La riduzione del capitale sociale nelle SpA e nelle Srl: profili applicativi
La riduzione del capitale sociale nelle SpA e nelle Srl: profili applicativi
di Niccolò Abriani
Ordinario di Diritto commerciale, Università degli Studi di Firenze
Premessa
Intendo innanzi tutto ringraziare la Fondazione Italiana per il Notariato ed il Consiglio Notarile di Milano per questo invito che offre un'importante occasione di confronto con una platea particolarmente qualificata (e davvero eccezionalmente ampia) su un tema di cui è ben nota la rilevanza non solo dal punto di vista sistematico, magistralmente delineato in apicibus dall'amico Giuseppe Ferri, ma altresì sul piano applicativo. Ed è su questo secondo versante che gli organizzatori hanno inteso collocare la relazione affidatami, che cercherà di mettere a fuoco alcuni profili di maggior insidia interpretativa che la complessa disciplina in esame pone ai teorici e agli operatori pratici del diritto.
In via preliminare pare quanto mai opportuno un richiamo alle limpide considerazioni svolte stamani dal Presidente De Stefano nei suoi indirizzi di saluto, per sottolineare il rilievo cruciale dell'intervento notarile, in una prospettiva al contempo di garanzia e di efficienza dei meccanismi di funzionamento dell'impresa societaria. In particolare, merita di essere segnalato il ruolo creativo che può svolgere il Notariato nel contribuire alla definizione statutaria di una disciplina di cornice diretta ad adattare l'istituto in esame agli equilibri interni alla compagine sociale. Se è vero infatti che la riduzione del capitale è connotata da una disciplina eminentemente imperativa, è altresì vero che sotto più profili non mancano spazi di intervento per integrazioni e correttivi statutari diretti a prevenire alcuni degli inconvenienti delle regole di legge o a rendere comunque più fluido il funzionamento dei meccanismi normativi.
Ben prima della riforma societaria, ed ancor prima della polemica innescata dall'altra sponda dell'Atlantico sui limiti della regola legale del «ricapitalizza o liquida» - e segnatamente sui rischi di abuso a danno delle minoranze ad essa connessi - due dei nostri più autorevoli studiosi, Piergaetano Marchetti e Franco Di Sabato, avevano prospettato la suggestiva ipotesi dell'emissione di «azioni di godimento sui generis» incorporanti diritti corrispondenti a quelli previsti dall'art. 2353, da assegnarsi agli azionisti che non esercitino il diritto di opzione in sede di ricostituzione del capitale per perdite, in misura corrispondente alle azioni annullate dalle perdite; e ciò evidentemente al fine di permettere ai soci (e in particolare agli azionisti minoritari) di continuare a partecipare pro quota alle plusvalenze presenti nel patrimonio sociale che i criteri prudenziali di redazione del bilancio non consentono di esprimere, concorrendo nella ripartizione degli utili che residuino dopo il pagamento delle azioni non rimborsate di un dividendo pari all'interesse legale e, nel caso di liquidazione, nella ripartizione del patrimonio sociale risultante dopo il pagamento integrale dei creditori.
Una simile prospettiva interpretativa era avanzata in termini problematici e dubitativi, stante la difficoltà di un'applicazione diretta dell'art. 2353 c.c., ai sensi del quale presupposto dell'emissione delle azioni di godimento è l'avvenuto «rimborso» delle azioni al loro valore nominale. Sotto questo profilo il perdurante riferimento normativo al «rimborso» del capitale, tuttora operato dal testo normativo, parrebbe riproporre in termini immutati la questione relativa alla legittimità dell'emissione di azioni di godimento in caso di riduzione per perdite del capitale sociale, così da permettere. La riforma sembra peraltro schiudere nuovi e inediti spazi nella direzione indicata da quella lungimirante dottrina, sia per l'esplicita affermazione del principio di atipicità delle categorie azionarie – scolpita dal nuovo art. 2348 c.c. – sia, e soprattutto, in quanto permette di conseguire quegli stessi obiettivi ricorrendo all'emissione degli strumenti finanziari previsti dall'art. 2346, ultimo comma, c.c.; mentre analogo meccanismo parrebbe suscettibile di trasposizione alle società a responsabilità limitata mediante l'istituto dei «diritti particolari», che potrebbero statutariamente riconoscersi a favore dei soci di minoranza al verificarsi della condizione sopra descritta.
La riforma societaria schiude ulteriori e inediti spazi all'intervento statutario, sotto altro versante e con diverse finalità:
a) nel nuovo art. 2446, ultimo comma (richiamato, in quanto compatibile, per la Srl dall'art. 2482-bis), che permette di attribuire al consiglio di amministrazione, con apposita clausola statutaria e in assenza di indicazione del valore nominale delle azioni, la competenza alla riduzione del capitale sociale obbligatoria per perduranti perdite oltre il terzo;
b) nella possibile semplificazione dell'informazione preassembleare contemplata, questa volta per la sola società a responsabilità limitata dall'art. 2482-bis, che consente di esonerare gli amministratori dall'obbligo del preventivo deposito presso la sede sociale dei prospetti contabili negli otto giorni anteriori all'assemblea convocata senza indugio dagli amministratori in presenza di perdite rilevanti.
Si tratta di profili già esplorati nella prassi applicativa e sui quali si avrà modo di ritornare nel prosieguo della trattazione, anche in considerazione dei primi interventi giurisprudenziali, che valgono tuttavia a confermare che il tema della riduzione del capitale per perdite può e deve essere consapevolmente affrontato – con un accentuato protagonismo notarile – già «a monte», in sede di costituzione o adeguamento delle regole statutarie, e non soltanto «a valle», al verificarsi, dei presupposti che rendono obbligatoria la relativa modificazione statutaria.
Sulla rilevanza sistematica della riduzione obbligatoria del capitale sociale
La riduzione obbligatoria del capitale per perdite è un istituto caratteristico delle società di capitali, regolato da un insieme di disposizioni dettate, per la SpA, dagli artt. 2446 e 2447 c.c. e, per la Srl, dagli artt. 2482-bis, 2482-ter e 2482-quater c.c. Tali disposizioni vanno raccordate con l'art. 2484 c.c., che configura la riduzione rilevante del patrimonio netto al di sotto del minimo legale quale causa di scioglimento delle società di capitali (così il comma 1, n. 4), e con gli artt. 2485 e 2486 c.c., che impongono agli amministratori di procedere all'accertamento della causa di scioglimento e di limitare la successiva gestione sociale all'obiettivo di conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.
