Il trust: casi pratici
Il trust: casi pratici
di Daniele Muritano
Notaio in Empoli
Introduzione
L'emanazione della circolare dell'Agenzia delle entrate n. 3/E del 22 gennaio 2008, che si inserisce nel solco della n. 48/E del 7 agosto 2007, espressamente dedicata ai trust [nota 1], costituisce un'ottima occasione per puntualizzare alcuni profili del diritto dei trust sul versante civilistico, che non sembrano essere stati adeguatamente còlti dalle due circolari.
È noto come il trattamento tributario del trust sia stato e sia vicenda che ha affaticato e affatica non poco gli operatori giuridici nella ricerca della soluzione più equilibrata e corretta, che tenga conto di tutti gli interessi in gioco e che a tutt'oggi, quantomeno con riferimento all'imposizione indiretta, non vi sia in Italia una disciplina normativa che si riferisca espressamente al trust [nota 2].
È innegabile, inoltre, che l'ormai quotidiano interesse per tale figura sia, come da taluno autorevolmente affermato [nota 3], l'esito di una tendenza politico-culturale di un determinato momento storico, che ha in un certo senso quasi "costretto" l'Italia a dover fare i conti con un istituto che, nato ed utilizzato nel mondo di common law da decenni, è ormai ampiamente diffuso anche in paesi culturalmente lontani sia dalla nostra tradizione giuridica che da quella propria di common law [nota 4] .
L'individuazione del trattamento tributario, in assenza di chiare disposizioni normative, non può che essere allora il frutto dell'interpretazione, che però deve rifuggere dall'appiattire la figura su altre proprie della nostra tradizione giuridica (come ad esempio il negozio fiduciario, che con il trust ha pochissimo a che vedere), dovendo invece tenere invece conto delle specificità proprie di tale fenomeno giuridico [nota 5].
Nessuna considerazione sul piano strettamente fiscale può essere quindi elaborata senza valutare l'articolarsi del fenomeno "trust" sul piano operativo e, in particolare sul piano civilistico della causa e degli effetti.
Né si deve discutere del trattamento tributario sulla base di pregiudizi, quali ad esempio quello di ritenere che il trust sia finalizzato a null'altro se non a sottrarre materia imponibile all'erario ovvero a frodare i creditori ovvero, ancora, a pregiudicare diritti ereditari.
È certamente possibile che vi siano distorsioni, ma ciò non deve – ed è un discorso che pare ovvio – condurre ad interpretazioni che determinino, a causa del trattamento tributario fortemente penalizzante, una sottoutilizzazione dell'istituto o, peggio, il ricorso a procedure di conformazione dell'operazione da un lato "difensive" rispetto alle pretese dell'erario, ma dall'altro anche produttive di maggiori costi di transazione che rendano inefficiente il ricorso all'istituto stesso, non consentendo - se non, appunto, a costi più elevati - di realizzare determinati interessi pur meritevoli di tutela. Con l'ulteriore rischio, in specie laddove siano coinvolti valori mobiliari, di costringere gli operatori a ricorrere a strutture professionali e imprenditoriali estere, così impedendo lo sviluppo di un interessante - sotto tutti i profili - settore di mercato.
La posizione dell'Agenzia delle entrate
Prima dell'emanazione delle recenti circolari, l'Agenzia delle entrate non si era mai occupata ex professo di individuare struttura causa ed effetti del trust, salvo che nella ormai datata delibera del Secit del 1998 [nota 6], che ricostruiva il trust sostanzialmente appiattendolo sulla figura della sostituzione fedecommissaria, con conseguente applicazione dell'imposta (di successione/donazione) dovuta dal trustee su un valore pari a quello dell'usufrutto sui beni facenti parte del patrimonio trasferito, mentre il pagamento dell'imposta residuale a carico del beneficiario - sosteneva l'amministrazione - avrebbe dovuto essere collegato al momento della cessazione del trust, cioè al momento dell'attribuzione finale dei cespiti al beneficiario stesso.
Non è questo il luogo per soffermarsi sulle differenze strutturali tra trust e sostituzione fedecommissaria (per le quali si rinvia alla dottrina in materia [nota 7]), se non per rilevare che affermare puramente e semplicemente che il trust è riconducibile alla sostituzione fedecommissaria significa compiere l'errore metodologico - cui si accennava nell'introduzione -, di non tenere conto delle caratteristiche specifiche dell'istituto, che è certamente altro dalla sostituzione fedecommissaria.
Successivamente, l'Agenzia delle entrate, in risposta a tre interpelli [nota 8], individua, quali elementi caratterizzanti l'istituzione di un trust:
a. la separazione patrimoniale (cioè la distinzione dei beni in trust rispetto al patrimonio personale del trustee);
b. l'intestazione degli stessi al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee;
c. la circostanza per cui il trustee viene investito di un potere-dovere, del quale debba rendere conto, di amministrare, gestire e/o disporre dei beni in conformità al programma stabilito nell'atto istitutivo del trust e secondo le norme della legge regolatrice del trust stesso.
Questi profili caratteristici sono però, a ben vedere, quelli che si ricavano dalla lettura dei primi paragrafi della Convenzione de L'Aja del 1° luglio 1985 relativa alla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento [nota 9].
Si giunge quindi all'intervento normativo costituito dall'art. 2, comma 47, del D.l. n. 262/2006, il quale nel reintrodurre l'imposta sulle successioni e sulle donazioni, include nel suo ambito la "costituzione di vincoli di destinazione", e ciò - si noti - a prescindere dalla intenzione liberale o meno che muove il disponente, conducendo così a ricomprendervi tutti i trust, senza distinguere tra quelli c.d. liberali e quelli non liberali (ad es. i c.d. trusts solutori, di garanzia o, comunque, caratterizzati da profili di onerosità), ciò che puntualmente avviene con la circolare n. 3/E, laddove si afferma che «la costituzione di beni in trust rileva, in ogni caso, ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal tipo di trust».
Il ragionamento viene portato ad estreme conseguenze, sottoponendo anche i casi in cui non vi sia trasferimento di beni o di diritti, come accade nel trust autodichiarato, all'applicazione dell'imposta di donazione (che è un imposta sui "trasferimenti"), in considerazione «della natura patrimoniale del conferimento in trust, dell'effetto segregativo che esso produce sui beni conferiti indipendentemente dal trasferimento formale della proprietà e ... del complessivo trattamento fiscale del trust che esclude dalla tassazione il trasferimento dei beni a favore dei beneficiari».
Sarà solo questione – secondo il pensiero dell'Agenzia – di accertare l'esistenza ed il tipo di rapporto di parentela o meno tra disponente e beneficiario per l'individuazione dell'aliquota (e dell'eventuale franchigia) in concreto applicabile.
Sicché in caso di trust di scopo o con beneficiari finali non legati da alcun rapporto di parentela con il disponente o comunque solo genericamente indicati e non identificabili, dovrà applicarsi l'imposta con l'aliquota più elevata dell'8% e senza alcuna franchigia.
