Le operazioni sul capitale sociale: casi pratici e tecniche di redazione del verbale notarile
Le operazioni sul capitale sociale: casi pratici e tecniche di redazione del verbale notarile
di Elena Tradii
Notaio in San Benedetto Val di Sambro
La riduzione per scioglimento del rapporto sociale del singolo socio
La dottrina [nota 1] è solita annoverare tra le ipotesi di riduzione del capitale per cause imputabili alla persona del socio alcune fattispecie eterogenee individuabili nel:
a. recesso del socio, quando sia necessario intaccare il capitale sociale per provvedere al rimborso delle azioni/partecipazioni (art. 2437 c.c. per le SpA e art. 2473 per le Srl);
b. morosità degli azionisti, qualora risulti impossibile alienare le partecipazioni del socio moroso (art. 2344 c.c. per le SpA e art. 2466 per le Srl);
c. revisione della perizia di stima, nel caso in cui il valore del bene conferito in natura risulti inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento (art. 2343 c.c. per le SpA non richiamato, per quanto qui interessa, dalle norme dettate in materia di Srl né oggetto di una autonoma disciplina).
Prima di affrontare nel dettaglio e analiticamente le ipotesi testè elencate sono opportune alcune considerazioni sistematiche.
Il legislatore disciplina compiutamente, sia per quanto attiene ai presupposti che per quanto riguarda le modalità procedimentali, due ipotesi di riduzione del capitale: quella per perdite regolata dagli artt. 2446 e 2447 per le SpA e dagli art. 2482-bis e 2482-ter per le Srl, e quella effettiva, già, nel sistema ante–riforma, per esuberanza, disciplinata dagli art. 2445 e 2482 c.c. rispettivamente per la SpA e per le Srl.
Esistono, peraltro, altre fattispecie tipiche di riduzione del capitale sociale, anche non imputabili alla persona del socio, si pensi ad esempio alla riduzione per annullamento della azioni proprie (art. 2357 c.c.) o della società controllante (artt 2359-ter e 2359-quater c.c.) o di riduzione per il riscatto delle azioni (art. 2437-sexies), ipotesi tutte accomunate dalla mancanza di una disciplina ad hoc in ordine alle modalità procedimentali a mezzo delle quali attuare tali riduzioni.
Come ha rilevato la dottrina [nota 2] in tutte queste fattispecie sarà compito dell'interprete, in assenza di indicazioni normative, ricondurre tali ipotesi di riduzione a quelle per perdite o per "ex–esuberanza", seguendo il criterio dell'identità della ratio, in modo da poter mutuare la disciplina concretamente applicabile.
È bene precisare, ma si tratta di un aspetto che sarà oggetto di puntuale trattazione, che le ipotesi di riduzione del capitale sociale elencate ai superiori punti a), b) e c) non sono necessariamente legate all'uscita del socio dalla società, in altre parole potrà verificarsi la riduzione del capitale sociale e una conseguente riduzione della partecipazione del socio, ma non necessariamente l'exit del medesimo dalla compagine: si pensi all'ipotesi, di cui all'art. 2343 c.c., in cui risulti che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore a quello per cui avvenne il conferimento e la società, in assenza di una manifestazione di volontà da parte del socio conferente di voler versare la differenza in denaro o di voler recedere, è tenuta alla riduzione del capitale solo in proporzione alle azioni che risultano scoperte, oppure all'ipotesi in cui il socio di SpA eserciti il diritto di recesso solo con riferimento a parte delle sue azioni per il rimborso delle quali sia necessario dover ridurre il capitale, oppure (ma questa è una fattispecie ancora oggi controversa) alla riduzione del capitale nel caso di socio moroso relativamente alla partecipazione sottoscritta in occasione del solo aumento del capitale con relativo annullamento della sola partecipazione sottoscritta in tale sede e non dell'intera quota.
Un'ultima notazione di metodo: in linea con lo spirito del Convegno si cercherà di avere una certa sensibilità per gli aspetti prettamente operativi e quindi di suggerire alcune menzioni/dichiarazioni che pare opportuno siano inserite nei verbali di riduzione del capitale relativi alle ipotesi particolari oggetto della presente trattazione.
Si anticipa peraltro che tutte tali fattispecie hanno quale elemento comune quello di dar corso alla riduzione del capitale solo dopo aver esperito tutta un'altra serie di tentativi, rigidamente normati, che hanno come scopo proprio quello di scongiurare il pericolo di dover attingere al capitale sociale: ciò significa che i verbali di riduzione in oggetto dovranno dar conto dell'esperimento da parte dell'organo amministrativo delle varie sequenze procedimentali e dell'impossibilità di percorrere strade alternative.
La riduzione del capitale in conseguenza al recesso del socio
L'istituto del recesso del socio di società di capitali è stato profondamente modificato dal legislatore della riforma in conformità ad uno specifico obbiettivo di contemperamento degli interessi personali del socio recedente con la struttura capitalistica della società.
Se nel vigore della previgente normativa il recesso di un socio era considerata una fattispecie eccezionale, oggi, l'integrale rivisitazione della disciplina che, fra l'altro, consente un ampliamento statutario delle cause di recesso ed impone la fissazione di criteri di liquidazione della partecipazione del socio recedente ancorati al valore di mercato della stessa, fa sì che tale istituto rappresenti un efficace mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali decisi dalla maggioranza e tali da modificare le condizioni preesistenti di rischio della partecipazione all'impresa sociale.
La disciplina del recesso si rinviene negli articoli 2437 e ss. e 2473 c.c. dettati rispettivamente per le SpA e per le Srl che regolamentano svariati aspetti, relativi principalmente alla legittimazione all'esercizio del diritto di recesso, alle cause, legali e volontarie, di recesso, ai criteri per la determinazione del valore della partecipazione del socio recedente e alla procedura per l'esercizio del diritto di recesso; ai fini del presente lavoro ci occuperemo esclusivamente dell'ultimo degli aspetti elencati relativo al procedimento di liquidazione della partecipazione, con particolare attenzione a quella modalità di liquidazione, prevista dal legislatore come extrema ratio, consistente nella riduzione del capitale sociale.
Ciò significa che le altre fasi del procedimento, prodromiche alla riduzione, saranno analizzate solo in quanto "condizioni" di legittimità delle delibera di riduzione medesima, di per sé idonea a destabilizzare la struttura finanziaria e patrimoniale dell'ente e quindi assumibile da parte dell'assemblea solo dopo che siano state percorse vanamente tutte le vie alternative.
In altre parole, come si è già anticipato, l'attenzione sarà rivolta al ruolo del Notaio chiamato a ricevere una delibera di riduzione del capitale a seguito del recesso di uno o più soci, illustrandone il contenuto ed i presupposti, cercando di colmare interpretativamente i vuoti normativi, che risultano senz'altro meno eclatanti rispetto al passato, grazie al richiamo fatto dalle norme de quo alla disciplina sulla riduzione reale del capitale, ma non definitivamente venuti meno.
La legge individua in modo molto simile per le SpA e per le Srl le modalità di rimborso della quota al socio receduto.
Più precisamente l'art. 2437-quater prevede:
a. offerta in opzione delle azioni del socio recedente agli altri soci proporzionalmente al numero delle azioni possedute;
b. deposito dell'offerta di opzione presso il Registro delle imprese entro 15 giorni dalla determinazione definitiva del valore della liquidazione;
c. esercizio del diritto di opzione e, previa richiesta, esercizio del diritto di prelazione sulle azioni optate;
d. tentativo di collocamento delle azioni non assegnate presso terzi;
e. rimborso mediante acquisto da parte della società delle azioni utilizzando le riserve disponibili;
f. in assenza di utili e/o riserve convocazione dell'assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società.
