L'evoluzione giurisprudenziale del procedimento di aumento del capitale a pagamento. Dal rispetto della forma al rispetto della sostanza
L'evoluzione giurisprudenziale del procedimento di aumento del capitale a pagamento.
Dal rispetto della forma al rispetto della sostanza
di Carlo Alberto Busi
Notaio in Padova

Introduzione

La giurisprudenza successiva alla riforma sembra aver assunto un approccio ai problemi in materia di aumento del capitale a titolo oneroso meno formalistico e più sostanziale.

Se si dovesse individuare un filo conduttore che ha guidato le recenti pronunce giurisprudenziali si potrebbe riassumerlo nel seguente principio: la regola, il procedimento possono essere derogati nella sola forma, ma non nella sostanza e la legittimità della deroga al procedimento va valutata alla luce del rispetto dello scopo che la regola o il procedimento disattesi si sono posti, comunque, sempre nel rispetto del principio di parità di trattamento tra i soci.

In riferimento a questo ultimo aspetto la connessione tra l'istituto del diritto d'opzione nel caso di aumento del capitale sembra possa rilevare sotto un duplice profilo. Da un lato testimonia della volontà del'ordinamento di garantire un egualitario trattamento tra i soci nelle modalità di esecuzione della delibera di aumento del capitale, così apprestando una regola di risoluzione dei possibili conflitti tra i soci in relazione alle fattispecie non espressamente previste. Dall'altro, concorre a definire i limiti di operatività del detto principio e, soprattutto il suo concreto significato nella specifica operazione societaria [nota 1].

Il problema della qualificazione dell'atto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione e dell'ammissibilità dell'assunzione da parte del socio dell'impegno a sottoscrivere l'aumento prima che lo stesso sia deliberato

Parte della dottrina ha in passato sostenuto che «con la delibera di aumento del capitale si pone in movimento un procedimento finalizzato a modificare istituzionalmente (mediante l'organismo assembleare) l'atto costitutivo della società, secondo regole predisposte dalla legge e, nei limiti consentiti, dalla stessa delibera. Si tratta dunque di un atto di auto-regolamento societario che rispetto all'atto di sottoscrizione di ciascun socio si pone come regola programmatica. Per utilizzare l'immagine di coloro i quali un tempo sostenevano che l'accordo contrattuale implica l'incontro della volontà di due o più parti, si potrebbe osservare che la volontà del sottoscrittore non si incontra con quella della società, poiché mentre questa, con la delibera di aumento del capitale sociale mira a stabilire le regole per realizzare tale aumento, la volontà del sottoscrittore mira invece ad acquistare le azioni di nuova emissione esercitando quel diritto di opzione che la legge, in caso di aumento del capitale riconosce a chi è già socio della società (art. 2441, c.c.) proprio quando quest'ultima delibera l'aumento» [nota 2].

Secondo detta dottrina non vi sarebbe «incontro di volontà tra la delibera di aumento e sottoscrizione così come non vi è accordo contrattuale, per fare un altro esempio emblematico indiscutibile, tra la volontà del testatore e l'accettazione» [nota 3]. Non si tratterebbe, pertanto, di nuova e autonoma fattispecie contrattuale, bensì di manifestazione di volontà di finanziamento conseguente all'originario contratto di società. La sottoscrizione sarebbe atto unilaterale di esercizio del diritto di opzione, costituente esercizio di un diritto potestativo, ossia di un atto dichiarativo privo di efficacia negoziale, perché gli effetti che la legge ricollega all'atto non sono derogabili o modificabili dalla volontà di chi compie l'atto.

L'aumento del capitale sociale non sarebbe, per detta dottrina, l'effetto di un contratto bensì di un procedimento.

La logica conseguenza di quanto affermato si rinviene in una pronuncia di una Corte di merito (App. Bari, inedita, poi cassata da Cass. 14 aprile 2006, n. 8876) secondo cui il socio non potrebbe assumere validamente l'obbligo di sottoscrivere l'aumento di capitale prima dell'approvazione della delibera di aumento, costituendo quest'ultima, alla luce dell'art. 2441, c.c., presupposto indispensabile per la nascita del diritto d'opzione.

Sembra preferibile ritenere che l'aumento del capitale sia un vero e proprio contratto con il quale si aggiungono nuove partecipazioni sociali a quelle già esistenti [nota 4].

L'aumento del capitale sociale non sarebbe, pertanto, un mero atto della società, rendendosi, viceversa, necessario l'incontro tra la volontà della società, manifestata attraverso la delibera di aumento, e la volontà dei nuovi contraenti, siano essi i nuovi sottoscrittori, ovvero i vecchi soci.

Sul piano giuridico la delibera di aumento diviene proposta contrattuale, prima rivolta ai soci (in quanto titolari del diritto di opzione o di sottoscrizione) e poi al pubblico ex art. 1336, c.c. [nota 5]

Ricostruita la sottoscrizione delle azioni in caso di aumento del capitale come scambio negoziale di proposta di contratto di sottoscrizione da parte della società e accettazione del contratto da parte dei soci, contraenti preferiti per legge, in prima battuta e dei terzi in seconda battuta, si può anche ipotizzare che in certi casi l'atto di sottoscrizione dell'aumento da parte del socio possa anche logicamente precedere la decisione societaria di aumentare il capitale sociale, assumendo in questo caso il significato di una proposta del socio rispetto alla quale la delibera assembleare vale, correlativamente, da accettazione idonea a completare la fattispecie negoziale.

In riferimento a tale ipotesi la Suprema Corte (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876) [nota 6], ha affermato che l'assunzione in via preventiva, da parte del socio, dell'impegno a sottoscrivere, integralmente o in una determinata misura, un aumento del capitale programmato, ma non ancora formalmente deliberato dalla società persegue comunque anche un interesse meritevole di tutela, nell'ottica dell'art. 1322, c.c., ossia quello di assicurare a priori il buon esito dell'operazione di aumento.

Secondo la Suprema Corte l'argomento secondo il quale il diritto d'opzione nascerebbe solo dopo l'approvazione della delibera di aumento del capitale sarebbe «in realtà inconferente». Infatti, il riconoscimento di un titolo di preferenza (ossia l'opzione) «non impedisce sotto alcun profilo, tuttavia, che, in correlazione all'interesse della società ad avere garantita anticipatamente l'integrale sottoscrizione del previsto aumento di capitale, il socio si vincoli in via preventiva, nei confronti della stessa società, non solo ad esercitare effettivamente il diritto di opzione a lui spettante; ma anche a sottoscrivere le azioni di nuova emissione sulle quali non vanta affatto tale diritto, in quanto eccedenti la quota proporzionale delle azioni possedute: e ciò, si intende, per l'eventualità in cui le predette azioni non venissero optate dagli altri soci cui il diritto compete» [nota 7].

Ancora, secondo la Suprema Corte «in entrambi i casi, si è al cospetto di un obbligo sottoposto a condizione (sospensiva): solo che, nella prima ipotesi, impegno ad esercitare il diritto d'opzione, la condizione è semplice, concretandosi nell'approvazione della deliberazione di aumento del capitale entro il termine stabilito o desumibile dalle circostanze; mentre nella seconda, impegno a sottoscrivere anche le nuove azioni sulle quali il socio non vanta l'anzidetto diritto, la condizione è complessa, sostanziandosi non solo nell'approvazione della delibera, ma anche nel mancato esercizio del diritto di opzione da parte degli altri soci nel termine all'uopo assegnato».

La Cassazione conclude, pertanto, affermando che «in questa prospettiva, e conclusivamente sul punto, deve ritenersi, dunque, pienamente valido il patto con il quale un socio, che pure non disponga di una partecipazione totalitaria, si vincoli, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, a sottoscrivere per intero un aumento di capitale programmato dalla società. Il medesimo impegno potrebbe essere peraltro assunto sotto la condizione complessa dianzi evidenziata, addirittura da un terzo estraneo, a dimostrazione del fatto che la previsione del diritto di opzione non interferisce in alcun modo sulla validità del negozio in questione, ma, evidentemente, solo sulla sua efficacia, per l'appunto quale evento condizionante (sub specie di mancato esercizio del diritto nel termine da parte dei suoi titolari)» [nota 8].

L'aumento del capitale a pagamento come incontro della volontà della società con la volontà del socio sottoscrittore

Una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. 19 ottobre 2007, n. 22016) [nota 9] ha avuto modo di affermare che la deliberazione di aumento del capitale esprime la volontà sociale di acquisire nuovo capitale di rischio, ma non implica che tale capitale sia effettivamente acquisito (neppure sotto forma di credito per la riscossione dei relativi versamenti) fin quando la deliberazione stessa abbia avuto effettiva esecuzione, ossia fino al momento in cui i soci titolari del diritto di opzione (o eventualmente i terzi, se il diritto di opzione non venga esercitato) abbiano sottoscritto l'aumento di capitale deliberato. Dal punto di vista del socio, ciò sta a significare che, indipendentemente dall'avere egli concorso o meno col proprio voto alla deliberazione di aumento del capitale, è solo per effetto di una successiva e ben distinta manifestazione di volontà, consistente appunto nella sottoscrizione della quota parte del nuovo capitale offertogli in opzione, che egli assume verso la società il relativo obbligo di versamento, ove non vi abbia già provveduto per intero contestualmente alla sottoscrizione stessa [nota 10]. Ne discende che la società ha l'onere di provare non solo l'esistenza della deliberazione assembleare di aumento del capitale, ma anche la successiva sottoscrizione della quota di spettanza dell'aumento medesimo ad opera di detto socio.

Ai più la suesposta affermazione può sembrare di palmare evidenza.

È chiaro, infatti, che altro è la volontà espressa in assemblea dal socio altro la volontà espressa dal socio come sottoscrittore dell'aumento [nota 11].

Infatti, la deliberazione è: un atto unilaterale, perché emanazione di un unico centro di interessi o parte, la società personificata; pluripersonale, perché promanante da più soggetti, i soci, costituenti unica parte in quanto formano tutti insieme un organo della società, l'assemblea; collegiale, perché diretto a formare attraverso l'unificazione delle diverse dichiarazioni di volontà dei singoli la dichiarazione di volontà di altro soggetto (l'assemblea); manifestazione del principio di maggioranza, perché la dichiarazione è espressione della maggioranza dei partecipanti all'assemblea, la quale con la sua formulazione determina la formazione della deliberazione, considerata per forza di legge espressione anche della minoranza dissenziente.

È incontestato che la deliberazione tende alla formazione della volontà di un soggetto diverso dalle persone autori delle dichiarazioni di maggioranza.

L'affermazione, però, diventa meno scontata se si tiene conto da un lato della libertà di forma del contratto di sottoscrizione, dall'altro dell'erosione del principio di realità del contratto di sottoscrizione, conseguenza di quell'orientamento che ritiene non essenziale per il perfezionamento del contratto di sottoscrizione il versamento del 25% della somma sottoscritta. A ciò si aggiunge, infine, il proliferare di dazioni di somme dal socio alla società, spesso non accompagnate da una chiara e certa qualificazione. Si tratta dei cosiddetti finanziamenti o versamenti soci. Tali dazioni spesso come si preciserà in seguito accompagnano l'atto di sottoscrizione che può anche logicamente precedere la decisione societaria di aumentare il capitale sociale, assumendo in questo caso il significato di una proposta del socio rispetto alla quale la delibera assembleare vale, correlativamente, da accettazione idonea a completare la fattispecie negoziale.

Alla luce di quanto affermato è, pertanto, indicativa di un maggior rigore nell'accertamento dell'effettivo perfezionarsi del contratto di sottoscrizione dell'aumento di capitale la pronuncia di una Corte di merito (Trib. Reggio Calabria 29 giugno 2006) [nota 12] secondo la quale pur non potendosi disconoscere il carattere consensuale e non formale del contratto di sottoscrizione delle azioni emesse in sede di aumento del capitale, in mancanza di una dichiarazione espressa, la volontà di sottoscrivere deve essere provata in base ad indici probatori concordanti, non essendo sufficiente il rilascio di assegni intestati alla società, a fronte di un aumento del capitale sociale a pagamento già deliberato.

Proposta di aumento del capitale a pagamento dal socio alla società e versamenti soci in conto futuro aumento del capitale

Sdoganata la prassi di invertire l'ordine logico della proposta e accettazione tra società e socio nel caso di aumento del capitale a pagamento resta da verificare il destino del versamento realizzato dal socio contestualmente alla sua proposta di sottoscrizione del capitale rivolta alla società, in attesa che la società accetti detta proposta deliberando l'aumento di capitale.

Si sta trattando, quindi, dei versamenti in conto future operazioni sul capitale, intendendosi con tale qualifica quei versamenti eseguiti dai soci e collegati causalmente ad una prossima operazione sul capitale sociale, operazione che può essere di qualsiasi genere (rimessa alle scelte dell'assemblea), o viceversa caratterizzata da un grado di specificità più o meno accentuato (in virtù di quanto risultante dalla volontà del socio versante) [nota 13].

In tal caso, è da ritenere che soci e società abbiano vincolato l'acquisizione patrimoniale della società alla futura deliberazione riguardante la più o meno specifica operazione sul capitale nominale. Parte della dottrina ritiene che il fondamento causale dei versamenti in discorso debba individuarsi in un contratto atipico con il quale il socio effettua anticipatamente in favore della società la prestazione oggetto del futuro ed eventuale contratto di sottoscrizione del capitale. Tale contratto potrebbe essere qualificato come bilaterale atipico, con assunzione immediata di un impegno reciproco di socio e società, impegno da formalizzare successivamente nel contratto avente ad oggetto l'operazione sul capitale, o essere ricondotto ad un contratto di opzione, ove il solo socio si impegna a formalizzare la successiva operazione sul capitale, o infine essere ricompreso nell'ambito dei contratti che si perfezionano secondo le modalità previste dall'art. 1333, c.c. è da sottolineare che, come nel caso di aumento del capitale a pagamento (ossia proposta della società ai soci di conclusione di un contratto di sottoscrizione delle azioni) la legge vuole che la stipulazione di detto contratto spetti all'assemblea, ugualmente si deve ritenere che anche il contratto che prepara tale operazione, perlomeno quando impegna anche la società, debba essere accettato dall'assemblea, salva l'ipotesi in cui agli amministratori sia stata delegata la facoltà di aumentare il capitale ex art. 2443, c.c., per le SpA e art. 2481, c.c., per le Srl (e sempre entro i limiti della delega) [nota 14]. Ad avviso di scrive, i versamenti da ultimo esaminati sembra debbano essere qualificati come proposta unilaterale irrevocabile, ex art. 1329, c.c., di sottoscrizione di aumento di capitale fatta dal socio alla società. La proposta di sottoscrizione del capitale a pagamento potrebbe essere fatta da un unico socio, da più soci o da tutti i soci. Potrebbe avere un contenuto minimo, la semplice indicazione della somma che si intende conferire, o viceversa potrebbe contenere la previsione dell'importo totale dell'aumento da deliberare, dell'eventuale scindibilità dello stesso, previsione opportuna se la proposta non proviene da tutti i soci, l'indicazione del termine per l'accettazione della proposta da realizzarsi con deliberazione assembleare, il termine di sottoscrizione per i soci non proponenti, il numero delle azioni che ciascun socio proponente intende e potrebbe sottoscrivere in base al diritto di opzione o di sottoscrizione ed eventualmente la dichiarazione dell'esercizio del diritto di prelazione sui titoli non optati dagli altri soci.

