I profili sostanziali della circolare 3/E 2008
I profili sostanziali della circolare 3/E 2008
di Maurizio D'Errico
Notaio in Frascati, Presidente del Consiglio Notarile di Roma

Il mio intervento è diretto a porre in rilievo, limitatamente alla destinazione negoziale ed al trust disciplinato dalla Convenzione de L'Aja ("Convenzione 1 luglio 1985 relativa alla legge applicabile ai trust ed al loro riconoscimento"), i profili sostanziali ed i contenuti applicativi cui fa riferimento la circolare 3/E 2008 dell'Agenzia delle entrate in materia di successioni, donazioni, atti a titolo gratuito e costituzione di vincoli di destinazione (Direzione centrale normativa e contenzioso 22 gennaio 2008).

Di qui la necessità di enucleare le ricostruzioni dogmatiche su cui poggia la logica fiscale della circolare.

Circolare peraltro pienamente in linea con la tecnica dell'imposizione indiretta che presuppone la preventiva valutazione dell'intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti da tassare, essendo stata estesa questa modalità operativa – originariamente sorta per l'imposta di registro – anche alle altre imposte indirette.

Le due sessioni dell'odierno Convegno ripercorrono l'impostazione della circolare 3/E 2008, e conseguentemente enunciano effetti negoziali, strutture negoziali, e strumenti di attuazione.

La prima sessione si incentra sui vincoli di destinazione ed il trust.

Non posso esimermi dal sottolineare la genericità della dizione "vincoli di destinazione", dizione, che proprio in quanto generica, induce ad elaborazioni ricostruttive in termini di categoria assolutamente non rispondenti all'analisi fenomenologica dei vincoli di destinazione, dovendosi riservare all'atto di destinazione la classificazione "categoria", e alla teoria generale del diritto "la destinazione di beni allo scopo". (cfr. FALZEA, Riflessioni preliminari a "La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile", Milano, 2007, p. 3 e ss. – Tavola Rotonda tenutasi a Roma il 17 marzo 2006, presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell'Università di Roma "La Sapienza").

E proprio in termini di "categoria", con riferimento ai vincoli di destinazione, si esprime la circolare che riconduce nella categoria vincoli di destinazione «i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi. Seppur con effetti diversi, il vincolo di destinazione si realizza, ad esempio, nelle seguenti ipotesi:

- costituzione di un trust;

- stipula di un negozio fiduciario;

- costituzione di un fondo patrimoniale (articolo 167 del codice civile);

- costituzione, da parte di una società, di un patrimonio destinato ad uno specifico affare (articolo 2447-bis del codice civile)».

Due osservazioni al riguardo.

1) La prima.

Di per sé il "concetto di vincolo" dovrebbe evocare lo svolgimento della fattispecie produttiva del rapporto giuridico, allorché viene attuata la subordinazione di un interesse ad un altro. (cfr. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, IX edzione, Napoli, 1977, p. 75).

Tuttavia il concetto, se applicato alla destinazione, non è univoco.

È evidente la subordinazione di un interesse ad un altro nella costituzione di un fondo patrimoniale, attraverso il quale i beni vengono vincolati per la realizzazione dei bisogni della famiglia.

Meno evidente la subordinazione di un interesse ad un altro in un trust nel quale il disponente sia al contempo trustee e uno dei beneficiari.

Anche la destinazione, a sua volta, può poi atteggiarsi diversamente ove si accompagni o meno ad un effetto di separazione patrimoniale, ed ove si verifichi una irresponsabilità patrimoniale unilaterale o bilaterale.

Infatti, come è stato autorevolmente sostenuto in dottrina, «la separazione patrimoniale può ingenerare irresponsabilità del patrimonio separato per i debiti del disponente e può ingenerare irresponsabilità del disponente per i debiti del patrimonio separato, benché egli possa mantenere un interesse alla realizzazione del fine e conservare la gestione. Può ingenerare entrambe le irresponsabilità (cosiddetta irresponsabilità bilaterale), o ingenerare solo la irresponsabilità del patrimonio separato (irresponsabilità unilaterale)». (cfr. OPPO, Riflessioni preliminari a "La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile", cit., p. 13 e ss.).

