La riduzione reale del capitale con particolare riferimento alle Srl
La riduzione reale del capitale con particolare riferimento alle Srl
di Federico Magliulo
Notaio in Roma
Il tramonto del requisito dell'esuberanza
L'art. 2482 c.c. disciplina la riduzione reale del capitale, vale a dire quella effettuata mediante rimborso ai soci delle quote pagate o mediante liberazione di essi dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti.
Essa si contrappone alla riduzione nominale, prevista dai successivi articoli, nella quale la riduzione del capitale non comporta un'effettiva diminuzione patrimoniale, ma un mero adeguamento dell'importo del capitale nominale al valore contabile effettivo del patrimonio netto, eroso da perdite.
La novità più eclatante della nuova disciplina della riduzione reale è rappresentata dal fatto che non è più previsto a tal fine il requisito dell'esuberanza né la necessità che l'avviso di convocazione dell'assemblea indichi le ragioni e le modalità della riduzione, come disponeva il vecchio art. 2445 c.c. richiamato dall'art. 2496 c.c. [nota 1]
Nella nuova disciplina delle società per azioni è invece tuttora necessario quest'ultimo requisito, ma viene del pari soppresso quello dell'esuberanza.
Il minor rigore della disciplina della società a responsabilità limitata al riguardo si spiega probabilmente con la considerazione che il diritto di informazione dei soci, con riferimento a singole delibere assembleari, è in tale tipo sociale meno intenso che nelle società per azioni, in considerazione della ristrettezza della compagine sociale e dei rapporti personali e diretti che intercorrono tra i soci e tra questi e gli organi sociali.
Alla stregua delle esposte considerazioni è certo che oggi nelle società a responsabilità limitata la riduzione reale del capitale, non solo non è subordinata all'esuberanza del capitale per il conseguimento dell'oggetto sociale [nota 2], ma può essere del tutto immotivata ed arbitraria, salvo quanto si è visto in materia di esclusione del socio.
Il diritto di opposizione dei creditori
L'unico limite sostanziale frapposto alla riduzione in parola rimane pertanto l'attribuzione del tradizionale diritto di opposizione ai creditori, da esercitarsi nei novanta giorni dall'iscrizione nel Registro delle imprese della relativa decisione.
La tutela dei creditori sociali in relazione all'integrità del capitale è pertanto oggi rimessa esclusivamente all'iniziativa degli stessi, i quali avranno l'onere di proporre opposizione nei termini di legge e non potranno più fare affidamento sulla verifica della congruità delle motivazioni della riduzione in sede di controllo notarile-giudiziario.
Permane peraltro la regola che legittimati all'opposizione sono solo i creditori anteriori all'iscrizione della delibera di riduzione nel Registro delle imprese, poiché solo questi ultimi possono vantare un'aspettativa legalmente tutelata sull'ammontare del capitale sociale originario.
La nuova disciplina, incidentalmente, apporta una serie di innovazioni che attengono ai problemi, discussi sotto il vigore della precedente normativa, relativi all'individuazione dei presupposti che legittimano l'opposizione, alla forma della stessa ed alla natura del relativo procedimento.
Per quanto in passato le opinioni al riguardo fossero alquanto variegate, si distinguevano due grandi filoni interpretativi, sulla base della soluzione che veniva proposta in relazione al problema principale, afferente all'individuazione dei presupposti che legittimano l'opposizione.
Secondo una prima tesi, largamente prevalente in dottrina, il diritto di opposizione spettava ai creditori solo in quanto essi deducessero e provassero che la riduzione arrecava un effettivo pregiudizio al loro credito [nota 3].
Da tale premessa era logico dedurre:
- che l'accertamento della sussistenza di tale pregiudizio dovesse avvenire nell'ambito di un vero e proprio giudizio di cognizione, nel quale il provvedimento relativo alla concessione della esecuzione della delibera nonostante l'opposizione aveva carattere provvisorio e cautelare e doveva esser seguito da una fase di merito;
- che dunque l'opposizione dovesse essere necessariamente esercitata in via giudiziale e non anche mediante dichiarazione stragiudiziale [nota 4].
Altri autori invece ritenevano che l'opposizione potesse essere proposta in modo arbitrario per il solo fatto dell'esistenza del credito, in ragione di un presunto generico interesse del creditore all'assoluto mantenimento della consistenza patrimoniale della società [nota 5].
A fronte di ciò si affermava:
- che il procedimento giudiziario previsto dalla legge doveva essere instaurato solo al fine di decidere sulla concessione dell'esecuzione della delibera nonostante l'opposizione previa prestazione di idonea cauzione;
- che tale giudizio avesse pertanto natura di procedimento di volontaria giurisdizione, esaurito il quale non residuava alcun ulteriore procedimento di natura contenziosa;
- che pertanto l'opposizione potesse essere esercitata mediante dichiarazione stragiudiziale, onde sarebbe poi stato onere della società instaurare il procedimento suddetto per ottenere comunque l'esecutorietà della delibera.
La disputa assume notevole rilevanza pratica, specie con riferimento all'applicabilità al termine per l'opposizione della sospensione feriale di cui alla legge n. 742/1969.
Infatti, ove si ritenesse che l'opposizione abbia necessariamente natura giudiziale, il relativo termine dovrebbe considerarsi soggetto a tale sospensione [nota 6], a meno che non si sostenga che il relativo procedimento abbia natura cautelare, atteso che la L. 742/1969 non si applica ai procedimenti di tale natura [nota 7].
Oggi la legge prevede che il Tribunale «quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori oppure la società abbia prestato un'idonea garanzia, dispone che l'esecuzione abbia luogo nonostante l'opposizione».
Ciò implica innanzitutto che, in tanto il creditore può legittimamente opporsi all'esecuzione, in quanto deduca e provi l'esistenza di un «pericolo di pregiudizio» per la propria posizione creditoria.
Tale circostanza, in relazione alla necessità che l'accertamento della sussistenza del pericolo di pregiudizio debba essere svolta in sede giudiziaria, induce a ritenere fondata anche nel nuovo sistema l'opinione che ritiene che l'opposizione non possa essere esercitata con dichiarazione stragiudiziale [nota 8].
Quanto alla procedura successiva alla proposizione dell'opposizione, la legge da un lato conferma il tradizionale principio secondo cui, di regola, essa sospende l'esecuzione della delibera, dall'altro apporta alcune innovazioni al sistema precedente.
In passato, infatti, il Tribunale poteva disporre che la riduzione avesse comunque luogo, previa prestazione da parte della società di un'idonea garanzia e quindi effettuava un valutazione discrezionale al riguardo.
Nondimeno, una volta che tale valutazione fosse favorevole alla concessione della esecutività della riduzione, il Tribunale doveva imporre la prestazione della garanzia, a prescindere dalla possibile infondatezza dell'opposizione.
Nell'attuale sistema invece la facoltà di consentire l'esecuzione è vincolata alla sussistenza in via alternativa e non cumulativa di due presupposti:
- che il Tribunale ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori ovvero
- che la società abbia prestato un'idonea garanzia.
Quindi, se il Tribunale ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori, l'esecutività immediata della riduzione deve essere concessa, senza che occorra la prestazione di garanzia [nota 9].
Per converso, se la società abbia prestato un'idonea garanzia, il Tribunale deve concedere l'esecuzione provvisoria in ogni caso e quindi anche quando sussista il fumus boni iuris in relazione alla fondatezza dell'opposizione [nota 10].
Dal punto di vista procedurale l'art. 33 del D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, recante la definizione dei procedimenti in materia di diritto societario, dispone espressamente che quello in esame ha le forme del procedimento in camera di consiglio, nella sottospecie del «procedimento in confronto di più parti» [nota 11].
Ne deriva che la competenza spetta al Tribunale in composizione collegiale (art. 25 terzo comma D.lgs. n. 5/2003) e il provvedimento è reclamabile innanzi alla Corte di Appello (art. 27 secondo comma D.lgs. n. 5/2003).
Il sistema come sopra delineato, se da un lato precisa una serie di punti che, come si è visto, erano discussi sotto il vigore della perdente disciplina, dall'altro determina un assetto normativo difficilmente giustificabile sul piano della coerenza sistematica.
Ed invero, se il presupposto dell'opposizione è oggi espressamente individuato nell'esistenza di un «pericolo di pregiudizio» per la posizione del creditore opponente, sarebbe stato logico dedurre che l'eventuale contestazione sulla sussistenza di tale presupposto avrebbe dovuto svolgersi nelle forme del processo di cognizione, previa un'eventuale fase cautelare.
Ma tale eventualità sembra esclusa dalla riforma.
È vero infatti che l'art. 32 primo comma D.lgs. n. 5/2003 prevede che ciascuna parte del procedimento camerale in parola può chiedere che sia decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale, della quale il giudice deve conoscere ai fini della definizione del procedimento e che in tal caso il giudice provvede sul ricorso con decreto motivato, disponendo la prosecuzione del procedimento nelle forme contenziose, con ordinanza nella quale fissa all'istante il termine perentorio per la notificazione alle altre parti dell'atto di citazione.
Ma è anche vero che detta facoltà può essere esercitata solo fino alla conclusione dell'udienza fissata per la decisione camerale.
Ne deriva che, se il Tribunale, all'esito di tale udienza, si pronuncia per la concessione dell'esecuzione della delibera di riduzione senza necessità di cauzione, ritenendo insussistente il pericolo di pregiudizio per il creditore opponente, questi non potrà proporre l'accertamento contenzioso pregiudiziale.
Parimenti se il Tribunale, ravvisando la sussistenza del predetto pericolo, decida di imporre la prestazione della cauzione, la società non potrà contestare tale valutazione se non nelle forme del reclamo avverso il provvedimento camerale.
Tale meccanismo normativo sembra peraltro escludere la possibilità di promuovere successivamente e separatamente un autonomo giudizio di accertamento nelle forme contenziose in merito alla sussistenza dei presupposti della concessione della esecutorietà della delibera di riduzione, poiché ciò porterebbe ad uno scardinamento del meccanismo procedurale predisposto dal legislatore della riforma.
La decisione camerale infatti verte, in base all'art. 2482 terzo comma c.c., proprio sul thema decidendum della sussistenza di pericolo di pregiudizio per il creditore opponente.
Non rimane, a nostro avviso, che ritenere che la decisione del Tribunale in sede di procedimento camerale e di successivo reclamo innanzi alla Corte di Appello sia suscettibile di ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., in quanto l'accertamento della sussistenza del pericolo di pregiudizio per il creditore opponente ha senza dubbio natura decisoria su un diritto (ed in particolare sui presupposti di tale diritto) [nota 12].
Probabilmente inoltre qualora, a seguito della concessione dell'esecuzione da parte del Tribunale senza imposizione di cauzione, il creditore abbia a subire in concreto un danno, egli potrà chiederne il risarcimento all'organo amministrativo della società che abbia eseguito la delibera di riduzione, all'ente che esercita sulla società l'attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c., ove ne ricorrano i presupposti, nonché ai soci che hanno contribuito all'assunzione della delibera stessa ai sensi dell'art. 2476 settimo comma c.c.
E ciò, non in forza di una specifica azione concessa al riguardo dalla legge, bensì sulla base dei principi generali, considerato che, ai sensi dell'art 2445 ultimo comma c.c., il giudizio di opposizione tende a verificare un mero pericolo di pregiudizio e non un pregiudizio effettivo, che potrà essere accertato solo all'esito dell'attuazione dell'operazione.
L'incoerenza di tale assetto normativo ha, peraltro, indotto taluni commentatori a riproporre anche nel sistema riformato le tesi che affermano:
- la natura di volontaria giurisdizione del solo procedimento diretto a decidere sulla concessione dell'esecuzione della delibera nonostante l'opposizione e
- la possibilità di proporre l'opposizione anche con atto stragiudiziale [nota 13].
In altre parole, secondo tale impostazione, «il comma 3 dell'art. 2482 c.c. … fa chiaramente intendere che il procedimento in camera di consiglio, previsto dagli artt. 25 e 33 D.lgs. n. 5/2003, si riferisce ad una fase incidentale, promossa dalla società la quale, a fronte dell'opposizione dei creditori, ottiene (in via sommaria) di poter in ogni caso eseguire la delibera di riduzione, facendo constatare l'inesistenza di un «pericolo di pregiudizio per i creditori» ovvero prestando idonea cauzione … d'altronde, l'art. 33 cit. omette di richiamare, fra le fattispecie cui applicare il rito camerale, anche il comma 2 dell'art. 2482 c.c., il che non pare essere un errore di coordinamento fra le norme, bensì una scelta coerente col sistema complessivo del nuovo rito societario, in cui l'opposizione di cui sopra, per la necessità di tutela dei diritti dei terzi, dà l'avvio ad un giudizio di cognizione, tanto più che il dato letterale dell'art. 33 parla di "istanze": e, mentre, è sicuramente un'istanza quella che chiede l'esecuzione nonostante l'opposizione, tale non può considerarsi l'opposizione ex se» [nota 14].
