I trust: trattamento tributario
I trust: trattamento tributario
di Thomas Tassani
Università degli Studi di Urbino, Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato

Premessa

Negli ultimi due anni, un intenso susseguirsi di innovazioni legislative e di orientamenti della prassi amministrativa ha riguardato la fiscalità dei trust, nelle imposte indirette come in quelle dirette, disegnando uno scenario di grande incertezza per gli operatori. Incertezza che, al di là della considerazione del rilievo e della estensione delle modifiche normative, è derivata, soprattutto, dalla tecnica legislativa con cui le nuove disposizioni sono state introdotte, che ha rivelato una scarsa attenzione, da parte del legislatore, per l'impatto delle stesse in termini sistematici ed applicativi [nota 1].

Nel settore dell'imposizione indiretta, a differenza di ciò che è accaduto nelle imposte sui redditi, non sono state previste disposizioni ad hoc per il trust. Il provvedimento legislativo che ha [re]introdotto l'imposta sulle successioni e donazioni [nota 2], ampliando altresì il campo applicativo del tributo, ha interessato generalmente [oltre che gli atti "a titolo gratuito"] la "costituzione di vincoli di destinazione", categoria nella quale, pur se sussistono perplessità in dottrina, [nota 3] si ritiene ricompreso anche il trust.

È però da sottolineare come la formulazione letterale della norma (art. 2, comma 47, D.l. 3 ottobre 2006, n. 262) non brilli per chiarezza e rigore sistematico [nota 4], se si considera che la mera "costituzione di vincoli di destinazione" non appare quale fattispecie di per sé rilevante nell'ambito di un tributo che colpisce i trasferimenti di ricchezza, nell'ambito di vicende non onerose [nota 5].

La, allora necessaria, opera di interpretazione da parte dell'Agenzia era però particolarmente attesa proprio con riferimento ai trust se si considera che, nello sviluppo della sequenza negoziale, il trust avrebbe potuto essere considerato rilevante, ai fini del tributo sulle successioni e donazioni, sia al momento della costituzione del vincolo di destinazione, sia al momento della attribuzione [gratuita] dei beni ai beneficiari.

Non si trattava di una mera esercitazione teorica, visto che le prime letture, fornite tuttavia in occasioni non "ufficiali" e poi non riproposte nelle tradizionali fonti della prassi, andavano esattamente in questa direzione.

Le circolari dell'Agenzia delle entrate che hanno esaminato la tassazione dei trust (n. 48/E del 6 agosto 2007; n. 3/E del 22 gennaio 2008) hanno dunque avuto il merito di evitare quello che, sul piano applicativo, sarebbe stato un notevole ostacolo alla costituzione di trust, ossia la configurazione di un doppio momento di imposizione (non sembra, infatti, si potesse parlare di "doppia imposizione", almeno dal punto di vista giuridico) [nota 6] nel trasferimento di ricchezza conseguente al negozio di trust.

Permangono, però, ancora molti elementi di incertezza, anche dopo le due circolari citate, le quali neppure risultano pienamente convincenti in diversi snodi interpretativi.

Le scelte interpretative dell'Agenzia delle entrate

Il mosaico interpretativo che si compone integrando le affermazioni contenute nella circolare n. 48/E 2007 con quelle della circolare n. 3/E 2008 vede emergere la unitarietà causale del trust, ai fini dell'imposizione indiretta, e quindi dei diversi momenti giuridici e diversi effetti traslativi.

Secondo l'Agenzia, l'atto di costituzione del trust, che realizza il trasferimento della proprietà dei beni segregati, integra la fattispecie impositiva del tributo sulle successioni e donazioni [nota 7]. Ogni successiva attribuzione ai beneficiari risulta, invece, irrilevante fiscalmente, sia nel caso in cui il trasferimento riguardi gli stessi beni segregati, sia quando ai beneficiari vengano trasferiti gli "incrementi" del patrimonio del trust [nota 8].

Per la determinazione dell'imposta dovuta e, quindi, per individuare l'aliquota applicabile, le franchigie, così come le fattispecie di esenzione [nota 9], occorre considerare il rapporto tra il disponente ed il beneficiario. Nei casi di trust senza beneficiari diretti (come è nei trust di scopo), così come quando non vi è nessun rapporto di parentela tra i soggetti indicati, la tassazione si realizza con l'aliquota più elevata, senza applicazione di franchigie.

La circolare n. 3/E 2008 ha chiarito che il rapporto tra disponente e beneficiario deve essere considerato all'atto della segregazione del patrimonio, il beneficiario dovendo essere determinato in questo momento.

Quando, invece, all'atto della segregazione il beneficiario non sia ancora determinato (per esempio, nelle ipotesi in cui il disponente si riserva di nominare il beneficiario o quando l'atto istitutivo prevede una successiva individuazione da parte del trustee), l'imposizione non può tenere conto di alcun legame di parentela.

Nella circolare n. 3/E 2008, l'Agenzia ha inoltre sostenuto che è lo stesso trust ad essere soggetto passivo del tributo sulle successioni e donazioni e che anche la fattispecie di trust auto-dichiarato comporta l'assoggettamento ad imposta.

L'apprezzamento unitario del trust ai fini impositivi: tassazione al momento della segregazione o al momento della attribuzione ai beneficiari?

Le soluzioni interpretative offerte dall'Agenzia, soprattutto se esaminate nel contesto delle affermazioni contenute nella circolare n. 3/E 2008 con riferimento, in generale, ai vincoli di destinazione, offrono diversi spunti di riflessione e di critica.

In primo luogo, appare importante sottolineare come l'Agenzia consideri la costituzione del vincolo di destinazione quale fattispecie impositiva autonoma, in grado, quando accompagnata dal trasferimento di beni, di comportare l'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni.

Simile impostazione, insieme alla considerazione del trust quale «rapporto giuridico complesso con un'unica causa fiduciaria che caratterizza tutte le vicende del trust», ha condotto a ritenere che il presupposto si realizzi solo nel momento della costituzione del vincolo con contestuale trasferimento della titolarità giuridica dei beni [nota 10].