Simile l'articolazione del procedimento secondo l'art. 2473 c.c., modellato sulla falsariga di quello appena illustrato:
a. acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente fra loro;
b. acquisto da parte di un terzo concordemente individuato da parte dei soci;
c. rimborso mediante riserve disponibili [nota 3];
d. riduzione del capitale ex art. 2482 c.c.;
e. liquidazione della società.
L'unica sostanziale differenza tra i due procedimenti è data dal fatto che nella Srl la scelta in relazione all'individuazione del terzo a cui eventualmente offrire le partecipazione è rimessa ai soci che decidono all'unanimità, mentre nella SpA è compito degli amministratori collocare le azioni presso terzi e ciò si spiega alla luce della considerazione che ben diversa, nei due tipi sociali, è la necessità di controllo in ordine all'ingresso di estranei nella compagine.
Ne consegue che nella SpA è possibile che, anche senza il consenso di tutti i soci, le quote inoptate siano collocate presso terzi interpretandosi, il mancato esercizio del diritto di opzione, come un implicito consenso alla collocazione dell'inoptato.
In linea più generale, nel dettare entrambe le discipline, il legislatore ha avuto di mira due interessi: il primo individuabile nella volontà di evitare che si possa pervenire, per effetto della necessità di liquidare la quota del receduto ad una alterazione del rapporto proporzionale di partecipazione al capitale sociale, l'altro, che, ai fini del presente approfondimento ci interessa maggiormente, di evitare, per quanto possibile, di intaccare il capitale sociale.
Proprio le esigenze di tutela del capitale inducono la dottrina prevalente a ritenere che le fasi della sequenza procedimentale illustrate, senza eccezioni nel tipo Srl, con l'eccezione di cui diremo nel tipo SpA, siano tendenzialmente inderogabili, con il conseguente divieto per l'autonomia privata di eliminare una o più delle opzioni previste [nota 4].
L'eccezione cui si è fatto cenno va individuata nella discrezionalità riconosciuta agli amministratori di SpA, in ordine alla valutazione di merito circa l'opportunità e la convenienza di collocare le azioni inoptate presso terzi, ricorrendo per le azioni quotate, al collocamento tramite offerta nei mercati regolamentati, piuttosto che procedere direttamente con il rimborso.
La delibera di riduzione del capitale sociale dovrebbe opportunamente riportare, a mezzo di dichiarazione del Presidente, la descrizione dell'infruttuoso esperimento di tutte le fasi del procedimento.
Non solo, prima ancora parrebbe opportuno dare conto della dichiarazione di recesso del socio e delle modalità e dei termini con i quali è stata manifestata, al fine di verificarne la legittimità e la tempestività.
In proposito non può evidenziarsi come, in questo frangente, il ruolo degli amministratori sia assai delicato in quanto a loro è riservato il compito di coordinare e di dare impulso alle varie fasi, compiendo, di volta in volta, anche delicate valutazioni in ordine alla percorribilità di talune strade. Tale affermazione è ancor più vera nel tipo Srl, che, a differenza della SpA, contiene una disciplina molto più laconica che tendenzialmente lascia all'autonomia privata la libertà di colmare i vuoti normativi.
Si pensi ad esempio alle modalità a mezzo delle quali deve essere comunicato alla società la dichiarazione del recesso: mentre nelle SpA è previsto l'utilizzo della raccomandata, in tema di Srl il legislatore non indica alcuna formalità obbligatoria.
In proposito pare preferibile la tesi che ritiene legittima, in assenza di una norma statutaria che preveda una determinata forma, qualsiasi modalità quale ad esempio la raccomandata, il fax, o la posta elettronica con la firma digitale [nota 5]. Sicuramente valida è la dichiarazione resa dal socio in assemblea, che dovrebbe essere debitamente verbalizzata dal notaio rogante.
Altro elemento che dovrebbe essere contenuto nel verbale di riduzione, sempre nell'ottica di dar conto in modo trasparente del rispetto di tutto l'iter procedurale, è il momento in cui la dichiarazione di recesso è stata manifestata [nota 6].
In realtà mentre nelle SpA la disciplina sul punto è inequivocabile prevedendosi espressamente che la dichiarazione di recesso debba essere spedita alla società entro quindici giorni dall'iscrizione nel Registro imprese della delibera che lo legittima, per le Srl nulla è normato, con la conseguenza che la dottrina si è posta la questione (risolta peraltro in modo non univoco dai vari interpreti) se l'efficacia della dichiarazione decorra dalla data di spedizione o da quella di ricezione della stessa.
Secondo parte della dottrina e secondo una recente pronuncia di merito la data di cui tener conto è quella del ricevimento e ciò in virtù del principio generale della cognizione codificato all'art. 1355 c.c. di cui la ricordata disciplina in materia di SpA costituirebbe una vistosa eccezione.
Secondo invece un'altra ricostruzione, ad oggi minoritaria, la regola prevista per le SpA non rappresenterebbe un'eccezione ma «si fonda sulla presa d'atto da parte del legislatore che il perfezionamento del recesso si articola in una serie di atti e fatti, ciascuno dei quali è dotato dei propri effetti: e così, mentre la spedizione della dichiarazione di recesso è il momento in cui ha inizio l'esercizio del diritto, la ricezione della comunicazione da parte della società è il momento in cui l'intenzione di recedere diventa riconoscibile dalla società ed efficace per la sua organizzazione» [nota 7]. La conclusione, per tale dottrina, è che la dichiarazione di recesso si produce nel momento della sua spedizione.
Il ricorso all'analogia con la disciplina prevista per la SpA mi pare da caldeggiare, in assenza di un principio generale, per la soluzione di un'altra delicata questione ovvero quella del termine per l'esercizio del recesso.
Come si è detto mentre nella SpA viene fissato in quindici giorni dall'iscrizione della delibera nel Registro delle imprese il termine entro il quale il socio recedente può manifestare la propria volontà di scioglimento del rapporto sociale, la norma delle Srl non contiene alcun termine di decadenza.
In assenza di una norma statutaria ad hoc (che nella maggioranza dei casi, dove adottata, ha previsto la fissazione di un termine più lungo di 15 giorni) pare che il ricorso all'analogia sia la soluzione pratica preferibile al fine di fornire agli amministratori un elemento certo per valutare la tempestività o meno della dichiarazione, evitando di costringerli a compiere delicate e opinabili considerazioni in ordine alla congruità di un termine più lungo [nota 8].
Immaginando sempre di dover dare conto nel verbale di riduzione, sul quale, tra breve, concentreremo la nostra attenzione, del rispetto dei vari steps della procedura, una volta indicati gli estremi, ovvero modalità e tempistica, della dichiarazione di recesso, è opportuno che il Presidente dichiari di aver effettuato tutto quanto previsto dalla legge ed eventualmente dallo statuto per consentire agli altri soci di acquistare la partecipazione del socio recedente o di rendere possibile l'acquisto da parte di terzi.
È auspicabile, in riferimento in particolare modo alla Srl per la quale le norme procedimentali sono alquanto sintetiche, che sia lo statuto che indichi quali siano le modalità di offerta delle quote "in opzione" ai soci ed i termini entro i quali questi debbano manifestare la propria intenzione; in assenza di prescrizioni sarà opportuno che l'organo amministrativo scelga l'utilizzo di una forma scritta in grado di assicurare la data certa e che al contempo consenta di acquisire la prova del mancato accordo.
Nel verbale si potrà dare atto delle lettere raccomandate inviate ai soci e rimaste senza seguito.