Questo articolato complesso di disposizioni riveste una rilevanza centrale non soltanto sul versante applicativo, ma anche sul piano sistematico, rappresentando il terreno di prova di principi fondamentali del diritto delle società di capitali. Sotto questo profilo, va segnalato che la disciplina in esame non presenta sensibili scostamenti nei due tipi societari, ricalcando le norme in tema di Srl le corrispondenti disposizioni dettate per le SpA. Come chiarisce la stessa Relazione ministeriale, l'intervento riformatore «si risolve in una serie limitata di adattamenti tecnici» rispetto alla disciplina previgente che già prevedeva l'applicazione analogica delle regole dettate in tema di società per azioni (Relazione ministeriale, par. 11); e ciò induce, in questa sede, ad esaminare congiuntamente il sistema normativo ed i principali problemi applicativi che esso pone, segnalando di volta in volta i peculiari profili critici posti dalla disciplina dell'operazione in esame nelle società a responsabilità limitata.
Com'è già stato felicemente rilevato nella relazione precedente da Giuseppe Ferri, se l'entità della perdita di capitale esprime la differenza tra il minor valore contabile del patrimonio netto ed il maggior importo del capitale nominale, ovvero tra la misura della fattispecie concreta della disciplina del capitale, intesa come valore attuale del patrimonio netto (c.d. «capitale reale»), e quello della sua fattispecie astratta (c.d. «capitale nominale»), la riduzione del capitale nominale per perdite altro non è che una modificazione statutaria volta a riallineare quest'ultima alla prima, restaurando in tal modo l'originaria corrispondenza del capitale nominale al capitale reale.
Alla luce di tali premesse, si può cogliere con maggior nitore la duplice funzione che in tutte le società a base capitalistica viene ad assolvere la riduzione del capitale. Tale disciplina, infatti, com'è stato ancora di recente sottolineato da un'autorevolissima dottrina (Spada):
a) funge innanzi tutto da «circuito d'allarme» ogni qualvolta la quota di patrimonio netto rappresentata dalla somma dei valori dei beni conferiti o acquisiti nell'esercizio dell'attività sociale si sia ridotta, a seguito di perdite, ad un valore inferiore di oltre un terzo al capitale nominale, imponendo in tal caso: a1) immediati obblighi di convocazione e informativi in capo agli amministratori; a2) ove la perdita persista per un arco di tempo considerato dal legislatore come significativo, un adeguamento del capitale nominale della società alle risorse realmente presenti nel suo patrimonio (sempre che queste ultime siano comunque pari o superiori al limite legale minimo richiesto dal legislatore per tale tipo sociale);
b) impedisce la persistenza dell'attività sociale nella forma originariamente prescelta (SpA, Sapa, Srl), quando il patrimonio netto si sia ridotto, a seguito di perdite, ad un valore inferiore (non soltanto ai due terzi del capitale nominale, ma altresì) al limite legale minimo (artt. 2447, 2482-ter e 2484, n. 4 c.c.).
Le due fattispecie sopra richiamate delineano un ideale climax ascendente di gravità della perdita e si collocano in un rapporto, rispettivamente di genus a species, rappresentando l'ipotesi sub b) un sottoinsieme delle perdite di gestione che determinano uno squilibrio patrimoniale rilevante ai fini dell'attivazione del circuito d'allarme indicato sub a). Ed è dall'esame di tali presupposti che occorre dunque prendere le mosse, per procedere successivamente all'analisi degli obblighi conseguenti al loro accertamento.
La riduzione del capitale per perdite superiori al terzo del capitale (artt. 2446 e 2482-bis c.c.)
Gli artt. 2446 e 2482-bis c.c. si applicano «quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite». Presupposto applicativo di tali disposizioni è dunque che il patrimonio netto della società si sia ridotto ad un valore inferiore di oltre un terzo rispetto al valore storico del capitale sociale, quale indicato nell'atto costitutivo (per tutti, Colombo, Spolidoro, Ferri jr, Bartalena, Sfameni). Le perdite, per quanto in assoluto cospicue, non assumono dunque rilievo ai fini della disciplina in esame sino a tanto che si registri contabilmente un patrimonio netto pari o superiore ai due terzi del capitale nominale.
Da tale premessa risulta dunque confermato il principio - che pare ormai definitivamente acquisito, ma in passato oggetto di pericolose oscillazioni giurisprudenziali - che assegna rilievo ai fini delle disposizioni in esame unicamente a quelle perdite (siano esse di esercizio o maturate in esercizi precedenti ancora risultanti dal bilancio) che, dopo aver esaurito il valore di tutte le riserve, giungano ad erodere la quota di patrimonio netto rappresentata dal capitale sociale (e v. in tal senso anche la nozione di perdita rilevante delineata dall'art. 15 della seconda direttiva comunitaria; in dottrina, per tutti, Colombo e Nobili).
Unica deroga a tale principio generale riguarda quelle voci di riserva che - in forza di un'espressa indicazione normativa e in ragione della peculiare funzione cui assolvono (diversa dal presidio del capitale sociale rispetto alle perdite) - sono sottratte alla destinazione a copertura perdite: si pensi alla riserva azioni proprie o ancora alle voci di netto originate da contribuzioni pubbliche, per le quali penda termine di "rischio restituzione" connesso al mancato conseguimento del vincolo di destinazione imposto sui beni finanziati. Si tratta comunque di ipotesi eccezionali, al di fuori delle quali il mancato utilizzo della riserva in via anticipata rispetto all'abbattimento del capitale sociale imporrebbe di qualificare la fattispecie alla stregua di una riduzione reale del capitale sociale, con conseguente assoggettamento agli artt. 2445 e 2482 c.c.
Com'è ben chiarito nella massima n. 68 del Consiglio notarile di Milano, la riduzione del capitale sociale per perdite «può avere luogo solo previo utilizzo delle eventuali riserve, posto che, ove il capitale stesso fosse ridotto nonostante l'esistenza di altre voci di netto patrimoniale, si verserebbe nella diversa fattispecie della riduzione di cui agli artt. 2445 o 2482 c.c., e non in quella di riduzione per perdite».
La riduzione volontaria del capitale per perdite deliberata in presenza di un patrimonio netto pari o superiore ai due terzi del capitale sociale
Se, dunque, si verificano perdite di esercizio anche molto elevate ma non tali da ridurre il patrimonio netto, tenuto conto anche delle riserve in esso appostate, ad un valore inferiore ai due terzi del capitale sociale, le norme in esame non possono essere invocate. E ciò per la dirimente considerazione che, ai sensi degli artt. 2446 e ss. e 2482-bis e ss.: a) possono definirsi "perdite" unicamente quelle che riducono la quota residua di patrimonio netto rappresentata dal valore storico della somma dei conferimenti effettuati dai soci all'atto della costituzione della società o in sede di successivo aumento del capitale sociale; b) le perdite, definite nei termini ora precisati, assumono rilievo, determinando obblighi in capo agli amministratori e ai soci, se ed in quanto superino la ricordata «soglia di tolleranza», pari ad un terzo del capitale nominale.