La proposta di sottoscrizione del socio sarà accompagnata dal deposito della somma con la previsione di un termine di restituzione in favore della società ex art. 1770, comma l c.c. e con eventuale clausola di utilizzo del denaro in favore della stessa ai sensi degli artt. 1770 e 1782 c.c. In tal caso per quanto previsto dal capoverso dell' art. 1782 c.c. sarà ammissibile che i versamenti siano produttivi di interessi a favore dei soci sino alla conversione in capitale [nota 15].

La giurisprudenza ha distinto tra versamenti in conto futura operazione sul capitale relativi a una cifra ben determinata sottoposto alla condizione risolutiva della mancata deliberazione di aumento del capitale entro un termine determinato, e versamenti «che possono essere compiuti in base ad un accordo in cui, se vengono considerati quale anticipata esecuzione di una deliberazione di aumento che dovrà aversi, non collocano questa in un tempo determinato ed in sostanza lasciano al socio che li ha fatti la scelta tra il continuare a lasciarli indefinitamente nella disponibilità della società e il porre a questa un termine entro il quale deliberare l'aumento» [nota 16].

Secondo parte della dottrina nella seconda ipotesi, «in mancanza di un termine specifico, se i soci non sollecitano la convocazione dell'assemblea dei soci ed è trascorso un lungo lasso di tempo dal momento in cui i versamenti in conto futuro aumento di capitale sono stati effettuati, sarebbe del tutto legittimo ritenere che le intenzioni dei soci siano mutate rispetto a quelle originarie e che, pertanto, i suddetti versamenti siano considerati in tutto e per tutto versamenti» [nota 17]. Alla stessa conclusione giunge anche altra dottrina che, pur ricostruendo quest'ultima fattispecie come contratto d'opzione senza temine di efficacia e pur ritenendo che i soci versanti possano chiedere al giudice, ai sensi dell'art. 1331, secondo comma, c.c., la fissazione di quel termine, scaduto il quale senza che la società abbia deliberato l'aumento, l'opzione decadrà e i versamenti andranno restituiti.

Sulla base della ricostruzione da ultimo prospettata restano da risolvere due problemi. In primo luogo è da chiarire se il successivo aumento di capitale deliberato dall'assemblea per un importo superiore a quello proposto con il versamento dal socio comporti per lo stesso la possibilità di invocare la liberazione dalla proposta fatta, non essendo l'accettazione conforme alla medesima [nota 18].

Sembra opportuno distinguere tra aumento di capitale scindibile e aumento di capitale inscindibile [nota 19]. Nella prima ipotesi sembra possibile ritenere che la deliberazione valga come accettazione della proposta fatta dal socio e come ulteriore nuova proposta di altro aumento. Diversamente nel caso di aumento inscindibile sembra si debba ritenere che la deliberazione di aumento non possa valere come accettazione, ma sia una nuova proposta con conseguente liberazione del socio versante dalla sua proposta e possibilità per quest'ultimo di ripetere le somme versate, salvo che la società si riservi, precisandolo con deliberazione assembleare, di accettare la proposta del socio attraverso un nuovo ed ulteriore e diverso aumento di capitale [nota 20] e salvo che il termine per l'accettazione della proposta del socio da parte della società non sia scaduto. Il secondo problema riguarda la possibilità per la società di utilizzare le somme versate in conto futura operazione sul capitale al fine di ripianare le perdite di gestione. La risposta sembra debba essere positiva, qualora le somme siano genericamente versate per operazioni sul capitale. Viceversa, quando il versamento sia stato destinato dal socio ad una ben precisa operazione di aumento del capitale da Euro ... a Euro ..., si ritiene che, venuto meno il capitale iniziale, le somme versate non possano essere utilizzate per il ripianamento delle perdite [nota 21].

La dottrina ritiene che nulla osti ad una proposta di conferimento condizionata o, più esattamente, vincolata dal socio al conseguimento di un determinato scopo, in analogia - forse non casuale - con quanto da tempo si ammette in materia di mutuo (c.d. mutuo di scopo) [nota 22].

In altre parole rientrerebbe nel potere contrattuale del socio proponente imprimere al proprio apporto (offerto con proposta irrevocabile alla società) un vincolo di destinazione ulteriore e diverso, anche se conforme a quello indicato dall'art. 2247 c.c., tale da consentirgli di reclamare la restituzione nel caso in cui la società non voglia o non possa attenersi alle sue indicazioni.

La dottrina precisa però che il socio può sì imprimere al versamento effettuato alla società un vincolo di destinazione capace di incidere sull'utilizzo della relativa riserva (da definirsi «targata») [nota 23] in modo che la stessa riserva sia postergata nel sopportare le perdite a tutte le altre riserve di spettanza comune ivi compresa quella legale, ma non può mettere a repentaglio le ragioni dei creditori sociali alterando le regole che governano la composizione del patrimonio sociale e la partecipazione al rischio d'impresa. In altre parole le somme versate subirebbero le perdite della società, solo una volta azzerate tutte le altre riserve, ma non potranno essere restituite ai soci prima che siano soddisfatti i creditori sociali, anche se lo scopo a cui è vincolato il versamento non sia stato attuato.

Ad avviso di chi scrive, fino a quando la proposta del socio non venga accettata dalla società (e sia chiaro l'accettazione deve essere conforme alla proposta) [nota 34] le somme non sono ancora entrate nella disponibilità della società e sono detenute dalla stessa a titolo di deposito, e quindi non sembra corretto che le stesse siano indicate in bilancio come riserve, dovendo invece trovare posto nel bilancio in altra sede ossia tra le somme di cui la società è debitrice [nota 25]. Ciò fino a quando la società non abbia con formale deliberazione accettato quanto proposto dal socio. In tal senso si esprime, recentemente, anche la dottrina allorquando afferma che «occorre accertare, di volta in volta, se il socio, che ha effettuato il versamento in conto capitale abbia un diritto alla restituzione, se il capitale non venisse aumentato entro un termine prestabilito ovvero il diritto all'utilizzo del versamento, da parte della società, in occasione di aumento del capitale, esclusivamente a beneficio di chi ha fatto il versamento. Ipotesi quest'ultima configurabile solo nel caso in cui il socio avesse inteso pagare in anticipo la sottoscrizione del futuro aumento del capitale, con la conseguenza di porre la società nella condizione di dover iscrivere la relativa posta tra i risconti passivi fino al momento in cui non possa incamerarla dopo la deliberazione di aumento del capitale e la sua esecuzione» [nota 26].

Iscrizione contabile dei versamenti

Prima dell' entrata in vigore del D.lgs. 9 aprile 1991, n. 127 riguardante le nuove disposizioni in tema di bilancio, i versamenti venivano appostati contabilmente nel modo più vario: in conto capitale, in conto finanziamento, in conto finanziamento futuro aumento del capitale. In realtà come è stato sottolineato da parte della dottrina la ambiguità delle indicate appostazioni contabili era frutto di una precisa volontà degli amministratori e dei soci che in sostanza si riservavano, a seconda delle occasioni, di far apparire i versamenti talvolta come parte del patrimonio sociale, talaltra come mutui o depositi con facoltà di restituzione [nota 27]. La normativa sul bilancio, riformata nel 1991, imponeva già una collocazione dei versamenti a fondo perduto nel passivo dello stato patrimoniale alla lettera A numero VII, mentre i finanziamenti dovevano essere appostati sempre al passivo alla lettera D al numero 4. L'iscrizione contabile sembrava aiutare, con i limiti sopra descritti, nell'individuazione della qualificazione data dalle parti ai versamenti. Restava, e resta ancor oggi ancora da chiarire l'appostazione della terza categoria quella dei versamenti in conto futura operazione sul capitale. Nella prassi questi versamenti vengono considerati come riserve (assimilabili a quelle da sovrapprezzo). Tale qualificazione crea però problemi perchè, anche parlando di riserva «personalizzata» o «targata», ossia di esclusiva spettanza del socio versante, non si potrebbe evitare che la riserva, in caso di perdite, venga ridotta prima del capitale (le perdite quindi graverebbero in primis solo sul socio versante). Inoltre la giurisprudenza ha osservato che tali versamenti, se qualificati come riserve non possono essere utilizzati per operazioni di aumento del capitale qualora non esista la riserva legale, dovendo tali somme essere imputate in primis alla riserva legale obbligatoria. In altre parole i versamenti in conto futuro aumento di capitale se qualificati come riserva non potrebbero in tal caso nemmeno realizzare il loro scopo. La giurisprudenza (Trib. Bari 21 giugno 2007), per lungo tempo ha affermato che «è estranea alla configurabilità di un versamento del socio effettuato in conto futuro aumento di capitale la previsione di un'obbligazione attuale di restituzione» [nota 28]. Si è detto che «la principale differenza tra mutuo e versamenti in conto futuro aumento di capitale è data dal fatto che solo il mutuante ha diritto alla restituzione del capitale durante la vita della società, laddove i versamenti effettuati dai soci in conto futuro aumento di capitale non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società» [nota 29]. La Suprema Corte (Cass. 30 marzo 2007, n. 7980) in una recente pronuncia ha precisato che nel caso di versamenti riferiti ad un futuro e ben determinato aumento del capitale sociale, la fattispecie è «caratterizzata da un collegamento causale tra il versamento ed un prossimo aumento del capitale sociale, che condiziona risolutivamente l'acquisizione patrimoniale della società alla futura deliberazione di aumento del capitale nominale». Pertanto, qualora l'aumento non sia deliberato dall'assemblea, il socio ha diritto alla restituzione di quanto versato: non perché si è trattato di un mutuo, bensì per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società (e, quindi, secondo i principi della ripetizione dell'indebito) [nota 30]. La logica conseguenza che la stessa Cassazione (Cass. 24 luglio 2007, n. 16393) trae da quanto sopra affermato è che «in assenza di prova della successiva imputazione a capitale dei versamenti eseguiti dai soci, la restituzione delle relative somme può essere disposta al di fuori del paradigma normativo di cui all'art. 2445, c.c.» [nota 31].

Il passo avanti fatto dalla giurisprudenza di legittimità nel riconoscere al socio il diritto a vedersi ritornare le somme che accompagnavano la sua proposta non salvava, però, il socio nel caso di andamento negativo della società dal rischio di vedere il proprio versamento temporaneamente parcheggiato tra le riserve aggredito dai creditori sociali ed annientato.

Infatti, la giurisprudenza riteneva, comunque, che il versamento fosse entrato nel patrimonio sociale, anche se quella attribuzione era risolutivamente condizionata.

Ma in altra recente pronuncia la Cassazione (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876) sembra aver fatto un ulteriore passo.

Si è, infatti, scritto che con i versamenti in conto futuro determinato aumento di capitale «i soci creano, in sostanza, un'area provvisoria di stazionamento, eseguendo in via anticipata conferimenti corrispondenti ad un aumento di capitale già deliberato, ma non ancora sottoscritto (versamenti in conto aumento del capitale), ovvero semplicemente programmato e da deliberare in futuro, entro, un periodo di tempo determinato o meno (versamento in conto futuro aumento del capitale); e ciò nella precisa ottica di dotare immediatamente la società di nuovi mezzi finanziari, ponendola in condizione di far fronte alle proprie esigenze di cassa, senza dover attendere i tempi di perfezionamento dell'operazione. In simili frangenti, si deve ritenere che il mancato aumento del capitale nel termine prestabilito (o, in difetto, fissato dal giudice in applicazione analogica dell'art. 1183, secondo comma, c.c.), operando, a seconda dei casi, come condizione risolutiva o sospensiva, determini l'insorgenza del diritto del socio alla restituzione del versamento». Alla luce del riconoscimento della c.d. sospensione degli effetti può, pertanto, affermarsi che sembra pertanto preferibile qualificare detti versamenti come veri e propri debiti della società, nascenti da un contratto di deposito che accompagna la proposta del socio di operazione sul capitale. Solo l'accettazione della proposta da parte della società convertirà detto debito in capitale sociale senza che le somme transitino attraverso la posta riserve. La riforma riscrive in parte l'art. 2424, c.c., in materia di stato patrimoniale, ma mentre i versamenti a fondo perduto restano confinati nell'affollata categoria «altre riserve distintamente indicate» i finanziamenti dei soci trovano una nuova collocazione esclusiva in bilancio tra le passività, alla lettera D, punto tre, «debiti verso soci per finanziamenti» nuova "classe" destinata esclusivamente a tali finanziamenti (prima della riforma ricompresi con tutte le altre tipologie di finanziamenti indistintamente al punto quattro). Resta inteso che se il socio cessa di essere tale, il suo finanziamento si trasferirà sempre nella lettera D ma al punto cinque, debiti verso altri finanziatori. Il legislatore si ricorda di versamenti e finanziamenti anche in ambito di nota integrativa ivi richiedendo al punto sette dell'art. 2427, c.c., sul punto rimasto invariato, «la composizione della voce altre riserve» e richiedendo, novità, al punto diciannove-bis la ripartizione dei finanziamenti per scadenze e con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazioni rispetto agli altri crediti. Il tutto, indiscutibilmente, a vantaggio della chiarezza e del potenziamento delle funzioni informative del bilancio.

Natura consensuale o reale del contratto di sottoscrizione in sede di aumento

La giurisprudenza di merito (App. Milano, 27 gennaio 2004) afferma che «la sottoscrizione delle azioni in sede di aumento del capitale è, alla luce di una autorevole opinione giurisprudenziale …, negozio avente natura consensuale e non reale, e quindi idoneo a perfezionarsi con la semplice dichiarazione di voler esercitare il diritto e non anche con il materiale versamento del ora 25%» [nota 32].

Sotto il profilo pratico la dottrina ha, però, evidenziato come «l'adesione alla tesi della realità sia servita, in sede fallimentare, a contrastare l'esecuzione dell'impegno assunto dal sottoscrittore, mentre la tesi della consensualità si presti ad essere strumentalizzata per il fine opposto» [nota 33] .

Si è evidenziato, in altra sede [nota 34], che la giurisprudenza di legittimità nell'affrontare il problema della consensualità o realità del contratto di sottoscrizione lo ha risolto optando per la consensualità sia nel caso di costituzione sia nel caso di aumento per similitudine con l'ipotesi della costituzione. «Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, … dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento … essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell'operazione e la dotazione dell'ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione» [nota 35].

Altra parte della giurisprudenza e della dottrina partendo dalla asserita realità desumibile da numerosi argomenti , letterali e sistematici, che inducono ad affermare che il versamento del venticinque per cento dei conferimenti in danaro, richiesto dall'art. 2329, n. 2, c.c. per procedere alla costituzione di tali società deve essere effettuato, «al più tardi, al momento della sottoscrizione e che, quindi anche tale adempimento rileva come requisito di validità dell'atto costitutivo e non come mero presupposto», giunge alla conclusione «che a non diversi principi appare ispirato l'art. 2439, c.c., con il quale il legislatore stabilendo che i sottoscrittori di azioni di nuova emissione devono, all'atto della sottoscrizione, versare alla società almeno i tre decimi del valore nominale delle azioni sottoscritte, ha inteso chiarire, eliminando i dubbi sorti al riguardo sotto il vigore del codice di commercio abrogato, che in tema di aumento di capitale valgono gli stessi principi dettati per la costituzione della società (Relazione, n. 994)» [nota 36].

