Le intestazioni fiduciarie: trattamento tributario
Le intestazioni fiduciarie: trattamento tributario
di Massimo Basilavecchia
Ordinario di Diritto tributario, Università di Teramo
Premesse: metodologia della circolare
Un primo punto fermo da porre quando ci si accinge a trattare un tema come quello delle intestazioni fiduciarie [nota 1] nell'imposizione è quello della molteplicità delle strutture individuabili negli schemi negoziali caratterizzati dalla presenza della "fiducia": proprio da questo elemento, comunemente ammesso, nascono le difficoltà di inquadramento civilistico (negozi fiduciari con propria causa o natura fiduciaria cui possono essere piegati schemi negoziali che conservano una loro specificità?) e di questo non può non tener conto l'analisi che abbia ad oggetto il regime fiscale ai fini delle imposte indirette sui trasferimenti [nota 2]; quanto possano essere ricchi, ed in continua evoluzione, gli schemi adottati nella prassi negoziale che ricorrono al concetto di "intestazione fiduciaria" lo ha d'altra parte dimostrato la relazione di Giorgio Baralis, con la quale cercherò di trovare qualche profilo di collegamento.
A. Deriva, da tale premessa, un primo rilievo critico, di carattere metodologico, a proposito della circolare 3/E del 2008 (d'ora in poi, "la circolare"), che pure è testimonianza di uno sforzo ricostruttivo encomiabile, anche perché idoneo a generare molti apprezzabili spunti interpretativi sulla nuova imposta sulle "gratuità": nello sforzo di fornire criteri applicativi alla portata degli operatori, quindi possibilmente semplici e certi, essa finisce con il compiere generalizzazioni che contemplano soluzioni analoghe per situazioni (anche molto) diverse tra loro, e pone quindi le condizioni per conclusioni che, talora, si rivelano non accettabili.
È il caso appunto della parte di circolare dedicata alla costituzione di vincoli di destinazione traslativi (par. 5.2), nella quale l'operazione di assimilazione di fattispecie diverse in una disciplina unitaria si rivela maggiormente discutibile, non solo a proposito dei negozi fiduciari – considerati con un'ampiezza di prospettiva decisamente eccessiva –, ma anche, ad es., a proposito delle ipotesi di trust destinatario di beni per effetto di atti ritenuti di carattere traslativo.
Ecco allora che nella circolare si rinvengono indicazioni interpretative (con ricadute metodologiche poi non sempre coerentemente sviluppate) indubbiamente di grande pregio, come quelle che fanno riferimento alla rilevanza, anche nel tributo successorio e sulle gratuità, dell'interpretazione sulla base degli effetti giuridici (art. 20 T.U. 131/1986), alla necessità di valutare il collegamento tra atti tra loro connessi o complementari, ad una ricostruzione "integrata" dei singoli fatti tassabili, e non parcellizzata e meramente letterale [nota 3]; ma, insieme ad esse, troviamo anche le generalizzazioni e le semplificazioni cui si accennava, che talora sono in grado di smentire o di vanificare le prime [nota 4].
B. Scendendo più in dettaglio, occorre vedere in che senso costituzione del vincolo e trasferimento debbano combinarsi, perché si abbia una situazione da assoggettare ad imposta sulle donazioni [nota 5]. A ben vedere, infatti, se il vincolo di destinazione è costituito mediante un atto di trasferimento, esso non può essere considerato, di per sé, come presupposto impositivo [nota 6]: ad un trasferimento di beni, realizzato a causa di morte, o per atto tra vivi a titolo liberale o gratuito, il vincolo di destinazione non aggiunge nulla, sotto il profilo impositivo: se ricorrono tutte le condizioni rispettivamente previste, si tratterà di atto di trasferimento che, a prescindere dal vincolo, darà luogo ad applicazione del tributo di registro ovvero ad imposta sulle donazioni. L'autonoma rilevanza del vincolo di destinazione, allora, deve essere individuata quando, dalla costituzione stessa di un vincolo di destinazione, si produce un effetto traslativo che non può essere fatto risalire ad un atto di trasferimento tipico. L'istituzione di un trust, cui si abbini la dotazione di beni, può essere rilevante quale vincolo se e nella misura in cui costituisce una separazione patrimoniale che comporta anche trasferimento di beni da un soggetto ad un beneficiario [nota 7]; il patto fiduciario può essere traslativo, nella misura in cui alcuni beni, sulla base del patto, vengono segregati, entrando così in un patrimonio diverso da quello di origine. Questi elementi non sono però sufficienti, da soli, ad attrarre la costituzione del vincolo, con effetti traslativi, nell'ambito applicativo dell'imposta sulle successioni e donazioni; come è stato osservato più volte nelle relazioni precedenti, occorre anche che si possa parlare di atto gratuito (o, nella prospettiva di una continuità con il precedente assetto sistematico [nota 8], di atto liberale) che determini l'incremento del patrimonio di altro soggetto, cui va imputata la ricchezza tassabile. è l'incremento di valore del patrimonio del beneficiario, infatti, l'indice di capacità contributiva che sorregge il tributo successorio e sulle donazioni [nota 9].