Va tuttavia senz'altro condiviso l'orientamento – anche in questo caso, largamente maggioritario – che riconosce la piena legittimità di una riduzione del capitale anche in presenza di perdite inferiori al terzo del capitale, qualificando la relativa modificazione statutaria alla stregua di una riduzione nominale per perdite, ancorché non obbligatoria; ed escludendo, conseguentemente, tale operazione dall'ambito di applicazione degli artt. 2445 e 2482 c.c. (in tal senso, sulla base dell'ineccepibile rilievo che la riduzione del capitale deriva anche in tale ipotesi dall'eliminazione contabile delle perdite e non dà luogo ad alcuna riduzione del valore del patrimonio netto, v., per tutti, Spolidoro, Bartalena, Rosapepe).
L'indubbio denominatore comune sotteso alle due fattispecie – rappresentato dal carattere non obbligatorio (e dunque volontario) della riduzione del capitale – non può in effetti condurre ad indebite sovrapposizioni concettuali di situazioni profondamente diverse. Mentre infatti l'operazione contemplata dagli artt. 2445 e 2482 c.c. determina una riduzione (perciò, reale) del capitale e produce la liberazione di una parte dell'attivo dal vincolo della copertura del capitale, viceversa, la modificazione statutaria in esame presuppone che l'attivo sia divenuto insufficiente ad assicurare la copertura del capitale ed è diretta al riallineamento dei due valori, con una riduzione dunque solo nominale del capitale sociale. In quest'ultima ipotesi i soci decidono volontariamente di registrare nello statuto, per così dire, una «riduzione di capitale ormai perduto» (perfettamente assimilabile, sotto questo profilo, alla riduzione imposta dagli artt. 2446 e 2482-bis); laddove nel primo caso si assiste ad una «riduzione di capitale non ancora perduto» che implica una riduzione della garanzia dei creditori (e perciò giustifica l'applicazione della disciplina posta a loro tutela dagli artt. 2445 e 2482 c.c.).
Tale conclusione trova del resto una conferma testuale negli artt. 2433, commaa 3 e 2478-bis, comma 5, c.c., i quali all'unisono stabiliscono che «se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione degli utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente». Da tali disposizioni si desume che la riduzione volontaria del capitale per perdite può sempre avere luogo, anche se la perdita non raggiunge il limite stabilito dall'art. 2482-bis c.c. Da questo angolo prospettico, la situazione è identica a quella che si verifica nella peculiare riduzione per perdite non ancora obbligatoria che venga deliberata come opportuno provvedimento sin dalla prima assemblea convocata senza indugio dagli amministratori che abbiano verificato il superamento della soglia del terzo, ai sensi del primo comma degli artt. 2446 e 2482-bis: tanto in questa ipotesi di riduzione (comunque volontaria), come in quella sopra considerata (di perdite inferiori al terzo), gli artt. 2445 e 2482 c.c. non trovano applicazione, sicché i creditori non si potranno opporre, neppure adducendo di essere pregiudicati dal fatto che (in base ai ricordati artt. 2433 e 2478-bis, comma 5, c.c.) la società non sarebbe più tenuta ad accantonare utili futuri.
L'esigenza di prevenire indebite elusioni delle cautele imperativamente imposte dagli artt. 2445 e 2482 c.c. per le riduzioni con rimborso del capitale sociale impone piuttosto di assegnare rilievo – nell'ipotesi in cui l'accertamento della perdita avvenga con riferimento ad una data successiva a quella di chiusura dell'esercizio – anche agli eventuali utili maturati nella frazione dell'esercizio in corso (in tal senso Cass. 23 marzo 2004, n. 5740; in dottrina, Spolidoro, Racugno). L'obiezione che l'utile rilevato da una situazione patrimoniale redatta nell'ambito di un bilancio «infrannuale» non è distribuibile non coglie nel segno. Il punto cruciale è che tale utile è sicuramente parte del patrimonio netto contabile alla data di riferimento del bilancio sottoposto all'esame dell'assemblea. L'accertamento dell'utile non è qui prodromico rispetto alla distribuzione dello stesso, ma risponde alla diversa funzione di evitare riduzioni nominali del capitale che (la giurisprudenza di legittimità, nel precedente sopra citato, definisce «indebite», ma che più propriamente devono considerarsi tali se ed in quanto) pretermettano il procedimento imperativamente richiesto dagli artt. 2445 e 2482. La fondamentale differenza di prospettiva da riconoscersi all'utile di periodo allorché il suo accertamento non sia funzionale ad una distribuzione (vietata salvo nei casi previsti dalla legge), bensì alla diversa funzione di garantire ai creditori la tutela accordata loro in ipotesi di riduzione reale, è ancora una volta puntualmente colta dalla citata massima n. 68 del Consiglio Notarile di Milano. Tale soluzione risulta del resto coerente rispetto all'orientamento – questa volta, assolutamente pacifico – che assegna rilevanza all'eventuale risultato negativo maturato nell'arco di tempo successivo alla chiusura dell'esercizio (e v. infra).
I doveri degli amministratori in caso di perdite tali da ridurre il capitale oltre il terzo e al di sotto del minimo legale
Qualora la copertura contabile del capitale risulti inferiore al minimo legale e le perdite abbiano superato la soglia del terzo si applicano gli artt. 2447 e 2482-ter c.c.
Identici sono gli obblighi informativi e di attivazione degli amministratori: in entrambi i casi – e dunque, tanto nell'ipotesi di cui all'art. 2446, quanto in quella di cui all'art. 2447 – occorre procedere all'immediata convocazione dell'assemblea, con la redazione e presentazione di una situazione patrimoniale aggiornata. Diverso è soltanto l'ordine del giorno dell'assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, che nel caso di cui all'art. 2447 dovrà indicare, sia pure per relationem, l'adozione delle modificazioni statutarie imposte da tale norma, mentre nell'ipotesi di cui all'art. 2446 potrà fare più latamente riferimento agli «opportuni provvedimenti» evocati da quest'ultima disposizione.
In entrambe le ipotesi, i componenti dell'organo amministrativo hanno il dovere di accertare l'esistenza della perdita rilevante (in quanto superiore al terzo del capitale) e di convocare l'assemblea dei soci «senza indugio» e comunque entro quei trenta giorni decorsi i quali trova applicazione l'art. 2631 c.c., che sanziona gli amministratori che omettono di convocare l'assemblea oltre i trenta giorni «dal momento in cui sono venuti a conoscenza» della circostanza che ne rende obbligatoria la convocazione (prevedendo un aggravamento della sanzione proprio nell'ipotesi di cui agli articoli in esame).