A conferma della tesi della natura reale (ossia necessarietà del versamento del venticinque per cento contestualmente alla sottoscrizione) del negozio di sottoscrizione del capitale, anche nell'ipotesi di aumento (o ricostituzione del capitale), si è invocato il disposto di cui all'art. 2352, secondo comma, c.c., (richiamato per le Srl dall'art. 2471-bis, c.c.) che attribuisce il diritto di opzione e le azioni in base a esso sottoscritte, in caso di azioni su cui grava un diritto di pegno o di usufrutto, al socio il quale però deve entro tre giorni prima della scadenza far pervenire le somme necessarie al creditore pignoratizio o all'usufruttuario; in caso contrario questo deve essere alienato. «Ciò implica quindi che il negozio di cui all'art. 2439, primo comma, c.c., va inquadrato tra i contratti reali non spiegandosi, viceversa, la statuizione di questo termine di decadenza se non in quanto il legislatore richiede che il versamento di almeno i 3/10 avvenga all'atto della sottoscrizione» [nota 37].

Parte della dottrina ha aggiunto che l'interpretazione consensualistica (ossia non necessarietà dell'immediato versamento del venticinque per cento) produrrebbe degli effetti distorcenti di notevole portata, in quanto avrebbe come conseguenza logica e immediata che il contratto di sottoscrizione si perfezionerebbe con il semplice accordo e quindi il sottoscrittore acquisterebbe per ciò solo, la qualità di socio; cosa questa che metterebbe sullo stesso piano il socio che ha sottoscritto e versato ed il socio che si è soltanto obbligato a versare creando così una evidente disparita di trattamento. Ancora, a confermare la validità della tesi si è evidenziato il disposto dell'art. 2344, c.c., visto che se non fosse già avvenuto il versamento dei venticinque centesimi risulterebbe priva di funzione la citata disposizione che affida agli amministratori il compito di richiedere i versamenti residui [nota 38].

La ricostruzione ora adottata ha portato ad affermare che «l'espressione sottoscrizioni raccolte debba essere intesa come sottoscrizioni validamente raccolte e che, quindi, nel caso di decadenza parziale della sottoscrizione, questa rimaneva operante, con corrispondente aumento del capitale sociale, limitatamente alla sottoscrizione dalla quale non si era decaduti» [nota 39].

Altra dottrina, pur aderendo alla tesi della realità del contratto di sottoscrizione del capitale in sede di aumento, ritiene ammissibile un contratto consensuale atipico di sottoscrizione in sede di aumento del capitale. In concreto, la società potrà stipulare un contratto consensuale di sottoscrizione in luogo del contratto tipico, reale, di sottoscrizione: ma non potrà ad esempio pattuire, perchè in tal caso il combinato disposto degli artt. 1322, secondo comma, 2439, primo comma, c.c., renderebbe invalida la pattuizione (e forse l'intero contratto) che dal momento della conclusione del contratto consensuale di sottoscrizione sia riconosciuta al sottoscrittore delle azioni la qualità di socio (nè potrà conseguentemente sin da quel momento rilasciargli titoli azionari o fare attestare dai suoi amministratori, a norma dell'art. 2444, c.c., l'avvenuta esecuzione dell'aumento del capitale). Il contratto consensuale di sottoscrizione dovrà perciò avere un contenuto assai circoscritto, per la società, comporterà il diritto a ottenere i centesimi dal sottoscrittore, per il sottoscrittore, comporterà il diritto ad acquistare la qualità di socio, dopo che almeno i venticinque centesimi siano stati da lui versati [nota 40].

Ad avviso di chi scrive, contrariamente a quanto sostenuto da parte della dottrina e della giurisprudenza, non sembra possibile adottare un'unica qualificazione del contratto di sottoscrizione valida sia per l'ipotesi di costituzione della società, che per quella di aumento.

In sede di costituzione della società il legislatore ha richiesto addirittura la forma pubblica per il contratto di sottoscrizione delle azioni, nulla ha disposto in materia di forma per il contratto di sottoscrizioni di azioni emesse in sede di aumento di capitale, tant'è che la dottrina e la giurisprudenza ritengano in tal caso ammissibile la forma libera [nota 41].

Inoltre, il legislatore non mostra certo di avere particolare cura al fine di assicurare l'esecuzione dell'aumento di capitale deliberato, se impone che venga meno l'intera operazione, qualora l'aumento non sia stato integralmente sottoscritto e non sia stata prevista nella deliberazione la scindibilità dell'aumento stesso [nota 42].

Infine, la realità del contratto di sottoscrizione nel caso di costituzione della società sarebbe conseguenza dell'esigenza di dotare la società di mezzi iniziali, ma non sarebbe sostenibile nel caso di aumento del capitale.

Anche sul piano pratico, il rigore della realità sarebbe controproducente, dato che condurrebbe al mancato perfezionamento della sottoscrizione, con conseguenze infauste su tutta l'operazione di aumento se non è stata voluta, espressamente con la deliberazione, la scindibilità.

La diversità di disciplina, dettata per le differenti ipotesi di sottoscrizione delle azioni in sede di costituzione e aumento del capitale risponde infine a una accettabile ratio rinvenibile nella necessità d'impedire che entrino sul mercato società costituite alla leggera da speculatori poco solvibili e nell'esigenza che la società disponga inizialmente di un po' di liquidità e non di meri crediti verso i soci per poter affrontare le spese di inizio attività.

La maggior tutela infine sembra conseguenza del fatto che la costituenda società al momento della sottoscrizione non sia ancora soggetto esistente.

In conclusione si ritiene che si evinca dalle norme di legge che il versamento dei venticinque centesimi in sede di costituzione della società sia requisito di perfezionamento del contratto di sottoscrizione delle azioni, mentre in sede di aumento di capitale sia mera esecuzione di tale contratto perfezionatosi con il semplice consenso [nota 43].

Tra coloro che riconoscono la consensualità del contratto vi è, però, chi ha sostenuto che il versamento dei centesimi sia condizione di efficacia non dell'obbligazione sorta con la sottoscrizione, bensì dell'aumento del capitale, nel senso che questo può considerarsi realizzato solo dopo che i suddetti atti sono stati compiuti. In tal modo si tutelerebbe l'interesse dei terzi correlato a un affidamento circa l'effettiva consistenza del capitale versato in rapporto al capitale sottoscritto. Tale interesse dei terzi non sembrerebbe, infatti, richiedere che tale versamento avvenga necessariamente al momento della relativa sottoscrizione, giacchè a quel punto ancora non si pone l'esigenza di tutela dell'affidamento circa la coincidenza parziale (nella misura dei venticinque centesimi) tra conferimenti in denaro già attuali e nuovo capitale sociale iscritto e dichiarato. Tale esigenza non si porrà, infatti, sino alla chiusura dell'operazione di aumento di capitale e solo nel caso di riuscita della medesima (nell'ipotesi di aumento inscindibile).

Ugualmente per quanto riguarda l'interesse della società, non pare sussista un significativo interesse della società ad acquisire quanto prima le somme in questione, in pendenza dell'operazione, atteso che, da un lato, l'anticipo temporale con cui queste verrebbero percepite non sarebbe di norma particolarmente rilevante e, dall'altro, tali somme (nel caso di aumento scindibile) andrebbero comunque restituite in caso di mancata riuscita dell'operazione. Qualora si ammetta che l'interesse della società al versamento immediato dei venticinque centesimi si identifichi in sostanza con l'interesse al buon fine dell'operazione di aumento del capitale, sarebbe difficile sostenere che la società stessa non potesse volontariamente accantonare tale interesse in virtù di una deliberazione assembleare assunta da quella stessa maggioranza che può, appunto, deliberare (o no) lo stesso aumento di capitale [nota 44].

Di conseguenza si era ritenuto ammissibile che il Tribunale sospendesse il procedimento di omologazione della deliberazione, o ne ordinasse l'iscrizione condizionata nel Registro delle imprese in attesa che in sede di esecuzione dell'avvenuto aumento di capitale ex art. 2444, c.c., risultasse la prova dell'avvenuto versamento dei tre decimi [nota 45].

Tuttavia, anche questa tesi «non ha una base normativa, anzi nelle norme trova un forte contrasto, dato che l'art. 2444, c.c., nel prescrivere all'amministratore di dichiarare al Registro delle imprese l'avvenuta esecuzione dell'aumento, fa decorrere il termine entro cui la dichiarazione dev'essere fatta dalla sottoscrizione dell'aumento e non dal versamento. La norma dimostra che la sottoscrizione è l'atto giuridico che da solo concorre a realizzare l'evento dell'aumento del capitale, rispetto al quale come ha importanza certamente l'entrata nel patrimonio sociale dei beni destinati a concretamente realizzarlo, così ha uguale rilevanza il credito che la società assume nei confronti dei sottoscrittori che non hanno contestualmente provveduto a eseguire i versamenti dovuti» [nota 46]. Resta da verificare, una volta accettato il carattere consensualistico della sottoscrizione in sede di aumento del capitale se la società possa da sé elevare il pagamento della prescritta percentuale del conferimento in denaro a elemento strutturale della fattispecie di adesione a un aumento di capitale, considerando perfezionato l'accordo solo al verificarsi di tale adempimento.

Parte della giurisprudenza ha dato risposta negativa al quesito, sulla base della considerazione che il meccanismo regolatore della consensualità è per legge vera e propria via maestra nella produzione degli effetti giuridici, e pertanto inderogabile in favore di un modello reale atipico [nota 47].

Sembra preferibile la soluzione più liberista che consente l'inserimento di detta clausola. Infatti, «posta la positiva disciplina di una pluralità di schemi contrattuali idonei alla realizzazione giuridica dell'accordo contrattuale, la scelta da parte dell'autonomia privata di uno schema diverso rispetto a quello legalmente previsto per il contratto concretamente posto in essere deve ritenersi pienamente ammissibile se non v'è incompatibilità con l'attuazione del programma negoziale tipico» [nota 48].

Pertanto, secondo la dottrina, la previsione concreta del perfezionamento della sottoscrizione condizionato al versamento dei centesimi di cui all'art. 2439, c.c., o all'art. 2481-bis, quarto comma, c.c., appare del tutto lecito tenuto conto, più che del modello strutturale rappresentato dai contratti reali, di quello presupposto dall'art. 1327, primo comma, c.c., ai sensi del quale «qualora su richiesta del proponente o per la natura dell'affare o secondo gli usi la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione». Secondo l'interpretazione prevalente, la norma nominata, nell'ammettere la possibilità di attribuire convenzionalmente all'inizio di esecuzione il valore di elemento perfezionativo del contratto, è preordinata alla tutela dell'interesse del proponente al pronto ottenimento di una prestazione di cui ha immediatamente bisogno: evidente, dunque, la somiglianza con la fattispecie prevista dall'art. 2439, c.c., (o all'art. 2481-bis, quarto comma, c.c.) caratterizzata dall'urgenza della necessità della società di ricevere il pagamento della prima porzione del conferimento promesso dal sottoscrittore [nota 49].

