Osservazioni e casistica in tema di trasferimenti fiduciari
Osservazioni e casistica in tema di trasferimenti fiduciari
di Giorgio Baralis
Notaio in Casale Monferrato
Il negozio fiduciario
Le mie osservazioni sono sostanzialmente dirette ad esaminare i problemi del negozio fiduciario inter vivos; mi ritaglio questo spazio specifico perché, dal punto di vista del traffico giuridico che riguarda le funzioni notarili, questa è l'ipotesi più interessante.
Il profilo del negozio fiduciario, che qui si accoglie, è quello tradizionale espresso da una giurisprudenza costante e dalla dottrina più qualificata [nota 1], arricchito da approfondimenti giurisprudenziali e di dottrina (Lupoi, Palermo ad esempio), da riferimenti alla materia del trust e dagli sviluppi legislativi dell'art. 2645-bis e ter.
Alcuni spunti rapidissimi ma fondamentali che servono da introduzione alla casistica sotto riportata.
a. La "segretezza" molto spesso accompagna il pactum fiduciae (per ragioni creditizie, per ragioni fiscali - ma esiste l'art. 37, terzo comma D.P.R. 600/1973! -) non è caratteristica fondamentale del trasferimento fiduciario; è solo caratteristica storica e anzi è motivo di confusione con l'interposizione fittizia.
b. Si pone il problema della causa per la cessione dall'affidante all'affidatario o l'acquisto dell'affidatario su incarico dell'affidante; deve essere causa gestoria, ma nel documento, anche segreto, va indicata come «programma e ragione» [nota 2].
- La causa va espressa nel pactum fiduciae e "deve" risultare.
- Si oscilla fra l'esigenza di una mera indicazione del pactum fiduciae e quella di una indicazione più dettagliata dell'incarico fiduciario [nota 3], salvo ritenere la confluenza della fiducia in una causa più complessa, espressione di un negozio più ampio [nota 4].
c. Quanto alla forma: al di là di qualche oscillazione giurisprudenziale allorchè si tratti di immobili, l'incarico fiduciario sia per ragioni di corrispondenza con il negozio traslativo sia per l'expressio causae deve risultare per iscritto [nota 5].
Su questo problema della forma indugiamo perchè mentre in linea di massima si ritiene che per ragioni di simmetria il patto fiduciario debba avere medesimezza di forma [nota 6], in altri contesti si ritiene che [nota 7] un riconoscimento di affidamento fiduciario possa nascere ex post, senza previo incarico scritto a suo tempo. Se ne parlerà anche oltre in tema di negozio con causa "incerta".
Anzi si scrive che ex post ben può aversi un riconoscimento di affidamento fiduciario né più e né meno di quanto capita in tema di trust auto dichiarato [nota 8], ma, lo si ripete, questa risultanza ex post, perfettamente coerente con il trust, non lo è altrettanto in un sistema ove il trust è solo "recepito" [nota 9].
d. La difesa del fiduciante contro gli abusi del fiduciario si avvale, modernamente, di un ventaglio di opzioni: previsione di penali a carico del fiduciario, condizioni risolutive (autorizzazioni del fiduciante in caso di alienazioni a terzi), vincoli ex art. 2645-ter, esistendone ovviamente le condizioni, applicazione dell'art. 2932 c.c. Quest'ultima "difesa" non è cosa da poco, così si faccia l'ipotesi che il fiduciario abbia acquistato per conto del fiduciante e questi si faccia rilasciare (in ipotesi di fiducia segreta) un mandato con rappresentanza ad alienare il bene anche a sè stesso [nota 10], mandato, si noti, che si può trascrivere tardivamente ed eventualmente, superando indirettamente il limite del triennio di cui all'art. 2645-bis c.c.; oppure, nel caso di mandato ad acquistare, il fiduciante potrà richiedere una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. [nota 11], e anche il mandato sarà trascrivibile come fonte dell'obbligo di trasferire [nota 12], anche se è dubbia la trascrivibilità prima dell'acquisto da parte del fiduciario [nota 13].
e. Non è qui possibile scrivere circa i rapporti fra il negozio fiduciario e il vincolo di cui al novello art. 2645-ter [nota 14]. Mi limito a precisare che:
- l'art. 2645-ter è "da usare" quando si voglia rafforzare la destinazione come termine e come difesa;
- il vincolo non importa necessariamente l'effetto della segregazione, le parti infatti ben possono volere un effetto "minore" [nota 15].
- la destinazione si deve accompagnare ad una "disciplina" del rapporto, della qualità del diritto che compete al beneficiario che è «estranea all'art. 2645-ter e rientra, invece, nell'affidamento fiduciario» [nota 16] .
Casistica
La premessa è che molto spesso il trasferimento fiduciario è destinato a realizzare una proprietà smembrata ove il fiduciario ha la proprietà formale, ma il fiduciante continua ad avere un interesse sostanziale di tipo proprietario o perlomeno un fortissimo controllo sull'operato del fiduciario. Queste situazioni sono sostanzialmente estranee al trust e marginali rispetto all'art. 2645-ter c.c.; per quest'ultimo certo il destinante vorrà spesso avere problemi di controllo, ma quasi sempre il destinante ha "abbandonato" il bene a beneficio del/dei terzi con uno scopo dichiarato e fissato, per il trust poi si hanno posizioni che ricordano la posizione di sham trust [nota 17] e quindi di invalidità.
Dal punto di vista notarile le ipotesi di trasferimento fiduciario o di affidamento fiduciario per inglobare una casistica più numerosa, sono veramente molte: dai mandati ad alienare con l'intesa che il mandatario si possa soddisfare sul prezzo, dal trasferimento a scopo di garanzia con l'intesa che in caso di inadempienza all'obbligazione laterale il cessionario possa pagare un prezzo arbitrato come prezzo "giusto" (non patto commissorio, ma patto marciano), dal patto di riempimento rispetto ad una cambiale in bianco, ecc.
Merita solo segnalare, anche se si tratta solo di uno spunto, gli approfondimenti svolti dalla dottrina moderna per il caso dell'interposizione reale; richiamarsi alla disciplina del mandato "impoverisce" la fattispecie in caso di affidamento fiduciario in ragione dei poteri sostanzialmente "non proprietari" e di controllo che fanno capo al mandatario e che limitano la proprietà del mandante e che (possono) instaurare una vera dialettica fra le due posizioni rispettivamente del mandante e del mandatario [nota 18]. Le ipotesi, invece, che qui prenderemo in considerazione sono diverse, molto particolari, ma decisamente "moderne" dal punto di vista dell'utilità per il commercio giuridico.
1) Il trasferimento con causa "incerta" (l'espressione è usata evidentemente in maniera affatto descrittiva).
Può essere utile trasferire gratuitamente ma con l'intesa che il negozio non sia definitivo, non tanto, o non solo, in ragione di una "ripresa" dello stesso da parte del cedente, ma in ragione di una diversa (più opportuna) sistemazione patrimoniale nell'ambito familiare. L'esempio è quello di una serie di donazioni distribuite "con approssimazione" nel tempo a favore dei familiari ove si voglia, ad un certo momento, redistribuire, ragionevolmente, quanto ceduto senza utilizzare donazioni "di ritorno" o peggio ancora donazioni fra i donatari, con gravi problemi fiscali, successori per quanto concerne la riserva, bancari, ecc.
Può essere utile a questo punto, in luogo di donare, utilizzare lo schema della cessione gratuita non liberale fiduciae causa. Al momento opportuno il cedente potrà operare nel modo che riterrà più opportuno: rimettendo il credito, imponendo il trasferimento parziale o totale a favore di altro familiare, imponendo la vendita per distribuirne il ricavato.
Nello spirito, sempre, di chi vuole riservarsi la possibilità di determinare con maggior precisione e adeguatezza beni e valori trasferendi ai familiari, si possono ipotizzare donazioni nelle quali figura un modo in forza del quale il donatario di più beni, entro certi limiti di tempo, dovrà ritrasferire, se così deciderà un terzo designato, un bene o più beni, nei limiti di un determinato valore, a un legittimario determinato dal terzo stesso; è una applicazione del mandato ex art. 778, che può servire a "correggere" sproporzioni, inadeguatezze sopravvenute, nuove urgenze che incidono su qualche familiare, il tutto secondo i principi di un incarico fiduciario "laterale" che il terzo dovrà valutare.