Per fare qualche esempio basti pensare alle diverse situazioni effettuali di separazione patrimoniale tra un fondo patrimoniale ed un trust.

Il fondo patrimoniale costituito da uno o entrambi i coniugi non elimina la responsabilità patrimoniale del soggetto destinante in relazione alle obbligazioni contratte per i beni del fondo patrimoniale, ove i beni del fondo non siano sufficienti a tacitare le pretese creditorie.

Nel trust la separazione patrimoniale impedisce l'aggressione da parte dei creditori sui beni propri del soggetto attuatore della destinazione (disponente - trustee /trustee) per le obbligazioni contratte in relazione ai beni in trust.

La circolare, come avrò modo di evidenziare nel prosieguo, pur utilizzando la dizione generica "vincoli di destinazione", prende in esame situazioni giuridiche destinatorie ben definite, e cioè situazioni dirette a realizzare interessi beneficiari con effetti separativi patrimoniali uni e bidirezionali, prediligendo, nel caso del trust disciplinato dalla Convenzione de L'Aja, una duplicazione soggettiva sostanziale, oltre che meramente tributaria. Quindi, con riferimento al "trust convenzionale", non mero patrimonio di destinazione, bensì "soggettività finalizzata" alla realizzazione di interessi beneficiari o di un fine specifico, ed in tal senso "soggettività vincolata", e come tale astrattamente riconducibile in un meccanismo destinatorio, pur in presenza di una duplicazione soggettiva e dell'abbandono della categoria dei patrimoni di destinazione.

2) Seconda osservazione.

La circolare nell'elencare le figure negoziali cui consegue un vincolo di destinazione omette il riferimento più generale all'atto di destinazione allo scopo, qualificato strutturalmente e sistematicamente nell'art. 2645-ter c.c.

Nel quale articolo il legislatore ha voluto ricomprendere ogni tipologia di atto giuridico lasciando all'iniziativa degli interessati la libertà di scelta nel congegnare il programma destinatorio. (cfr. FALZEA, Riflessioni preliminari a "La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile", cit., p. 5).

L'art. 2645-ter c.c., dispone che «gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall'articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo».

La collocazione sistematica dell''articolo 2645-ter nel libro VI del codice civile dimostra l'intento del legislatore di disciplinare l'aspetto "opponibilità del vincolo di destinazione" attraverso lo strumento della trascrizione.

Nondimeno la norma contiene elementi di disciplina di carattere sostanziale, come la durata del vincolo e l'azione a difesa della destinazione, che non attengono all'effetto opponibilità.

E proprio la natura sostanziale della norma conduce alla figura generale dell'atto di destinazione negoziale.

L'art. 2645-ter non è norma di fattispecie: «non è definito un fatto giuridico con pienezza di elementi di identificazione e di disciplina, benché siano previste alcune regole sostanziali a tutela della realizzazione degli interessi destinatori ivi contemplati.

La norma introduce una categoria giuridica, i cui indici rivelatori sono:

- la previsione di una configurazione negoziale dell'atto di destinazione interamente rimessa all'autonomia privata;

- la previsione di una determinabilità degli interessi rimessa all'autonomia privata sulla base di caratteri di meritevolezza;

- la previsione di una riferibilità degli interessi stessi verso specifiche categorie beneficiarie (persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, altri enti o persone fisiche).

Al contempo altri elementi costituiscono regole sostanziali ed effetti a tutela della destinazione negoziale:

- l'atto pubblico;

- la trascrizione ai fini dell'opponibilità del vincolo di destinazione;

- la tutela accordata a ciascun interessato, e quindi al beneficiario, di agire, anche in vita del conferente, per la realizzazione dell'interesse destinatario;

- l'effetto separativo patrimoniale con caratteri di "relatività", nel senso che la limitazione di responsabilità, a seguito della trascrizione del vincolo, è opponibile esclusivamente ai creditori diversi dai creditori per debiti contratti per lo scopo della destinazione». (così M. BIANCA, M. D'ERRICO, A. DE DONATO, C. PRIORE, L'atto notarile di destinazione, Milano, 2006, p. 8 e ss.).