La ratio del diritto di opzione e di prelazione sull'inoptato nelle SpA

Ai sensi dell'art. 2441, primo comma, c.c., «le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute»; ai sensi del terzo comma, del citato articolo 2441, c.c., la SpA non quotata deve offrire in prelazione le azioni e le obbligazioni convertibili in azioni rimaste inoptate a coloro che esercitano il diritto d'opzione purchè ne facciano contestuale richiesta [nota 50]. «Lacune e oscurità del dettato della disposizione ne rendono singolarmente controversa l'interpretazione». Si tenterà di inquadrare l'istituto ricercandone la ratio [nota 51] e anche utilizzando l'esito di tale ricerca si tenterà di definirne la natura giuridica. La sensazione di chi scrive, impregiudicato l'esito della ricerca di cui sopra, è che comunque il ruolo del notaio (in sede di costituzione della società e in sede di verbalizzazione delle delibere assembleari) sia fondamentale al fine di disciplinare il contenuto e le modalità di esercizio del diritto. Secondo una prima lettura il diritto di opzione ed il diritto di prelazione sull'inoptato perseguirebbero finalità diverse. La dottrina rinviene la giustificazione della previsione legislativa del diritto di prelazione sull'inoptato: in primo luogo nella volontà di ridurre la discrezionalità degli amministratori nella collocazione di azioni od obbligazioni convertibili non optate, impedendo loro di farne strumento per conseguire vantaggi personali; in secondo luogo nell'intenzione di consentire ai soci di rafforzare la propria posizione in seno alla società, attraverso l'accrescimento della quota di partecipazione alla società stessa. Da questa ricostruzione emerge come secondo la dottrina la funzione perseguita dalla prelazione non coincida con quella del diritto d'opzione di cui al primo comma della stessa norma, che sarebbe finalizzato a garantire il diverso diritto del socio al mantenimento (e non all'incremento come nel caso della prelazione) della propria partecipazione percentuale alla società [nota 52]. Il distinguo tra le finalità del diritto d'opzione e del diritto di prelazione porta la dottrina e la giurisprudenza ad attribuire particolare importanza al primo diritto e a sottovalutare l'importanza del secondo. Questa lettura non unitaria della funzione dei diritti di opzione e di prelazione non sembra condivisibile. L'interesse tutelato dall'art. 2441, c.c., nel suo complesso, attraverso la duplice previsione dei diritti di opzione e di prelazione è unico ed è quello di conservare l'equilibrio originario all'interno della società, evitando, se possibile, l'ingresso di terzi nella società e mantenendo, se possibile, le stesse quote di partecipazione in capo ai soci. Non è pertanto soddisfacente parlare di intento del legislatore di escludere la discrezionalità degli amministratori perchè la reale finalità del legislatore è quella di evitare la modifica degli equilibri all'interno della società. Togliere agli amministratori il potere di gestire l'inoptato non è il fine, bensì il mezzo attraverso il quale il legislatore cerca di raggiungere il suo scopo. A conferma di quanto detto sembra pesare tutta la disciplina delle società di capitali, che sembra ispirata al fine di garantire "l'interesse sociale" e non a garantire un eventuale "interesse individuale" di colui che partecipa alla società. In realtà come affermato da parte della giurisprudenza di legittimità (anche se come obiter dictum) la norma di cui all'art. 2441, c.c., relativa al diritto d'opzione dei soci (e sembra corretto ritenere anche la sua appendice del diritto di prelazione, visto che si fa sempre generico riferimento alla norma senza distinguere tra i commi della stessa), nel caso di aumento del capitale «garantisce alla società la conservazione di adeguata coesione». Infatti, «il diritto d'opzione garantisce che, nonostante la possibilità di ingresso immediato di nuovi soci, in occasione dell'aumento del capitale sociale (o successivo nell'ipotesi di emissione di obbligazioni convertibili in azioni), questa possibilità è subordinata all'altra, nettamente preferita dalla legge e dalla società, consistente nella conservazione del nuovo capitale nell'economia originaria, così assicurando il bene sociale della coesione». Come precisa ulteriormente la Suprema Corte la disciplina del diritto di opzione (si ritiene inteso come art. 2441, c.c., nel suo complesso, comprensivo del diritto di prelazione sull'inoptato) tutela in primo luogo un interesse societario e solo di riflesso un interesse dei soci [nota 53]. Tale concetto è stato fatto proprio anche dalla giurisprudenza di merito la quale ha sottolineato «l'interesse sociale alla coesione del gruppo che ha avviato l'impresa sociale» interesse reso evidente dalla disciplina dell'art. 2441, c.c., e al quale la giurisprudenza di merito affianca solo saltuariamente «l'interesse del socio a vedere salvaguardata e se possibile incrementata la misura della sua partecipazione al capitale sociale». L'orientamento giurisprudenziale riportato (anche se teso a motivare la validità di una deliberazione assembleare maggioritaria che sopprima una clausola di prelazione volontaria contenuta in uno statuto) sembra avallare la ricostruzione che vede nel complessivo disposto dell'art. 2441, c.c., una regolamentazione posta nell'interesse della società e non a tutela di un presunto duplice interesse del socio, come singolo a mantenere e a incrementare la propria partecipazione, diritto individuale del socio che la dottrina più moderna non riconosce più come proprio dell'attuale cultura giuridica, ma di un insegnamento ampiamente superato. L'interesse della società consisterebbe nel «non vedere entrare nuovi soci e nell'evitare rovesciamenti di maggioranza in seno alla società in occasione di un'operazione di aumento di capitale» operazione che risponde a una esigenza della società di aumentare il capitale di rischio, ma che si vuole realizzata possibilmente senza incidere sulla base sociale originaria. Che tale interesse sia "della società" sarebbe dimostrato dalla circostanza che il diritto di opzione sia disponibile, a maggioranza, per il perseguimento di altro interesse della società (vedi esclusione del diritto d'opzione quando l'interesse della società lo esiga). Di fronte all'eventualità di un sacrificio dell'azionista dissenziente il legislatore non richiede che venga acquisito anche il suo consenso, nè gli consente di recedere dalla società. Detta, viceversa, una disciplina che ha come finalità di evidenziare esattamente il "diverso interesse della società" che l'assemblea ritiene necessario prevalga sull'interesse sociale legislativamente protetto della «conservazione di adeguata coesione nell'ambito della società». In definitiva il legislatore avrebbe tutelato la coesione dei soci e l'equilibrio dei rapporti di carattere fiduciario che intercorrono tra loro, finalità proprie della società per azioni come tale e non dei suoi soci uti singuli; tutela che inciderebbe positivamente sulla funzionalità della organizzazione sociale, in quanto evitando, ove possibile, l'ingresso di nuovi partecipanti nella compagine dei soci e mantenendo l'originaria distribuzione del capitale e dei relativi diritti in capo ai soci, si agevolerebbe l'ordinato andamento della gestione imprenditoriale, evitando occasioni di divergenze o di conflitti. è vero che alla facoltatività dell'esercizio del diritto di opzione-prelazione di cui all'art. 2441, c.c., consegue che la finalità di evitare l'ingresso di terzi ed eventualmente impedire alterazioni dell'equilibrio dei rapporti di forza tra i partecipanti potrebbe non essere nel caso concreto conseguito; tuttavia, sembra corretto ritenere che l'istituto sia contrassegnato proprio da tale finalità e che esso sia idoneo a perseguirle. Che l'interesse sia "della società" è infine dimostrato dal fatto che il diritto d'opzione può legislativamente spettare anche a non soci. Infatti, è innegabile il principio secondo cui il diritto d'opzione spetta tanto sulle obbligazioni convertibili quanto agli obbligazionisti con diritto alla conversione; non vengono prese in considerazione le vicende ulteriori del titolo e le posizioni dei suoi portatori. L'opzione viene quindi concessa non solo su titoli che potrebbero anche non diventare mai azioni, ma viene attribuita anche a soggetti, gli obbligazionisti, che possono rimanere sempre tali, e quindi anche prima dell'esercizio della conversione, e non condizionamente all'esercizio della stessa: ciò dimostra che il legislatore non persegue interessi individuali dei soci, ma sempre e comunque interessi dell'organizzazione societaria. Ulteriore conferma della socialità degli interessi perseguiti e garantiti dal legislatore emerge dalla previsione della possibilità di sacrificare l'interesse sociale alla coesione e all'armonia tra i soci, solo qualora sussista un diverso e prioritario interesse della società quale ad esempio il reperimento di risorse materiali od umane "infungibili": si pensi al conferimento di un bene in natura o all'ingresso in società di un grosso creditore. In tali ipotesi l'importanza dell'interesse deve essere documentato nella procedura di aumento del capitale e riconosciuto come tale da una maggioranza rafforzata.

La ricostituzione immediata del capitale da parte dei soli soci intervenuti alla riunione assembleare può costituire limitazione o esclusione del diritto di opzione?

Partendo dal presupposto che non è necessario sottoscrivere immediatamente il capitale deliberato, pur nell'ipotesi più grave di perdita anche integrale del capitale [nota 54], resta da accertare se siano legittimi i correttivi pensati dalla dottrina e giurisprudenza per «mettere in salvo immediatamente la società» senza dover attendere l'eventuale esercizio del diritto d'opzione sulle nuove azioni da parte dei soci assenti all'assemblea. Secondo un primo orientamento il minimo legale di capitale potrebbe essere sottoscritto dai soci presenti con l'assunzione del semplice obbligo a carico di detti soci di girare ai soci assenti, su loro espressa richiesta, il numero di azioni corrispondenti al diritto di opzione di questi ultimi. Per parte della dottrina l'impegno preso dai soci sottoscrittori di girare le azioni ai soci assenti sarebbe «una dichiarazione di volontà, estrapolata dall'apparenza formale della deliberazione assembleare propria dei soci sottoscrittori». «Questi - insieme al voto formativo della deliberazione assembleare di azzeramento e contemporanea ricostituzione del capitale sociale con l'utilizzazione delle somme di denaro versate dai soci a tal fine - manifesterebbero (quale atto separato ed autonomo) una proposta contrattuale diretta ai soci assenti: di cedere ai soci assenti le azioni a questi spettanti in base al diritto d'opzione, proposta che se accettata comporterebbe la cessione delle azioni dai soci sottoscrittori in assemblea ai soci assenti». Tuttavia, tale ricostruzione, come rilevato dalla giurisprudenza, «stravolge la disciplina dell'art. 2441, primo comma, c.c., indipendentemente dall'efficacia della tutela apprestata per assicurare l'adempimento dell'obbligo assunto dai soci sottoscrittori. Il fatto stesso poi, che un eventuale inadempimento renderebbe necessario adire il giudice per ottenere una pronuncia attuativa dell'obbligo, viene a contrastare sul piano degli effetti con la tutela apprestata ai soci dall'art. 2441». In altre parole si sostituisce alla tutela legale una tutela meno incisiva. Si realizza una situazione acquisto di tutte le azioni da parte dei soci presenti in assemblea che, sia pure a titolo non definitivo, non è consentito realizzare in base alla norma dell'art. 2441, primo comma, c.c., la quale può essere disapplicata solo per effetto della rinuncia al diritto d'opzione da parte dei singoli soci; e nell'ipotesi che gli altri soci chiedano la cessione di quote nella misura a ciascuno spettante, viene attuato un doppio passaggio di quote che costituisce un effetto incompatibile con il sistema dell'art. 2441, c.c. è la delibera assembleare che deve garantire il rispetto del diritto che il socio vanta direttamente nei confronti della società e non una pattuizione tra società e socio, qualunque ne sia il contenuto e tantomeno una semplice dichiarazione di volontà del socio sottoscrittore recepita dagli organi societari. Per cercare di superare tali obiezioni, altra dottrina ha sostenuto che il meccanismo (sottoscrizione integrale della ricostituzione da parte dei soci presenti, i quali assumono contestualmente l'obbligo di trasferire le azioni ai soci assenti titolari del diritto d'opzione) sarebbe esplicitamente previsto dallo stesso art. 2441, settimo comma, c.c., che dispone: «non si considera escluso nè limitato il diritto d'opzione qualora la deliberazione di aumento del capitale preveda che le azioni di nuova emissione siano sottoscritte da banche o da enti o società finanziarie soggetti al controllo della Commissione nazionale per la società e la borsa, con l'obbligo di offrirle agli azionisti della società in conformità con i primi tre commi del presente articolo ... ». La norma riportata dimostrerebbe come sia considerato nel nostro ordinamento equivalente il metodo sopra descritto (c.d. dell'opzione indiretta) a quello del metodo c.d. diretto, nel quale, cioè, manca il sottoscrittore intermediario. In realtà, sembra evidente come il settimo comma dell'art. 2441, c.c., sia norma di natura eccezionale in quanto prevede come sottoscrittori soggetti particolarmente qualificati; la norma non sembra, pertanto, applicabile in via analogica visto che le norme di natura eccezionale sono inapplicabili oltre i casi in essa considerati (art. 14, disp. prel., c.c.). Nemmeno un diverso correttivo proposto, ossia la possibilità che i soci presenti deliberino l'aumento del capitale ad una cifra pari al minimo legale più quanto basta a conservare agli assenti la chance dell'opzione, sembra reggere. «A parte il problema dell'indicazione preventiva nell'ordine del giorno, del capitale di aumento, che sarebbe in funzione dell'entità delle partecipazioni dei soci assenti, ognuno vede come la misura dell'aumento sarebbe giustificata non dalle ragioni dell'impresa, ma solo dalle esigenze di rispettare i diritti dei singoli soci». Inoltre l'operazione così congegnata, sarebbe possibile solo in società a ristretta base azionaria, e potrebbe determinare la formazione di un capitale esuberante, con conseguente necessità di successiva riduzione (e relativi problemi). Si è già esposto in altra sede che l'attività notarile ha da tempo individuato e utilizzato diverse soluzioni pratiche al problema qui esaminato, ritenendo preferibile la soluzione che i soci presenti in assemblea contestualmente alla sottoscrizione delle azioni a essi spettanti dichiarino di voler esercitare il diritto di prelazione sulle partecipazioni eventualmente inoptate da parte di uno o più altri soci e provvedano ad accompagnare tale dichiarazione con il versamento nelle casse sociali dell'intero importo dovuto per il caso in cui la prelazione esercitata vada a buon fine. Evidentemente l'esercizio del diritto d'opzione ed il conseguente versamento da parte del socio assente nelle casse sociali della somma destinata a copertura della ricostituzione di capitale di sua spettanza comporta, oltre alla risoluzione del contratto di sottoscrizione stipulato tra il socio presente (nell'esercizio del diritto di prelazione su quanto rimasto inoptato in assemblea) e la società, anche il sorgere di un diritto di credito nei confronti della società stessa per un importo pari a quello versato a seguito della sottoscrizione della quota di capitale spettante al socio assente [nota 55]. La giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. 17 novembre 2005, n. 23262) ha confermato la legittimità dell'operazione di ricapitalizzazione della società da parte del socio presente in assemblea, laddove la delibera aveva fatto salva la facoltà dell'altro socio di sottoscrivere la propria quota di capitale entro trenta giorni, con contestuale dismissione della corrispondente quota già sottoscritta dal primo socio con la seguente motivazione: «il meccanismo adottato dalla società, pur formalmente differente, rispecchia fedelmente lo spirito della legge e non compromette in alcun modo i diritti del socio assente il quale nello stesso termine previsto dall'art. 2441, c.c., ha la possibilità di sottoscrivere il capitale sociale in proporzione della quota precedentemente posseduta; e nelle more … potendo il diritto di opzione essere esercitato anche il giorno successivo alla comunicazione, il socio assente si trova nella condizione di conservare la qualità di socio, con tutti i corrispondenti diritti, compreso quello di voto, senza aver ancora anticipato alcuna somma a copertura delle perdite sociali» [nota 56]. A conforto di tale filone giurisprudenziale è intervenuta una ulteriore pronuncia della Suprema Corte (Cass. 12 luglio 2007, n. 15614) che ha ribadito la legittimità di una operazione di riduzione integrale del capitale per perdite e contemporaneo aumento ad una cifra anche superiore al minimo del capitale sociale, che consenta la sottoscrizione immediata e per intero di detto aumento ai soci presenti in assemblea, assegnando contestualmente ai soci che ne abbiano diritto (soci assenti all'assemblea o soci presenti ma impossibilitati ad una sottoscrizione immediata) il termine di trenta giorni, pari al periodo minimo previsto dall'art. 2441, c.c., per l'esercizio del diritto di opzione, fungente da condizione risolutiva dell'acquisto delle partecipazioni sottoscritte dai soci presenti in misura eccedente a quella di propria spettanza [nota 57]. La Suprema Corte ha, infatti, motivato che «una operazione siffatta non sacrifica il diritto di opzione di cui all'art. 2441, c.c., nel suo contenuto (o nella sua natura di mezzo giuridico al fine) di diritto di prelazione che la norma attribuisce al socio in ordine alla sottoscrizione del capitale al fine di garantire allo stesso che resti inalterata la misura della sua partecipazione al capitale ed al patrimonio sociale. In tal caso, il diritto di opzione, il cui esercizio è suscettibile di rimuovere, pro quota, l'acquisto da parte del socio originario sottoscrittore dell'intero capitale, è salvaguardato mediante la previsione dell'esercizio postumo e con effetto retroattivo, rispetto all'avvenuta integrale sottoscrizione del capitale da parte dell'altro socio» [nota 58]. La giurisprudenza di merito ha avuto ulteriormente modo di sottolineare che «nulla vieta che dei soci anticipino i finanziamenti per sottoscrizione di capitale di altri soci e che ove costoro decidano di sottoscrivere, e versino, le anticipazioni vengano restituite, il che consente di coniugare il rispetto del diritto d'opzione e l'esigenza di far prontamente fronte alle perdite» (Trib. Milano 10 gennaio 2007) [nota 59], precisando, però, che deve essere esplicitato nella deliberazione che il versamento effettuato dai soci in luogo di altri soci è effettuato sotto la condizione risolutiva dell'esercizio da parte dei soci aventi diritto del diritto d'opzione ad essi spettante, non potendosi presumere l'automaticità di tale meccanismo di "salvaguardia" nel silenzio della deliberazione assembleare, o peggio qualora tale meccanismo sia escluso implicitamente dalla stessa deliberazione [nota 60]. Resta da verificare la legittimità della più grave ipotesi di limitazione del diritto di opzione dei soci qualora la deliberazione stabilisca che tale diritto debba essere esercitato soltanto nel corso dell'assemblea, non contemplando alcun rimedio a tutela del diritto d'opzione del socio assente. La soluzione favorevole della questione non sembra facilmente condivisibile (Trib. Trieste 23 marzo 2006) [nota 61].