Le intestazioni fiduciarie
In che modo si combinano l'intestazione fiduciaria di beni e il vincolo di destinazione? Secondo la premessa posta in precedenza, ai fini dell'emersione di un presupposto tassabile occorre che si verifichi la costituzione di un vincolo di destinazione dalla quale si producano effetti traslativi, con conseguente incremento patrimoniale di un beneficiario al quale può essere imputata la capacità contributiva colpita da questo tipo di tributo. A ben vedere, l'effetto segregativo, a proposito degli schemi fiduciari, si presenta in linea di massima del tutto irrilevante sotto il profilo impositivo, e dunque non sembra venire in gioco, ai fini di un'eventuale imponibilità, il comma 47 dell'art. 2 del D.l. 262/2006, che ha reintrodotto l'imposta sulle successioni e donazioni.
Ed invero, se prendiamo in considerazione la segregazione del bene trasferito, rispetto al patrimonio del fiduciario, è agevole constatare come essa non abbia attitudine a rivelare un presupposto di tassazione: il patrimonio del fiduciario, semmai, è limitato, non incrementato, dalla segregazione del bene pervenuto, sicchè se si può individuare un arricchimento, nonostante la segregazione, esso deriva dall'atto traslativo in sé, non dalla costituzione del vincolo; ma può anche darsi che l'effetto segregativo sia di tale portata da impedire di ravvisare una effettiva disponibilità del bene da parte del fiduciario, cosicché mancherebbe, in radice, un vero e proprio effetto traslativo.
È dunque rispetto al patrimonio del fiduciante che può rilevare la segregazione del bene, ma allora, perché essa sia fiscalmente rilevante, non è sufficiente, perchè si ravvisi un effetto traslativo, la mera separazione dal patrimonio del fiduciante, ma occorre che l'attribuzione abbia attitudine a produrre la confluenza del bene in un patrimonio altrui, con conseguente arricchimento del soggetto titolare di quest'ultimo.
In definitiva, l'impressione generale che si ricava è quella di una sostanziale estraneità tra schemi fiduciari e nuovo presupposto dell'imposta sulle gratuità [nota 10]: la disciplina di quest'ultima intende comprendere, tra gli atti traslativi, anche quelli che hanno funzione (non meramente) segregativa, e che comportano incrementi di patrimoni altrui o la formazione di nuovi patrimoni dei quali sia possibile individuare un titolare; negli schemi di attribuzione fiduciaria, invece, o l'effetto traslativo manca del tutto (è il caso dei c.d. mandati fiduciari, diffusi a proposito delle partecipazioni o quote o comunque dei titoli e degli strumenti finanziari [nota 11]) oppure esso deriva non dalla segregazione in sé, ma da un atto di trasferimento di beni che, anche a prescindere dalla finalità segregativa, sarebbe stato comunque imponibile, semmai con discipline applicabili di diversa portata, a seconda se inteso come atto liberale, o a titolo gratuito, o a titolo oneroso. E dunque appare legittimo un interrogativo a monte: è proprio sicuro che la nuova disciplina – a parte l'estensione (che qui non è il caso di discutere) del presupposto dalle liberalità ai trasferimenti gratuiti – debba condurre a soluzioni innovative sulle attribuzioni fiduciarie?