2) Inserimento di condizioni potestative risolutive o sospensive ove la volontà sarà espressa in un senso o nell'altro sulla base di un pactum fiduciae che a sua volta si collega di solito all'avvenimento di circostanze future, in questi casi, come si vede, la condizione è in realtà mista, e il pactum fiduciae è segreto in ragione delle motivazioni più diverse.
Particolarmente interessante è il caso in cui la condizione è rimessa alla volontà di un terzo che deve giudicare circa un certo avvenimento (perlopiù il comportamento "corretto" del cessionario, che ad esempio ha bene adempiuto ad una obbligazione di fare). In questi casi il terzo ha una funzione in senso molto lato simile a quella del protector nel trust.
3) Conformemente all'opinione più diffusa e autorevole [nota 19] l'interposizione reale non esaurisce certo il campo degli affidamenti fiduciari. In particolare l'interposizione reale si dimostra uno schema rozzo allorchè l'intestazione fiduciaria abbia di mira un complesso organizzato "vivo" come l'azienda; il trasferimento fiduciario in questo caso ha ampi margini di applicazione quando si tratti di aziende la cui titolarità è "riservata" come l'esercizio farmaceutico, o l'esercizio di rivendita di generi di monopolio.
Una dottrina autorevole, per quanto concerne l'esercizio farmaceutico, [nota 20] scrive di affidamento fiduciario per un certo tempo con obbligo di ritrasferimento allorchè il fiduciante abbia i requisiti di legge, ma in realtà questo schema è inappropriato. Molto meglio l'associazione in partecipazione dove all'associato (fiduciante) possono darsi vantaggi patrimoniali e (limitati) poteri amministrativi da parte dell'associante (fiduciario); è evidente che questo schema inserisce la fiducia nell'ambito di un contratto più complesso ove la fiducia appare un "segmento" dell'intento empirico, come prima scritto.
Lo schema dell'associazione in partecipazione è largamente usato [nota 21] e si rivela particolarmente efficace perchè, tramite un meccanismo di autorizzazione risultante dalla pubblicità camerale, permette di rendere conoscibile ai terzi il potere dell'associato di condizionare l'alienazione dell'esercizio; il potere dell'associato di recedere con diritto alla sua liquidazione da realizzarsi con la vendita dell'esercizio; il diritto a realizzare forti utili in ragione dell'apporto di capitale a fronte dell'apporto d'opera. Se è vero che la fiducia rappresenta una dissociazione fra diritto e interesse (Sacco, Roppo), affermazione che si condivide, bisognerà in questi casi, però, valutare con grande ponderazione il "limite" dei poteri sostanziali del fiduciante per evitare la fraus legi; riesce particolarmente difficile individuare il punto critico: così è da ritenere valido, nell'ambito dell'accordo fiduciario complessivo, il mandato a vendere la farmacia dato dall'associante (fiduciante) al fiduciario associato e il mandato dato a quest'ultimo a tenere la contabilità dell'esercizio [nota 22], ma poteri amministrativi più ampi sono largamente dubitabili quanto a validità. Altro schema utilizzabile è l'impresa familiare per la quale ricordiamo l'effetto utile della collaborazione è esteso ormai anche al convivente [nota 23]; anche in questa ipotesi la dissociazione fra diritto e interesse può essere marcata perchè la titolarietà sarà dell'imprenditore farmacista, ma, considerati i larghi poteri che possono spettare, negozialmente, al collaboratore (diritto di veto su certe decisioni, autorizzazioni, ecc.) l'istituto si presterebbe ad applicazioni di tipo fiduciario ove la titolarietà formale spetta all'imprenditore, ma è l'associato che è massimamente interessato in ragione del suo apporto di capitale. Senonchè la figura non può avere effettive, pratiche, utili applicazioni per le ragioni fiscali che limitano la partecipazione agli utili del collaboratore.
Un percorso interessante: dalla donazione perfezionata dalle parti alla sua riqualificazione come cessione gratuita fiduciaria, oppure: modifica della stessa con inserimento di elemento accidentale successivo o stipula di negozio modificativo degli effetti
Il caso è di particolare rilevanza, anche se pone difficili, molto difficili problemi di tipo dogmatico.
Una precisazione molto importante, e se ne vedrà subito la ragione, il caso in esame suppone una donazione, quasi sempre nell'ambito familiare, che mette (rectius: potrà mettere) in discussione in futuro il diritto del o dei legittimari, con eventuale pericolo di proposizione di azione di riduzione e con effetti successivi nei confronti dei terzi aventi causa dal donatario.
Le ipotesi che prenderemo in considerazione sono due.
Il primo caso: si può riqualificare come cessione gratuita non liberale, ma fiduciaria, una donazione pregressa, oppure modificarne la causa pregressa nel senso di cui prima con un nuovo negozio? [nota 24] La questione è di particolare rilievo in ragione delle grosse difficoltà che gli enti mutuanti fanno, come è noto, per erogare finanziamenti a fronte di provenienze liberali in ragione del disposto dell'art. 563 c.c.; una mutazione causale nel senso di cui sopra spianerebbe ogni difficoltà, ovviamente; rimarrebbero interessi da regolare fra cedente e cessionario, ma questo è evidentemente "altro" problema [nota 25]. Una eventuale risposta positiva deve bandire una soluzione che importi il "ritorno" del bene al donante (una soluzione novativa, detto grosso modo) e quindi una sua nuova disposizione, dato l'evidente costo fiscale [nota 26]; deve, poi, evitare soluzioni che importino pericoli di riunioni fittizie inconsistenti sì dal punto di vista sostanziale, ma formalmente possibili, come sarebbe se il donatario "ritornasse" il bene al donante, tramite un negozio risolutorio, ad esempio.
Il secondo caso: può l'accordo fiduciario inserirsi successivamente, pur senza modificare l'aspetto causale, ponendosi semplicemente come limite dell'attribuzione precedente? Sempre rifacendosi al caso emblematico di cui prima ci si chiede se sia possibile introdurre successivamente nella donazione un modo che preveda, ad esempio in caso di vendita del bene, che il corrispettivo sia incamerato dal donante stesso e che di fatto ciò storicamente poi accada; è evidente che tale onere sarebbe sostanzialmente simile all'introduzione tardiva di un potere di disporre ex art. 790 c.c., ma è interessante porsi il problema della possibilità di un inserimento "tardivo" di modo o condizione, senza immutazione causale e senza dar luogo a "controvicenda". Potrebbe anche, in questo contesto, inserirsi il quesito della ammissibilità di un inserimento tardivo di un pactum fiduciae nell'ambito di una donazione pura in cui l'incarico fiduciario sia quello stesso dell'onere come sopra descritto. Vediamo distintamente le due ipotesi premettendo un punto importantissimo: il problema che ci poniamo è particolarmente correlato a quelle liberalità che si inseriscono nell'ambito della famiglia e che coinvolgono interessi di familiari la cui tutela è data dall'istituto della legittima.
La prima. Per la verità il "caso" suppone un maggior approfondimento di tutte le ipotesi finitime alla variazione causale. Si possono prospettare, infatti, queste subipotesi:
a. o le parti dichiarano la simulazione della donazione e dichiarano dissimulato il trasferimento non liberale, ma fiduciario;
b. o dichiarano che la donazione era in realtà una cessione gratuita fiduciaria e ciò è capitato in forza di un errore comune compiuto dai contraenti;
c. oppure, ipotesi più interessante, le parti acclarano che alla base del negozio esisteva un presupposto tacito che le parti "esplicano" con un negozio successivo e in forza di tale presupposto viene meno l'effetto della liberalità (ad esempio il semplice bisogno del donante, dallo stesso dichiarato, lo legittimava ad una alienazione ex art. 790 c.c.);
d. o riqualificano causalmente la donazione pregressa la quale viene dichiarata come una cessione gratuita fiduciaria; la riqualificazione avrebbe fra le parti effetti retroattivi, ma, evidentemente, non coinvolgerebbe i terzi per i quali la riqualificazione avrebbe effetto dalla trascrizione del relativo atto. Una variante di questa soluzione, come scritto, è il negozio che, ex nunc, modifica causalmente la donazione pregressa o inserisca tardivamente un modus il cui contenuto è il ritrasferimento al donante.