L'Agenzia non ha quindi accolto la diversa soluzione che poteva ricavarsi, nella fattispecie trust, valorizzando l'attribuzione dei beni ai beneficiari, in luogo della costituzione del vincolo, e quindi recependo le interpretazioni maturate nel sistema previgente dell'imposta sulle successioni e donazioni.

Interpretazioni che muovevano dal rilievo per cui la cessione dei beni al trustee assumerebbe una portata solo "strumentale", essendo il mezzo per la realizzazione del programma negoziale, per la "realizzazione di un effetto finale successivo rappresentato dall'attribuzione definitiva ai beneficiari" [nota 11]. In questo senso, solo l'attribuzione ai beneficiari sembrerebbe essere la fattispecie in grado di manifestare il trasferimento di ricchezza e, dunque, il momento giuridico di realizzazione del presupposto.

Negli anni precedenti l'abrogazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, in dottrina si era affermato [nota 12] che, nel caso del trust, l'imposizione deve realizzarsi solo nel momento in cui si realizzano le attribuzioni dal trust fund ai beneficiari, divenendo definitivo ed effettivo il trasferimento gratuito di ricchezza, con rilevazione della capacità economica colpita dal tributo, cui è preordinato il complessivo meccanismo negoziale [nota 13].

L'unitarietà giuridica dei diversi negozi che compongono il trust si fondava sull'intento liberale che è alla base dell'effetto finale dell'arricchimento non oneroso di un soggetto, realizzato per il tramite di diversi strumenti negoziali, aventi causa giuridica differente da quella del contratto tipico di donazione [nota 14].

Il sistema dell'imposta sulle successioni e donazioni consentiva, e consente tuttora, di giungere a tale soluzione, in particolare attraverso la previsione di cui all'art. 58, comma 2 del D.lgs. 346/90, espressiva di «un principio di portata generale» da cui «si ritrae che le donazioni sottoposte a condizione divengono imponibili quando quest'ultima si verifica, ossia nel momento in cui si realizza l'effetto traslativo della ricchezza animato da spirito di liberalità» [nota 15].

Si può però notare come una simile soluzione appaia non facilmente conciliabile con la formulazione del comma 47 dell'art. 2, D.l. 262/2006, da cui sembrerebbe derivare l'autonomo rilievo della costituzione del vincolo [nota 16].

Anche se, in senso contrario, si potrebbe affermare la persistente validità della soluzione interpretativa esposta, considerando che la espressa menzione dei vincoli di destinazione dovrebbe, quantomeno con riferimento al trust, essere letta come volontà legislativa di considerare unitariamente il trasferimento non oneroso di ricchezza che si realizza quale effetto del complessivo programma negoziale che costituisce il vincolo.

Ai fini del presente studio, è però opportuno concentrarsi sulla scelta interpretativa compiuta dall'Agenzia che, in termini applicativi, comporta l'immediata imposizione, all'atto della costituzione del vincolo, senza dover attendere i successivi atti di attribuzione, eventualmente posti in essere anche a notevole distanza di tempo [nota 17].

Rilievo giuridico della costituzione del vincolo e capacità economica oggetto dell'imposizione

Oltre a garantire, da un punto di vista meramente pratico, una tassazione immediata in luogo di una differita nel tempo, l'interpretazione dell'Agenzia pare però anche giustificarsi alla luce del presupposto dell'imposta in esame.

Infatti, se è innegabile che la costituzione del vincolo con trasferimento dal disponente al trustee assume una portata solo strumentale e che dallo stesso non emerge alcun "trasferimento di ricchezza", occorre notare che, proprio nella ricostruzione unitaria del trust, la segregazione dei beni rende possibile, sviluppandosi la sequenza negoziale, l'arricchimento dei [futuri] beneficiari, in fattispecie non onerose.

Il vincolo di destinazione può, in altri termini, assumere direttamente rilievo in quanto in grado di determinare «una prospettiva, giuridicamente inequivoca e suscettibile di tutela, di un vantaggio patrimoniale tangibile in favore del soggetto beneficiario, diverso dall'autore del vincolo funzionale» [nota 18].

Sembra necessario svolgere alcune considerazioni per valutare simile ricostruzione teorica alla luce delle specifiche affermazioni adottate dalla Agenzia delle entrate.

Preliminarmente, è da osservare come dalla impostazione in esame possa derivare la conseguenza che il [futuro] vantaggio patrimoniale che l'istituzione del trust è in grado di evidenziare non coincida necessariamente con la ricchezza espressa dal patrimonio segregato.

L'ipotesi in cui il bene è conferito in trust ed il beneficiario riceve, in termini di attribuzione, solo e proprio quello stesso bene è, infatti, la più semplice e nemmeno la più diffusa.

È però possibile parlare di vantaggi patrimoniali per i beneficiari anche quando si costituisce un trust, segregando uno o più beni, con lo scopo di produrre ricchezza e distribuire le utilità corrispondenti, ma con la previsione della successiva "restituzione" degli stessi beni segregati al disponente [nota 19].

L'imposizione, in questi casi, sembrerebbe comunque collegata ad una situazione che esprime una capacità contributiva, ossia il futuro vantaggio economico dei beneficiari.

Tuttavia, si deve considerare che l'imposta sulle successioni e donazioni non colpisce genericamente le "utilità economiche" attribuite in occasione del passaggio non oneroso di un bene, ma specificamente la ricchezza espressa dal bene trasferito, che rappresenta «il presupposto imponibile, ma anche il parametro di commisurazione del tributo» [nota 20].

In questa prospettiva, non appare soddisfacente, in termini di coerenza logica del tributo (che rappresenta un corollario del principio di capacità contributiva) [nota 21], una interpretazione che giunga ad affermare la tassazione in funzione di un futuro vantaggio patrimoniale, parametrando l'imposta al valore del bene segregato, quando la ricchezza successivamente trasferita non coincida con quest'ultimo.

A meno di non ritenere immediatamente rilevante, in termini impositivi, l'istituzione di trust con segregazione del bene, solo quando sia negozialmente previsto il successivo trasferimento del bene segregato (o, in generale, delle utilità economiche che ne rappresentano il valore, in cui eventualmente il bene è stato convertito) ai beneficiari [nota 22]; in tutte le altre ipotesi, quando cioè si prevede l'attribuzione di altri vantaggi ma non il trasferimento del bene, rinviando la tassazione al momento delle effettive attribuzioni ai beneficiari.