In contrario è stato osservato [nota 15] che «in realtà, la lettura delle norme in commento, non consente di trarne una sicura conclusione in merito al fatto che il giudizio camerale debba essere circoscritto alla decisione sull'autorizzazione all'esecuzione della deliberazione (infondatezza del pericolo di pregiudizio per i creditori o prestazione di idonea garanzia), e non possa avere ad oggetto anche il fondamento dell'opposizione.
Il comma 2 dell'art. 2482 c.c. (il cui mancato richiamo dall'art. 33 cit. fonda la tesi sopra riportata), a ben vedere, non disciplina l'opposizione dei creditori anteriori all'iscrizione della delibera, né tanto meno il rito ad essa applicabile, in quanto si limita a prevedere che: «la decisione dei soci di ridurre il capitale sociale, può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell'iscrizione nel Registro delle imprese della decisione medesima, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione». La norma si limita, in realtà, a prevedere gli effetti della mancata opposizione entro il termine di legge, ossia l'eseguibilità della delibera. L'unica descrizione del giudizio di opposizione è contenuta nel comma 3, ove il legislatore disciplina la possibilità che la società, mediante la proposizione di un'apposita istanza, possa ottenere l'esecuzione nonostante l'opposizione. Il richiamo dell'art. 33 cit. all'art. 2482, comma 3, c.c. potrebbe, quindi, ritenersi effettuato a tutta la fattispecie del giudizio di opposizione, nel cui ambito potrà essere proposta l'eventuale istanza "cautelare" della società, volta ad ottenere l'esecutività della delibera: il rito camerale potrebbe, quindi, ritenersi applicabile all'intero giudizio di opposizione».
Ma a mio avviso le ragioni di dissenso dalla tesi qui criticata sono ancora più profonde.
Ed invero l'art. 2482, terzo comma, c.c. non prevede espressamente che la decisione del Tribunale diretta a disporre che l'esecuzione abbia luogo nonostante l'opposizione, sia frutto di una decisione incidentale, a seguito di una specifica istanza in tal senso della società. Si tratta di una conclusione che è data per presupposta dalla dottrina in esame [nota 16].
Ma a ben vedere tale decisione del Tribunale potrebbe costituire l'esito naturale del procedimento di opposizione, il cui oggetto sarebbe per l'appunto principalmente l'accertamento, sia pure con un particolare procedimento semplificato, della sussistenza o meno del pericolo di pregiudizio per le ragioni creditorie dell'opponente.
Ove tale accertamento avesse esito negativo, l'opposizione promossa dal creditore risulterebbe infondata e dunque la società, a prescindere da specifiche istanze in tal senso dalla stessa avanzate, potrebbe eseguire l'operazione "nonostante l'opposizione", che si intenderebbe rigettata.
Del resto il citato art. 33 del D.lgs. n. 5/2003 sancisce l'applicabilità del rito camerale in confronto di più parti anche per le istanze di cui all'art. 2503, secondo comma, in materia di fusione, il quale dispone che « ... i creditori indicati al comma precedente possono, nel suddetto termine di sessanta giorni, fare opposizione. Si applica in tal caso l'ultimo comma dell'articolo 2445».
In questa ipotesi dunque la norma cui è effettuato il rinvio da parte del citato D.lgs. n. 5/2003 disciplina senza dubbio l'intera fattispecie dell'opposizione e non soltanto quella relativa ad un'ipotetica istanza diretta ad ottenere l'autorizzazione all'esecuzione dell'operazione, pendente l'opposizione.
Donde l'impossibilità di trarre elementi decisivi dalla lettera dell'art. 2482 c.c.
Lo stesso termine "istanza" ben potrebbe essere un mero sinonimo della "domanda giudiziale" tout court e non è affatto scontato che esso alluda ad una specifica istanza inserita in un più ampio giudizio promosso da altro soggetto.
Il problema dell'applicazione dell'art. 2503 c.c. alla riduzione
Il legislatore della riforma non ha ritenuto inoltre, in sede di disciplina dell'istituto dell'opposizione di fare chiarezza sulla possibilità di procedere all'esecuzione della riduzione anche prima del decorso del termine di legge, laddove vengano adottale le cautele previste in sede di fusione dall'art. 2503 c.c. [nota 17] e dunque qualora:
- consti il consenso dei creditori della società anteriori all'iscrizione della decisione di riduzione del capitale nel Registro delle imprese ovvero
- il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso, ovvero
- il deposito delle somme corrispondenti presso una banca [nota 18].
Contro l'applicazione dell'art. 2503 c.c. alla riduzione reale potrebbero a mio avviso addursi principalmente due argomenti.
In primo luogo potrebbe ritenersi che la norma in materia di fusione abbia carattere eccezionale, poichè deroga al principio generale del divieto di esecuzione dell'operazione in pendenza del termine per l'opposizione e dunque essa non sarebbe suscettibile di interpretazione analogica.
In secondo luogo potrebbe obiettarsi che nella fusione l'operazione si svolge in due fasi, quella deliberativa e quella attuativa, entrambe assistite dall'intervento del notaio rogante in funzione di garante della legalità.
Ciò farebbe sì che la presenza dei presupposti per la fusione anticipata potrebbe essere oggetto di verifica da parte del notaio, sia pure sulla base di documentazione esibita dalle società partecipanti all'operazione.
In sede di riduzione del capitale sociale, invece, il notaio interviene solo al momento della delibera di riduzione e non anche in sede di esecuzione della stessa, onde il rispetto delle cautele per i creditori sociali non sarebbe soggetto ad alcun controllo da parte di un soggetto terzo.
Nondimeno nessuna di tali obiezioni a ben vedere risulta fondata.
Non la prima perché in realtà, più che di interpretazione analogica, si tratta di un'interpretazione estensiva, in quanto l'applicabilità nel caso di specie delle disposizioni dell'articolo 2503 c.c. costituisce una mera conseguenza della ratio del divieto di esecuzione dell'operazione in pendenza del termine per l'opposizione.
La tutela dei creditori sottesa a tale divieto è infatti del tutto garantita in presenza delle cautele di cui trattasi.
La medesima conclusione pertanto ben avrebbe potuto essere desunta in via interpretativa, pur in assenza della disposizione di cui all'art. 2503 c.c.
Se ne deve dedurre che in realtà detta norma è priva di un reale contenuto precettivo e dunque non è indicativa di una libera scelta di politica legislativa, rispetto alla quale, in presenza di identità di ratio legis, si possa porre la questione di un'applicazione analogica al di là dei casi espressamente previsti.
Ma nemmeno la seconda obiezione può essere accolta, poiché la possibilità di anticipare l'esecuzione dell'operazione rispetto al decorso dei termine per l'opposizione è prevista nel sistema riformato anche in materia di revoca dello stato di liquidazione (art. 2487-ter c.c.) e di trasformazione eterogenea (art. 2500-novies c.c.).
Orbene anche in tali ipotesi la fase esecutiva dell'operazione prescinde dall'intervento del notaio, che è invece circoscritto alla sola delibera di trasformazione o di revoca della liquidazione.
Ciò posto deve ribadirsi, come del resto si è già avuto modo di osservare in materia di fusione [nota 19], che non è richiesto che la possibilità di esecuzione anticipata sia autorizzata dall'assemblea chiamata a deliberare la riduzione.
Essa infatti è possibile solo se ed in quanto ricorrano le condizioni che la legittimano in applicazione estensiva dell'art. 2503 c.c. e di cui si è detto sopra; dunque la scelta di ricorrere a tale strumento è rimessa esclusivamente alla discrezionalità degli amministratori.
Per altro verso è evidente come, posto che il consenso, il pagamento o il deposito si riferiscono ai creditori legittimati all'opposizione e dunque a quelli anteriori all'iscrizione della decisione di riduzione del capitale nel Registro delle imprese, l'attuazione anticipata dell'operazione e la verifica delle relative cautele a tutela del ceto creditorio devono essere posteriori all'iscrizione predetta.
Diversamente opinando vi potrebbero essere creditori le cui ragioni di credito siano successive alla delibera di riduzione, ma anteriori all'iscrizione della medesima, che, pur sempre legittimati all'opposizione, sarebbero tuttavia indebitamente pretermessi dalle cautele relative all'esecuzione anticipata dell'operazione [nota 20].
I limiti della riduzione reale del capitale
Anche nel nuovo sistema peraltro la riduzione reale del capitale sociale non può dirsi esente da limiti.
Oltre al diritto di opposizione dei creditori, un ulteriore vincolo al riguardo è posto dallo stesso art. 2482 c.c., secondo il quale la riduzione può avere luogo solo «nei limiti previsti dal numero 4) dell'articolo 2463» e pertanto non può portare il capitale al di sotto del minimo legale [nota 21].
Inoltre anche nel nuovo sistema deve ritenersi che la riduzione reale del capitale presupponga la prosecuzione dell'attività sociale e che pertanto essa non possa essere deliberata in presenza di una causa di scioglimento della società [nota 22].
È vero, infatti, che contro l'ammissibilità di siffatta operazione non può oggi più addursi la contraddittorietà tra il requisito dell'esuberanza, che presuppone la volontà di continuare nell'attività sociale, e le finalità della liquidazione, che ne implicano la cessazione.
Ma è anche vero che rimane tuttora fermo il principio secondo cui il procedimento di liquidazione è diretto ad assicurare la soddisfazione dei creditori sociali a preferenza dei soci; tale principio ne risulterebbe invero sovvertito, ove si ammettesse l'operazione in oggetto.
Nel nuovo sistema sarà invece possibile distribuire ai soci acconti sul risultato della liquidazione nel rispetto dei limiti e dei presupposti di cui all'art. 2491 secondo comma c.c. [nota 23]
Non è invece previsto nella Srl, a differenza di quanto accade nella SpA in presenza di titoli obbligazionari (art. 2413, primo comma, c.c.), che l'avvenuta emissione di titoli di debito possa costituire un impedimento alla riduzione.
Ma tale circostanza non deve sorprendere, in quanto l'emissione di titoli di debito, a differenza dell'emissione di obbligazioni, non è ancorata ad un determinato rapporto tra l'ammontare dell'emissione stessa e l'importo del capitale sociale.
Nelle Srl, infatti, il rischio dell'insolvenza è arginato mediante l'interposizione, nel collocamento dei titoli, di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali ex art. 2483 c.c. [nota 24]
La riduzione reale in presenza di perdite
Il venir meno del requisito dell'esuberanza determina invece, a nostro avviso, la possibilità di procedere alla riduzione reale del capitale sociale anche in una serie di ipotesi nelle quali, a causa della necessità di tale requisito, si era negata in passato la legittimità dell'operazione.
Così ad esempio non pare che oggi possa costituire ostacolo alla riduzione reale la presenza di perdite del capitale [nota 25] e ferma la necessità di procedere anche alla riduzione per perdite, ove questa si rendesse obbligatoria ai sensi di legge [nota 26].
Nel sistema precedente la presenza di perdite entrava in contraddizione logica con il requisito dell'esuberanza.
Ma, una volta che tale requisito sia venuto meno, non pare che la legittimità dell'operazione possa negarsi.
Né in contrario potrebbe addursi la norma secondo cui, se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a distribuzione degli utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente (art. 2478-bis quinto comma c.c.), sul presupposto che detta norma implicherebbe a fortiori il divieto di rimborso del capitale [nota 27].
La norma in parola infatti mira ad evitare una distribuzione di utili di esercizio che, in presenza di precedenti perdite che abbiano intaccato il capitale, non costituiscano anche utili di bilancio [nota 28].
Si tratterebbe in tal caso di una distribuzione di utili fittizi, che cela in realtà una vera e propria restituzione del capitale.
In tal caso l'illegittimità risiederebbe nell'assoggettare la deliberazione di distribuzione alle norme che regolano la ripartizione degli utili (che non attribuiscono alcuna tutela ai creditori sociali) e non a quelle che regolano la restituzione del capitale.
Ma, ove si segua la procedura che consente legittimamente la riduzione reale del capitale, previa mancata opposizione dei creditori, non può ravvisarsi alcuna violazione di legge.
Naturalmente sarà assoggettabile a riduzione reale solo la parte di capitale che non sia stata erosa dalle perdite [nota 29].