Ulteriore condizione di legittimità della delibera di riduzione del capitale è la mancanza di riserve disponibili sufficienti a realizzare il rimborso della partecipazione del recedente. Benché la norma in esame faccia riferimento alla possibilità di usare "riserve disponibili" non vi è dubbio che il rimborso possa essere attuato anche mediante utili distribuibili e più in generale utilizzando ulteriori risorse patrimoniali disponibili.
La norma non prevede la possibilità di utilizzare le riserve indisponibili.
Parte della dottrina [nota 9] ritiene che si tratti di un'esclusione ingiustificata, in quanto non si comprende per quale ragione sia consentito di intaccare il capitale e lasciare in essere delle poste del netto, quali sono le riserve indisponibili, senza dubbio meno vincolate del capitale.
Come ha ritenuto altra dottrina [nota 10], peraltro, a tale obiezione si potrebbe proporre una giustificazione analoga a quella che si fornisce per motivare l'impossibilità di utilizzare la riserva legale per l'aumento gratuito del capitale, ossia che «la ratio del divieto va rinvenuta nella preferenza del legislatore per l'esistenza, a fianco del capitale sociale, di quel cuscinetto di protezione che è appunto la riserva legale, sì da evitare che le perdite intacchino immediatamente il capitale».
In ogni caso, comprensibile o meno, la norma non pare lasciare all'interprete molti margini di dubbio.
Alla luce di quanto sopra potrebbe porsi il dubbio se sia o meno necessario allegare alla delibera di riduzione del capitale una situazione patrimoniale aggiornata dalla quale si evinca l'insussistenza di riserve indisponibili e conseguentemente la legittimità della riduzione.
Su questo aspetto ci soffermeremo tra breve, una volta delineato il quadro normativo di riferimento di tale particolare ipotesi di riduzione.
La convocazione dell'assemblea dei soci affinchè deliberi la riduzione è naturalmente di competenza degli amministratori, i quali, nel caso di specie, a maggior ragione, hanno il compito di dare impulso e completamento al procedimento di liquidazione della quota in capo al socio receduto.
Quanto al termine entro il quale tale convocazione debba essere effettuata può mutuarsi, nelle Srl, dal termine previsto dal legislatore (ove non statutariamente derogato) per la liquidazione della partecipazione in 180 giorni dalla comunicazione di recesso fatta dal socio alla società.
Cosa accade nel caso in cui la convocazione sia tardiva? Esistono ripercussioni in ordine alla legittimità della delibera? Ritengo che la delibera sia sempre ricevibile e non affetta da alcun vizio; si porrà un problema di responsabilità degli amministratori, così come accade nelle ipotesi di riduzione del capitale per perdite ex art. 2446 c.c. in assenza di una convocazione fatta dagli amministratori "senza indugio".
Nessun termine è previsto nelle SpA per il perfezionamento del procedimento di liquidazione e quindi un problema di responsabilità degli amministratori potrà sussistere solo laddove gli stessi procrastino senza motivo la convocazione dell'assemblea.
Quanto alle modalità attuative della delibera il legislatore espressamente richiama per le SpA. il secondo, terzo, quarto comma dell'art. 2445 c.c. e per le Srl l'art. 2482 c.c. che si riferiscono, a seguito dell'eliminazione di ogni riferimento al presupposto dell'esuberanza, all'ipotesi "generale" di riduzione reale del capitale.
Di conseguenza, nelle SpA:
- l'avviso di convocazione dell'assemblea straordinaria deve indicare le ragioni e le modalità di riduzione del capitale sociale;
- le azioni proprie possedute dalla società dopo la riduzione non possono superare la decima parte del capitale sociale, per cui è obbligatoria la cessione dell'eccedenza;
- la deliberazione di riduzione potrà essere eseguita solo dopo novanta giorni dalla sua iscrizione nel Registro delle imprese, se entro tale termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione;
- se l'opposizione viene accolta la società si scioglie [nota 11];
- il Tribunale può ugualmente disporre che la riduzione del capitale sociale abbia luogo nonostante l'opposizione dei creditori, se ritiene che questi ultimi non subiscano un pregiudizio dalla riduzione o se la società ha prestato idonea garanzia.
Per le Srl il richiamo all'art. 2482 c.c. comporta l'applicazione di una disciplina simile, ma non esattamente coincidente con quella appena descritta; più precisamente mentre gli ultimi tre punti trovano applicazione anche nel tipo Srl, non altrettanto può dirsi per i primi due.
Quanto alla convocazione dell'assemblea, la norma in tema di Srl, a differenza di quella sulle SpA, non richiede che «l'avviso di convocazione dell'assemblea debba indicare le ragioni e le modalità della riduzione» (art. 2445, comma 2, c.c.). Di conseguenza nelle Srl non sussiste la possibilità di ricavare, attraverso un procedimento indiretto, la necessità di una specifica motivazione dell'operazione; come non è richiesto che gli amministratori attestino la copertura del capitale al momento della decisione. Occorre peraltro ricordare quanto dispone l'art. 2479-ter, comma 3, c.c., relativo all'invalidità delle decisioni «prese in assenza assoluta d'informazione»: di conseguenza, devono essere fornite all'assemblea almeno indicazioni di massima sulle finalità e gli effetti della riduzione.
Quanto al richiamo alle azioni proprie, la non pertinenza è di tutta evidenza stante l'imperativo contenuto all'art. 2474 c.c. che pone il divieto per la società di detenere in portafoglio proprie partecipazioni [nota 12].
Come si è detto la competenza alla riduzione è rimessa all'assemblea (straordinaria) dei soci, salva la possibilità nelle SpA, secondo quanto previsto dall'art. 2365 secondo comma, di delegare statutariamente tale competenza all'organo amministrativo, al consiglio di sorveglianza o al consiglio di gestione.
La dottrina si è interrogata sulla legittimità di una delega siffatta anche nelle Srl, concludendo in senso negativo in quanto «il richiamo all'art 2446, ultimo comma, c.c. contenuto all'art. 2482-bis, sesto comma c.c., si riferisce alla riduzione del capitale per perdite e non pare suscettibile di applicazione analogica» [nota 13].
Quanto alla necessità che alla delibera di riduzione sia allegata una situazione patrimoniale aggiornata pare doversi dare risposta negativa, sulla base della considerazione che, mentre tale documentazione contabile è richiesta dagli artt. 2446 e 2482-bis nei casi di riduzione per perdite, proprio al fine di determinare l'importo della riduzione sulla base dell'entità delle perdite accertate (e documentate), tale necessità non sussisterebbe nel caso di specie in cui la riduzione è comunque determinata sulla base di criteri differenti, individuabili, a seconda della ricostruzione che si ritenga di accogliere, o in riferimento alle azioni/quote di cui era titolare il socio recedente oppure in riferimento all'ammontare del rimborso da eseguire nei confronti del socio medesimo, prescindendo in ogni caso dall'ammontare delle perdite.
Certo è che, seppur non necessaria, tale allegazione può risultare quanto mai opportuna, in quanto, proprio dalla situazione patrimoniale della società può evincersi il rispetto di una delle condizioni di legittimità della delibera di riduzione ovvero l'assenza di riserve disponibili e utili distribuibili; per tale ragione, quindi, in mancanza di tale documentazione contabile, è quanto mai opportuno far risultare dal verbale una dichiarazione del Presidente, a nome dell'eventuale organo amministrativo collegiale, che dia atto di tale circostanza.
Un profilo fino ad ora non trattato, ma di notevole interesse per l'operatore è quello relativo all'ammontare della riduzione. Il legislatore detta, come è noto, i criteri da seguire per la fissazione del valore della partecipazione da rimborsare al socio recedente, valore che dovrà evidentemente essere indicato nella delibera, senza però precisare di quanto effettivamente la riduzione debba essere concretamente effettuata.