L'ipotesi di cui al punto c) è interessante, ma la sua complessità (dal punto di vista teorico) meriterebbe una trattazione apposita qui non possibile [nota 27], anche se dal punto di vista pratico forse sarebbe la soluzione più facile perché evita gli interrogativi che ci porremo alla fine di questo lavoro. Preciso solo che probabilmente è un pregiudizio ritenere che una tardiva esplicitazione nel senso di cui sopra mascheri in realtà un fenomeno simulatorio; chi ha pratica di contrattazioni sa, invece, che molto spesso le liberalità nell'ambito familiare hanno il comune presupposto che le stesse non nuocciano alla libera contrattazione del donatario e che se tale "presupposto" si verifica il bene possa essere rimesso in circolo dal donante stesso (senza "ritorno" a quest'ultimo, però) che provvederà diversamente nei confronti del donatario. Quindi non può dirsi peregrina l'idea di un comune presupposto per cui se il donatario dovesse alienare per qualsiasi motivo sarà il donatario a trasferire per conto del donante, rivalendosi il primo sulla somma di denaro. Semmai si potrà dire che un presupposto così complesso è problematico da esprimere dogmaticamente [nota 28] in una pattuizione con effetti così precisi.
Fermiamo invece l'attenzione sull'ipotesi di cui al punto d).
L'argomento che riassume in sé oltre a importanti risvolti pratici anche raffinati problemi dogmatici.
Mi sembra buona cosa procedere per passi successivi.
Vi sono casi in cui la riqualificazione o il negozio modificativo della causa o in genere la modifica causale non pongono particolari problemi oppure non importano problemi particolari se e in quanto si accetta una certa impostazione dogmatica.
Il negozio, ad esempio, che immuti la ragione causale del precedente preliminare di vendita notarile (da dare a dare e facere ad esempio) non pone problemi di alcun genere se non quello della necessità o meno di provvedere alla trascrizione del negozio modificativo [nota 29] e la ragione è evidente: tale preliminare ha effetti obbligatori, almeno secondo la tesi prevalente, e quindi la modifica della situazione strumentale ben può essere effettuata e trascritta prima che si verifichi la situazione finale.
La conclusione è la stessa per quei casi, anche se rari, in cui la causa del negozio è ab origine incerta, come capita nelle ipotesi in cui sia incerto se il costo del modo sia superiore al valore dell'attribuzione fatta al donatario [nota 30], con la conseguenza che solo "dopo" il perfezionamento del negozio si saprà se alla fin fine la fattispecie è liberale o meno. Questa conclusione per la verità, considerato l'art. 793, secondo comma, suppone che l'onere che depaupera completamente la donazione realizzi in realtà un contratto oneroso [nota 31], tesi su cui non concordiamo, ma che certamente ha piena dignità e certo merita considerazione [nota 32]; in questi casi l'incertezza è collegata a circostanze genetiche pur se correlate a fatti sopravvenuti e il mutamento della causa, che in un primo tempo appare liberale e quindi, in certe ipotesi, tale più non risulta successivamente, è conseguenza pienamente accettabile. In questi casi il mutamento causale è necessitato se si ritiene, come ritengo, che la distinzione fra negozio oneroso/gratuito importi necessariamente di per sé modificazione causale [nota 33].
Problemi già più complessi si pongono allorchè si voglia inserire un negozio con effetti traslativi compiuto e perfetto in un nuovo ambito negoziale ove si voglia riqualificare causalmente il primo. Il caso proposto è stato oggetto recentemente di particolare attenzione in sede studi sul nuovissimo patto di famiglia; ci si è chiesti, cioè, se sia possibile l'inserimento tardivo di una pregressa donazione aziendale in un patto ex art. 768-bis c.c. La dottrina, pur con cautela, ha risposto positivamente al quesito [nota 34]. Qualcuno (Baralis) ha ritenuto che il caso sia accostabile all'introduzione successiva di un patto di riscatto in una vendita o, accolta l'idea della causa in concreto anche collegata ad elementi accidentali [nota 35], ad un negozio modificativo di condizione apposta a negozio precedente [nota 36]; altri ha ragionato nel senso che si tratterebbe di una pattuizione integrativa che non tocca gli effetti realizzati ma gli effetti "persistenti e futuri" (Amadio). In ogni caso sarebbe un negozio apprezzabile ex art. 1322 c.c. e quindi legittimo.
Nel caso di cui prima, però, si rimane nell'ambito della fattispecie donativa e può essere effettivamente dubbio se si tratti di riqualificazione o mutamento causale o di negozio che incide su meri effetti successivi, rimanendo immutata la causa donationis pregressa.
Le due tesi sopra indicate sono sostanzialmente vicine, ma indubbiamente la prima ha effetti più dirompenti, mentre la seconda ha una impostazione dogmatica più "morbida" e trova anche qualche preciso riscontro giurisprudenziale. Ecco ad esempio una risalente pronuncia della Suprema Corte che può dirsi in termini: « … questo è il fenomeno della renovatio contractus o negozio riproduttivo, cioè il fenomeno, pienamente ammissibile nel nostro ordinamento improntato all'autonomia negoziale, che le parti pongano in essere, dopo un precedente negozio, uno successivo che abbia il medesimo contenuto, cioè lo riproduca come contenuto, con la volontà che pur rimanendo in vita l'originario rapporto e quindi senza sostituzione di rapporti (nel qual caso si avrebbe un fenomeno non più meramente rinnovativo, ma novativo), si abbia la sostituzione dei negozi, cioè il rapporto medesimo sia d'ora in poi regolato non più dal negozio, sostitutivo ma dal negozio sostituito (corsivo nostro)» [nota 37]; evidentemente in questa nuova regolamentazione si potrà prevedere qualche aspetto - accidentale - ulteriore che modifichi gli effetti residui. Ora, quale che sia la tesi che si vuole seguire, è comunque giocoforza affrontare un egual problema: è possibile riqualificare un negozio pregresso causalmente o almeno regolare diversamente ulteriori effetti dello stesso senza che tale volontà debba necessariamente "passare" attraverso la rinnovazione del negozio, da intendersi come risoluzione del precedente negozio e creazione di uno nuovo? Quest'ultima soluzione "radicale" è infatti proposta da una autorevole dottrina per la quale «le parti non possono alterare la modalità cronologica del negozio (che fa, poi, tutt'uno con la posizione nell'ambito delle fattispecie giuridiche), e spostarlo da uno ad altro momento del tempo. Quando le parti, come segue nella pratica, cambiano la data del negozio, non si limitano a mutare la indicazione del tempo del fatto (il che sarebbe irrilevante), ma pongono nel nulla il negozio anteriore e ne utilizzano il testo per compiere un nuovo negozio» [nota 38]. Ovviamente se questa conclusione vale per il cambio di data, a fortiori deve valere per altre modifiche più rilevanti.
A me pare che questa soluzione sia frutto di un dogmatismo rigido non accettabile [nota 39] e sia, invece, sicuramente possibile logicamente e anche dogmaticamente riconoscere che gli effetti non ancora definiti e possibili di un negozio compiuto siano per il futuro diversamente regolati [nota 40]. Ma si può a mio parere andare oltre e ammettere che il precedente negozio possa qualificarsi in maniera causalmente diversa nel senso che i suoi effetti, consolidati oppure futuri, rimangono come sono avvenuti o sono previsti ma vengano qualificati, etichettati diversamente [nota 41]. Anche in quest'ultimo caso la riqualificazione vale, per i terzi, ovviamente per il futuro e quindi mi sembra che la "parentela" fra le due tesi non sia disprezzabile. La differenza, però, sul piano pratico, esiste e non è di poco conto e consiste in ciò: per la prima tesi il negozio che regola diversamente gli effetti non è suscettivo di pubblicità dichiarativa (molto discutibile la pubblicità notizia tramite annotazione, valendo la tassatività anche per le "modalità" pubblicitarie) perché non si saprebbe a quali effetti ex art. 2643 siano ascrivibili gli effetti del nuovo negozio, mentre per la seconda si può ragionevolmente sostenere che la riqualificazione causale "entra" nella pubblicità dichiarativa perché «non è ammissibile la considerazione dell'effetto giuridico separato dalla causa» [nota 42]. è evidente l'utilità, nel caso di specie, della pubblicità dichiarativa.