La riduzione reale del capitale mediante creazione di riserva disponibile
Il venir meno del requisito dell'esuberanza sembra rimuovere anche il principale ostacolo all'ammissibilità della riduzione reale del capitale mediante creazione di riserva disponibile e senza un'immediata distribuzione ai soci della stessa.
In tal caso si verifica una riduzione del capitale senza una riduzione del patrimonio, in quanto l'importo relativo alla riduzione del capitale continua ad essere rappresentato nel patrimonio netto della società, ma senza il vincolo di indisponibilità proprio del capitale.
La diminuzione patrimoniale è pertanto meramente potenziale, in ragione della possibilità che la riserva in parola sia successivamente distribuita ai soci.
Contro l'ammissibilità di tale operazione veniva addotta in passato, oltre alla mancata previsione espressa da parte della legge, soprattutto la circostanza che l'omessa distribuzione ai soci contraddice l'asserita sproporzione del capitale sociale rispetto al conseguimento dell'oggetto sociale, insita nel concetto di esuberanza [nota 30].
L'assoluta libertà dei soci in ordine alla determinazione delle ragioni poste a base dell'operazione e la loro sostanziale irrilevanza nel nuovo sistema inducono oggi a ritenere senza dubbio ammissibile l'operazione [nota 31].
Né pare costituire un ostacolo a tale conclusione la mancata espressa previsione legislativa della fattispecie in oggetto, poiché la decisione di lasciare la somma rappresentata dall'ammontare della riduzione a disposizione della società è una scelta che rientra negli interessi meramente privati dei soci, interessi dei quali essi possono pertanto liberamente disporre.
Del pari oggi non dovrebbe dubitarsi della possibilità che tale interesse sia disponibile da parte della maggioranza [nota 32], dovendo anche in tal caso trovare applicazione il principio generale che governa le società a responsabilità limitata, in forza del quale non esistono, di regola, posizioni del socio che non possano essere modificate dalla maggioranza.
Carattere non ripristinatorio della riduzione
Quanto alle modalità di esecuzione della deliberazione, la legge prevede che la stessa sia effettuata mediante rimborso ai soci delle quote pagate o mediante liberazione di essi dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti.
Naturalmente la possibilità di eseguire la riduzione mediante liberazione dei soci dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti, riferendosi con ogni evidenza a quote non ancora liberate, presuppone che si tratti di quote sottoscritte mediante conferimenti in danaro, stante l'obbligo di immediata integrale liberazione delle quote sottoscritte mediante conferimenti in natura (art. 2464, quinto comma, c.c.) [nota 33] e salvo quanto si vedrà per i conferimenti d'opera e di servizi.
La materia della modalità di esecuzione della riduzione reale non è invero stata oggetto di particolare approfondimento da parte degli interpreti a seguito dell'avvento della riforma societaria.
Eppure a ben vedere si tratta di un settore che pone all'operatore pratico non poche insidie.
A tale riguardo deve preliminarmente osservarsi che il rimborso del capitale a seguito della riduzione reale non è caratterizzato per sua natura da un ripristino dello status quo ante in relazione al conferimento che ha liberato la quota di capitale oggetto della riduzione, e ciò in un duplice senso.
In primo luogo, infatti, ancorché il dettato della norma sia alquanto laconico, sembra evidente che di regola il rimborso debba essere effettuato in danaro, a prescindere dal tipo di conferimento effettuato dal socio che viene rimborsato.
Ne deriva, pertanto, che, ad esempio, il socio che abbia conferito un immobile non si vedrà attribuito in sede di esecuzione della riduzione del capitale l'immobile medesimo (che peraltro potrebbe anche non essere più presente nel patrimonio sociale perchè alienato a terzi), ma pur sempre in una somma di danaro [nota 34].
Da questo punto di vista può senza dubbio affermarsi che il "rimborso" avviene in senso quantitativo e non in senso qualitativo avendo ad oggetto il tantundem del conferimento a suo tempo eseguito.
In secondo luogo deve rilevarsi che il valore di rimborso in danaro corrisponde all'importo del valore nominale della quota di capitale sociale oggetto della riduzione reale e dunque esso non tiene in considerazione l'eventuale rivalutazione che l'originario conferimento può avere nel frattempo subìto, specie laddove si tratti di conferimento in natura, né l'eventuale sovrapprezzo versato [nota 35].
Esecuzione della riduzione in presenza di quote non interamente liberate
Inoltre la circostanza che il rimborso non ha carattere ripristinatorio potrebbe condurre a ritenere che sia possibile rimborsare la quota di capitale oggetto di riduzione in denaro, anche laddove si tratti di quota non interamente liberata, fermo restando in tal caso l'obbligo del socio di eseguire il conferimento ancora dovuto.
Ed infatti in tal senso sembrerebbe deporre la lettera della legge in materia di società per azioni, rimasta immutata sul punto anche dopo la riforma, laddove l'art. 2445, primo comma, c.c. dispone che «la riduzione del capitale sociale può aver luogo sia mediante liberazione dei soci dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti, sia mediante rimborso del capitale ai soci».
Tale disposizione, infatti, non impone di utilizzare l'uno o l'altro sistema a seconda che la quota di capitale sia o meno interamente liberata, ponendo le due alternative, almeno dal punto di vista letterale, sullo stesso piano di fattibilità, come del resto si era autorevolmente ritenuto nel vigore del precedente sistema [nota 36].
E ciò sembrerebbe coerente con il menzionato carattere non ripristinatorio della riduzione reale, pur ponendosi per altro verso, dal punto di vista sostanziale, notevoli problemi di coerenza sistematica con l'obbligo del versamento di almeno il 25% dei conferimenti in denaro, previsto dagli artt. 2342, comma 2, e 2439, comma 1, c.c.
Ed anzi alla stregua di tali ultime problematiche si potrebbe addirittura ritenere che la tendenziale fungibilità del rimborso del capitale ai soci con la liberazione dei medesimi dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti debba tuttavia trovare un limite nel rispetto del menzionato principio del necessario versamento di almeno il 25% dei conferimenti in denaro [nota 37].
Tuttavia, qualunque sia stata la scelta del legislatore in materia di SpA, diversa soluzione sembrerebbe essere stata adottata nelle società a responsabilità limitata.
Infatti il legislatore della riforma, nel dettare come di consueto un'autonoma regolamentazione dell'istituto in luogo del rinvio alla relativa norma sulla SpA effettuato dal vecchio testo dell'art. 2496 c.c., dispone che la riduzione reale del capitale sociale può avere luogo mediante rimborso ai soci "delle quote pagate" o mediante liberazione di essi dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti.
Ne consegue che, quanto meno in materia di Srl, sembrerebbe che l'esecuzione della riduzione mediante rimborso sia possibile solo per la quota interamente liberata ed in quanto tale "pagata", mentre per la quota non interamente liberata non vi sarebbe altra soluzione che l'esecuzione della riduzione mediante la liberazione dall'obbligo di eseguire i conferimenti ancora dovuti.
In altre parole l'art. 2482 c.c. non sembra concedere grandi spazi all'autonomia privata, laddove consente il rimborso in denaro solo ove si tratti di "quote pagate".
Ed invero, stante il principio generale dell'unicità della quota di Srl in relazione alla persona del socio che la detiene, non pare che la quota non interamente liberata possa considerarsi "pagata" per la sola parte di valore nominale corrispondente all'importo liberato.
Non è possibile dunque suddividere la quota del socio in due: quota pagata, oggetto di rimborso in danaro, e quota non pagata, oggetto di liberazione dall'obbligo di esecuzione del conferimento.
Nel caso di specie pertanto l'unico modo di eseguire la riduzione è quello di procedere innanzitutto alla liberazione del socio dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti e solo per l'eventuale eccedenza è possibile il rimborso [nota 38].
Tale conclusione peraltro fa sì che la delibera di riduzione non debba necessariamente contenere alcuna precisazione al riguardo, essendo comunque obbligatorio detto sistema di esecuzione [nota 39].
Si tratta peraltro di una scelta del legislatore che si pone in posizione di discontinuità con il normale carattere non ripristinatorio della riduzione.
Ma si tratta con ogni probabilità di una deroga alla coerenza del sistema ritenuta opportuna per ragioni eminentemente pratiche.
Peraltro, laddove si ritenga che la norma in materia di SpA, in conformità al suo tenore letterale, abbia adottato la soluzione opposta, è assai arduo fornire una spiegazione di tale difformità di regolamentazione tra i due tipi sociali in esame.
Nondimeno è possibile che il maggior rigore imposto per le società a responsabilità limitata dipenda dalla circostanza che tale tipo sociale è caratterizzato da un limite minimo di capitale assai più contenuto rispetto alla SpA e dunque si può ipotizzare che il legislatore abbia voluto che, a fronte di questa cronica sottocapitalizzazione, sia almeno imposto che la società non rimborsi denaro se non abbia acquisito dal socio l'integrale liberazione del conferimento.
Esecuzione della riduzione mediante assegnazione di beni in natura
Ciò posto, occorre chiedersi per altro verso se sia possibile che la società possa eseguire la riduzione mediante l'assegnazione di beni in natura anziché in danaro.
È bene peraltro precisare in via preliminare che tale eventuale possibilità non appare necessariamente in contraddizione con il carattere non ripristinatorio della riduzione di cui si diceva poc'anzi.
Il problema del rimborso mediante assegnazione di bene in natura si pone infatti anche:
- per le quote liberate mediante conferimenti in danaro, rispetto alle quali dunque l'assegnazione di un bene in natura rappresenta pur sempre un tantundem;
- per le quote liberate mediante conferimento in natura laddove l'assegnazione in natura abbia ad oggetto un bene diverso da quello conferito.
Ma, se ciò è vero, l'assegnazione in natura, ove si ritenga possibile alla stregua delle considerazioni che seguono, ben potrebbe al limite riguardare anche il bene che era stato originariamente conferito dal socio che consegue l'assegnazione stessa.
In tal caso il carattere di fatto ripristinatorio della riduzione e della conseguente assegnazione assumerebbe invero una connotazione meramente occasionale e non coessenziale al fenomeno della riduzione reale del capitale sociale.
Né pare che contro la legittimità di siffatte operazioni possa addursi unicamente la lettera della legge che nel prevedere un mero "rimborso" sembrerebbe alludere ad un'attribuzione in denaro [nota 40].
Tale argomentazione appare invero di assai scarso peso se si considera come, alla stregua delle esposte considerazioni, sul piano sistematico l'esecuzione della riduzione è caratterizzata unicamente da un ripristino di tipo quantitativo e non qualitativo.
Ciò posto, la possibilità di eseguire la riduzione di capitale mediante assegnazione di beni in natura va valutata alla stregua di un duplice ordine di problemi.
In primo luogo viene in rilievo il principio della parità di trattamento tra i soci [nota 41].
Si tratta di un principio comune a tutte le società di capitali, che opera come limite ai poteri della maggioranza, il cui punto critico risiede nella circostanza che esso non ha mai trovato un'espressa previsione normativa nelle società di capitali [nota 42] né nel vecchio né nel nuovo diritto societario [nota 43].
Più precisamente a monte della problematica in esame si pone la regola generale della modificabilità a maggioranza delle posizioni soggettive del singolo socio [nota 44] in omaggio al principio corporativo che caratterizza le società di capitali e le contraddistingue fortemente rispetto alle società di persone, ove invece l'opposto principio dell'unanimità costituisce la regola.
Peraltro i soci di minoranza non rimangono privi di qualsiasi tutela, atteso che devono ritenersi pur sempre applicabili i fondamentali principi di correttezza e buona fede.
In base a tali principi va in ogni caso rispettata per l'appunto la regola della parità di trattamento tra tutti i soci e comunque deve ritenersi impugnabile la delibera che sia preordinata al solo scopo di pregiudicare la posizione dei soci di minoranza [nota 45].
Orbene l'esecuzione della riduzione del capitale mediante assegnazioni beni in natura normalmente reca con sé una disparità di trattamento che sarebbe imposta, in virtù della delibera di riduzione, dalla maggioranza alla minoranza dissenziente, la quale in conseguenza dovrebbe tollerare di ricevere beni qualitativamente diversi da quelli assegnati ad altri soci.
In tale disparità si annida evidentemente un pericolo di pregiudizio per i soci dissenzienti, laddove i beni loro assegnati non abbiano la stessa qualità e soprattutto lo stesso proporzionale valore dei beni assegnati agli altri soci.
Nondimeno il pericolo di violazione dei principi fondamentali di correttezza e buona fede potrebbe essere scongiurato con relativa facilità ove si adottino accorgimenti atti ad assicurare il rispetto della parità di trattamento tra i soci [nota 46].
Ma v'è di più.
La parità di trattamento non può essere intesa in senso assoluto.