Due sono le strade astrattamente percorribili: la prima secondo la quale la riduzione andrebbe deliberata di un importo pari al valore nominale della partecipazione del socio recedente; la seconda, secondo la quale l'importo della riduzione andrebbe commisurato avuto riguardo al valore di rimborso della partecipazione da corrispondere al socio.
Evidentemente scegliere l'una o l'altra strada implica conseguenze di non poco conto; basti pensare che, laddove una società sia in bonis il valore della partecipazione a cui ha diritto il socio sulla base dei criteri oggi previsti dal legislatore sarà senz'altro più alto del valore nominale della stessa: questo comporta che, secondo la prima ricostruzione, il socio recedente non sarebbe integralmente soddisfatto delle sue ragioni e la società risulterebbe debitrice nei suoi confronti di un importo pari alla differenza tra il valore nominale delle partecipazioni e quello di mercato.
Seguendo l'altra strada cui si è fatto cenno, il socio risulterebbe integralmente liquidato con la conseguente riduzione del capitale per l'intero importo del rimborso, sì da incidere, proporzionalmente sulle quote di partecipazione al capitale sociale degli altri soci.
Si tratta senza dubbio di una questione che merita un ulteriore approfondimento, anche se la preferenza di chi scrive va alla seconda tesi riportata e ciò per due ragioni: l'una letterale, l'altra sistematica.
L'art. 2473 c.c. quarto comma prevede che, quando il rimborso non possa essere effettuato utilizzando riserve disponibili, esso deve avvenire riducendo "corrispondentemente" il capitale; la norma pare sottintendere la necessità di una riduzione in ragione del valore della partecipazione da rimborsare al socio; ancora, l'affermazione secondo la quale ciascun socio vedrà ridursi la propria partecipazione al capitale nella misura necessaria a rimborsare il recedente, non conduce ad una situazione di gran lunga differente da quella prospettata dallo stesso legislatore quando prevede quale modalità di liquidazione quella che attinge alle riserve disponibili. Il rimborso inciderà sulla posizione del singolo socio in ugual modo: la necessità di ridurre il capitale è semplicemente occasionata dalla differente composizione del patrimonio netto.
Può anche darsi il caso che la riduzione del capitale non debba riguardare l'intera partecipazione del socio recedente perché, ad esempio, le fasi precedenti, hanno avuto solo in parte esito positivo.
In realtà tale considerazione merita qualche ulteriore precisazione:
a. nell'ipotesi di SpA è senz'altro possibile che le azioni siano acquistate solo in parte dagli altri soci (testualmente l'art. 2437-quater prevede la facoltà degli amministratori di collocare presso terzi le azioni, laddove esse non siano state acquistate "in tutto o in parte" dagli altri soci);
- così come può darsi che la collocazione presso terzi abbia interessato solo parte delle azioni e/o che sia stato possibile rimborsarle con riserve disponibili e utili solo parzialmente;
b. nell'ipotesi di Srl anche laddove non si voglia ammettere l'acquisto parziale della partecipazione da parte di soci o terzi argomentando sulla base di un principio di unitarietà della partecipazione, potrà darsi senz'altro il caso in cui le riserve disponibili non siano sufficientemente capienti da garantire l'integrale rimborso.
In tutti questi casi la riduzione del capitale sarà effettuata solo in proporzione alla partecipazione non rimborsata altrimenti, essendo pertanto possibile che i sistemi previsti dal legislatore per la liquidazione della partecipazione del socio recedente non siano alternativi nel senso che, l'applicazione dell'uno esclude l'altro, ma anche concorrenti.
Proseguendo nell'analisi delle norme è previsto, in modo similare per le SpA e per le Srl, che se il rimborso della partecipazione del recedente non può essere attuato mediante la riduzione, la società viene posta in liquidazione.
Secondo la dottrina l'impossibilità di procedere alla riduzione può dipendere da almeno due circostanze:
- che l'assemblea relativa alla riduzione del capitale vada deserta o non si raggiunga il quorum necessario alla sua adozione;
- che i creditori sociali si oppongano alla riduzione del capitale e l'opposizione sia stata accolta.
Quanto alla prima ipotesi si è fatto notare come nel caso in cui l'assemblea non deliberi la riduzione non sia possibile applicare il rimedio previsto dall'art. 2482-bis , quarto comma, che legittima il Tribunale a disporre la riduzione su richiesta degli amministratori, dei sindaci o del revisore.
Tale norma presuppone necessariamente l'esistenza di perdite, tanto che il Tribunale può disporre la riduzione «in ragione delle perdite risultanti dal bilancio»; nel nostro caso, laddove l'assemblea non deliberi la riduzione è lo stesso legislatore ad aver disciplinato il rimedio, l'alternativa, mediante la previsione della necessaria liquidazione della società.
Altra attenta dottrina ha sollevato un'ulteriore questione, ovvero, se sia necessario, in presenza di fatti impeditivi alla riduzione quali sopra indicati, dover convocare nuovamente l'assemblea affinchè decida di mettere la società in liquidazione. In questo senso pare la lettera della legge secondo la quale, accertata l'impossibilità della riduzione «la società viene posta in liquidazione». A ben vedere, una lettura più attenta consente di proporre una soluzione più articolata.
Riguardo all'ipotesi in cui l'assemblea convocata per la riduzione del capitale non abbia deliberato la riduzione, perché andata deserta o perché non si sia raggiunta la prescritta maggioranza, si è detto che la sola circostanza della mancata adozione della delibera comporti lo scioglimento della società con il relativo obbligo da parte degli amministratori di provvedere alla pubblicazione della causa di scioglimento ai sensi dell'art. 2485 c.c.
Si è invece efficacemente sostenuto che il verificarsi della fattispecie in cui la riduzione del capitale è paralizzata a seguito dell'accoglimento, mediante sentenza, dell'opposizione dei creditori sociali, non determini automaticamente lo scioglimento della società, che si verifica solo quando gli amministratori, accertato il mancato soddisfacimento delle ragioni creditorie e la definitiva impossibilità di conseguirlo procedano alla pubblicazione del verificarsi della causa di scioglimento nel Registro delle imprese [nota 14].
Abbiamo sopra elencato due ipotesi che rendono impossibile la riduzione del capitale sociale, in realtà una parte della dottrina [nota 15] ne ha individuata una ulteriore: si tratta dell'ipotesi in cui la riduzione del capitale porti questo al di sotto del limite legale.
Tale considerazione pare suffragata dalla stessa lettera della legge in quanto l'art. 2482 comma primo, richiamato dall'art. 2473 c.c. quarto comma, statuisce espressamente che la riduzione può avere luogo sempre nel rispetto dei limiti previsti dal n. 4 dell'art. 2463 c.c., che fissa il capitale minimo della Srl in euro 10.000,00.
Una lettura rigorosa e testuale dei richiami normativi porterebbe alla conclusione poco convincente secondo la quale, nell'ipotesi che risulterà probabilmente più frequente di recesso di socio da società a responsabilità limitata costituita con capitale minimo, non sia possibile deliberare la riduzione del capitale ed il suo contestuale aumento almeno al minimo previsto dalla legge.
Credo sia preferibile [nota 16] proporre una soluzione più elastica, ritenendo legittima la descritta delibera di riduzione e ricapitalizzazione e ciò alla luce del fatto che il richiamo alla disciplina della riduzione del capitale reale non può che essere interpretato con il filtro della compatibilità di tale normativa con la peculiarità della fattispecie in oggetto che, è vero che determina una riduzione effettiva del capitale, ma, a ben vedere, una riduzione non rimessa alla discrezionalità dell'assemblea ma doverosa laddove si voglia impedire lo scioglimento della società.