La lettura fornita dall'Agenzia pone, poi, un ulteriore problema in tutti quei casi in cui il vantaggio per i beneficiari non si configuri in termini di sicuro arricchimento, di posizione giuridica incontrovertibile e tutelata.

Il che avviene quando il diritto dei beneficiari è sottoposto a condizione (tipico è il caso del bene attribuito al beneficiario se e quando quest'ultimo conseguirà un determinato risultato, come per esempio il diploma di laurea, il matrimonio, ecc.), come pure in talune ipotesi di trust discrezionale in cui non sia certa la futura attribuzione a beneficiari [nota 23].

In simili circostanze, la legittimità dell'imposizione al momento della costituzione del vincolo non appare giustificabile, visto che, proprio per la specifica struttura negoziale del trust, non è possibile considerare quest'ultimo espressivo di un trasferimento certo, ancorché futuro, e quindi effettivo di ricchezza.

Volendo comunque seguire l'orientamento dell'Agenzia, si potrebbe nelle fattispecie considerate, applicare in via analogica l'art. 58, secondo comma, D.lgs. 346/1990, e rinviare l'imposizione al momento della attribuzione al beneficiario o, quanto meno, al momento in cui è determinata la posizione giuridica del beneficiario stesso.

I trust "di scopo" ed i trust "non liberali"

Con riferimento ai profili testé evidenziati, appare certamente problematica la tassazione dei trust c.d. "di scopo" ai fini del tributo in esame.

Se il trust ha per oggetto il perseguimento di un fine e non, invece, l'arricchimento di determinati soggetti (individuati oppure no al momento della istituzione del trust), potrebbe non realizzarsi alcun successivo trasferimento non oneroso di ricchezza.

Si pensi ad un trust in cui sia stato segregato un immobile ed una somma di denaro, che abbia come scopo quello della promozione della cultura dei diritti umani in Italia. Il patrimonio verrà utilizzato, ed in ipotesi il bene destinato in modo permanente, per attività (didattiche, di ricerca, artistiche, ecc.) che tipicamente non prevedono la "distribuzione" di ricchezza a soggetti terzi, bensì l'impiego della stessa per il raggiungimento del fine altruistico.

È anzi possibile affermare che la costituzione di un trust di scopo, con segregazione dei beni, non determina normalmente la prospettiva certa, sul piano giuridico, di un futuro arricchimento patrimoniale [nota 24].

Affermare la tassazione all'atto della segregazione dei beni, in caso di trust in questo modo connotati sul piano negoziale significherebbe, allora, una sostanziale violazione del principio di capacità contributiva, perché il momento giuridico della costituzione del vincolo (con segregazione dei beni) non coincide con nessuna manifestazione di ricchezza, attuale o futura [nota 25].

Infine, ma l'aspetto è già stato nitidamente segnalato in dottrina [nota 26], risulta opportuno sottolineare che il rilievo della costituzione del vincolo di destinazione, in quanto collegato ad un futuro trasferimento di ricchezza in fattispecie non onerose, pone al di fuori del campo applicativo dell'imposta quei trust nei quali i trasferimenti si realizzano nell'ambito di sequenze negoziali non corrispettive ma onerose. Sono, per esempio, i trust di garanzia o con funzioni solutorie oppure preordinati «alla semplice amministrazione di un pacchetto azionario al fine di dare efficacia reale alle pattuizioni contenute in una convenzione parasociale» [nota 27].

L'individuazione del beneficiario diretto nei trust liberali

Tenendo presente le osservazioni fin qui svolte e cercando di seguire il filo interpretativo dell'Agenzia delle entrate, risulta necessario soffermarsi sul tema della individuazione del beneficiario diretto (o dei beneficiari diretti) del trust.

Come si è notato, secondo la circolare n. 3/E 2008, tale soggetto deve essere determinato «al momento della segregazione del patrimonio» [nota 28], con la conseguenza che, qualora l'individuazione sia rimessa ad un atto successivo (normalmente, del disponente o del trustee), l'imposizione dovrà essere la più elevata, perché nessuna franchigia ed esenzione potrà applicarsi, perché dovrà essere considerata l'aliquota massima dell'8 per cento.

Una simile soluzione appare però criticabile, perché non del tutto in linea con le stesse giustificazioni che stanno alla base della scelta dell'Agenzia di tassare il trust al momento della costituzione del vincolo sui beni segregati.

Scelta che, lo si è visto, può motivarsi, alla luce del presupposto dell'imposta ed in modo conforme all'art. 53 Cost., solo in quanto sia possibile determinare un collegamento, rilevante giuridicamente, tra la costituzione del vincolo ed il futuro trasferimento di ricchezza. Collegamento che, nel caso del trust, si evidenzia nella struttura del negozio e che ha alla base l'unitarietà in termini causali delle diverse fattispecie negoziali poste in essere.

In questa prospettiva, il trasferimento futuro di ricchezza al beneficiario rappresenta la capacità contributiva colpita dal tributo e la tassazione, che avviene in un momento precedente, si giustifica solo in quanto il vincolo è costituito in funzione di tale successivo trasferimento di ricchezza al beneficiario.

Da una simile ricostruzione teorica dovrebbe discendere, a nostro avviso, che la tassazione non possa prescindere dalla considerazione dei concreti caratteri negoziali del trust e, in particolare, dalla individuazione del beneficiario, che pure può avvenire in un momento successivo rispetto alla segregazione dei beni.

Affermare il contrario significherebbe spezzare quel legame tra tassazione immediata del vincolo e futuro trasferimento di ricchezza su cui si regge l'imposizione, sia in termini di costruzione del presupposto, sia in termini di determinazione della base imponibile.

Anche in queste ipotesi, sembra che lo strumento normativo più appropriato per consentire il rinvio dell'imposizione al momento dell'individuazione del beneficiario debba essere quello di cui all'art. 58, secondo comma, D.lgs. 346/90 [nota 29], equiparando la mancata individuazione del beneficiario alla previsione della condizione sospensiva [nota 30].

