Il Patto di famiglia e il trattamento fiscale nell'ambito delle imposte indirette
Il Patto di famiglia e il trattamento fiscale nell'ambito delle imposte indirette
di Adriano Pischetola
Notaio in Perugia

Premessa

Se come un grande statista americano [nota 1] ebbe a dire un giorno «non bisogna aver paura di negoziare, né negoziare per paura», penso sia ormai maturo il tempo - anche per chi dell'attività documentale di negoziazione è un referente e un elaboratore istituzionale quale il notaio - di affrancarsi dal timore di non stipulare patti di famiglia per l'assenza nel sistema di indici normativi sufficientemente sicuri ed affidabili ai fini di una corretta applicazione delle imposte indirette.

Uno di questi sicuri indici normativi infatti è quello ormai rinvenibile nel disposto del comma 78 articolo unico della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (c.d. legge finanziaria 2007) [nota 2]. Esso - come è noto - ha introdotto nel panorama normativo tributario (in tempi successivi alla reistituzione della 'neo-imposta' sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito [nota 3] ... secondo le disposizioni del testo unico approvato con decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001) [nota 4] una innovazione di rilevante spessore sistematico, consistente nella sottrazione dalla detta imposta dei «trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli artt. 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni». L'innovativo intervento legislativo era stato da più parti e per più versi invocato particolarmente in relazione all'istituto del 'patto di famiglia' introdotto con legge 14 febbraio 2006, n. 55, nel cui ambito non era dato rilevare l'esistenza di una specifica regolamentazione dei relativi profili fiscali [nota 5].

Il rilievo dell'intervento - come si diceva - si viene a profilare sul piano sistematico [nota 6], soprattutto in funzione della (indiretta) qualificazione della fattispecie negoziale pattizia (i.e. del patto di famiglia), ascrivibile ora con ragionevole certezza all'area delle gratuità [nota 7] (sia pure senza attenuazione della colorazione latamente divisionale in riguardo alla successione, per così dire, anticipata del disponente [nota 8]), e fors'anche di tutte le ulteriori articolazioni in cui quella fattispecie si atteggia, segnatamente l'accordo liquidativo con i legittimari partecipanti al patto (non assegnatari del bene produttivo) e le attribuzioni da esso discendenti o ad esso connesse, anche a favore dei legittimari ulteriori o sopravvenuti. Non avrebbe senso infatti ritenere - ed ora più che mai dopo l'intervento innovativo di che trattasi - che il legislatore del patto di famiglia abbia voluto ipotizzare un trattamento civilistico privilegiato (ai fini della stabilità dell'acquisto del bene produttivo operato dal beneficiario), agevolando sul piano tributario solo il fenomeno traslativo del bene produttivo principale e non già le altre vicende ad esso connesse e tutte inscrivibili per statuizione normativa nella complessa economia del patto stesso: sarà ben vero il contrario, e cioè che quel trattamento può definirsi effettivamente privilegiato se comporta (anche) sul piano tributario la delimitazione di un'area, caratterizzata nel suo complesso da un'attenuazione significativa del prelievo, in cui farvi rientrare tutti gli elementi fattuali e negoziali che concorrono a qualificarne il contenuto.

Ciò tanto più se si accede vuoi alla opinione dottrinaria, che enfatizza correttamente la funzione 'unitaria' di quegli elementi, e predilige in ultima analisi un «inquadramento unitario» dell'istituto in parola [nota 9], vuoi a quella [nota 10] che senza indugio definisce il patto di famiglia un atto di liberalità «a carico dell'imprenditore ed a favore, in via diretta ed immediata, della parte assegnataria dell'azienda, ed in via indiretta e mediata, degli altri legittimari», o vuoi ancora ad altra autorevole opinione espressa di recente [nota 11] per la quale il patto di famiglia potrebbe qualificarsi come «attribuzione liberale con funzione produttiva» e rientrare più in generale nell'alveo dell'ampia e variegata categoria delle c.d. 'liberalità non donative'.

A quest'ultima prospettiva sembra ispirarsi la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 3E/2008 nel ricondurre il patto di famiglia nell'ambito degli atti a titolo gratuito, pur se stipulati - essa precisa - in assenza di un intento 'prettamente donativo'.

Profili del regime fiscale con riferimento alle imposte indirette

La tecnica redazionale adottata dal legislatore del 2006 presenta, per così dire, caratteristica 'additiva': ed infatti il regime di "non assoggettamento ad imposta" (ça va sans dire, di successione e donazione) si ricava dall'aggiunta di un comma 4-ter all'art. 3 del T.U. n. 346/90, rubricato, come è noto, "Trasferimenti non soggetti ad imposta". Collocazione che, per effetto della relatio a quest'ultimo articolo operata dal comma 2 art. 1 e dal comma 3 art. 10 del T.U. approvato con D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347 in materia di imposte ipotecaria e catastale, comporta la sottrazione (i.e. 'non assoggettamento') anche da dette ultime imposte dei trasferimenti di che trattasi (aziendali, in tutto o in parte, o di partecipazioni societarie) che comportino la esecuzione di formalità pubblicitarie di regola da esse incise. Sicché pare di poter ritenere non assoggettate ad imposte ipotecaria e catastale non solo le formalità finalizzate a dare pubblicità dell'avvenuto trasferimento aziendale comportante anche (indiretto) trasferimento di immobili eventualmente ricompresi nel compendio alienato, quanto altresì quelle eseguite (sia pure facoltativamente) per dare conto dell'(eventuale) modifica della ragione sociale conseguente al trasferimento di quote di partecipazione a società (intuitivamente solo) personali. Ciò in quanto la formula ampia ed onnicomprensiva usata dal legislatore nell'art. 1 comma 2 e nell'art. 10 comma 3 del cit. T.U. n. 347 («non sono soggette ad imposta le formalità [n.d.r: o rispettivamente] le volture ... relative ai trasferimenti di cui all'art. 3 del testo unico sull'imposta sulle successioni e donazioni») dovrebbe consentire agevolmente di pervenire a siffatta conclusione [nota 12].