Essa infatti opera solo laddove venga imposta dalla maggioranza alla minoranza dissenziente; ed invero se la disuguaglianza è prevista ed accettata da tutti i soci nulla questio, trattandosi normalmente di diritti disponibili dei soci stessi e salva l'applicazione delle norme imperative dettate a tutela di principi fondamentali dell'ordinamento (quali ad esempio il divieto del patto leonino o l' abuso di dipendenza economica di cui all'art. 9 della L. 18 giugno 1998, n. 192) [nota 47].
In altre parole il principio di uguaglianza per sua natura non può operare nel momento contrattuale del fenomeno societario, ove evidentemente vige la facoltà per le parti di determinare liberamente il contenuto dell'atto negoziale, salvo i limiti inderogabili dell'ordinamento.
Esso invece opera con riferimento all'organizzazione societaria che scaturisce dal precedente fenomeno contrattuale, nel senso che la maggioranza non può imporre alla minoranza dissenziente una disparità di trattamento a suo danno.
Si tratta in definitiva di una limitazione riconducibile ad altri e più generali principi dell'ordinamento, che impediscono la soggezione di una delle parti di un rapporto giuridico all'arbitrio dell'altra parte [nota 48].
Dunque ogni rilievo basato sulla violazione del principio di parità di trattamento può essere agevolmente rimosso laddove la delibera di riduzione sia assunta da tutti i soci all'unanimità [nota 49].
In secondo luogo la legittimità dell'esecuzione di una riduzione reale del capitale mediante assegnazione di beni in natura potrebbe essere messa in dubbio sotto il profilo della tutela dell'integrità del capitale sociale.
In altre parole poiché i beni in natura, a differenza del denaro, non hanno una valutazione oggettivamente predeterminata, l'operazione potrebbe condurre all'attribuzione ai soci di valori reali eccedenti quelli dell'importo della riduzione di capitale.
In realtà tale obiezione presuppone che l'esecuzione dell'operazione in oggetto sia attuata senza tenere in considerazione il mero valore contabile allibrato in bilancio del bene oggetto di assegnazione, bensì assumendo a base della riduzione di capitale il valore effettivo del cespite assegnato.
Se tale obiezione risultasse fondata l'operazione sarebbe legittima solo ove si adottassero accorgimenti atti a garantire che il valore reale del bene assegnato corrisponda al valore nominale della quota di capitale rimborsata [nota 50].
Ma a ben vedere non pare che tale obiezione colga nel segno.
Ed invero tutelare l'integrità del capitale sociale significa esclusivamente, per quanto qui interessa, assicurare che l'allocazione al passivo del bilancio della posta contabile corrispondente al capitale sociale, e nel caso di specie al capitale risultante dopo la riduzione, sia controbilanciata all'attivo da corrispondenti valori, al netto del passivo in senso tecnico e delle poste di netto diverse dal capitale.
Ma se ciò è vero non v'è chi non veda come l'esecuzione della riduzione reale del capitale mediante assegnazione di beni in natura ai soci effettuata al valore contabile non lede l'integrità del capitale, poiché per definizione il capitale sociale non oggetto della riduzione rimarrebbe coperto dalle altre poste dell'attivo, relative ai beni non oggetto dell'assegnazione [nota 51].
Piuttosto deve rilevarsi che l'assegnazione a valori contabili può ledere la società assegnante sotto altri profili.
Più precisamente essa può dare luogo ad una lesione non già dell'integrità del capitale, bensì dell'integrità del patrimonio sociale.
La società infatti sarebbe privata delle plusvalenze latenti inerenti al bene oggetto di assegnazione e non rilevate in bilancio, per effetto dell'applicazione del principio del costo storico.
Si tratta di plusvalenze che la società avrebbe potuto realizzare se avesse venduto il bene in questione a valori correnti.
Si tratta pur sempre di un danno che può riverberarsi sui terzi, creditori della società, che vedono in tal modo diminuita la garanzia patrimoniale della società loro debitrice.
Nondimeno la mera lesione dell'integrità del patrimonio, che non si traduca in una lesione dell'integrità del capitale, di regola non è sanzionata dall'ordinamento positivo con l'invalidità della delibera o degli atti sociali che determinano la lezione medesima, ma con altri rimedi.
Ed invero come di consueto il creditore che abbia a subire in concreto un danno da tale circostanza potrà chiederne il risarcimento all'organo amministrativo della società che abbia eseguito la delibera di riduzione [nota 52] nonché all'ente che esercita sulla società l'attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c., ove ne ricorrano i presupposti, e nelle Srl, ai soci che hanno contribuito all'assunzione della delibera stessa ai sensi dell'art. 2476 settimo comma c.c.
Si è visto infatti che tale azione risarcitoria deve ritenersi spettante addirittura anche al creditore che abbia fatto regolare opposizione alla riduzione qualora, a seguito della concessione dell'esecuzione da parte del Tribunale senza imposizione di cauzione, egli abbia a subire in concreto un danno, considerato che, ai sensi dell'art. 2445 ultimo comma c.c., il giudizio di opposizione tende a verificare un mero pericolo di pregiudizio e non un pregiudizio effettivo, che potrà essere accertato solo all'esito dell'attuazione dell'operazione.
Tale conclusione del resto appare ancor più evidente se si considera che la predetta lesione dell'integrità patrimoniale della società può derivare anche da una normale riduzione di capitale mediante rimborso in danaro, laddove successivamente alla delibera si adottino atti negoziali ulteriori diretti a "trasformare" il credito del socio al rimborso in denaro in una attribuzione di bene in natura.
Sarà infatti possibile che il socio e l'organo amministrativo della società si accordino per effettuare una datio in solutum che conduca al trasferimento del bene in natura in luogo dell'adempimento dell'obbligazione da rimborso.
Ma analoghe considerazioni dovrebbero svolgersi anche in relazione alla possibilità che la società venda il bene in natura al socio per un prezzo corrispondente all'importo del credito da rimborso del capitale e si compensi tale credito con quello relativo al pagamento del prezzo della vendita.
In tali casi (datio in solutum e vendita con compensazione) l'operazione, per quanto attiene all'attribuzione del bene in natura, prescinde dalla delibera assembleare di riduzione e dunque non si pone alcun problema di tutela delle minoranze dissenzienti cui venga imposto di ricevere un determinato bene, poichè il socio che riceve il bene in natura lo fa sulla base di una trattativa individuale di tipo contrattuale con la società [nota 53].
Ma il danno che potrebbe derivare dall'alienazione del bene in natura per un valore inferiore a quello di mercato non può che trovare ristoro nei rimedi di tipo risarcitorio sopra descritti e non nell'invalidità dell'atto traslativo, salva l'applicazione dell'istituto del conflitto di interessi degli amministratori, ove ne ricorrano i presupposti.
Né può infine escludersi, ricorrendone i presupposti, l'esperimento dell'azione revocatoria.
Del resto la conferma della validità di tale impostazione può trarsi anche dal confronto con la disciplina dello scioglimento in relazione agli acconti sul risultato della liquidazione.
A tale riguardo l'art. 2491, secondo comma, c.c. dispone che «i liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali; i liquidatori possono condizionare la ripartizione alla prestazione da parte del socio di idonee garanzie».
La dottrina successiva alla riforma tende invero ad escludere che la violazione di tale norma incida sulla validità dell'atto, dovendo invece ritenersi che detta violazione determini obblighi di tipo risarcitorio a carico dei liquidatori [nota 54].
Ciò in quanto nella fase della liquidazione della società «neppure si pone tecnicamente un problema di tutela del capitale sociale (ma esclusivamente di salvaguardia del diritto dei creditori sociali ad essere soddisfatti con precedenza rispetto ai soci)» [nota 55].
Anche in tal caso, dunque, alla stregua delle esposte considerazioni, non si tratta di tutelare l'integrità del capitale sociale sibbene l'integrità del patrimonio.
Esecuzione della riduzione in presenza di quote liberate con conferimento di opera o di servizi
La problematica relativa alle modalità di esecuzione della riduzione reale si complica ulteriormente nelle Srl, laddove la quota da rimborsare sia stata liberata mediante conferimento di opera o di servizi ai sensi dell'art. 2464 comma 6 c.c.
La complessità deriva in realtà dalla estrema difficoltà di inquadramento sistematico dell'istituto di cui alla norma da ultimo citata.
È noto infatti che si fronteggiano al riguardo due scuole di pensiero opposte, l'una propensa a ritenere che oggetto del conferimento sia la polizza di assicurazione o la fideiussione bancaria e l'altra orientata nel senso che oggetto del conferimento sia invece la prestazione d'opera o di servizi, rispetto alla quale la fideiussione rivestirebbe il ruolo di mera garanzia.
Per quanto interessa in questa sede, tuttavia, il punto nodale del dibattito sull'istituto in esame risiede nella soluzione del problema inerente alla liberazione del capitale sottoscritto mediante conferimento d'opera o di servizi.
Si tratta in altre parole di stabilire se le quote in esame debbano considerasi interamente liberate all'atto del conferimento, con l'assunzione dell'obbligo di effettuare l'opera o il servizio accompagnata dalla relativa fideiussione, o se invece esse debbano considerarsi come ancora da liberare.
Se infatti si accedesse a quest'ultima tesi, stante il nuovo testo dell'art. 2482, che nelle Srl fa obbligo per le quote non ancora liberate di eseguire la riduzione di capitale mediante liberazione dei soci dall'obbligo dei conferimenti ancora dovuti, bisognerebbe concludere che l'operazione debba avvenire «restituendo al socio in questione la polizza o la fideiussione, conseguentemente liberandolo dall'obbligazione d'opera o di servizi assunta nei confronti della società» [nota 56].
L'accoglimento dell'opposta teoria invece farebbe sì che, trattandosi di quota interamente liberata, «sarà possibile attuare la deliberazione mediante rimborso ai soci della quota attraverso pagamento in danaro o altra modalità stabilita nella deliberazione di riduzione, senza alcuna interferenza con l'obbligazione di fare assunta a titolo personale dal socio e senza alcuna necessità di escutere la polizza o la fideiussione» [nota 57].
In realtà a ben vedere proprio la disciplina dell'esecuzione della riduzione reale, come sopra ricostruita, costituisce un ulteriore argomento per ritenere preferibile la tesi secondo cui il conferimento d'opera o di servizi debba ritenersi immediatamente ed interamente liberato, che ormai sembra prevalere in dottrina [nota 58].
Ed invero laddove, accedendosi alla tesi qui criticata, la riduzione reale dovesse essere necessariamente eseguita mediante restituzione della garanzia e liberazione dall'obbligazione d'opera o di servizi, l'istituto della riduzione reale potrebbe assumere quel carattere ripristinatorio dello status quo ante rispetto al conferimento che invece, alla stregua di tutti gli elementi sistematici sopra esposti, esso non sembra dover rivestire nel sistema positivo.
In particolare, se l'opera o il servizio ancora da eseguire al momento dell'esecuzione della riduzione avessero assunto un valore di mercato superiore a quello del valore nominale della quota di capitale oggetto della riduzione, il socio liberato conseguirebbe un indubbio vantaggio economico, cui farebbe riscontro un corrispondente pregiudizio per la società.
Parimenti i soci che hanno effettuato conferimenti in danaro o di beni in natura, potrebbero invece venire rimborsati con il versamento di una somma in denaro corrispondente al mero valore nominale della quota loro rimborsata, con un'evidente disparità di trattamento.
Se ne deve dedurre che di regola l'esecuzione della riduzione reale del capitale sociale, anche in presenza di conferimenti di opera o di servizi, debba essere effettuata in danaro.
Ciò peraltro, alla stregua delle esposte considerazioni, non esclude che si possa anche optare per una differente modalità di esecuzione e che questa nel caso di specie possa essere rappresentata dalla restituzione della garanzia e liberazione dall'obbligazione d'opera o di servizi.
Ma si tratterebbe nella sostanza pur sempre di un rimborso in natura, il quale, come si è detto, deve ritenersi assistito da una serie di cautele atte ad evitare il perpetrarsi di disparità di trattamento tra i soci o di una lesione dell'integrità del patrimonio della società.
Ne consegue che l'operazione potrà, ad esempio, essere effettuata con il consenso unanime di tutti soci e salva la possibilità per i creditori sociali, laddove abbiano a subire in concreto un danno dalle modalità di esecuzione in esame, di chiederne il risarcimento agli amministratori, all'ente che esercita sulla società l'attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c., ove ne ricorrano i presupposti, nonchè ai soci che hanno contribuito all'assunzione della delibera stessa ai sensi dell'art. 2476 settimo comma c.c.
Efficacia ed esecuzione della riduzione
Altra questione è quella della possibilità di distinguere tra esecuzione della riduzione, condizionata alla mancata opposizione dei creditori, ed efficacia della relativa modificazione statutaria.
