Gli aumenti di capitale nelle società quotate
Gli aumenti di capitale nelle società quotate [nota *]
di Mario Notari
Ordinario di Diritto commerciale, Università di Brescia, Notaio in Milano

Introduzione. Limiti e finalità dell'indagine

Il tema affidato alla mia relazione concerne gli aumenti di capitale nelle società quotate ed è pertanto costituito dai soli profili di specificità che gli aumenti di capitale sociale presentano nelle società con azioni negoziate in mercati regolamentati. Del resto, al pari di quanto avviene per la quasi totalità dei restanti istituti del diritto azionario, anche gli aumenti di capitale di società quotate sono assoggettati alla medesima disciplina, dettata in generale per tutte le società per azioni, salvo poi essere caratterizzati da talune specifiche disposizioni normative applicabili alle sole società quotate, vuoi ad integrazione della disciplina generale, vuoi a sua parziale modifica o deroga. è questo infatti lo schema secondo il quale si rapportano la disciplina generale delle società per azioni, da un lato, e la disciplina speciale delle società "aperte", dall'altro, come ben si può cogliere dall'art. 2325-bis, comma 2, c.c.

L'individuazione del profilo di indagine consente fin d'ora di delimitarne anche i contenuti. Essi saranno infatti circoscritti agli aumenti di capitale a pagamento, dal momento che gli aumenti di capitale a titolo gratuito non presentano specificità nelle società quotate, che ne differenzino i connotati o la disciplina, fata eccezione per alcune marginali modalità e technicalities applicative, sulle quali non appare comunque opportuno soffermarsi.

Nell'ambito dell'aumento di capitale a pagamento, invece, non mancano spunti di differenziazione, che si riflettono sia nella disciplina dettata dal codice civile, sia in quella contenuta nel testo unico della finanza (D.lgs. 58/1998) e nella normativa regolamentare emanata in sua attuazione, con particolare riguardo al c.d. regolamento emittenti (del. Consob 11971/1998), aspetti sui quali incentrerò quindi l'attenzione nel corso della presente relazione.

Tuttavia, al fine di non limitarmi alla rassegna delle norme "speciali" che disciplinano gli aumenti di capitale nelle società quotate – per quanto necessaria ed opportuna, soprattutto in un'ottica di applicazione concreta dell'istituto – intendo svolgere il tema assegnatomi evidenziando anzitutto le caratteristiche economiche e fattuali che connotano l'istituto in esame nelle società quotate a differenza che nelle società chiuse. Solo un'analisi del "fenomeno" giuridico ed economico in quanto tale, infatti, consente di cogliere le esigenze e le motivazioni sottostanti sia alle diverse scelte che lo stesso legislatore opera laddove detta norme "speciali" per le società quotate, sia alle diverse interpretazioni che possono eventualmente argomentarsi limitatamente all'applicazione della disciplina generale dell'aumento di capitale.

Dopo aver svolto – seppur per sommi capi – tale preliminare analisi, procederò all'esame delle specificità dell'istituto nell'ambito delle società quotate, con particolare riguardo agli aumenti di capitale in opzione, potendo riservare solo qualche cenno introduttivo, in questa sede, alle diverse ipotesi di aumenti di capitale con esclusione dell'opzione. L'ampiezza e la complessità della materia, da un lato, e i limiti entro cui mi è stato chiesto di contenere la relazione, dall'altro, mi impongono inoltre di dedicare spazio e attenzione soprattutto alle principali questioni da essa sollevate, senza pretesa di completezza ed esaustività.

Caratteristiche e peculiarità economiche dell'aumento a pagamento nelle società quotate

Da tempo la letteratura sia giuridica che economica in tema di aumenti di capitale ha cercato di evidenziare gli aspetti che il fenomeno societario e l'operazione di aumento di capitale assumono allorché si tratti di società quotate e che possono riflettersi sulla disciplina degli aumenti di capitale e degli istituti in essa coinvolti, con particolare riguardo al diritto di opzione.

Il primo è costituito dal frazionamento della partecipazione al capitale sociale, che nelle società aperte è detenuto da una molteplicità di azionisti, la maggior parte dei quali possiede una quota infinitesimale, che assume rilevanza esclusivamente come investimento e non già come strumento per l'esercizio di diritti corporativi nell'ambito dell'organizzazione sociale. La presenza di questa tipologia di azionariato – del tutto assente nelle società chiuse – è tanto più rilevante quanto più la società quotata abbia una elevata capitalizzazione e si avvicini al modello della c.d. public company, invero più frequente nei mercati anglosassoni rispetto a quelli dell'Europa continentale e dell'Italia in particolare, ma è comunque una caratteristica comune a tutte le società quotate, nelle quali deve pur sempre sussistere una quota minima di flottante.

Questa caratteristica viene posta a fondamento della svalutazione dell'interesse amministrativo quale interesse tutelato dal diritto di opzione, la cui funzione viene spostata prevalentemente sul piano patrimoniale, ossia della tutela del mantenimento del valore assoluto dell'investimento azionario. In altre parole, si reputa poco rilevante, per gli azionisti con una partecipazione misurabile in decimali di punti percentuali, il rischio di una diluizione percentuale della quota del capitale sociale rappresentato dalle azioni da essi possedute, a condizione che esse mantengano il valore effettivo precedente all'operazione di aumento. L'azionista titolare dello 0,0008 per cento del capitale sociale di una società quotata con grande capitalizzazione, ad esempio, non subirebbe alcun tangibile pregiudizio, se la sua percentuale, per effetto di un aumento di capitale sottoscritto da altri soggetti, dovesse diminuire allo 0,0006 per cento, purché il valore complessivo della sua partecipazione rimanesse inalterato anche dopo l'esecuzione dell'operazione.