Si è parlato opportunamente di 'non assoggettamento ad imposta' e non già di esenzione (come potrebbe accadere per l'operatività di una qualche franchigia), nonostante l'impropria collocazione prescelta per inserire la disciplina in esame [nota 13]; il che dovrebbe più fondatamente far ritenere la non debenza di alcuna imposta - nella fattispecie al vaglio - neppure quella in misura fissa prevista per l'imposta di registro. Se infatti (trattandosi di trasferimenti gratuiti - ripetesi - non assoggettati ad imposta e non solo 'esenti') sicuramente non trova applicazione il disposto dell'art. 59 1° comma lett. b) del T.U. n. 346/90 - ove appunto è stabilita l'applicazione dell'imposta in misura fissa prevista per l'imposta di registro per le donazioni di ogni altro bene o diritto dichiarato 'esente' [nota 14] - non è possibile nemmeno argomentare in senso affermativo per l'applicazione di tale imposta in forza del richiamo (operato per gli atti di donazione dall'art. 55 1° comma o dall'art. 60 del T.U. n. 346/90) alle disposizioni contenute nel testo unico sull'imposta di registro ex D.P.R. n. 131/86 e, segnatamente, al disposto del comma 2 dell'art. 41 (rubricato "Liquidazione dell'imposta"). Quest'ultimo infatti statuisce che «l'imposta principale non può essere in nessun caso inferiore alla misura fissa indicata nell'articolo 11 della Tariffa, parte prima … »; ma - e qui è lo snodo essenziale - sempre laddove un'imposta (principale) sia dovuta (ancorché inferiore alla misura fissa). In ipotesi di non assoggettamento alcuno ad imposta invece pare logico concludere per l'assoluta non debenza. [nota 15]

Di ciò pare potersi rinvenire una conferma nel passo della circolare n. 3/E 2008 ove è precisato che «per la registrazione degli atti soggetti a tassazione in virtù dell'applicazione delle franchigie, è dovuta l'imposta in misura fissa», rinviandosi alle osservazioni già formulate nella circolare 18 ottobre 2001 n. 91. Dal che si dovrebbe desumere che se la imposizione non ha luogo perché trattasi di trasferimenti non assoggettati per nulla ad imposta (e non già per l'operatività di una qualche franchigia), l'imposta non è dovuta neanche in misura fissa.

Il presupposto negoziale

Il novellato art. 3 del T.U. n. 346/90, al neo-introdotto comma 4-ter, statuisce la non soggezione ad imposta per i 'trasferimenti' di aziende o loro rami, di quote sociali ed azioni, senza nulla precisare in ordine alla natura di essi.

Si ha ragione di pensare che con la detta espressione si possano intendere tutte le fattispecie negoziali derivativo-costitutive (contrassegnate dalla connotazione della 'gratuità') all'uopo idonee ad assicurare (almeno laddove abbiano ad oggetto compendi aziendali) la traslazione della gestione del bene produttivo: e pertanto - oltre le cessioni nella loro configurazione paradigmatica anche - le costituzioni di usufrutto, le sub-cessioni di usufrutto da parte dell'usufruttuario (laddove non vietate dal titolo), le cessioni effettuate sia pure con riserva di disporre di cose determinate (ai sensi dell'art. 790 c.c.) o con condizione di riversibilità (ai sensi dell'art. 791 c.c.).

Inoltre è da ritenersi che il legislatore della novella abbia voluto far riferimento a fattispecie negoziali suscettibili di realizzare un effettivo arricchimento patrimoniale del beneficiario a fronte di un impoverimento del disponente, e cioè che nel concetto di 'trasferimenti' si debbano rinvenire i tratti distintivi di quelle che la migliore dottrina [nota 16] qualifica come effettive 'liberalità' per distinguerle da fattispecie, pur gratuite, che realizzino una mera omissio adquirendi (ove difettano sia l'arricchimento quanto l'impoverimento sopra detti) [nota 17].

I singoli 'trasferimenti' o 'attribuzioni' nell'ambito del patto di famiglia

Mettendo a fuoco un po' più da vicino la materia che qui ci occupa (senza pretendere di poter esaustivamente trattare di altri profili specifici, quali la 'detenzione del controllo' di quote sociali e di azioni, il presupposto 'temporale' con particolare riferimento alla prosecuzione dell'esercizio dell'attività d'impresa, il presupposto formale della dichiarazione) - aspetti comuni a tutte le forme in cui può articolarsi un trasferimento d'azienda o di partecipazioni sociali esente da imposta ex art. 1 comma 78 della finanziaria 2007, e quindi non solo per il tramite del patto di famiglia - converrà in questa sede farsi carico di concentrare l'attenzione su quei momenti o elementi negoziali con efficacia in senso lato 'attributiva' - di cui s'è detto nella premessa -, ulteriori rispetto al trasferimento del bene produttivo, e nei quali si racchiude la particolarità dell'istituto 'patto di famiglia'. Ci si vuole riferire qui segnatamente alle attribuzioni, anche in natura:

a. effettuate dal discendente beneficiario che provveda in tal modo alla 'liquidazione' a profitto dei legittimari partecipanti al patto – non assegnatari, ex art. 768-quater c.c. comma 2;

b. effettuate direttamente dal disponente a vantaggio di questi ultimi (sia pure nell'ambito, in relazione ed a motivo dell'esistenza del patto) ex art. 768-quater c.c. comma 3;

c. effettuate a vantaggio dei legittimari c.d. di secondo grado o sopravvenuti non partecipanti al patto, all'apertura della successione del disponente, ex art. 768-sexies c.c.