Si potrebbe obiettare che la delibera di ricapitalizzazione, nell'offrire in opzione le partecipazioni oggetto dell'aumento ai soci, sarebbe di fatto un inutile doppione di un segmento del procedimento che ha già avuto esito negativo: in realtà, in questa fase, i soci potrebbero essere maggiormente motivati rispetto al momento iniziale della procedura, prospettandosi agli stessi, come si detto, quale unico sbocco, alternativo alla sottoscrizione dell'aumento, lo scioglimento della società.
Pur ammettendo la legittimità di una delibera siffatta, occorre effettuare una precisazione di rilievo: la delibera in oggetto non può ritenersi interamente soggetta alla disciplina di cui agli artt. 2445 e 2482 c.c. in quanto, il risultato finale cui perviene è, per l'appunto, quello di riportare il capitale almeno all'importo iniziale ante riduzione, con la conseguenza che non sarebbe giustificato riconoscere ai creditori il diritto di opposizione, in quanto in concreto per loro non è rinvenibile alcun pregiudizio.
Dal momento del recesso a quello della riduzione del capitale intercorre necessariamente un certo periodo di tempo (predeterminato in 180 giorni solo per le Srl).
Occorre pertanto cercare di rispondere ad alcuni interrogativi che si porranno concretamente all'operatore:
- la sorte dei diritti connessi alle azioni/partecipazioni da annullare;
- il computo dei quorum costitutivi e deliberativi delle assemblee tenutesi nel frattempo (compresa quella della riduzione del capitale finalizzata al rimborso);
- l'importo del capitale sociale cui fare riferimento.
Com'è noto il legislatore della riforma ha perso l'occasione di regolamentare, dirimendo definitivamente una questione già ampiamente dibattuta, il profilo relativo al momento di efficacia della dichiarazione di recesso.
Nel tentativo di supplire al perdurante silenzio legislativo si sono formate due correnti di pensiero:
1. Secondo una prima ricostruzione [nota 17] il socio, avuto il riscontro della ricezione del recesso, perde il suo status sin da quel momento. Essa si fonda su un'interpretazione letterale del disposto normativo, in particolare, secondo tale tesi, l'espressione contenuta all'art. 2473 c.c., secondo la quale il socio «ha diritto al rimborso della quota», starebbe a significare che da quel momento in avanti il recedente sarà esclusivamente titolare di un diritto di credito nei confronti della società.
2. Una posizione diametralmente [nota 18] opposta afferma che il socio, nonostante la manifestazione di volontà di fuoriuscire dalla società, resta tale fino alla materiale corresponsione del valore della sua quota; solo in quel momento si verificherà lo scioglimento del rapporto sociale.
Alla luce dell'attuale disciplina sono ravvisabili numerosi indici a favore della seconda impostazione.
In prima battuta può richiamarsi un dato testuale, collocato nella disciplina delle SpA. L'art. 2437-bis secondo comma prevede che le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso, in vista dello svolgimento del procedimento di liquidazione, non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale. Pare che l'unico effetto scaturente dalla dichiarazione di recesso sia l'indisponibilità delle azioni e non quello di sciogliere sic et simpliciter il rapporto sociale.
È stato poi fatto notare come negare l'esercizio dei diritti sociali al socio che ha manifestato la dichiarazione di recesso condurrebbe a risultati inaccettabili, quale quello di addossare al socio recedente degli effetti che sorgono in conseguenza di decisioni alla cui formazione egli non ha potuto partecipare, fra le quali, peraltro, potrebbe esservi, la decisione avente ad oggetto la revoca della delibera che ha legittimato il recesso stesso.
Anzi, proprio in riferimento a tale ultima eventualità, in conseguenza alla revoca della delibera si avrebbe una "reviviscenza" del rapporto sociale, con una certa difficoltà nel decidere sulla sorte delle situazioni sorte nel periodo compreso tra la dichiarazione di recesso e la ricostituzione della partecipazione sociale.
Alla luce delle considerazioni svolte pare preferibile aderire a quella posizione secondo la quale la dichiarazione di recesso non comporta lo scioglimento del rapporto sociale, con la sopravvivenza in capo al socio recedente di tutti i diritti patrimoniali e amministrativi (con il limite della disponibilità delle azioni nelle SpA).
Tale conclusione consente di risolvere la seconda questione relativa ai quorum richiesti per la delibera di riduzione del capitale. è evidente che saranno quelli previsti per le modifiche dell'atto costitutivo, dovendosi peraltro tener conto, sia nel quoziente costitutivo che in quello deliberativo, della partecipazione del socio recedente, che avrà diritto di essere convocato e di partecipare alla relativa assemblea con diritto di voto.
Quanto infine all'ultimo aspetto relativo all'ammontare del capitale sociale da indicare negli atti e nella corrispondenza della società, esso resterà invariato, non solo fino all'iscrizione della delibera di riduzione presso il Registro delle Imprese, ma anche per i successivi novanta giorni, trattandosi di delibera soggetta ad una condizione sospensiva (mancata opposizione dei creditori entro il termine indicato). Fino al verificarsi della condizione l'inefficacia deve intendersi assoluta.
La riduzione del capitale per morosità del socio
Il legislatore non richiede per i conferimenti in denaro, sia in sede di costituzione che in sede di aumento del capitale sociale, a differenza dei conferimenti in natura, l'obbligo dell'integrale liberazione: secondo il combinato disposto degli artt. 2342 e 2349 c.c (e degli artt. 2464 e 2481-bis per le Srl) è sufficiente che il socio versi il venticinque per cento del capitale sottoscritto: saranno gli amministratori a richiedere, secondo le forme e i termini prescritti dallo statuto, i versamenti ancora dovuti.
In mancanza di indicazioni statutarie e, in ogni caso, in presenza di un interesse della società, è compito degli stessi amministratori decidere le modalità e la tempistica del richiamo.
In conseguenza di tale disciplina può verificarsi il caso che il socio si renda moroso nell'effettuare il versamento dei centesimi ancora dovuti.
L'art. 2344 c.c., relativo alle SpA e l'art. 2466 c.c., relativo alle Srl, delineano un procedimento, similare ma non identico per i due tipi sociali, che si articola in varie fasi, alcune obbligatorie ed altre facoltative, che l'organo amministrativo è tenuto a seguire nel caso si verifichi tale eventualità.
Per le SpA, in caso di inadempimento del socio nell'eseguire i pagamenti dovuti, gli amministratori hanno l'obbligo di metterlo in mora pubblicando sulla Gazzetta ufficiale una diffida ad adempiere. Decorsi quindici giorni da questa pubblicazione senza che il socio abbia pagato, spetta agli amministratori scegliere la strada da percorrere, in quanto è rimessa alla loro discrezionalità la decisione, evidentemente finalizzata alla miglior realizzazione dell'interesse sociale, se procedere con l'esecuzione forzata del conferimento oppure se offrire le azioni agli altri soci, in proporzione alla loro partecipazione e per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti.
Solo in mancanza di offerte da parte degli altri soci la società può fare vendere le azioni del socio moroso a suo rischio e per suo conto, a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati.
La norma è chiara nel senso che la vendita delle azioni non possa realizzarsi prima dell'offerta proporzionale agli altri soci.
La dottrina ha qualificato il diritto dei soci di essere destinatari di un'offerta di acquisto, quale prelazione ex lege [nota 19]; come si è detto l'offerta dovrà essere effettuata in proporzione alla partecipazione detenuta da ciascun socio in seno alla società, al fine di consentire il mantenimento degli assetti originari, conservando, all'interno della compagine, immutato il peso economico e decisionale di ciascun partecipante.