Il trust auto-dichiarato e la difficile riconoscibilità della soggettività passiva del trust

L'elemento che invece deve necessariamente verificarsi al momento della costituzione del vincolo, affinché il presupposto si realizzi, è l'effetto giuridico del trasferimento dei beni.

L'Agenzia lucidamente riconosce, in questo senso, che la «costituzione di vincoli non traslativi non è soggetta all'imposta sulle successioni e donazioni» (circ. 3/E 2008, par. 5.3), valorizzando il disposto dell'art. 1, D.lgs. 346/90 che prevede l'applicazione dell'imposta sui «trasferimenti di beni e diritti».

Ed è proprio sulla distinzione tra vincoli di destinazione non traslativi e vincoli di destinazione traslativi che la circolare da ultimo citata fonda la propria ricostruzione teorica, così come le specifiche soluzioni interpretative [nota 31].

Distinzione da cui dovrebbe derivare l'estraneità al campo applicativo dell'imposta in esame del trust auto-dichiarato, in cui, per citare la stessa Agenzia, «il settlor assume le funzioni di trustee, l'attribuzione dei beni in trust, pur in assenza di formali effetti traslativi, deve essere assoggettato all'imposta sulle successioni e donazioni».

Nella fattispecie non si realizza, infatti, alcun effetto traslativo [nota 32], in quanto il bene rimane nella titolarità giuridica del disponente e non si trasferisce ad un terzo.

Rispetto alla rilevanza impositiva del vincolo di destinazione, non appare significativa la circostanza di un futuro arricchimento da parte di eventuali beneficiari, visto che il mancato trasferimento del bene impedisce la stessa realizzazione del presupposto [nota 33].

La mancata imposizione sulla costituzione del vincolo non traslativo, eventualmente rilevante ai fini del tributo di registro, dovrebbe però completarsi con l'applicazione dell'imposta sulle donazioni in relazione alle successive attribuzioni a favore dei beneficiari [se poste in essere], in quanto atti gratuiti che naturalmente rientrano nel campo dell'imposta [nota 34].

Esaminando il problema dal punto di vista dell'Agenzia delle entrate, appare chiaro come la tassazione immediata anche in ipotesi di trust auto-dichiarato riesca a soddisfare esigenze di facilità di applicazione, oltre che di certezza di gettito. Gli Uffici possono in questo modo disinteressarsi delle vicende traslative successive, formalizzate e non, visto che già si è assolta l'integrale imposizione.

Altrettanto chiaro è però che tali considerazioni non possono prevalere sulle esigenze di coerenza sistematica e sul rispetto del principio della capacità contributiva.

Anche se, è bene sottolinearlo, dalle indicazioni offerte dall'Agenzia nella circolare n. 3/E 2008 pare emergere un ulteriore profilo, con riferimento al trust auto-dichiarato. L'Agenzia non si esprime apertamente in questo senso, ma sembra potersi leggere una considerazione del trust in quanto autonomo soggetto giuridico che, conseguentemente, sarebbe in grado di fare apprezzare il trust auto-dichiarato come fattispecie comunque traslativa: dal disponente al trust stesso.

Il profilo è legato, anche se non completamente coincidente, con quello della soggettività passiva del trust ai fini dell'imposta in esame, soluzione che invece è stata espressamente formulata dall'Agenzia.

Con specifico riferimento al trust auto-dichiarato non pare però possibile affermarne l'effetto traslativo, facendo valere la soggettività impositiva del trust, visto che occorrerebbe qualificare il trust quale soggetto che, nell'ordinamento giuridico, è in grado di essere titolare di situazioni giuridiche e, quindi, di diritti su beni, mobili ed immobili. Conclusione che, allo stato della legislazione e della prevalente interpretazione di diritto civile, non risulta però configurabile [nota 35].

Se, dunque, la soggettività solo tributaria del trust non appare sufficiente per determinare effetti traslativi nel trust auto-dichiarato, è bene considerare che, anche al di là di tale specifico aspetto, la generale affermazione della soggettività tributaria del trust nelle imposte sulle successioni e donazioni risulta di per sé criticabile per diversi motivi [nota 36].

Il tema non può essere, in questa sede, approfondito. Occorre però sottolineare come le difficoltà ad accogliere la soluzione dell'Agenzia derivino, in primo luogo, dall'assenza di una espressa scelta legislativa nel tributo in esame e, in generale, nelle imposte indirette, che dovrebbe portare l'interprete a riferirsi proprio alle ricostruzioni civilistiche in tema di soggettività [nota 37].

Inoltre, non sembra neppure possibile estendere la soluzione legislativa a favore della soggettività del trust che è stata adottata con la modifica all'art. 73, testo unico delle imposte sui redditi. Non solo perché non esiste alcun principio che imponga la uniformità delle soluzioni interpretative nei diversi tributi, ma anche perché la stessa scelta di soggettivare il trust ai fini Ires appare legata ad una "esigenza tecnica", e quindi di "compromesso" [nota 38], piuttosto che ad un riconoscimento avente simile portata generale.

Come risulta dalla circostanza che il legislatore ha equiparato il trust agli altri enti, commerciali e non, e non lo ha invece espressamente qualificato come ente, mostrando di non ricomprenderlo nella definizione, questa sì generale, di cui all'art. 73, secondo comma, Tuir, delle «altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario ed autonomo» [nota 39].

Conclusioni

Dalle osservazioni sin qui svolte emergono profili sia di apprezzamento sia di critica rispetto alle interpretazioni fornite dall'Agenzia delle entrate in materia di trust.

L'apprezzamento deriva dall'importante riconoscimento dell'unitarietà, ai fini impositivi, delle diverse fattispecie negoziali di cui il trust si compone. Tanto più importante se si considera che la formulazione letterale della norma avrebbe potuto condurre l'Agenzia alla diversa soluzione, pur se fortemente criticabile, di un "doppio momento" di imposizione.