Analizzando gradatamente le superiori ipotesi e supponendo - come già illustrato nella premessa - che tutta l'area negoziale (sia pure nelle sue variegate accezioni paradigmatiche ipotizzate dal legislatore con legge n. 55/2006) sia ascrivibile, in senso unitario, all'ambito della 'gratuità' in senso lato e sia connotata da una fondante funzione programmatico-attributiva finalizzata ad attuare una successione anticipata del disponente [nota 18], non sfugge come l'ipotesi sub a) - soprattutto se si ritenga giustificata una sua qualificazione in termini di strumentalità o correlatività [nota 19] rispetto al trasferimento del bene produttivo, assumendo pertanto una colorazione assimilabile a quella di un 'modus' od onere donativo nella sua definizione tipica ex art. 793 c.c., sia pure di fonte legale - non possa essere soggetta ad altra tassazione diversa da quella prevista per gli atti a titolo gratuito. Di tanto si trova senz'altro una conferma sistematica nel disposto dell'art. 58 1° comma del T.U. n. 346/90 per cui «gli oneri di cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari», e vieppiù nel disposto del 4° comma del medesimo articolo ove si prevede l'applicabilità delle disposizioni del titolo III del T.U., in quanto compatibili, anche «per gli atti di liberalità tra vivi diversi dalla donazione». Ciò, non tanto e non solo perché il paradigma della donazione modale [nota 20] si configura come quello che presenta maggiori similitudini con l'istituto al vaglio [nota 21] e consente di accedere ad una considerazione unitaria dei vari segmenti in cui si articola il negozio pattizio, ma soprattutto perché l'attribuzione effettuata dal discendente beneficiario potrebbe essere qualificata essa stessa a sua volta come liberalità 'indiretta' del disponente a favore dei legittimari non assegnatari [nota 22]. Del resto la neo-istituita imposta sulle successioni e le donazioni (di cui ai commi 47 e ss. art. 2 del D.l. n. 262/2006), e vieppiù la novella di cui al citato comma 78 sembrano nel complesso decisamente ispirate ad un favor legislativo di largo respiro nei confronti di tutti i trasferimenti gratuiti (liberali e non), ed in particolare per quelli funzionalmente collegati e connessi con il trapasso generazionale di un bene produttivo. Peraltro siffatta ricostruzione teorica è l'unica che legittimi anche la operatività in concreto della disattivazione dei meccanismi di collazione e riduzione, disposta dal quarto comma dell'art. 768-quater c.c., e cioè di istituti che presuppongono necessariamente l'effettuazione di pregresse liberalità, sia pure indirette [nota 23].

Le superiori considerazioni dovrebbero allora senza particolari affanni consentire di ritenere estensibile il sistema impositivo concepito dal legislatore per gli atti liberali e gratuiti anche alla fattispecie negoziale di cui supra sub b): all'evidenza infatti, l'attribuzione (o, per usare, l'espressione usata dal legislatore, l'assegnazione), effettuata direttamente dal disponente a favore degli altri legittimari non assegnatari del bene produttivo [nota 24] a fortiori va considerata una liberalità a loro profitto, anzi stavolta una liberalità diretta ed immediata, e ciò anche se disposta, come stabilisce l'art. 768-quater c.c., con successivo contratto espressamente dichiarato collegato al patto originario ed ove intervengano tutti gli originari contraenti (o i soggetti ad essi sostituiti). Tra l'altro non condurrebbe a diverse conclusioni, sotto il profilo che qui interessa, nemmeno una ricostruzione sia pure parzialmente diversa, che volesse individuare nell'assegnazione effettuata dal disponente (in sostituzione della liquidazione dovuta dal discendente-beneficiario, in tal modo sollevato dal relativo obbligo), una liberalità indiretta nei suoi confronti, realizzata attraverso l'adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. o una sorta di espromissione ex art. 1272 c.c.: sempre infatti si continuerebbe a gravitare ai fini fiscali nell'orbita della pura liberalità negoziale, con consequenziale applicazione del relativo regime impositivo. Probabilmente si dovrebbe, accedendo a siffatta ultima ricostruzione dell'intera vicenda, ulteriormente distinguere tra liberalità di cui direttamente o indirettamente beneficerebbe il discendente beneficiario (fino a concorrenza dell'ammontare della liquidazione dal medesimo dovuta agli altri legittimari non beneficiari del bene produttivo) e liberalità da intendersi effettuata direttamente a favore di tali ultimi legittimari per l'esubero rispetto alla liquidazione stessa [nota 25]. Ma è evidente che sul piano della imposizione fiscale nulla cambierebbe.

Ne discende - a mò di corollario di quanto sopra detto - che ai fini dell'applicazione della neo-imposta sulle successioni e donazioni alle fattispecie, entrambe, rubricate sotto le precedenti lettere a. e b., dovrà prendersi a riferimento in ogni caso il rapporto di parentela in linea retta o di coniugio (con applicazione della relativa franchigia legale) intercorrente tra il disponente da un lato ed i legittimari non beneficiari del bene produttivo dall'altro, e non già (laddove la 'liquidazione' avvenga per il tramite del discendente beneficiario) del rapporto (di regola di parentela in linea collaterale) intercorrente tra questi e quei legittimari [nota 26].