In tal modo delineato ed inquadrato l'art. 2645-ter, ne consegue l'applicabilità della circolare 3/E 2008 a tutte le fattispecie destinatorie ad esso riconducibili, sia se realizzate attraverso una struttura negoziale unilaterale che bilaterale: la previsione codicistica, pur riferendosi al negozio di destinazione unilaterale (unipersonale o pluripersonale) quale forma di destinazione pura, prevede nel contempo funzioni attuatorie affidate a terzi, che presuppongono attribuzioni strumentali e quindi strutture negoziali bilaterali.

E in tema di fattispecie destinatorie "imponibili", la posizione dell'Amministrazione finanziaria è netta: l'imposizione di un vincolo di destinazione, ove non si ricorra ad un atto traslativo (attributivo sotto un profilo strumentale), e, per quello che dirò nel prosieguo, ove non determini un mutamento funzionale del soggetto che ne conserva la titolarità, non dà luogo ad applicazione di imposta sulle successioni e donazioni.

L'esempio più lineare è rappresentato dalla costituzione del fondo patrimoniale allorchè il bene resta nella titolarità del coniuge o dei coniugi destinanti, che conservano la posizione soggettiva di "coniugi", identica nei contenuti, come confermato dalla regolamentazione congiunta in materia di amministrazione dei beni del fondo patrimoniale, tipica della comunione legale (art. 180 e ss. c.c.).

Situazione analoga ritroviamo nel negozio di destinazione ex. art. 2645-ter: il destinante conserva l'originaria identica posizione soggettiva di "titolare" in relazione al bene destinato, bene che resta nel suo patrimonio benché vincolato alla realizzazione di qualificati interessi meritevoli di tutela.

Negli esempi fatti la destinazione non implica mutazioni della situazione giuridica riferibile alla relazione "titolare - bene destinato", in quanto il titolare del bene destinato conserva l'originaria posizione soggettiva.

Al contrario, la realizzazione di una destinazione che implichi il sorgere di una diversa e autonoma posizione soggettiva sotto un profilo funzionale potrebbe essere apparsa idonea all'Amministrazione finanziaria, costituendone presupposto dell'impostazione fiscale, per applicare l'imposta sulle successioni e donazioni anche in presenza di un trust autodichiarato, nel quale il disponente, pur restando fisicamente lo stesso soggetto, destina i beni alla realizzazione di interessi beneficiari senza ricorrere ad attribuzioni traslative strumentali, ed assumendo nel contempo la diversa posizione soggettiva di trustee.

È innegabile infatti che nel trust autodichiarato la destinazione implica una mutazione nella relazione "titolare – bene destinato", in quanto la posizione di trustee identifica una posizione soggettiva nuova, con specifici obblighi e diritti, testualmente disciplinata dalle varie leggi in materia.

Solo questa ricostruzione, che attiene alle modalità attuative dell'effetto segregativo in relazione alle posizioni soggettive, potrebbe forse, ed in parte, spiegare la tesi dell'Amministrazione finanziaria di assoggettare ad imposizione indiretta proporzionale la fattispecie di trust autodichiarato, mentre appare labile ogni ulteriore motivazione che si basi sul complessivo trattamento fiscale del trust che esclude dalla tassazione il trasferimento dei beni a favore dei beneficiari, in quanto percetta al momento della costituzione del vincolo, proprio perché difetterebbe nel trust autodichiarato il momento attributivo – traslativo.

A sostegno dell'impostazione dell'Amministrazione finanziaria vi è l'ulteriore argomento basato sull'inquadramento del trust disciplinato dalla Convenzione de L'Aja nella categoria della soggettività di diritto, sotto un profilo sostanziale oltre che tributario.

Entrambe le argomentazioni, sia la diversa posizione soggettiva del trustee pur in presenza di una coincidenza fisica con il disponente, sia la teoria della soggettività sostanziale, oltre che tributaria, del trust disciplinato dalla Convenzione de L'Aja, di cui al successivo paragrafo IV, non dovrebbero tuttavia essere risolutive ai fini di una corretta impostazione giuridica a sostegno dell'imposizione proporzionale indiretta al trust autodichiarato. (Per le motivazioni si rinvia alle pagine che seguono).