La richiesta della prelazione sull'inoptato contestuale all'esercizio del diritto d'opzione. Ambito applicativo

La ricostruzione unitaria del fine perseguito dal legislatore con la previsione del diritto d'opzione-prelazione orienta anche l'interpretazione che si ritiene preferibile attribuire all'inciso «coloro che esercitano il diritto d'opzione, purchè ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione» [nota 62]. La nozione di richiesta contestuale potrebbe essere interpretata come necessità di contestualità documentale, o meglio, potendo essere la dichiarazione anche orale, di unicità o contemporaneità delle due dichiarazioni. Potrebbe, tuttavia, essere interpretata anche come contestualità temporale o meglio come necessità della contemporaneità della recezione dell'opzione e della richiesta di prelazione da parte della società. La contemporaneità della recezione sembra però un criterio non soddisfacente. Infatti, il concetto di contemporaneità della recezione si presta a molteplici interpretazioni. Parte della giurisprudenza ritiene "contemporanea" la recezione delle due dichiarazioni avvenuta nel medesimo giorno. Ma non si vede perchè il giorno debba essere il termine temporale che individua la contemporaneità dell'esercizio del diritto, in assenza di una previsione di legge in tal senso. Si potrebbe ritenere con la stessa forza argomentativa che contestualità significhi che le due dichiarazioni debbano pervenire alla sede sociale pur in giorni diversi ma entrambe entro lo stesso termine di scadenza dell'opzione, previsto nella delibera assembleare. In realtà l'interesse alla «conservazione dell'equilibrio originario all'interno della società, realizzato evitando, se possibile, l'ingresso di terzi nella società e mantenendo, se possibile, le stesse quote di partecipazione in capo ai soci» esige la contestualità delle due dichiarazioni. La possibilità di rendere dichiarazioni in momenti diversi intensifica il rischio che in fatto si assista a manovre non ortodosse da parte degli amministratori, pregiudica l'esigenza di correttezza e semplicità dell'attuazione dell'aumento del capitale, rendendo incerto il coordinamento di più richieste provenienti dallo stesso soggetto. Quanto detto implica, ad avviso di chi scrive, che il socio, in conseguenza del mancato esercizio contestuale del diritto di prelazione, perda definitivamente il diritto di prelazione sulle azioni rimaste inoptate, anche se le azioni non siano state ancora vendute. è chiaro che egli potrà ancora sottoscriverle, ma solo alle condizioni a cui le stesse verranno offerte ai terzi. Parte della giurisprudenza ha recentemente affermato che in caso di aumento del capitale, anche inscindibile, a pagamento del capitale di una SpA la richiesta di prelazione sulle azioni inoptate da parte dei sottoscrittori può essere fatta anche non contestualmente all'esercizio del diritto di opzione sui titoli di propria spettanza, avendo le norme legali sul procedimento da seguirsi natura dispositiva da parte dell'assemblea (Trib. Torino 23 marzo 2004) [nota 63]. A supporto di quanto affermato la giurisprudenza citata ha addotto che l'istituto della prelazione sull'inoptato laddove richiede l'esercizio contestuale all'esercizio dell'opzione non preserva lo scopo essenziale del contratto e del rapporto di società, bensì interessi individuali dei soci. è chiaro che tale asserzione può essere condivisa solo da chi ritenga che il diritto di prelazione sull'inoptato sia dettato non nell'interesse della società e non, viceversa, come sembra sostenere altra giurisprudenza (Trib. Milano 30 gennaio 2006) «al mantenimento del capitale sociale nelle mani della medesima compagine sociale» [nota 64]. Peraltro, nel caso esaminato dalla Corte Torinese la deliberazione di aumento aveva in partenza escluso il diritto legale di opzione di alcuni soci e perciò, di conseguenza il collegato diritto legale di prelazione sull'inoptato e di conseguenza la regolamentazione delle azioni inoptate era ad avviso, di chi scrive, rimesso comunque all'autonomia negoziale della società.

Il termine finale di sottoscrizione. Le conseguenze della mancata indicazione del termine di sottoscrizione

La deliberazione di aumento del capitale deve indicare un termine entro il quale l'operazione deve concludersi [nota 65]. Questo termine deve essere stabilito in ogni caso, sia cioè nel caso di aumento scindibile sia in caso di aumento inscindibile. L'unica ipotesi in cui probabilmente si può prescindere dalla fissazione del termine è quella in cui i soci sottoscrivano contestualmente l'intero aumento. Parte della giurisprudenza ritiene che la deliberazione assembleare di aumento del capitale nella quale non sia stato fissato il termine finale per l'esecuzione dell'operazione non sia iscrivibile nel Registro delle imprese. Si motiva che «in mancanza di tale indicazione temporale si deve ritenere che il deliberato non sia suscettibile di raggiungere lo scopo statuito, e ciò in quanto si dovrebbe considerare aperta sine die la possibilità di sottoscrivere il capitale sociale, e ciò con una lapalissiana violazione degli interessi dei terzi che non sarebbero messi nella possibilità di conoscere l'effettiva situazione patrimoniale sociale».

Sembra, invece, che contrariamente a quanto sopra affermato l'obbligo di fissazione del termine persegua «una ben diversa finalità, e cioè quella di risolvere … la questione della sorte delle sottoscrizioni parziali». Il riferimento «all'interesse dei creditori appare inconferente perché, ai sensi dell'art. 2444, c.c., l'aumento del capitale non può essere menzionato negli atti della società fino a che non si sia provveduto a iscrivere l'attestazione dell'avvenuta sottoscrizione».

Se le motivazioni che stanno alla base dell'obbligo di indicare il termine di sottoscrizione nel caso di aumento riposano sull'esigenza di regolare i rapporti tra i soci, sembra più condivisibile l'orientamento in forza del quale in difetto di esplicita indicazione del termine, questo debba ritenersi coincidente con il termine minimo previsto per l'esercizio del diritto di opzione.

In tal senso si è espressa la giurisprudenza, laddove ha affermato che «la necessità di previsione di un termine generale, in aggiunta a quello relativo all'esercizio del diritto di opzione, viene meno, o meglio, viene implicitamente ed indirettamente soddisfatta, quando la proposta di aumento risulti rivolta esclusivamente ai soci preesistenti e la delibera richiami (soltanto) il termine contemplato nell'art. 2441, c.c., (quindi nella sostanza, il termine minimo previsto da questa norma)» (App. Milano 10 febbraio 2004) [nota 66].

Nessuna indicazione è contenuta nella norma circa il termine massimo consentito per chiudere la sottoscrizione del capitale. Il limite massimo potrebbe fissarsi nel quinquennio, termine in cui si esaurisce la delega agli amministratori per l'aumento del capitale e in analogia al termine quinquennale previsto dalla legge francese all'art. 181. Tale termine decorrerebbe dall'iscrizione della deliberazione nel Registro delle imprese, termine da cui decorre l'efficacia della deliberazione, ai sensi della disciplina di legge riformata.

La legge indica, viceversa, per il caso di aumento del capitale che non escluda il diritto di opzione un termine minimo che è quello necessario perché si svolga, nelle sue fasi, la procedura di offerta in opzione.

Tuttavia mentre per le SpA il termine minimo non può essere superiore di regola a sessanta giorni (più eventuale ritardo del Registro imprese nell'iscrizione), ossia trenta giorni dalla pubblicazione dell'offerta che deve intervenire nel Registro delle imprese più trenta giorni a disposizione del notaio per richiedere l'iscrizione della delibera nel Registro delle imprese, nel caso di Srl il termine minimo è pari a trenta giorni da sommare a un imprecisato periodo entro il quale si provvederà a comunicare ai soci che l'aumento del capitale può essere sottoscritto. è evidente che alla indeterminatezza del termine potrà supplire l'atto costitutivo, determinando un termine entro il quale l'organo amministrativo dovrà provvedere a detta comunicazione. Tali termini minimi sembra debbano essere rispettati anche nel caso di riaumento del capitale in esito a una perdita dello stesso.

La parità di trattamento tra soci assenti e soci presenti nella Srl in particolare la comunicazione al socio assente del termine entro cui sottoscrivere l'aumento del capitale

Nella Srl la deliberazione di aumento del capitale deve indicare le modalità e i termini entro i quali i soci devono esercitare il diritto di sottoscrizione [nota 67]. Prima della riforma, la dottrina si era chiesta se il mancato richiamo da parte dell'art. 2495, c.c., dell'art. 2441, secondo comma, c.c., in materia di SpA, ove era prevista una formalità pubblicitaria ed un termine per eseguirla, consentisse alla Srl di dare comunicazione ai soci dell'offerta di opzione, scegliendo la forma ed i termini ritenuti più congrui. A chi invocava l'applicazione analogica alle Srl delle formalità di pubblicazione dell'offerta del diritto di opzione nel Bursal e successivamente a mezzo pubblicità nel Registro delle imprese, e la conseguente applicazione del termine minimo da assegnare ai soci per l'esercizio del diritto, si obiettava che tale adempimento configurava un'operazione sproporzionata per un organismo più agile e a ristretta base sociale. A conforto di tale ricostruzione si adduceva in particolare la più semplice modalità di convocazione dell'assemblea di Srl, prescritta dall'art. 2484, c.c. In esito a tale affermazione, parte della giurisprudenza affermava che poiché l'art. 2495, c.c., non richiama il disposto dell'art. 2441, secondo comma, c.c., e ss. per la società a responsabilità limitata non trova applicazione, salva specifica previsione statutaria, il regime di pubblicazione dell'offerta di opzione previsto dal menzionato art. 2441, secondo comma, c.c., mentre il termine per l'esercizio del diritto di opzione può essere anche inferiore a quello previsto per le società per azioni, purchè di durata congrua, così da non rendere impossibile o estremamente difficoltoso l'esercizio di tale diritto. La riforma assegna al socio, per la sottoscrizione dell'aumento termini minimi che non possono essere inferiori a trenta giorni dal momento in cui viene comunicato ai soci stessi che l'aumento di capitale può essere sottoscritto. Il dettato della norma, riferendosi alla comunicazione del termine da cui il capitale "può" essere sottoscritto, evidenzia che può verificarsi l'ipotesi di un aumento del capitale già deliberato, ma che non può essere sottoscritto. Sembra essere il caso previsto nell'art. 2481 capoverso ove si afferma che «la decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti». In secondo luogo, il termine di 30 giorni sembra debba considerarsi inderogabile. Il legislatore ha fatto la sua valutazione circa il tempo necessario per realizzare l'operazione di sottoscrizione. Un termine più breve sarebbe nullo in forza del principio di cui all'art. 2965, c.c., secondo cui «è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l'esercizio del diritto» [nota 68]. Il termine convenzionale più breve essendo invalido pare vada automaticamente sostituito dal termine minimo legale. Con che modalità può effettuarsi la comunicazione? Parte della giurisprudenza, che si ritiene condivisibile, reputa che la comunicazione di cui sopra possa avvenire anche direttamente in assemblea, qualora naturalmente vi abbiano partecipato tutti i soci e di conseguenza il dies a quo decorra dalla data della deliberazione. Altra giurisprudenza ritiene addirittura che la comunicazione possa essere fatta in assemblea anche qualora alla stessa non partecipino tutti i soci, visto che «il socio di una società a responsabilità limitata ha diritto, ex art. 2490, ultimo comma, c.c., ad esaminare il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'assemblea, sicchè - il socio -, comunque informato della convocazione dell'assemblea con all'ordine del giorno l'aumento di capitale della società, benchè assente alla seduta, ben avrebbe potuto attivarsi, nel non breve arco di tempo a sua disposizione per l'esercizio del diritto d'opzione (30 giorni), per prendere conoscenza del contenuto della delibera assunta al riguardo». Tale ultimo orientamento non pare accettabile alla luce della normativa della riforma. L'art. 2481-bis, c.c., pone a carico della società un obbligo di comunicazione e l'indicazione al plurale dei "termini" dai quali decorre la facoltà di sottoscrivere, conferma che a tutti i soci deve essere fatta la relativa comunicazione. Tali considerazioni sembrerebbero escludere anche che il termine possa comunque decorrere automaticamente dalla pubblicazione dell'offerta di sottoscrizione nel Registro delle imprese [nota 69]. Secondo parte della dottrina, «l'utilizzo del Registro imprese per le Srl, per quanto attiene alla comunicazione della possibilità di esercizio del diritto di opzione, deve reputarsi non consentita, dovendosi ritenere non estensibili per analogia le norme che dispongono un dato regime pubblicitario, a tutela dell'efficienza del sistema pubblicitario stesso». Ugualmente, sembra da escludere la possibilità di trasferire l'onere di informazione circa il termine iniziale di sottoscrizione dalla società al socio prevedendo nell'atto costitutivo che il termine di sottoscrizione decorra o dall'iscrizione della delibera nel Registro delle imprese, o dall'inserzione nel libro delle adunanze della società. Pare, infatti, che solo la legge possa trasformare un obbligo "di portare a conoscenza" un'operazione in un obbligo di eseguire una formalità che renda "meramente conoscibile" l'operazione stessa. Si è visto in precedenza che il legislatore ha tenuto in particolare considerazione, qualora si operi sul capitale, il principio di uguale trattamento e di mantenimento delle originarie posizioni. Poiché la legge non prevede le modalità dell'avviso, fatta salva l'ipotesi di comunicazione diretta ai soci presenti tutti in assemblea, non può che trattarsi di una comunicazione personale. Nessuna forma è prevista per essa: il che aggrava i problemi che già di per sé un avviso personale pone. Sembra, infatti, che la parità di trattamento dei soci esiga, non solo che ciascuno abbia a disposizione il medesimo lasso di tempo per la sottoscrizione, ma anche che il termine scada per tutti nello stesso momento. Mezzi di comunicazione diversi da socio a socio, oppure comunicazioni con il medesimo mezzo, ma pervenute in tempi diversi, quando non addirittura spedite in tempi diversi, sono fonte di favoritismi e non consentono un controllo della tempestività delle sottoscrizioni degli altri soci. La soluzione del problema sembra possa essere affidata alla disciplina contenuta nell'atto costitutivo. Nell'atto costitutivo sarà necessario inserire l'obbligo per la società di scegliere un modo di comunicazione che renda certo il ricevimento della comunicazione e che ne consenta la recezione a tutti i soci in pari data o perlomeno almeno trenta giorni prima della scadenza del termine indicata nella comunicazione stessa, in parte riproducendo i principi ed il contenuto dell'art. 2366, c.c., in materia di convocazione dell'assemblea nelle SpA, ove si pone a carico della società l'onere di provare l'avvenuta ricezione dell'avviso di convocazione. La suprema Corte (Cass. 3 novembre 2006, n. 23599), ha stabilito che in tema di deliberazioni assembleari di aumento del capitale, il termine fissato per l'esercizio del diritto di opzione deve essere identico per tutti i soci. Ove il tenore letterale delle singole clausole del verbale assembleare possa condurre al risultato della violazione del principio di parità di trattamento dei soci, correttamente il giudice di merito può ricorrere al canone ermeneutico della buona fede, al fine di abbandonare una lettura atomistica delle clausole suddette, in favore della valutazione complessiva del contenuto della deliberazione, ed interpretare la medesima nel senso della previsione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione eguale per tutti i soci [nota 70]. Di conseguenza, poiché il termine per l'esercizio del diritto d'opzione fissato dall'assemblea deve essere tale da porre i soci assenti nella medesima condizione dei presenti, il principio di buona fede nei rapporti fra i soci impone di considerare efficace anche l'opzione esercitata successivamente alla scadenza del termine fissato dall'assemblea cui il socio non abbia partecipato, nel caso in cui la comunicazione sia giunta dopo diversi giorni dalla delibera (nella specie, la dichiarazione di voler esercitare l'opzione era pervenuta alla società il giorno dopo il termine fissato dall'assemblea, indistintamente per tutti i soci) (App. Bari 13 ottobre 2003, poi confermato dalla Cass. appena citata) [nota 71].