Infine in riguardo all'ipotesi sopra rubricata sotto la lettera c) [i.e. attribuzioni effettuate a favore dei legittimari di secondo grado o sopravvenuti] va innanzitutto precisato che tali attribuzioni, lungi dall'esaurirsi solo nel «pagamento della somma prevista dal secondo comma dell'art. 768-quater c.c., aumentata dagli interessi legali», possono consistere, pur nel silenzio della norma, anche in prestazioni diverse da quella specificamente pecuniaria, così come in atti con efficacia traslativa vera e propria, evidentemente anche nella forma della datio in solutum, ai sensi e in coerenza con quanto stabilito dall'art. 1197 c.c. Anche per detti segmenti della vicenda pattizia, peraltro, e quale che sia il soggetto passivo dell'obbligo di liquidazione (l'assegnatario del bene produttivo e/o anche gli altri legittimari non assegnatari che hanno ottenuto la liquidazione dei propri diritti in sede di stipula del patto o anche in esecuzione di contratto successivo, in quanto tutti 'beneficiari del contratto', così come si esprime la norma dell'art. 768-sexies c.c.), è pensabile – coerentemente a quanto sopra detto – che essi rappresentino altrettante presumibili liberalità indirette che il disponente, se fosse sopravvissuto, avrebbe posto in essere nei confronti degli aventi diritto e che risultano di fatto formalizzate per il tramite del soggetto passivo di volta in volta esposto all'obbligo di liquidazione. Né in senso contrario depone la circostanza che l'adempimento della prestazione liquidativa avvenga in tempi successivi al decesso del disponente, in quanto ciò appare coerente già con il sistema (come si verifica esemplificativamente nell'ipotesi della prestazione eseguita a profitto del terzo dopo la morte dello stipulante ex art. 1412 c.c. o nella donazione cum praemoriar).

Di guisa che ai fini dell'imposizione fiscale indiretta dovrà aversi riguardo anche stavolta al rapporto di parentela (o di coniugio) che sarebbe intercorso tra il disponente del bene produttivo (poi mancato ai vivi) e il beneficiario (legittimario di secondo grado o sopravvenuto) della liquidazione di che trattasi, e non già a quello intercorrente tra tale beneficiario ed il soggetto passivo dell'obbligazione liquidativa; con ciò riconfermandosi l'unitarietà della qualificazione giuridica di tutte le fattispecie rientranti o comunque ricomprese nell'ambito genetico e funzionale della vicenda pattizia familiare.

Per dovere di completezza qui va peraltro riferito di quella linea di pensiero [nota 27] espressa nella direzione della non imponibilità in forma ancora più radicale, e fondata sul presupposto che nelle convenzioni e nelle intese pattizie intercorrenti tra i futuri legittimari con attribuzione a profitto di quelli non beneficiari del bene produttivo di entità per così dire 'compensative' delle loro ragioni, sia possibile ravvisare i tratti distintivi degli «accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata» di cui è menzione all'art. 43 del D.lgs. n. 346/90. Questa norma [nota 28] statuisce infatti che a quegli accordi si applichi l'imposta di successione (e giammai l'imposta di registro) in quanto ritenuti uno strumento giuridico finalizzato ad incidere sulla pianificazione dei rapporti comunque riconducibili al fenomeno successorio afferente il comune dante causa dei paciscenti [nota 29]. Vieppiù, se tali accordi si inscrivono nella vicenda del 'patto di famiglia' o comunque trovano in esso la scintilla causativa e genetica della loro formulazione, si dovrebbe optare coerentemente - secondo quanto argomentato nella linea di pensiero qui riferita - per la totale non imponibilità, perché proprio questa il legislatore del 2006 ha statuito espressamente in riferimento alla vicenda fondante (i.e. il trasferimento del bene produttivo): di guisa che non si potrebbe invocare la imponibilità delle vicende negoziali da quella scaturenti (come appunto gli accordi con funzione compensativa e con effetti ora attributivi, ora traslativi o comunque transattivi, intercorrenti con gli altri legittimari non beneficiari del bene produttivo), senza con ciò (forse) vanificare l'impalcatura complessiva del regime fiscale agevolato [nota 30].

Opinione, quella or ora esposta, che peraltro risulta sconfessata dai contenuti della richiamata circolare n. 3/E 2008 che ha espressamente escluso - come è noto - le attribuzioni (di somme di danaro e/o di beni diversi) poste in essere dall'assegnatario del bene produttivo a favore degli altri legittimari non assegnatari dall'ambito di 'non assoggettamento ad imposta' disegnato dal citato comma 78, attraendole al contrario nell'alveo applicativo dell'ordinaria imposta sulle successioni e donazioni, senza peraltro entrare nel merito in ordine alla individuazione del rapporto di parentela o meno fiscalmente rilevante.

Il recesso

Come è noto una delle modalità con cui il patto di famiglia può essere sciolto è a seguito della facoltà di recesso, se ciò era espressamente previsto nel contratto e - stabilisce l'art. 768-septies c.c. - «necessariamente attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio».

Ora nel patto di famiglia, così come delineato dal legislatore, avente per definizione efficacia traslativa quanto all'oggetto dell'assegnazione a favore del beneficiario diretto, tale facoltà di recesso (almeno da parte del disponente) non potrebbe essere ritenuta di fatto esperibile (e soprattutto in termini di effettività non avrebbe alcun contenuto concreto) se non consentendo che, per effetto dell'esercizio di essa, possa essere attuato – in senso simmetricamente opposto a quello originario – un ri-trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni acquisite a suo tempo dal beneficiario in favore del disponente.

Qui solo rilevando per inciso che i dubbi pur legittimi [nota 31] in ordine alla plausibilità di una siffatta forma di recesso, in relazione a contratti ad esecuzione istantanea oltre che ad effetti reali, come quello che attua il patto di famiglia, dovrebbero ritenersi fugati dalla disposizione dell'ultimo comma dell'art. 1373 c.c., per il quale le parti di un contratto possono attribuire ad una o ad entrambe la facoltà di recesso anche laddove già vi sia stato un principio di esecuzione contrattuale. Di tanto si trova conferma anche nella giurisprudenza della Cassazione [nota 32], per la quale «i contraenti - ai sensi dell'ultimo comma [n.d.a. dell'art. 1373 c.c.], il quale stabilisce che «è salvo in ogni caso il patto contrario» e si riferisce a tutte le disposizioni dei primi tre commi, non aventi natura imperativa - ben possono prevedere, in deroga alla disposizione del primo comma, che il recesso (attribuito ad uno o ad entrambi i contraenti) possa essere esercitato anche dopo l'inizio dell'esecuzione. E non osta alla operatività della pattuizione il fatto che possa rendersi necessario il ricorso a uno strumento tecnico-giuridico idoneo a rimuovere la situazione determinata dalla già avvenuta esecuzione; (ad es. una retrovendita in caso di già eseguita vendita)».