Struttura, causa ed effetti del trust (cenni)
Come già anticipato, l'individuazione del trattamento tributario (non solo del trust ma) di qualsiasi fenomeno giuridico, non può prescindere dalla sua ricostruzione civilistica.
E tale ricostruzione, se da un lato è di estrema rilevanza con riferimento al fenomeno trust, in ragione del fatto che trattasi di istituto nato in un contesto giuridico diverso dal nostro, caratterizzato da principi e regole specifici, dall'altro non può giungere ad obliterare quelle che sono le caratteristiche e gli effetti propri dell'istituto, sia pure con tutte le cautele e i necessari adattamenti che l'importazione di esso nell'ordinamento italiano richiede.
Sul piano normativo l'art. 2 Convenzione offre una definizione di trust che può essere di una qualche utilità in relazione ai problemi qui discussi.
Secondo tale norma per trust si intende il rapporto giuridico creato da una persona – il disponente – per atto tra vivi o mortis causa, allorquando dei beni vengano posti sotto il controllo di un trustee, nell'interesse di un beneficiario o per uno scopo determinato.
Tale definizione consente di ritenere quale elemento caratterizzante dell'istituto il controllo da parte del trustee dei beni costituiti in trust, pur se manchi la circostanza del trasferimento (il che accade in tutte le ipotesi di c.d. trust autodichiarato) [nota 10].
Né appare determinante la specificazione del beneficiario, potendo configurarsi l'istituto di che trattasi come trust di scopo ("purpose trust"), senza cioè beneficiari identificati o identificabili (rectius: senza soggetti legittimati ad agire contro il trustee per un interesse proprio), salvo verificare di volta in volta il tipo di scopo perseguito [nota 11] e salvo osservare ulteriormente:
che un trust che non sia di scopo non può prescindere dall'esistenza di beneficiari;
che l'ipotesi di trust che preveda una riserva in capo al disponente o a terzi del potere di individuare in seguito i beneficiari potrebbe essere inteso come una fattispecie a formazione progressiva non ancora perfezionatasi [nota 12]: come tale, fino al momento del suo perfezionamento (cioè fino a quando il disponente non identifichi i beneficiari) esso non parrebbe in grado di produrre il caratteristico effetto finale del trust, dato dalla separazione patrimoniale.
Che il profilo del controllo (rectius: della perdita del controllo) [nota 13] sia elemento caratterizzante l'istituto, si ricava dalla considerazione del rapporto intercorrente tra l'atto istitutivo di trust e l'atto dispositivo dei beni in favore del trustee.
La distinzione tra atto istitutivo e atto dispositivo è fatta propria anche dalla Convenzione de L'Aja, il cui art. 4 espressamente stabilisce, esprimendo così il suo totale disinteresse per l'atto dispositivo, che essa «non si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici, in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee».
Questa norma trova la propria origine appunto nella distinzione, all'interno della composita fattispecie costitutiva di un trust, del negozio istitutivo e del negozio dispositivo (il quale trasferisce il diritto dal disponente al trustee ovvero, nel caso di trust autodichiarato, determina la nascita del vincolo proprio del trust in capo a beni che sono e restano nella titolarità del disponente).
Scopo dell'art. 4 è proprio quello di rendere estraneo all'ambito applicativo della Convenzione ogni profilo di validità, sia formale che sostanziale, del negozio dispositivo: in tale ottica, quindi, il profilo della validità formale e sostanziale di detto negozio sarà disciplinato non già dalla legge regolatrice del trust, ma dalle norme di diritto internazionale privato proprie dei singoli Stati.
Il fatto che tali due atti siano distinti non toglie rilevanza alla considerazione secondo cui sul piano giuridico la vicenda sia da ricostruirsi in termini unitari [nota 14].
Ciò significa che l'atto attributivo di beni al trustee, lungi dall'avere una causa astratta, ha una causa che è da rinvenirsi nel programma stabilito dal disponente nell'atto istitutivo, cui l'attribuzione stessa è funzionale. La causa del trasferimento dei beni al trustee è - come ha osservato autorevole dottrina -, … l'attuazione dello scopo del trust e non si tratta di rinvenire una causa esterna [nota 15].
Dalla stessa lettura dell'art. 2, 1° comma, della Convenzione de L'Aja (nel testo inglese) che parla espressamente di legal relationship si evince che il trust non è un atto, bensì un "rapporto giuridico" [nota 16], che può essere realizzato anche attraverso atti formalmente separati, ma inscindibilmente uniti sotto il profilo causale.
Pertanto la funzione dell'atto attributivo di beni al trustee è quella, puramente strumentale, di consentirgli, attraverso il controllo dei beni stessi, di attuare il programma predisposto dal disponente nell'atto istituivo [nota 17].
Rispetto alla posizione assunta nel 1998 e nei tre interpelli sopra citati [nota 18], nella circolare n. 3/E del 2008 l'Agenzia delle entrate afferma che il trust si sostanzia in un rapporto giuridico complesso avente "un'unica causa fiduciaria" che ne caratterizzerebbe tutte le vicende.
Questa affermazione è alquanto discutibile, sembrando più corretto affermare, invece, che il trust è una struttura la cui causa è "variabile" [nota 19], una struttura "aperta", quindi, che il disponente può utilizzare per il perseguimento di varie finalità o "scopi pratici" (la c.d. causa concreta), per usare le parole dell'ultima sentenza della Cassazione in materia di causa [nota 20], da individuarsi di volta in volta sulla base del programma che egli ha predisposto nell'atto istitutivo (es. la realizzazione di una liberalità).
E la stessa Agenzia sembra confermare tale idea, laddove afferma che in materia di trust l'imposta è da applicarsi in relazione all'intrinseca natura e agli effetti giuridici dell'atto da tassare, secondo il principio dettato dall'art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il quale, sebbene enunciato in materia di imposta di registro, deve considerarsi applicabile in linea di principio anche alle altre imposte indirette.
Accomunare quindi tutti i trust sotto un'unica causa (fiduciaria) prescindendo dalla loro singolarità e specificità, pare confliggere con tale norma di principio.
(Segue) Trust e vincolo di destinazione
La circolare n. 3/E definisce i vincoli di destinazione, in generale, «[i] negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi», per poi ritenere che anche il trust rientri in tale ambito definitorio.
Con particolare riferimento alla fattispecie più comune, il trust con trasferimento di beni dal disponente al trustee, l'Agenzia afferma (e conferma) che l'atto dispositivo non è preordinato all'arricchimento del destinatario dei beni ma, appunto, alla creazione di un vincolo di destinazione.
Di là dalla considerazione secondo cui, affermare che detto atto dispositivo è diretto a creare un vincolo di destinazione è espressione meramente descrittiva e nulla dice in merito alla natura e agli effetti concreti dell'atto, se si analizza la definizione di vincolo di destinazione fornita dall'Agenzia appare dubbio ricomprendervi - di per sé - il trust.
