia disposti dall'art. 1379 c.c., sia per quanto riguarda l'opponibilità del divieto sia per quanto riguarda la limitazione temporale del divieto stesso [nota 10].

Su questo punto tuttavia non sembra corretta una soluzione a priori, nel senso che è necessario verificare se, nel caso concreto, il divieto di alienazione e il termine entro il quale è convenuto sono strettamente funzionali alla realizzazione della destinazione ovvero costituiscono una sovrastruttura, che addirittura potrebbe incidere sul giudizio di meritevolezza cui l'atto, nel suo complesso e quindi non solo in relazione allo scopo ma anche in relazione allo statuto normativo adottato, deve essere sottoposto. Il problema non è quindi quello di enucleare gli effetti essenziali del negozio di destinazione (da cui escludere quindi il regime della circolazione del bene) bensì verificare in concreto quanto eventuali variazioni convenzionali al regime della circolazione del bene siano funzionali alla realizzazione della destinazione e quindi vengano conseguentemente attratte nella regola dell'opponibilità del vincolo. Che i limiti alla circolazione possano essere funzionali alla realizzazione della destinazione sembra trovare conferma nell'ultimo comma del 2645-ter che prescrive che i beni destinati debbono essere "impiegati" solo per la realizzazione dello scopo, non potendosi quindi escludere da tale accezione gli atti dispositivi.

Non sembra invece ammissibile seguire la strada di una scissione della titolarità dal potere di disposizione, come si era cercato di profilare in relazione al dibattito sviluppatosi intorno alla figura del mandato ad alienare [nota 11].

Destinazione e attribuzioni definitive

La circolare prevede anche l'assoggettamento ad imposta proporzionale delle attribuzioni successive, espressamente quelle restitutorie a favore del disponente e sembrerebbe implicitamente anche quelle a favore del beneficiario [nota 12].

Probabilmente sul punto del trasferimento dall'attuatore al beneficiario sarebbe utile avere ulteriori chiarimenti, considerando che la somiglianza delle situazioni giustificherebbe di applicare, per analogia, all'attribuzione al beneficiario, derivante da un negozio di destinazione atipico, lo stesso trattamento tributario previsto per l'attribuzione al beneficiario fondata sul trust.

Per quanto riguarda invece la retrocessione al disponente, espressamente considerata come ulteriore fatto impositivo, l'apposizione di una condizione risolutiva al negozio di destinazione traslativo, ove l'evento condizionante sia costituito dalla realizzazione degli scopi della destinazione, con la previsione di precisi indici di determinazione dell'evento, potrebbe escludere l'imposizione sul ritrasferimento.

Merita tuttavia interrogarsi sull'opportunità di dover ricorrere alle suddette integrazioni della fattispecie, attraverso un collegato mandato o mediante l'inserzione di clausole condizionali, ovvero se possa riconnettersi al negozio di destinazione in sé un trattamento tributario più conforme alla concretezza degli effetti realizzati, considerando il profilo gestorio e il profilo restitutorio come effetti che promanano dallo stesso negozio di destinazione, secondo la configurazione che le parti hanno inteso adottare.

Destinazione, poteri gestori e ambulatorietà delle obbligazioni di fare

Ma i risultati cui giunge la circolare suscitano alcune perplessità sia per eccesso che per difetto. Da un lato infatti il regime impositivo può risultare eccessivo a causa:

a. dell'equiparazione di trattamento tra trasferimento strumentale all'attuatore e trasferimento definitivo al beneficiario;

b. della presa in considerazione, nel primo caso, del rapporto di parentela tra disponente e attuatore anziché tra disponente e beneficiario, come previsto per il trust;

c. dell'assoggettamento ad imposta proporzionale della retrocessione al disponente e del trasferimento al beneficiario.

Tali elementi determinano un trattamento discriminatorio dell'atto di destinazione rispetto a fattispecie concrete sostanzialmente identiche e la cui differenza è fondata esclusivamente su profili tipologici puramente nominalistici.