Con riguardo alla società a responsabilità limitata va sottolineato che, in base alla lettera della legge, non basta che gli amministratori provochino una decisione dei soci, ma occorre specificamente convocare un'assemblea, cioè l'organo che può deliberare la riduzione del capitale; e ciò anche nell'ipotesi di cui all'art. 2482-bis, nelle quali potrebbe non essere assunta una deliberazione modificativa dell'atto costitutivo. Pertanto, sebbene gli amministratori non intendano sottoporre all'immediata approvazione dei soci la riduzione del capitale o altre misure rientranti fra quelle di cui all'art. 2479, comma 4, c.c. o all'art. 2480 c.c., sarà ineludibile l'assise assembleare. E parimenti ineludibile, almeno in linea teorica (e al pari della corrispondente ipotesi di cui all'art. 2446), sarà l'intervento del notaio, risultando altrimenti limitata la libertà dell'assemblea in ordine ai possibili approdi deliberativi, tra i quali non può preventivamente escludersi l'immediata riduzione del capitale sociale (Spolidoro, Galletti). Ciò vale, come si è detto, in linea teorica, in quanto sovente gli amministratori sono già ben consapevoli che i soci rinvieranno le decisioni o assumeranno altre misure che non incidono sull'assetto statutario e si sentiranno perciò legittimati a soprassedere alla richiesta della verbalizzazione notarile. Ciò tuttavia presuppone l'acquisizione di un consenso unanime in tal senso, esponendosi altrimenti l'operato degli amministratori alle censure, denunzie (quanto meno ex art. 2408 c.c.) ed eventuali impugnative dei soci di minoranza. In effetti gli amministratori non possono limitare a priori la potestà deliberativa dei soci, i quali ben potrebbero decidere di procedere ad una riduzione immediata del capitale sociale (che, per quanto non obbligatoria, resta pur sempre una riduzione «nominale per perdite»: v. supra) o, all'opposto, all'aumento del capitale o ad altre operazioni straordinarie, quali la fusione, la scissione, o ancora allo scioglimento anticipato della società e alla trasformazione: con conseguente applicazione necessaria, in tali ipotesi, degli artt. 2436 e 2480 c.c., i quali postulano in termini imprescindibili la presenza del notaio. è peraltro dato di comune esperienza che le deliberazioni adottate dall'assemblea convocata ai sensi del primo comma degli artt. 2446 e 2482-bis normalmente non si estrinsecano in modificazioni dell'atto costitutivo, e in quanto tali non devono essere necessariamente verbalizzate in forma di atto pubblico, né iscritte nel Registro delle imprese.
La verifica di legalità da parte del notaio, chiamato alla redazione del verbale, e l'osservanza dell'obbligo di iscrizione sono invece sempre necessarie nell'ipotesi della riduzione obbligatoria che i soci sono chiamati ad assumere, sia pure con i quozienti ordinari, ai sensi del secondo comma dell'art. 2446 e del quarto comma dell'art. 2482-bis, in occasione dell'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo che segnali la permanenza della perdita oltre il terzo: com'è confermato, per la Srl, dall'espresso richiamo dell'art. 2436 operato nell'ipotesi di delega statutaria agli amministratori di detta riduzione obbligatoria; norma, quest'ultima, che viene opportunamente a coniugare il favor del legislatore verso l'adozione di tale non più differibile "adeguamento" statutario con la necessaria garanzia dell'atto pubblico.
La necessità dell'intervento notarile si giustifica del resto ove si consideri che la riduzione del capitale imposta dal secondo comma dell'art. 2446 (e dal quarto comma dell'art. 2482-bis), pur realizzando un mero riallineamento del capitale nominale alle risorse realmente presenti nel patrimonio della società (di qui anche la possibile delega statutaria all'organo amministrativo), determina corollari di assoluto rilievo sul piano organizzativo: essa infatti, per un verso, rende nuovamente possibile la remunerazione dell'investimento in termini di distribuzione degli utili (come ha puntualmente ricordato la bella relazione che mi ha preceduto); al contempo, e per altro verso, accentua la sensibilità del capitale alla perdita, riducendo (a due terzi del nuovo ed inferiore capitale nominale) il valore della stessa idoneo a fare scattare in futuro il meccanismo di allarme.
(Segue) Gli obblighi informativi degli amministratori al verificarsi della perdita rilevante: tra disciplina legale e (nella Srl) regole statutarie
Tanto il primo comma dell'art. 2446 quanto il secondo comma dell'art. 2482-bis c.c. richiedono che all'assemblea sia sottoposta una relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società, alla quale devono aggiungersi le osservazioni dei sindaci o dei revisori. Nonostante l'infelice formulazione normativa, è opinione prevalente che la «relazione» implichi la predisposizione di un vero e proprio bilancio infrannuale, comprendente situazione patrimoniale, conto economico e nota integrativa. Naturalmente, la «relazione» è destinata naturalmente ad essere assorbita dal progetto di bilancio e dalla documentazione allegata, ove le perdite emergano in sede di predisposizione dei conti annuali dell'esercizio; anche in tale ipotesi è comunque obbligo dell'organo amministrativo illustrare le ragioni che hanno determinato la perdita e gli opportuni provvedimenti proposti all'approvazione assembleare.
Tali adempimenti rappresentano una competenza collegiale inderogabile degli amministratori tanto nella SpA (art. 2381, comma 4) quanto nella Srl (art. 2475, comma 5). Con riferimento alla società a responsabilità limitata, va piuttosto segnalato l'espresso riconoscimento della possibilità di derogare statutariamente al diritto dei soci di prendere visione della relazione degli amministratori e delle osservazioni del collegio sindacale o del revisore: nella Srl tali documenti devono infatti essere depositati presso la sede sociale almeno otto giorni prima dell'assemblea «se l'atto costitutivo non prevede diversamente» (così l'inciso iniziale del secondo periodo dell'art. 2482-bis, comma 2). Tale disposizione consente ai soci di stabilire nell'atto costitutivo che i documenti in esame siano posti a disposizione dei soci anche con altre modalità (per esempio attraverso una comunicazione scritta al domicilio dei soci o, all'opposto, mediante pubblicazione nel sito internet della società); ma legittima altresì una previsione derogatoria, che premetta agli amministratori di comunicare la relazione e le osservazioni direttamente all'assemblea, senza alcun deposito preventivo (così Colombo, Spolidoro, Magliulo). Non può dunque condividersi l'interpretazione indebitamente restrittiva proposta da quella (peraltro isolata) giurisprudenza di merito che ha ritenuto che la documentazione debba comunque essere comunicata ai soci prima dell'assemblea, ai quali competerebbe un diritto individuale ed intangibile di informazione preassembleare (così Trib. Napoli 28 dicembre 2004, in Giur. comm., II, 2005, p. 796 e ss.). La norma in esame appare semmai particolarmente significativa sul piano sistematico, in quanto conferma la tendenziale disponibilità del diritto di informazione dei soci che connota la nuova società responsabilità limitata, finanche con riguardo a profili di disciplina di derivazione squisitamente capitalistica (per i quali il legislatore ha avvertito l'esigenza di esplicitare la derogabilità, a differenza di quanto si rinviene nel precetto, modellato sulla disciplina delle società di persone, di cui all'art. 2476, comma 2).