Nella circolare n. 3/E si afferma infatti che, perché possa configurarsi un vincolo di destinazione, l'atto deve - tra l'altro - determinare un effetto limitativo della disponibilità dei beni trasferiti [nota 21].
Nel caso del trust la prospettiva parrebbe invece essere diversa.
In primo luogo il legislatore, quando ha individuato nel D.l. 262/06 la fattispecie "costituzione di vincoli di destinazione" per poi sottoporla a tassazione, si è molto probabilmente voluto riferire all'art. 2645-ter c.c. e non al trust. E la definizione di vincolo di destinazione contenuta nella circolare riecheggia in molti punti tale norma.
In secondo luogo il trust, rispetto agli atti di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c., parrebbe preordinato ad una gestione "dinamica" dei beni da parte del trustee [nota 22] .
Nell'esperienza inglese, in particolare, il trust non è tout court un vincolo alla circolazione dei beni, e il trustee infatti, se non diversamente stabilito nell'atto istitutivo ha sempre pienezza di poteri, essendo la sua attività appunto finalizzata alla valorizzazione dei beni in trust [nota 23].
Si afferma ancora, sempre al fine di ricondurre il trust nell'ambito dei vincoli di destinazione, che i beni trasferiti al trustee non sono da costui legittimamente utilizzabili per finalità divergenti rispetto a quelle determinate nell'atto istitutivo (affermazione che appunto ricalca parte del disposto dell'art. 2645-ter c.c.).
Tale affermazione appare apodittica, anzitutto perché dà per scontato ciò che invece è discusso, cioè che gli eventuali atti posti in essere dal trustee in spregio rispetto a quanto stabilito nell'atto siano (quantomeno) inefficaci nei confronti dei terzi (diversamente da quanto accadrebbe – afferma sempre l'Agenzia – per gli atti aventi ad oggetto beni trasferiti ad un semplice fiduciario); in secondo luogo perché - si ripete - le finalità del trust ben possono prevedere (anzi, di regola prevedono) che il trustee ponga in essere atti dispositivi dei beni (nel quadro della già riferita dinamicità che caratterizza il trust).
Esempi di clausole di atti istitutivi di trust tra vivi e riflessi sulle modalità applicative dell'imposta
Quanto fin qui esposto – sia pure in forma necessariamente sintetica – consente di proseguire il discorso attraverso alcuni esempi di clausole di atti istitutivi di trust.
A. Trust con beneficiari finali definitivamente individuati. [nota 24]
È una fattispecie molto semplice. Es.: beneficiari del trust sono i figli del disponente.
Sia la circolare n. 48/E che la circolare 3/E vedono in questa fattispecie i beneficiari del trust quali titolari, già al momento dell'istituzione, dei beni trasferiti dal disponente al trustee, cioè del trust fund.
Questa interpretazione - che influisce poi sul trattamento tributario - sembra confliggere con la ricostruzione civilistica della posizione giuridica dei beneficiari, ormai consolidata nel senso che il beneficiario di un trust è titolare di un diritto di credito nei confronti del trustee (così la stessa Agenzia delle entrate configura la posizione del beneficiario di reddito in materia di imposte dirette) [nota 25].
Tale diritto di credito, non ha però ad oggetto il trasferimento dal trustee, in favore dei beneficiari, dei beni in trust (e tantomeno dei beni inizialmente trasferiti al trustee), ma il diritto di pretendere dal trustee l'adempimento delle obbligazioni che sorgono a suo carico a seguito dell'istituzione del trust [nota 26].
Tali obbligazioni potranno certo concretarsi nel trasferimento di beni ai beneficiari, ma ciò è solo un effetto: a) indiretto; b) eventuale.
Il diritto di credito ha come oggetto diretto l'adempimento delle obbligazioni da parte del trustee, mentre la pretesa al trasferimento dei beni può essere esercitata solo al termine del trust e non prima [nota 27].
Nel trust, inoltre, come ha ben osservato la dottrina [nota 28] si verifica una traslazione dalle res al fund: i beneficiari del trust acquisiscono una posizione giuridica non rispetto alle res (= i beni in trust), bensì rispetto al fund, cioè al valore rappresentato dai beni in trust [nota 29].
Tanto è vero che la regola generale che governa l'attività del trustee è, come detto, nel senso che egli ha sempre pienezza di poteri, dovendo essere la sua attività volta alla massimizzazione del valore dei beni in trust [nota 30].
È pertanto propria del trust un'attività dinamica in capo al trustee, che può condurre (e di regola conduce) ad una "trasformazione" dei beni originari in altri [nota 31].
Pare allora improponibile, alla luce del proprium del trust, assumere che i beneficiari siano titolari del "trust fund" già al momento dell'istituzione del trust.
A seguito dell'istituzione del trust infatti, i beni in trust non entrano affatto nel patrimonio dei beneficiari (vi entra invece il diritto - di credito - di pretendere da parte del trustee l'adempimento delle sue obbligazioni) e anzi potrebbero non entrarvi mai (si pensi ad una perdita di valore conseguente ad errati investimenti).
Trust che contengono clausole del tipo sopra esemplificato sono invero non molto diffusi.
Nella prassi degli atti istitutivi di trust interno si riscontrano invece clausole più complesse, dove i beneficiari non sono definitivamente individuati, essendo le loro posizioni instabili, come qui di seguito subito vedremo.
B. Trust che contengono clausole in cui il disponente riserva a se stesso o ad un terzo (sia esso il trustee,
il guardiano o altro soggetto) il potere di modificare i beneficiari già indicati nell'atto istitutivo. [nota 32]
Tale modifica potrà assumere, secondo la volontà del disponente, le configurazioni più varie: essa infatti potrà comportare l'eliminazione, la sostituzione o l'aggiunta di uno o più beneficiari [nota 33].
Ad esempio, una clausola che individua Tizio, Caio e Sempronio come beneficiari ed attribuisce al disponente o al trustee il potere di eliminare uno o più di costoro (ma non tutti); o ancora clausole attributive al terzo di un potere di sostituzione (in tutto o in parte) di beneficiari (esempio: i beneficiari sono Tizio, Caio e Sempronio, ma Mevio potrà sostituire costoro, in tutto o in parte, con altri soggetti; oppure: i beneficiari sono Tizio, Caio e Sempronio, ma Mevio potrà sostituire costoro, in tutto o in parte, con un soggetto da egli scelto fra Lucio e Filano). Altro esempio: i beneficiari sono Tizio, Caio e Sempronio, ma Mevio potrà sostituire costoro, in tutto o in parte, con un soggetto da egli scelto fra i discendenti del disponente.
In tutti questi casi la modifica dei beneficiari inizialmente individuati comporta la revoca di disposizioni beneficiarie, il che comporta, tra l'altro, non indifferenti problemi sul piano civilistico a seconda che il potere venga riservato al disponente o attribuito a un terzo (in effetti non tutte le clausole prima riferite sfuggono alla sanzione di nullità).