Ma la circolare conduce anche a risultati discutibili per difetto, in quanto in alcuni casi l'assoggettamento ad imposta fissa, in virtù del mancato effetto traslativo, rischia di determinare un'ingiustificata disparità di trattamento, questa volta favorevole all'atto di destinazione, tra situazioni pressoché uguali.

Esaminiamo alcuni casi concreti esplicativi di questo ragionamento.

È noto che il contenuto della servitù può riferirsi solo ad un non fare o ad un sopportare, mentre non possono formare oggetto di servitù obbligazioni di fare, salvo che non si tratti di obblighi meramente accessori [nota 13]. Sono frequenti le controversie che riguardano proprio l'ambulatorietà di prestazioni di fare, in quanto modalità atte a consentire l'esercizio di una servitù [nota 14].

Nel 1998, con la prima [nota 15] di due pronunce praticamente coeve, la Cassazione considerò l'obbligo di effettuare interventi continuativi di manutenzione ordinaria come accessorio ad una servitù con cui un'area era stata destinata a verde e quindi, come tale, un obbligo valido e trasmissibile con la servitù stessa, ai sensi dell'art. 1030 c.c.

La stessa Cassazione rilevò tuttavia che l'obbligazione positiva di mantenere a verde avrebbe potuto essere considerata dalle parti come obbligazione principale e come tale non deducibile in servitù, cosa che non risultava nel caso di specie.

Con la seconda sentenza [nota 16] la Cassazione considerò invece che l'obbligo di creare gli accessi a mare a carico del proprietario di un terreno costiero costituisse una obbligazione di fare autonoma e non accessoria, anche per la sua significativa rilevanza, rispetto ad una mera servitù di passaggio per l'accesso al mare.

L'obbligazione di realizzare gli accessi, costituendo l'obbligazione principale, non poteva, in quanto consistente in un "fare", formare oggetto di servitù.

È evidente quindi come la servitù non costituisce uno strumento adeguato per risolvere il problema dell'ambulatorietà delle obbligazioni di fare. In questo senso il negozio di destinazione potrebbe costituire una nuova risorsa che l'ordinamento mette a disposizione. Non che questa soluzione sia scevra da residue perplessità. In particolare sussiste il problema dell'ampiezza dell'attività gestoria che, correlata alla destinazione, può essere affidata all'attuatore.

Il problema è ormai definitivamente superato per quanto riguarda il trust, ove l'attività gestoria del trustee, salvo espresse diverse previsioni, non incontra limiti, se non la coerenza con le finalità del trust e la diligente cura degli interessi beneficiari.

Escludere a priori una tale ampiezza dell'ambito di operatività dell'attuatore del vincolo di destinazione costituisce più un residuo pregiudizio, rispetto alla novità introdotta con l'art. 2645-ter, che una espressa limitazione indotta dalla norma.

L'asserita staticità del negozio di destinazione atipico ex art. 2645-ter, rispetto alla dinamicità del trust, non sembra trovare fondamento nella disposizione in questione ma molto più nella prudenza degli interpreti a cogliere le potenzialità dell'istituto.

Anzi le espressioni utilizzate all'art. 2645-ter: «poter agire per la realizzazione degli interessi»; «impiego dei beni per la realizzazione del fine» presuppongono un'attività, non necessariamente di mera amministrazione.

Si pensi quindi a due proprietari di terreni confinanti che intendono assumere l'obbligo reciproco di destinare e mantenere a giardino e parco i rispettivi terreni, ma assumendo anche una serie di obblighi positivi relativi alla tipologia e tempi di piantumazione, alla creazione di migliorie, alla manutenzione ordinaria e straordinaria di laghetti, fontane, sentieri e serre, obblighi che non possono essere considerati meramente accessori all'obbligazione principale negativa tipica della servitù.

In questo caso l'utilizzazione di un negozio di destinazione, debitamente articolato, potrebbe consentire l'opponibilità e l'ambulatorietà delle citate obbligazioni positive.