La soluzione interpretativa dell'Agenzia riesce a conciliare l'esigenza di colpire una effettiva capacità contributiva (individuata nella prospettiva certa del futuro vantaggio patrimoniale del beneficiario) con quella di giungere ad una immediata imposizione, che sembrerebbe derivare dallo stesso disposto normativo.

Tuttavia, proprio a questa distinzione tra momento attuale di tassazione (all'atto della segregazione) e successivo arricchimento del beneficiario, sono riconducibili gli aspetti di maggiore problematicità della ricostruzione operata dall'Agenzia.

Non perché non sia di per sé ammissibile una tassazione che preceda il momento dell'effettivo vantaggio patrimoniale del soggetto, ma perché, in queste ipotesi, debbono essere rigorosamente definiti limiti, condizioni ed effetti dell'immediata imposizione della fattispecie che evidenzia l'arricchimento futuro.

Ne derivano importanti conseguenze, che si è cercato di mettere in luce, rispetto alla individuazione della posizione del beneficiario in termini di situazione giuridica incontrovertibile [e tutelata] e non quale generica aspettativa; alla esigenza di corrispondenza tra le regole di determinazione della base imponibile (che considerano il valore del bene trasferito) ed il concreto vantaggio attribuito ai beneficiari; alla individuazione dei beneficiari del trust, visto che l'imposizione dovrebbe comunque considerare gli effettivi beneficiari, anche se determinati successivamente all'atto di segregazione.

I diversi aspetti costringono, necessariamente, a differenziare il trattamento impositivo a seconda della configurazione del trust, distinguendo tra trust di scopo, trust liberali, trust onerosi, trust con beneficiari diretti, trust auto-dichiarato, e considerando, altresì, le specifiche clausole negoziali [nota 40].

Anche il profilo della individuazione del soggetto passivo risente della difficoltà di conciliare tassazione immediata e trasferimento futuro di ricchezza. La strada della soggettivazione dello stesso trust è, in questo senso, la più comoda ma la meno accettabile, allo stato della legislazione, per i motivi che si sono indicati.

Sembrerebbe, invece, maggiormente coerente con la stessa interpretazione dell'Agenzia l'individuazione di una soggettività passiva di tipo strumentale in capo al trustee, il quale sarebbe tenuto al pagamento delle imposte (utilizzando, a questo fine, i beni ed i diritti che compongono il patrimonio segregato), pur non manifestando una propria capacità contributiva (visto che sono i beneficiari diretti a manifestare la forza economica colpita dal tributo), bensì per "fatti o situazioni riferibili ad altri". Alla stregua, cioè, di un sostituto d'imposta [nota 41].

Appare evidente che solo lo sviluppo della interpretazione, soprattutto giurisprudenziale, potrà disegnare uno scenario meno incerto della fiscalità del trust.

Al tempo stesso, però, l'interprete vede profilarsi all'orizzonte scenari che ripropongono, ancora una volta, ipotesi di abrogazione, totale o parziale, dell'imposta sulle successioni e donazioni. E che, al di là delle specifiche scelte che potranno essere adottate, non possono non far riflettere, con preoccupazione, sulla condizione di instabilità, e quindi di complessiva incertezza, del quadro giuridico entro cui gli operatori sono destinati ad operare [nota 42].


[nota 1] Per quanto riguarda le imposte sui redditi, è infatti da notare come la scelta per la soggettivazione del trust (legge finanziaria per il 2007, legge n. 296/2006) sia stata compiuta senza qualificare il trust quale ente ma semplicemente equiparandolo agli altri enti, commerciali o non commerciali; prevedendo che i beneficiari possano essere, in luogo del trust, soggetti passivi di imposta quando, genericamente, i beneficiari medesimi siano "individuati"; senza chiarire, in quest'ultimo caso, con quali regole (di quale categoria reddituale) determinare il reddito prodotto dal trust ed imputato, come reddito di capitale, in capo ai beneficiari. è quindi apparso estremamente importante l'intervento della prassi amministrativa, che ha cercato di fornire una interpretazione coerente con i principi dell'imposizione sul reddito ed, al tempo stesso, con la ratio delle innovazioni legislative. Su questi temi, si rinvia a FRANSONI, «La disciplina del trust nelle imposte dirette», in Riv. dir. trib., 2007, I, p. 227 e ss.; CANTILLO, «Il regime fiscale del trust dopo la finanziaria 2007», in Rass. trib., 2007, p. 1047 e ss.; Studio n. 22-2007/T del CNN, Osservazioni sulla disciplina fiscale del trust nell'imposizione diretta, est. TASSANI, approvato dalla Commissione studi tributari il 12 ottobre 2007, in www.notariato.it.

[nota 2] D.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Sul tema, in generale, GAFFURI, «Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni», in Rass. trib., 2007, p. 441 e ss.; DUS, «La reintroduzione dell'imposta sulle successioni e donazioni: vecchi e nuovi problemi», in Il fisco, 2007, p. 1075 e ss.; STEVANATO, «La reintroduzione dell'imposta sulle successioni e donazioni: prime riflessioni critiche», in Corr. trib., 2007, p. 247 e ss.; BELLINI, «La "nuova" imposta sulle successioni e donazioni», in Il fisco, 2006, p. 7230 e ss.; Studio n. 168-2006/T del CNN, Prime note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni, est. FRIEDMANN-GHINASSI-MASTROIACOVO -PISCHETOLA, approvato dalla Commissione studi tributari il 15 dicembre 2006, in www.notariato.it.

[nota 3] Come notato da COVINO-BARBONE, «L'innovativa interpretazione dell'Agenzia in tema di imposizione indiretta e trust», in Dialoghi dir. trib., 2007, p. 1190.

[nota 4] Sulle difficoltà interpretative che nascono dalla espressa scelta legislativa, si vedano GAFFURI, op. ult. cit., p. 457; STEVANATO, op. ult. cit., p. 251; GUFFANTI, «I trust nelle imposte indirette alla luce delle indicazioni dell'Agenzia delle entrate», in Corr. trib., 2007, p. 3836.