Rilevanti sono i riflessi sul piano tributario, ove si segua la tesi della debenza immediata dell'imposta da parte dei beneficiari che, pur essendo inizialmente individuati (ma non definitivamente individuati), potrebbero vedersi successivamente revocare la posizione beneficiaria ad opera del disponente o di un terzo soggetto.
Analoga instabilità può riscontrarsi nei trust che contengono le clausole qui di seguito esposte sub C e D.
C. Trust che contengono clausole in cui le posizioni beneficiarie siano instabili in quanto sottoposte
a condizione sospensiva o a termine iniziale o finale.
La clausola prevede (semplificando al massimo), quanto segue:
a. nel caso in cui, alla scadenza del trust, la disponente sia di stato libero e senza figli viventi, beneficiario finale è il padre qualora egli sia in vita; nel caso in cui egli non sia in vita beneficiari finali saranno, in parti uguali fra loro i due cugini;
b. nel caso in cui, alla scadenza del trust, la disponente sia coniugata ed abbia figli viventi beneficiari finali saranno, in parti uguali tra loro, il coniuge e i figli.
c. nel caso in cui, alla scadenza del trust la disponente sia coniugata ma non abbia avuto figli ovvero non vi siano figli viventi, beneficiario finale sarà il coniuge.
d. nel caso in cui, alla scadenza del trust, la disponente sia di stato libero ed abbia figli viventi, beneficiari finali saranno i figli in parti uguali tra loro.
Come si vede, al momento dell'istituzione del trust non si sa con certezza chi saranno i beneficiari.
D. Trust che contengono clausole in cui il trustee deve scegliere i beneficiari nell'ambito di persone
appartenenti a determinate categorie o classi. [nota 34]
I trust contenenti clausole del tipo sub B), C) e D), sono trust in cui i beneficiari non sono definitivamente individuati ed è evidente come dal punto di vista degli operatori, l'interpretazione secondo cui l'imposta è dovuta nella misura proporzionale dell'8% senza che sia possibile usufruire di franchigie [nota 35], conduce a risultati disastrosi.
Poiché il beneficiario finale del trust è solo determinabile e non da subito determinato, si può sostenere che il beneficiario sia il trust, qualificato dall'Agenzia nella circolare n. 3/E quale «immediato destinatario dei beni oggetto di disposizione segregativa»?
In realtà, queste fattispecie, nel caso in cui il disponente sia animato da spirito di liberalità nell'istituire il trust, andrebbero interpretate alla stessa stregua di donazioni (indirette) proiettate nel tempo, nelle quali il trasferimento dei beni in capo al trustee è meramente strumentale al futuro, eventuale, trasferimento ai beneficiari, che verranno individuati secondo le previsioni dell'atto istitutivo di trust, con conseguente applicazione dell'imposta solo in quel momento.
Ed infatti, così come già la dottrina precedente alla novella aveva rilevato [nota 36], né l'atto istitutivo del trust (che ha valenza meramente programmatica [nota 37]) né l'atto dispositivo (o di dotazione) dal disponente al trustee - di regola scevri da una colorazione di onerosità [nota 38] - assumono rilevanza quali atti idonei al trasferimento definitivo di alcuna ricchezza a favore del trustee: ciò che rileva ed assume rilievo funzionale assorbente è piuttosto l'impegno del trustee alla conservazione dei diritti o dei beni al medesimo trasferiti e al compimento di tutti quegli atti (anche di alienazione e/o di immutazione, come si dice) che siano essi sì finalizzati ad arrecare ricchezza e benefici giuridico-patrimoniali ai destinatari finali (identificati o meno, identificabili o meno) del programma devolutivo elaborato dal disponente, unici effettivi fruitori del flusso patrimoniale ingenerato dal trust così istituito.
In forza del fondamentale principio di logica giuridico-tributaria così come consacrato nell'art. 20 del D.P.R. 131/86 [nota 39], e soprattutto in ossequio al sovraordinato principio di rango costituzionale del rispetto della c.d. capacità contributiva ex art. 53 Cost., dovrebbe essere dunque disattesa una interpretazione, tale da far rifluire sotto il sistema impositivo di cui al D.lgs. 346/90, atti ed attività giuridico-economiche che non evidenziano quella capacità e che realizzano effetti sì traslativi, ma non certamente accrescitivi in senso patrimoniale nei confronti del trustee.
Ed è proprio quanto accade nei trust contenenti le clausole sopra indicate, nei quali, una volta escluso che il trustee, per le ragioni più volte dette, sia soggetto che esprime capacità contributiva, fino a quando non avverranno l'individuazione e il successivo effettivo trasferimento di redditi e/o beni al beneficiario così individuato, nessuna imposta proporzionale sarà dovuta [nota 40].
Per tacer del fatto, infine, che dette penalizzanti modalità di tassazione andrebbero seguite anche qualora i trust contenenti le clausole sopra esemplificate siano autodichiarati, cioè senza trasferimento di beni al trustee.
E. Trust che contengono clausole che riservano al disponente il potere di revocare il trust.
Per effetto della revoca, il trust cessa (sia pure ex nunc [nota 41]) di produrre i suoi effetti e viene in essere un resulting trust [nota 42], dovendo i beni in trust "tornare" nel patrimonio del disponente.
La revoca del trust non deve essere confusa con la cessazione anticipata del trust, la quale comporta invece che i beni in trust vengano attribuiti ai beneficiari finali prima della scadenza prevista nell'atto istitutivo [nota 43].
Se il disponente può a suo piacimento porre nel nulla il trust, ciò comporta che quest'ultimo sia sottoposto ad una condizione risolutiva meramente potestativa ovvero, alternativamente, al potere di recesso del disponente [nota 44].
Sotto tale profilo, la clausola di revocabilità parrebbe doversi considerarsi ammissibile, quanto alla condizione risolutiva meramente potestativa poiché essa, secondo la costante giurisprudenza [nota 45], non ricade nel divieto posto, per quella sospensiva, dall'art. 1355 c.c.; quanto al recesso, in quanto nulla pare ostare, visto l'art. 1373 c.c., alla sua previsione.
Né il discorso muta se si ipotizza che il trust revocabile abbia natura liberale: appare plausibile ritenere infatti che il tradizionale principio d'irrevocabilità della donazione non abbia più spazio nell'ordinamento attuale e da ciò consegue la probabile ammissibilità, in un trust liberale, tanto di una condizione risolutiva meramente potestativa quanto di una clausola di recesso.
Il trust revocabile pone problemi di natura complessa, su cui non ci si può qui soffermare, che possono in sintesi designarsi come problemi relativi all'individuazione del discrimine fra controllo lecito e controllo illecito del disponente sul trust.
Sul piano tributario questo caso è paradigmatico delle inaccettabili conseguenze cui condurrebbe la ricostruzione della posizione dei beneficiari come immediatamente titolari del trust fund.
Verrebbero infatti corrisposte immediatamente imposte su valori che non solo non sono ancora pervenuti nel patrimonio dei beneficiari ma che potrebbero non entrarvi mai per effetto dell'esercizio del potere di revoca da parte del disponente.