In modo dogmatico ineccepibile la circolare, con riferimento al trust disciplinato dalla Convenzione de L'Aja, pone in evidenza la mutazione dello status giuridico del bene destinato, che assurge a centro autonomo di imputazione di diritti. Pone altresì in evidenza come i beni in trust «confluiscono in un patrimonio a sé stante, di cui risulta intestatario il trustee (articolo 12 della Convenzione dell'Aja), che di fatto non appartiene né al patrimonio del disponente (che ha costituito su di esso il vincolo) né al patrimonio dello stesso trustee (che può disporne limitatamente alla sua gestione). In sostanza, i beni del trust costituiscono un patrimonio con una specifica autonomia giuridica rispetto a quello del disponente e del trustee. Ciò che palesa una caratteristica tipica del trust, non comune alle altre ipotesi di costituzione di vincoli di destinazione.

In particolare, l'autonomia giuridica del trust rispetto al patrimonio personale del trustee, fa sì che i beni costituiti in trust:

- non sono aggredibili dai creditori personali del trustee;

- non concorrono alla formazione della massa ereditaria del defunto in caso di morte del trustee;

- non rientrano, ad alcun titolo, nel regime patrimoniale legale della famiglia del trustee, qualora, ovviamente, quest'ultimo sia coniugato;

- non sono legittimamente utilizzabili per finalità divergenti rispetto a quelle predeterminate nell'atto istitutivo del trust».

«La visione autonoma del trust è, del resto, confermata dallo stesso legislatore il quale, ai fini delle imposte sui redditi, ha espressamente inserito il trust tra i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società (articolo 73, del testo unico dell'imposta sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) ».

In altri termini l'Amministrazione finanziaria rileva che non si tratterebbe solo di separazione patrimoniale rispetto al patrimonio del disponente ed al patrimonio del trustee (situazione che peraltro ricorrerebbe anche nel negozio di destinazione ex art. 2645-ter ove i beni siano attribuiti ad un soggetto attuatore), bensì di patrimonio con specifica autonomia giuridica rispetto a quello del disponente e del trustee.

La circolare ripercorre così la teoria della soggettività sostanziale e non solo tributaria del trust, a tal punto da sostenere che il trustee può disporre dei beni in trust proprio in quanto "gestore". (Per una prima elaborazione della teoria cfr. A. DE DONATO, V. DE DONATO, M. D'ERRICO, Trust convenzionale, Roma, 1999, p. 128 e ss.).

Al riguardo riterrei utile spendere qualche parola sul tema della soggettività del trust disciplinato dalla Convenzione de L'Aja, e lo faccio ripetendo alcune mie precedenti riflessioni. (Cfr. M. D'ERRICO, «Trust convenzionale», negli Atti del Convegno "Il trust nell'ordinamento giuridico italiano", pubblicati nella collana Quaderni del Notariato, Milano, 2002, p. 17 e ss.).

Il concetto di preponderanza dell'organizzazione dei beni in trust, rispetto alla figura del soggetto trustee, ricorre in fattispecie di trust proprie del modello inglese, quali i charitable trusts, o del modello americano, quali i trusts per ospedali, opere d'arte: qui la la figura del trustee riveste un ruolo esclusivamente gestionale.

L'inquadramento del trust disciplinato dalla Convenzione de L'Aja nella categoria della soggettività di diritto resta problema tipicamente italiano, essendo la soggettività una ricostruzione dogmatica, frutto di elaborazione giurisprudenziale e dottrina.

«La Cassazione, seppure con riferimento ad altra fattispecie, ha individuato nei seguenti presupposti normativi i caratteri fondamentali per affermare la soggettività:

- la capacità patrimoniale;

- la capacità negoziale;

- la capacità processuale attiva e passiva;

Cominciamo dalla capacità patrimoniale.

Nel trust abbiamo un insieme di beni ordinati e organizzati in modo da garantirne la destinazione per il raggiungimento del fine prefissato o dell'interesse di un beneficiario.

Secondo presupposto atto ad individuare la soggettività è l'autonomia negoziale.

L'art. 2 della Convenzione prevede espressamente per il trustee l'investitura della funzione di:

- amministrare;

- gestire;

- disporre.