Va tuttavia rilevato che in questi casi l'adozione del negozio di destinazione ex art. 2645-ter comporterà un'eccedenza del mezzo rispetto al fine, a causa dell'irrilevanza dell'effetto di separazione rispetto agli interessi alla cui realizzazione mirano i contraenti. Resta da vedere se questo fatto è privo di conseguenze o se per questo motivo le situazioni citate esorbitano dall'ambito applicativo dell'istituto.

Sotto il profilo tributario tuttavia rileva che un negozio di destinazione, con effetti analoghi a quelli di una servitù, sarebbe soggetto ad imposta fissa mentre una correlativa costituzione di servitù sconterebbe l'imposta proporzionale.

Negozio di destinazione e destinazioni tipiche

Si presenta poi il problema della possibile utilizzazione dello strumento del negozio di destinazione atipico in quei casi in cui l'ordinamento già prevede strumenti tipici, mediante i quali si può pervenire a risultati sostanzialmente identici.

Il riferimento non è tanto alla servitù, quanto al fondo patrimoniale e ai patrimoni destinati ad uno specifico affare.

Il negozio di destinazione atipico non è figura residuale e quindi l'utilizzazione alternativa, rimessa alla libera scelta dei contraenti, è astrattamente ipotizzabile. Tuttavia tale soluzione desta qualche perplessità sul piano della sussistenza, in tali casi, del requisito della meritevolezza, in quanto l'adozione di un modello diverso da quello che è già stato frutto di un corretto bilanciamento degli interessi coinvolti da parte del legislatore, difficilmente potrebbe superare il vaglio di conformità a tale parametro.

Destinazione, effettività dell'attribuzione e base imponibile

Il confronto con la costituzione di servitù, pur con le sue molte problematicità, aiuta a comprendere uno dei punti di più evidente criticità della circolare. Infatti mentre per la proprietà e gli altri diritti reali minori il contenuto è, quantomeno secondo la concezione tradizionale, rigido e prefissato dalla norma, la servitù, pur nei limiti degli elementi essenziali che la caratterizzano, costituisce uno schema aperto, i cui precisi contenuti e modalità di esercizio sono liberamente determinabili dai contraenti. Tant'è che il valore della servitù e quindi la determinazione della base imponibile, tengono empiricamente conto non solo del bene cui la servitù inerisce ma anche del contenuto della servitù stessa, al fine di valutarne l'utilità in relazione alla concreta fattispecie.

La circolare adotta il criterio della titolarità, non cogliendo l'insufficienza di tale categoria dogmatica come criterio idoneo a regolare la fattispecie e svalutando invece il momento funzionale. Non è tenuta in debito conto la ricchezza di articolazione e di contenuti che la destinazione e il collegato eventuale effetto traslativo possono assumere, sulla base di quanto stabilito nel negozio di destinazione; limitandosi invece a individuare l'unico criterio discretivo nell'eventuale effetto traslativo funzionale alla destinazione, indipendentemente dal contenuto che la destinazione assume. La misura dell'attribuzione strumentale all'attuatore e l'ambito di discrezionalità nell'esercizio del diritto, che costituisce il paradigma del valore effettivamente trasferito, non sembrano tenuti adeguatamente in considerazione nella circolare.

Tuttavia le soluzioni adottate nella circolare lasciano spazio per un recupero delle suddette considerazioni attraverso una coerente determinazione della base imponibile che tenga conto delle ontologiche differenze tra il diritto "funzionalizzato alla destinazione", attribuito strumentalmente all'attuatore, e quello pieno, definitivamente trasferito al beneficiario. Il diritto trasferito all'attuatore, in funzione della realizzazione degli scopi della destinazione, è intrinsecamente configurato dal vincolo di destinazione ed il suo valore dovrà essere determinato tenendo conto di tale conformazione [nota 17].