La questione nasce dalla considerazione che il secondo comma dell'art. 2482 c.c., dal punto di vista letterale, pone la mancata opposizione dei creditori nei termini di legge non già come una condizione legale di efficacia della riduzione del capitale, ma come una condizione dalla quale dipende la mera esecuzione della stessa.
Da ciò taluni interpreti hanno dedotto che, nella specie, bisognerebbe «distinguere tra efficacia della decisione e sua eseguibilità:
- per quanto riguarda l'efficacia anche in questo caso si applica la disciplina generale dettata dall'art. 2436, quinto comma c.c. (richiamato dall'art. 2480 c.c.), che non viene derogata dalla disposizione in commento; pertanto la decisione di riduzione volontaria del capitale produrrà i suoi effetti subito dopo la iscrizione al Registro imprese;
- per quanto riguarda la eseguibilità della decisione, una volta che la stessa sia divenuta efficace, si applica la specifica disciplina dettata dall'art. 2482, secondo comma, c.c., in base alla quale la decisione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell'iscrizione nel Registro delle imprese, purchè entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione.
Da ciò discende che:
- una volta avvenuta l'iscrizione al Registro imprese della decisione di riduzione volontaria del capitale, producendo la stessa tutti i suoi "effetti", il capitale da indicare nello statuto, negli atti della società, e che dovrà risultare anche dal Registro imprese medesimo, dovrà essere il capitale nel suo minor importo, quale risulta dalla riduzione (ciò risponde anche a ragioni di "trasparenza" in modo da consentire ai creditori, attraverso la immediata esplicitazione negli atti del minor capitale, di proporre opposizione, nonché per consentire ai creditori successivi all'iscrizione della decisione di fare affidamento sul minor capitale, posto che il diritto di opposizione è comunque riservato ai creditori sociali anteriori all'iscrizione); per gli stessi motivi in caso di riduzione del capitale al di sotto dei 120.000 euro, qualora non sussistano le altre condizioni poste dall'art. 2477 terzo comma c.c., non sarà obbligatorio il collegio sindacale sin dalla data di iscrizione della decisione al Registro imprese;
- l'importo della riduzione potrà essere materialmente distribuito ai soci (o i soci saranno definitivamente liberati dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti) solo dopo che siano trascorsi novanta giorni dalla data di iscrizione al Registro imprese della decisione, semprechè entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione (contabilmente pertanto l'importo della riduzione verrà allocato in apposita riserva "vincolata" non distribuibile sino a che non siano trascorsi novanta giorni dalla data di iscrizione al Registro imprese della decisione e semprechè entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione).
La norma in questione infatti non è volta a tutelare i "terzi" in genere affinchè la società mantenga un determinato capitale sociale, contro la volontà manifestata dai soci, bensì a tutelare i creditori anteriori all'iscrizione al Registro imprese della decisione di riduzione, e che hanno fatto affidamento su un determinato capitale sociale, a vedere garantite le proprie ragioni da risorse corrispondenti all'originario capitale. L'art. 2482, secondo comma, c.c., parlando di "esecuzione" e non di "efficacia" della decisione, mira pertanto a garantire il mantenimento nella società delle "risorse" su cui avevano fatto affidamento i creditori anteriori alla iscrizione, sino a che non sia scaduto il termine loro riconosciuto per l'opposizione, e non certo ad attribuire a tali creditori un diritto di "incidere" sulla struttura societaria, sospendendo gli effetti di una decisione legittimamente adottata dai soci» [nota 59].
Ad avviso di chi scrive non pare tuttavia che tale tesi, pur sorretta da argomentazioni suggestive ed articolate, possa essere condivisa.
Se il legislatore avesse, infatti, inteso realmente distinguere nel caso di specie tra efficacia della delibera e sua eseguibilità, avrebbe dovuto verosimilmente disciplinare la sorte della posta di patrimonio netto afferente all'importo della riduzione del capitale deliberata.
La distinzione in esame implica, invero, che la posta relativa all'importo della riduzione sia sottratta immediatamente a quelle rappresentative del capitale sociale, ma, stante l'impossibilità di eseguire la riduzione, rimanga ad altro titolo nel patrimonio netto.
Si è in tal modo costretti, in assenza di alcun supporto normativo, a creare al riguardo un'apposita posta del patrimonio netto in cui allocare l'importo della riduzione e ad assoggettarla medio tempore ad un regime vincolistico del tutto analogo a quello del capitale.
Ma ciò che più conta è che, laddove venisse proposta opposizione dei creditori ed il relativo giudizio si concludesse in senso favorevole a costoro, tale posta di netto rimarrebbe indefinitamente assoggettata al regime proprio del capitale, pur non potendo, secondo la tesi in esame, essere considerata capitale vero e proprio [nota 60].
Non si comprenderebbe, invero, dal punto di vista teorico come e perchè possa in tal caso tale posta di netto essere distinta dal capitale.
Ma a ben vedere tali considerazioni conducono a ritenere che, laddove si operi sul capitale sociale, l'efficacia della riduzione equivale alla cessazione del vincolo proprio del capitale stesso su una corrispondente posta del patrimonio netto; in ciò invero si sostanzia l'appartenenza di una posta di netto al capitale sociale.
Laddove tale vincolo permanga, come pure ammettono i sostenitori della teoria qui criticata, non potrà dirsi che la modificazione statutaria del capitale abbia avuto effetto [nota 61].
In altre parole la riduzione del capitale si sostanzia in un aspetto formale, rappresentato dall'indicazione statutaria dell'importo del capitale, ed in un aspetto sostanziale, costituito dalla rimozione del vincolo proprio del capitale su una corrispondente posta di netto.
Ciascun aspetto costituisce la conseguenza dell'altro, onde non avrebbe senso scinderli facendoli verificare in due momenti diversi.
Quanto alla considerazione che, secondo i fautori della tesi qui criticata, l'immediata efficacia della riduzione risponderebbe anche a ragioni di trasparenza nei confronti dei creditori, deve replicarsi che dalla consultazione del Registro delle imprese si evince ugualmente l'avvenuta iscrizione della delibera di riduzione, senza che occorra necessariamente, per realizzare tale trasparenza, che risulti immediatamente ridotto l'importo del capitale sottoscritto.
In altre parole dal Registro delle imprese risulta in ogni caso che il capitale deliberato è inferiore a quello sottoscritto e tanto basta perché i creditori ed i terzi in generale risultino informati della delibera di riduzione.
L'effettivo aggiornamento dello statuto con l'indicazione del capitale sociale ridotto potrà dunque essere effettuata, come avviene in caso di aumento di capitale a pagamento non immediatamente sottoscritto, dopo il decorso del termine di legge senza opposizione da parte dei creditori sociali, ad opera degli amministratori, ai quali comunque compete il potere – dovere di comunicare al Registro delle imprese l'ammontare reale del capitale sottoscritto e versato a seguito dell'esecuzione dell'operazione [nota 62].
[nota 1] F. DI SABATO, Diritto delle società, Milano, 2003, p. 440; G. RACUGNO, «Le modificazioni del capitale sociale», in Riv. soc., 2003, p. 831; M. PINNARò, Commento art. 2482, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, vol. 3, Torino, 2003, p. 199; G. GIANNELLI, «Le operazioni sul capitale nella società a responsabilità limitata», in Giur. comm., I, 2003, p. 805; G. LAURINI, Manuale breve della Srl e delle operazioni straordinarie, Padova, 2004, p. 40 e ss.; G. PINNA, Commento all'art. 2482, in Il nuovo diritto delle società, Comm. a cura di A. Maffei Alberti, Padova, 2005, p. 2106; D. GALLETTI, Commento all'art. 2482, in Codice commentato delle Srl, diretto da P. Benazzo e S. Patriarca, Torino, 2006, p. 490; O. CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in Tratt. dir. comm. diretto da G. Cottino, V, 1, Padova, 2007, p. 341 e ss.; Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 35), secondo cui «la riduzione "effettiva" del capitale della Srl, ai sensi dell'art. 2482 c.c., può essere deliberata senza indicarne motivazioni e fini».
Nel senso invece che sia tuttora necessaria nelle Srl la presenza di una motivazione a suffragio della riduzione A. BUSANI, La riforma delle società. Srl. Il nuovo ordinamento dopo il D.lgs. 6 del 2003, Milano, 2003, p. 592.
[nota 2] Secondo G. ZANARONE, «Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata», in Riv. soc., 2003, p. 85, pur nel silenzio della legge sul punto, l'atto costitutivo potrebbe subordinare la riduzione reale del capitale a requisiti specifici quali quello dell'esuberanza.
[nota 3] U. BELVISO, Le modificazioni dell'atto costitutivo nelle società per azioni, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, XVII, Torino, 1985, p. 128 e ss.; R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, La riduzione di capitale, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 6, tomo 1, Torino, 1993, p. 262 e ss.
In tal senso, ma con riferimento all'opposizione dei creditori in sede di fusione v. Trib. Genova 13 luglio 1992, in Le società, 1993, p. 501.
[nota 4] R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 276, ma contra v., pur nell'ambito dell'orientamento che pone a base dell'opposizione il pregiudizio del creditore, U. BELVISO, op. cit., p. 130.
[nota 5] G. CABRAS, Le opposizioni dei creditori nel diritto delle società, Milano, 1978, p. 91 e ss.; G. FERRI, Le società in Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, X, 3, Torino, 1987, p. 159 e 937.
[nota 6] V. in materia di opposizione alla fusione, nel senso dell'applicabilità della sospensione feriale, la nota del Giudice del Registro delle imprese presso il Tribunale di Milano in data 5 luglio 2000, sulla scorta delle sentenze della Corte Costituzionale 2 febbraio 1990, n. 49 e 4 giugno 1993, n. 268, secondo cui la nozione di "termini processuali" adottata dalla L. 742/1969 includerebbe anche quelli introduttivi del processo; nello stesso senso da ultimi Trib. Brescia 16 gennaio 2006, in Notariato, 2006, p. 134; C. CERA, «Termini per l'attuazione della fusione e per l'opposizione alla stessa», in Le società, 2006, p. 683.
Contra, sempre in materia di fusione, il provvedimento del Giudice del Registro delle Imprese di Milano 7 novembre 2004, n. 59/04; Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 62).
In senso dubitativo sul punto R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 275.
[nota 7] V. infatti in tal senso, in materia di fusione, Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 62), ove si riporta la tesi, sulla quale v. infra nel testo, secondo cui il nuovo procedimento di opposizione in oggetto nel testo avrebbe «carattere preventivo e cautelare».
[nota 8] G. RACUGNO, «Le modificazioni del capitale sociale», cit., p. 833; M. PINNARò, Commento art. 2482, in La riforma delle società a cura di M. Sandulli e V. Santoro, vol. 3, Torino, 2003, p. 208; O. CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, cit., p. 342; G. PINNA, Commento all'art. 2482, cit., p. 2111, secondo il quale la valutazione della potenzialità del pregiudizio andrebbe effettuata sulla base dell'intera massa passiva dei debiti facenti capo alla società e non solo del quantum dovuto ai creditori opponenti.
Per un panorama delle varie fattispecie di opposizione di creditori dopo la riforma v. da ultimo M. PINARDI, Le opposizioni dei creditori nel nuovo diritto societario, Milano, 2006.
[nota 9] Nello stesso senso G. GIANNELLI, «Le operazioni sul capitale nella società a responsabilità limitata», cit., p. 806; G. PINNA, Commento all'art. 2482, cit., p. 2113; D. GALLETTI, Commento all'art. 2482, cit., p. 498.
[nota 10] Secondo M. PINNARò, Commento art. 2482, cit., p. 207; A. BUSANI, Srl Il nuovo ordinamento dopo il D.lgs. 6/2003, cit., p. 592; G. PINNA, Commento all'art. 2482, cit., p. 2113 e ss. fattispecie impeditive dell'opposizione sarebbero rappresentate, senza che occorra attendere il decorso del termine di legge, anche dal consenso dei creditori all'operazione o dal pagamento dei creditori che non abbiano prestato il consenso stesso.
[nota 11] M. PINNARò, Commento art. 2482, cit., p. 208; G. PINNA, Commento all'art. 2482, cit., p. 2112.
[nota 12] Nello stesso senso G. CAPPARELLA, «Riflessioni sulla natura dell'opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c.», in Riv. not., I, 2006, p. 1523, che espressamente attribuisce al procedimento camerale in oggetto natura contenziosa.
Peraltro il provvedimento di rigetto preclude la riproposizione dell'istanza che non sia fondata su nuovi presupposti di fatto e il provvedimento di accoglimento può essere revocato o modificato dallo stesso giudice solo in presenza di nuove circostanze (art. 26 D.lgs. n. 5 del 2003).