Schemi fiduciari traslativi
Secondo le distinzioni più diffuse e comunemente accettate, un vero e proprio effetto traslativo si produce negli schemi riconducibili al c.d. negozio fiduciario (o fiducia romanistica) [nota 12]; nelle ipotesi di formule negoziali che abbiano ad oggetto titoli o partecipazioni o quote, deve trattarsi di incarichi di gestione fiduciaria c.d. dinamica [nota 13], che danno al fiduciario il potere di disporre dei beni trasferiti e quindi di superare gli schemi dell'amministrazione (c.d. statica) dei beni, per fluire in un più ampio contesto nel quale operazioni di acquisto e di cessione sono fisiologiche nella natura del rapporto.
Si tratta di schemi che si collocano, in genere, al di fuori dell'attività delle società fiduciarie, e che, sul piano dell'intermediazione finanziaria, vanno a realizzare forme di investimento che rispondono a finalità economico-sociali diverse, rispetto a quelle – solitamente concentrate tutte sulla volontà di conservare riservatezza sull'effettiva proprietà dei cespiti – perseguite con mandati fiduciari rilasciati alle società di cui alla legge n. 1966 del 1939 [nota 14]. Più in generale, superando l'ambito dei rapporti inerenti alla finanza, si può dire che normalmente la gestione fiduciaria esula dalla figura del fiduciario professionale, che svolge il suo compito nell'attività d'impresa, ed è invece maggiormente frequente nell'ambito di rapporti nei quali il fiduciario non agisce nell'ambito della sua sfera professionale-imprenditoriale.
L'indicazione contenuta nella circolare, secondo la quale atto di destinazione traslativo sarebbe stato quello strumentale all'attività delle società fiduciarie, non può dunque essere condivisa, anche perché intimamente contraddittoria, nella misura in cui da un lato fa riferimento a negozi fiduciari, dall'altro descrive il rapporto esattamente in termini di mandato ad amministrare, termini che non sono compatibili con la necessaria compresenza di un effetto traslativo e che invece sono pacificamente ricondotti allo schema della fiducia germanistica, caratterizzata proprio dall'assenza di trasferimento della titolarità dei beni.
Se peraltro si prendono in considerazione i negozi fiduciari, emerge un'altra grande perplessità sulla loro assunzione a presupposti di un'imposizione che, anche nella nuova struttura, non può che riferirsi ad atti gratuiti, se non liberali: nella misura in cui il negozio fiduciario si pone come combinazione di due schemi negoziali complementari (di cui è poi discussa la unitarietà strutturale [nota 15], che ad es. la giurisprudenza tende a negare [nota 16]), l'effetto traslativo sembra essere strumentale alla realizzazione dell'effetto obbligatorio (obbligo in capo al fiduciario di gestione del bene secondo le direttive del fiduciante) [nota 17]; si spiega così perché la dottrina tributaristica non abbia mancato di rilevare che, nella maggior parte dei casi, il negozio fiduciario ha causa onerosa, e non gratuita [nota 18], così da essere ricompreso nell'area impositiva del tributo di registro, piuttosto che in quella dell'imposta sulle donazioni e liberalità/gratuità.
Gli esempi che ci ha fornito la relazione Baralis sono particolarmente pregnanti e significativi, e confermano la ricorrenza di qualificazioni onerose.
Il trasferimento fiduciario di un esercizio farmaceutico o della rivendita di generi di monopolio, finalizzato a garantire il recupero dell'azienda da parte del fiduciante non appena in possesso dei requisiti per la gestione diretta dell'esercizio, ad es., viene accostato a forme equivalenti quali l'associazione in partecipazione o l'impresa familiare; le condizioni sospensive o risolutive di carattere potestativo, rimesse all'esecuzione di un patto fiduciario; la cessione fiduciaria di causa "incerta" può lasciare indeterminata la produzione di effetti giuridici che andranno ad assumere contorni più precisi solo con il passare del tempo.