È peraltro chiaro che tale ricostruzione incontra un limite, di non lieve portata, in riferimento al segmento contrattuale disponente-beneficiario diretto, in quanto se il bene produttivo o le partecipazioni assegnati risulteranno già trasferiti a terzi subacquirenti all'atto dell'esercizio della facoltà di recesso, esso non potrà certamente incidere sull'acquisto effettuato da quest'ultimi, e ciò sia per il principio di ordinaria inefficacia del contratto nei confronti dei terzi, salvo espressa previsione di legge (ex art. 1372 secondo comma c.c.), quanto per il principio di inidoneità della risoluzione a costituire un pregiudizio per le loro ragioni (ex art. 1458 secondo comma c.c.). [nota 33]

Ma, tralasciando di trattare ex professo le specifiche problematiche connesse con il profilo civilistico, ci si pone in questa sede l'interrogativo in ordine al regime fiscale conseguente all'esercizio della suddetta facoltà.

Ed indubbiamente se per effetto del recesso si dia luogo ad un ri-trasferimento dal beneficiario diretto al disponente dell'azienda o delle partecipazioni trasferite, senza il versamento di alcun corrispettivo, sarà giocoforza attrarlo nell'ambito applicativo della imposta sui trasferimenti a titolo gratuito di cui al D.l. n. 262/2006 (e non già certamente dell'imposta di registro), considerando il rapporto di parentela in linea retta intercorrente tra il primo ed il secondo.

Peraltro, in seguito al recesso così esercitato, si dovrebbe logicamente ritenere priva di causa anche l'attribuzione eventualmente fatta dal beneficiario diretto a favore dei legittimari non assegnatari, con consequenziale obbligo a carico di questi ultimi di provvedere alla restituzione di quanto ricevuto. E pare qui parimenti giustificato riservare anche a tale ulteriore ri-trasferimento della somma pagata - come della diversa prestazione in natura con funzione liquidativa eseguita a suo tempo dal beneficiario - un analogo trattamento fiscale, avendo sempre riguardo al rapporto intercorrente tra disponente e legittimari non assegnatari, e non già a quello intercorrente tra questi e il beneficiario diretto. Ciò in quanto il recesso - e le consequenziali prestazioni eseguite per dare ad esso contenuto concreto - nel ripristinare la situazione quo ante, annullano di fatto gli effetti della primitiva attribuzione a favore dei legittimari non assegnatari, e dovrebbero pertanto coerentemente ritenersi sottoposti al medesimo trattamento tributario a suo tempo applicato a quell'attribuzione.


[nota 1] J.F. KENNEDY, nel discorso inaugurale d'insediamento alla Casa Bianca, 20 gennaio 1961.

[nota 2] Pubblicata sul supplemento ordinario alla G.U. n. 299 del 27 dicembre 2006 - serie generale.

[nota 3] Avvenuta in forza del disposto di cui all'art. 2 comma 47 del D.l. 3 ottobre 2006, n. 262 come convertito dalla L. 24 novembre 2006, n. 286.

[nota 4] E fatto salvo quanto disposto dai commi da 48 a 54 del medesimo art. 2 D.l. n. 262/2006.

[nota 5] Cfr. sul punto le osservazioni formulate dai primi commentatori dell'istituto al vaglio FRIEDMANN, «Le implicazioni fiscali delle attribuzioni familiari. Prime riflessioni sul trattamento del patto di famiglia ai fini delle imposte indirette», AA.VV., Patti di famiglia per l'impresa, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006, p. 185; BASILAVECCHIA, «Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari, le implicazioni del patto di famiglia, aspetti sistematici», ibidem p. 194; PURI, «Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari. Profili dell'imposizione diretta del patto di famiglia», ibidem p. 202; si è in particolare auspicato che «il passaggio generazionale del'impresa sia escluso (o, quanto meno, radicalmente agevolato) dalla imposizione anche indiretta», osservando che la norma agevolativa «non potrebbe investire solo i trasferimenti conseguenti al patto di famiglia, ma dovrebbe più ampiamente garantire l'esclusione dalla imposizione sulle liberalità e sulle successioni di tutti i trasferimenti nell'ambito familiare aventi ad oggetto aziende. Per le partecipazioni sociali, potrebbe invece limitarsi l'agevolazione a quelle sole cessioni che garantiscano, per la loro attitudine a consentire un controllo gestionale, il raggiungimento di effetti equivalenti a quelli connessi al trasferimento di azienda». Così BASILAVECCHIA, op. loc. cit. Sembra che il legislatore si sia mosso proprio in tale ottica, tanto da modellare la non soggezione ad imposta proprio sulla fattispecie del patto di famiglia, così condizionando eccessivamente, come si avrà modo di vedere, l'applicazione del beneficio o le strategie aziendali successive al trasferimento, soprattutto nei casi di successione ereditaria; così, consapevolmente o meno, finendo con il disegnare una disciplina che incentiva fortemente il ricorso al patto di famiglia, che consente un'anticipata sistemazione delle aspettative di tutti i potenziali legittimari.

[nota 6] Come già rilevato da PISCHETOLA nelle Segnalazioni novità normative: legge finanziaria 2007 - Le modifiche relative ai trasferimenti gratuiti a favore di discendenti di aziende, quote sociali, azioni in CNN Notizie del 19 dicembre 2006, n. 239.

[nota 7] Nel contempo è da rilevare che il progetto di legge a firma dell'On. Pastore n. 1353 (che a sua volta riproduceva con alcune modifiche semplificative il disegno di legge n. 2799, presentato sempre dall'On. Pastore il 2 ottobre 1997, nel corso della XIII legislatura), poi assorbito in quello n. 3567, definitivamente approvato e che si è tradotto nella legge n. 55/2006, era più esplicito rispetto al testo risultante da questa ultima legge, perché qualificava espressamente come 'donazione' l'atto di assegnazione dell'azienda (o delle partecipazioni sociali) ad uno o più discendenti. Tale precisazione invece manca nel testo vigente.