Limiti di legge alla esclusione del diritto di sottoscrizione del capitale nella Srl nel caso di perdite

Nella nuova disciplina della Srl, il legislatore, al fine di rispondere all'esigenza evidenziata nella relazione governativa «di impedire prassi non commendevoli che sono state a volte elaborato per ridurre sostanzialmente o addirittura eliminare la partecipazione di minoranza», ha previsto, all'art. 2481-bis, c.c., che non sia consentita l'esclusione del diritto di sottoscrizione nel caso di deliberazione di aumento del capitale per ripianare perdite di oltre un terzo del capitale che lo abbiano ridotto al di sotto del minimo legale [nota 72]. Secondo parte della dottrina, «il dato positivo tradisce sicuramente le intenzioni del legislatore. Delle due, infatti, l'una: o la norma deve essere interpretata restrittivamente, nel senso che riguarda esclusivamente l'ipotesi dell'azzeramento e ricostituzione del capitale sociale, oppure, al contrario, deve trovare applicazione analogica in tutti gli aumenti che mirano, anche attraverso più decisioni, alla ricostituzione del capitale perduto. Se, infatti, il capitale non è interamente perduto, non vi è ragione di distinguere a seconda della sua discesa o meno sotto il minimo di legge». In realtà, l'orientamento sopra riportato sembra non tener conto del fatto che la norma sopra citata è integrata dal disposto dell'art. 2482-quater, c.c., secondo cui «in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite è esclusa ogni modifica delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci». La vera questione che si è posta in dottrina riguarda l'ammissibilità di una deliberazione di ricostituzione del capitale deliberata a maggioranza. Infatti, secondo parte della dottrina osterebbe all'applicazione del principio maggioritario il nuovo art. 2482-quater, c.c., secondo il quale non sarebbe consentito modificare le quote di partecipazione e i diritti spettanti ai soci in tutti i casi in cui la società provveda a una riduzione del capitale per perdite [nota 73]. Dal disposto di tale norma, secondo taluni, conseguirebbe che «nel momento in cui si manifesta la necessità di ricapitalizzazione, tutti i soci dovranno contribuire in relazione alla quota di partecipazione posseduta, provvedendo all'eventuale ripianamento delle perdite, pena evidentemente la liquidazione della società» [nota 74]. In altre parole, l'operazione dovrebbe essere necessariamente decisa all'unanimità dai soci. A sostegno di tale ricostruzione si è sottolineato che la perdita è pur sempre un fatto contabile e, di conseguenza, potendo sussistere malgrado essa riserve patrimoniali nella società derivanti o da sottovalutazioni o da una rigorosa politica di ammortamenti, il socio dissenziente, impossibilitato a sottoscrivere si vedrebbe sottratte le relative plusvalenze. Peraltro, perdita integrale del capitale non implicherebbe di per sé perdita integrale del patrimonio sociale, sia perché valori come l'avviamento non risultano dal bilancio, sia perché in questo le attività sono valutate con criteri prudenziali. Si è, infine, sottolineato che laddove il diritto del socio di minoranza è stato sacrificato sull'altare del principio maggioritario, come nel caso dell'esclusione del diritto di sottoscrizione di cui all'art. 2481-bis, c.c. e come nel caso della revoca dello stato di liquidazione di cui all'art. 2487-ter, c.c., il legislatore ha attribuito al socio non consenziente la tutela del diritto di recesso, cosa che non ha fatto nell'ipotesi di ricapitalizzazione nel caso di perdite ex art. 2482-ter, c.c. [nota 75] Tale orientamento non sembra condivisibile. In primo luogo, la deliberazione di ricostituzione adottata a maggioranza e la sottoscrizione del relativo capitale da parte di alcuni solo dei soci originari non sembra porsi in contrasto con l'art. 2482-quater, c.c., perché, in tal caso, l'alterazione delle partecipazioni non dipende dalla decisione della società, ma dalla mancata sottoscrizione di taluni soci. «D'altro lato, se così non fosse, la riduzione e la ricostituzione del capitale sarebbero sostanzialmente subordinate al veto di ciascun socio» [nota 76]. Inoltre, i dati normativi non sembrano offrire argomenti per sostenere che, in caso di perdita grave del capitale, l'interesse del singolo socio allo scioglimento della società e alla sua liquidazione prevalga su quello della maggioranza alla conservazione della stessa; interesse quest'ultimo certamente privilegiato dalla disciplina dettata dagli artt. 2482-ter e 2487-ter, c.c. D'altro canto, i soci dissenzienti sono tutelati dal riconoscimento del diritto di sottoscrizione sulla ricapitalizzazione della società, sicchè la perdita della qualità di socio, per la mancata sottoscrizione di quest'ultimo, è pur sempre imputabile ad una loro libera scelta [nota 77]. In tal senso si è espressa anche di recente la giurisprudenza di merito che ha affermato (Trib. Busto Arsizio 25 gennaio 2005) che l'assemblea può deliberare a maggioranza l'azzeramento e la ricostituzione del capitale senza esclusione del diritto di opzione del socio. Infatti, in tal caso è lo stesso socio che «astenendosi dall'esercitare tale diritto e non provvedendo a versare quanto di competenza al fine del ripianamento delle perdite, si è di fatto autoescluso» [nota 78]. Resta salva la possibilità che i sottoscrittori della ricostituzione del capitale, tenuto conto dell'esistenza di una qualche latente ricchezza, mettano a disposizione dei vecchi soci gratuitamente una (seppur modesta) quota di partecipazione [nota 79].

Decorrenza dell'efficacia delle sottoscrizioni dell'aumento di capitale nella SpA

Accade talvolta, ed è circostanza più frequente di quanto non si creda, che durante il periodo di esercizio del diritto di opzione per l'aumento di capitale di società per azioni sia convocata altra assemblea che viene a cadere nel predetto periodo di pendenza del diritto citato. Sorge allora il problema del diritto di voto da parte dei portatori delle partecipazioni di nuova emissione i quali, naturalmente, abbiano esercitato il diritto di opzione ed eseguite le obbligazioni conseguenti [nota 80].

La soluzione della questione di cui sopra dipende direttamente dalla soluzione che si voglia dare al problema se le sottoscrizioni delle partecipazioni rivenienti dall'aumento di capitale acquistino efficacia progressivamente, mano a mano che hanno luogo (e conseguentemente, in riferimento all'opzione, se l'esercizio del relativo diritto produca immediatamente il proprio effetto in capo al singolo socio) o, viceversa, se esse acquistino efficacia allorchè risulta perfezionato l'intero procedimento di aumento.

Il legislatore con il D.P.R. n. 30/1986, ante riforma, ha previsto che, se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto entro il termine indicato nella deliberazione di aumento, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte «soltanto se la deliberazione medesima lo abbia espressamente previsto».

«Si è disposto, cioè, che il silenzio dei soci circa l'eventualità di una difformità fra capitale richiesto e capitale raccolto comporti l'impossibilità di assegnare valore organizzativo alle sottoscrizioni operate, con il conseguente scioglimento del vincolo assunto dall'aderente» [nota 81].

Pertanto, nell'ipotesi di aumento di capitale inscindibile, che rappresenta per legge la regola, l'efficacia della fattispecie, (costituita da proposta contrattuale, offerta al pubblico, contenuta nella deliberazione di aumento del capitale e accettazione rappresentata dalla sottoscrizione dell'aumento) è subordinata alla condizione dell'integrale sottoscrizione dell'aumento nel termine stabilito, condizione la quale opera sia nei confronti dei sottoscrittori, sia nei confronti della società [nota 82]. Nel caso, invece, di aumento di capitale scindibile, dovendo la deliberazione assembleare di aumento già contenere la previsione della scindibilità dell'aumento, si potrebbe pensare che «il vincolo contrattuale attuatosi progressivamente nel succedersi delle sottoscrizioni sarà subito efficace per entrambe le parti» [nota 83]. Così sembra ragionare chi vede nella sottoscrizione l'accettazione della proposta contrattuale della società, contenuta nella deliberazione assembleare di aumento ed applica i principi contrattualistici in base ai quali l'accettazione produce i suoi effetti, perfezionando il contratto, nel momento in cui giunge al proponente, con la conseguenza che, salvo contraria disposizione contenuta nella deliberazione-proposta, le sottoscrizioni dell'aumento scindibile producono sempre effetto immediato, non appena giunte alla società [nota 84].

Tale ricostruzione potrebbe creare però le premesse per il verificarsi di una situazione di disparità di trattamento tra i soci che, invece, l'intera disciplina di legge dell'aumento di capitale sembra volta ad evitare. Infatti, il socio, qualora si ritenga che ogni sottoscrizione sia immediatamente efficace, potrebbe affrettarsi a sottoscrivere, raddoppiando il capitale in propria mano, ed a quel punto richiedere la convocazione di un'assemblea nella quale godrebbe della maggioranza sufficiente per adottare delibere ad esso favorevoli. Ancora, la stessa minoranza potrebbe, con l'immediata sottoscrizione, raggiungere, in pendenza dell'aumento di capitale, la percentuale di capitale richiesta per l'esercizio di alcuni diritti propri di una determinata aliquota del capitale [nota 85].

Emerge, pertanto, che, ad accogliere la tesi sopra prospettata, potrebbero verificarsi episodi di arbitraria modificazione delle posizioni relative dei soci e quindi, in buona sostanza, abusi, ad evitare i quali è volta l'intera disciplina dell'aumento di capitale e del diritto di opzione in specie [nota 86].

Sembra pertanto preferibile ritenere che l'aumento del capitale costituisca una fattispecie sottoposta, nel caso di aumento inscindibile, a condizione sospensiva e, nel caso di aumento scindibile, ad un termine iniziale di efficacia [nota 87]. Nel caso di aumento scindibile, pertanto, prima che scada il termine finale fissato per la sottoscrizione, il singolo contratto di sottoscrizione resterà inefficace e il sottoscrittore non potrà esercitare, pendente il termine di sottoscrizione, i diritti amministrativi di intervento e di voto riguardanti le partecipazioni oggetto di sottoscrizione.

È, ora, necessario verificare se questa ricostruzione, ritenuta preferibile prima della riforma, mantenga la propria credibilità anche alla luce della nuova normativa.

Nel caso della SpA, il legislatore ha previsto le azioni "senza valore nominale". Si tratta di azioni il cui valore nominale rimane inespresso ma continua ad esistere e a mantenere la medesima rilevanza che esso ha nelle azioni con valore nominale espresso. Si consideri, infatti, che il valore nominale delle azioni è pur sempre il risultato della divisione aritmetica dell'ammontare del capitale sociale per il numero di azioni e che questi due elementi sono necessariamente sempre presenti anche nelle società con azioni senza valore nominale [nota 88].

In qualsiasi momento è, pertanto, possibile risalire al valore nominale inespresso dividendo l'ammontare del capitale per il numero delle azioni (in tal senso vedi l'art. 2346, terzo comma, c.c.).

In conseguenza dell'introduzione delle azioni senza valore nominale, il legislatore richiede che i titoli azionari indichino ex art. 2354, n. 3 il valore nominale delle azioni o, se si tratta di azioni senza valore nominale, il numero complessivo delle azioni emesse, nonché l'ammontare del capitale sociale. Per riportare tali dati nel titolo sembra necessario che il termine di sottoscrizione dell'aumento sia spirato. Nè avrebbe significato precludere l'efficacia immediata delle singole sottoscrizioni nelle SpA che emettano azioni senza valore nominale e consentirla nella diversa ipotesi delle azioni con valore nominale.

Fra la posizione dell'efficacia immediata della sottoscrizione e la opposta posizione che ritiene differito ogni effetto dell'aumento e delle sue sottoscrizioni al momento in cui la procedura ha avuto termine o eventualmente al momento, anteriore, in cui si verifica l'integrale sottoscrizione si collocano posizioni dottrinali intermedie [nota 89] che pur aderendo alla seconda soluzione, ossia quella che collega il verificarsi dell'efficacia dell'aumento del capitale al decorso del termine fissato nella deliberazione, esaltano l'autonomia negoziale affermando che, tuttavia, la deliberazione di aumento possa consentire una efficacia progressiva e contestuale alle singole sottoscrizioni dell'aumento di capitale [nota 90]. In tal senso si è recentemente espressa la Commissione del Consiglio notarile di Milano, secondo cui «è legittima la clausola della deliberazione di aumento di capitale sociale a pagamento, con la quale (salvi gli effetti dell'iscrizione nel Registro delle imprese della deliberazione medesima, ai sensi dell'art. 2436, comma 5, c.c.) si stabilisca, in caso di aumento scindibile, l'immediata efficacia di ciascuna dichiarazione di sottoscrizione - anche prima del termine finale di sottoscrizione, prima del termine per l'esercizio del diritto di opzione e prima dell'integrale sottoscrizione dell'aumento deliberato - con conseguente attribuzione, al momento stesso della sottoscrizione, delle partecipazioni sottoscritte e della relativa legittimazione all'esercizio dei diritti sociali» [nota 91]. La massima si riferisce, correttamente, alla sola ipotesi di aumento del capitale e non alla similare, ma diversa fattispecie di ricostituzione del capitale perso. In tal caso, e in particolar modo quando sia consentito ai soci presenti di sottoscrivere immediatamente anche quanto spettante in opzione ai soci assenti, con il correttivo a favore di questi ultimi di poter sottoscrivere comunque il capitale entro il termine di legge, non sarà possibile con deliberazione assembleare decidere l'immediata efficacia di ciascuna dichiarazione di sottoscrizione, perché così facendo si violerebbe il principio, sancito dalla Cassazione, secondo il quale «nelle more … potendo il diritto di opzione essere esercitato anche il giorno successivo alla comunicazione, il socio assente si trova nella condizione di conservare la qualità di socio, con tutti i corrispondenti diritti, compreso quello di voto» (Cass. 17 novembre 2005, n. 23262) [nota 92].


[nota 1] V. D'ATTORRE, Il principio di eguaglianza tra soci nelle società per azioni, Milano, 2007, p. 314.

[nota 2] V. MAJELLO, «L'esercizio del diritto di opzione per le azioni di nuova emissione», in Giur. comm., 1996, p. 137.

[nota 3] V. MAJELLO, op. cit., p. 138.

[nota 4] V. BUSI, SpA - Srl Operazioni sul capitale, Milano, 2004, p. 176.

[nota 5] V. in tal senso anche: SPALTRO, nota a Trib. Reggio Calabria, in Dir. fall., II, 2007, p. 529; LEOCATA, «La tutela del diritto di prelazione sulle azioni inoptate in sede di aumento di capitale», in Dir. fall., II, 2003, p. 130; GINEVRA, Sottoscrizione e aumento del capitale nelle società per azioni, Milano, 2001, p. 47 e ss.; TRIMARCHI, L'aumento del capitale sociale, Milano, 2007, p. 223.

Trib. Nola 14 febbraio 2005, in Foro pad., I, 2006, p. 173, parla di «paradigma negoziale» e di «una sorta di offerta al pubblico ex art. 1336, c.c.».

[nota 6] V. Cass. 14 aprile 2006, n. 8876, in Società, 2007, p. 159 e in Foro it., 2007, I, c. 3217.

[nota 7] V. Cass. 14 aprile 2006, n. 8876, cit.

[nota 8] V. sull'argomento: GIORGIANTONIO, nota a Cass. 14 aprile 2006, n. 8876, in Foro it., 2007, c. 3217; AMBROSIANI, «Sottoscrizione integrale anticipata dell'aumento del capitale sociale tramite conferimenti atipici del socio», in Società, 2007, p. 161.