Si tratta di problematiche che ci inducono a riflettere, tra l'altro, sulla possibile manifestazione di attribuzioni fiduciarie per beni relativi all'impresa, la cui cessione dovrebbe normalmente essere considerata soggetta ad Iva, e non al tributo sulle liberalità.
Schemi fiduciari non traslativi
Se, come appare pacifico, nel mandato conferito alle società fiduciarie [nota 19] appare assai difficile rinvenire un atto traslativo, nonostante la diversa intestazione del bene [nota 20], quando si resta all'interno di questi schemi (imperniati sulla nozione germanistica di fiducia) sembra pertanto dover essere esclusa, nella gran parte dei casi, quella stessa attività di ricostruzione, caso per caso, della gratuità o dell'onerosità del negozio, che si pone alla base dell'individuazione del trattamento fiscale del negozio fiduciario [nota 21].
Del resto, la stessa amministrazione finanziaria, in una serie di documenti di prassi, si è mossa sempre nell'ottica opposta, considerando effettivo titolare dei beni amministrati dalla società fiduciaria il soggetto fiduciante: il che è anche coerente, poi, con un più ampio e generale disegno sistematico, alla luce del quale la capacità contributiva va sempre ricondotta al soggetto che ha effettiva attitudine a disporre del cespite [nota 22], al di là dell'imputazione e della titolarità meramente formale del bene o del reddito: si pensi al comma 3 dell'art. 37 D.P.R. 600/73, che consente appunto all'amministrazione di ricondurre al titolare effettivo redditi che siano formalmente imputati ad un soggetto "interposto".
La risoluzione 7 dicembre 2006, 136/E, ad esempio, ispirata ad una delle sentenze più rilevanti in materia di negozi fiduciari (Cass. 4943/99 [nota 23]; ma anche Cass. 6478/84), afferma esplicitamente che la società fiduciaria è trasparente e che pertanto i redditi di una società di persone partecipata mediante intestazione fiduciaria della quota vanno imputati direttamente al fiduciante, mediante indicazione di quest'ultimo nei righi SK8 e SK9 del modello 770 della società fiduciaria, mentre la società partecipata dovrà indicare quale socio la fiduciaria; la risoluzione 8 ottobre 1999, 153/E, coerentemente afferma che la ritenuta sui dividendi erogati da una società deve essere applicata da quest'ultima, e non dalla fiduciaria, e che la situazione rilevante al fine di stabilire la tipologia di ritenuta applicabile va individuata sulla base della situazione del soggetto fiduciante. Ancora, le cessioni di titoli (disposte di volta in volta dal fiduciante) strumentali rispetto alle operazioni tipiche cui dà vita un rapporto fiduciario statico non incidono sulla percentuale di detraibilità dell'Iva, e ad esse si applica la sola regola di indetraibilità specifica (risoluzione 11 novembre 2002, 352/E).
Le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza sono d'altra parte consonanti: si è dunque affermato che, anche con riferimento alla fiducia romanistica, può essere riconosciuto valido il patto con cui il soggetto fiduciante si accolla le imposte, dato che in fondo non viene alterata l'imputazione del reddito all'effettivo percettore (Cass. 13261/99); secondo Cass. 6478/84, in caso di apertura della successione del fiduciante i beni oggetto del patto fiduciario vanno considerati esistenti nel patrimonio del de cuius; ancora, la società fiduciaria non è litisconsorte necessario nel processo che vede contrapposti al Fisco gli eredi del fiduciante (Cass. 7186/1993).
Sulla retrocessione dei beni
Se, come la stessa circolare sostiene, nella valutazione degli effetti giuridici degli atti da sottoporre ad applicazione del tributo sulle successioni e liberalità occorre anche tenere conto del collegamento negoziale [nota 24], il venir meno della fattispecie non può essere considerato sempre come un secondo presupposto impositivo, avulso dalla precedente tassazione; occorrerà, al contrario, valutare caso per caso quali effetti le parti abbiano voluto, e se il venir meno degli effetti dell'originaria attribuzione manifesti una nuova volontà, o non segnali piuttosto l'esaurimento della funzione (ad es. di garanzia) che gli atti collegati intendevano fin dall'inizio porre in essere [nota 25].