F. I trust istituiti nell'ambito della crisi della famiglia
Da segnalare, infine, i trust istituiti nell'ambito della crisi della famiglia, per quattro motivi:
a. anzitutto perché anche rispetto ad essi si pongono tutte le problematiche sopra evidenziate, che potrebbero condurre a non individuare una soluzione della crisi che, se del caso, potrebbe risolversi esclusivamente attraverso l'istituzione di un trust, del quale tuttavia non se ne fa uso, a causa del trattamento tributario fortemente penalizzante;
b. in secondo luogo perché spesso in queste vicende sono coinvolti i figli, cioè la parte più debole del rapporto familiare;
c. in terzo luogo perché occorre chiedersi se ai trust istituiti nell'ambito della crisi familiare sia applicabile il trattamento tributario agevolato previsto dall'art. 19 della L. 6 marzo 1987, n. 74;
d. infine, per capire se l'occasione di discutere del trattamento tributario dei trust non possa essere lo spunto affinchè l'Agenzia delle entrate riveda la sua rigida posizione che nega l'estensione del suddetto trattamento tributario anche ai trasferimenti in favore dei figli.
I trust di scopo
Ugualmente penalizzante per il contribuente è l'interpretazione adottata dall'Agenzia riguardo ai c.d. trust di scopo, anch'essi da tassare con l'aliquota più elevata dell'8% e senza alcuna franchigia.
Si osserva preliminarmente che l'espressione "trust di scopo", pecca di genericità.
Nel diritto dei trust si distinguono infatti i trust di scopo non charitable (= trust non caritatevoli o non benefici) e i trust di scopo charitable [nota 46].
Detto che i primi non sono ammessi da tutte le leggi in materia di trust (ad es. la legge inglese vieta i trust di scopo non altruistico) [nota 47], e che i secondi (i trust charitable) potrebbero essere ricompresi nell'ambito dell'art. 3, 1° comma, del D.lgs. 346/90 [nota 48], la discutibilità dell'interpretazione erariale è resa palese dall'esempio che segue.
Tizio, che ha svariate posizioni debitorie, istituisce un trust trasferendo un bene immobile ad un trustee, il quale dovrà venderlo al meglio, ripartire il ricavato tra i creditori di Tizio e restituire l'eventuale residuo allo stesso Tizio.
Il vantaggio del ricorso al trust, salvo l'esperimento dell'azione revocatoria, è sottrarre i beni all'azione esecutiva dei creditori.
Questo è un trust avente causa solutoria ma non è un trust di di scopo nel senso fatto proprio dalle legislazioni straniere in materia di trust.
È invece un trust con beneficiari (nel caso, i creditori), perché beneficiario, nel diritto dei trust, è il soggetto avente diritto ad ottenere vantaggi in forza di un trust [nota 49] oppure nel cui interesse possa essere esercitato il potere discrezionale di un'attribuzione di beni in trust [nota 50].
Sul piano tributario, dal lato del trustee il trasferimento non determina alcun arricchimento; dal lato dei creditori - che sono beneficiari del trust, in quanto comunque dalla sua istituzione traggono un vantaggio - quello di vedere soddisfatte le proprie pretese tributarie, non vi è alcun arricchimento, perché al termine del trust essi percepiranno quanto loro dovuto in virtù dell'originario titolo costitutivo dell'obbligazione a carico di Tizio.
Per quale ragione il trasferimento da Tizio al trustee debba essere assoggettato a tassazione con l'imposta dell'8% non è dato comprendere [nota 51].
Esempio analogo al precedente si riscontra nei casi in cui il trust venga utilizzato nel contesto di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis della L. fall. [nota 52] dove appunto il trust ha la funzione di prevenire azioni giudiziarie e concorsuali, e, tra l'altro, ove sia esecutivo dell'accordo omologato dal giudice, è esente dall'azione revocatoria ai sensi dell'art. 67, 3° comma, lett. e), della L. fall.
Ultimo esempio, il trust istituito in favore di un disabile, avente come finalità quella di consentire al disabile stesso di abitare un immobile in trust, qualificato dall'Agenzia delle entrate come trust di scopo solo perché il disabile non è destinatario finale delle titolarità dei beni conferiti in trust.
In realtà nel caso di specie il disabile è beneficiario, perché è titolare di una pretesa ad adempiere nei confronti del trustee, e quindi il fatto che egli sia o meno destinatario finale del trust fund non è elemento qualificante o meno del c.d. trust di scopo [nota 53].
Conclusioni
Tirando le conclusioni del discorso credo si debba con forza affermare che, per individuare la corretta tassazione, è necessario ricostruire ogni trust secondo gli effetti giuridici propri del caso concreto, tenendo presente che:
a. i trust c.d. liberali (cioè la cui causa è liberale) sono in sostanza donazioni indirette dal disponente in favore dei beneficiari;
b il trustee, nel contesto di un trust, svolge il mero ruolo di esecutore del programma di attribuzioni predisposto dal disponente nell'atto istitutivo;
c. deve essere escluso, per ragioni direi "ontologiche", che il trustee possa essere il soggetto passivo dell'imposta proporzionale;
d. l'atto di trasferimento dal disponente al trustee, è atto né gratuito né oneroso bensì "neutro";
e. solo successivamente, e coerentemente con la ricostruzione civilistica dell'istituto, quando il trustee, così realizzando il programma predisposto dal disponente nell'atto istitutivo, attribuirà il trust fund ai beneficiari sarà integrato il presupposto impositivo.
[nota 1] Le circolari si riferiscono al trust in genere, ma nei fatti si occupano del trust c.d. interno, cioè il trust che è fonte di un rapporto giuridico i cui "elementi significativi" (per tali dovendosi intendere sia - com'è pacifico - il luogo in cui i beni sono ubicati e quello in cui lo scopo del trust deve essere perseguito, sia - come parrebbe affermare la tesi prevalente - la cittadinanza e residenza del disponente e dei beneficiari: sulla questione v. amplius L. CONTALDI, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, Milano, 2001, p. 156 e ss.; S. BARTOLI, Il trust, Milano, 2001, p. 599 e ss.) sono localizzati all'interno del nostro ordinamento ed i cui unici elementi di internazionalità sono quindi costituiti: a) indefettibilmente, dalla legge regolatrice del trust (essendo quest'ultima – per definizione – una legge straniera); b) eventualmente, anche dal luogo di amministrazione del trust e da quello di residenza abituale del trustee. L'espressione "trust interno" è stata coniata da M. Lupoi già all'indomani dell'entrata in vigore della Convenzione (cfr. M. LUPOI, «Il trust nell'ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell'Aja del 10 luglio 1985», in Vita not., 1992, p. 976; ID., Introduzione ai trusts, Milano, 1994, p. 148 e ss.) ed è stata da egli ripresa anche in successivi lavori, fra cui la sua nota monografia (cfr. M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, p. 536). Sulla legittimità del trust interno cfr. L.F. RISSO-D. MURITANO, Il trust: diritto interno e Convenzione de L'Aja. Ruolo e responsabilità del notaio, in AA.VV., I trust interni e le loro clausole a cura di E.Q. Bassi – F. Tassinari, Roma, 2007, p. 37 ss.