[nota 9] V. Cass. 19 ottobre 2007, n. 22016, in Società, 2008, p. 171.

[nota 10] V. LIBONATI, Diritto commerciale, Milano, 2005, p. 299 secondo il quale «l'esercizio del diritto di opzione si scandisce in una procedura stabilita dalla legge quanto alla sua articolazione minimale, a tutela delle istanze di ogni singolo socio. I soci, anche se presenti all'assemblea che ha deliberato l'aumento di capitale, sono considerati terzi sollecitati all'investimento». Secondo GALGANO - GENGHINI, Il nuovo diritto societario, Padova, 2006, p. 649 «non è perciò sufficiente, perché l'adesione si realizzi, la sola volontà dell'organo costituito per l'attuazione del contratto, nel nostro caso la sola volontà dell'assemblea: occorre che la volontà dell'organo si incontri, secondo il meccanismo di formazione del contratto (art. 1326), con la volontà dei nuovi contraenti, nel nostro caso con la volontà dei sottoscrittori delle azioni di nuova emissione».

[nota 11] V. BUSI, Assemblea e decisioni dei soci nelle società per azioni e nelle società a responsabilità limitata, Padova, 2008, p. 14.

[nota 12] V. Trib. Reggio Calabria 29 giugno 2006, in Dir. fall., 2007, p. 528.

[nota 13] In dottrina su versamenti e finanziamenti soci: BUSI, Azzeramento e ricostituzione del capitale nelle SpA, Padova, 1998; BUSI, «Versamenti e finanziamenti dei soci nelle operazioni notarili», in Notariato, 2000, p. 360; BUSI, «Problemi di qualificazione dei versamenti del socio alla società», nota a Cass. 14 dicembre 1998, n. 12539 e Trib. Verona 15 maggio 1998, in Notariato, 1999, p. 538; BUSI, «Azzeramento del capitale per perdite e sua ricostituzione sino all'importo originario mediante utilizzo di versamenti in conto capitale, in assenza di emissione di nuove azioni», nota a Trib. Firenze, decr. 3 gennaio 1995, in Nuova giur. civ. comm., 1995, p. 983; BUSI, «Divieto di imputazione a capitale della riserva legale e omologazione parziale», in Notariato, 1996, p. 255; BUSI, SpA - Srl Operazioni sul capitale, Milano, 2004, p. 69; BUSI, Srl, un freno ai finanziamenti dei soci, 2004, p. 5; BALP, «I finanziamenti dei soci sostitutivi del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretativa», in Riv. soc., 2007, p. 345; ID., «Sulla qualificazione dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c. e sull'ambito di applicazione della norma», in Banca, borsa, tit. cred., II, 2007, p. 612; BALZARINI, «Contributi in conto capitale e rappresentazione in bilancio», in Società, 2006, p. 1243; BARRERI e GAI, «I finanziamenti dei soci di società di capitali», in Il fisco, 2004, p. 4831; BOLOGNESI, «I finanziamenti dei soci di Srl», in Impresa c.i., 2007, p. 82; BERTACCHINI, «I versamenti soci in conto capitale coprono definitivamente le perdite», in Società, 2007, p. 1487; BUSANI, «La Srl prima rimborsa i creditori», in Il Sole 24 Ore del 18 luglio 2007, p. 32; CAMUZZI, «Contrasto alla sottocapitalizzazione e diritto societario», in Il fisco, 2004, p. 4835; CORSINI, I finanziamenti soci e i versamenti dei soci, Verona, 2006; ESPOSITO, «Il sistema delle reazioni revocatorie alla restituzione dei finanziamenti postergati», in Società, 2006, p. 559; FACCHIN, «Sottocapitalizzazione. 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Messina 1 marzo 2004, in Vita not., 2004, p. 1061; App. Roma 17 agosto 2005, in Riv. not., 2007, p. 422; App. Genova 30 novembre 2005, in Società, 2007, p. 1487; App. Brescia 4 aprile 2005, in Società, 2006, p. 143; Trib. Milano 25 ottobre 2005, in Società, 2006, p. 1267; Trib. Milano 29 settembre 2005, in Società, 2006, p. 1133; Trib. Milano 30 aprile 2007, in Giur. it., 2007, p. 2499, con nota di CAGNASSO; Trib. Santa Maria Capua Vetere 10 ottobre 2006, in Dir. fall., 2007, p. 507.

[nota 14] V. App. L'Aquila 7 marzo 1995, in Riv. dir. comm., II, 1996, p. 55 con nota di AVAGLIANO; Trib. Napoli, decr. 15 maggio 1995, in Società, 1995, p. 1477 con nota di FIGONE.

[nota 15] In tal senso sembra orientato GRIPPO, «Ordine del giorno, aumento del capitale sociale e poteri dell'assemblea (con un cenno ai c.d. versamenti in conto capitale) », nota ad App. Brescia 9 febbraio 1977 e Trib. Bergamo 14 maggio 1975, in Giur. comm., II, 1977, p. 612, ove si afferma che se non segue l'adozione di una delibera valida ed eseguibile a cui i versamenti sono condizionati, gli importi versati, sia che si faccia l'ipotesi di un deposito presso la società, o di un prestito a tempo indeterminato, sono immediatamente ripetibili ad nutum dal socio, non avendo la società alcun titolo per trattenerli. Gli apporti versati dai soci a titolo di sottoscrizione anticipata altro non sono che mere sovvenzioni rappresentanti un credito fatto dai soci alla società, non dissimili da quelle che qualsiasi terzo potrebbe corrispondere a favore della società medesima. V. anche TANTINI, nota a Trib. Milano 3 febbraio 1977, in Giur. comm., II, 1977, p. 834. In giurisprudenza si veda: Cass. 22 febbraio 1952, p. 479, in Dir. fall., II, 1952,p. 26; App. Milano 8 gennaio 1965, in Foro pad., I, 1965, p. 864.

[nota 16] V. Cass., sez. III, 6 luglio 2001, n. 9209, in Foro it., 2001, c. 3621.

[nota 17] V. ANGIELLO, op. cit., p. 1414.

[nota 18] Sull'argomento anche se con riferimento alla disciplina vigente prima della novella del 1986 che ha disciplinato la differenza tra aumento di capitale scindibile ed inscindibile si vedano le contrapposte decisioni di App. Brescia 9 febbraio 1977 e Trib. Bergamo 14 maggio 1975, entrambe in Giur. comm., II, 1977, p. 612 con nota di GRIPPO.

[nota 19] Sull'argomento si veda: Trib. Cagliari 19 marzo 1998, in Giust. civ., I, 1999, p. 1517, con nota di MARCHEGGIANI; MARCHETTI, «Commento all'art. 20 del D.P.R. 10 febbraio 1986», in Le nuove leggi civili commentate, 1988, p. 173; Cass. 18 ottobre 1982, n. 5407, in Riv. not., 1983, p. 220, con nota di ATLANTE.

[nota 20] V. in tal senso Trib. Milano, ord. 2 febbraio 1995, in Società, 1995, p. 1328, con nota di FATTORI.

[nota 21] V. Trib. Napoli 25 febbraio 1998, cit., p. 1026; si veda sull'argomento anche Trib. Lecce 23 aprile 1985, in Giur. comm., II, 1987, p. 695, con nota di GANDINI, «Versamenti in conto capitale e quote di imputazione in caso di aumento di capitale», ove si ritiene illegittima una deliberazione di reintegrazione del capitale per cui si erano utilizzati versamenti in conto capitale, per il motivo che non si era precisato quali fossero state le misure dei versamenti di ciascun socio; per una diversa soluzione si veda Trib. Alba, decr. 28 novembre 1995, in Giur. it., 1, 2, 1996, p. 406, con nota di CAVANNA.

[nota 22] Sull'argomento si veda OLIVIERI, «I versamenti "in conto futuro aumento di capitale" in favore degli istituti di credito di diritto pubblico tra leggi speciale e diritto comune societario», in Banca, borsa, tit. cred., 1999, p. 200; FIGà - TALAMANCA, Bilanci e organizzazione dei poteri dispositivi sul patrimonio sociale, Milano, 1997, p. 175.

[nota 23] V. PORTALE, «Appunti in tema di versamenti in conto futuri aumenti di capitale eseguiti da un solo socio», in Vita not., 1994, p. 587.

[nota 24] Secondo Trib. Milano, ord. G.I. 2 maggio 1995, in Società, 1995, p. 1328 con nota di FATTORI: «I versamenti in conto futuro aumento di capitale consistono in anticipazioni richieste ai soci in previsione di un eventuale aumento di capitale; tuttavia ciò non comporta l'obbligo dell'assemblea di utilizzare tali fondi per la liberazione dell'aumento deliberato successivamente al deposito degli stessi, ben potendo questa richiedere, come è avvenuto nella fattispecie, la liberazione mediante denaro».

[nota 25] In tal senso prima della riforma sembra CARATOZZOLO, Il bilancio di esercizio, Milano, 1998, p. 269; sull'argomento si veda anche CERA, Il passaggio di riserve a capitale, Milano, 1988, p. 144, il quale parla di «fondo costituito al passivo del bilancio, non disponibile per un aumento gratuito del capitale»; secondo CENNI, op. cit., p. 1132, «l'iscrizione non dovrà effettuarsi sotto la voce debiti, bensì sotto quella fondo per rischi, avendo tale posta il compito di coprire perdite o debiti di esistenza probabile ma non certa».

[nota 26] V. SALAFIA, «Natura giuridica del diritto di opzione nelle società di capitali», in Società, 2007, p. 922.

[nota 27] V. BUSI, SpA – Srl operazioni sul capitale, cit., p. 92.

[nota 28] V. Trib. Bari 21 giugno 2007, in Società, 2008, p. 235.

[nota 29] V. Trib. Santa Maria Capua Vetere 10 ottobre 2006, in Dir. fall., II, 2006, p. 507; Trib. Genova 12 febbraio 2002, in Società, 2003, p. 616.

[nota 30] V. Cass. 30 marzo 2007, n. 7980, in Riv. not., 2008, II, p. 176, con nota di PERI, «I versamenti dei soci in favore della società e la diversa disciplina applicabile in relazione alla loro qualificazione giuridica».

[nota 31] V. Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, in Società, 2008, p. 45.

[nota 32] V. App. Milano 27 gennaio 2004, in Foro pad., 2005, p. 674; Trib. Reggio Calabria 29 giugno 2006, in Dir. fall., II, 2007, p. 528; Trib. Siena 27 settembre 2006, in Giur. comm., II, 2007, p. 197; Trib. Milano 20 giugno 2002, in Banca, borsa, tit. cred., II, 2004, p. 223; App. Brescia 16 luglio 1992, in Foro pad., I, 1993, p. 169; Trib. Milano 22 febbraio 1993, in Società, 1993, p. 534; Pret. Avellino 17 dicembre 1992, in Dir. e giur., 1994, p. 472.

[nota 33] V. SPALTRO, nota a Trib. Reggio Calabria, 29 giugno 2006, in Dir. fall., II, 2007, p. 532; COLAVOLPE, «Tempestiva sottoscrizione di azioni emesse in attuazione di aumento del capitale sociale e versamento del 25% del valore nominale delle azioni sottoscritte in data successiva alla scadenza del termine per l'esercizio del diritto di opzione», in Contr. impr., 2006, p. 311.

[nota 34] V. BUSI, SpA - Srl operazioni sul capitale, cit., p. 197.

[nota 35] V. Cass. 26 gennaio 1996, n. 611, in Società, 1996, p. 892.

[nota 36] Così App. Roma, decr. 15 maggio 1992, in Riv. dir. impr., 1993, p. 97.

[nota 37] In tal senso: PACIELLO, «Considerazioni sulla struttura del contratto di sottoscrizione», in Banca, borsa, tit. cred., II, 1983, p. 96, nota 11.

[nota 38] PACIELLO, op. cit., p. 96.

[nota 39] V. Trib. Genova 17 ottobre 1990, in Società, 1991, p. 648.

[nota 40] In tal senso: BELVISO, «Realità e consensualità nel contratto di sottoscrizione di azioni di nuova emissione», nota a Trib. Bari 5 marzo 1979 e App. Bari 9 maggio 1980, in Giur. comm., II, 1981, p. 319 e ss.

[nota 41] V. Cass. 7 agosto 1963, n. 2228, in Giust. civ. Mass., 1963, p. 1044; BELVISO, Le modificazioni dell'atto costitutivo nelle società per azioni, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, vol. 17, 1985, p. 94.

[nota 42] V. DI SABATO, «Quando va effettuato il versamento dei tre decimi?», in Riv. dir. impr., 1993, p. 97 e ss.

[nota 43] In tal senso sembra esprimersi (anche se in riferimento alla diversa ipotesi dell'aumento di capitale da liberarsi in natura) SALAFIA, «Sottoscrizione dell'aumento di capitale con conferimento di azienda», Nota a Trib. Catania, decr. 18 luglio 1997, in Società, 1998, p. 62. Per la natura consensuale nel caso di aumento del capitale: TRIMARCHI, op. cit., 2007, p. 225; BENASSI, Sub art. 2439, in A.A.V.V., Commentario breve al diritto societario, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2007, p. 889; GUERRERA, Sub art. 2438-2439, in A.A.V.V., Società di capitali, Comm. a cura di Niccolini e Stagno d'Alcontres, vol. II, Napoli, 2004, p. 1156; DE LUCA, «Sottoscrizione consensuale di azioni ed emissione di titoli senza annotazioni del debito d'apporto», Banca, borsa, tit. cred., II, 2004, p. 223; MUSCARIELLO, «Sulla consensualità del contratto di sottoscrizione di azioni di nuova emissione in sede di aumento del capitale», in Dir. giur., 1994, p. 474; BIANCHI, op. cit., p. 77; FERRARI, Sub artt. 2439, in A.A.V.V., Codice commentato delle nuove società a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, 2004, p. 867.

[nota 44] V. BAZZANO, «Determinazione ex post del prezzo di emissione ad opera degli amministratori, derogabilità dell'obbligo di versamento immediato del sopraprezzo e compatibilità con il diritto di opzione», in Riv. soc., 2003, p. 1074.

[nota 45] Così sembra ritenere, solo con riferimento alla specifica ipotesi della ricostituzione del capitale perduto RORDORF, in A.A.V.V., L'aumento del capitale, cit., p. 1259; in giurisprudenza: Trib. Trieste, decr. 18 novembre 1981, in Riv. not., 1981, p. 1200 e sembra App. Bari 9 maggio 1980, cit., p. 319 e ss.

[nota 46] V. SALAFIA, «Sottoscrizione del capitale e correlativo versamento», in Società, 1993, p. 316. Contra, Trib. Napoli, decr. 6 maggio 1996, in Notariato, 1997, p. 60, che rigetta il ricorso per omologazione per mancata prova dell'avvenuto versamento dei 3/10.

[nota 47] V. Cass. 26 gennaio 1996, n. 611, cit.

[nota 48] V. GINEVRA, «Sottoscrizione di nuove azioni, versamento dei tre decimi del valore nominale e aumento di capitale», in Riv. soc., 2000, p. 1191.

[nota 49] V. GINEVRA, op. ult. cit., p. 1192.