Bene: cerchiamo adesso in maniera più analitica e persuasiva di dar conto del perché sia possibile un negozio di riqualficazione causale di precedente negozio o, perlomeno, un negozio che, attraverso l'inserimento "tardivo" di clausole contrattuali, modifichi ex nunc la causa o gli effetti di un pregresso negozio; in effetti si tratta di difficoltà non di poco conto perché «sul piano dogmatico … l'immagine della riqualificazione causale … attrae fatalmente il discorso verso il "buco nero" … della reiterazione negoziale» [nota 43].
Esaminiamo l'ipotesi in cui si hanno (rectius: si possono avere) mutamenti causali in forza di clausole o pattuizioni aggiunte successivamente alla contrattazione e nei contratti che importino una vicenda costitutiva di diritti reali. Punto di partenza è il rilievo che la causa del negozio va individuata in concreto [nota 44] e quindi "decisiva", dal punto di vista causale, può essere (si ragiona sempre in termini di eventualità, evidentemente) anche una pattuizione che coinvolga una condizione o altra clausola laterale (la previsione di una sanzione ex art. 793, ult. comma c.c. per un onere). Qui la casistica appare ampia, ma ci interessano quei casi in cui si voglia incidere sugli effetti reali, già verificati, introducendo una condizione sospensiva o risolutiva o una clausola che preveda un diritto di riscatto o una clausola che abbia un valore similare ad una condizione risolutiva, quale potrebbe essere una condizione di reversibilità o una pattuizione ex art. 790 c.c. [nota 45] Ci interessano soprattutto le clausole che incidano sugli effetti reali, proprio per la rilevanza diretta, anche sotto l'aspetto pubblicitario, dei loro effetti sulle vicende dei diritti reali, ma per la verità, come si vedrà oltre, sono pure degne di interesse quelle che riguardano aspetti di carattere obbligatorio - l'introduzione successiva di un modo, la pattuizione, sempre successiva, della sanzione di risoluzione per inadempimento in ordine ad un modo, ecc.- , se e in quanto possono importare mutamenti causali [nota 46].
Alcune considerazioni.
a - Poniamoci il problema della possibilità di cambiare, modificare un elemento accidentale di un negozio, e cioè la condizione o il termine: è possibile? In che limiti in caso di risposta positiva? Può avere la vicenda un risvolto dal punto di vista causale?
In sede di pubblicità immobiliare si scrive che è, in primis, un problema di diritto sostanziale quello circa la legittimità di modifiche successive degli elementi accidentali del negozio, di pattuizioni con efficacia reale, o addirittura l'inserimento tardivo di condizioni, termini, pattuizioni reali [nota 47]; l'affermazione mi sembra esatta. Ora dal punto di vista sostanziale a me pare che laddove gli effetti si siano "verificati", una modifica successiva ponga gravi problemi. Pur non approfondendo la cosa a me pare che l'inserimento "tardivo" ad esempio di una condizione sospensiva possa ben significare un ritrasferimento dall'avente causa al dante causa e quindi un nuovo trasferimento "condizionato" dal secondo al primo e ciò per ragioni intuitive e cioè perché si "nega" un trasferimento che già si è compiutamente verificato; altrettanto per un termine iniziale; altrettanto, salvo quanto infra, per una riserva di proprietà che si voglia inserire tardivamente; altrettanto per una clausola ex art. 1401 c.c. Diverso il caso in cui l'effetto definitivo venga riconfigurato come un effetto caducabile in forza di un evento successivo eventuale o sicuro; in questo caso non si pregiudica un evento passato, cancellandone la sua realtà giuridica (il vecchio brocardo factum infectum fieri nequit), ma semplicemente si mette in discussione la sua stabilità futura [nota 48]; stesse conclusioni se si modifica una condizione (sospensiva o risolutiva) o un termine "in corso" e con l'intesa che la modifica può essere di vario tipo, ad esempio escludendo il carattere unilaterale di una condizione programmata come tale [nota 49]. Ammessi quindi negozi modificativi entro i limiti di cui sopra, nasce il problema di ammetterne la pubblicità e i relativi modi. Infatti si scrive che modifiche o inserimenti successivi di condizioni non sono suscettivi di trascrizione o perché non sono ammesse modifiche al diritto di proprietà o perché, trattandosi di diritti reali di godimento, si tratterebbe di vicende non risultanti dall'art. 2643 c.c. [nota 50]; lo stesso autore, in qualche ipotesi, è vero, ammette la possibilità di un inserimento tardivo di pattuizione reale (il diritto di riscatto), ma per la sola e unica ragione che tale pattuizione viene qualificata in termini di vincolo di indisponibilità suscettivo di autonoma trascrizione [nota 51]; va da sé che anche la riserva di proprietà di cui all'art. 1524 c.c., se intesa come una forma anomala di garanzia [nota 52], ben potrà pattuirsi "dopo" e ammettersi una trascrizione successiva [nota 53]; si tratterebbe di pattuizione che non incide su un effetto definitivo direttamente, ma solo "diversamente" in quanto garanzia collegata ad un pagamento semplicemente dilazionato nell'atto base.
A me sembra che, nei limiti di cui sopra si badi, siano ammessi tutti gli atti modificativi di elementi accidentali e siano soggetti a relativa pubblicità [nota 54]: il punto è che non è facile distinguere le ipotesi in cui il mutamento di un elemento accidentale (ad esempio modifica di un termine finale di un diritto di superficie) è modifica del diritto in senso proprio e quando invece la modifica si pone su un piano che è, o almeno può essere, causale (ad esempio convenzione in cui si predica che una certa condizione è posta non nell'interesse di ambedue le parti, ma nell'interesse unilaterale di una sola) [nota 55].
b - Comunque, ragionando in termini di "concretezza" della causa, sembra di dovere concludere che, almeno in certi casi, la successiva modifica di un elemento accidentale "può" importare una variazione causale in termini di valutazione di causa "in concreto".
Questo risultato tratto dall'esame dei mutamenti relativi agli elementi accidentali si può estendere ai mutamenti causali nascenti da convenzioni di tipo diverso; non sarebbe ragionevole ammettere una variazione causale per un inserimento successivo di un elemento accidentale e invece non riconoscere che, entro certi limiti come si dirà subito dopo, le parti non possano modificare la ragione causale di una vicenda fra loro intervenuta direttamente, senza che vi sia l'inserimento di un elemento accidentale.
Raggiunto questo risultato, per escludere che vi siano vicende estintive e/o costitutive di diritti, bisogna ragionare in termini di compatibilità o incompatibilità causale, perché se il mutamento di causa è radicale (ho donato e dopo convengo che la cessione non sia gratuita ma onerosa o viceversa) si può affermare che vi sia un "ritorno" del bene al donante seguito da una vendita [nota 56]. Si badi, però, che neppure in questa ipotesi davvero radicale, è d'obbligo concludere, sempre, per una doppia vicenda; è certo la conclusione più facile, ma non è una via obbligata, basti pensare all'ipotesi di una transazione, ex art. 1965 primo comma c.c., che si limiti a superare una incertezza negoziale definendo una causa originaria, che appare gratuita, come onerosa: la causa della transazione, in questo caso, importa certamente una vicenda modificativa (in senso lato perché anomala rispetto alle altre di cui all'art. 2643 c.c.) [nota 57] del diritto dal punto di vista causale, con specifica trascrizione, ma non un doppio trasferimento.
Comunque altro è il nostro caso che non importa una tale diversità; si tratta sempre di un trasferimento gratuito e quindi vi è un alto grado di compatibilità causale che non importa affatto la necessità di pensare, dal punto di vista dogmatico, a ritrasferimenti. Questa conclusione mi sembra evidente se si ammette, come mi sembra sicuro per le ragioni di cui sopra, la possibilità di introdurre tardivamente nella donazione una condizione risolutiva potestativa a favore del donante: non è la stessa cosa di un trasferimento gratuito fiduciario, ma l'ipotesi gli è molto vicina.
