L'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate
L'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate
di Vincenzo Busa
Direttore della Direzione centrale normativa e contenzioso Agenzia delle Entrate

I precedenti relatori hanno opportunamente sollevato numerose questioni che potranno essere esaminate anche dal gruppo di lavoro permanente, composto da rappresentanti del Notariato e dell'Agenzia delle entrate.

Già da ora è tuttavia possibile trarre alcune conclusioni in tema di trattamento fiscale dei negozi fiduciari.

Quanto si è affermato nella circolare n. 3 deve essere correttamente contestualizzato, tenendo presente tutto quanto l'Amministrazione ha in precedenza sostenuto in merito ai negozi fiduciari. Come opportunamente ricordato dal Prof. Basilavecchia, l'Amministrazione ha emanato numerose pronunce in argomento, di cui la più importante è quella resa in risposta ad una interrogazione parlamentare datata 29 luglio 2004 (atto Camera 3395). In quella circostanza il Governo ha fornito risposta citando la posizione dell'Agenzia. Il nostro punto di vista esposto in quella circostanza rileva anche ai fini della risoluzione dei problemi attuali, a maggiore chiarimento della circolare n. 3.

Con la circolare n. 3 il negozio fiduciario è stato incluso tra i negozi costitutivi di vincoli di destinazione, che realizza il presupposto dell'imposta di successione e donazione se, in aggiunta al vincolo obbligatorio che comporta una segregazione o comunque una limitazione del patrimonio, produce anche un effetto traslativo della proprietà.

Un breve riepilogo della posizione dell'Agenzia sui negozi fiduciari.

Negozio fiduciario è l'atto che trasferisce la titolarità di un diritto o la legittimazione all'esercizio di un diritto nel rispetto di un accordo (pactum fiduciae) che definisce lo scopo, i risultati e le modalità di esercizio di una situazione giuridica soggettiva oggetto di trasferimento. Il nucleo del negozio è da ravvisare nel trasferimento della titolarità di un diritto e nella legittimazione all'esercizio del medesimo diritto. I due aspetti caratteristici del negozio fiduciario rilevano in modo diverso a seconda di come lo schema negoziale viene interpretato. Sullo sfondo si dibattono due teorie: quella germanistica e quella romanistica.

La prima attribuisce rilievo preponderante alla legittimazione all'esercizio del diritto; viceversa, l'approccio formale o romanistico tende a privilegiare il trasferimento della titolarità del diritto. La diversa configurazione civilistica del negozio, si riflette inevitabilmente anche sul trattamento tributario.

Nella fiducia germanistica si ha la scissione tra proprietà formale del bene che resta in testa al fiduciante e legittimazione al suo esercizio. Tale schema è applicato nei casi di intestazione fiduciaria delle azioni, dei titoli e delle partecipazioni ovvero di beni soggetti ad un regime di circolazione abbastanza semplice. Il prevalere del profilo germanistico affiora anche nell'eventualità che i suddetti beni (azioni, partecipazioni, titoli) vengano affidati, sulla base del negozio fiduciario, all'amministrazione di una società fiduciaria costituita ai sensi della legge 1966/39. La scissione dei due momenti e, fondamentalmente, la svalutazione dell'effetto traslativo del bene si desume da numerose disposizioni normative e, in particolare, dal R.D. 239/1942, dall'art. 9 della L. 1745/1962 e dall'art. 20 del D.M. 12 marzo 1981. In questi casi è valorizzato il concetto di proprietà in senso sostanziale che rileva in capo al fiduciante, mentre passa in secondo piano l'effetto traslativo. In senso conforme si è espressa anche la giurisprudenza: è fuor di dubbio che nel negozio fiduciario avente ad oggetto titoli di partecipazione l'assetto proprietario non muta e, quindi, non viene in essere il presupposto tipico dell'imposta sulla costituzione del vincolo di destinazione ossia il trasferimento della proprietà.

Nella fiducia romanistica, al contrario, il negozio si caratterizza per un duplice effetto: quello obbligatorio e quello reale. Tale schema è applicabile soprattutto per i beni immobili la cui circolazione è disciplinata da norme che non possono essere disattese. Il profilo della circolazione dei beni immobili, con riferimento al negozio fiduciario, acquista rilevanza prevalente rispetto al profilo obbligatorio, posto che le norme disciplinanti la circolazione degli immobili sono dettate a tutela dei terzi, ma anche a protezione della certezza dei diritti, ossia di profili giuridici che non possono e non devono essere disattesi neppure ai fini fiscali. Di qui la conclusione secondo cui qualora il negozio fiduciario comporti l'intestazione in capo al fiduciario di un bene immobile, il conseguente effetto traslativo integra il presupposto dell' imposizione sulle successioni e donazioni.

