L'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate
L'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate
di Vincenzo Busa
Direttore della Direzione centrale normativa e contenzioso Agenzia delle Entrate

Ringrazio la Fondazione del Notariato ed il Consiglio Notarile di Roma per l'interesse manifestato nei confronti dell'attività dell'Agenzia delle entrate.

La titolazione del Convegno, dedicato agli indirizzi operativi forniti con la circolare n. 3 del 2008, se da una parte testimonia l'interesse per il lavoro che stiamo portando avanti, dall'altra evidenzia la grande responsabilità di cui ci sentiamo onerati.

La giusta dimensione del fenomeno è stata delineata dal Notaio Formica quando ha richiamato la recente pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione sulla valenza degli atti interpretativi della Amministrazione finanziaria. In quella circostanza, accogliendo il punto di vista dell'Agenzia, la suprema Corte ha enunciato il principio, sicuramente condivisibile, secondo cui i nostri interventi sono diretti agli uffici e non esprimono in sé alcun valore giuridico nè sono vincolanti per i contribuenti. La controversia portata all'esame della Suprema Corte era stata instaurata dalla Regione Sicilia la quale aveva impugnato una nostra circolare; nel costituirci in giudizio abbiamo affermato il principio, poi accolto dalla Cassazione, che la nostra circolare non poteva in alcun modo vincolare né la Regione Sicilia né gli altri contribuenti.

La nostra produzione interpretativa risponde all'esigenza di uniformare il comportamento dei dipendenti uffici. L'uniformità degli indirizzi interpretativi assume una particolare valenza nel settore tributario, caratterizzata da una estrema frammentazione delle norme e da difficoltà applicative non facilmente superabili. In adesione alla medesima esigenza, condivisa dal Notariato, abbiamo costituito un gruppo permanente di lavoro che ci vede impegnati nella ricognizione di eventuali comportamenti non uniformi da parte degli uffici, con l'obiettivo di garantire, assieme alla corretta applicazione delle norme, anche e soprattutto l'uniformità dei comportamenti. Le difficoltà interpretative cui accennavo affiorano anche in relazione alle questioni trattate nella circolare n. 3. Non si ha la pretesa di aver centrato con quella circolare le soluzioni ottimali. Si è intervenuti, anche in questo caso, per mettere gli uffici in condizione di procedere in un'unica direzione. Va da sé che, qualora dovessimo riscontrare un contrario indirizzo giurisprudenziale ne prenderemmo atto.

Tutto sommato il filtro che misura la bontà delle nostre posizioni è l'interpretazione dei giudici. Siamo in una fase di avvio della riforma delle imposte di successione e donazione ed è quindi normale che chi si spinge per primo su una strada lastricata di difficoltà si espone a qualche rischio.

Il Convegno odierno è un'occasione propizia per discutere delle scelte operative. Non è da escludere che qualche aspetto, sfuggito in occasione della redazione della circolare n. 3, possa essere meglio focalizzato.

Nel corso della mia relazione tratterò della costituzione dei vincoli di destinazione, dei trust e successivamente dei negozi fiduciari e del coacervo.

La costituzione dei vincoli di destinazione è una figura giuridica nuova, recepita per la prima volta dal legislatore del D.l. n. 262. Essa viene richiamata come presupposto dell'imposta di donazione e successione. Al riguardo, il legislatore si è limitato a richiamare il concetto di costituzione di vincoli di destinazione senza aggiungere altro. Si è reso indispensabile pertanto far riferimento alle costruzioni teoriche per cercare di orientare anche gli uffici nell'applicazione delle nuove norme. Abbiamo quindi, già nella circolare n. 3, tentato una definizione di negozio costitutivo di vincoli di destinazione come negozio in virtù del quale determinati beni vengono destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni (ovviamente rispetto al patrimonio del disponente). è un effetto ravvisabile in tante figure negoziali: sicuramente nella costituzione dei trust, nei negozi fiduciari, nella costituzione del fondo patrimoniale previsto all'art. 167 c.c., nella costituzione di patrimoni destinati a specifici affari ex art. 2447-bis c.c.

Il vincolo che caratterizza dette figure negoziali può implicare il trasferimento dei beni ad un soggetto diverso dal disponente. Le diverse modalità attraverso cui si realizza l'effetto segregativo assumono ai fini dell'applicazione della norma tributaria rilevante importanza. Non può l'interprete disattendere l'effetto giuridico dei negozi oggetto di tassazione, ce lo ricorda – se ve ne fosse bisogno – l'art. 20 del T.U. di registro laddove si afferma il noto principio secondo cui gli effetti degli atti vanno enucleati in relazione alla sostanza e non alla forma, avendo riguardo proprio alle finalità giuridiche ed all'effetto nel sistema giuridico prodotto dall'atto stesso. Ciò significa che l'interprete deve necessariamente verificare gli effetti giuridici che la costituzione del vincolo di destinazione realizza per modo che il presupposto impositivo possa affermarsi soltanto in relazione alle costituzioni di vincoli di destinazione che come effetto giuridico si accompagnano a un trasferimento dei beni, cioè ad un effetto traslativo della proprietà. Da qui l'attenzione è stata focalizzata su uno degli aspetti caratterizzanti del vincolo di costituzione che è l'effetto traslativo della proprietà dei beni, più che sulla costituzione del vincolo. Meno convincente è risultata la tesi che vorrebbe individuare nel vincolo anziché nel trasferimento del bene l'elemento fiscalmente caratterizzante dell'istituto, in quanto non sembra offrire quegli elementi di certezza indispensabili ai fini dell'applicazione della norma. Al di là delle disquisizioni teoriche, il problema concreto si pone in sede di tassazione dell'atto, quando l'esigenza preminente è quella di avere dei riferimenti certi, oggettivi. E l'effetto traslativo è più facilmente e oggettivamente riscontrabile del vincolo di costituzione. D'altra parte non valorizzare l'effetto traslativo del negozio come riferimento puntuale ai fini dell'applicazione della norma avrebbe comportato delle conseguenze imprevedibili e poco giustificabili. Ad esempio sarebbe stato stravolto il regime fiscale di istituti come il fondo patrimoniale, da più anni consolidato nella prassi amministrativa secondo modalità unanimemente condivise. è sembrata quindi una scelta indefettibile valorizzare l'elemento del trasferimento della proprietà come riferimento certo ai fini dell'applicazione della norma senza il quale avremmo dovuto rimettere in discussione anche il trattamento fiscale del fondo patrimoniale, approdando a conclusioni sicuramente non volute dal legislatore. Con la tassazione degli atti costitutivi di vincoli di destinazione è da escludere, infatti, che il legislatore abbia inteso rimettere in discussione il trattamento dei fondi patrimoniali.