Del resto questo principio di "compatibilità" lo si può ravvisare in ipotesi diverse ma, per certi versi, simili: allorchè, ad esempio, si tratta di individuare, ai fini della pubblicità immobiliare, se il negozio che "cambia" il diritto di usufrutto in uso o viceversa, sia un negozio modificativo o dia luogo ad una doppia vicenda (estintiva-costitutiva) la dottrina che sceglie la prima tesi la giustifica affermando che si tratta di vicenda modificativa proprio per quelle ragioni di "compatibilità" (in questo caso a livello di diritti reali evidentemente) di cui prima si è scritto [nota 58]. Del resto a livello novativo, anche se quindi in una materia tipicamente obbligatoria, la dottrina più moderna ritiene di escludere l'effetto novativo, allorchè difetti l'animus in tal senso e si rimanga in un certo ambito di compatibilità con titolo e oggetto della pregressa obbligazione [nota 59]. Del resto ciò corrisponde anche ad un principio di semplicità operante anche nell'ambito del sistema giuridico per cui se una soluzione è dogmaticamente ragionevole è irragionevole la scelta dogmatica più complicata se non contorta [nota 60] addirittura. E si noti che la giurisprudenza, proprio in un settore assai vicino al nostro, fa applicazione di questo principio di economicità, in maniera sin troppo coraggiosa, anzi con forzature evidenti; mi riferisco addirittura a quei casi in cui la rinuncia agli effetti della condizione unilaterale avviene "dopo" l'avveramento della condizione stessa e quindi a "vicenda" già verificata [nota 61].
Iniziamo a tirare delle conclusioni:
a. Abbiamo ritenuto legittimi negozi che, entro certi limiti di rispetto degli effetti reali conclusi, si "aggancino" al primo con l'inserimento tardivo di condizioni, pattuizioni reali od obbligatorie. Abbiamo in ciò ravvisato un avallo per ritenere che in certi casi vi sia riqualificazione causale in concreto, con retroattività obbligatoria, della causa del pregresso negozio;
b. Se così non sia per difficoltà dogmatiche mi sembra che comunque si possa scrivere di negozio che cambia ex nunc la causa del pregresso contratto;
c. Se così non sia o per difficoltà dogmatiche o perché si tratta di pattuizioni o clausole che non entrano in gioco nel campo causale, mi sembra che sia sempre possibile scrivere di negozio successivo che integra e modifica gli effetti futuri e possibili del pregresso negozio tramite l'inserimento tardivo di una clausola (modo, condizione ex art. 790 c.c., o altre pattuizioni consimili) dirette semplicemente a modificare gli effetti della donazione non ancora realizzati, attraverso una loro limitazione.
Questa conclusione è anche collegata alla circostanza che l'intento che le parti si propongono con un negozio di riqualificazione o di mutamento causale o di mutamento degli effetti non sembra, nel caso specifico di trasferimento già perfezionato di diritti reali, "costruibile" con un altro assetto dogmatico. Infatti a proposito dei negozi modificativi successivi a un primo contratto, dove gli obblighi di una parte "decrescono" senza alcuna contropartita (come nel nostro caso), si è scritto che la pattuizione altro non è che una forma di rinuncia (astratta) al maggior diritto [nota 62]; ma una soluzione di questo tipo o altra architettura (ad esempio una successiva promessa di donazione – se la si ammette – dal donatario al donante sottoposta alla condizione potestativa a favore del promissario) si rivelano del tutto inadatte o artificiose o improponibili [nota 63] rispetto all'intento negoziale che stiamo esaminando; bisognerebbe collocare tale volontà negoziale "fuori" dall'art. 1322 c.c., cosa che non mi sembra possibile.
Quest'ultima osservazione, per la verità, merita di essere approfondita: il donatario che acconsente alla riqualificazione o che consente alla modificazione causale o all'integrazione degli effetti secondo lo schema di cui sopra non compie per caso anche un atto liberale a favore del donante che "rientra", "in qualche modo", nella disponibilità del bene anche se tale disponibilità è limitata da un accordo fiduciario? Non potrebbe addirittura configurarsi il negozio come una liberalità indiretta a favore del donante o perlomeno non potrebbero avanzarsi gli stessi dubbi, mutatis mutandis, che si pongono per il negozio risolutorio di precedente donazione? Questo e altri dubbi, ad esempio, affiorano in maniera netta in Azzariti a proposito di un modo pattuito tardivamente, e con semplice scrittura privata, rispetto ad una pregressa donazione. Azzariti critica la giurisprudenza favorevole a tale soluzione [nota 64] e scrive «non è dubbio che la validità dell'onere che venga imposto non contestualmente è subordinata all'accettazione che ne sia fatta dal donatario, in momento successivo a quello della donazione, e che non vi sarebbe alcun motivo per ritenere non valida quella tardiva imposizione dell'onere (corsivo nostro), ogniqualvolta dal donatario si sia disposti a farsene accollo. Ma se questo è vero, e se è anche vero che l'onere contestuale alla donazione è un limite e non una maggiorazione del depauperamento del donante, l'onere che venga in un secondo momento accettato dal donatario, per un motivo di gratitudine o per altra qualsiasi valutazione che è solo morale e non anche giuridica, diventa invece un depauperamento del donatario che cede al donante o a chi per lui o da lui indicato una parte dei beni già conseguiti con la donazione, o anche la intera entità del dono lì ove l'onere che gli si voglia imporre e che egli accetta sia pari al valore dei beni avuti; che e quindi giuridicamente si è senza dubbio di fronte ad una donazione (corsivo nostro), a sua volta, dal donatario vien fatta al donante o a chi per lui, non potendo tutto quanto innanzi valutarsi quale un venire meno della donazione (corsivo nostro) già a lui fatta e che è irrevocabile. E di qui la necessità, a nostro giudizio, che quella imposizione non contestuale abbia luogo con la stessa forma dell'atto pubblico richiesto dall'art. 782 c.c. a pena di nullità» [nota 65].
Lo scritto di Azzariti è esemplare perché permette di cogliere i vari snodi dei problemi, di seguirli e di rendersi conto della loro verità, in parte, e a volte della loro inconsistenza. L'autore ritiene sicura la possibilità di una aggiunta successiva di un onere ad una pregressa donazione; lo ritengo pure io: è un pattuizione in un certo senso "correttiva" della liberalità pregressa che si innesta in precedente negozio causale, magari modificando l'aspetto causale complessivo; già questa considerazione permetterebbe di concludere per la medesimezza di forma senza ricorrere alle discutibili considerazioni di cui infra. Questa composizione un po' a mosaico di "pezzi" contrattuali che si innestano successivamente è cosa abbastanza solita nell'universo giuridico della privata contrattazione; moltissimi pratici ben ricordano di una prelazione volontaria aggiunta successivamente, altrettanto per un divieto di alienazione, altrettanto per un patto di non concorrenza; mi riferisco ad ipotesi, si badi, nelle quali la contrattazione pregressa non si affianca ad altra contrattazione con proprio corrispettivo; si tratta di clausole aggiuntive, "dimenticate" nella prima contrattazione [nota 66] o frutto di un ripensamento che, bilateralmente, intende rendere più equa la vecchia stipulazione; in ciò consiste la loro causa, ma ecco anche spiegata l'insistenza con cui la giurisprudenza qualifica come "neutre" tali clausole [nota 67]. Sino a qui il ragionamento di Azzariti mi sembra condivisibile con le precisazioni sopra fatte; oltre non lo seguo più: perché la mera distanza temporale dovrebbe "trasformare" un patto che per sua natura limita la liberalità in una nuova donazione, se si ammette la sua fungibilità temporale, per così dire? E perché si punta sull' "irrevocabilità" della prima donazione per dire che il patto aggiuntivo, qualificato come nuova donazione, non può mettere nel nulla la prima? [nota 68] L'irrevocabilità, è noto, viene meno con il mutuo dissenso e perchè quel bene oggetto dell'onere deve intendersi "donato" (ma in realtà non dovrebbe essere un preliminare di donazione a favore di terzo?) direttamente dal donatario al nuovo beneficiario? Per quale ragione il mero lasso di tempo "trasforma" un limite della pregressa donazione in una donazione ex novo dal donatario al terzo? Perchè obliterare, invece, le ragioni empiriche che giustificano un inserimento tardivo (una miglior distribuzione dei vantaggi, una dimenticanza)?