Imprescindibile in tutte le società di capitali è invece la presentazione, durante l'assise assembleare, della relazione degli amministratori e delle osservazioni dell'organo di controllo o dei revisori, che in tal caso dovranno essere redatte per iscritto. è altresì pacifico che, indipendentemente dalla circostanza che esse siano state o meno preventivamente depositate, tali relazioni non vano sottoposte all'approvazione dall'assemblea. Questione più delicata è se tali documenti debbano essere allegati al verbale per consentire ai terzi la verifica della correttezza della riduzione. La più rigorosa opinione prevalente in dottrina (Sfameni, Spolidoro, Bartalena) risulta peraltro ampiamente disattesa nella prassi operativa, rilevandosi la mancata previsione normativa di un obbligo di allegazione (quale è invece contemplato per la relazione di stima per la trasformazione) e neppure di deposito (come stabilito dalla norma sul deposito dei prospetti e situazioni patrimoniali relative a fusione e scissione). Nel rimarcare tale obiettiva divergenza tra prassi applicativa e insegnamenti dottrinali, merita di essere rilevato che in effetti il dato che sembra assumere maggior rilievo, ai fini della pubblicità (e quindi dell'iscrizione), va ravvisato non tanto nella verifica dei presupposti che hanno reso necessaria la riduzione del capitale ai sensi degli artt. 2446 e 2447, quanto piuttosto nel riscontro che i provvedimenti assunti sono stati idonei a ricostituire l'integrità del capitale (e dunque il venir meno delle cause che hanno reso necessaria la riduzione del capitale sociale).
Dove la prassi segnala singolari irrigidimenti è invece con riferimento all'aggiornamento della situazione patrimoniale, riaffiorando con una certa frequenza l'opinione - destituita di alcun fondamento legislativo - che tra la data di riferimento della situazione patrimoniale e la data di convocazione dell'assemblea non possano trascorrere più di sessanta giorni. Al proposito va ribadito che nessuna disposizione richiede che un intervallo temporale inferiore ad un termine massimo; sicché è unicamente a criteri di ragionevolezza che si ispira l'ormai "storica" seconda massima del Consiglio notarile di Milano, che considera legittima una deliberazione di riduzione del capitale sociale per perdite, nei casi di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c., assunta sulla base del bilancio d'esercizio o di una situazione patrimoniale infrannuale, «riferiti ad una data non anteriore a quattro mesi rispetto alla deliberazione medesima», «oppure a sei mesi, qualora, per il bilancio d'esercizio, ricorrano i presupposti del rinvio ai sensi dell'art. 2364, comma 2, ultima frase, c.c.». Più che di una regola, si tratta tuttavia di una «indicazione di buon senso» (così, da ultimo, Spolidoro) che si richiama alla disciplina in tema di fusioni e di bilancio di esercizio (in questo senso il termine di centoventi giorni viene confermato dai più recenti Orientamenti dei Consigli notarili del Triveneto). Il punto cruciale è tuttavia l'effettiva attualità della situazione presentata ai soci e sulla base della quale l'assemblea assume le relative deliberazioni, e dunque il dovere degli amministratori di valutare, caso per caso, se eventi successivi alla data di riferimento esigano la redazione di una situazione patrimoniale più aggiornata.
Da questo angolo prospettico deve essere valorizzato l'inciso finale del primo comma dell'art. 2446 e il corrispondente comma 3 dell'art. 2482-bis, i quali sanciscono che «nell'assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione prevista nel precedente comma». A quest'ultimo riguardo, gli Orientamenti dei Consigli notarili del Triveneto pongono opportunamente in evidenza la necessità che i «fatti di rilievo», quando incidano sull'ammontare delle perdite, vengano documentati per iscritto, attraverso una situazione patrimoniale ad hoc, che assurge dunque a necessario presupposto documentale affinché si possa procedere ad una riduzione del capitale in proporzione alla maggior perdita successivamente emersa.
Più frequentemente è dato peraltro registrare uno scenario opposto a quello ora ipotizzato, caratterizzato dall'intervenuta copertura – totale o parziale – della perdita: e ciò a seguito di versamenti spontanei dei soci oppure attraverso rinunce a crediti, o ancora grazie alla realizzazione di plusvalenze su cespiti e, più in generale, in conseguenza dell'andamento dell'esercizio dopo la data di riferimento (e v. Spolidoro, per il quale in queste ultime ipotesi occorre presentare una situazione patrimoniale aggiornata che dia evidenza contabile dell'emersione delle plusvalenze latenti). Viene invece costantemente (e correttamente) esclusa la possibilità di coprire le perdite mediante mere rivalutazioni dei beni iscritti all'attivo a valori inferiori a quelli correnti, realizzate in assenza di norme speciali che lo consentano (c.d. «leggi di rivalutazione monetaria») o del ricorso di circostanze eccezionali che impongano di disapplicare le regole ordinarie di redazione del bilancio, in ossequio al sovraordinato principio di verità.
Fra gli «opportuni provvedimenti» che possono essere decisi per evitare la riduzione del capitale, rientra anche l'aumento del capitale, che determina l'automatico effetto di diluire la perdita, riducendone l'incidenza proporzionale sul valore del capitale nominale. Così, ad esempio, l'assemblea di una società con duecentomila euro di capitale, convocata senza indugio dagli amministratori in presenza di una perdita tale da ridurre il patrimonio netto a centotrentamila euro, ben potrebbe deliberare un aumento di capitale a duecentocinquantamila euro, con conseguente incremento del patrimonio netto a centottantamila euro (e dunque ad oltre i due terzi del capitale).
Nonostante la diversa opinione tuttora prevalente, non mi sentirei di escludere la possibilità di procedere ad identica operazione nelle più gravi fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 2446 e all'art. 2447 (e 2482-ter). Se è vero infatti che è ormai indiscussa, anche in queste ultime ipotesi, la legittimità di un apporto fuori capitale diretto a prevenire la perdita, non sembrano rinvenibili ragioni di ordine assiologico tali da precludere ai soci di intervenire operando nuovi conferimenti, con la maggior trasparenza e tutela dei creditori connessi ad una modificazione statutaria destinata ad aumentare il vincolo contabile prospettico sul patrimonio sociale. Sotto il profilo informativo, sembra sufficiente fornire un'adeguata informazione all'assemblea in ordine all'accertamento della perdita rilevante e, più in generale, ai sottoscrittori dell'aumento in ordine alla situazione patrimoniale della società emittente le nuove azioni (o partecipazioni). In senso contrario parrebbe deporre l'argomento testuale, certo non trascurabile, costituito dall'inciso che impone in tal caso di ridurre comunque il capitale «in proporzione delle perdite accertate», con riferimento al quale si potrebbe tuttavia obiettare che tale obbligo presuppone pur sempre che la perdita abbia superato la soglia di rilevanza del terzo ed è pertanto destinato a venire meno ogni qualvolta la perdita rientri – in conseguenza, tra l'altro, di nuovi conferimenti, versamenti o rinunce a crediti – entro il margine di tolleranza.