Il secondo aspetto rilevante è dato dalla "quotazione" ossia dalla rilevazione e dalla pubblicazione del prezzo fornito dagli scambi effettuati giornalmente sul mercato. La negoziazione delle azioni in un mercato regolamentato, infatti, oltre alle condizioni e modalità di funzionamento del mercato, comporta necessariamente la trasparenza delle negoziazioni e la formazione di un prezzo, derivante dai prezzi formatisi dall'incrocio degli ordini di acquisto e di vendita lanciati sul mercato per ogni strumento finanziario ammesso alla negoziazione. L'attuale regolamento di borsa italiana, ad esempio, prevede la quotazione e la pubblicazione, per ogni giornata di negoziazione di ogni azioni trattata sul Mercato telematico azionario, di due prezzi: i) il prezzo "ufficiale", che è dato dalla media ponderata per quantità trattate di tutti i prezzi degli scambi avvenuti sul mercato telematico nell'intera giornata di borsa; ii) il prezzo "di riferimento", che è dato dal prezzo dell'asta di chiusura, al termine della giornata, o, a determinate condizioni, dalla media ponderata per quantità trattate dei prezzi dell'ultimo 10 per cento degli scambi avvenuti sul mercato telematico al termine della giornata di borsa.

La presenza di un prezzo di mercato - e della possibilità di analizzare una o più serie di prezzi di mercato, nonché di calcolarne le relative medie e tendenze - offre evidentemente un elemento in più, assai significativo, al fine di determinare il valore delle azioni di una società, e ciò in relazione sia al momento in cui viene deliberato un aumento di capitale, sia al momento in cui esso verrà successivamente eseguito. Tale circostanza, a sua volta, si riflette su diversi momenti dell'aumento di capitale, sia qualora esso venga offerto in opzione (non foss'altro che per la valutazione degli stessi diritti di opzione), sia quando comporti la esclusione del diritto di opzione spettante ai soci, come appare chiaramente dalla stessa disciplina dettata dal codice civile, che per un verso impone di "tener conto" delle quotazioni di borsa nella determinazione del sovrapprezzo obbligatorio nelle ipotesi di esclusione "ordinaria" del diritto di opzione (art. 2441, comma 6, c.c.), e per altro verso si basa addirittura solo sul valore di mercato allorché consente, per le società quotate, un'esclusione "semplificata" del diritto di opzione nei limiti del 10 per cento del capitale preesistente (art. 2441, comma 4, seconda frase, c.c.).

Il terzo aspetto che merita di essere preso in considerazione, pur nei limiti di queste basilari osservazioni del fenomeno in esame, concerne la presenza stessa del mercato, quale strumento alternativo per acquistare le (medesime) azioni offerte dalla società in sede di aumento di capitale. La circostanza che le azioni siano quotate in un mercato regolamentato, infatti, comporta di regola, salvi i casi di sospensione, la teorica possibilità per chiunque, in ogni momento, di rendersi acquirente delle azioni già in circolazione, ad un prezzo tendenzialmente pari al prezzo formatosi sul mercato sino a quel momento.

Tale banale constatazione – non sempre evidenziata ma certamente assunta come implicita nella trattazione della dottrina giuridica ed aziendalistica di questo tema – dispiega una duplice rilevanza ai nostri fini: i) anzitutto nei confronti dei soci, allorché essi non siano destinatari dell'offerta delle azioni di compendio dell'aumento di capitale, nei casi di esclusione del diritto di opzione, avendo essi la possibilità di approvvigionarsi sul mercato e di mantenere così la medesima percentuale di partecipazione al capitale sociale; con ciò si aggiunge un ulteriore argomento a sostegno dell'irrilevanza "amministrativa" del diritto di opzione nelle società quotate, a fronte del rafforzamento della tutela del mantenimento del valore effettivo della partecipazione ante aumento; ii) in secondo luogo nei confronti dei destinatari dell'offerta di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione derivanti dall'aumento, siano essi soci o non soci, il cui comportamento economicamente razionale dovrebbe portare alla mancata sottoscrizione delle azioni di compendio dell'aumento, ogni qual volta il prezzo di emissione si rivelasse, al momento di chiusura dell'offerta, superiore al prezzo espresso dal mercato nello stesso momento: essi potrebbero infatti acquistare le medesime azioni (pur se già in circolazione), ad un prezzo inferiore, sul mercato secondario anziché su quello primario.

L'insieme di queste caratteristiche aiuta a spiegare sia le differenze riscontrabili nel diritto positivo, sia le diverse prassi operative che le società quotate tendono ad attuare nelle operazioni di capitale, anche al di là di un espresso riconoscimento da parte della disciplina giuridica. All'analisi delle principali questioni sollevate dalle une e dalle altre è pertanto dedicato il prosieguo del lavoro.

Gli aumenti a pagamento in opzione. I profili di disciplina speciale: a) il termine dell'offerta di opzione; b) la vendita in borsa dei diritti inoptati; c) l'informazione societaria; d) l'appello al pubblico risparmio e il prospetto di offerta

La disciplina degli aumenti di capitale sociale in opzione ai soci – e pertanto necessariamente in denaro – presenta diversi tratti di specificità, più o meno rilevanti, allorché essi siano deliberati da società con azioni quotate in mercati regolamentati. Prima di soffermarci con maggior attenzione su alcuni di tali aspetti, conviene fornire un quadro d'insieme delle disposizioni normative "speciali", brevemente sintetizzabili come segue.

a. Il termine minimo che deve essere concesso per l'esercizio del diritto di opzione, stabilito in 30 giorni dall'art. 2441, comma 2, c.c., «è ridotto alla metà» dall'art. 134 T.U.F. Esso pertanto non può essere inferiore a 15 giorni «dalla pubblicazione dell'offerta», alla stregua di quanto dispone il secondo periodo dello stesso art. 2441, comma 2, c.c., ed in conformità al termine minimo di 14 giorni imposto agli Stati membri dalla seconda direttiva comunitaria (art. 29 comma 3, direttiva 77/91/Cee del 13 dicembre 1976, da ultimo modificata con le direttive 2006/68/Ce del 6 settembre 2006 e 2006/99/Ce del 20 novembre 2006).