In definitiva, in molti casi potrà essere sostenuto che il patto fiduciario esprime un'esigenza di conformazione "empirica" del negozio, che incide sulla causa concreta del negozio tipico, e dalla quale può essere ricavata la natura temporanea (sin dall'origine) dei suoi effetti [nota 26]. Si avrebbe cioè una situazione sostanzialmente molto simile a quella contemplata dall'art. 28 comma primo del T.U. imposta di registro, nella parte in cui l'esistenza di una clausola risolutiva espressa sorregge l'assoggettamento a sola imposta in misura fissa dell'atto di risoluzione del negozio originariamente sottoposto a tassazione.
Adottare tale soluzione, che va poi modellata caso per caso alla singola fattispecie voluta dalle parti, significa anche superare quelle remore fiscali che la relazione Baralis segnalava come possibili freni ad operazioni di riqualificazione ex post di atti donativi poi riclassificati in attribuzioni gratuite di carattere fiduciario. Se è infatti comprensibile la cautela dell'Agenzia, che tende in linea di principio a vedere in tali ipotesi un nuovo trasferimento, sarebbe peraltro compromesso il principio guida di ricerca degli effetti giuridici oggettivamente ricavabili dal negozio se si dovesse negare la possibile, ed anzi normale inerenza, all'atto gratuito, di fatti risolutivi che comportino la retrocessione del bene.
L'evoluzione successiva alla circolare 3/E 2008
Le critiche [nota 27] diffuse alla circolare, nella parte in cui comprende tra i presupposti dell'imposta sulle successioni e liberalità, anche le intestazioni fiduciarie (comprese quelle in favore di società fiduciarie) hanno condotto ad un parziale ripensamento da parte dell'Agenzia [nota 28], che se da un lato prende atto della assoluta carenza, negli schemi della fiducia germanistica, di effetti traslativi sui beni oggetto del patto fiduciario (che sono in gran parte, come detto, titoli partecipativi o comunque strumenti finanziari), dall'altro trae, dalla natura normalmente traslativa degli atti riconducibili alla fiducia romanistica, la conseguenza del normale assoggettamento all'imposta, quali atti costituenti vincolo di destinazione caratterizzati da gratuità. Come si è cercato di porre in luce, anche questa nuova impostazione [nota 29], se pure supera le precedenti, più gravi irrazionalità, non appare soddisfacente; a parte infatti ogni considerazione sul ruolo che il vincolo di destinazione assume – che, come detto, semmai esclude la tassazione, ma comunque non ha modo di determinarla, una volta che si colleghi ad atti già per loro natura produttivi di effetti traslativi –, non è persuasiva l'equiparazione aprioristica tra negozio fiduciario e attribuzione gratuita, là dove, come l'esperienza, la giurisprudenza e la dottrina dimostrano, il patto fiduciario inerisce ad attribuzioni essenzialmente onerose.
[nota 1] I limiti di questo contributo impediscono l'indicazione dei riferimenti civilistici utilizzati per l'approccio al tema: in un panorama vastissimo, nel quale spiccano ottime voci di enciclopedia e contributi monografici di grande spessore, saranno fornite solo alcune informazioni relative agli scritti più direttamente utilizzati per la relazione.
[nota 2] Pur tenendo in considerazione l'opportunità empirica e la correttezza teorica di un esame che consideri il complesso del trattamento tributario riservato agli schemi fiduciari, per esigenze di economia, e di coerenza con il documento che costituisce lo spunto del Convegno (la circolare dell'Agenzia delle entrate che analizza la reintroduzione delle imposte sulle successioni ed in particolare i vincoli di destinazione), la relazione sarà dedicata essenzialmente a quest'ultima forma di prelievo.