Certo la nostra tesi rischia di non includere nel perimetro impositivo fattispecie probabilmente meritevoli di tassazione, ma l'alternativa avrebbe comportato il rischio di assumere posizioni diverse a seconda della valutazione della portata dell'atto in ordine al configurarsi o meno del vincolo di costituzione. Si è optato per una soluzione pragmatica e realistica attribuendo rilievo determinante all'effetto traslativo del negozio. Resta inteso ovviamente che aver assunto il trasferimento dei beni come requisito essenziale ai fini della tassazione dei vincoli non significa smarrire il significato del vincolo e l'effetto obbligatorio che la costituzione del vincolo realizza, che è e rimane un elemento immanente della fattispecie impositiva, caratterizzata dal trasferimento di un bene gravato da vincolo di destinazione. Fuori dello schema definitorio della costituzione del vincolo, invece, sta l'eventuale ri-trasferimento dei beni vincolati; tale eventualità, che non rientra nella fattispecie tipica, sconta una tassazione autonoma e quindi sganciata da quello che è il trattamento della costituzione del vincolo di destinazione. Dopo aver scongiurato con tale interpretazione il rischio (da tanti paventato) di tassare con l'imposta di successione e donazione qualsiasi ipotesi di costituzione di vincoli di destinazione, ci siamo trovati di fronte ad un problema molto serio: chiarire il trattamento del trust, che rientra appunto nel genus degli atti costitutivi di vincoli di destinazione.

Il trattamento fiscale del trust merita alcune puntualizzazioni.

Al riguardo scontiamo una carenza normativa in un contesto che ci è parso tuttavia favorevole all'istituto del trust, istituto che il legislatore ha sicuramente inteso valorizzare e incentivare. Un'applicazione rigida del principio ispiratore della disciplina dei vincoli di destinazione, incentrato sul trasferimento dei beni, sarebbe risultato penalizzante per il trust. A voler applicare l'imposta tutte le volte in cui nell'ambito del trust si configuri un effetto traslativo, il presupposto si sarebbe realizzato sia al momento della dotazione dei beni (laddove naturalmente l'effetto traslativo si verifica, il che è molto ricorrente fatta eccezione per il trust autodichiarato) sia al momento del trasferimento dei beni dal trust ai beneficiari. Tale conclusione non valorizza però la peculiarità del trust rispetto agli altri vincoli di destinazione. Peculiarità desumibile da alcune disposizioni tipiche della disciplina fiscale del trust, non riscontrabili in altri vincoli di destinazione. Il trust invero è stato annoverato tra i soggetti passivi dell'Ires di cui all'articolo 73 del T.U. delle imposte sul reddito. La soggettività giuridica tributaria del trust, rilevante ai fini delle imposte dirette, si riflette sulla disciplina tributaria generale dell'istituto. Tale autonomia deriva sicuramente dalla causa giuridica unitaria che contraddistingue l'istituto, la quale porta a valorizzare l'effetto segregativo dei beni e, quindi, la peculiarità dell'istituto e la sua soggettività tributaria. Ciò sostanzialmente sposta l'attenzione dall'effetto traslativo della proprietà all'effetto costitutivo del vincolo, con la conseguenza di poter risolvere i problemi prima accennati: evitare cioè di tassare tutti i trasferimenti di beni che il trust comporta – o può comportare – per tassare la costituzione del trust in sé, nel momento in cui si realizza l'effetto segregativo-limitativo dei beni conferiti.

In conclusione, la costituzione del trust non può essere indifferente ai fini dell'imposta di successione e donazione. Anch'essa realizza la costituzione di un vincolo di destinazione ed in quanto tale deve sottostare necessariamente alla norma impositrice di cui all'art. 2, comma 49 del D.l. n. 262; il trasferimento, invece, dei beni ai beneficiari non esprime un'autonoma capacità contributiva ed in quanto tale non va assoggettato a tassazione. Tale sofferta ricostruzione della disciplina consente di approdare a soluzioni equilibrate ed eque, senza naturalmente escludere a priori la possibilità di rimediare ad eventuali passaggi interpretativi che dovessero rivelare particolari criticità.

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