Azzeramento e ricostituzione del capitale sociale
La regola enunciata dagli artt. 2447 e 2482-ter si applica soltanto nella compresenza del duplice e coessenziale presupposto a) dell'accertamento della perdita di oltre un terzo del capitale e b) della riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. La conclusione in base alla quale la perdita inferiore o pari ad un terzo del capitale, che ne riduca la copertura al di sotto del minimo legale, non impone agli amministratori di convocare «senza indugio» l'assemblea, né è causa di scioglimento della società (per un'ampia e convincente dimostrazione della quale, v. Nobili e Spolidoro) trova conferma in una lettura coordinata degli artt. 2446 e 2447 (e 2482-bis e 2482-ter), anche alla luce della disciplina comunitaria (e in particolare dell'art. 17 della seconda direttiva).
Conseguentemente, per gli amministratori di una società per azioni con centocinquantamila euro di capitale l'obbligo di convocare senza indugio l'assemblea straordinaria per l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 2447 sorgerà solo se ed in quanto il patrimonio netto scenda ad un valore inferiore a centomila euro, non rilevando l'eventuale scostamento intermedio tra tale soglia e il minimo legale di centoventimila euro. Non può peraltro escludersi che, anche di fronte a quest'ultima fattispecie, gli amministratori valutino l'opportunità di convocare l'assemblea, la quale ben potrà deliberare lo scioglimento anticipato della società ovvero la riduzione e contestuale ricostituzione del capitale, o ancora la trasformazione in società a responsabilità limitata o in società di persone.
Queste ultime deliberazioni sono invece ineludibili in presenza di entrambi i presupposti di applicazione delle norme in esame; in tal caso, i soci dovranno deliberare la riduzione del capitale sociale in misura corrispondente alla perdita e contestualmente optare tra una delle tre alternative offerte dal codice.
La preliminare riduzione del capitale vale ad eliminare integralmente la perdita se ed in quanto il patrimonio netto sia comunque positivo o pari a zero. Se viceversa le perdite incidono in misura tale da diminuire il patrimonio della società ad un importo inferiore a zero, il contestuale aumento del capitale dovrà essere tale non soltanto da reintegrarne il minimo, ma prima ancora da coprire la perdita ulteriore.
Tra le diverse tecniche impiegate a tal fine, merita di essere richiamata quella che prevede la determinazione di un prezzo di sottoscrizione delle nuove azioni (o quote) in misura tale da creare una riserva sopraprezzo corrispondente all'ammontare delle perdite che eccedono il capitale e destinata ad essere automaticamente annullata mediante azzeramento delle perdite eccedenti.
Di là dalla tecnica utilizzata, di cui la prassi offre variegate tipologie, occorre sottolineare: a) che nella Srl il primo comma dell'art. 2481-bis esclude in tale ipotesi la derogabilità statutaria del diritto di sottoscrizione preferenziale riconosciuto ai soci (salva la possibilità per questi ultimi di rinunciare spontaneamente ad esercitarlo, una volta che sia sorto o contestualmente alla delibera di ricostituzione del capitale: e v. ancora gli Orientamenti del Triveneto); b) in tutte le società di capitali, la delibera di aumento deve comunque riconoscere ai soci un termine non inferiore a trenta giorni per esercitare il diritto di opzione (termine, anche in questo caso, disponibile dai soci ma indisponibile dalla maggioranza).
L'immediata sottoscrizione «in assemblea» dell'aumento di capitale – ovvero della frazione di capitale necessaria a riportarne la cifra al minimo legale, pertanto – non soltanto non è richiesta dalla legge, ma non potrebbe neppure essere contemplata dalla deliberazione assembleare, salvo che essa sia adottata con il consenso unanime dei soci; ed ancor più evidentemente contra legem risulterebbe la richiesta di un immediato versamento del capitale sottoscritto.
Sotto questo profilo, e con queste precisazioni, può ancora una volta senz'altro condividersi l'impostazione proposta dal Consiglio Notarile milanese, laddove rileva che «la deliberazione di azzeramento del capitale sociale o comunque di riduzione al di sotto del minimo legale, per perdite, con contestuale sua ricostituzione ad un importo almeno pari al minimo legale, può essere legittimamente assunta qualora l'esecuzione dell'aumento: a) avvenga in assemblea (ferma la necessità di garantire, con gli opportuni mezzi, il rispetto del diritto dei soci di sottoscrivere le nuove partecipazioni, nell'esercizio dell'opzione); oppure: b) sia consentita, dalla delibera stessa, in epoca anche successiva all'assemblea, purché entro i termini di tempo che l'assemblea fissa, nel rispetto delle disposizioni di legge, non eccedendo il tempo necessario per il realizzarsi delle condizioni, di natura sostanziale e procedimentale, che l'esecuzione dell'aumento richiede» (così la massima n. 38).
(Segue) Trasformazione regressiva in presenza di patrimonio netto negativo
In alternativa alla riduzione e contestuale reintegrazione del capitale, l'assemblea della società convocata ai sensi degli artt. 2447 e 2482-ter c.c. potrà deliberare la trasformazione della società. Al riguardo è opinione prevalente e assolutamente condivisibile che a) la trasformazione possa essere deliberata senza che occorra preliminarmente ridurre il capitale; b) che le società di capitali possano trasformarsi in un tipo sociale che non richiede un capitale minimo anche in presenza di un patrimonio netto azzerato o negativo.
A quest'ultimo riguardo mi fa particolarmente piacere preannunciare in questa sede l'imminente pubblicazione di un orientamento in tal senso del Consiglio notarile dei distretti di Firenze, Pistoia e Prato, che sarà presentato insieme ad altri sei orientamenti a Firenze il prossimo 11 aprile ed al quale si rinvia per gli argomenti di ordine letterale, sistematico e assiologico che convergono verso tale conclusione.
È sufficiente qui osservare come l'art. 2482-ter, primo comma, in materia di Srl, conduca chiaramente l'interprete verso la soluzione proposta, laddove stabilisce nel primo comma che l'assemblea deve essere convocata per deliberare la riduzione del capitale e la sua contestuale ricostituzione, prevedendo solo al comma successivo, ed autonomamente, la deliberazione alternativa di trasformazione. Tale indicazione trova del resto conferma nella lettera dell'art. 2447, che lega tra loro la riduzione e la ricostituzione (attraverso la congiunzione «ed»), separando entrambe dalla trasformazione (mediante la disgiunzione «o», preceduta da una virgola).