[nota 13] Nel senso dell'ammissibilità dell'opposizione in forma stragiudiziale A. PROTO PISANI, «L'opposizione dei creditori nel giudizio societario», in Foro it., V, 2004, c. 55; R. ORIANI, Diritti potestativi, contestazione stragiudiziale e decadenza, Padova, 2003, p. 147 e ss.; G. CAPPARELLA, «Riflessioni sulla natura dell'opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c.», cit., p. 1522; Trib. Milano 22 febbraio 2005, in Federnotizie, settembre 2005, p. 215.
[nota 14] Trib. Bergamo 8 ottobre 2004, in Le società, 2005, p. 645; nel senso della riferibilità del procedimento camerale al solo procedimento diretto a decidere sulla concessione dell'esecuzione v. anche D. GALLETTI, Commento all'art. 2482, cit., p. 500 e, in materia di fusione, Trib. Milano 22 febbraio 2005, cit., p. 215; Trib. Brescia 16 gennaio 2006, cit., p. 135 e G. CAPPARELLA, «Riflessioni sulla natura dell'opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c.», cit., p. 1523.
Tuttavia nell'ambito di tale orientamento non v'è concordia di opinioni sulle ulteriori questioni della possibilità di proporre l'opposizione vera e propria in via stragiudiziale e delle forme del relativo procedimento.
Secondo Trib. Bergamo 8 ottobre 2004, cit., p. 645 e Trib. Brescia 16 gennaio 2006, cit., p. 135, sarebbe esclusa la possibilità dell'opposizione stragiudiziale e l'opposizione stessa dovrebbe essere «essere proposta con atto di citazione, e non con ricorso al Tribunale in camera di consiglio, ex artt. 25 e 33 D.lgs. n. 5/2003. Tale ricorso è proponibile solo dalla società opposta per ottenere l'autorizzazione all'esecuzione della delibera, pendente l'opposizione».
Secondo Trib. Milano 22 febbraio 2005, cit., p. 215, sarebbe possibile proporre l'opposizione sia in forma stragiudiziale che giudiziale, ma in quest'ultimo caso non con il rito camerale.
Secondo G. CAPPARELLA, «Riflessioni sulla natura dell'opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c.», cit., p. 1523, l'opposizione può essere proposta anche in forma stragiudiziale, ma non sarebbe possibile instaurare un procedimento giudiziale (sia ordinario che camerale) ad iniziativa del creditore opponente poiché la possibile natura stragiudiziale dell'opposizione escluderebbe in radice l'assenza di alternative alla pronuncia dell'A.G. L'interesse dell'opponente sarebbe infatti tutelato per il solo fatto dell'opposizione e dunque mancherebbe l'interesse ad agire in via giudiziaria.
In argomento v. anche in materia di opposizione alla fusione Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 62), che giudica «meritevole di una certa considerazione» la tesi secondo cui «l'istanza (e così l'intero procedimento disciplinato dal D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), sia quella eventualmente proposta dalla società che abbia ricevuto, in via stragiudiziale, l'opposizione; e ciò al fine di ottenere dal Tribunale il provvedimento che - a ragione dell'infondatezza dell'opposizione, oppure per effetto della prestazione di idonea garanzia da parte della società - dispone ugualmente l'eseguibilità della fusione (si è parlato, con efficacia, di «reazione camerale della società all'opposizione»)». Secondo tale impostazione la tesi in esame coniugherebbe «l'interesse del creditore alla semplificazione dell'opposizione con quello della società ad evitare il ritardo derivante dalla sospensione feriale. Gode inoltre di un supporto testuale rilevante, posto che il ripetuto articolo 33 del decreto numero 5 - nel disporre l'applicazione del procedimento ivi regolato anche alla riduzione effettiva del capitale - fa riferimento al quarto comma dell'articolo 2445; tale disposizione tratta del provvedimento del Tribunale inteso a consentire la riduzione, pur in presenza dell'opposizione, la quale ultima è invece presa in considerazione al comma terzo».
[nota 15] R. MEDICINA, «Opposizione del creditore alla riduzione del capitale sociale e rito applicabile», in Le società, 2005, p. 645; nello stesso senso D. BONACCORSI DI PATTI, Commento art. 2445, in La riforma delle società a cura di M. Sandulli e V. Santoro, vol. II, Torino, 2003, p. 936 e ss.; M. CAVANNA, Commento agli artt. 2445-2447, in Il nuovo diritto societario, Comm. diretto da G. Cottino, e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, p. 1587 e ss.; F. GUERRERA, Commento all'art. 2445, in Società di capitali, Comm. a cura di G. Niccolini e A. Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, p. 1197.
[nota 16] V. ad es. G. CAPPARELLA, «Riflessioni sulla natura dell'opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c.», cit., p. 1518, secondo cui l'art. 2445 ultimo comma (il cui tenore è analogo a quello dell'art. 2482, terzo comma, c.c.) concerne « - senza alcuna possibilità di equivoci - l'istanza presentata dalla società che intende procedere alla riduzione di capitale affinchè il Tribunale la autorizzi ad effettuare l'operazione nonostante l'opposizione».
[nota 17] In senso favorevole all'applicazione dell'art. 2503 c.c. v. per tutti R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 280, ove ampi riferimenti bibliografici.
[nota 18] Non può invece porsi il problema dell'applicazione alla riduzione dell'ulteriore fattispecie di fusione anticipata introdotta dalla riforma e relativa al caso in cui «la relazione di cui all'articolo 2501-sexies sia redatta, per tutte le società partecipanti alla fusione, da un'unica società di revisione la quale asseveri, sotto la propria responsabilità ai sensi del sesto comma dell'articolo 2501-sexies, che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione rende non necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori».
La relazione di cui all'articolo 2501-sexies c.c. costituisce infatti un istituto del tutto estraneo alla riduzione reale del capitale sociale.
[nota 19] F. MAGLIULO, La fusione delle società, Milano, 2005, p. 241.
[nota 20] Cfr. Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 35), che tuttavia da tali considerazioni fanno derivare la conclusione che «l'esecuzione non può avere luogo prima del decorso del termine stabilito dal secondo comma dell'art. 2482 c.c.».
[nota 21] G. PINNA, Commento all'art. 2482, cit., p. 2105, secondo cui la delibera che violi tale limite è invalida e non semplicemente inefficace.
[nota 22] Orientamenti del Tribunale di Milano, 1976; Trib. Torino 8 dicembre 1977, in Riv. not., 1978, p. 217; Trib. Roma 15 gennaio 1979, in Giur. comm., II, 1979, p. 425 e in Riv. not., III, 1979, p. 1265; Trib. Roma 12 luglio 1983, in Giur. comm., II, 1984, p. 636; Trib. Verona 17 novembre 1988, in Le società, 1989, p. 185; Trib. Milano 26 settembre 1994, in Le società, 1995, p. 223 e in Riv. not., II, 1995, p. 1031. Nel nuovo sistema O. CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, cit., p. 342.
Contra nel nuovo sistema M. PINNARò, Commento art. 2482, cit., p. 198 e 200; G. RACUGNO, «Le modificazioni del capitale sociale», cit., p. 832; D. GALLETTI, Commento all'art. 2482, cit., p. 490; Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 93), secondo cui «è legittima la delibera di riduzione del capitale sociale ai sensi degli artt. 2445 e 2482 c.c. adottata durante la fase di liquidazione della società, fermo restando che la sua esecuzione mediante rimborso ai soci o liberazione degli stessi dall'obbligo di effettuare i versamenti ancora dovuti è soggetta ai limiti ed alle condizioni di cui all'art. 2491 c.c.».
[nota 23] Già sotto il vigore della precedente normativa peraltro si affermava che, ove si ammettesse la possibilità di distribuire acconti sulla quota di liquidazione, ipotesi allora non espressamente prevista, ciò non derogava al principio della preferenza dei creditori sociali rispetto ai soci in fase di liquidazione. Infatti detti acconti sono sempre ripetibili, ove all'esito del procedimento di liquidazione risultassero eccessivi (per tutti R. NOBILI - M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 231).
[nota 24] In quest'ottica G. GIANNELLI, «Le operazioni sul capitale nella società a responsabilità limitata», cit., p. 806 e ss.; M. PINNARò, Commento art. 2482, cit., p. 199; G. PINNA, Commento all'art. 2482, cit., p. 2105; LUONI, Commento all'art. 2483, in Il nuovo diritto societario, Comm. diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso e P. Montalenti, Bologna, 2004, p. 1984; CNN, I titoli di debito delle società a responsabilità limitata, Studio n. 5562/I, Approvato dalla Commissione studi d'impresa il 31 marzo 2005, est. M. STELLA RICHTER Jr; D. GALLETTI, Commento all'art. 2482, cit., p. 491.
[nota 25] In senso contrario alla riducibilità, sotto la vecchia normativa, Trib. Milano 10 gennaio 1983, in Le Società, 1983, 1038; Trib. Udine 8 gennaio 1990, in Dir. fall., II, 1990, p. 815; Trib. Roma 7 luglio 1997, in Riv. not., II, 1997, p. 1507.
[nota 26] O. CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, cit., p. 342.
Può infatti accadere che, prima della delibera di riduzione reale del capitale, si siano verificate perdite che rendano obbligatoria la riduzione, come nel caso in cui, a fronte di un capitale di euro 12.000, si siano verificate perdite per euro 5.000, portando il capitale al di sotto del limite legale. In tal caso la riduzione del capitale per perdite è obbligatoria e la mancata ricostituzione dello stesso al minimo legale determina lo scioglimento della società. Ne deriva che la riduzione reale è inammissibile sia perché non vi è un capitale effettivo (al netto delle perdite) superiore al minimo legale sia perché, se la società non viene ricapitalizzata, la riduzione reale sarebbe deliberata in presenza di una causa di scioglimento.
[nota 27] Come fa invece Trib. Roma 7 luglio 1997, cit. in base al vecchio art. 2433 terzo comma c.c. (nello stesso senso v. in dottrina R. NOBILI - M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 232) .
[nota 28] Sulla distinzione tra utili di esercizio e utili di bilancio v. G.E. COLOMBO, Il bilancio di esercizio, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B Portale, vol. 7, tomo 1, Torino, 1994, p. 883 e ss. spec. a p. 493 ove si legge «se il bilancio occultava perdite le quali avevano azzerato quelle riserve, siamo in presenza di una distribuzione di valori attivi non distribuibili (perché le pretese riserve più non esistevano sì che la distribuzione intaccherebbe il capitale)».
[nota 29] Contra M. PINNARò, Commento art. 2482, cit., p. 199; Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 35), cit., secondo cui presupposto della riduzione reale è l'assenza di perdite «non solo di importo tale da eccedere un terzo del capitale, ma anche di misura tale che il limite del terzo venga ad essere superato proprio per effetto della riduzione», pur precisandosi che «quanto alla produzione, in analogia a quanto disposto per la riduzione conseguente a perdite, di una relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società, essa, per quanto opportuna, non può essere ritenuta necessaria tutte le volte che non emergano perdite dall'ultimo bilancio approvato» .
Nel senso che la riduzione sarebbe impedita solo da perdite che avessero già raggiunto il terzo per il secondo esercizio v. D. GALLETTI, Commento all'art. 2482, cit., p. 490.
[nota 30] Trib. Milano 11 giugno 1984, in Giur. comm., II, 1985, p. 659; Trib. Milano 26 giugno 1984, in Riv. not., 1985, p. 705; Trib. Ravenna 26 settembre 2000, in Le società, 2001, p. 202. Contra App. Milano 13 dicembre 1984, in Riv. not., 1985, p. 706; Trib. Milano 9 marzo 2000, in Giur. it., 2000, p. 1879; CERA, «Riduzione del capitale sociale per esuberanza ed imputazione a riserva dell'importo corrispondente al capitale ridotto», in Giur. comm., II, 1985, p. 661; R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 243 e ss.; G. F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2002, p. 501, nt. 1.
[nota 31] In tal senso v. infatti G. RACUGNO, «Le modificazioni del capitale sociale», cit., p. 834; M. PINNARò, Commento art. 2482, cit., p. 209; C.A. BUSI, Le novità in materia di aumento e riduzione del capitale previste dalla riforma, in CNN, Studi sulla riforma del diritto societario, Milano, 2004, p. 446; O. CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, cit., p. 342; Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari (massima I.G.22).