Qualora le azioni offerte non siano acquistate dai soci e alla vendita delle azioni non si possa addivenire per mancanza di acquirenti, gli amministratori possono escludere il socio trattenendo i versamenti già effettuati, salvo il risarcimento dei maggiori danni.
La dichiarazione di decadenza non estingue le azioni e quindi non determina, in questa fase, la riduzione del capitale: le azioni infatti entrano, temporaneamente, a far parte del patrimonio della società, che può rimetterle in circolazione entro l'esercizio in cui fu pronunciata la decadenza del socio moroso. Decorso inutilmente questo termine, le azioni devono obbligatoriamente essere estinte con una corrispondente riduzione del capitale.
Il procedimento dettato dal legislatore all'art. 2466 c.c. per le Srl è simile a quello testè tratteggiato, anche se possono evidenziarsi alcune differenze di non poco conto.
Non pare inutile, al fine del presente lavoro, ripercorrere brevemente anche la disciplina della società a responsabilità limitata, e ciò in quanto, nel redigere il verbale di riduzione del capitale a seguito dell'esclusione del socio moroso, il notaio dovrà opportunamente dar conto, a mezzo del Presidente dell'assemblea, del rispetto di tutte le fasi che devono precedere la riduzione, se non altro al fine di valutare la legittimità della delibera al fine dell'iscrizione della stessa presso il Registro delle imprese.
La procedura delineata dall'art. 2466 c.c. inizia con la costituzione in mora del socio inadempiente che deve sempre avvenire mediante diffida.
In alternativa alla vendita coattiva della partecipazione, gli amministratori, laddove lo ritengano conveniente per la società, potranno agire con l'ordinaria azione giudiziaria di condanna all'adempimento della prestazione.
È peraltro bene evidenziare che oggi, alla luce del testo in vigore dopo la riforma del diritto societario, la diffida costituisce per gli amministratori un atto dovuto, che deve precedere ogni altra iniziativa, sia la vendita coattiva sia l'azione ordinaria di adempimento; la ratio di tale passaggio obbligato va individuata nell'interesse della società ad evitare soluzioni traumatiche che potrebbero portare alla riduzione del capitale e allo stesso scioglimento dell'ente.
Dal punto di vista operativo si ritiene che il termine di trenta giorni previsto dalla legge per consentire al socio di adempiere non sia derogabile in peius; inoltre è quanto mai opportuno, seppur la norma in oggetto non imponga oneri formali, che la diffida rivesta la forma scritta, ad probationem, è ciò anche al fine di fornire una data certa all'intimazione.
Alla scadenza del termine di trenta giorni, ove non venga attivato il normale procedimento contenzioso per l'adempimento, è possibile procedere alla vendita della quota, a rischio e pericolo del socio moroso, in favore dei soci offerenti, in misura proporzionale alla loro partecipazione; in mancanza di offerte per l'acquisto, la quota è venduta all'incanto, ove previsto nell'atto costitutivo.
La vendita "a rischio e pericolo" del socio moroso (in cui gli amministratori della società agiscono come sostituti di quest'ultimo, destinando comunque allo stesso il corrispettivo dovuto per l'alienazione) deve avvenire a favore degli altri soci «per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato».
Sul punto si può notare come la disciplina dettata per le SpA si differenzi in modo sostanziale: l'art. 2444 c.c. dispone, infatti, che il corrispettivo della vendita non può essere inferiore ai conferimenti ancora dovuti, scongiurando in tal modo il pericolo di dover procedere ad una riduzione obbligatoria del capitale che, al contrario, potrebbe imporsi nella Srl laddove il criterio di valore di bilancio sia inferiore alla frazione della partecipazione ancora da liberare.
La dottrina ha peraltro evidenziato come il valore risultante dall'ultimo bilancio costituisca un minimo legale indicativo ma non un vero e proprio prezzo imposto, potendo pertanto gli amministratori offrire legittimamente in vendita la partecipazione anche ad un importo superiore [nota 20].
Come si è già anticipato la vendita all'incanto è possibile solo laddove lo statuto espressamente contempli tale possibilità: la necessità della previsione statutaria è stata introdotta solo a seguito della riforma e ribadisce la maggior sensibilità del legislatore, nel tipo Srl, nel tutelare le esigenze della compagine sociale ad evitare l'ingresso di terzi senza il consenso di tutti i soci.
Ciò peraltro non significa che, anche laddove lo statuto non preveda l'incanto, non sia consentito, con il consenso unanime dei soci, alienare la partecipazione del socio moroso, a terzi estranei. Tale conclusione trova un'indiretta conferma nella previsione di cui all'art. 2473 c.c., laddove si prevede che il rimborso della partecipazione per la quale è stato esercitato il recesso può avvenire anche da parte dei soci o di un terzo «concordemente individuato dai soci medesimi»: per coerenza sistematica, considerata l'identità della ratio sottesa alle sequenze procedimentali di entrambe le fattispecie, non si può negare una simile alternativa anche in riferimento all'ipotesi in oggetto.
Qualora gli amministratori non siano riusciti ad alienare le azioni/partecipazioni del socio moroso, nel rispetto delle fasi procedimentali sopra ripercorse, essi devono escludere il socio, trattenendo le somme riscosse.
È bene sottolineare come sia per il tipo SpA che per il tipo Srl la riduzione del capitale sociale, è immaginata e prevista dal legislatore quale extrema ratio alla quale ricorrere solo nell'ipotesi in cui tutte le fasi precedenti abbiano dato esito negativo.
Certo è che la dichiarazione di decadenza (o di esclusione nella Srl) del socio non estingue le sue partecipazioni e non determina alcuna riduzione del capitale, occorrendo all'uopo una apposita delibera dell'assemblea, con le modalità previste per le modifiche dell'atto costitutivo.
Il legislatore peraltro non precisa le modalità con le quali tale riduzione debba realizzarsi, spettando all'interprete il compito di ricostruire la disciplina concretamente applicabile, mutuandola o da quella prevista dagli art. 2446 c.c. e ss. o da quella prevista dall'art. 2445 c.c., che, come si è detto, rappresentano le due fattispecie tipizzate, quanto al procedimento, di riduzioni.
Secondo autorevole dottrina in tale caso: «la riduzione è disposta non perché ad un socio venga restituito un conferimento, ma perché al capitale non corrispondono i conferimenti: il caso è quindi analogo alla riduzione del capitale per perdite» [nota 21].
Si tratta, in altre parole, di una riduzione obbligatoria, alla quale deve essere applicata per analogia, nei limiti della compatibilità, la disciplina di cui agli artt. 2446 e 2482-bis oppure, in casi probabilmente meno frequenti, quella di cui agli artt. 2447 e 2482–ter.
Tale ricostruzione è stata criticata da un autore [nota 22] che sostiene che nella fattispecie al vaglio troverebbe applicazione non solo la disciplina della riduzione del capitale per perdite, ma anche quella dettata dall'art. 2445 c.c., se non altro per la quella "parte" di riduzione relativa alla percentuale di capitale liberata dal socio moroso che viene acquisita a patrimonio da parte della società a titolo di risarcimento.
Tale affermazione non pare convincente, sia tenuto conto delle difficoltà operative che discenderebbero dall'applicazione di una disciplina "mista" e, per definizione, confliggente, sia in quanto prescinde dalla considerazione che la percentuale di capitale già sottoscritta da parte del socio moroso che viene trattenuta dalla società non è più qualificabile come parte di "capitale conferito" quanto piuttosto quale penale per l'inadempimento.