La ratio della norma ben si comprende alla luce delle considerazioni svolte nel paragrafo precedente. La procedura di offerta in opzione è infatti ravvisabile come un "costo" per la società emittente allorché essa intenda raccogliere nuovi capitali sul mercato e nell'ambito di tale costo uno degli elementi più significativi è proprio il termine minimo da concedere ai soci per l'esercizio del diritto di opzione. A parte la minor celerità che ciò comporta per la conclusione dell'operazione, al crescere del lasso di tempo decorrente dall'offerta (e dalla determinazione del prezzo di emissione) al termine ultimo per l'esercizio dell'opzione e poi al collocamento presso terzi, aumenta anche il rischio di insuccesso dell'operazione, qualora le quotazioni delle azioni della società emittente scendano sotto il prezzo cui sono offerte le azioni di nuova emissione. Anche per questi motivi, del resto, la migliore dottrina ha efficacemente dimostrato come tale riduzione del termine concesso ai soci non possa essere qualificato come una diminuzione delle tutele riservate alle minoranze, al contrario di quanto venne sostenuto all'indomani dell'emanazione del testo unico della finanza.

b. I diritti di opzione non esercitati dai soci allo scadere del termine loro concesso dall'offerta di opzione non vengono riservati in "prelazione" agli azionisti che hanno esercitato il loro diritto di opzione e hanno fatto contestuale richiesta sull'inoptato, bensì «devono essere offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori, per conto della società, per almeno cinque riunioni, entro il mese successivo alla scadenza del termine» medesimo (art. 2441, comma 3, c.c.). In merito a tale disposizione, rimasta sostanzialmente immutata in occasione della riforma del 2003, ci si può limitare ad osservare che:

i. il presupposto della deroga non è lo status di società quotata da parte dell'emittente, bensì la circostanza che le azioni emesse siano negoziate in un mercato regolamentato; pertanto, allorché l'aumento di capitale deliberato da una società con azioni quotate abbia ad oggetto azioni di una categoria di azioni già in circolazione ma non quotate o una nuova categoria di azioni non contestualmente ammesse alla negoziazione, non troverà applicazione la disciplina "speciale", bensì quella "generale" stabilita dal primo periodo dell'art. 2441, comma 3, c.c.;

ii. la norma ora ricordata, certamente inderogabile, comporta che, in luogo di un'attribuzione gratuita a favore di una parte dei vecchi soci, venga disposta un'assegnazione onerosa (di prassi al miglior offerente), il cui corrispettivo va a vantaggio della società, e pertanto di tutti soci, sia vecchi che nuovi; al contempo, l'obbligo di offerta nel mercato regolamentato dei diritti di opzione inoptati fa sì che l'aumento di capitale sociale in opzione, nelle società quotate, sia sempre e necessariamente rivolto al mercato e non possa essere convenzionalmente limitato alla cerchia dei soci, nel cui ambito rimarrà (di fatto) circoscritto solamente nel caso in cui la totalità di essi aderisca al 100 per cento all'offerta di opzione (situazione quasi ipotetica, stante il normale frazionamento del capitale sociale nelle società quotate);

iii. la vendita in borsa dei diritti di opzione inoptati (ossia di nuovi diritti di opzione aventi un termine successivo a quello stabilito dall'offerta di opzione di cui all'art. 2441, comma 2, c.c.) non va confusa con la negoziazione in borsa dei diritti di opzione spettanti ai soci: quest'ultima, infatti, è diversa per l'oggetto (diritti di opzione dei soci, in luogo che nuovi diritti di opzione con termine differito), è diversa per il periodo di tempo in cui può svolgersi (necessariamente precedente al giorno di scadenza del termine fissato dall'offerta di opzione di cui all'art. 2441, comma 2, c.c.) ed inoltre è solo eventuale (la legge non impone che venga effettuata una negoziazione dei diritti di opzione nel mercato, restando ciò affidato alla società emittente e alla società di gestione del mercato);

iv. pur essendo imposta dalla legge, la vendita dei nuovi diritti di opzione nel mercato regolamentato può essere organizzata dagli amministratori, d'intesa con la società di gestione del mercato, secondo le regole ritenute più opportune e confacenti all'interesse della società emittente, purché l'offerta abbia luogo per almeno cinque giorni, anche consecutivi, e si svolga entro un mese dalla scadenza del termine stabilito per l'esercizio degli "originari" diritti di opzione; in linea teorica pertanto, possono essere liberamente stabilite sia le quantità offerte in ogni giornata (pari cioè alla totalità dei diritti da offrire, piuttosto che una parte di essi, giorno per giorno), sia le modalità di offerta (abitualmente all'asta);

v. la disciplina regolamentare impone infine che le società emittenti pubblichino «su almeno un quotidiano a diffusione nazionale e almeno il giorno prima dell'inizio dell'offerta un avviso con l'indicazione del numero dei diritti di opzione non esercitati da offrire in borsa ai sensi dell'articolo 2441, comma 3, del codice civile e delle date delle riunioni in cui l'offerta sarà effettuata» (art. 89 reg. emittenti).