[nota 5] Sulla individuazione della capacità contributiva colpita dall'imposta sulle successioni e donazioni e sull'ampliamento del presupposto a tutte le ipotesi di trasferimenti non onerosi e non solo liberali, GAFFURI, op. ult. cit., p. 441 e ss.; STEVANATO, op. ult. cit., p. 251 e ss. Sul tema anche SEMINO, «Prime considerazioni sulla fiscalità degli atti segregativi di beni in trust alla luce della nuova imposta sulle successioni e donazioni», in Riv. dir. trib., 2007, I, p. 681.

[nota 6] Su tali concetti, per tutti PORCARO, Il divieto di doppia imposizione nel diritto interno, Padova, 2001, passim.

[nota 7] L'Agenzia ha chiarito che qualora l'atto istitutivo di trust non sia anche atto di dotazione patrimoniale, avvenendo la segregazione dei beni in un momento successivo, lo stesso, se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, è tassato con imposta fissa di registro, ai sensi dell'art. 11, Tariffa, parte prima, allegata al T.U.R., in quanto atto privo di contenuto patrimoniale.

[nota 8] Nella circolare n. 48/E 2007 si afferma: «poiché la tassazione, che ha come presupposto il trasferimento di ricchezza ai beneficiari finali, avviene al momento della costituzione del vincolo, l'eventuale incremento del patrimonio del trust non sconterà l'imposta sulle successioni e donazioni al momento della devoluzione».

[nota 9] Sulla non tassazione dei trasferimenti di aziende o rami di aziende e di quote sociali ed azioni, a favore di discendenti e coniuge, si vedano BASILAVECCHIA, «Le implicazioni fiscali delle attribuzioni ai familiari, Le implicazioni del Patto di famiglia, aspetti sistematici», in AA.VV., Patti di famiglia per l'impresa, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006, p. 194 e ss.; MASTROIACOVO, «Non è soggetto ad imposizione il passaggio generazionale dell'azienda», in Corr. trib., 2008, p. 326 e ss.

[nota 10] Per la valorizzazione in termini tributari del rilievo unitario dei diversi negozi che compongono il fenomeno negoziale trust, si vedano CONTRINO, «Il trust liberale e l'imposta sulle donazioni», in Dialoghi dir. trib., 2004, p. 461-2; MONACO, «Trust: fattispecie ed effetti fiscalmente rilevanti», in Riv. dir. fin. sc. fin., 2002, I, p. 647 e ss.; SALVATI, Profili fiscali del trust, Milano, 2004, p. 269 e ss.

[nota 11] Così, Comm. trib. reg. di Venezia, sent. n. 104, del 23 gennaio 2003.

[nota 12] Si esprimono per la configurabilità di una donazione indiretta nei confronti dei beneficiari finali del trust, STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000, p. 187; PISTOLESI, «La rilevanza impositiva delle attribuzioni liberali realizzate nel contesto dei trusts», in Riv. dir. fin. sc. fin., 2001, I, p. 153 e ss.; Comm. trib. prov. di Treviso, sent. n. 27 del 29 marzo 2001. Sulle liberalità indirette, si rinvia, per tutti, a SACCHETTO, «La donazione nel diritto tributario», in Riv. dir. trib., 1999, I, p. 1006 e ss.

[nota 13] STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, op. cit., p. 184 e ss. Si vedano anche le considerazioni di FEDELE, Le innovazioni nella legge n. 342 del 2000. Le definizioni della ratio del tributo. I rapporti con l'imposta di registro, in AA.VV., L'imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, p. 89 e ss. Giunge a tale soluzione anche MONACO, op. cit., ma solo nelle ipotesi in cui l'individuazione del beneficiario non sia demandata alla scelta discrezionale del trustee. Sul tema si rinvia a FEDELE, Visione di insieme della problematica interna, in I Trusts in Italia oggi, a cura di Benedenti, Milano, 1996, p. 284 e ss. Sulla possibile rilevanza ai fini del tributo di registro dell'atto segregativo dei beni in trust, nel regime previgente, si rinvia, anche per ulteriori riferimenti bibliografici e giurisprudenziali, a SEMINO, «Prime considerazioni…», cit., p. 691 e ss.

[nota 14] Su tali aspetti, in generale, si rinvia a AZZARITI, MARTINEZ, AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1969, p. 719; CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 1982, p. 880; BIANCA, Diritto civile. Il contratto, Milano, 1984, III, p. 459; AVANZINI, La forma delle donazioni, in AA.VV., Successioni e donazioni a cura di Rescigno, Padova, 1994, II, p. 337.

[nota 15] PISTOLESI, op. ult. cit., p. 163-4, il quale rileva che la disposizione risulta sicuramente applicabile alle donazioni indirette, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 58, ed il cui impiego, anche in termini analogici non appare impedito, se non altro per il fatto che non enuclea una nuova fattispecie impositiva, consentendo, invece, di individuare la disciplina concretamente riferibile ad un'ipotesi di applicazione del tributo. In termini analoghi GIOVANNINI, Trust e imposte sui trasferimenti, in Rass. trib., 4, 2000, p. 1118. Sulla possibilità di applicare la disposizione in materia di "donazione modale" (art. 58, comma 1, del D.lgs. n. 346/1990), GAFFURI-ALBERTINI, «Disciplina fiscale del trust: costituzione e trasferimento dei beni», in Boll. trib., 1995, p. 1706; PALUMBO, «Profili tributari dei"common law trusts"», in Riv. dir. trib., 1995, I, p. 210. Occorre inoltre citare la tesi del Secit delibera 11 maggio 1998, n. 37 - «La circolazione dei trusts esteri in Italia», in Il fisco, 1998, p. 11149, secondo cui sarebbe possibile applicare il regime previsto per la sostituzione fedecommissaria, ai sensi dell'art. 58, comma 3, del D.lgs. n. 346/1990. Su questi temi, GIOVANNINI, Trust e imposte sui trasferimenti, cit., p. 1119-1120; ID., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, p. 421 e ss.; STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, cit., p. 181 e ss.; PISTOLESI, «La rilevanza impositiva delle attribuzioni liberali realizzate nel contesto dei trusts», cit., p. 152 e ss.

[nota 16] GAFFURI, «Note riguardanti…», cit., p. 458.