È bene ricordare, prima di trattare di alcuni aspetti controversi, come la posizione della dottrina sia consolidata nel ritenere che, in caso di riduzione del capitale per morosità del socio in società per azioni, la società debba annullare tutte le azioni parzialmente liberate, non essendo consentita una riduzione del capitale pari alla differenza tra il valore nominale e la somma versata, con conseguente imputazione dei versamenti ricevuti ad integrale liberazione di una parte delle azioni sottoscritte. Tale conclusione pare forse scontata oggi per le Srl nella quale può dirsi immanente il principio di unitarietà della partecipazione sociale.
L'aver individuato la normativa di riferimento per tale tipo di riduzione discendente dalla morosità del socio è senz'altro un punto di arrivo, ma ciò non esclude che possa capitare all'operatore di dover fare i conti con problematiche ulteriori legate alla specificità di tale fattispecie, per la soluzione delle quali pare opportuno uno specifico approfondimento.
Una delle questioni più controverse [nota 23] riguarda l'ipotesi in cui il socio risulti moroso solo per l'ammontare relativo all'aumento di capitale e non anche a quanto conferito in sede di costituzione: ci si chiede se, in tale circostanza, la vendita in danno o il procedimento di esclusione debbano riguardare l'intera quota, oppure solo la parte non liberata.
Una parte della dottrina [nota 24], trattando dell'argomento in riferimento alla Srl, ritiene che in tali casi debba essere oggetto della procedura l'intera partecipazione e ciò alla luce di due considerazioni, l'una di ordine sistematico, l'altra di ordine logico.
La prima si fonda sul principio di "unicità" della quota, oltremodo condiviso dal legislatore della riforma che ha fatto assurgere al socio una rilevanza centrale (principio del quale può dirsi applicazione la disciplina dettata in materia di recesso che vieta il recesso parziale); la seconda fa leva sulla contraddittorietà della soluzione opposta che, consentendo la vendita in danno di una sola parte della quota del socio inadempiente, porterebbe all'assurdo «che gli amministratori dovrebbero provocare l'offerta per l'acquisto anche da parte del socio moroso».
Altra parte della dottrina contesta la fondatezza di tale ricostruzione affermando, in primo luogo, che parlare di "unicità" della partecipazione non impedisce di ritenere che la stessa possa considerarsi divisibile, giustificando la mancata riproduzione della norma dell'art. 2482 c.c. nel testo ante riforma, con l'inutilità di una simile previsione in un sistema che ha eliminato la necessità di valori minimi tondi della partecipazione sociale.
Evidentemente, tale argomentazione, sia ante che post riforma, non pare spendibile per le SpA, nella quale la partecipazione del socio risulta composta da una pluralità di titoli autonomi (e la disciplina del recesso parziale ne è conferma).
Per quanto riguarda l'obiezione relativa al fatto che conservando la qualità di socio, il soggetto moroso dovrebbe poter acquistare la quota oggetto del procedimento di cui agli artt. 2344 e 2466 c.c., parte della dottrina ha ritenuto di poterla superare «alla luce dei principi generali in materia di esecuzione forzata, che escludono, in caso di vendita, il debitore, dall'ammissione alle offerte per l'acquisto (artt. 571 e 579 c.c.)» [nota 25].
A ben vedere l'incertezza interpretativa potrebbe essere efficacemente superata da una previsione statutaria ad hoc che disciplini le conseguenze dell'inadempimento del socio nell'esecuzione dei conferimenti a seguito dell'aumento del capitale sociale, optando per una delle due soluzioni prospettate.
Credo che la posizione comunque preferibile, sia laddove si voglia predeterminare una regola statutaria, sia laddove, in assenza di questa, si debba scegliere tra le tesi prospettate, sia quella che ritiene di dover applicare la disciplina de quo solo alla parte di capitale non liberata a seguito dell'aumento del capitale.
L'accoglimento della tesi contraria comporterebbe ulteriori problematiche laddove occorra, in assenza di soggetti disposti ad acquistare l'intera partecipazione, dover ridurre il capitale. In tale eventualità due parrebbero le strade percorribili.
La prima porta alla riduzione del capitale in misura pari all'intera partecipazione, ciò però avverrebbe in spregio dei principi di integrità ed effettività del capitale medesimo e dei diritti di opposizione dei terzi creditori, in quanto si darebbe vita ad una riduzione reale del capitale, per la parte di quota inizialmente sottoscritta e liberata dal socio, in assenza delle regole di tutela di cui all'art. 2445 c.c.
La seconda soluzione, che cerca di far salvi i principi testè richiamati, impone l'adozione di un meccanismo talmente macchinoso da non poter essere senz'altro caldeggiato.
Praticamente, seguendo tale seconda strada, si dovrebbe procedere alla riduzione obbligatoria del capitale sociale solo per la quota non liberata relativa all'aumento, mentre per la parte interamente liberata in sede di costituzione, la posizione del socio moroso andrebbe equiparata a quella del socio escluso, con conseguente applicazione dell'art. 2473-bis c.c., che impone di liquidare la partecipazione del socio escluso secondo le modalità stabilite per il recesso, fatta però eccezione per la possibile riduzione del capitale. Ciò significa che tale partecipazione verrebbe nuovamente offerta agli altri soci (una sorta di "secondo giro", questa volta relativo ad una partecipazione di valore inferiore), o a terzi, o rimborsata al socio con eventuali riserve disponibili, l'assenza delle quali porterebbe la società in stato di scioglimento.
Potrebbe darsi l'ipotesi in cui il socio escluso abbia fatto ricorso al Tribunale contro il procedimento di esclusione, senza tuttavia chiederne la sospensione degli effetti. Ci si domanda se in tale ipotesi sia legittima la delibera dell'assemblea di riduzione del capitale sociale. La risposta non può che essere positiva sulla base del fatto che al fine di sospendere gli effetti dell'esclusione è necessario promuovere un procedimento cautelare ai sensi dell'art. 700 c.p.c.
Una conferma di tale affermazione è rinvenibile nella nuova disciplina dei procedimenti societari, introdotta con il D.lgs. 5/2003 che, nel disciplinare agli artt. 23-24 i provvedimenti cautelari «idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito», presuppone che anch'essi necessitino di un'apposita iniziativa, in mancanza della quale non risulta possibile modificare gli effetti prodotti dalle deliberazioni o decisioni impugnate [nota 26].
Ulteriore questione che meriterebbe un approfondimento specifico è se la riduzione del capitale riferita alla fattispecie in commento del socio moroso possa essere oggetto di delega agli amministratori di SpA applicando analogicamente l'art. 2365, secondo comma c.c., nella parte che prevede la possibilità per lo statuto di attribuire alla competenza dell'organo amministrativo (o del consiglio di sorveglianza o del consiglio di gestione), le deliberazioni concernenti la riduzione del capitale in caso di recesso del socio.
Mi pare che si possa sostenere una posizione possibilista, tenuto conto dell'analogia rinvenibile nelle due fattispecie, entrambe relative a riduzioni di capitale "imposte" dalla legge in presenza di presupposti il cui accertamento è attribuito alla competenza dell'organo amministrativo medesimo.
[nota 1] Per un'efficace trattazione dell'argomento prima della riforma del diritto societario si veda NOBILI – SPOLIDORO, La riduzione del capitale, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino, 1994, p. 432 e ss.
[nota 2] La considerazione è di C.A. BUSI, SpA - Srl, Operazioni sul capitale, Milano, 2004, p . 402 e ss.