c. L'operazione di aumento di capitale in opzione, in quanto modificazione dello statuto di società quotata in un mercato regolamentato è soggetta alla disciplina dettata in tema di informazione societaria, applicabile, in via generale, a tutte le deliberazioni, sia dell'assemblea che dell'organo amministrativo, qualora abbiano ad oggetto una modificazione statutaria (artt. 72 e ss. reg. emittenti, in attuazione degli artt. 114 e 115 T.U.F.). Per quanto interessa in particolare le deliberazioni di aumento del capitale sociale, in opzione ai soci, i principali elementi di tale informazione societaria (che pertanto si aggiungono alla disciplina codicistica) sono i seguenti:

i. nel testo dell'avviso di convocazione deve essere data notizia che sarà depositata presso la sede sociale e presso la società di gestione del mercato, a disposizione dei soci e del pubblico, la documentazione richiamata dagli articoli 70 e seguenti reg. emittenti, «con l'indicazione che i soci hanno la facoltà di ottenerne copia a proprie spese» (art. 76, comma 1, reg. emittenti);

ii. almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea convocata per deliberare le modifiche dell'atto costitutivo, ovvero, se precedente, non più tardi del giorno in cui viene decisa la convocazione, deve essere trasmessa alla Consob la relazione dell'organo amministrativo, redatta in conformità agli schemi contenuti nell'allegato 3A al reg. emittenti (art. 92, comma 1, lett. a, reg. emittenti); tale relazione, nella quale deve essere contenuto, tra l'altro, il testo delle clausole statutarie oggetto di modifica, si sovrappone, assorbendola, alla relazione imposta per tutti i casi di convocazione di assemblea, sia ordinaria che straordinaria, a prescindere da quale sia la materia all'ordine del giorno, dal D.M. 437/1999;

iii. almeno quindici giorni prima di quello fissato per l'assemblea, la società deve mettere a disposizione del pubblico, tramite deposito presso la sede sociale e presso la società di gestione del mercato, la relazione dell'organo amministrativo già preventivamente trasmessa alla Consob (art. 72, comma 1, reg. emittenti);

iv. entro trenta giorni dopo l'assemblea che ha deliberato l'aumento di capitale (al pari di ogni altra modificazione statutaria) oppure contestualmente al deposito della domanda di iscrizione nel Registro delle imprese, se la deliberazione di aumento è stata assunta dall'organo amministrativo a ciò delegato ai sensi dell'art. 2443 c.c., deve essere trasmesso alla Consob il verbale della riunione assembleare o consiliare e l'atto costitutivo (rectius lo statuto) modificato (artt. 72, comma 5, lett. b, e 92, comma 1, lett. c, reg. emittenti);

v. entro un giorno dal deposito per l'iscrizione nel Registro delle imprese dell'attestazione di avvenuta sottoscrizione, parziale o integrale, dell'aumento del capitale sociale, ai sensi dell'art. 2444, comma 1, c.c., deve essere comunicato alla Consob e alla società di gestione del mercato, che ne assicura la diffusione entro il giorno successivo, l'ammontare del capitale, il numero e le categorie di azioni in cui questo è suddiviso (art. 98, comma 1, lett. a, reg. emittenti).

d. L'aumento di capitale sociale offerto in opzione agli azionisti di una società quotata è infine soggetto, nella sua fase esecutiva, alla disciplina dell'appello al pubblico risparmio, di cui agli artt. 93-bis e ss. T.U.F., in quanto l'offerta in opzione delle azioni di nuova emissione, di compendio dell'aumento di capitale, pur essendo destinata ad una cerchia definita di soggetti (i soci della società) costituisce comunque una sollecitazione all'investimento, che richiede la tutela dei soggetti cui è rivolta. In quanto "offerta pubblica di sottoscrizione" di strumenti finanziari, l'offerta di opzione deve pertanto essere preceduta dalla pubblicazione di un "prospetto di offerta", che deve preventivamente ottenere il nulla osta da parte della Consob (art. 94, comma 1, T.U.F.) e che deve avere contenuti, forma e struttura analiticamente determinati dalla disciplina regolamentare emanata dalla stessa autorità (art. 95 T.U.F. e artt. 3 e ss. reg. emittenti).

Si tratta evidentemente di un significativo capitolo della disciplina dei mercati finanziari, che, in quanto tale, si colloca ai margini della trattazione del tema in esame, e che pertanto non costituirà oggetto di ulteriore analisi in questa sede, per quanto assuma primaria rilevanza sul piano applicativo. Ciò che invece vale la pena cercare di approfondire, e che invero non ha costituito oggetto di esame in letteratura, a quanto mi consta, è il rapporto tra la disciplina codicistica dell'offerta di opzione, di cui all'art. 2441, comma 2, c.c., e la disciplina del prospetto di offerta ora ricordato, che nella prassi finisce per avere un valore quasi assorbente, anche al di là di quanto sembrerebbe derivare dall'impianto normativo.

Il rapporto tra la "offerta di opzione" di cui all'art. 2441, comma 2, c.c., e il "prospetto d'offerta" di cui all'art. 94 T.U.F.