[nota 1] Per un primo commento alla nuova disposizione, cfr. F. GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter c.c.», in Giust. civ., 2006, p. 165 e ss.; P. MANES, «La norma sulla trascrizione di atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti», in Contr. e impr., 2006, p. 632 e ss.; M. BIANCA, «Il nuovo art. 2645-ter c.c. Notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste», nota a Trib. Trieste, 7 aprile 2006 (decr. Giudice tavolare), in Giust. civ., 2006, II, p. 187 e ss. In merito mi permetto rinviare anche a R. LENZI, Responsabilità patrimoniale e rilevanza della funzione nel deposito di beni fungibili, Milano, 2007, p. 120 e ss. e p. 154. Da ultimo U. LA PORTA, «L'atto di destinazione di beni allo scopo trascrivibile ai sensi dell'art. 2645-ter c.c.», in Riv. not., 2007, p. 1069 e ss.; L. SALAMONE, «Destinazione e pubblicità immobiliare. Riflessioni sull'art. 2645-ter c.c. », in Studium iuris, 4, 2008, p. 389 e ss.

[nota 2] Trib. Reggio Emilia (decreto), 26 marzo 2007, in Guida al diritto, 2007, p. 58 e ss., in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 114 e ss.

[nota 3] Sulla famiglia di fatto, in generale, da ultimo, cfr. C. S. PASTORE, La famiglia di fatto: analisi e disciplina di un modello familiare attuale e diffuso, Torino, 2007; D. RICCIO, La famiglia di fatto, Padova, 2007; A.A. V.V., Le unioni di fatto, il cognome familiare, l'affido condiviso, il patto di famiglia, gli atti di destinazione familiare (art. 2645-ter c.c.): riforme e prospettive, Torino, 2007.

[nota 4] Merita comunque considerare che la disciplina della responsabilità prevista dall'art. 2645-ter non coincide con quella prevista per il fondo patrimoniale, per cui non si è mancato di obiettare che verrebbe così assicurato alla famiglia di fatto un trattamento più favorevole, almeno sotto il profilo del regime della responsabilità.

Si pone inoltre l'ulteriore problema della scissione tra titolarità e legittimazione, volendo i coniugi mantenere inalterata la titolarità dei beni ma prevedere un'amministrazione congiunta; nulla quaestio se la proprietà è di entrambi, mentre la questione si complica in caso di titolarità esclusiva di uno soltanto dei coniugi. La scissione tra titolarità e poteri di amministrazione e di disposizione è d'altronde espressamente prevista per il fondo patrimoniale. Certamente il risultato potrebbe essere perseguito mediante l'attribuzione al coniuge non titolare di poteri di rappresentanza esclusiva o congiunta con il titolare, ma ciò, come noto, non priverebbe il coniuge titolare del potere esclusivo di amministrare e disporre. Resta il problema, non affrontabile in questa sede, dell'idoneità del negozio di destinazione a determinare una scissione tra titolarità e legittimazione; tale frattura è storicamente ritenuta inammissibile ma probabilmente oggi andrebbe riesaminata nella nuova prospettiva introdotta dal negozio di destinazione.

[nota 5] Per un esame più approfondito del rapporto tra le due tipologie di figure mi permetto di rinviare al mio «Le destinazioni tipiche e l'art. 2645-ter c.c.», in Contr. e impr., 2007, p. 229 e ss.

[nota 6] Sul tema della destinazione cfr. A.A. V.V., Negozio di destinazione: percorsi verso un'espressione sicura dell'autonomia privata, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2007; M. BIANCA, M. D'ERRICO, A. DE DONATO, C. PRIORE, L'atto notarile di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile, Milano, 2006; R. QUADRI, La destinazione patrimoniale, Napoli, 2004; G. PALERMO, «Contribuito allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano», in Riv. dir. comm., 2001, p. 391 e ss.; U. LA PORTA, Destinazioni di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994. Più recentemente anche A. Falzea (a cura di), Destinazione di beni allo scopo: strumenti attuali e tecniche innovative: atti della giornata di studio organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato, Roma, Palazzo Santacroce, 19 giugno 2003, Milano.

[nota 7] In quest'ultimo senso L. SALAMONE, op. cit., p. 394 e ss.