[nota 50] In tema di prelazione e opzione ex art. 2441 si veda: BUSI, SpA - Srl operazioni sul capitale, cit., p. 240; LEOCATA, «L'opzione e la prelazione societaria dopo la riforma: tra nuove figure e vecchie questioni», in Società, 2008, p. 543; MUCCIARELLI, «La prelazione nell'art. 2441, terzo comma, del codice civile», in Riv. soc., 1992, p. 17; ID., Il sopraprezzo delle azioni, Milano, 1997, p. 1 e ss.; LEOCATA, «Del diritto di prelazione sulle azioni nuove inoptate in sede di aumento del capitale», in Vita not., 1998, p. 1276; ID., «La tutela del socio opzionista nell'ipotesi di vizio di emissione delle azioni nuove in sede di aumento di capitale», in Riv. not., II, 1997, p. 1519; LUCARINI, «Art. 2441 c.c., terzo comma: diritto di prelazione o diritto d'opzione?», in Riv. dir. comm., I, 1977, p. 260, TAMBURRINO, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, Milano, 1991, p. 100; SORDELLI, «Opzione, prelazione, e criteri di ripartizione per nuove azioni rimaste inoptate», in Giur. comm., 1977, p. 398; WEIGMAN, «La prelazione sui titoli inoptati», in Giur. comm., I, 1982, p. 608; MANGO, Opzione (diritto di) nelle società per azioni, in Noviss. 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La teoria dei diritti individuali e il sistema dei vizi delle deliberazioni assembleari», in Riv. soc., 1956, p. 93, GRAZIANI, «Sovrapprezzo delle azioni e diritto di opzione», in Riv. soc., 1951, p. 51; MANZINI, Le operazioni sul capitale sociale, Padova, 2000, p. 55; BIANCHI, Le operazioni sul capitale sociale, Padova, 1998, p. 121; GINEVRA, «Diritto di prelazione», nota a sentenza Pret. 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[nota 51] Secondo CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2004, p. 299 «il diritto di opzione consente di mantenere inalterata la proporzione in cui ciascun socio partecipa, attraverso il voto, alla formazione della volontà sociale (funzione amministrativa). Serve inoltre a mantenere inalterato il valore reale della partecipazione azionaria in presenza di riserve accumulate (funzione patrimoniale), valore che invece si ridurrebbe qualora le azioni fossero sottoscritte da terzi ad un prezzo inferiore al valore effettivo delle azioni già in circolazione». Secondo COTTINO, Diritto societario, Padova, 2006, p. 522, «risultano evidenti le finalità della norma: evitare o limitare manovre sui titoli inoptati da parte degli amministratori, privilegiare patrimonialmente, con la doppia prelazione, gli azionisti preesistenti, facilitare quanto possibile l'assorbimento dell'operazione di aumento».

[nota 52] V. sull'argomento: SALAFIA, «Natura giuridica del diritto di opzione nelle società di capitali», in Società, 2007, p. 921.

[nota 53] Così testualmente Cass. 15 luglio 1993, n. 7859, in Corr. giur., 1994, p. 91. Tale sentenza modifica una precedente affermazione della stessa Suprema Corte (trattasi sempre però di obiter dictum) secondo cui «il diritto di opzione, riconosciuto dall'art. 2441 c.c., tutela il socio, non la società». V. Cass. 17 marzo 1989, n. 1319, in Nuova giur. civ. comm., I, 1990, p. 564.

[nota 54] V. BUSI, SpA - Srl operazioni sul capitale, cit., p. 490; BUSI, «Azzeramento…», cit., p. 91 e ss.; ID., «Azzeramento del capitale per perdite, sua ricostituzione senza contestuale sottoscrizione…», in Nuova giur. civ. comm., 1995, p. 792; DUGO, «Azzeramento del capitale per perdite», in Società, 1999, p. 547; ALBANESE, «Riduzione ed azzeramento del capitale sociale e diritto di opzione dei soci», in Società, 1999, p. 347; FACCHINI, «Diritti del socio assente in sede di ricostituzione del capitale perduto», in Società, 1998, p. 1306; CASPANI-ZABBAN, «Ricostituzione del capitale in assenza del socio di minoranza», in Federnotizie, 1999, p. 73; LUONI, «Brevi note in tema di riduzione del capitale per perdite (anche alla luce dell'introduzione dell'euro)», in Giur. it., I, 1999, p. 1239; in giurisprudenza: App. Roma 21 gennaio 1999, in Giur. it., I, 1999, p. 1239; App. Potenza, decr. 3 febbraio 1998, in Riv. not., 1999, p. 322; App. Trento, decr. 31 gennaio 1998, in Società, 1998, p. 1304; App. Roma, decr. 22 settembere 1998, in Foro it., I, 1999, c. 3039; App. Firenze, decr. 18 ottobre 1996, in Società, 1997, p. 675; Contra vedi: Trib. Napoli, decr. 1 ottobre 1988, in Società, 1999, p. 346; Trib. Matera, decr. 22 ottobre 1997, inedito, poi riformato da App. Potenza, decr. 3 febbraio 1998, sopra citato; Trib. Prato, decr. 17 luglio 1996, in Società, 1997, p. 674. Si veda altresì la giurisprudenza citata in BUSI, op. ult. cit., p. 91 e ss.

[nota 55] V. in tal senso anche: LUONI, «Note in tema di ricostituzione del capitale per perdite in assenza del socio di minoranza», in Giur. it., 2008, p. 658.

[nota 56] V. Cass. 17 novembre 2005, n. 23262, in Società, 2006, p. 1229; sull'argomento: FESTA FERRANTE, «La ricapitalizzazione in presenza di perdite superiori al capitale sociale e la tutela del socio assente», in Riv. not., 2007, p. 408. Si sottolinea come la sottoscrizione della quota capitale del socio assente da parte del socio presente condizionata risolutivamente all'esercizio del diritto di opzione da parte del socio assente, pur se sostenuta in giurisprudenza e sostanzialmente legittima, vedi da ultimo Trib. Roma, decr. 26 gennaio 1998, in Giur. rom., I, 1999, p. 31, non sia ineccepibile sotto il profilo strettamente giuridico. Sull'argomento vedi anche Trib. Udine 10 giugno 1993, in Dir. fall., II, 1993, p. 965, con nota di GRANZOTTO.

[nota 57] V. Cass. 12 luglio 2007, n. 15614, in Giur. it., 2008, p. 656.

[nota 58] V. Cass. 12 luglio 2007, n. 15614, cit.

[nota 59] V. Trib. Milano 10 gennaio 2007, in Società, 2007, p. 1118, con nota di ZAGRA, «Conseguenze della violazione del diritto di sottoscrizione dei soci nella Srl».

[nota 60] V. Trib. Milano 10 gennaio 2007, cit.

[nota 61] V. Trib. Trieste, decr. 23 marzo 2006, in Giur. comm., II, 2007, p. 1123.

[nota 62] V. BUSI, SpA - Srl operazioni sul capitale, cit., p. 282.

[nota 63] V. Trib. Torino 23 marzo 2004, in Giur. it., 2004, p. 2120. In dottrina: TRIMARCHI, op. cit., p. 310.

[nota 64] V. Trib. Milano 30 gennaio 2006, in Società, 2007, p. 499.

[nota 65] V. BUSI, SpA - Srl operazioni sul capitale, cit., p. 191.

[nota 66] V. App. Milano 10 febbraio 2004, in Società, 2005, p. 606, Trib. Napoli 12 gennaio 1989, in Giur. comm., II, 1989, p. 406. In dottrina: BIANCHI, Le operazioni sul capitale sociale, Padova, 2007, p. 72.

[nota 67] V. BUSI, SpA - Srl operazioni sul capitale, cit., p. 350.

[nota 68] V. Trib. Milano 10 gennaio 2007, in Società, 2007, p. 1118; in dottrina: BUSI, SpA - Srl, operazioni sul capitale, cit., p. 351; CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, Torino, 2007, p. 339; GALLETTI, Sub art. 2481-bis, in Codice commentato delle Srl diretto da Benazzo e Patriarca, Torino, 2006, p. 482.

[nota 69] A favore di tale conclusione sembrerebbe PINNA, Sub art. 2481-bis, in Il nuovo diritto delle società a cura di Maffei Alberti, vol. III, Padova, 2005, p. 2095. Contra: ZANARONE, «Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata», in Riv. soc., 2003, p. 83; MEOLI, ODETTO, TOSCO, Le Srl; costituzione, regole di funzionamento e profili fiscali, Milano, 2007, p. 406.

[nota 70] V. Cass. 3 novembre 2006, n. 23599, in Riv. dir. comm., II, 2007, p. 179, con nota di DARDES, «Interpretazione delle deliberazioni assembleari secondo buona fede» e in Nuova giur. civ. comm., I, 2007, p. 1043, con nota di QUARTICELLI, «Interpretazione della delibera assembleare secondo buona fede e tutela del diritto di opzione dei soci».

[nota 71] V. App. Bari 13 ottobre 2003, in Giur. comm., II, 2004, p. 297.

[nota 72] V. BUSI, SpA - Srl operazioni sul capitale, cit., p. 344.

[nota 73] La dottrina in riferimento all'art. 2482-quater, c.c., ha avuto modo di osservare che «è la classica norma che pone più problemi di quanti ne risolva», PRESTI - RESCIGNO, Corso di diritto commerciale, Le società, vol. II, Milano, 2005, p. 246.

[nota 74] V. DE ANGELIS, «Aumenti e riduzioni di capitale sociale in mano agli amministratori», in Il nuovo diritto delle societario, Italia Oggi, 4, 2003, p. 37.

[nota 75] Secondo parte della dottrina GIRELLO, «La perdita del capitale e la tutela del socio debole», in Società, 2004, p. 1501, a tutela del socio si potrebbe introdurre «la previsione statutaria del diritto di recesso nel caso di perdite superiori al patrimonio netto o che abbiano eroso il capitale».

[nota 76] V. SPOLIDORO, «La riduzione del capitale sociale nelle Srl», in Riv. soc., 3, 2007, p. 21; GIRELLO, «La perdita del capitale e la tutela del socio debole», in Società, 2004, p. 1501. Secondo FERRARA jr - CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2006, p. 717 «non sembra sostenibile che in simili frangenti la società, nella quale potrebbero permanere dei valori (ad esempio di avviamento) non emergenti dal bilancio, sia inesorabilmente condannata alla liquidazione e al fallimento».

[nota 77] V. BELLINI, Il socio assenteista, Milano, 2005, p. 290.

[nota 78] V. Trib. Busto Arsizio 25 gennaio 2005, in Società, 2006, p. 891.

[nota 79] V. FERRARA jr - CORSI, cit., p. 718.

[nota 80] V. Sull'argomento: BUSI, SpA – Srl operazioni sul capitale, cit., p. 223; GRASSETTI, «Diritto di voto in pendenza di aumento di capitale», in Riv. dir. comm., I, 1953, p. 50; PESCE, «Diritto di voto in pendenza di aumento di capitale», in Riv. soc., 1957, p. 696; GINEVRA, Sottoscrizione e aumento del capitale sociale nelle SpA, Milano, 2000, ed. prov., p. 250 e ss; CHIAPPETTA, «L'aumento del capitale sociale, l'efficacia delle sottoscrizioni ed il procedimento come forma dell'azione sociale», in Riv. dir. comm., I, 1992, p. 597; GUERRIERA, I warrants azionari nelle operazioni di aumento del capitale, Torino, 1995, p. 61; CERRAI, in A.A.V.V., Diritto commerciale, Bologna, 1995, p. 408; PELLIZZI, «Note sulla sottoscrizione parziale di aumento del capitale», in Riv. soc., 1979, p. 1245; MARCHETTI, «Aumenti di capitale ad esecuzione differita: warrants, opzione indiretta», in Riv. not., 1993, p. 228; CAROTA, «La revoca della deliberazione di aumento di capitale scindibile», in Contr. impr., 1996, p. 859; SACCHI, A.A.V.V., L'intervento e il voto nell'assemblea della SpA - Profili procedimentali, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, vol. 3, tomo I, Torino, 1994, p. 256; NOTARI, «Osservazioni sulle nuove massime del tribunale di Milano in tema di omologazione di atti societari», in Riv. soc., 1995, p. 252; MARCHEGIANI, «In tema di scindibilità dell'aumento di capitale», in Giust. civ., 2000, p. 3076.

[nota 81] V. GINEVRA, op. cit., p. 250.

[nota 82] V. CAROTA, op. ult. cit., p. 864; LEOCATA, op. cit., p. 1519.

[nota 83] V. CAROTA, op. cit., p. 864; in giurisprudenza per la possibilità che il socio eserciti immediatamente tutti i diritti nel caso di aumento scindibile: App. Trento 13 dicembre 2001, in Società, 2002, p. 442.

[nota 84] V. GALGANO, La società per azioni, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. ec., vol. VII, Padova, 1988, p. 381; ID., Diritto commerciale, Le società, Bologna, 2003, p. 390.

[nota 85] V. CHIAPPETTA, op. cit., p. 598.

[nota 86] V. ANGELICI, «Parità di trattamento degli azionisti», in Riv. dir. comm., I, 1987, p. 1; D'ALESSANDRO, «La seconda direttiva e la parità di trattamento degli azionisti», in Riv. soc., I, 1987, p. 1; BUSI, «Questioni in tema di riduzione del capitale per perdite e per esuberanza», in Vita not., 2001, p. 1583.

[nota 87] In tal senso: in giurisprudenza App. Milano 4 aprile 1995, in Banca, borsa, tit. cred., II, 1998, p. 61; in dottrina: CERRAI, Modificazioni dell'atto costitutivo, in A.A.V.V., Diritto commerciale, Bologna, 1993, p. 408; MARASà, Modifiche del contratto sociale, in Trattato delle SpA diretto da Colombo e Portale, vol. 6, I, Torino, 1993, p. 66; BUTA, «Ricostituzione del capitale per perdite e responsabilità ex art. 2363 c.c. del primo sottoscrittore», in Banca, borsa, tit. cred., II, 1998, p. 73.

[nota 88] V. NOTARI, in A.A.V.V., Diritto delle società di capitali, Milano, 2003, p. 56; FIGà - TALAMANCA, Il valore nominale delle azioni, Milano, 2001; FELICIONI - RIPA, «Strumenti finanziari più flessibili», in Italia oggi, 28 agosto 2002, p. 26; GALGANO, Il nuovo diritto societario, Padova, 2003, p. 110; SILLA, «Il restyling delle partecipazioni azionarie delle SpA», in Dir. e prat. soc., 7, 2003, p. 12; PENCO, «Ampia libertà ai soci nell'emissione dei titoli azionari», in Dir. e prat. soc., 8, 2003, p. 28; SANTORO, in A.A.V.V., La riforma delle società, vol. 2/I, Società per azioni società in accomandita per azioni, 2003, p. 128.

[nota 89] V. per un riassunto delle varie posizioni dottrinarie sull'argomento: NOTARI, «Efficacia dell'aumento di capitale e decorrenza degli effetti delle singole sottoscrizioni», in Riv. dott. comm., 2003, p. 1092.

[nota 90] V. MARCHETTI, «Commento all'art. 20 del D.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30», in Le nuove leggi civ. comm., 1988, p. 174.

[nota 91] V. Massima n. 96 – 18 maggio 2007, in A.A.V.V., Massime notarili in materia societaria, Milano, 2007, p. 275.

[nota 92] V. Cass. 17 novembre 2005, n. 23262, cit.

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