Nella ricostruzione civilistica dell'aumento di capitale sociale sono state sostenute differenti qualificazioni dei diversi elementi negoziali di cui è composta l'operazione, con particolare riguardo ai rapporti tra: i) la deliberazione assembleare di aumento, ii) l'offerta delle azioni di nuova emissione, iii) la dichiarazione di sottoscrizione, nonché iv) il versamento delle somme dovute a titolo di conferimento. In questa sede è tuttavia sufficiente rilevare come - al di là delle ipotesi, pur frequenti nelle società chiuse, in cui l'operazione si conclude contestualmente alla deliberazione assembleare, con la (spesso tacita) rinuncia dei soci alle formalità dell'offerta di opzione - la disciplina dettata dal codice civile ravvisi nell'offerta di opzione un elemento necessario dell'operazione, senza requisiti particolari di forma, ma soggetto ad un regime di pubblicità legale, derogabile solo con il consenso unanime dei soci.

Contrariamente a quanto avviene nella (errata) prassi dei Registri delle imprese, la pubblicità in questione consiste nel mero deposito senza che all'uopo occorra anche la vera e propria iscrizione nel Registro delle imprese. Decisivo in tal senso è il tenore letterale dell'art. 2441, comma 2, c.c., se confrontato con le altre disposizioni del codice che prescrivono l'una o l'altra modalità di attuazione della pubblicità commerciale, quella del deposito tout court o quella del deposito "per l'iscrizione" (tra le più significative, anche per attiguità alla materia in esame, si vedano le ipotesi di cui agli artt. 2436 e 2444 c.c.). L'offerta deve intendersi "pubblicata", pertanto, con la mera esecuzione del deposito, al pari di quanto avviene per il bilancio di esercizio, e da tale momento decorre anche il computo del termine legale minimo stabilito dal secondo periodo dello stesso art. 2441, comma 2, c.c.

In linea di massima, si può quindi affermare che ai soci, allorché sia riconosciuto il diritto di opzione, deve essere rivolta una dichiarazione di offerta, depositata nel Registro delle imprese, contenente gli elementi essenziali per addivenire alla sottoscrizione delle azioni di nuova emissione. Alcuni di tali elementi sono stabiliti (necessariamente) dalla deliberazione di aumento, altri invece sono (o possono essere) integrati dall'organo amministrativo.

Nelle società quotate, trattandosi di una sollecitazione all'investimento, tali elementi dell'offerta di opzione, unitamente ad una serie ben più nutrita di dichiarazioni ed informazioni, devono essere contenuti nel prospetto d'offerta, imposto dall'art. 94, comma 1, T.U.F., in tutti i casi offerte pubbliche di sottoscrizione. In questa sede possiamo dare per noti e presupposti tutti gli aspetti della disciplina del prospetto – con particolare ma non esclusivo riferimento ai suoi contenuti, al procedimento di comunicazione, autorizzazione e pubblicazione, nonché alle conseguenti responsabilità – ma dobbiamo interrogarci su quale sia il rapporto tra i due documenti. Da una rilevazione empirica emersa nell'ambito di una ricerca avviata nell'ambito di un ciclo di seminari interdisciplinari nella Facoltà di Economia di Brescia, infatti, risulta che su 17 casi di prospetti di offerta pubblicati da società quotate nel 2007, aventi ad oggetto aumenti di capitale in opzione ai soci, siano stati numerosi quelli di mancata coincidenza tra gli elementi o i termini indicati nel prospetto rispetto a quelli contenuti nell'offerta deposita nel Registro delle imprese, ed in alcuni casi persino di (almeno apparente) mancanza dell'offerta di opzione nel Registro delle imprese.

Nei fatti si riscontra del resto una valenza quasi "sostitutiva" del prospetto di offerta autorizzato dalla Consob e successivamente pubblicato per estratto sui quotidiani, nonché messo a disposizione del pubblico mediante deposito presso la sede sociale e presso la società di gestione del mercato, oltre che tramite pubblicazione sul sito internet della società. è questo il documento oggetto di esame e attenzione da parte degli analisti finanziari, degli operatori del mercato e degli intermediari che raccolgono gli ordini di sottoscrizione da parte dei soci che intrattengono presso di loro il rapporto di gestione delle azioni dematerializzate.

Occorre tuttavia interrogarsi sulla possibilità di avallare, anche in punto di interpretazione giuridica, la sostituzione dell'offerta di opzione con il prospetto di offerta, ritenendo derogata e del tutto inapplicabile la disciplina della prima in virtù delle norme speciali dettate in ordine al secondo. La disciplina del codice civile, del resto, pur menzionando espressamente le «leggi speciali per le società con azioni quotate in mercati regolamentati» fa comunque riferimento alla «pubblicazione dell'offerta» per individuare il dies ad quem per il computo del termine legale minimo da concedere per l'esercizio del diritto di opzione (art. 2441, comma 2, seconda frase, c.c.), dovendosi plausibilmente intendere per "offerta" la medesima "offerta di opzione" depositata nel Registro delle imprese e menzionata nella prima frase dello stesso art. 2441, comma 2, c.c.

D'altro canto, la disciplina speciale del testo unico della finanza, pur non derogando esplicitamente a quanto dispone il codice civile, contiene alcune disposizioni che si pongono in qualche modo in contrasto con la relativa disciplina o comunque sembrano derogarvi nella sostanza. Si pensi soprattutto al fatto che l'art. 94, comma 1, T.U.F., stabilisce che prima di "effettuare" un'offerta al pubblico è necessaria la pubblicazione del prospetto e che prima di pubblicare il prospetto occorre la sua approvazione da parte della Consob. Ciò implica che anche l'offerta di opzione oggetto di deposito nel Registro delle imprese, ai sensi dell'art. 2441, comma 2, c.c., debba essere ritenuta subordinata alla preventiva approvazione del prospetto da parte dell'autorità di vigilanza, posto che senza di essa non può essere pubblicato il prospetto e senza la pubblicazione del prospetto non è possibile effettuare un'offerta pubblica, che con tutta probabilità sarebbe integrata anche dal deposito presso il Registro delle imprese della dichiarazione negoziale di "offerta di opzione" contenente i soli elementi essenziali derivanti dalla deliberazione di aumento e dalle (eventuali) integrazioni dell'organo amministrativo.