[nota 3] Ad esempio, la circolare testimonia che la stessa Agenzia non ritiene possibile una lettura "isolata" dei singoli presupposti d'imposta, che pure l'art. 2 comma 47 del D.l. 262/2006 a rigore giustificherebbe: là dove tale disposizione affianca i trasferimenti (per causa di morte, per donazione, ovvero a titolo gratuito) alla costituzione di vincoli di destinazione. Questi ultimi, invero, nella circolare sono considerati imponibili se accompagnati da un effetto traslativo, sia pure formalisticamente inteso, e dunque trasferimento e vincolo di destinazione non danno vita a presupposti distinti, ma si possono integrare reciprocamente; il che legittimerebbe un'ulteriore apertura – della quale non vi è esplicito cenno nella circolare 3/E, e che poi è anzi espressamente contrastata dalla successiva circolare 28/E del 27 marzo 2008 – nel senso che anche i trasferimenti non debbano essere considerati imponibili, automaticamente, per il solo fatto che derivano da successione, per donazione, o per atto gratuito, ma potrebbero risultare imponibili solo nell'ottica di una più ampia operazione ricostruttiva, che tenga conto sia delle acquisizioni raggiunte sotto il vigore del precedente testo dell'imposta sulle successioni, sia della perdurante presenza, tra gli atti assoggettati ad imposta di registro, di fattispecie di atti gratuiti. L'imponibilità del vincolo di destinazione, in questa prospettiva (che, lo si riconosce, richiede un superamento "ardito" del dato letterale), in quanto condizionata dal (e abbinata al) trasferimento di beni, potrebbe essere considerata come un'indicazione positiva esemplificativa – e, forse, addirittura esaustiva – di atto gratuito imponibile, ancorché non liberale.
[nota 4] Un esempio lo si può trarre da un altro passaggio della circolare che lascia molto perplessi, a sommesso avviso di chi scrive: quello, compreso sempre nel punto 5.2, in cui si afferma che il venir meno del vincolo di destinazione comporta sempre e comunque una nuova tassazione del «ritrasferimento», «indipendentemente da ogni precedente imposizione». Il che smentisce, di fatto, i buoni propositi di tener conto, ad esempio, del collegamento negoziale tra atti distinti, che giustificherebbe una conclusione diversa proprio per l'esempio fatto nella circolare, quello del venir meno dell'atto di destinazione posto in essere con funzione di garanzia, in cui è naturale la retrocessione del bene una volta che sia estinta l'obbligazione garantita.
[nota 5] Una panoramica comparativa sui vari mezzi utilizzabili nell'ordinamento per raggiungere scopi analoghi è in P. PICCOLI, «I trusts e figure affini in diritto civile. Analogie e differenze», in Vita not., 1998, p. 785 e ss.
[nota 6] Contra, mi pare, G. FRANSONI, «Allargata l'imponibilità dei vincoli di destinazione, commento alla circolare 3/2008», in Corr. trib., 2008, p. 646 e ss.
[nota 7] Qui c'è un altro punto critico della circolare, per il quale si rinvia alle relazioni sul trust; rispetto al quale, pur dando prova di un ammirevole equilibrio, la circolare 3/E incorre in evidenti aporie, nella misura in cui tende, nell'ansia di applicare il tributo senza che troppo tempo trascorra, a considerare tassabile anche l'attribuzione al trust in cui manchi o sia incerto il beneficiario.
[nota 8] Il precedente punto di equilibrio, che riservava al tributo di registro le modificazioni qualitative del patrimonio, e al tributo successorio quelle quantitative, è nettamente individuato da A. FEDELE, «Il regime fiscale di successioni e liberalità», in Riv. dir. trib., 2003, I, p. 808 e ss.; particolarmente utile è anche il volume, di autori vari, L'imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Consiglio Nazionale del Notariato, Milano, 2001.
[nota 9] A. FEDELE, op. cit.; G. GAFFURI, «Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni», in Rass. trib., 2007, p. 453; F. FORMICA, «Il trattamento fiscale degli atti di destinazione», in questo volume, 2008; A. CONTRINO, «Riforma del tributo successorio, atti di destinazione e trusts familiari», in Riv. dir. trib., 2007, I, p. 532.