L'amministrazione e la gestione sono connaturali all'intersoggettività esistente fra trustee e trust.

Terzo presupposto per parlarsi di soggettività è la capacità processuale.

L'art. 11 della Convenzione prevede come effetto diretto del riconoscimento, indeclinabile dalla stessa legge scelta, la capacità del trustee di stare in giudizio, come attore e come convenuto, per il trust.

A sostegno di un inquadramento del trust convenzionale nella categoria della soggettività vi sono diversi argomenti letterali enucleabili dalla terminologia usata dalla Convenzione:

i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee (art. 2), i beni del trust non fanno parte del regime matrimoniale del trustee (art. 11), i beni del trust non fanno parte della successione del trustee (art. 11).

Se si trattasse solo di separazione patrimoniale, si dovrebbe comunque considerare il bene come personale del trustee.

Ma la qualificazione di un bene, come personale, significa inserire il bene, con tale specifica natura, nel patrimonio del trustee.

La lettera della Convenzione è diversa: "non fanno parte".

Per un trustee coniugato in regime di comunione legale, anche la qualifica di bene personale significa "fare parte".

L'esclusione dal regime matrimoniale significa, drasticamente, che i beni non fanno parte del patrimonio del trustee.

Non è semplice separazione, è alterità di soggetti.

Ed ancora affermare che i beni del trust non fanno parte della successione del trustee, significa dire che i beni del trust non fanno parte del patrimonio del trustee, non semplicemente che sono distinti dai suoi beni personali.

D'altra parte, non solo i beni in trust non cadono nella succesione del trustee, circostanza questa che da sola basterebbe ad escludere l'appartenenza al medesimo, ma va altresì considerato che il trust sopravvive alla morte del trustee o al cambiamento dello stesso, senza mai smarrire la propria identità.

Nè valga obiettare per negare la soggettività di diritto in ambito trust:

a. che il trasferimento previsto nella Convenzione è tra costituente e trustee, e non tra costituente e trust;

b. che l'art. 2 della Convenzione, lì ove dispone che i beni in trust sono intestati a nome del trustee, resterebbe «inspiegabile se titolare dei beni in trust fosse il trust stesso»;

c. che la soggettività di diritto è incompatibile con trust di breve durata.

In contrario si osservi:

sub a. che la Convenzione non parla di un trasferimento di beni tra costituente e trustee. La Convenzione usa un'espressione atecnica: i beni vengono posti sotto il controllo di un trustee.

In realtà ciò che è indispensabile è il mutamento nella relazione di titolarità che intercorre tra un determinato soggetto, il costituente, ed i diritti oggetto di trust, al fine di consentire l'attuazione del controllo del soggetto trustee.

Mutamento, che sicuramente può aver luogo anche ove il trasferimento dei diritti avvenga nei confronti di un trust soggettivizzato, nel quale il trustee attuerà il controllo sui beni nell'ambito di un rapporto di immedesimazione organica;

sub b. che la dizione dell'art. 2 della Convenzione, nella parte in cui dispone che i beni del trust sono intestati a nome del trustee, riproduce lo stesso rapporto che intercorre tra i beni di un'associazione non riconosciuta ed il rappresentante legale della stessa.

A mio avviso la Convenzione, quando stabilisce che i beni del trust sono intestati a nome del trustee, vuole ribadire il principio della necessità di una indicazione nominativa del soggetto che assume la veste di trustee, e non vuole riferirsi ad un concetto di titolarità in senso tecnico.

Ciò che è imprescindibile nel sistema della Convenzione, non è «l'intestazione del bene a favore di ... », quanto l'esigenza che venga indicato nominativamente, e quindi sia individuabile, quel soggetto (il trustee) su cui graverà quella specifica responsabilità legata al carattere di gestione ed amministrazione finalizzate dei beni in trust, soggetto, la cui residenza o sede degli affari costituisce, tra l'altro, uno degli elementi di valutazione per stabilire la legge applicabile al trust, oltre che assumere rilevanza in sede giurisdizionale.

A sostegno di quanto affermato, basti osservare che la Convenzione prevede che i beni del trust possano essere intestati ad altra persona per conto del trustee, anche se non agisce in suo nome.