Pertanto, anche qualora non si dovesse ritenere derogata la disciplina codicistica contenuta nell'art. 2441, comma 2, c.c. – nel senso che nei casi in cui vige l'obbligo di pubblicazione del prospetto d'offerta ai sensi degli artt. 94 e ss. T.U.F. non avrebbe luogo alcuna pubblicazione dell'offerta di opzione mediante deposito nel Registro delle imprese – si dovrebbe comunque dare atto che la disciplina dettata in via generale risulta parzialmente modificata dalle norme speciali dettate per le società aperte e conseguentemente ricostruire il rapporto tra l'offerta di opzione e il prospetto di offerta, come segue: i) l'offerta di opzione, in senso stretto, contiene unicamente la dichiarazione negoziale di offerta manifestata dalla società e pertanto si limita agli elementi essenziali dell'aumento e dell'offerta stessa (numero di azioni, rapporto di opzione e spettanza dei diritti, prezzo di emissione, termine finale di esercizio delle opzioni, eventuale termine inziale, obblighi e modalità di versamento, ecc.); una volta decisa dall'organo amministrativo o dagli amministratori a ciò delegati e viene pubblicata, non prima della pubblicazione del prospetto informativo approvato dalla Consob, mediante deposito nel Registro delle imprese; ii) il prospetto di opzione, disciplinato dal T.U.F. e dal reg. emittenti, contiene i medesimi dati essenziali dell'offerta di opzione (riportati nella parte dedicata dalle "condizioni di offerta") e rappresenta altresì il completamento informativo necessario a fini di tutela dei soggetti sollecitati all'investimento, costituendo pertanto un elemento imprescindibile dell'operazione di aumento nel suo complesso, in quanto in mancanza di esso non può nemmeno darsi luogo al deposito dell'offerta di opzione nel Registro delle imprese; il prospetto d'offerta, una volta approvato dalla Consob, viene pubblicato con le modalità dettagliatamente disciplinate dalle norme regolamentari emanate in attuazione dell'art. 95 T.U.F.

Tale ricostruzione, tuttavia, non sembra del tutto appagante, in quanto la contemporanea presenza di due modalità di pubblicazione della medesima offerta al pubblico rende di incerta applicazione il termine legale minimo stabilito dall'art. 2441, comma 2, seconda frase, c.c., ai sensi del quale «per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni [ridotto alla metà per le società quotate] dalla pubblicazione dell'offerta». E ciò soprattutto laddove si consideri che il deposito nel Registro delle imprese non può mai essere anteriore alla pubblicazione del prospetto approvato dalla Consob, bensì semmai solo successivo. In tale circostanza, pertanto si presenterebbe la seguente incongruente alternativa: o il deposito nel Registro delle imprese finisce per essere del tutto inutile, qualora si ritenesse che il decorso del termine inizia comunque con la pubblicazione del prospetto; oppure si rende ininfluente, al fine della decorrenza del termine legale minimo, proprio quella pubblicazione dell'offerta (deposito presso Consob, società di gestione del mercato, sede sociale, oltre a pubblicazione su quotidiani e sito internet della società) che la legge speciale ritiene essenziale e funzionale alla corretta diffusione tra il pubblico dell'offerta d'opzione e delle informazioni ad essa relativa.

Ne risulta a mio avviso dimostrata la tesi della deroga della prima frase dell'art. 2441, comma 2, c.c., in tutti i casi in cui un'offerta di opzione costituisce "offerta pubblica di sottoscrizione" ai sensi degli artt. 94 e ss. T.U.F., con conseguente applicazione della disciplina regolamentare della sollecitazione all'investimento, di cui agli artt. 3 e ss. reg. emittenti (circostanza, si noti, che non riguarda le sole società con azioni quotate in mercati regolamentati, ma anche, a determinate condizioni, le società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 2325-bis c.c. e dell'art. 116 T.U.F.). La deroga consiste unicamente nella diversa modalità di pubblicazione dell'offerta di opzione, la quale è contenuta nel prospetto di offerta e non è soggetta - oltre alle forme di pubblicazione di quest'ultimo - anche al deposito nel Registro delle imprese ai sensi dell'art. 2441, comma 2, prima frase, c.c. Rimane invece fermo ed applicabile il termine legale minimo, stabilito dall'art. 2441, comma 2, seconda frase, c.c., come ridotto dall'art. 134, comma 1, T.U.F., il quale decorre pertanto dal completamento delle forme di pubblicazione del prospetto d'offerta ai sensi della disciplina speciale sopra richiamata, e non già del deposito presso il Registro delle imprese.

Il momento della determinazione del prezzo e la tecnica del c.d. bookbuilding

Un'altra questione abbastanza delicata, di natura questa volta sostanziale e non procedimentale, che si presenta nei casi di aumenti a pagamento in opzione deliberati da società con azioni quotate, concerne il momento della determinazione definitiva del prezzo di emissione delle azioni e il problema dell'ammissibilità della tecnica del c.d. bookbuilding.