[nota 3] Anche se esula del presente lavoro un'analisi di tutte le problematiche relative al recesso, pare opportuno, per l'immediato impatto notarile, ricordare la posizione espressa dall'Ufficio Studi del CNN (quesito 57-2007), a cura di M. LUPETTI, A. PAOLINI, A. RUOTOLO, su quale sia il titolo idoneo ai fini della pubblicità nel Registro imprese e successiva iscrizione a libro soci della fattispecie di «accrescimento della partecipazione in capo ai soci rimasti a seguito del rimborso della stessa al socio receduto mediante l'utilizzazione di riserve disponibili».
In merito l'Ufficio Studi si è pronunciato sulla necessità dell'atto autentico che avrebbe un contenuto in parte ricognitivo delle varie fasi del procedimento e in parte dispositivo (perché dallo stesso dovrà constare l'accordo in ordine al quantum del rimborso). Si suggerisce peraltro la partecipazione all'atto oltre che dell'organo amministrativo (che dovrà procedere al pagamento a favore del socio recedente), di quest'ultimo (che rilasci quietanza della somma riscossa) e degli altri soci (per dare atto del rispetto delle varie fasi del procedimento e dell'accordo in ordine al quantum del rimborso).
[nota 4] Nel senso dell'inderogabilità, P. REVIGLIONO, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano, 2008, p. 342 e ss., Contra M. MALTONI, «Il recesso e l'esclusione nella nuova società a responsabilità limitata», in Notariato, 2003, p. 307, secondo il quale l'autonomia privata potrebbe escludere solo le tecniche di rimborso fondate sull'acquisto da parte dei soci o di un terzo, stante il carattere eventuale delle medesime.
In materia di SpA ritiene rimessa alla discrezionalità degli amministratori la scelta in ordine al collocamento delle azioni presso terzi, S. CARMIGNANI, nel Commento all'art. 2437-quater, in La riforma delle società, tomo II, Torino, 2003, p. 884.
[nota 5] Si ricorda peraltro la tesi sostenuta nelle massime elaborate dal Comitato Triveneto dei Notai, secondo il quale, in assenza di una norma statutaria ad hoc, bisognerebbe ricorrere all'analogia con la SpA ritenendo pertanto legittima la sola raccomandata.
[nota 6] Tale elemento temporale riveste un'importanza fondamentale per la soluzione di svariate questioni:
tempestività dell'esercizio del recesso rispetto alla delibera che lo ha provocato e tempestività dell'eventuale revoca di quest'ultima;
decorrenza del termine di centottanta giorni entro il quale la società deve provvedere al rimborso della partecipazione;
data a cui riferire la valutazione del patrimonio sociale ai fini della liquidazione della quota.
[nota 7] P. REVIGLIONO, op. cit., p. 298.
[nota 8] Contra, P. REVIGLIONO, op. cit., p. 295; I. DEMURO, Il recesso, in La nuova Srl. Prime letture e proposte interpretative a cura di F. Farina, C. Ibba, G. Racugno, A. Serra, Milano, 2004, p. 178.
[nota 9] In questo senso F. MAGLIULO, op. cit., p. 237.
[nota 10] Così M. VENTORUZZO, «Recesso da società a responsabilità limitata e valutazione della partecipazione del socio recedente», in Nuova giur. civ. comm., II, 2005, p. 434.
[nota 11] La dottrina ha evidenziato come tramite l'opposizione ai sensi dell'art. 2445 c.c. sia stato attribuito legislativamente ai creditori «il potere di controllo indiretto sull'operazione che sta a monte del recesso del socio, cosicchè, opponendosi alla riduzione del capitale, finiscono per opporsi alla delibera assembleare che ha legittimato l'exit del socio». Così C.A. BUSI, op. cit., p. 415.
[nota 12] Se però la delibera che ha occasionato il recesso sia di trasformazione di Srl in SpA deve ritenersi che la procedura da applicare sia quella di cui all'art. 2437-quater con conseguente possibilità per la società di rimborsare le azioni mediante acquisto di azioni proprie.
[nota 13] In questo senso P. REVIGLIONO, op. cit., p. 359. Più in generale escludono la possibilità di delegare la riduzione del capitale nei casi di cui all'art. 2482 c.c. all'organo amministrativo PINNARò, Sub artt. 2482-2482-quater, in Comm. Sandulli e Santoro, Torino, p. 199; RACUGNO, «Le modificazioni del capitale nella nuova Srl», in Riv. soc., 2003, p. 832.
[nota 14] In altre parole il verificarsi dello scioglimento potrebbe essere evitato laddove gli amministratori, in un momento immediatamente successivo alla pubblicazione della sentenza che accoglie l'opposizione dei creditori, procedano al soddisfacimento delle loro ragioni, facendo venir meno gli stessi presupposti dello scioglimento.
[nota 15] In questo senso F. MAGLIULO, Il recesso e l'esclusione, in La riforma della società a responsabilità limitata, a cura di C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F. Tassinari, Milano 2007, p. 347 e ss., per tale autore in tali casi lo scioglimento può essere evitato solo mediante creazione di una riserva disponibile che renda inutile ricorrere ad una riduzione di capitale giuridicamente impossibile; si potrà pertanto procedere solo mediante acquisizione di versamenti in conto capitale dai soci, ma non operando sul capitale. Tale conclusione non sembra condivisibile tenuto conto che comunque i soci potrebbero raggiungere lo stesso risultato che si afferma essere vietato mediante la revoca dello stato di liquidazione alla quale la società parrebbe irreversibilmente destinata.
[nota 16] Così V. SALAFIA, «Scioglimento e liquidazione delle società di capitali», in Le società, 2003, p. 378.
[nota 17] Così: M. MALTONI, in «Il recesso e l'esclusione nella nuova società a responsabilità limitata», cit., p. 311, che argomenta la sua ricostruzione anche mediante il richiamo all'art. 2532 in materia di cooperative, dove si stabilisce che «il recesso ha effetto per quanto riguarda il rapporto sociale dalla comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda»: tale norma rappresenterebbe un'eccezione alla regola generale dell'efficacia immediata del recesso e sarebbe stata dettata per rendere coerente il dies a quo di efficacia del recesso alla particolare procedura imposta dalla legge; ancora nel senso del testo la massima n. 5, del Comitato Triveneto secondo la quale la dichiarazione di recesso quale atto unilaterale recettizio sarebbe altresì risolutivamente condizionato ex lege alla revoca della delibera o allo scioglimento della società.
[nota 18] Così S. MASTURZI, Commento all'art. 2473, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, p. 90, D. GALLETTI, Commento all'art. 2473, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, 2005, p. 1919 ; P. REVIGLIONO, op. cit., p. 301 e ss.
[nota 19] In questo senso, M.C. CALDARELLI, nel Commento
all'art. 2344 c.c., in La riforma delle società, Torino, 2003, p. 121.
[nota 20] In questo senso F. TASSINARI, I conferimenti e le tutela dell'integrità del capitale sociale, in La riforma della società a responsabilità limitata, a cura di C. Caccavale, F. Magluilo, M. Maltoni, F. Tassinari, Milano, 2007, p. 108 e ss.
[nota 21] NOBILI – SPOLIDORO, op. cit., p. 455 e ss.
[nota 22] C.A. BUSI, op. cit., p. 413.
[nota 23] Sull'argomento, per una completa trattazione, si rinvia allo studio n. 5396/I della Commissione Studi d'impresa del CNN, approvato il 12 novembre 2005, redatto da A. PAOLINI, «Questioni in tema di vendita in danno della quota del socio morso di Srl».
[nota 24] FERRI, Le società, in Trattato Vassalli, Torino, 1987, p. 435.
[nota 25] In questo senso A. PAOLINI, op. cit.
[nota 26] In questo senso la risposta a quesito del CNN n. 81-2006 del 9 maggio 2006 a nome A. Paolini e A. Ruotolo.
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