[nota 32] Secondo alcuni (U. BELVISO, op. cit., p. 126; S. FASOLINO, «Riduzione del capitale esuberante e limiti del giudizio di omologa», in Le società, 1996, p. 1189; B. QUATRARO - A. FUMAGALLI - S. D'AMORA, Le deliberazioni assembleari e consiliari, Milano, I, 1996, p. 687; Massime del Tribunale di Roma) la maggioranza non potrebbe senza il consenso unanime di tutti i soci incidere sul diritto soggettivo dei soci di minoranza alla restituzione dei conferimenti effettuati a fronte del capitale ridotto (contra CERA, op. e loc. cit.; R. NOBILI - M.S. SPOLIDORO, op. e loc. cit.; G.F. CAMPOBASSO, op. e loc. cit.).
Nel nuovo sistema tale obiezione è assai debole, alla stregua del principio generale di cui sopra nel testo e considerato che la legge oggi consente con assoluta sicurezza la possibilità di deliberare a maggioranza anche la revoca della liquidazione (cfr. artt. 2473 primo comma e 2487-ter c.c.), ove pure viene sottratto al socio di minoranza il diritto alla quota di liquidazione.
Del resto si tratterebbe in tal caso pur sempre di deliberare la distribuzione ai soci di una posta del patrimonio netto, materia che senza dubbio rientra nei poteri della maggioranza assembleare, cui compete per legge la facoltà di deliberare sulla distribuzione delle riserve.
[nota 33] R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 240.
[nota 34] R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 243.
[nota 35] In tal senso quanto al sovrapprezzo R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 243.
[nota 36] Cfr. F. FENGHI, La riduzione del capitale. Premesse per una ricerca sul capitale nelle società per azioni, Milano 1974, p. 83; R. NOBILI - M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 241.
[nota 37] Costituisce infatti principio oggi comunemente affermato quello secondo cui «l'obbligo di versamento dei venticinque centesimi dei conferimenti in denaro, previsto dagli artt. 2342, comma 2, (in sede di costituzione), e 2439, comma 1, c.c. (in sede di aumento di capitale), va riferito, oltre che all'ammontare complessivo del capitale sociale, anche all'ammontare del conferimento dovuto per ciascuna azione, in modo che tutte le azioni risultino sempre liberate per i 25 centesimi del loro valore nominale … Analoghi principi si intendono applicabili nella Srl, in relazione ai corrispondenti obblighi di versamento dei conferimenti in denaro, disposti dall'art. 2464, comma 4, c.c. (in sede di costituzione) e dall'art. 2481-bis, comma 4, c.c. (in sede di aumento di capitale)».
Ed a tale riguardo si è ulteriormente precisato che «tale assunto si giustifica, oltre che da considerazioni di carattere generale sull'opportunità di indurre i soci ad un serio intento nel momento in cui sottoscrivono l'atto costitutivo, da argomentazioni relative al corretto funzionamento di altri istituti del diritto societario legati al conferimento in denaro dei soci. Tra questi, si può fare menzione in particolare del meccanismo previsto dell'art. 2344 c.c. per il caso di mancato integrale pagamento delle quote dovute dai soci, meccanismo che in tutta evidenza trova piena e corretta applicazione solo in presenza di un versamento seppur parziale da parte dei soci, relativamente a tutte le azioni emesse dalla società» (Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 76)).
Orbene la riduzione reale eseguita esclusivamente mediante rimborso in danaro in presenza di azioni non interamente liberate fa sì che di fatto il socio rimborsato potrebbe recuperare tramite il rimborso una somma superiore a quella immediatamente versata all'atto della sottoscrizione e rimanere debitore della società per liberazione dei conferimenti originari di una somma addirittura superiore al valore nominale dell'azione a seguito della riduzione.
Così ad esempio se il socio detiene un'azione del valore nominale di euro 1.000, ha versato solo euro 250 ed è ancora debitore di euro 750, laddove si riduca il capitale della metà, egli vedrà ridotto il valore nominale della propria azione ad euro 500, gli potrebbero essere rimborsati euro 500 e rimarrebbe debitore della società di euro 750.
Tale effetto se appare giustificabile sotto il profilo del carattere non ripristinatorio della riduzione, difficilmente lo è sotto il profilo del citato art. 2344 c.c.
[nota 38] Tale assetto normativo dunque appare ancora più rigoroso di quello che risulterebbe dalla mera applicazione al caso di specie del principio dell'obbligatorietà del versamento dei venticinque centesimi dei conferimenti in denaro di cui agli artt. 2464, comma 4, e 2481-bis, comma 4, c.c. (v. retro la nota precedente).
Infatti stante l'unicità della quota di Srl in relazione alla persona del socio che la detiene, la riduzione reale del capitale determina l'annullamento di parte della quota detenuta dal socio e precisamente, di regola, l'annullamento della parte proporzionale al rapporto esistente tra l'importo della riduzione ed il capitale sociale (ma per la possibilità di deliberare, con il consenso di tutti i soci, la riduzione del capitale in misura non proporzionale rispetto alle singole partecipazioni, modificando in tal modo le percentuali di partecipazione dei singoli soci v. Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti Societari (massime H.G.13 e I.G.24)).
Orbene se il socio ha liberato la propria quota solo nella misura minima del 25%, per rispettare il principio sopra enunciato, secondo cui tutte le quote devono essere sempre liberate almeno per i 25 centesimi del loro valore nominale, basterebbe che la riduzione del capitale sociale, per quanto riguarda il socio in questione, fosse eseguita in parte mediante rimborso in danaro ed in parte mediante liberazione del socio dall'obbligo di eseguire i versamenti ancora dovuti.
Ciò potrebbe in astratto avvenire quanto meno nella medesima proporzione in cui è stato effettuato il versamento.
Così, ad esempio, se il socio detiene una quota del valore nominale di euro 1.000, ha versato solo euro 250 ed è ancora debitore di euro 750, laddove si riducesse il capitale della metà, egli vedrebbe ridotto il valore nominale della propria quota ad euro 500, gli verrebbero rimborsati euro 125 e verrebbe liberato dall'obbligo del versamento per euro 375.
Ma il principio secondo cui tutte le quote devono essere sempre liberate almeno per il 25% del loro valore nominale sarebbe rispettato anche laddove nella ripartizione tra rimborso in danaro e liberazione del socio dall'obbligo di eseguire i versamenti ancora dovuti si attribuisse prevalenza a quest'ultima modalità.
Così nell'esempio precedente in cui il socio detiene una quota del valore nominale di euro 1.000, ha versato solo euro 250 ed è ancora debitore di euro 750 e si riduce il capitale della metà, egli vedrebbe sempre ridotto il valore nominale della propria quota ad euro 500. Ma si potrebbe in astratto eseguire l'operazione interamente mediante liberazione del socio dall'obbligo del versamento per euro 500.
A maggior ragione se il socio ha liberato la propria quota solo parzialmente, ma in misura superiore al 25%, non è detto in astratto che la riduzione del capitale sociale debba essere eseguita ripartendo il rimborso in danaro e la liberazione del socio dall'obbligo di eseguire i versamenti ancora dovuti nella medesima proporzione in cui è stato effettuato il versamento. Nell'ottica del principio di cui agli artt. 2464, comma 4, e 2481-bis, comma 4, c.c. sarebbe infatti sufficiente che comunque, ad esecuzione dell'operazione avvenuta, i conferimenti eseguiti fossero pari ad almeno il 25% del valore nominale della quota conseguente alla riduzione.
Così ad esempio se il socio detiene una quota del valore nominale di euro 1.000, ha versato solo euro 500 ed è ancora debitore di euro 500, laddove si riducesse il capitale della metà, egli vedrebbe ridotto anche questa volta il valore nominale della propria quota ad euro 500. Ma, a fronte di tale riduzione, sarebbe possibile in alternativa che:
- gli vengano rimborsati euro 250 e venga liberato dall'obbligo del versamento per euro 250,
- gli vengano rimborsati euro 125 e venga liberato dall'obbligo del versamento per euro 375,
- gli vengano rimborsati euro 375 e venga liberato dall'obbligo del versamento per euro 125,
- venga liberato dall'obbligo del versamento per euro 500, senza alcun rimborso.
Ma, come si è detto sopra nel testo, l'ordinamento positivo non permette di scegliere liberamente tra tutte queste possibilità, che consentirebbero di incidere sensibilmente sulla situazione individuale di ogni singolo socio, determinando per costui una maggiore o minore vantaggiosità dell'operazione.
Nel caso di specie infatti l'unico modo di eseguire la riduzione consentito dalla legge è quello di procedere prioritariamente alla liberazione del socio dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti.
[nota 39] Invece secondo Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 35), cit. «è necessario, talvolta, che la delibera indichi la modalità con cui la riduzione deve essere attuata. Ciò si verifica tutte le volte che sia possibile, in concreto, la scelta tra forme diverse (rimborso delle quote/liberazione dall'obbligo di effettuare i versamenti ancora dovuti) ovvero sia opportuna una valutazione da parte della assemblea di circostanze particolari legate alla natura e alla esecuzione dei conferimenti (prestazione di opera o servizi / prestazione di polizza o fideiussione)». (Ma sul punto v. infra nel testo n.d.r.) .
[nota 40] In tal senso CERA, Il passaggio di riserve a capitale, Milano, 1988, p. 57 e ss.
Si esprime in senso contrario alla legittimità dell'operazione, ma sulla base della difficoltà di effettuare una corretta valutazione dei beni da assegnare in natura F. FENGHI, La riduzione del capitale…, cit., p. 82.
In senso favorevole all'assegnazione in natura Trib. Udine, 28 novembre 1988, in Giur. it., I, 2, 1990, p. 848 (nella specie si trattava di unico socio) e Orientamenti del Tribunale di Milano, con riferimento all'assegnazione agevolata di beni ai soci ex art. 29 legge 27 dicembre 1997, n. 449, secondo cui «l'assegnazione agevolata di beni ai soci ex art. 29 legge 27 dicembre 1997, n. 449 non consente deroga ai principi societari in materia di liquidazione e di operazioni sul capitale. Si tratta di normativa fiscale (peraltro non definitiva) e dunque inidonea ad introdurre deroghe non esplicite a norme di diritto societario: e dunque, innanzitutto non par dubbio che l'assegnazione debba avvenire in favore di tutti i soci e sulla base delle singole partecipazioni al capitale perché si tratta di anticipare la liquidazione dei beni sociali; inoltre, poiché l'assegnazione di un bene determina l'eliminazione di una posta attiva del bilancio, si deve trovare nel passivo la posta corrispondente da eliminare e il riferimento sicuro è al patrimonio netto, per cui nessun problema sussiste ove esista una corrispondente riserva disponibile da eliminare, mentre, se si toccano le riserve indisponibili o il capitale, è necessario che ricorrano i presupposti dell'esuberanza; infine non si ritiene che l'assegnazione di beni possa costituire motivo di recesso per i soci beneficiati perché i casi previsti dall'art. 2437 c.c. sono tassativi, e dunque neppure attraverso questo espediente è possibile giungere alla riduzione del capitale al di fuori dell'ipotesi di esuberanza».
[nota 41] Nel senso che in sede di riduzione vada osservato il principio di parità di trattamento tra i soci v. per tutti R. NOBILI - M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 241.
In tal senso v. anche Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 35) cit., secondo cui «la riduzione effettiva deve essere attuata nel rispetto sostanziale del criterio di parità di trattamento dei soci. A ciò la delibera deve rigorosamente attenersi. Modalità diverse (ad esempio quella che prevedesse di ricorrere al sorteggio delle partecipazioni da rimborsare) non paiono adottabili a maggioranza. Per essere giustificate sul piano causale, richiederebbero il consenso di tutti i soci».
Sul problema della legittimità del metodo nel sorteggio nelle SpA e della conseguente emissione di azioni di godimento v. per tutti R. NOBILI - M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 238 e ss. spec. nt. 10, ove ampi riferimenti bibliografici.
Nel senso dell'illegittimità della clausola statutaria che imponga genericamente al socio di accettare, in caso di riduzione reale del capitale, il rimborso anche mediante assegnazione di beni sociali, in quanto essa violerebbe il principio della parità di trattamento dei soci (Trib. Rovereto 5 giugno 1970, in Riv. not., 1970, p. 797; Trib. Napoli 21 aprile 1983, in Le società, 1983, p. 1284).
[nota 42] La riforma in realtà fa cenno per la prima volta a tale principio in materia di cooperative, laddove all'art. 2516 c.c. dispone che «nella costituzione e nell'esecuzione dei rapporti mutualistici deve essere rispettato il principio di parità di trattamento».
Peraltro, come vedremo, detto riferimento, come non vale a restringere l'operatività del principio in parola alle società cooperative, così non può valere ad attribuire al medesimo carattere assoluto.