Ma ciò non sembra costituire un argomento decisivo per escludere la colorazione 'liberale' della fattispecie in questione, in quanto l'esatta definizione del genus cui il patto di famiglia è ascrivibile non pare possa e soprattutto debba essere - di per sé - operazione concettuale di spettanza del legislatore, quanto dell'interprete e del giurista in particolare. Soprattutto, sembra di poter reputare legittima quella colorazione se si aderisce alla opinione autorevolmente espressa in dottrina per la quale si ha donazione ogni qual volta si ponga in essere un «depauperamento del donante accompagnato dall'arricchimento del donatario, intendendo tale arricchimento non in senso empirico ed economico, ma in senso giuridico, cioè come mancanza di corrispettivo dell'attribuzione patrimoniale» (così CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 1982, p. 791, riferendosi alla c.d. 'teoria oggettiva' sostenuta in dottrina da Torrente, Messineo, Casulli).

[nota 8] Ciò in quanto tale colorazione non può essere denegata: e non tanto e non solo per considerazioni di carattere topografico (risultando collocato il patto di famiglia nel nuovo capo V-bis nel titolo IV del libro delle successioni, dedicato alla "divisione"), quanto piuttosto per la funzione di 'apporzionamento' perseguita in ultima analisi dal patto di famiglia, nell'ottica di una 'successione anticipata' (sul che amplius AMADIO, «Divieto dei patti successori ed attualità di interessi tutelati», in Patti di famiglia per l'impresa, op. cit., p. 75 e ss.; nonché ZOPPINI, Il patto di famiglia (linee per la riforma dei patti sulle successioni future), Diritto privato, 1998, IV, Del rapporto successorio: aspetti, Padova, 1999, p. 263 e ss.

[nota 9] Così BASILAVECCHIA, op. cit., p. 197 per il quale, se si dovesse addivenire ad una imposizione frammentata e distinta di tutti i segmenti di cui si compone la vicenda pattizia, si dovrebbe ammettere che «il legislatore avrebbe introdotto un istituto di riconosciuta utilità economica e sociale, ma strutturato in una forma complessa che, se sottoposta a tassazione con riguardo alla separata considerazione di ciascun elemento della fattispecie, avrebbe dato luogo a un regime fiscale nettamente più gravoso di quello che si realizza a seguito della successione ereditaria ... con la conseguenza che di fatto non sarebbe conveniente farvi ricorso».

[nota 10] Cfr. RIZZI, «Il patto di famiglia», in Notariato, 4, 2006, p. 429 e ss.

[nota 11] PERLINGIERI, «Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi», AA.VV., Liberalità non donative ed attività notarile, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2008, p. 122 e ss.

[nota 12] Sembra di capire che al contrario GAFFURI, Il patto di famiglia nel quadro dell'imposizione tributaria, in Atti del Convegno Paradigma del 2 febbraio 2007, p. 8 sia attestato su posizioni diverse, ritenendo che la novella al vaglio non consenta di ampliare i margini applicativi del trattamento fiscale agevolato oltre l'ambito della 'rinata imposta successoria'; ma il combinato disposto delle norme citate nel testo - tra di esse coordinate - non può essere ignorato.

[nota 13] Infatti, l'art. 3 del D.lgs. 346/90 conteneva, prima della recente integrazione, solo esenzioni di tipo soggettivo, giustificate cioè dalla qualità del soggetto beneficiario dell'attribuzione, e non dalla natura del bene oggetto del trasferimento. Mentre nell'agevolazione che concerne aziende, quote ed azioni e di cui qui si discute l'oggetto del beneficio è certamente da individuare nella natura del bene trasferito, piuttosto che nella qualità del beneficiario; quindi, un'agevolazione oggettiva è stata inserita in una disposizione che si occupa di agevolazioni soggettive.

[nota 14] Mentre nella fattispecie al vaglio il trasferimento non è solo esente, bensì, come più volte precisato nel testo, non soggetto ad imposta.

[nota 15] Al riguardo nello studio n. 168-2006/T approvato dalla Commissione studi tributari del CNN il 15 dicembre 2006, Prime note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni (D.l. n. 262/2006 convertito dalla legge n. 286/2006 e successive modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2007), all'indirizzo http://www.notariato.it/Notariato/StaticFiles/Studi_e_approfondimenti/168.pdf si sostiene la non debenza financo in relazione agli atti 'esenti': «pur dopo la 'reistituzione' dell'imposta de qua, deve ritenersi l'inesistenza dell'obbligo di assolvimento dell'imposta sia pure nella sola misura fissa qualora il trasferimento a titolo gratuito abbia ad oggetto beni o diritti il cui valore non ecceda la nuova detta franchigia».

[nota 16] CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 1982, p. 783.

[nota 17] Come potrebbe essere un mero comodato gratuito (posto in essere quindi in assenza di un corrispettivo), laddove risultasse ammissibile in relazione ad un'azienda o ad un suo ramo.

[nota 18] Secondo GAFFURI, Il patto di famiglia…, op. cit., p. 2 «è incontrovertibile ... che il patto di famiglia appartiene al fenomeno successorio, largamente inteso, se non altro perché le norme che lo riguardano compongono ... il capo V-bis del titolo II [n.d.a. del codice civile] che è appunto dedicato alla successione ereditaria».

[nota 19] Che, evidentemente, è concetto diverso da 'corrispettività': vedi quanto precisato nella nota che segue.