[nota 2] L'art. 2, comma 47, del D.l. 3 ottobre 2006, n. 262 (in G.U. 3 ottobre 2006, n. 230), convertito con modificazioni nella L. 24 novembre 2006, n. 286 (in G.U. 28 novembre 2007, n. 277, S.O.) si limita ad affermare che la costituzione di "vincoli di destinazione" è attratta nell'ambito impositivo dell'imposta sulle successioni e donazioni, senza spingersi oltre circa le concrete modalità applicative dell'imposta (ciò che invece fanno due circolari dell'Agenzia delle entrate: la n. 48/E del 7 agosto 2007 e la n. 3/E del 22 gennaio 2008).
[nota 3] M. LUPOI, Sistemi giuridici comparati, Napoli, 2001.
[nota 4] Ad es. sia la Cina che la Russia si sono dotati - ormai da anni - di una legge sul trust (cfr. per una efficace sintesi, AA.VV., World Trust Survey 2004, in Trusts & Trustees, 2004, vol. 10, issue 7, 53 e 148, nonchè, per un commento alla legge cinese E. TOTI - L. FORMICHELLA, «La legge sul trust della Repubblica Popolare Cinese», in Giust. civ., 2004, II, p. 449). Un tentativo, in verità è stato fatto in Italia lo scorso anno, in occasione della discussione della legge finanziaria per il 2008, attraverso la presentazione di un emendamento (presentato dal deputato Leddi Maiola) volto ad introdurre nel codice civile una disciplina "Della fiducia", dichiarato inammissibile dalla Commissione bilancio della Camera dei Deputati per estraneità di materia a quella propria della legge finanziaria.
[nota 5] Per una disamina dello "stato dell'arte" in materia ci sia consentito di rinviare a D. MURITANO, Trust e diritto italiano: uno sguardo d'insieme (tra teoria e prassi), in AA.VV., I trust interni e le loro clausole, cit., [nt. 1], p. 1 e ss.
[nota 6] Delibera Secit 11 maggio 1998, n. 37, «La circolazione dei trusts esteri in Italia» (delibera del Servizio consultivo e ispettivo tributario); in Il fisco, 1998, p. 11148.
[nota 7] Cfr. ex multis, S. BARTOLI, Il trust, cit., [nt. 1], p. 670 ss., 675 ss.
[nota 8] Agenzia delle entrate, 1 ottobre 2002, in risposta all'interpello n. 954-249/2002, in Trusts, 2003, p. 473; Agenzia delle entrate, risoluzione n. 8/E del 17 gennaio 2003, in Il fisco, 2003, p. 620 e Trusts, 2003, p. 319; Agenzia delle entrate, 4 marzo 2003, in risposta all'interpello n. 576/2002, in Trusts, 2003, p. 658, e Il fisco, 2003, p. 11683.
Per un esteso commento delle citate pronunce, cfr. M. LUPOI, «Osservazioni sui primi interpelli riguardanti trust», in Il fisco, 2003, p. 11678; F. FORMICA, La destinazione di beni e patrimoni nella esperienza del diritto tributario, AA.VV., Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, in Quaderni romani di diritto commerciale, Milano, 2003, p. 137 e ss.
[nota 9] Convenzione ratificata per l'Italia con L. 16 ottobre 1989, n. 364 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992.
[nota 10] Cfr. M. LUPOI, I trust nel diritto civile, in Tratt. dir. civ. diretto da R. Sacco, I diritti reali, 2, Torino, 2004, p. 238, sul concetto di trust autodichiarato, in cui il disponente destina una propria situazione soggettiva ad una specifica finalità senza perderne la titolarità. La giurisprudenza non pare invece si sia interessata ex professo a questa figura di trust, tranne in una sola circostanza [cfr. Trib. Napoli (decr.) 1° ottobre 2003, in Trusts, 2004 ove si definisce tale tipo di trust come 'atipico' rispetto al modello convenzionale, in quanto – secondo l'organo giudicante partenopeo – l'art. 2 della Convenzione richiederebbe quantomeno «due soggetti per la costituzione del rapporto giuridico di trust: da un lato il costituente e dall'altro il trustee»].
[nota 11] V. infra § 6.
[nota 12] Per spunti in tal senso cfr. B. BIONDI, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, Torino, 1961, p. 135, per il quale «non è escluso che il donante si riservi la facoltà di indicare egli stesso successivamente la persona del donatario … ma allora la dichiarazione diventa efficiente solo quando sarà sopravvenuta la determinazione. In tal caso … si ha soltanto una dichiarazione attuale ma imperfetta, che sarà completata dallo stesso donante».
[nota 13] Sui problemi che possono sorgere dalla mancata perdita del controllo cfr. D. MURITANO, «Osservazioni sulla figura giuridica del "disponente" del trust», in Riv. not., 2007, p. 323.
[nota 14] In modo analogo ai risultati cui è pervenuta la dottrina più recente in tema di negozio fiduciario. Cfr. U. CARNEVALI, voce Negozio giuridico. III) Negozio fiduciario, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, vol. XX, p. 3, il quale anzitutto osserva che «se nel quadro dell'asserito collegamento negoziale si utilizza come negozio reale uno schema causale tipico con effetti reali (ad es., vendita), è agevole obiettare che la funzione cui è in concreto piegato codesto schema negoziale si mostra incompatibile con la causa propria di esso»; e quindi ricostruisce la vicenda fiduciaria in termini unitari, ritenendo quello fiduciario un negozio legislativamente atipico, costituito da una pluralità di atti e fondato sulla «unificazione causale dell'effetto reale e dell'effetto obbligatorio».
[nota 15] G. DE NOVA, «Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi», in Trusts, p. 162. Cfr. anche G. PALERMO, «Sulla riconducibilità del "trust interno" alle categorie civilistiche», in Riv. dir. comm., 2000, p. 133; e ID., «Autonomia negoziale e fiducia (Breve saggio sulla libertà dalle forme)», in Riv. giur. sarda, 1999, p. 571. Così anche U. LA PORTA, «Cause traslative, autonomia privata ed opponibilità nel dibattito in materia di trust», in AA.VV., Il trust nell'ordinamento giuridico italiano, in Notariato, Quaderni, 7, 2002, secondo cui l'atto attributivo dei beni in trust va inserito tra gli atti ad effetto traslativo, operanti nel nostro ordinamento, in cui il trasferimento non avviene a titolo oneroso né gratuito, bensì risponde a schemi causali atipici, funzionali alla realizzazione degli interessi perseguiti attraverso il negozio.
[nota 16] Cfr. M. LUPOI, «Il trust nell'ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione de L'Aja del 1° luglio 1985», in Riv. not., 1992, p. 966; F. DI CIOMMO, «Ammissibilità del trust interno e giustificazione causale dell'effetto traslativo», in Foro it., I, c. 1296.