[nota 43] Al riguardo è interessante notare che, come sottolineato da F. TASSINARI, I patti parasociali, in C. CACCAVALE, F. MAGLIULO, M. MALTONI, F. TASSINARI, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, p. 488, nei lavori preparatori della commissione D'Alessandro relativi all'attuazione della seconda direttiva comunitaria, si rinunziò ad introdurre un'espressa previsione del principio di parità di trattamento sulla base di «due convinzioni antitetiche, ritenendosi da un lato che tale introduzione fosse superflua, trattandosi di un principio generale in tema di società di capitali ritenuto pacificamente già esistente, dall'altro che tale introduzione fosse pericolosa, trattandosi di un principio da ammettersi soltanto nei limiti in cui l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale l'aveva sancito, ma che sarebbe stato inopportuno elevare a regola generale del diritto societario, operante "a tutto campo"».
[nota 44] Nella nuova disciplina delle Srl tale regola, rompendo un silenzio che durava sin dall'emanazione del codice del '42, trova un'espressa previsione nell'art. 2479 secondo comma n. 5 c.c., in forza del quale sono riservate alla competenza della maggioranza dei soci le decisioni di compiere operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti dei medesimi. Si tratta di una norma di notevole importanza sistematica.
è noto infatti che uno dei temi più tormentati e complessi del diritto delle società di capitali sotto il vigore del codice del '42 è stato quello di stabilire se nell'ambito del rapporto sociale sussistessero posizioni soggettive che non potessero essere pregiudicate dalla società, e quindi dall'organo assembleare, con l'adozione del principio maggioritario che a tale organo è connaturato.
Il pressoché totale silenzio del legislatore sul punto ha ingenerato al riguardo ampie dispute in dottrina.
Ed invero la dottrina tradizionale aveva ritenuto che dal sistema potesse desumersi l'esistenza di un principio generale in virtù del quale le posizioni soggettive attive per l'acquisizione delle quali deve ritenersi, secondo il comune apprezzamento, che il socio si sia determinato ad entrare in società, sono intangibili dalla volontà della maggioranza (v. per tutti F. FERRARA jr - F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987, p. 456, nota 2; U. BELVISO, Le modificazioni dell'atto costitutivo nelle società per azioni, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, 17, Torino, 1985, p. 65 e ss.).
La dottrina più recente, invece, negava l'esistenza di un principio generale siffatto, poiché nel diritto societario la regola generale, al contrario, è quella secondo cui il funzionamento della struttura sociale è dominato dal metodo maggioritario e pertanto eventuali eccezionali limiti all'operare di tale sistema possono desumersi unicamente dai principi del diritto societario (per tutti G. TANTINI, Le modificazioni dell'atto costitutivo nelle società per azioni, Padova, 1973, p. 104 e ss.; F. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1987, p. 525; L. CALVOSA, La clausola di riscatto nella società per azioni, Milano, 1995, p. 177 e ss.; in argomento v. inoltre CERRAI -MAZZONI, «La tutela del socio e delle minoranze», in Riv. soc., 1993, p. 1 e ss.).
Il nuovo art. 2479 secondo comma n. 5 c.c. sembra dunque dare ragione a tale ultimo orientamento.
Ma il principio sotteso a detta norma non può certo ritenersi limitato alle Srl.
Nella disciplina di tale tipo sociale anzi il legislatore ha riservato maggiore attenzione alla tutela delle posizioni individuali dei soci ed è proprio in tale contesto che trova una sua giustificazione l'art. 2479 secondo comma, n. 5 c.c. Esso infatti mira a sottrarre alla competenza dell'organo amministrativo le decisioni in parola per riservarle alla competenza dei soci, pur senza derogare al principio maggioritario (sul punto v. amplius F. MAGLIULO, Le decisioni dei soci, in C. CACCAVALE, F. MAGLIULO, M. MALTONI, F. TASSINARI, La riforma della società a responsabilità limitata, cit., p. 261).
A maggior ragione detto principio maggioritario deve ritenersi vigente nelle SpA ove invece la tutela delle posizioni individuali del socio appare più sfumata che nelle Srl.
[nota 45] Cfr. L. CALVOSA, La clausola di riscatto…, cit., p. 179.
Sulla figura dell'abuso della maggioranza a danno della minoranza v. per tutti G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2002, p. 350 e ss.
Sull'applicabilità della figura in esame anche nel sistema riformato v. G. MUSCOLO, «Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari nelle SpA (prima parte): cause ed effetti dell'invalidità dell'atto», in Le società, 2003, p. 537.
[nota 46] Secondo le Massime del Tribunale di Roma «la riduzione del capitale per esuberanza (quale eccezione al principio del divieto di restituzione dei conferimenti e di liberazione dall'obbligo di conferimento) deve essere attuata in modo da salvaguardare la corrispondenza tra il valore assegnato ai soci in esecuzione della delibera e il valore della parte di capitale nominale reso disponibile con la riduzione. Pertanto, oltre alle modalità espressamente indicate dalla legge a) proporzionale liberazione dei soci dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti; b) proporzionale rimborso del capitale; c) annullamento di azioni proprie, la riduzione può eseguirsi anche mediante proporzionale assegnazione ai soci di beni sociali, purché si tratti (a pena di nullità della deliberazione) di beni fungibili aventi un prezzo corrente, risultanti da listini di borsa o mercuriali, il cui valore sia perciò obiettivamente e sicuramente accertato (a tale ultima ipotesi deve intendersi riferito l'art. 16, lett. m), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che assoggetta a tassazione separata i redditi compresi nel valore dei «beni assegnati ai soci («… nei casi di … riduzione del capitale»); (nello stesso senso U. BELVISO, Le modificazioni dell'atto costitutivo…, cit., p. 127 e ss.).
R. NOBILI - M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 241 suggeriscono, al fine di rispettare la parità di trattamento, di assegnare lo stesso o gli stessi beni a tutti i soci eventualmente anche in comproprietà tra gli stessi e precisano che in caso di assegnazione di crediti la parità di trattamento sarà assicurata attualizzando il valore dei crediti e facendo assumere alla società la garanzia dell'adempimento da parte del debitore ceduto.
[nota 47] Cfr. sul punto F. TASSINARI, I patti parasociali, cit., p. 488.
[nota 48] Cfr. al riguardo G. GABRIELLI, «Le clausole di deferimento delle controversie sociali ai probiviri», in Riv. dir. civ., I, 1983, p. 699 e F. MAGLIULO, Il riferimento a fonti determinative esterne al contratto (relatio) e la forma del contratto di mutuo, in Mutui ipotecari, Riflessioni giuridiche e tecniche contrattuali, atti del Convegno di Bergamo - 13 novembre 1998, Milano, 1999, p. 368 e ss.
[nota 49] R. NOBILI - M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 241, nt. 20; Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 35) cit.
[nota 50] In tal senso U. BELVISO, Le modificazioni dell'atto costitutivo…, cit., p. 128; Massime del Tribunale di Roma cit.; CNN, Studio n. 2077, Art. 29 della legge finanziaria ed assegnazione di beni in natura, est. C. ANGELICI, Approvato dalla Commissione Studi il 28 aprile 1998.
[nota 51] R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 242, i quali rilevano inoltre che se l'assegnazione venisse effettuata a valori superiori a quelli di bilancio la riduzione dell'attivo contabile sarebbe inferiore alla riduzione del capitale e ciò determinerebbe l'iscrizione in bilancio di una riserva disponibile.
[nota 52] In senso parzialmente diverso R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 242, nt. 23, secondo cui il risarcimento può essere chiesto solo laddove vengano assegnati ai soci beni essenziali per il profittevole svolgimento dell'attività sociale.
[nota 53] Peraltro in caso di datio in solutum o vendita con compensazione l'operato dell'amministratore può arrecare un danno risarcibile anche ai soci diversi da quelli che sono destinatari dell' "assegnazione" del bene così realizzata, laddove il bene stesso abbia un valore effettivo proporzionalmente maggiore rispetto a quanto corrisposto agli altri soci. Costoro infatti, anche se la delibera di riduzione fosse stata presa all'unanimità, non avrebbero prestato il proprio consenso all'assegnazione in natura, laddove questa venisse realizzata in modo extraassembleare, mediante datio in solutum o vendita con compensazione, e tale circostanza non fosse stata prevista nella delibera di riduzione.
[nota 54] V. amplius sul punto CNN, Studio n. 18-2007/I, Assegnazione dei beni ai soci nella fase di liquidazione della società: profili civilistici, Approvato dalla Commissione studi d'Impresa il 26 settembre 2007, Est. A. RUOTOLO.
[nota 55] CNN, Studio n. 2077, Art. 29 della legge finanziaria ed assegnazione di beni in natura, cit.
[nota 56] F. TASSINARI, I conferimenti e la tutela dell'integrità del capitale sociale, in C. CACCAVALE, F. MAGLIULO, M. MALTONI, F. TASSINARI, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2007, p. 129.
Ma in tal caso si porrebbero non pochi problemi in caso di parziale esecuzione dell'opera o di opera indivisibile (cfr. sul punto G. PINNA, Commento all'art. 2482, in Il nuovo diritto delle società, Comm. a cura di A. Maffei Alberti, Padova, 2005, p. 2108 e ss.; D. GALLETTI, Commento all'art. 2482, in Codice commentato delle Srl diretto da P. Benazzo e S. Patriarca, Torino, 2006, p. 492).
[nota 57] F. TASSINARI, I conferimenti e la tutela dell'integrità del capitale sociale, cit., p. 129.
[nota 58] V. per tutti F. TASSINARI, I conferimenti e la tutela dell'integrità del capitale sociale, cit., p. 116 e ss. ove ampi riferimenti bibliografici; Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 70); Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti Societari (massima I.A.5).
[nota 59] Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti Societari (massima I.G.21). Nello stesso senso M. PINNARò, Commento art. 2482 cit., p. 207.
[nota 60] V. infatti G. RACUGNO, «Le modificazioni del capitale sociale», cit., p. 834, secondo cui dall'accoglimento dell'opposizione discende «l'inefficacia generale della deliberazione». Nello stesso senso G. PINNA, Commento all'art. 2482, cit., p. 2110 e ss.
[nota 61] In quest'ottica v. R. NOBILI – M.S. SPOLIDORO, La riduzione di capitale, cit., p. 260.
[nota 62] In tal senso v. la Circolare Ministero delle Attività Produttive - Direzione generale per il commercio, le assicurazioni e i servizi, 7 aprile 2004, n. 3574/C, recante "Istruzioni per la compilazione della modulistica per l'iscrizione ed il deposito nel Registro delle imprese e per la denuncia al repertorio economico e amministrativo approvata con decreto ministeriale 31 ottobre 2003" e Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 35) cit., secondo cui «dalla non eseguibilità immediata della delibera deriva che il capitale deve essere indicato negli atti (e quindi nello statuto da depositare ai sensi dell'art. 2436 c.c.) e nella corrispondenza della società nella misura prevista dall'art. 2250 c.c. (secondo la somma effettivamente versata e quale risulta esistente secondo l'ultimo bilancio) sino a che la riduzione non sia stata eseguita. Consigliabile è l'inserimento in statuto della clausola che dia conto della pendenza della riduzione; dopo l'esecuzione, sarà compito degli amministratori depositare il nuovo testo dal quale tale clausola sia espunta».
Secondo le Massime dell'osservatorio Conservatori Notai presso il Registro delle imprese di Milano «nelle delibere di assemblea … di riduzione del capitale ai sensi degli artt. 2445 e 2482 c.c. lo statuto aggiornato riportante le modifiche subordinate (e quindi non ancora efficaci) deve normalmente essere depositato una volta divenute efficaci le modifiche stesse, salva la necessità che l'assemblea deliberi espressamente la riformulazione letterale o la modifica degli articoli statutari che variano per effetto delle delibere assunte; lo statuto può peraltro essere subito allegato alle suddette delibere, tenuto conto che la pubblicità che viene data a detti atti precisa la loro inefficacia per subordinazione a condizioni legali … Dopo il verificarsi della condizione legale è necessario, per concludere il procedimento, depositare un ulteriore modello, sottoscritto da un rappresentante della società (fermo restando che il notaio è comunque facoltizzato al secondo deposito), riportante le modifiche divenute efficaci negli specifici quadri del modello, indicando nella modulistica il riferimento al deposito originario e la dichiarazione di avvenuto verificarsi dell'evento condizionante, allegando idoneo documento comprovante la verificata condizione (certificato di non opposizione rilasciato dal Tribunale competente ovvero dichiarazione sostitutiva sottoscritta dal rappresentante della società e resa ai sensi del D.P.R. n. 445/2000).
Il secondo deposito non è soggetto a termine (e quindi a sanzione in caso di deposito oltre i 30 giorni dal verificarsi dell'evento o dallo scadere del termine)».
|