Insomma a mio parere il più delle volte il senso delle pattuizioni tardive, secondo la valutazione sociale e delle parti, non rappresenta un nuovo trasferimento di ricchezza, ma l'adeguamento di quanto già espresso ad una valutazione che tiene conto di contenuti "ragionevoli" non ben soppesati e che vengono presi in considerazione per dar conto di una contrattazione che si vuole semplicemente più armonica e rispondente a "tutti" gli interessi delle parti; la contraria opinione suppone che la rimeditazione a livello contrattuale supponga un nuovo spirito di liberalità e un nuovo fenomeno circolatorio [nota 69]. Ma c'è di più: abbiamo prima osservato [nota 70] che queste pattuizioni hanno una funzione peculiare nell'ambito familiare in quanto tendono a rendere le liberalità fatte sempre coerenti, in ragione dell'importanza dei legami familiari, con il quadro dei diritti spettanti ai legittimari; una causa familiare, si è scritto, collegata ad una funzione perequativa, ben lontana dall'animus donandi e comunque dall'ambito disciplinare di cui all'art. 803 c.c. [nota 71], o comunque si tratta di pattuizioni neutre. A mio modo di vedere tutte le pattuizioni aggiuntive, salvo i problemi di forma da controllare volta per volta, sono legittime incidendo o meno, secondo quanto già scritto, sulla causa del negozio pregresso. Nel caso di liberalità, poi, un negozio successivo che incida sulla causa del primo, trasformandolo o per riqualificazione o per mutamento come cessione gratuita non liberale, o i negozi che con inserimento di clausole aggiuntive (art. 790 c.c. ad esempio) incidono sui pregressi diritti reali importando una modifica degli effetti futuri secondo la prospettazione prima fatta, non danno mai luogo a vicende circolatorie nuove, ma a riqualificazione o a mutamento di causa o a variazione degli effetti. L'unico caso in cui si possono porre dei dubbi sull'inesistenza di vicende circolatorie riguarda il negozio risolutorio di pregressa donazione, per il quale, considerata la "parentela" fra effetti ripristinatori ed effetti estintivi, diventa non facilmente difendibile (pur concordando per parte mia con questa opinione) la tesi dell'inesistenza di una vicenda circolatoria di ritorno [nota 72], a differenza dei casi proposti ove muta la ragione causale della vicenda (che rimane la stessa come soggetti e come trasferimento di bene), senza esiti circolatori.
In conclusione, mi sembra, si può approdare ad una vicenda che cambi (usiamo l'espressione in maniera volutamente grossolana) la donazione pregressa in una situazione giuridica finale al di fuori dei pericoli di cui all'art. 563 c.c. primo comma c.c. in varia maniera:
con un negozio che modifichi, con una integrazione, gli effetti futuri del primo e a nostro modo di vedere ciò può realizzarsi, ad esempio, con un nuovo negozio che introduca una riserva di disporre ex art. 790 c.c. o un modo a favore del donante stesso, dimodochè l'atto di alienazione successivo da parte del donatario a terzo realizzi, per così dire, un "saldo negativo" della pregressa donazione, rendendo sterile il richiamo all'art. 563 primo comma c.c.;
con un negozio che agisca causalmente sul pregresso negozio o riqualificandolo in termini di cessione gratuita fiduciaria o con un negozio integrativo che tramite l'inserimento di pattuizioni (condizioni, modus) "muti" la causa del primo negozio, ovviamente in ogni caso senza pregiudizio alcuno dei diritti maturati dei terzi.
Già si è scritto come la scelta dogmatica abbia un notevole impatto sulla trascrizione del negozio de quo, ma in ogni caso mi sembra ampiamente messo fuori gioco il dogma dell'insuperabilità dello scoglio di cui all'art. 563 c.c. se non attraverso il mezzo (discutibilissimo come "costo" ed effetti) del negozio risolutorio.
[nota 1] V. esemplarmente Cass. 18 ottobre 1991, n. 11025 e per la dottrina SACCO, Obbligazioni e contratti, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, Torino, 1995, p. 309 e ss.; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2001, p. 956-958. Ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza in: SANTORO, Il negozio fiduciario, Torino, 2002; PUTTI, Negozio fiduciario, in Dig. disc. priv., sez. civ., aggiornamento, II, Torino, 2002, p. 911 e ss.; MANNETTA-DRAGONE, «Negozio fiduciario, interposizione fittizia e cenni sul negozio di accertamento», in Giust. civ., 2007, I, p. 2613 e ss.
[nota 2] LUPOI, Istituzioni del diritto dei trusts e dei negozi di affidamento fiduciario, ed. provv., Genova, 2007, p. 202 e 207. Sui problemi relativi all'unicità o duplicità di causa e sul negozio fiduciario in genere v. pure LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007, p. 51 e ss.
[nota 3] ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv. diretto da Iudica e Zatti, Milano, 2001, p. 604.
[nota 4] SACCO, Obbligazioni e contratti, cit., p. 311-312.
[nota 5] V. GAZZONI, Manuale…, cit., p. 958.
[nota 6] LUPOI, op. cit., p. 226.
[nota 7] V. LUPOI, op. cit., p. 194-195 con ampi riferimenti giurisprudenziali.
[nota 8] LUPOI, op. cit., p. 25 e 194.
[nota 9] Ma del resto in questo senso allorchè l'incarico coinvolga un negozio con forma solenne v. LUPOI, op. cit., p. 199; cfr., però, p. 197 dove l'aut. scrive di un affidamento fiduciario implicito per il membro di un comitato che acquista un immobile con l'incarico degli altri componenti il comitato di intestarlo alla fondazione una volta costituita; è evidente l'influenza inconscia della figura del resulting trust, v. op. cit., p. 197.
[nota 10] LUPOI, op. cit., p. 273; ROPPO, op. cit., p. 687.
[nota 11] Con qualche difficoltà, v. per tutti SALAMONE, «La c.d. proprietà del mandatario», in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 113-114.
[nota 12] Prima dell'art. 2645-bis la soluzione era impercorribile evidentemente, v. MENGONI, Gli acquisti a non domino, Milano, 1975, p. 201-202.
[nota 13] Cfr. CASU, Studi CNN, 1995-1997, II, p. 565.
[nota 14] Cfr. bene LUPOI, op. cit., p. 225 e 228.
[nota 15] Cfr. in questo senso pare GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», in Giust. civ., 2006, II, p. 172.
[nota 16] Cfr. LUPOI, op. cit., p. 306-307 in tema di contratto di affidamento fiduciario a favore di portatore di handicap.
[nota 17] LUPOI, op. cit., p. 131.
[nota 18] V. amplius MANES, Fondazione fiduciaria e patrimoni allo scopo, Padova, 2005, p. 149-158.
[nota 19] V. una rassegna in LUMINOSO, Il mandato e la commissione, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, Torino, 1985, XII, p. 20.
[nota 20] LUPOI, op. cit., p. 287.
[nota 21] V. Cass. 27 giugno 2006, n. 14808.
[nota 22] App. Bologna, 6 giugno 1996, in Rass. dir. farmaceutico, 1996, p. 560.
[nota 23] Cass. 15 marzo 2006, n. 5632.
[nota 24] Qualche autore ritiene che il pactum fiduciae innestato in una donazione supponga necessariamente che l'attribuzione venga destinata a un terzo o a fini di pubblica utilità - così PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco, Torino, 2000, p. 295 -; non vedo perché: come è perfettamente possibile che il modo in una donazione sia a integrale beneficio del donante - v. per tutti CARNEVALI, in AA.VV., La donazione, in Tratt. diretto da Bonilini, Padova, 2001, II, p. 881- così è perfettamente ammissibile che nella donazione il patto fiduciario sia a vantaggio del fiduciante. Altro è il problema di qualificare l'operazione in questione come donazione modale con modo a favore del donante o cessione gratuita non liberale ma fiduciaria. In tema di negozio fiduciario v. esemplarmente Cass. 18 ottobre 1991, n. 11025 e per la dottrina SACCO, Obbligazioni e contratti, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, Torino, 1995, p. 309 e ss.; GAZZONI, Manuale…, cit., p. 956-958. Ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza in: SANTORO, Il negozio fiduciario, Torino, 2002; PUTTI, Negozio fiduciario, in Dig. disc. priv., sez. civ., aggiornamento, II, Torino, 2002, p. 911 e ss.; MANNETTA-DRAGONE, «Negozio fiduciario, interposizione fittizia e cenni sul negozio di accertamento», cit., p. 2613 e ss. V. pure l'impianto scolastico ma efficacissimo sviluppato da LUPOI in Istituzioni del diritto dei trusts e dei negozi di affidamento fiduciario, cit., p. 202 e 207. Sui problemi relativi all'unicità o duplicità di causa e sul negozio fiduciario in genere v. pure LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, cit., p. 51 e ss.