[nota 17] GAFFURI, op. ult. cit., p. 460. L'Autore nota che «la vicenda può concludersi a lunga distanza - come si desume, almeno analogicamente, dall'art. 2645-ter del codice civile, il quale prevede che il vincolo duri anche 90 anni o per l'intera vita di una persona - quando matura il tempo, variamente definito, in cui avverrà la distribuzione del patrimonio e si esaurirà il progetto liberale».

[nota 18] GAFFURI, op. ult. cit., p. 458. Secondo FEDELE, Il trasferimento dei beni al trustee nelle imposte indirette, in corso di pubblicazione nell'ambito di un'opera collettanea per i tipi Ipsoa (dattiloscritto esaminato per gentile concessione dell'Autore), par. 4, «se limitata ai soli trusts ordinati ad attribuzioni gratuite, l'immediata applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, laddove siano previsti successivi trasferimenti dei beni in trust ai beneficiari, si giustifica solo in funzione di questi ultimi: si tratta, dunque, in questi casi, di un'anticipazione del tributo rispetto al perfezionarsi della fattispecie che ne giustifica l'applicazione in quanto indice di capacità contributiva, fenomeno peraltro frequente nell'attuazione del tributo successorio».

[nota 19] O si pensi al caso in cui l'atto istitutivo di trust segreghi un immobile ad uso abitativo ed attribuisca al beneficiario il diritto, reale o personale, di godimento per un determinato periodo di tempo, trascorso il quale il bene sarà ritrasferito al disponente.

[nota 20] GAFFURI, op. ult. cit., p. 454. Su questi aspetti, in generale, si rinvia a BOSELLO, L'imposta sulle successioni e donazioni, in Tratt. dir. trib. diretto da Amatucci, IV, 2001, p. 191 e ss.; GAFFURI, L'imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 1993, p. 18 e ss.; SACCHETTO, La donazione, in Riv. dir. trib., 12, 1999, p. 989 e ss.; STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette…, cit., p. 85 e ss.; GHINASSI, Imposte di registro e di successione, Milano, 1996, p. 83 e ss.

[nota 21] Sulla capacità contributiva come fondamento della coerenza logica delle imposte, si veda DE MITA, Principi di diritto tributario, Milano, 2007, p. 89-90.

[nota 22] In questo caso sembrerebbe coerente affermare l'irrilevanza impositiva anche delle future attribuzioni ai beneficiari, ulteriori rispetto al trasferimento del bene, ma che tuttavia derivano da incrementi di valore relativi allo stesso bene, analogamente a quanto sostenuto dall'Agenzia delle entrate.

[nota 23] Non pare invece poter avere alcun effetto, nella prospettiva evidenziata, l'apposizione di termini, così come nota FEDELE, Il trasferimento dei beni…, cit., p. 5. Per quanto riguarda la problematica dei "beneficiari indeterminati" si vedano le osservazioni che saranno svolte in seguito (paragrafo sesto).

[nota 24] Qualora il trust avesse come scopo quello della erogazione del patrimonio segregato a "terzi bisognosi", magari individuati genericamente dal disponente ma lasciati alla concreta determinazione del trustee, potrebbe affermarsi una prospettiva futura e certa di un arricchimento altrui, anche se a questa prospettiva non corrisponderebbe una posizione giuridica tutelata del terzo al momento della segregazione dei beni. Sembra però che in questo caso si debba parlare di trust con beneficiari, ancorché indeterminati al momento della istituzione del trust e della segregazione dei beni, piuttosto che di trust di scopo, quantomeno agli effetti fiscali che si stanno esaminando. Si rinvia quindi alle osservazioni svolte nel paragrafo successivo.

[nota 25] A diversa soluzione giungono invece PIAZZA-FERRARETTI, «Novità in materia di trust: prime possibili interpretazioni pratiche. Imposte dirette e imposta di donazione», in Il fisco, 2007, p. 2438 e ss., secondo cui, in caso di trust di scopo, il trustee dovrebbe essere «assoggettato all'imposta di donazione, generalmente pari all'8 per cento dei valori trasferiti, in quanto è suo l'arricchimento patrimoniale che l'imposta vuole colpire».

[nota 26] FEDELE, Il trasferimento dei beni…, cit., par. 3; FRANSONI, «Allargata l'imponibilità dei vincoli di destinazione», in Corr. trib., 2008, p. 650.

[nota 27]Risulta a nostro avviso estraneo dal campo applicativo dell'imposta in esame il caso esaminato, ai fini dell'imposizione diretta, dalla ris. n. 4/E del 4 gennaio 2008, di trust costituito nell'ambito di una procedura di concordato preventivo di una SpA al fine di destinare il ricavato della vendita alla soddisfazione della massa dei creditori della procedura del concordato preventivo.

[nota 28] è però possibile affermare che è anche sufficiente, per l'Agenzia, che al momento della segregazione sia determinato il rapporto di parentela con il beneficiario, pure se quest'ultimo non è già individuato. Si legge infatti nella circolare in esame che «nell'ipotesi di trust costituito nell'interesse di uno o più beneficiari finali, anche se non individuati, il cui rapporto di parentela con il disponente sia determinato, l'aliquota di imposta si applica con riferimento al rapporto di parentela intercorrente tra il disponente e il beneficiario e non a quello intercorrente tra il disponente e il trustee».

[nota 29] Sull'applicazione dell'art. 58, secondo comma, D.lgs. 346/90, si veda NAPOLITANO, Manuale dell'imposta sulle successioni e donazioni, Milano, 1998, p. 604 e ss.

[nota 30] Altra soluzione, teoricamente, potrebbe essere quella dell'applicazione analogica dell'art. 42, primo comma, lett. e), D.lgs. 346/90 e quindi del rimborso della maggiore imposta pagata al momento della segregazione, rispetto a quella risultante apprezzando il legame di parentela tra beneficiario e disponente, facendo riferimento alla disciplina prevista per il "mutamento della devoluzione". Si veda, sul punto, FEDELE, Il trasferimento dei beni…, cit., par. 7. LUPOI, «L'Agenzia delle entrate e i principi sulla fiscalità dei trust», in Corr. trib., 2007, p. 2789, ritiene che, in caso di mancata individuazione dei beneficiari al momento della segregazione, la tassazione debba essere «rinviata», ma non in applicazione della regola sugli atti condizionati, bensì perché non sarebbe ancora «completata la fattispecie impositiva». Sul punto anche COVINO-BARBONE, cit., p. 1195-6.