Del tutto neutro è invece il dato offerto dall' art. 2500 che, in merito al «contenuto dell'atto di trasformazione», prescrive che esso debba recare necessariamente le indicazioni – tra cui il capitale sociale, evidentemente – previste dalla legge per "l'atto di costituzione del tipo adottato": e ciò non soltanto perché tale norma si riferisce alla sola trasformazione progressiva in società di capitali; ma soprattutto perché altro è richiedere l'indicazione nell'atto costitutivo del capitale sociale (che potrebbe finanche rimanere quello originario), altro è richiedere l'esistenza nel patrimonio della società di un valore corrispondente allorché viene deliberata la modificazione statutaria in esame. Sotto quest'ultimo profilo, emerge un decisivo argomento di ordine sistematico sotteso alla tesi qui accolta: la disciplina del capitale sociale – come ha ben ribadito quest'oggi Giuseppe Ferri – è una disciplina prospettica, destinata ad operare per il futuro: nella specie, imporrà alla società di persone risultante dalla trasformazione regressiva di destinare tutti gli utili futuri alla copertura delle perdite e alla ricostituzione del capitale minimo liberamente definito nell'atto costitutivo, e dunque allontanando la prospettiva della redistribuibilità dell'utile ai sensi dell'art. 2303, sino al ritorno all'attivo e alla reintegrazione del capitale indicato nell'atto costitutivo della società risultante dalla trasformazione. Trasformazione che è ormai unanimemente considerata alla stregua di una vicenda non già estintivo-costitutiva, bensì modificativa nella continuità dell'impresa societaria (per tutti, Sarale, Maltoni): se può quindi dubitarsi della possibilità di costituire una società di persone con un patrimonio netto ab initio negativo, è invece pacifico che essa possa trovarsi ad operare con un patrimonio netto negativo durante la sua esistenza, senza per questo subire alcuna limitazione (se non sotto il ricordato versante della temporanea indistribuibilità degli utili) e che possa trovarsi in tale situazione proprio a seguito di una trasformazione da società di capitali.
Effetti dell'applicazione dei principi contabili internazionali Ias-Ifrs sulla disciplina della riduzione obbligatoria del capitale sociale, e segnatamente sulla determinazione della perdita rilevante
Un ultimo profilo di particolare rilevanza applicativa con il quale intenderei concludere questo intervento riguarda l'impatto che è destinata ad avere sulla disciplina della riduzione obbligatoria del capitale sociale, e segnatamente nella determinazione della perdita rilevante, l'introduzione dei principi contabili internazionali Ias-Ifrs.
In ciò sono sollecitato dai quesiti pervenuti stamani alla presidenza del convegno, uno dei quali solleva una serie di interessanti domande, che possono essere così schematicamente sintetizzate: qualora gli amministratori di una SpA, in sede di redazione del bilancio di esercizio riscontrino perdite rilevanti ai sensi dell'art. 2447, che tuttavia non emergerebbero ove il bilancio venisse redatto recependo i principi contabili internazionali, potrebbero optare per l'adozione di detti principi, in conformità alle disposizioni contenute nel D.lgs. 38/2005, così prevenendo a monte la formazione di perdite rilevanti ex art. 2447 e facendo dunque venir meno l'obbligo di intervenire sul capitale sociale?
La questione riveste un peculiare rilievo alla luce della scelta operata dal legislatore italiano di utilizzare con grande ampiezza la facoltà contemplata dall'art. 4 del Regolamento comunitario n. 1606 del 19 luglio 2002 di estendere l'adozione dei principi contabili internazionali oltre l'ambito dei bilanci consolidati delle società quotate (gli unici per i quali era imposta). In effetti il D.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, oltre ad imporre l'adozione dei principi contabili internazionali nel bilancio consolidato delle società quotate, di quelle con titoli diffusi fra il pubblico, delle banche ed intermediari finanziari, delle imprese assicurative (art. 3), e nel bilancio d'esercizio delle società quotate, delle società con titoli diffusi fra il pubblico, delle banche ed intermediari finanziari, delle imprese assicurative quotate (ancorché non redigano il bilancio consolidato), lascia la facoltà in linea generale a tutte le altre società di redigere il bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali: così l'art. 4, che esclude le sole società che possono redigere il bilancio in forma abbreviata. In tale quadro normativo, tutte le società che trascendono i limiti di cui all'art. 2435-bis sono legittimate ad optare per l'adozione del fair value, esentandosi in tal modo dall'applicazione delle norme del codice civile concernenti le strutture, i principi ed i criteri di adozione del bilancio di esercizio.
In via di estrema sintesi (ed approssimazione), i principi contabili internazionali si differenziano rispetto alla disciplina contabile tradizionale, che ravvisa il fondamentale criterio di valutazione nel costo storico delle attività da valutare, per il ruolo centrale da essi assegnato al fair value, inteso come il corrispettivo al quale un bene può essere scambiato tra parti consapevoli e disponibili, in una transazione al suo valore di mercato («valore di mercato», «valore corrente» o ancora «valore equo», nella più letterale versione ufficiale italiana)
L'adozione del fair value conduce pertanto a recepire nel bilancio aspettative di redditi futuri e futuri flussi di cassa – e dunque, in buona sostanza, di utili non ancora realizzati – in contrasto con il principio di prudenza proprio del diritto contabile tradizionale che consente l'appostazione unicamente degli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio (art. 2423-bis, comma 1, n. 2). Quegli stessi profili che rendono il fair value più significativo del costo storico per le scelte di investimento – e che valgono ampiamente a giustificare il ricorso a tale criterio nei bilanci consolidati e nelle società quotate – determinano inevitabilmente un suo minor grado di attendibilità nella determinazione della misura dell'utile distribuibile ai soci, e prima ancora nella verifica dell'effettiva copertura del capitale sociale, esponendosi valori alla cui formazione concorrono anche plusvalenze non realizzate e legate alle oscillazioni del mercato. Ed è proprio alla luce di tali considerazioni che il D.lgs. n. 38/2005 ha imposto di destinare i plusvalori derivanti dall'applicazione del fair value a riserva e ne ha sancito una (tendenziale) indisponibilità, escludendo espressamente il loro utilizzo per l'aumento del capitale sociale, per il pagamento di dividendi ai possessori di azioni correlate, per l'acquisto di azioni proprie o di società controllante, o per operazioni che comunque possano portare alla distribuzione dei plusvalori da fair value e precisando altresì che le riserve da fair value possono essere impiegate per coprire le perdite solo dopo aver utilizzato, oltre alle riserve di utili disponibili e alla riserva legale, tutte le altre riserve (artt. 6 e 7).