Quindi il trust può esistere anche se i beni sono intestati a terzi, purchè per conto del trustee, fermo restando che anche in questo caso è la figura del trustee ad essere in primo piano, rappresentando l'intestazione dei beni un fatto puramente strumentale.

Infatti è innegabile che è l'attività del trustee ad essere diretta all'attuazione dello scopo del trust, e conseguentemente a carico del trustee permane la responsabilità inerente il controllo dell'operato del soggetto intestatario dei beni in trust;

sub c. il ricorso alla soggettività di diritto non deve nemmeno indurre a ritenere che siamo di fronte ad una fattispecie e ad un meccanismo particolarmente complesso, o che richieda tempi di particolare durata, e come tale di difficile applicazione nella pratica quotidiana.

La soggettività di diritto non risulta essere incompatibile con un trust di breve durata: basti pensare al comitato, al quale si riconosce unanimamente natura di soggetto di diritto, che potremmo costituire per una raccolta di fondi da esaurirsi in una sola giornata».

Se la teoria della soggettività sostanziale del trust può trovare giustificazioni in termini di principi e ricostruzione dogmatica partendo dal testo della Convenzione, e solo in linea astratta costituire un'ulteriore argomentazione a sostegno dell'imposizione proporzionale indiretta con riferimento al trust autodichiarato, in aggiunta alla considerazione della scissione funzionale delle posizioni soggettive disponente e trustee, è altrettanto vero che l'imposizione proporzionale dell'imposta sulla successione e donazione al trust autodichiarato avviene esclusivamente nel presupposto che abbia luogo – come sostiene l'Amministrazione finanziaria – un' attribuzione dei beni in trust, pur in assenza di formali effetti traslativi.

In realtà nella fattispecie in esame non dovrebbe parlarsi di «attribuzione dei beni in trust», bensì di mutazione del titolo a possedere in conseguenza dell'assunzione della nuova posizione soggettiva di trustee e del mutato status giuridico dei beni in trust.

In altre parole non si fa luogo ad «attribuzione dei beni in trust» né a «conferimento di beni al trust soggettivizzato», bensì a variazione nel titolo a possedere: il diritto permane nella precedente qualificazione giuridica; muta il titolo a possedere e le facoltà e gli oneri connessi all'acquisita posizione soggettiva di trustee.

L'insorgere di un centro autonomo di imputazione di diritti - ove si aderisca alla tesi della soggettività sostanziale - non è effetto della destinazione, bensì strumento per l'attuazione degli interessi beneficiari. Non deriva da un atto volitivo del disponente, bensì dalla qualificazione giuridica dello status dei beni sulla base degli effetti desumibili dal testo della Convenzione de L' Aja.

E come tale non dovrebbe consentire una valutazione in termini di "attribuzione" o "conferimento", bensì di trasformazione dello status giuridico dei beni in trust indotta dai meccanismi attuativi della Convenzione de L'Aja: di qui l'equiparazione del trustee al gestore, che vagamente ricorda il rappresentante legale degli enti associativi con soggettività giuridica.

In conclusione riterrei che nell'ipotesi di trust autodichiarato difetti la fase attributiva, e dovrebbe prevalere il momento di mutazione del titolo a possedere, nonchè l'evoluzione indotta dalla Convenzione nello status dei beni in trust, con conseguente inapplicabilità dell'imposizione indiretta proporzionale.

Altro principio sostanziale fondante che emerge dalla circolare, e che come tale ne condiziona le scelte applicative fiscali nell'ambito dei "c.d. vincoli di destinazione", è quello dell'unità causale, e cioè l'unicità della causa del negozio destinatorio.

L'unità causale fa si che in presenza di una destinazione di beni traslativa-attributiva, come tale soggetta all'imposta sulle successioni e donazioni, il criterio impositivo abbia come riferimento la posizione soggettiva del beneficiario, modulandone la tassazione sulla base di relazione parentale, coniugale o di affinità, e con la conseguenza che:

- ove il beneficiario non sia individuabile non saranno concesse franchigie;

- ove l'ulteriore attribuzione fiscale avvenga a favore dei beneficiari non si farà luogo ad ulteriore imposizione fiscale;

- ove l'attribuzione fiscale avvenga a favore di terzi la stessa sarà assoggettata all'imposta in base alla sua natura giuridica (successione donazione o registro).