[nota 10] Lo ammette ad es. A. CAZZATO, «Trust, l'Agenzia tra due "fiducie"», in Il Sole 24 Ore 15 marzo 2008, p. 30, la quale, pur sostenendo che i negozi fiduciari sono attratti all'imposizione ove producano anche effetti traslativi «in quanto costitutivi di vincoli di destinazione», rileva poi a conclusione dell'analisi che «scarso interesse, ai fini tributari, presenta invece l'indagine sull'idoneità dei negozi fiduciari a costituire un vincolo di destinazione (in ragione del contenuto solo obbligatorio del vincolo creato dal pactum fiduciae). Anche a voler escludere la costituzione di un vincolo sui beni immobili trasferiti, resta la riconducibilità dei negozi in esame agli atti gratuiti non donativi». Si rinvia a quanto si dirà infra per spiegare le ragioni per cui quest'ultima affermazione non può essere condivisa, non sussistendo alcuna necessaria coincidenza tra trasferimento fiduciario e gratuità.
[nota 11] M. NUSSI, " Fiducia" nel diritto tributario, in Digesto disc. priv., sez. comm., VI, Torino, p. 88, rilevava come la fiducia germanistica comporti l'applicazione del tributo successorio in caso di morte del fiduciante, che ha conservato la proprietà dei beni oggetto del mandato fiduciario, mentre è irrilevante la morte del fiduciario, per le stesse ragioni.
[nota 12] M. NUSSI, op. cit., p. 89 e ss.
[nota 13] M. ZACCHEO, Gestione fiduciaria e disposizione del diritto, Milano, 1991.
[nota 14] Il R.D. n. 239 del 1942 impone alle società fiduciarie di dichiarare le generalità degli effettivi proprietari delle azioni formalmente ad esse intestate; analogamente, l'art. 9 della legge n. 1745 del 1962: nel sistema è quindi esplicitamente ammessa e regolata la dissociazione tra proprietà e intestazione, coerentemente con la natura dei titoli di credito, in cui legittimazione e proprietà possono essere disgiunti: le stesse conclusioni non possono essere accolte quando i beni oggetto dell'intestazione fiduciaria siano immobili; v. al riguardo G. FRANSONI, op. cit., p. 647.
[nota 15] In questo senso, per tutti, C. GRASSETTI, da ultimo in Il negozio fiduciario nel diritto privato, in AA.VV., Fiducia, trust, mandato ed agency, Milano 1991, p. 8, secondo il quale «l'attribuzione patrimoniale è il mezzo per rendere possibile all'accipiente quel suo comportamento in ordine al diritto trasferitogli».
[nota 16] La formula impiegata dalla giurisprudenza prevalente è quella che combina due negozi, quello traslativo, con effetto esterno nei confronti dei terzi, e quello obbligatorio, a rilevanza meramente interna: tra le tante, Cass. 4886/2003; Cass. 9402/2005. Per una panoramica delle diverse ricostruzioni, U. CARNEVALI, Intestazione fiduciaria, in Irti (a cura di), Dizionari del diritto privato, I, Diritto civile, Milano 1980, p. 457.
[nota 17] O, alternativamente, il negozio che realizza l'atto tipico viene qualificato e colorato dal suo collegamento con l'atto interno, quello caratterizzato dall'intento fiduciario, che è anche l'atto che qualifica nella sua reale portata la natura vera dell'atto tipico.
[nota 18] M. NUSSI, op. cit., p. 90.
[nota 19] Per un'analisi diacronica dei problemi fiscali di queste ultime, si vedano F. GALLO, «Gli enti di gestione fiduciaria: problemi di tutela del risparmio e connessi profili fiscali», in Giur. comm., I, 1981, p. 736 e ss.; A. DI PIETRO, «L'autorizzazione per le attività di gestione fiduciaria», ivi, p. 759 e ss.; P. ADONNINO, voce Società fiduciaria, II, Diritto tributario, in Enc giur., XXIX, Roma; F. RASI, «Intestazione fiduciaria e poteri di accertamento dell'amministrazione finanziaria», in Rass. trib., 2006, p. 485 e ss.