[nota 20] Sulla donazione modale per tutti v. TORRENTE, La donazione, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, vol. XXII, Milano, 1956, p. 277 e ss.; ma anche CARNEVALI, La donazione modale, Milano, 1969; ID. Le donazioni, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, 6, Le successioni, II, Torino, 1997, p. 553 e ss.; di recente anche CATAUDELLA, Successioni e donazioni, La donazione, in Tratt. Bessone, V, Torino, 2005, p. 118 e ss.

[nota 21] Ritengono che il patto di famiglia integri un contratto di donazione modale LUPETTI, «Il finanziamento dell'operazione family buy out», in Patti di famiglia per l'impresa, cit., p. 369 (quanto meno nella fattispecie qui all'esame, ove la prestazione liquidativa viene effettuata dal discendente beneficiario); e MERLO, «Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Profili civilistici del patto di famiglia», ibidem, p. 102; CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali», in Notariato, 3, 2006, p. 304; ai fini fiscali l'assimilazione è sembrata evidente e giustificabile già a FRIEDMANN, «Le implicazioni fiscali delle attribuzioni familiari. Prime riflessioni sul trattamento del patto di famiglia ai fini delle imposte indirette», in Patti di famiglia per l'impresa, cit., p. 186; BASILAVECCHIA, «Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari, le implicazioni del patto di famiglia, aspetti sistematici», ibidem, p. 196. Del resto l'opinione dottrinaria che qualifica il patto di famiglia una 'donazione modale' non appare affatto peregrina, se si considera che nel suo ambito l'onere 'liquidativo' a carico del beneficiario non costituisce un elemento di corrispettività rispetto all'attribuzione del bene produttivo, tale da scardinare la natura liberale complessiva della fattispecie.

A ben vedere anche nell'ambito dello schema tipico della donazione modale è ben possibile che si verifichi la circostanza che l'adempimento dell'onere comporti erosione della entità patrimoniale dell'attribuzione donativa principale (se non addirittura abbattimento di tale entità, sia pure entro il limite del valore della cosa donata ex art. 793 secondo comma c.c.), ma ciò non innesca necessariamente nel meccanismo contrattuale un dirompente elemento di onerosità/corrispettività tale da stravolgere il profilo funzionale e causale complessivo della fattispecie. Al riguardo dottrina autorevole (cfr. TORRENTE, La donazione, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, vol. XXII, Milano, 1956, p. 291 e ss.) ritiene che proprio nell'ambito della donazione modale, per avere certezza che l'onere non alteri la natura liberale del contratto, più che alla congruità dei valori economici tra attribuzione donativa e prestazione posta a carico dell'onerato, bisogna aver riguardo alla valutazione soggettiva delle parti, cui occorre riferirsi per distinguere nel caso concreto il modus dal corrispettivo.

[nota 22] In tal senso CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia - I parte: profili strutturali e funzionali della fattispecie», in Notariato, 3, 2006, op. cit., p. 305; anche BARALIS, «Attribuzioni ai legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali», in Patti di famiglia per l'impresa, cit., p. 227 nel ritenere inammissibile nell'ambito del patto di famiglia una liquidazione dei legittimari non assegnatari fatta direttamente dal disponente, sostiene che quella fatta dal cessionario del bene produttivo ha funzione surrogatoria di quella che il disponente non potrebbe fare: «è come se il disponente, nei confronti di quest'ultimi (n.d.a. cioè dei legittimari non assegnatari) avesse surrogato l'azienda con altri beni disponendo a loro favore in via indiretta tramite il cessionario»; ciò solo, secondo il chiaro Autore, spiegherebbe il disposto dell'art. 768-quater terzo comma c.c. che stabilisce l'obbligo d'imputazione alle quote di legittima spettanti ai legittimari non assegnatari di quanto ricevuto da persona diversa dall'autore della (futura) successione.

[nota 23] Cfr. artt. 809 c.c. e 737 c.c. ove è previsto che anche liberalità diverse da quelle donative in senso stretto o comunque indirette sono soggette, rispettivamente, a riduzione e a collazione.

[nota 24] Espone bene la possibilità di un'attribuzione diretta da parte del disponente MASCHERONI, «Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. L'ordinamento successorio italiano dopo la legge 14 febbraio 2006, n. 55», in Patti di famiglia per l'impresa, cit., p. 27; il quale anzi ricorda come nella relazione al d.d.l. n. 1335 (Pastore ed altri) comunicato alla Presidenza del Senato il 23 aprile 2000 si individua proprio nell'assegnazione diretta da parte dell'imprenditore ai propri discendenti non beneficiari del bene produttivo (con conseguente imputazione alle loro quote di legittima di quanto da lui ricevuto) l'ipotesi ordinaria di liquidazione degli stessi.

[nota 25] Cfr. sul punto efficacemente TASSINARI, «Il patto di famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali. Il patto di famiglia per l'impresa e la tutela dei legittimari», in Patti di famiglia per l'impresa, cit., p. 169; è come se si verificasse, in sostanza, una duplice liberalità del disponente nei confronti del beneficiario, la prima avente ad oggetto l'azienda o le partecipazioni, la seconda tale da esonerarlo dall'obbligo legale di liquidare i legittimari non assegnatari di azienda o quota.

[nota 26] Cfr. in tal senso anche BUSANI, «Passo avanti sul patto di famiglia», in Il Sole 24 Ore di lunedì 12 febbraio 2007.

[nota 27] Cfr. GAFFURI, Il patto di famiglia..., cit., p. 6.

[nota 28] Trattasi di disposizione mai definitivamente tramontata (pur dopo la soppressione dell'imposta di successione operata dalla legge n. 383/2001) ed ora ripristinata in toto per effetto della neo-imposta introdotta con il D.l. n. 262/2006.