[nota 8] Recentemente sul trust si veda M. LUPOI, La legge di jersey sul trust jersey nel modello internazionale dei trust, in Quaderni di trust e attività fiduciarie, Milano, 2007; A. MORACE PINELLI, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007; S. BARTOLI, I trust interni e le loro clausole, a cura di Ernesto Quinto Bassi, Federico Tassinari, Roma, Consiglio Nazionale del Notariato, 2007; A. MOJA, Il trust nel diritto civile e tributario: la giurisprudenza italiana ed i trust interni, Santarcangelo di Romagna, 2007; G. Mariconda (a cura di), Il trust interno, Napoli, 2005; M. LUPOI, I trust nel diritto civile, Torino, 2004; S. Butta (a cura di), Introduzione ai trust e profili applicativi tra dottrina, prassi e giurisprudenza. Presentazione di Maurizio Lupoi, Milano, 2002; M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001. Per una panoramica sui contributi giurisprudenziali sul tema cfr. La giurisprudenza italiana sui trust: dal 1899 al 2006, Milano, 2006.

[nota 9] Sul mandato in generale, da ultimo cfr. A. LUMINOSO, Il mandato, in Tratt. dir. priv. Rescigno, Obbligazioni e contratti, IV, Tomo 12 **, seconda edizione, Torino, 2007, p. 363 e ss., spec. p. 380 e ss.; F. ALCARO, R. TOMMASINI, Mandato, fiducia e trust: esperienze a confronto, Milano, 2003; F. ALCARO, Il mandato, Milano, 2000; L. SALAMONE, «La c.d. proprietà del mandatario», in Riv. dir. civ., I, 1999, p. 77 e ss.; AA.VV., Fiducia, trust, mandato ed agency, Milano, 1991.

[nota 10] M. BIANCA, L'atto notarile di destinazione…, cit., p. 43 e ss.

[nota 11] T. RAVà, «Causa e rappresentanza indiretta nell'acquisto», in Banca, borsa, titoli di credito, 1952, p. 9 e ss.; ID., «Legittimazione e rappresentanza indiretta nell'alienazione», ibidem, ora entrambi in Circolazione giuridica e rappresentanza indiretta, Milano, 1953, il quale sosteneva la tesi dell'ammissibilità nel nostro ordinamento di una figura generale di legittimazione a disporre in nome proprio di diritti altrui.

[nota 12] Anche su questo punto non convince il differente trattamento rispetto al trust, per il quale è previsto che «la devoluzione ai beneficiari … non realizza … un presupposto impositivo ulteriore».

[nota 13] In questo senso Cass., 13 giugno 1995, n. 6683, in Giust. civ. Mass., 6, 1995; Cass., 29 agosto 1998, n. 8610, in Giust. civ. Mass., 1998, c. 1809; Cass., 27 agosto 1998, n. 8511, in Giust. civ. Mass., 1998, c. 1788. Più recentemente, App. Milano, 14 maggio 2002, in Foro pad., 2002, I, c. 371 e ss.

[nota 14] Sul tema cfr. L. BIGLIAZZI-GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo e poi da Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 1984; G. PROVERA, Servitù prediali ed obbligazioni propter rem, Milano, 1969; C. A. FUNAIOLI, Oneri reali e obbligazioni propter rem: a proposito della distinzione fra diritti di credito e diritti reali, Milano, 1953; G. BALBI, Le obbligazioni propter rem, Torino, 1950. E, recentemente, L. MANNA, Le obbligazioni propter rem, Padova, 2007. Vedi anche E. Marmocchi (a cura di), Il condominio negli edifici tra realità e personalità: Atti del Convegno di studi, Bologna, 7 e 8 ottobre 2005, Milano, 2007.

[nota 15] Cass., 27 agosto 1998, n. 8511, cit.

[nota 16] Cass., 29 agosto 1998, n. 8610, cit.

[nota 17] Chi diversamente ritiene che il vincolo di destinazione determini, a carico dell'attuatore, un fascio di obbligazioni propter rem di natura convenzionale, che quindi limitano esternamente il diritto di proprietà, potrebbe utilizzare, per la determinazione della base imponibile, il disposto dell'art. 2, comma 49, del D.l. 206/2006 secondo il quale l'imposta si applica sul valore «al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario».

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