[nota 31] Anche se con applicazioni non sempre condivisibili, come è per le intestazioni fiduciarie, sulle quali si vedano le critiche di FRANSONI, op. ult. cit., p. 647 e ss. e le precisazioni interpretative fornite dalla stessa Agenzia nella circ. n. 28/E del 27 marzo 2008.

[nota 32] L'affermazione contenuta nella circolare per cui, nel caso in esame, non si avrebbero "formali" effetti traslativi, sembra presupporre una distinzione tra effetti traslativi "formali" e "sostanziali", che però risulta priva di reale pregnanza giuridica.

[nota 33] Si immagini l'ipotesi di un soggetto che costituisca un trust auto dichiarato, segregando un proprio bene immobile di cui egli è trustee, e che destina per un certo periodo di tempo a rifugio per i senza tetto. Dopo qualche anno, si prevede lo scioglimento del vincolo. Seguendo le indicazioni dell'Agenzia si dovrebbe tassare il trust al momento della costituzione e con le aliquote più alte. Ma non v'è chi non veda che in questo modo si giungerebbe all'imposizione in una ipotesi in cui mai si realizza un trasferimento di beni.

[nota 34] CANTILLO, «Il regime fiscale del trust…», cit., p. 1047 e ss., afferma invece che «a fronte del chiaro disposto normativo, che assume ad autonomo presupposto del tributo il vincolo di destinazione trascritto», l'imposta è dovuta anche nei casi di trusts auto-dichiarati. Secondo l'Autore dovrebbe però applicarsi l'art. 58, primo comma, D.lgs. 346/90, e considerare rilevante, ai fini della tassazione, l'eventuale obbligo di ritrasferimento al beneficiario, in questo modo evitando la doppia imposizione, liquidando quindi il tributo sul «valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri di cui è gravato». Pur se coerentemente esposta, a nostro avviso simile soluzione non risulta pienamente accoglibile perché comporta che in talune ipotesi, come quella descritta nella nota precedente, l'imposizione possa realizzarsi in mancanza di un trasferimento di beni.

[nota 35] Per tutti, LUPOI, Introduzione ai trusts, Milano, 1994, p. 174; ID., Trusts, Milano, 2001, passim.

[nota 36] Nota peraltro FEDELE, Il trasferimento dei beni…, cit., par. 5, che se si afferma la soggettività passiva, così come fa l'Agenzia, non può che giungersi a simile soluzione in tutti i tributi, «mentre l'Agenzia sembra invece orientata a negare la soggettività dei trusts, ad es., ai fini dell'applicazione delle imposte ipotecarie e catastali».

[nota 37] In questo senso, sul rapporto tra soggettività tributaria e civilistica, si vedano ANTONINI, La soggettività tributaria, Napoli, 1965, p. 106; GALLO, La soggettività ai fini Irpeg, in AA.VV., Il reddito di impresa nel nuovo testo unico, Roma-Milano, 1990, p. 662 e ss.; FEDELE, Destinazione patrimoniale: criteri interpretativi e prospettive di evoluzione del sistema tributario, in AA.VV., Destinazione di beni allo scopo, Milano, 2003, p. 293 e ss.

[nota 38] Sottolinea come la soggettività tributaria sia spesso riconosciuta per ragioni tecniche di «riequilibrio del sistema», SCHIAVOLIN, «Natura del tributo, Funzioni e caratteri generali», in AA.VV., L'imposta sul reddito delle persone giuridiche, in Giur. sist. dir. trib. diretta da Tesauro, Milano, 1996, p. 20. Analogamente FANTOZZI-LUPI, Le società per azioni nella disciplina tributaria, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, 9**, Torino, 1993, p. 19.

[nota 39] In questo senso, FRANSONI, «La disciplina del trust nelle imposte dirette», cit., p. 227 e ss.; ID., «Allargata l'imponibilità…», cit., p. 650. In tema di configurabilità del trust quale soggetto passivo d'imposta nelle imposte sui redditi si vedano MICCINESI, «Il reddito del trust nelle varie tipologie», in Trust ed attività fiduciarie, 3, 2000, p. 309 e ss.; PAPARELLA, «Brevi riflessioni aggiornate in tema di trusts, elusione ed interposizione di persona», in Boll. trib., 2002, p. 485 e ss.; ID., «Considerazioni in tema di disciplina dei trusts nel sistema delle imposte sui redditi delineato dalla legge delega di riforma dell'ordinamento tributario n. 80 del 7 aprile 2003 e le prospettive di riforma», in Boll. trib, 2003, p. 1683 e ss.; FICARI, «Il trust nelle imposte dirette (Irpeg ed Irap): un articolato modulo contrattuale oppure un autonomo soggetto passivo?», in Boll. trib., 2000, p. 1529 e ss.; LUPI-CONTRINO, «Riforma Ires e trust; la maggiore realità e la patrimonializzazione come ulteriori argomenti per la soggettività definitiva del trust», in Dialoghi di diritto tributario, 4, 2004, p. 579 e ss.; ZIZZO, «Note minime in tema di trust e soggettività tributaria», in Il fisco, 30, 2003, p. 4658 e ss.; TUNDO, «Implicazioni di diritto tributario connesse al riconoscimento del trust», in Dir. e prat. trib., 1999, p. 1285 e ss.

[nota 40] Una approfondita panoramica sulle possibili configurazioni negoziali dei trust è contenuta in AA.VV., I trust interni e le loro clausole, a cura di Bassi e Tassinari, Consiglio Nazionale del Notariato, Roma, 2007, passim.

[nota 41] FEDELE, Il trasferimento dei beni…, cit., par. 5.

[nota 42] Su questi temi, si vedano le illuminanti pagine di BOSELLO, «La fiscalità tra crisi del sistema e crisi del diritto», in Riv. dir. trib., 1998, I, p. 1073 e ss.

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