[nota 29] Cfr. Cass. 3 maggio 1979, n. 2554, in Giust. civ. Mass., 5, 1979, secondo cui «le convenzioni con cui l'erede testamentario ed i legittimari preteriti o comunque lesi nei propri diritti di riserva soddisfino - anche in misura parziale - tali diritti, inserendosi nella vicenda successoria ed avendo natura sostanzialmente ereditaria, rientrano nella previsione dell'art. 6 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270, per cui sono tassabili con l'imposta di successione e non con l'imposta di registro applicabile agli atti traslativi inter vivos (la massima mantiene la sua validità per l'applicazione dell'art. 43 del T.U. n. 346/1990)»; nonché Cass. civ., sez. I, 10 marzo 1992, n. 2869, in Giust. civ. Mass., 3, 1992, la dottrina maggioritaria però dissente dalla posizione assunta dalla Cassazione, soprattutto contestando la natura 'sostanzialmente ereditaria' degli accordi in parola: cfr. BULGARELLI, «Gli atti dispositivi della legittima», in Notariato, 5, 2000, p. 481-496; nonché SALVATORE, «Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione», in Riv. not., 2, parte 1, 1996, p. 211-220, secondo cui «gli atti in questione non possono che essere considerati inter vivos, non inserendosi in alcun modo … nella vicenda successoria, non mutando il numero dei successibili né il titolo della devoluzione, solo provocando, invece, attribuzioni patrimoniali successive all'apertura della successione»; in generale sui problemi riguardanti la intangibilità quantitativa e non qualitativa della legittima cfr. MAGLIULO, «La tacitazione della legittima con beni non ereditari», in Notariato, 4, 2001, p. 412.

[nota 30] Il che parrebbe confermato anche dal fatto che tali ulteriori ipotesi - per così dire - non 'tipizzate', non espressamente previste dalla norma agevolativa ed ulteriori rispetto a quella paradigmatica, dovrebbero intendersi 'ricomprese' in questa, nel senso che la loro rilevanza sul piano fiscale è inscritta in quella della (più ampia) fattispecie agevolata. A ben pensare, infatti, il sacrificio economico che sopporta il beneficiario (e nel quale quelle fattispecie in concreto si traducono) può ben rappresentare il costo che il beneficiario paga per acquisire il valore pieno dell'azienda senza esporlo a riduzione e collazione.

Né vanno sottovalutate esigenze di equo trattamento fiscale del beneficiario dell'azienda (al di fuori del 'patto di famiglia) - che non è tenuto ad alcunché e fruisce della previsione di assoluta non imponibilità, senza alcun detrimento del valore netto del bene acquisito - da un lato, e di quello che, per aver beneficiato dell'acquisizione del bene produttivo attraverso il meccanismo del patto stesso, sia poi tenuto a 'compensare' (per ipotesi) altri legittimari non assegnatari, dall'altro: senza ignorare insomma che la esecuzione dei pagamenti compensativi si traduce, per il beneficiario adempiente, in un decremento in termini economici del valore netto del bene produttivo al medesimo trasferito.

[nota 31] Secondo MERLO, «Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati», in Patti di famiglia per l'impresa, cit., p. 111-112 il recesso nel patto di famiglia sembra difficilmente attuabile argomentando da quella opinione pur espressa da dottrina autorevole (GAZZONI) per cui il recesso è inapplicabile ai contratti con effetti reali immediati, nei quali senza dubbio rientra il patto di famiglia. Il che - a parte svalutare l'eventuale 'patto contrario' di cui all'ultimo comma art. 1373 c.c. - urta non solo con l'orientamento possibilista della Suprema Corte riportato nel testo, ma anche con il principio di conservazione del contratto (laddove in esso fosse riservata la facoltà di recesso ad una delle parti) ex art. 1367 c.c.: soprattutto una diversa riduttiva interpretazione dell'espresso dettato dell'art. 768-septies c.c. dovrebbe giustificare l'esistenza stessa della norma e finirebbe con il negare senza alcuna alternativa che la medesima possa, al contrario, aver comportato una deroga ai principi generali, in ragione della peculiarità dell'istituto in commento; coglie la singolarità del ricorso allo strumento del recesso per addivenire allo scioglimento del patto di famiglia DELLE MONACHE, «Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia», in Riv. not., 6, 2004, p. 893; l'A. rileva che il legislatore ha normato senza tenere in debito conto quelli che Egli definisce 'scrupoli dogmatci': il che – pare di capire – non consente in ogni caso di ignorare la (sia pure discutibile) novella legislativa in merito; anzi l'A. reputa che l'esercizio della facoltà di siffatta forma di recesso da parte del disponente dovrebbe permettergli di 'riacquistare la proprietà dei beni alienati' senza la successiva 'mediazione' di un ulteriore ri-trasferimento formale.

Anche da quanto argomenta RIZZI, Il patto di famiglia, Padova, 2006, p. 468 (secondo il quale sarebbe preferibile che - anziché ad nutum per l'instabilità che ne possa derivare in ordine all'acquisto effettuato dall'assegnatario - il recesso fosse 'motivato' e quindi esercitabile solo al verificarsi di determinati fatti, oggettivamente e facilmente accertabili) emerge la plusibilità di siffatta forma di scioglimento del patto; cfr. anche PETRELLI, «La nuova disciplina del "patto di famiglia"», in Riv. not., 2006, p. 462 e ss., che ammette l'esercizio della facoltà di recesso convenzionale senza tentennamenti, prevedendo anzi che tale facoltà possa spettare non solo al disponente, ma anche all'assegnatario del bene produttivo nonché agli altri partecipanti al patto (legittimari diversi dall'assegnatario).

[nota 32] Cfr. sent. Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 1992, n. 812, in Giur. it., 1993, I, 1, p. 128 con nota di CORSO; cfr. anche Cass. civ., sez. lav., 27 febbraio 1990, n. 1513, in Giust. civ. Mass., 2, 1990.

[nota 33] Che il recesso non possa avere efficacia retroattiva reale viene sostenuto pacificamente in dottrina PELOSI, La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975, p. 141, nt. 96, 301, 335; FRANZONI, Degli effetti del contratto, I, Comm. cod. civ. Schlesinger, p. 313.

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