Si è avuto modo di rilevare che la decorrenza di un significativo lasso di tempo tra la determinazione del prezzo di emissione delle azioni di compendio di un aumento di capitale e il termine del collocamento delle azioni offerte costituisce una inefficienza dell'operazione di aumento: per evitare il rischio di insuccesso dell'offerta, infatti, il prezzo dovrebbe essere fissato ad una cifra inferiore al corso di borsa, con conseguente diminuzione della raccolta di capitali da parte della società. Per questo motivo ci si è interrogati sulla possibilità di applicare anche negli aumenti in opzione una tecnica di determinazione del prezzo assai frequente nel collocamento sul mercato di aumenti deliberati con esclusione del diritto di opzione, normalmente in occasione di operazioni di offerte pubbliche iniziali (c.d. ipo) volte alla quotazione delle azioni in borsa, detta bookbuilding. Secondo tale prassi di mercato, il prezzo di offerta non viene fissato prima dell'offerta, se non in un prezzo minimo reputato congruo ai sensi dell'art. 2441, comma 6, c.c. (o comunque assistito dal consenso unanime dei soci dell'emittente) ed un eventuale prezzo massimo, bensì al termine dell'offerta stessa, sulla base delle disponibilità alla sottoscrizione delle azioni, manifestate agli intermediari incaricati del collocamento delle azioni, da parte degli investitori professionali all'uopo sollecitati (banche, fondi di investimento, ecc.). In questo modo l'emittente riesce ad ottimizzare la raccolta di capitali sul mercato, ottenendo il prezzo tendenzialmente più alto che il mercato stesso è disposto ad offrire per le azioni emesse in virtù dell'aumento di capitale.

Siffatta tecnica non viene di norma utilizzata negli aumenti in opzione (in tutti i 17 casi oggetto di prospetti informativi pubblicati nel 2007, infatti, la determinazione del prezzo di emissione delle azioni era già contenuta nell'offerta riportata nel prospetto), ma ne è stata sostenuta la legittimità in un recente contributo dottrinale, pubblicato nella Rivista delle società del 2003. Secondo tale tesi, l'operazione sarebbe scandita nelle seguenti fasi: i) offerta in opzione ai soci, che dovrebbero sottoscrivere "al buio", non conoscendo il prezzo puntuale, ma solo il prezzo minimo (ed eventualmente quello massimo); ii) offerta in borsa dei diritti di opzione inoptati; iii) collocamento a terzi, plausibilmente investitori istituzionali, con la raccolta delle relative disponibilità alla sottoscrizione; iv) fissazione del prezzo, al termine del collocamento, sua pubblicazione e versamento del prezzo da parte di tutti i sottoscrittori.

Due sono i principali ostacoli, esaminati dallo stesso Autore appena citato, che si frappongono alla soluzione positiva della questione. Il primo è dato dall'obbligo di contestuale versamento dell'integrale sovrapprezzo, imposto dall'art. 2439 c.c., che risulterebbe nei fatti impossibile, se non a costo di un versamento immediato pari al prezzo massimo (eventualmente) stabilito, e sua restituzione per la parte eccedente rispetto al prezzo definitivamente fissato al termine della procedura. Il secondo è invece costituito proprio dalla disciplina del diritto di opzione, di cui all'art. 2441 c.c., che nella situazione qui in esame non viene dato né per escluso, né per limitato.

Ebbene, mentre il primo ostacolo può in qualche modo considerarsi superabile – vuoi nel senso anzidetto, vuoi sostenendo la parziale derogabilità dell'art. 2439 c.c., come si cerca di fare nel contributo da poco menzionato – è proprio il secondo che non sembra francamente lasciar spazio ad alcun esito favorevole.

In mancanza di un prezzo determinato prima del termine assegnato ai soci ai sensi dell'art. 2441, comma 2, infatti, il diritto di opzione non verrebbe nemmeno in essere come tale, posto che non sarebbe possibile, con la dichiarazione di adesione da parte del socio, perfezionare il negozio di sottoscrizione, che sarebbe ancora soggetto ad una nuova ed ulteriore manifestazione di volontà da parte della società emittente. Né del resto sarebbe possibile la circolazione dei diritti di opzione durante il periodo di esercizio dei diritti medesimi, per l'elementare considerazione che il valore stesso di tali diritti è pari al differenziale tra il valore delle azioni post aumento del capitale e il prezzo richiesto dalla società per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione: mancando quest'ultimo, quindi, non vi sarebbe nemmeno la possibilità di calcolare il valore dei diritti di opzione e forse potrebbe addirittura dirsi che il contenuto stesso dei diritti di opzione risulterebbe ancora indeterminato (seppur determinabile a posteriori). Non solo, ma la medesima obiezione varrebbe anche per la (inderogabile) vendita sul mercato dei diritti inoptati, imposta dall'art. 2441, comma 3, c.c., il cui corrispettivo difetterebbe di un elemento di valutazione necessario ed imprescindibile per un suo realistico svolgimento.

Anche il confronto comparatistico, del resto, muove verso la soluzione negativa, sebbene lo si sia voluto "forzare" in senso opposto. Alludo alla disciplina introdotta in Germania in occasione della legge del 1994 sulla piccola società per azioni, e precisamente il § 186, Abs. 2, Satz 2, AktG, che consente di differire la definitiva determinazione del prezzo di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, negli aumenti in opzione, sino al terzo giorno antecedente il termine per l'esercizio del diritto di opzione; il che mi sembra proprio confermare la necessità che i soci dispongano, in tempo utile per l'esercizio del proprio diritto, di un'offerta completa e definitiva affinché possano decidere se aderire o meno con cognizione di tutti gli elementi dell'emissione. Lo stesso legislatore tedesco, infatti, pur sensibile all'esigenza di ridurre i "costi" e i vincoli derivanti dal diritto di opzione, ha mantenuto la necessità di comunicare il prezzo di emissione delle azioni (definitivo e puntuale) prima dello scadere del termine per l'opzione e non certo dopo il suo scadere. Ciò cui la norma tedesca sembra apparentemente derogare è la durata del periodo concesso ai soci per l'esercizio dell'opzione, che viene (di fatto) ridotta sino ad un minimo di tre giorni, fermo restando il più lungo lasso di tempo decorrente dalla pubblicazione dell'offerta di opzione (pur priva del prezzo definitivo) e il termine finale per la sottoscrizione.