[nota 17] è un fenomeno analogo a quello che potrebbe accadere qualora la legge italiana, in ipotesi, prevedesse che il rappresentante legale di un incapace (es. il tutore di un interdetto), per poter svolgere il proprio ufficio, debba "intestarsi" i beni dell'incapace stesso. Che tale atto attributivo possa in quanto tale costituire materia imponibile è lecito dubitare.
[nota 18] V. nt. 8.
[nota 19] Ad es. come accade in tema di cessione del credito o di contratto a favore del terzo. Cfr. in giurisprudenza, di recente (con riferimento alla cessione del credito), Cass. 3 dicembre 2002, n. 17162, in Notariato, 2003, p. 116.
[nota 20] Cass. 8 maggio 2006, n. 10490, in Corr. giur., 2006, p. 12, con nota di ROLFI.
[nota 21] Quest'idea sembra ricavarsi - mediante interpretazione a contrario - da quanto scritto alla fine del § 5.4.1 della citata circolare n. 3/E. L'Agenzia dice infatti: «[i] beni costituiti in trust … non sono legittimamente utilizzabili per finalità divergenti rispetto a quelle predeterminate nell'atto istitutivo di trust». Aggiunge poi, per sottolineare le differenze tra trust e altri negozi costitutivi di vincoli di destinazione: «si pensi al negozio fiduciario, il quale non impedisce al fiduciario di disporre dei beni a lui intestati persino contro la volontà del fiduciante medesimo». Se ne ricava appunto, a contrario, che il trust invece impedirebbe al trustee di disporre dei beni.
[nota 22] Questa differenza è messa bene in luce da M. GRAZIADEI, L'art. 2645 ter c.c. e il trust: prime osservazioni, in AA.VV., I trust interni e le loro clausole, cit., [nt. 1], p. 223.
[nota 23] Cfr. sempre M. GRAZIADEI (nt. 22). Questa pienezza di poteri del trustee è espressamente prevista, ad es., nell'art. 32, 1° comma, della legge della Repubblica di San Marino (L. 17 marzo 2005, n. 37).
[nota 24] Non è del tutto chiaro se nella circolare n. 3/E del 2008, con il termine "individuati", l'Agenzia intenda "definitivamente" individuati, anche se il contesto porta a far propendere per tale caratterizzazione.
[nota 25] Che il diritto del beneficiario di un trust sia di natura obbligatoria è tesi ormai prevalente. Cfr. M. LUPOI, «Il trust nell'ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione de L'Aja del 1° luglio 1985», in Vita not., p. 975-976. Per ulteriori riferimenti cfr. S. BARTOLI, op. cit., [nt. 1], p. 91 e ss. In giurisprudenza cfr. Corte Giustizia CE 17 maggio 1995, n. C-294/92, in Corr. giur., 1995, p. 162 e ss.
L'opposta tesi (della natura reale) è stata sostenuta per la prima volta in Italia nel risalente contributo di R. FRANCESCHELLI, Il trust nel diritto inglese, Padova, 1935, spec. p. 23-50 e 127-145.
[nota 26] Cfr. M. LUPOI, in AA.VV, Fiducia, trust, mandato, agency, Milano, 1991, p. 106.
[nota 27] Salvo casi particolari, quali ad esempio quelli in cui trova applicazione la c.d. regola Saunders v. Vautier che «recognises the rights of beneficiaries who are sui juris and together absolutely entitled to the trust property to exercise their proprietary rights to overbear and defeat the intentions of a testator or settlor». La regola si spiega con la considerazione che, essendo il trust per definizione istituito nell'interesse dei beneficiari, una volta che costoro siano esattamente individuati non v'è ragione di costringerli ad attendere il termine finale del trust fissato dal disponente per ricevere i beni in trust.
Costoro, pertanto, se sono capaci d'agire, ben possono concordemente decidere di costringere il trustee a distribuire loro immediatamente la trust property.
Appare importante sottolineare, tuttavia, che la regola si applica solo se i beneficiari sono (oltre che capaci d'agire) absolutely entitled, cioè se essi - complessivamente considerati - vantano un diritto certo sulla totalità del trust fund.
La regola risale a un precedente del 1841, appunto Saunders v Vautier, (1841) 4 Beav. 115 ovvero Cr. & Ph. 240. Sul principio cfr. M. LUPOI, L'atto istitutivo di trust, Milano, 2005, p. 97-99.
[nota 28] M. GRAZIADEI – B. RUDDEN, «Il diritto inglese dei beni ed il trust: dalle res al fund», in Quadrimestre, 1992, 458.
[nota 29] Si parla non per caso di "trust fund" e la stessa dottrina (cfr. M. LUPOI, Trust, [nt. 27] ha proposto di adeguare a tale distinzione la redazione dell'atto istitutivo, distinguendovi i "beni in trust" dal "fondo in trust".
[nota 30] V. nt. 23.
[nota 31] Con il conseguente operare del caratteristico effetto di "surrogazione reale" proprio del trust.
[nota 32] Un primo contributo sul tema è reperibile in S. BARTOLI, Prime riflessioni sulla modificabilità di un trust interno, in AA.VV., Trust: opinioni a confronto – Atti dei congressi dell'associazione "Il Trust in Italia" a cura di E. Barla De Guglielmi, Milano 2006, p. 306 e ss.
[nota 33] Per clausole siffatte cfr. M. LUPOI, op. ult. cit., [nt. 27], p. 452 ("art. 2" – potere del disponente di aggiungere beneficiari) e p. 468 ("art. 4" e "art. 5" – potere del trustee di aggiungere beneficiari).
[nota 34] Su tali temi cfr. S. BARTOLI - D. MURITANO, Riflessioni su talune clausole utilizzate nei trusts interni, in AA.VV., I trust interni e loro clausole, cit., [nt. 1], p. 106 e ss.
[nota 35] L'Agenzia sembra motivare tale affermazione sulla base della ritenuta "unicità della causa" del trust. Infatti si dice: «l'unicità della causa fa sì che l'imposta sia dovuta ... nella misura dell'8 per cento». Questo modo di argomentare ci pare quantomeno discutibile.
[nota 36] A. FEDELE, Visione di insieme della problematica interna, in AA.VV., I trusts in Italia oggi a cura di I. Beneventi, Milano, 1996; F. GALLO, «Trusts, interposizione ed elusione fiscale», in Rass. trib., 1996, p. 1043; A. GIOVANNINI, Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, p. 587.
[nota 37] Secondo M. LUPOI, op. ult. cit., [nt. 1], p. 760, l'atto istitutivo va considerato – ai fini fiscali – alla stessa stregua di un contratto preliminare (soggetto a registrazione con applicazione dell'imposta in misura fissa ai sensi dell'art. 10 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131/86).