Che l'effetto reale tipico del negozio fiduciario avente ad oggetto immobili non possa essere svalutato è desumibile da numerose disposizioni civilistiche. Ad esempio, se il fiduciario vìola il patto e trasferisce a terzi l'immobile, il fiduciante non può agire verso i terzi in buona fede; allo stesso modo, il fiduciante che voglia evitare l'esecuzione sul bene da parte dei creditori del fiduciario non ha altra possibilità se non quella di formare in data anteriore l'atto di ri-trasferimento del bene oppure di trascrivere la domanda giudiziale che tende al medesimo scopo. Le stesse conclusioni discendono dalle norme che disciplinano il mandato senza rappresentanza di cui all'art. 1706 c.c. laddove soltanto in relazione ai beni mobili viene offerta la possibilità al mandante di appropriarsi dei beni intestati al mandatario. Per i beni immobili, invece, nel secondo comma dell'art. 1706 c.c. si prefigura, quale unica possibilità di tutela del mandante, la reintestazione dei beni di cui il mandatario è ormai proprietario.

Alcuni hanno accennato alla difficoltà di collocare i negozi fiduciari all'interno dei vincoli di costituzione sul presupposto che tale negozio mai realizzerebbe un vincolo di destinazione. L'effetto di separazione dei beni non sarebbe connaturato alla struttura del negozio fiduciario. L'argomento tuttavia non mi appassiona più di tanto. Anche se dovessimo escludere dal novero degli atti costitutivi di vincoli il negozio fiduciario avente ad oggetto un immobile trasferito formalmente al fiduciario, scatterebbe comunque il presupposto impositivo trattandosi in ogni caso di negozio a titolo gratuito. A seguito della riforma dell'imposta di successione e donazione, infatti, il presupposto impositivo non è integrato solo dalla donazione o da un atto di liberalità, ma anche da un atto a titolo gratuito. Anche a voler escludere l'effetto segregativo sui beni, infine, il trattamento fiscale non muterebbe.

Qualche accenno infine al coacervo.

Il tema deve essere affrontato in termini facilmente comprensibili. Vi è all'origine la norma recata dall'articolo 8 del T.U. n. 346, tuttora vigente in quanto richiamata dal decreto n. 262, secondo cui ai fini della determinazione delle aliquote occorre tener conto del "coacervo". Si vorrebbe, in virtù di un'interpretazione sistematica, considerare questa norma tacitamente abrogata. Tale conclusione non è stata condivisa nella circolare n. 3. La norma citata ha un enunciato puntuale che non darebbe luogo a perplessità se non fosse per il riferimento al vecchio sistema, caratterizzato dall'aliquota progressiva. La norma prevede il coacervo ai fini della determinazione delle aliquote. In realtà, attraverso un percorso tecnico non più attuale (il nuovo sistema non prevede più aliquote progressive) la ratio della norma non è mutata, posto che le franchigie assolvono a funzione fondamentalmente analoga alle aliquote progressive.

Da questa considerazione di partenza e sulla base di un'interpretazione sistematica delle norme si è pervenuti alla conclusione secondo cui "ai fini della determinazione delle aliquote" vale come "ai fini della determinazione della franchigia" e quindi della definizione della base imponibile. Non vi è dubbio come tale interpretazione di taglio estensivo aderisca alla ratio del sistema, dal quale il disposto dell'articolo 8 non è stato espunto. Probabilmente se fosse stata recepita la disposizione di cui all'articolo 69 della L. n. 342 che delegava il Governo a disporre con decreto l'abrogazione espressa delle disposizioni incompatibili con la riforma del '90 probabilmente avremmo potuto orientarci con maggiore chiarezza. Così non è stato e oggi ci troviamo a dover gestire una norma di non univoca portata, anche se – ripeto – afferente le modalità applicative del tributo che non sono mutate: attraverso il sistema delle aliquote (prima) e della franchigia (ora) ed attraverso l'attribuzione di rilevanza alle donazioni pregresse si vuole modulare la base imponibile in funzione del valore complessivo di tutte le donazioni, tenendo conto anche del rapporto di parentela con il donatario. Si tratta di finalità immanente anche al nuovo sistema.

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