[nota 25] Ma le ipotesi di un utile applicazione dello strumento della riqualificazione tendono a dilatarsi sempre di più; così la giurisprudenza di merito si sta occupando di altro, interessante caso analogo: due coniugi stanno per divorziare, ma in sede di accordi economici intendono riqualificare precedenti donazioni del marito alla moglie come vantaggi divorzili; il tutto con evidenti ricadute a favore della ex moglie che si sottrarrà alle pretese dei legittimari e potrà alienare anche a terzi senza i noti problemi bancari.
[nota 26] Senza contare il dubbio - paradossale sin che si vuole ma il dubbio rimane - che il negozio risolutorio duplichi, in senso opposto fra di loro, nella realtà le attribuzioni liberali, v. in questo senso LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Milano, 1980, p. 279.
[nota 27] Per un primo approccio rinviamo a CACCAVALE, Giustizia del contratto e presupposizione, Torino, 2005, p. 175 e ss.
[nota 28] Sottolineo il pericolo che si evidenzi un presupposto causale la cui mancanza darebbe luogo a invalidità, cfr. Cass. 25 maggio 2007, n. 12235, specie in motivazione, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 1177 e ss.
[nota 29] In questo senso, e a ragione, LUMINOSO, in LUMINOSO-PALERMO, La trascrizione del contratto preliminare, Padova, 1998, p. 30.
[nota 30] V. BIANCA, Diritto civile, Il contratto, Milano, 2000, p. 494.
[nota 31] Cfr. sul punto BIANCA, op. cit. loc. cit.
[nota 32] V. per tutti CARNEVALI, La donazione modale, Milano,1969, p. 160 e ss., che pur qualifica la donazione modale, ove il modus abbia costituito l'unico motivo determinante, come contratto a prestazioni corrispettive, ma non oneroso.
[nota 33] In questo senso nella dottrina risalente, v. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, Torino, 1960, p. 322, CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., p. 226, ma la tesi è tutt'ora dominante v. ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv. diretto da Iudica e Zatti, Milano, 2001, p. 369 e ss.
[nota 34] V. le trattazioni specifiche sull'argomento di AMADIO, BARALIS, BUSANI in AA.VV., Patti di famiglia per l'impresa, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006.
[nota 35] V. per tutti PALERMO, «Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano», in Riv. dir. comm., 2001, I, p. 402-403.
[nota 36] V. GABRIELLI, «Pubblicità dei negozi condizionati», in Riv. dir. civ., 1991, I, p. 38 e ss.
[nota 37] Cass. 12 luglio 1967, n. 1726, in Giust. civ., 1968, I, p. 1326.
[nota 38] IRTI, La ripetizione del negozio giuridico, Milano, 1970, p. 138.
[nota 39] Conforme GRANELLI, voce Riproduzione del negozio, in Enc. dir., Milano, 1989, XL, p. 1065.
[nota 40] E quindi concordiamo pienamente con AMADIO, in AA.VV, Patti di famiglia per l'impresa, Milano, 2007, p. 81-82, in ordine all'impossibilità di operare sugli effetti esauriti.
[nota 41] Parrebbe possibilista su questo punto AMADIO, op. cit., p. 80, ma poi l'autore reputa sterile l'approccio perché, a parte altri rilievi di cui si dirà, ritiene il mutamento di causa «inidoneo a produrre mutamenti di disciplina, che richiedono una ulteriore ed esplicita determinazione contrattuale». A mio modesto avviso la riqualificazione causale per via negoziale è essa stessa una ulteriore ed esplicita determinazione contrattuale; per quanto concerne gli altri rilievi si tenterà di darne conto nel testo.
[nota 42] PUGLIATTI, La trascrizione, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, Milano, I, 1957, p. 398; medesimamente PALERMO, Contratto di alienazione titolo di acquisto, Milano, 1974, p. 149; CASTRONOVO, «Sulla disciplina nuova degli artt. 561 e 563 c.c.», in Vita not., 2007, p. 1005; contra esemplarmente NICOLò, La trascrizione, Milano, 1973, I, p. 151-152.
[nota 43] Così, e non gli si può dare torto, AMADIO, op. cit., p. 81, che sottolinea la difficoltà e complessità dogmatica del tema.
[nota 44] Dottrina prevalente v. per tutti ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv. diretto da Iudica e Zatti, Milano, 2001, p. 362-364, BIANCA, Il Contratto, cit., p. 461-462; PALERMO, «Sulla riconducibilità del trust interno alle categorie civilistiche», in Riv. dir. comm., 2000, I, p. 146; la tesi prevale ormai anche in giurisprudenza v. da ultimo Cass. 8 maggio 2006, n. 10490 e Cass. 25 maggio 2007, n. 12235 - in motivazione -. Il percorso, lungo, dalla causa in senso oggettivo alla causa in concreto, per quanto mi consta, inizia con il contributo di SCIALOJA - Negozi giuridici, Roma, 1933, p. 89 e ss. -.
[nota 45] V. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, in Il codice civile, Comm. diretto da Schlesinger, Milano, 1998, I, p. 113.
[nota 46] V. per approfondimenti e per l'esposizione di due casi giurisprudenziali esemplari PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, cit., p. 148-151.
[nota 47] V. esattamente in questo senso, prendendo lo spunto dall'inserimento tardivo di un patto di riscatto, GAZZONI, La trascrizione, cit., I, p. 155 e ivi ampie citazioni in ordine alla possibilità o meno di un patto "successivo"; per l'ammissibilità di inserimento successivo di un patto di riscatto v. pure Cass. 3 luglio 1980, n. 4254.
[nota 48] è quindi l'avvenuto passaggio della proprietà o del diritto reale di godimento il discrimen che permette di ammettere o meno l'inserimento tardivo di condizione, v. esattamente per la riserva di proprietà - intesa in senso condizionale - BUCOLO, «Sulla contestualità fra vendita a rate e patto di riservato dominio e sugli effetti della tardiva registrazione del contratto», in Giur. it., 1968, I, p. 163 e ss., ROMOLI, «Aspetti problematici della vendita con riserva di proprietà di beni immobili», in Notariato, 2003, p. 202.
La dottrina per la verità non distingue i due casi - effetto sospensivo e risolutivo - e si divide semplicemente fra chi non ammette l'inserimento successivo di una condizione e chi lo ammette, v. con ampi riferimenti di letteratura GABRIELLI, Il contratto preliminare, Milano, 1970, p. 314. Sembra non distinguere le diverse ipotesi di inserimento successivo di condizione sospensiva e risolutiva LUMINOSO - La vendita con riscatto, in Il codice civile, Comm. diretto da Schlesinger, Milano,1987, p. 278 -, che tratta dell'argomento partendo dall'idea che il patto di riscatto possa fungere da condizione risolutiva; poi in realtà l'aut. stesso riconosce che una diversa configurazione dogmatica, accompagnata dalla constatazione che il patto successivo corrisponde ad un intento pratico più che giustificato commercialmente, conduce ad ammetterne l'inserimento successivo, che però, torna ad essere problematico, per l'autore, per ragioni di trascrizione - op. cit., p. 281-282 -.
[nota 49] In questo senso per la rinuncia al carattere unilaterale della condizione v. la giurisprudenza citata in ROCCO, «Considerazioni in tema di condizione unilaterale», in Riv. not., 1993, p. 838; per la modifica di un termine iniziale che venga spostato in avanti v. NICOLò, La trascrizione, cit., I, p. 127. Ma una condizione con contenuto diverso è modifica o cancellazione della prima e inserimento di una nuova? Si aprono problemi dogmatici con risultati probabilmente diversi.
[nota 50] GAZZONI, «Condizione unilaterale e conflitti con i terzi», in Riv. not., 1994, p. 1204.