Situazione, quest'ultima, che non è peraltro dissimile da quanto avviene nella (acquisita) prassi italiana delle offerte in opzione, allorquando viene fissato non solo un termine finale per la sottoscrizione delle azioni nell'esercizio del diritto di opzione, ma anche un termine iniziale, di guisa che, pur rispettando il termine minimo di quindici giorni dalla pubblicazione dell'offerta, richiesto dal combinato disposto degli artt. 2441, comma 2, c.c. e 134 T.U.F., il periodo utile per la sottoscrizione è talvolta inferiore a quindici giorni. Dal che potrebbe forse desumersi l'ammissibilità – al pari dell'esempio fornito dalla disciplina tedesca – di un differimento della fissazione del prezzo definitivo, sulla base di un criterio stabilito nella deliberazione di aumento, ed in conformità ad un minimo che abbia costituito oggetto di relazione degli amministratori e di parere di congruità della società di revisione ex art. 2441, comma 6, c.c., ad un momento di poco antecedente il termine per l'esercizio dell'opzione, e non già successivo come sostenuto nella tesi ora confutata.

Gli aumenti a pagamento con esclusione del diritto di opzione (cenni introduttivi)

Già nel dibattito che ha preceduto la riforma del nostro diritto societario nel 2003, erano ben presenti le possibili evoluzioni che avrebbero caratterizzato l'istituto del diritto di opzione nelle operazioni di aumento di capitale da parte di società quotate. Tra di esse, due in particolare sono state in precedenza ricordate ed hanno del resto fornito le argomentazioni per alcune istanze innovatrici dell'istituto in altri Paesi europei negli anni precedenti, con particolare riferimento alla Germania e alla Francia: da un lato, la consapevolezza dell'affievolirsi, rispetto a quanto avviene nelle società chiuse, degli interessi di tipo amministrativo, intesi alla salvaguardia del peso percentuale della partecipazione, a favore di un rafforzamento dell'interesse patrimoniale, volto alla tutela del valore effettivo della partecipazione azionaria detenuta dai soci prima dell'aumento; dall'altro, l'esigenza di ridurre al minimo i costi e le inefficienze derivanti dal diritto di opzione, consentendo spazi più ampi alla sua esclusione, pur sempre a condizione di garantire la tutela patrimoniale dei vecchi soci.

Sono queste le considerazioni che nel 1998 avevano del resto indotto il legislatore del testo unico della finanza ad introdurre due ritocchi procedurali alla disciplina del diritto di opzione (art. 134, comma 1, T.U.F., di cui già di è detto) e della esclusione in caso di emissioni a favore dei dipendenti (art. 134, comma 2, T.U.F.), e che hanno successivamente posto le basi per l'introduzione di una fattispecie "speciale" di esclusione "semplificata" del diritto di opzione, riservata alle sole società quotate (art. 2441, comma 4, seconda frase, c.c.). Si ricorda infatti che, in base a tale norma, «nelle società con azioni quotate sui mercati regolamentati lo statuto può altresì escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione dalla società incaricata della revisione contabile».

Al di là di quest'ultima significativa novità - la cui trattazione non trova tuttavia spazio in questa sede - il quadro della (restante) disciplina "speciale" degli aumenti di capitale sociale con esclusione del diritto di opzione, nell'ambito delle società quotate, può essere sinteticamente ricostruito come segue:

a. Il prezzo di emissione deve essere determinato, oltre che «sulla base del valore del patrimonio netto», anche «tenuto conto … dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre» (art. 2441, comma 6, c.c.). Al tal riguardo, l'attenzione va rivolta al significato dei due parametri, nell'ambito della ricca elaborazione dottrinale, sia giuridica che aziendalistica. Si può altresì menzionare il nuovo art. 10-bis della seconda direttiva Cee, introdotto nel 2006, sul riferimento ai prezzi di borsa di azioni quotate oggetto di conferimento in natura.

b. Se le azioni di nuova emissione vengono riservate ai dipendenti della società o di società controllate, la deliberazione di aumento del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione non richiede il quorum rafforzato di cui all'art. 2441, comma 5, c.c., purché non ecceda la misura dell'uno per cento del capitale sociale (art. 134, comma 2, T.U.F.), anche in mancanza delle condizioni richieste in via ordinaria dall'art. 2441, comma 8, c.c.

c. Il parere sulla congruità del prezzo di emissione, in tutti i casi di esclusione ex art. 2441, commi 4 e 5, c.c., viene redatto dalla società di revisione anziché dal collegio sindacale (art. 158, comma 1, T.U.F.). Inoltre: i) il termine per la trasmissione della relazione degli amministratori alla società di revisione è di quarantacinque giorni prima dell'assemblea, anziché trenta; ii) sia il parere di congruità, sia la relazione di stima ex art. 2343 c.c., devono rimanere depositati presso la sede sociale nei quindici giorni che precedono l'assemblea e devono essere allegati alla domanda di iscrizione nel Registro delle imprese (art. 158, commi 1 e 2, T.U.F.).


[nota *] Relazione presentata al Convegno Le operazioni sul capitale sociale organizzato dalla Fondazione Italiana per il Notariato tenutosi a Milano, 29 marzo 2008, destinata a successiva pubblicazione, con integrazioni e riferimenti bibliografici e giurisprudenziali, in diversa rivista giuridica e negli Studi in onore di Franco Di Sabato.

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