[nota 20] Per un efficace quadro degli schemi più comuni, e delle esigenze pratiche cui sono piegati, si veda la pagina a cura di A. BUSANI, in Il Sole 24 Ore 28 aprile 2008, p. 34. In senso difforme si pone quella giurisprudenza che riconduce alla fiducia romanistica anche le attribuzioni alle società fiduciarie: Trib. Milano, 10 ottobre 2006, e Cass. 14375/2001. Secondo Cass. 10121/2007, in caso di ritrasferimento di quote di Srl dalla fiduciaria al mandante, non può essere opposto il diritto di prelazione, essendo tale trasferimento già insito nel pactum fiduciae. Molto rilevante resta Cass. 10031/97, in Foro it., 1998, I, I, c. 852, che ammette la rivendica dei fiducianti nei confronti di società fiduciaria sottoposta a liquidazione coatta amministrativa
[nota 21] Si veda in tal senso con molta chiarezza F. MARCHETTI, «Fiducia, mandato con vincoli ridotti», in Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2008, p. 11, il quale peraltro, quasi anticipando la successiva correzione di tiro dell'Agenzia, fornisce una lettura diversa della circolare 3, ritenendo che in essa si sia parlato solo di negozi fiduciari, e non di mandati.
[nota 22] Ad es., le società fiduciarie sono soggette ad obblighi previsti dalla disciplina del monitoraggio fiscale, ma in funzione della informazione circa i dati identificativi del mandante: v. al riguardo F. GUFFANTI, «Monitoraggio fiscale e società fiduciarie», in Corr. trib., 2007, p. 2171 e ss.
[nota 23] Che afferma che i beni di clienti affidati in gestione a società fiduciaria costituiscono patrimonio separato di quest'ultima, restando in proprietà dei fiducianti.
[nota 24] L'affermazione è esplicita a proposito del trust.
[nota 25] A. FEDELE, op. cit., p. 821, segnala la maggiore rilevanza che, nell'imposizione sulle liberalità, assumono le vicende restitutorie e risolutorie, rispetto a quanto accade nel tributo di registro, coerentemente con la rilevata imprescindibilità, nel primo tipo di prelievo, di un incremento patrimoniale imputabile ad un soggetto ben identificato.
[nota 26] «Nella intenzione delle parti l'attribuzione del diritto al fiduciario si prospetta come strumentale e temporanea, in vista del ritrasferimento … o dell'ulteriore trasferimento al terzo beneficiario»: C. GRASSETTI, op. cit., p. 10, il quale prospetta che fin dall'inizio l'attribuzione sia risolutivamente condizionata.
[nota 27] G. FRANSONI, op. loc. cit.; A. BUSANI, «Donazioni, fisco-choc sulle fiduciarie», in Il Sole 24 Ore, 23 gennaio 2008, p. 34; ID., «Interpretazione non giustificata quando mancano effetti traslativi», in Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2008, p. 29; ASSOFIDUCIARIA, COM 2008_007 del 23 gennaio 2008, il quale richiama gli artt. 10 e 12 del D.M. 16 gennaio 1995, che regola la modulistica proprio sullo schema del mandato; M. MANCA, «Intestazione fiduciaria e imposta sui vincoli di destinazione», in Il fisco, 2008, 9/1, p. 1541; A. MAURO, «I chiarimenti dell'Agenzia delle entrate sulle imposta di successione e donazione», ivi, 2008, 5/2, p. 859.
[nota 28] Circolare 28/E del 27 marzo 2008, nella quale, dopo una netta distinzione tra due tipologie di intestazioni fiduciarie, quella germanistica (riferita in particolare ad azioni e quote) e quella romanistica (presa in considerazione soprattutto quando riguarda beni immobili), si afferma che la seconda dà luogo ad applicazione dell'imposta sulle successioni quale atto a titolo gratuito di trasferimento della proprietà del bene, con effetti anche nei confronti di terzi; e ciò, pur riconoscendo la dubbia sussistenza, nella fattispecie, di un vero e proprio effetto segregativo. Immotivata rimane invece nella circolare la necessaria qualificazione della intestazione fiduciaria come atto a titolo gratuito, apoditticamente affermata; ma la dottrina aveva già rilevato come già la circolare 3/2008 tradisse una concezione troppo ampia dell'atto gratuito, ritenendo tale ogni negozio in cui manchi una corrispettività: G. FRANSONI, op. cit., p. 648 e ss.
[nota 29] Per la quale v. A. CAZZATO, op. cit.
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