[nota 51] GAZZONI, La trascrizione, cit., I, p. 151.
[nota 52] Così GAZZONI, La trascrizione, cit., I, p. 145.
[nota 53] Così infatti GAZZONI, La trascrizione, cit., I, p. 150.
[nota 54] Conforme GABRIELLI, «Pubblicità dei negozi condizionati», cit., p. 40 e ss.
[nota 55] Senza contare l'obbiezione di chi ritiene che l'inserimento successivo di una condizione sia invalido perché pattuizione sine causa – v. Trib. Torino, 11 novembre 1989, in Giur. it., 1990, I, 2, p. 368; se proprio esiste una obbiezione infondata è questa: la pattuizione risponde sempre ad una precisa ragione ex art. 1322 c.c., come causa in concreto. La concessione, quindi, di una prelazione volontaria "dopo" il perfezionamento di un atto di vendita potrebbe, quindi, essere nulla per difetto causale? No certo, essa ha una sua causa e comunque è noto il lassismo giurisprudenziale in materia di causa dei patti accessori (per la prelazione v. le citazioni giurisprudenziali e le opportune osservazioni di SACCO, ll contratto, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco e De Nova, Torino, 1993, II, p. 337 e ss.). Su questo punto bisogna spendere qualche parola. Sacco rifiuta l'idea che la concessione tardiva di un diritto di prelazione convenzionale possa essere senza causa e l'importante autore ha ragione: la prelazione, scrive esattamente, porta un grave sacrificio per il concedente perché limita fortemente e impaccia la sua futura contrattazione immobiliare. E sin qui concordiamo. Ma per quanto concerne i negozi liberali, e si ricordi che ci muoviamo nell'ambito familiare come scritto all'inizio di questo lavoro, sicchè gli "aggiustamenti di tiro" per quanto concerne le pattuizioni modificative delle donazioni pregresse si inseriscono nell'ambito di un quadro più vasto ove si mira semplicemente a rendere più congrue le sistemazioni in vista di diverse valutazioni degli interessi della famiglia anche, magari, per fatti sopraggiunti. Si tratta quindi di pattuizioni aggiuntive che o devono ritenersi causalmente neutre o sono contraddistinte da una "causa familiare", rapportabile in un certo senso a quella che contraddistingue gli accordi fra coniugi in sede di separazione o divorzio (v. DORIA, Autonomia privata e causa familiare, Milano,1996, p. 301 e ss. e Cass. 8 novembre 2006, n. 23801).
[nota 56] è facile riscontrare che questa ipotesi è ben diversa da quella prima esposta relativa a donazione modale per la quale si riscontra un mutamento da causa gratuita a causa onerosa: questa fattispecie si caratterizza, infatti, per aspetti genetici incerti e non per mutamenti dovuti a pattuizioni temporalmente diverse.
[nota 57] Per GAZZONI, La trascrizione, cit., p. 312 e ss., in particolare p. 315, il mutamento giuridico è la sostituzione della certezza all'incertezza, ecco perché si è scritto di modifica in senso lato. Volendo approfondire si può dire che transazione ex art. 1965 primo comma e negozio di accertamento sono caratterizzati da un effetto modificativo "non conoscibile" perché se il giudicato fissa d'imperio la verità processuale, le parti invece fissano una verità convenzionale, mai sapendo se la situazione giuridica di base, quella ontologica per intenderci, è stata mutata o meno, v. esattamente FERRI-ZANELLI, Trascrizione, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1995, p. 173. Nel senso del testo v. riassuntivamente con interessanti conclusioni non riguardanti direttamente il nostro caso CATERINA, Impium presidium, Le ragioni a favore e contro l'usucapione, Milano, 2001, p. 268 e ss.
[nota 58] Così MAIORCA, Della tutela dei diritti, in Comm. cod. civ. diretto da D'Amelio, Firenze, 1943, p. 58.
[nota 59] V. amplius ZACCARIA, La prestazione in luogo di adempimento, Milano, 1987, p. 184 e ss., con interessanti riferimenti alla dottrina tedesca; GITTI, L'oggetto della transazione, Milano, 1999, p. 108.
[nota 60] è una applicazione dell'argomento "economico", v. per tutti TARELLO, L'interpretazione della legge, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo e continuato da Mengoni, Milano, 1980, p. 371-372. Nel senso che sia possibile nei casi di cui al testo o rinnovare o modificare indifferentemente, ma non rinnovare quando si vuole restringere il contenuto originario, v. BETTI, Teoria generale del negozio, cit., p. 254.
[nota 61] V. le ampie citazioni giurisprudenziali in ROCCO, «Considerazioni…», cit., p. 839.
[nota 62] V. bene SACCO, Il contratto, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco e De Nova, Torino, 1993, I, p. 663.
[nota 63] Rinuncia "specificatamente" a che? Forse si confonde la valutazione economica con l'indicazione di un diritto preciso. Comunque si veda quanto scritto infra nel testo.
[nota 64] Cass. 18 febbraio 1977, n. 739.
[nota 65] AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, p. 925.
[nota 66] Con il participio passato di cui al testo ci riferiamo a clausole su cui le parti non hanno posto la loro attenzione; non "presupposte" perché in questo caso, come scritto prima, si dovrebbe dare al nostro discorso uno sviluppo diverso.
[nota 67] Così in tema di prelazione v. le citazioni giurisprudenziali in SACCO, Il contratto, cit., II, p. 339.
[nota 68] Ma forse il chiamare in causa l'irrevocabilità della donazione, nel caso di AZZARITI, è probabilmente un inconscio ancorarsi alla dizione di cui all'art. 1050 c.c. abrogato che proibiva l'inserimento di una condizione risolutiva potestativa, v. bene CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 1982, p. 857; la norma, causalmente, in una società ancorata a valori elementari, esprimeva la necessità di un effetto-valore assoluto, non contestabile in alcun modo, neppure con un ripensamento.
[nota 69] Ogni approfondimento su questo tema sarebbe praticamente senza confini. Mi limito a ricordare che una valutazione mera in termini di circolazione della ricchezza forse sarebbe più rispondente ai canoni dell'analisi economica del diritto, ma questo è proprio uno dei casi in cui law and economics mostra i suoi limiti - v. per tutti COLEMAN, La pratica dei principi, Bologna, 2006, p. 84 e ss. - e invece vanno soppesate certe valutazioni morali - o meglio di buon senso - che spiegano il comportamento delle parti e trovano una rispondenza negli standards delle valutazioni giuridiche - su quest'aspetto v. con ampi riferimenti PARIOTTI, La comunità interpretativa nell'applicazione del diritto, Torino, 2000, p. 188 e ss. -. Se si prescinde da queste considerazioni che attingono alla prassi sociale comune, al buon senso, alle specifiche considerazioni che, specie nell'ambiente familiare, suggeriscono "correzioni di tiro" rispetto a intervenute liberalità, non resta che affidarsi o a geometrie concettuali di tipo pandettistico o alle valutazioni dell'analisi economica del diritto; esse, però, conducono a soluzioni irrealistiche: ma davvero si può pensare che la variazione causale o l'introduzione successiva di un modus o un negozio integrativo degli effetti manifestino un animus donandi del donatario nei confronti del donante? Su questo punto v. da ultimo, con la consueta profondità, FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche, Milano, 2008, p. 461 e ss.
[nota 70] V. nota 31.
[nota 71] Nell'ambito delle convenzioni fra coniugi in sede di separazione non trasfuse nel decreto di omologazione, si scrive che se svolgono una funzione perequativa, non hanno natura liberale a favore del coniuge avvantaggiato, v. bene Cass., 8 novembre 2006, n. 23801.
[nota 72] V. le osservazioni sul punto di CAPOZZI che, a mio modo di vedere, più che altro tendono a diversificare gli effetti risolutori dagli estintivi con formule che altro non significano che affidarsi alla magia delle parole, v. Successioni e donazioni, cit., 2, p. 858. A mio parere oggi un forte argomento a favore della tesi che collega al mutuo dissenso effetti ripristinatori, e non una vera e propria controvicenda, è dato dal testo del novello art. 768-septies c.c., ma, come è noto, l'amministrazione finanziaria conclude proprio nel senso che si tratta di negozio che importa controvicenda, con pesanti conseguenze.
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