[nota 38] Diciamo di regola in quanto al contrario in talune fattispecie – come nei trust istituti per dare adempimento a precise pregresse obbligazioni assunte in tal senso dal disponente, o nei trust c.d. solutori legati all'adempimento di una obbligazione precedentemente contratta – tale colorazione emerge al contrario con indiscutibile chiarezza (il che quindi non può non influire sul regime di tassazione, da valutarsi caso per caso e non in termini generali come sembra fare l'Agenzia).
[nota 39] Cfr. § 2.
[nota 40] Per una critica alla tesi dell'anticipazione del momento impositivo al momento dell'istituzione del trust (rectius: del trasferimento dei beni al trustee), senza preoccuparsi delle vicende successive relative all'individuazione dei beneficiari cfr. M. LUPOI, «L'Agenzia delle entrate e i principî sulla fiscalità dei trust», in Trusts e attività fiduciarie, 4, 2007, p. 497; E. COVINO - L. BARBONE, «L'innovativa interpretazione dell'agenzia in tema di imposizione indiretta e trust», in Dialoghi dir. trib., 2007, p. 1190 e ss.
[nota 41] Punto pacifico, sul quale cfr. per tutti M. LUPOI, op. cit., [nt. 12], p. 46, che fa l'esempio della già avvenuta alienazione di un bene in trust da parte del trustee.
[nota 42] Il fenomeno del resulting trust (per il quale cfr. A. UNDERHILL-D.J. HAYTON, Law relating to Trusts and Trustees, Londra-Dublino-Edimburgo, 2003, p. 329 e ss.; M. LUPOI, op. cit., [nt. 27], p. 114-115; S. BARTOLI, op. cit., [nt. 1], p. 150-152), è quella ipotesi (detta anche "trust di ritorno") che si verifica allorché, pur essendovi stato un valido ed efficace trasferimento dei beni dal disponente al trustee, il negozio istitutivo presenti carenze tali che la volontà del disponente non può dirsi compiutamente manifestata. In fattispecie del genere, nel diritto inglese il giudice emette una sentenza (fondata sull'equity ed avente natura dichiarativa) secondo la quale il trustee del trust negoziale a suo tempo istituito dal disponente deve considerarsi trustee di un diverso trust (che è - appunto - il resulting trust) avente quali beneficiari lo stesso disponente o, se deceduto, i soggetti cui spetterà il suo asse, cioè i suoi eredi o legatari (pare infatti inesatto affermare che, se il disponente è deceduto, i beneficiari saranno sempre e soltanto i suoi eredi: si pensi, infatti, ad un trust inter vivos privo di beneficiari finali, destinato a durare finché è in vita il disponente ed istituito da un soggetto che, nel proprio testamento, lega uno dei beni in trust a Tizio). A tali soggetti, su loro semplice richiesta, il trustee dovrà pertanto trasferire i beni, trattandosi di un bare trust (per il bare trust, detto anche trust nudo, cfr. ad esempio S. BARTOLI, op. cit., [nt. 1], p. 133-134 e bibliografia ivi citata). Per altre fattispecie di resulting trust.
[nota 43] Cfr. M. LUPOI, op. cit., [nt. 27], p. 46.
[nota 44] Tale considerazione è analoga a quella del trust liberale in cui il disponente può, eliminando o sostituendo beneficiari, revocare disposizioni beneficiarie.
[nota 45] Cfr., tra le altre, Cass. 25 gennaio 1992, n. 812, in Riv. not., 1993, p. 489; Cass. 15 settembre 1999, n. 9840, in Giur. it, 2000, p. 1161 (la quale comunque precisa che la parte dovrà avvalersi di una clausola condizionale siffatta «senza dar luogo ad abuso del diritto», cioè senza «violazione dei principi di correttezza, affidamento e buona fede»).
[nota 46] Ad es. i trust costituiti 'per preservare la pace nazionale' o 'per l'abolizione della vivisezione'.
[nota 47] Secondo la dottrina (cfr. M. LUPOI, Trust, [nt. 1], p. 206, i charitable trusts in diritto inglese costituirebbero (insieme ai c.d. trust anomali e ai trust a vantaggio di beneficiari non definibili tali in senso tecnico) un'eccezione alla regola della invalidità dei c.d. trust di scopo; d'altra parte tale regola si atteggia in modo diverso in altra legislazione, come ad es. quella la Trusts (Jersey) Law 1984 (as amended 2006) ove è prevista la validità del trust di scopo anche non caritatevole, a condizione che venga nominato un enforcer che possa agire nei confronti del trustee in caso di mancato adempimento delle sue obbligazioni.
[nota 48] Secondo l'art. 3 del D.lgs. 346/90 non sono soggetti all'imposta, tra l'altro, i trasferimenti «a favore … di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l'assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l'educazione, l'istruzione o altre finalità di pubblica utilità».
Sebbene il trust sia senza dubbio istituto diverso da una fondazione o un'associazione parrebbe tuttavia prospettabile un'applicazione analogica della norma, laddove il trust venga utilizzato per il perseguimento di una finalità analoga a quelle indicate nella norma stessa.
[nota 49] Nel caso, i creditori. Ma si potrebbe anche affermare che, in definitiva, beneficiario di questo trust è lo stesso debitore.
[nota 50] Cfr. Morice v Bishop of Durham (1805), in 10 Ves. 522, ove si afferma che «there must be somebody, in whose favour the court can decree performance», cioè «dev'esserci un soggetto a cui favore possa essere ordinato l'adempimento».
[nota 51] è interessante, dal punto di vista comparatistico, riportare qui il § 4.2. della circolare n. 30 del 22 agosto 2007 della Conférence Suisse des impôts in materia di imposizione dei trusts (la Svizzerra ha ratificato la Convenzione de L'Aja sulla legge applicabile ai trusts e al lor riconoscimento con decreto federale del 20 dicembre 2006, entrato in vigore il 1° luglio 2007). Detto § della circolare esprime molto chiaramente (diversamente da quanto fanno le circolari dell'Agenzia delle entrate italiana) l'assenza di capacità contributiva in capo al trustee: «En principe, le patrimoine dévolu au trust et les revenus qui en découlent ne doivent pas être imposés dans le chef du trustee. Ce point de vue est conforme au principe de l'imposition selon la capacité contributive économique. Ce principe garantit qu'un contribuable ne peut se voir imputer aucun élément de revenu ou de fortune sur lequel il n'a pas de pouvoir de disposition. Du point de vue économique, malgré sa propriété formelle, le trustee n'a pas de droit sur ce patrimoine».
[nota 52] Fattispecie dichiarata meritevole di tutela da Trib. Reggio Emilia 14 maggio 2007, in www.ilcaso.it (consultato il 18 febbraio 2008).
[nota 53] Non va inoltre dimenticato che è comune distinguere, nell'ambito del diritto dei trust, tra beneficiari di reddito e beneficiari finali. Il fatto che i primi, pur non essendo certo destinatari del trust fund, siano egualmente da qualificarsi come "beneficiari" del trust dimostra ancora una volta una non corretta comprensione del fenomeno da parte dell'Agenzia delle entrate.
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