Proprio con riferimento al trust l'Amministrazione finanziaria, già nella circolare n. 48 del 2007, ribadisce che il trust si sostanzia in un rapporto giuridico complesso con un'unica causa fiduciaria che caratterizza tutte le vicende del trust (istituzione, dotazione patrimoniale, gestione, realizzazione dell'interesse del beneficiario, raggiungimento dello scopo).

Ne deriva, come sottolinea la circolare 3/E 2008, che la devoluzione ai beneficiari, (e non a terzi in genere), dei beni vincolati in trust non realizza, ai fini dell'imposta sulle successioni e donazioni, un presupposto impositivo ulteriore; i beni, infatti, hanno già scontato l'imposta sulla costituzione del vincolo di destinazione al momento della segregazione in trust, funzionale all'interesse dei beneficiari.

A prescindere dal trust, l'unità causale fa sì che l'imposta sulle successioni e donazioni, dovuta sulla costituzione di vincoli di destinazione in genere, debba essere corrisposta al momento della costituzione del vincolo di destinazione, ove allo stesso si accompagni una vicenda traslativa attributiva.

Di grande pregio la ricostruzione dogmatica dell'Amministrazione finanziaria in termini di unità della causa, per quanto non appaia condivisibile il riferimento ad una unica causa fiduciaria, rappresentando il rapporto fiduciario elemento caratterizzante dell'affidamento gestorio, e non elemento della genesi negoziale destinatoria.

La ricostruzione dogmatica dell'unità causale va attribuita ad una parte della dottrina civilistica italiana (G. PALERMO, «Autonomia negoziale e fiducia (breve saggio sulla libertà delle forme)», in Riv. giur. sarda, 1999; ID., «Sulla riconducibilità del "trust interno" alle categorie civilistiche», in Riv. dir. comm., 2000; ID., «Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2001; ID., «Ammissibilità e disciplina del negozio di destinazione», in "Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative", Atti della Giornata di studio organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato, Roma - Palazzo Santacroce, 19 giugno 2003, in Quaderni romani di diritto commerciale a cura di di B. Libonati e P. Ferro-Luzzi, Milano, 2003; U. LA PORTA, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994; ID., «Causa del negozio di destinazione e neutralità dell'effetto traslativo», in "Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative", cit.; M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996; A. DE DONATO V. DE DONATO, M. D'ERRICO, Trust convenzionale, cit., p. 149 e ss.).

Dottrina che già nel passato si collocava su posizioni diametralmente opposte alla dottrina comparatistica italiana da sempre attenta alla tematica del trust (per tutti cfr. M. LUPOI, Trusts, Milano, 1997, p. 485 e ss.), la quale ultima respingeva l'unità causale ed andava a differenziare nel trust il negozio istitutivo, la cui causa è il programma, e il negozio di trasferimento a titolo gratuito od oneroso, con le conseguenze che la reciproca autonomia sarebbe totale, non alterata dalla possibile coincidenza documentale.

L'Amministrazione finanziaria aderisce all'impostazione dell'unità causale nel fenomeno destinatorio, in linea con gli attuali numerosi orientamenti della dottrina civilistica italiana che tende a rivalutare l'unità causale soprattutto nell'ottica applicativa dell'art. 2645-ter.

È la destinazione nell'interesse di un beneficiario o per realizzare un fine specifico che unifica momento traslativo e momento programmatico.

La metafora della pietra e della fionda, già utilizzata in sede dei lavori preparatori della Convenzione de L'Aja relativa alla legge applicabile ai trust ed al loro riconoscimento, rende bene l'idea.

Il destinante, scagliato il sasso, non può modificare la destinazione.

Il momento traslativo soggiace alla norma fissata per gli atti a titolo gratuito, ove ne ricorrano i presupposti.

Il momento traslativo – e la circolare non fa alcuna destinazione al riguardo – dovrebbe poter soggiacere anche alle norme fissate per gli atti a titolo oneroso, ove ne ricorrano i presupposti: si pensi ad una destinazione posta in essere in esecuzione di un contratto a titolo oneroso tra il destinante e un terzo.

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