Se si rigira il testo normativo, e se ne esamina non più la trama ma l'ordito, risulta dunque indirettamente confermato che – pur con questi limiti, e nel rispetto di tale scala gerarchica – le riserve da fair value, in assenza di altre voci del netto patrimoniale diverse dal capitale sociale, non soltanto possono, ma più propriamente devono essere utilizzate per coprire le perdite in ciò distinguendosi dalla riserva azioni proprie e dalle voci di netto originate da contribuzioni pubbliche, per le quali penda termine di "rischio restituzione" connesso al mancato decorso del vincolo di destinazione imposto sui beni finanziati, il cui utilizzo a copertura delle perdite è espressamente escluso dalla legge (con norme la cui eccezionalità è già stata sopra segnalata).
Né pare destinata ad influenzare la soluzione del problema in esame la regola che, in sede di prima adozione dei nuovi principi (first time adoption), impone la presentazione anche di un bilancio redatto in base ai principi codicistici di prudenza e di realizzazione e del criterio valutativo del costo storico: quest'ultimo prospetto risponde infatti ad una finalità di raccordo ed eminentemente informativa di agevolare il confronto tra i risultati dei vecchi e dei nuovi criteri. Ma il bilancio è, e resta uno solo: quello redatto secondo i criteri di nuova adozione; e ad esso soltanto occorrerà avere riguardo ai fini del riscontro dei presupposti di cui agli artt. 2446 e ss.
Questa ampia digressione conferma come il ricorso ai principi contabili internazionali nella redazione del bilancio d'esercizio sia destinato a determinare mutamenti di prospettiva davvero radicali, che trascendono la materia in esame per coinvolgere anche altri profili del nostro diritto societario (si pensi alla determinazione del soprapprezzo minimo imposto dal sesto comma dell'art. 2441); è però evidente che il maggior impatto si registra proprio con riferimento alla disciplina della riduzione obbligatoria per perdite, in relazione alla quale il criterio del fair value può implicare corollari di peculiare rilevanza applicativa.
E ciò sotto un duplice profilo. In primo primo luogo, in quanto è destinata a ritardare l'operatività dei meccanismi previsti da queste norme, che non si attiveranno ogni qualvolta i plusvalori non realizzati influiscano sul risultato dell'esercizio riducendo l'incidenza delle perdite sul capitale sociale. In secondo luogo, in quanto introduce una voce di patrimonio netto che, per la sua natura più volatile («ballerina», secondo l'efficace definizione data stamani da Marchetti), accentua sensibilmente i doveri di monitoraggio degli amministratori sulla consistenza del patrimonio sociale (e dunque la loro responsabilità ai sensi degli artt. 2485 e 2486 c.c.). Più in generale, i principi contabili internazionali determinano un'inedita erraticità dei valori del netto e dunque più frequenti scostamenti al di sotto delle soglie di rilevanza indicate dagli artt. 2446 e 2447.
L'opzione a favore del fair value, se può permettere nell'immediato di rinviare interventi altrimenti obbligatori sul capitale sociale, potrebbe pertanto, un domani, ritorcersi contro gli stessi amministratori, moltiplicando «a valle» (e dunque negli esercizi successivi) l'attivazione dei meccanismi di allerta e le fattispecie di riduzione obbligatoria, e dunque le occasioni di intervento notarile per le relative modificazioni statutarie.
In questo quadro, può affermarsi conclusivamente che se il capitale sociale è un istituto da tempo e per più aspetti «sotto assedio» (così Enriques: e v. l'ormai imminente recepimento della nuova seconda direttiva 2006/68), il legislatore italiano, consentendo un'opzione così ampia a favore dei principi contabili internazionali, ha inopinatamente finito per «abbassare il ponte levatoio» (Sacchi) proprio sul terreno decisivo dei presupposti del contestatissimo meccanismo del «ricapitalizza o liquida» (c.d. «ROL», per un approfondito riesame del quale v. ora Stanghellini).
Un risultato forse inconsapevole, se non addirittura una sorta di aberratio ictus rispetto alle finalità sottese alla disciplina interna di recepimento dei nuovi principi contabili; ma la più grave aberratio ictus la commetterebbe chi vi parla se sottraesse altro tempo ai valorosi relatori che seguiranno.
Nota bibliografica
Sulla disciplina della riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite, v. NOBILI, La riduzione del capitale, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da Abbadessa e Portale, Torino, 2007, p. 295 e ss.; GUERRERA, Sub artt. 2446-2447, in Società di capitali, Comm. diretto da Niccolini e Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, p. 1200 e ss.; SFAMENI, Perdita del capitale sociale e bilancio straoridnario, Milano, 2004; CAVANNA, Sub artt. 2445-2447, in Il nuovo diritto societario, Comm. diretto da Cottino e a., Bologna, 2004, p. 1595 e ss.; ROSAPEPE, Modificazioni statutarie e recesso, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2006, p. 393; NOBILI-SPOLIDORO, ]La riduzione del capitale, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, 6*, Torino, 1993, p. 285 e ss. Con riferimento specifico alla disciplina delle società a responsabilità limitata, v., dopo la riforma: SPOLIDORO, «La riduzione del capitale nelle Srl», in Riv. soc., 3, 2007, p. 2 e ss.; PINNARò, Sub artt. 2482-2482-quater, in Comm. diretto da Sandulli e Santoro, Torino, 2003, p. 211 e ss.; BARTALENA, Sub artt. 2480-2482-quater, in Comm. diretto da Niccolini e Stagno d'Alcontres, cit., p. 1674; GALLETTI, Sub artt. 2482-2482-quater, in Codice commentato delle Srl diretto da Benazzo e Patriarca, Torino, 2006, p. 489 e ss.; RACUGNO, «Le modificazioni del capitale nella nuova Srl», in Riv. soc., 2003, p. 839; MAGLIULO, Le modificazioni dell'atto costitutivo, in Caccavale, Magliulo, Maltoni e Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, p. 459; IANNELLO, Sub artt. 2480-2482-quater, in Comm. diretto da Lo Cascio, Milano, 2003, p. 306; PINNA, Sub artt. 2480-2482-quater, in Comm. diretto da Maffei Alberti, Padova, 2005, p. 2103 e ss.; POSTIGLIONE, Operazioni sul capitale nelle Srl, in Il diritto, Enciclopedia giuridica de Il Sole 24 Ore, Milano, 2008, X, p. 348 e ss.; G. BIANCHI, Riduzione del capitale, in Sarale (diretto da), Le nuove Srl, Bologna, 2008, p. 879 e ss. L'omaggio iniziale è a MARCHETTI, «Verso la riscoperta delle azioni di godimento?», in Riv. soc., 1996, p. 891 e ss. e DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1999, p. 182.
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