Riflessioni in tema di aumenti e riduzioni in occasione di fusioni e scissioni
Riflessioni in tema di aumenti e riduzioni in occasione di fusioni e scissioni
di Stefano Santangelo
Notaio in Caivano
Considerazioni introduttive
Il tema oggetto di questa relazione, "Aumenti e riduzioni in occasione di operazioni di fusione e di scissione", coinvolge argomenti quanto mai interessanti, offrendo l'occasione di analizzare la fisionomia delle manovre sul capitale realizzate nell'ambito di operazioni straordinarie. In argomento, giova rilevare come, sul piano metodologico, l'analisi si muoverà su due distinti percorsi ricostruttivi, che consentiranno di sviluppare il tema oggetto della relazione attraverso un duplice angolo prospettico.
Nelle pagine che seguono saranno, infatti, in primo luogo valutati aumenti e riduzioni di capitale decisi nel corso di procedimenti di fusione e scissione e da questi "occasionati". L'analisi dovrà, in particolare, chiarire quali siano le interrelazioni tra le operazioni in oggetto e, con precipuo riguardo all'aumento di capitale, se esso assurga ad elemento indefettibile della procedura di fusione e scissione.
Nella seconda parte della relazione si tenterà, invece, di verificare se, ed entro quali limiti, le società coinvolte nei procedimenti di fusione e scissione possano operare variazioni di capitale in pendenza degli stessi: in questo frangente del nostro percorso ricostruttivo, assurge a ruolo centrale l'analisi del delicato equilibrio tra autonomia societaria ed obblighi di rispetto delle pattuizioni assunte con le altre società.
In via preliminare è opportuno rilevare come l'economia del presente lavoro imponga di adottare quale modello di riferimento della nostra analisi la fusione per incorporazione, precisando sin d'ora che le conclusioni cui si addiverrà con riferimento ad essa siano estensibili alla fusione propria ed esportabili anche alla scissione parziale con beneficiaria preesistente, in considerazione della sostanziale omogeneità delle problematiche sottese alle operazioni stesse.
Gli aumenti di capitale funzionali alla fusione: elemento indefettibile o semplice opzione procedimentale?
Muovendo dalla disamina degli aumenti di capitale "generati" dal procedimento di fusione, giova rilevare come la disciplina legislativa offra all'interprete un ampio spettro di possibili percorsi attraverso i quali realizzare l'integrazione tra strutture societarie. Nella disamina delle diverse fattispecie, ciò che l'analisi dovrà chiarire il ruolo "procedimentale" dell'aumento di capitale, verificando se esso costituisca elemento essenziale della fusione ovvero possibile evoluzione del processo di integrazione societaria.
(Segue) Le fusioni senza rapporto di cambio o unilaterali (c.d. semplificate)
Con l'espressione "fusioni semplificate" si intende far riferimento alle operazioni di fusione che, per una peculiare omogeneità nella compagine delle società coinvolte, possono essere realizzate in mancanza di taluni estremi procedimentali prescritti dal legislatore per la fusione ordinaria. Il riferimento va a diversi casi, taluni dei quali legislativamente previsti, altri di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Si pensi, in primo luogo, alla fusione per incorporazione di società interamente posseduta; alla fusione tra società i cui soci sono i medesimi e nelle medesime proporzioni; alla fusione per incorporazione di società il cui capitale in parte è posseduto dalla incorporante ed in parte dai soci delle due società che sono i medesimi e nelle stesse proporzioni; ancora, alla fusione per incorporazione "c.d. a cascata o a cannocchiale" (ossia la fusione per incorporazione di più società le une totalmente possedute dalle altre).
Le fattispecie appena descritte presentano, quale elemento unificante e denominatore comune, la presenza di un unico riferimento soggettivo, portatore perciò stesso di un medesimo interesse, non contrapposto ad alcuna altra istanza: in tali casi la fusione manca, quindi, di qualunque "momento contrattuale" e l'operazione si esaurisce in una mera riorganizzazione aziendale, in un'unica vicenda di carattere sociale, rappresentata dalla somma dei patrimoni delle società partecipanti.
Il dato distintivo e caratterizzante ai fini della presente analisi, è rappresentato dalla mancanza di qualsivoglia manovra sulle partecipazioni, che erano e restano nelle mani dell'unica collettività di soci partecipante all'operazione, senza attribuzione ad alcuno di partecipazioni della società incorporante.
L'operazione si esaurisce, pertanto, nell'annullamento del capitale della società incorporata, restando invariata la proporzione partecipativa dell'unico gruppo di soci.
In questa tipologia di operazione fusoria non è possibile contemplare alcun aumento di capitale ad essa funzionale e, mancando una pluralità di "parti", fanno difetto gli stessi destinatari dell'aumento; acquisita la mancanza di una manovra sul capitale in ogni caso di "fusione semplificata", rientra certamente nell'autonomia delle parti la possibilità di effettuare, unitamente all'operazione di fusione, un aumento gratuito del capitale della società; in questo caso si tratterà, però, di un aumento occasionalmente deliberato in concomitanza con la fusione, aumento che rimane pertanto del tutto estraneo al meccanismo fusorio e ad esso solo volontariamente collegato.
L'analisi sino ad ora formulata consente di addivenire ad una prima conclusione: nelle diverse ipotesi riconducibili al paradigma della fusione c.d. semplificata o unilaterale, la causa è rappresentata dalla mera riorganizzazione aziendale della riallocazione dei beni dell'impresa, al fine di migliorarne la produttività sfruttando le sinergie emergenti dall'operazione; causa, questa, che esplica la sua funzione esclusivamente sul piano sociale senza alcun risvolto che possa coinvolgere i soci e le loro partecipazioni.
(Segue) Le fusioni con rapporto di cambio o plurilaterli
I procedimenti di fusione "ordinaria" o plurilaterale si caratterizzano per la presenza di due o più centri di riferimento soggettivo rappresentati dalle distinte collettività di soci delle società che partecipano all'operazione. Rispetto alle istanze procedimentali i suddetti centri di riferimento hanno interessi contrapposti che trovano composizione nel progetto di fusione, ove con la determinazione del rapporto di cambio si fissa il c.d. "prezzo della fusione" per le compagini sociali coinvolte.
Diversamente da quanto accade nella fusione semplificata, in questa ipotesi si scorge una duplice vicenda: una prima, riguardante l'aspetto sociale e quindi organizzativo, che si esaurisce nel riassetto societario (somma dei patrimoni delle società partecipanti); una seconda, economico-contrattuale, riguardante il rapporto tra le due o più collettività di soci portatori di interessi contrapposti, interessi che si compongono - come detto - nel progetto di fusione. Elemento caratterizzante in questa tipologia di operazione è la manovra sulle partecipazioni sociali, manovra realizzata sulla base delle risultanze del rapporto di cambio.
Nelle fusioni in cui vi sono presenti diverse collettività sociali di riferimento, il rapporto di cambio non può, infatti, assolutamente mancare (come si è già evidenziato, rappresenta "il prezzo della fusione"): esso indica e cristallizza i rapporti di forza tra le compagini di soci coinvolti e sulla base di esso si distribuiscono le partecipazioni ai soci dell'incorporata; è determinato nella relazione degli amministratori e valutato dai soci con l'ausilio della relazione sulla congruità del rapporto stesso effettuata dagli esperti.
L'essenzialità del rapporto di cambio prelude alla ineludibile manovra sulle partecipazioni sociali. La causa, che si è affermata essere propria della fusione c.d. semplificata o unilaterale, ossia la riorganizzazione e riallocazione dei beni aziendali al fine di migliorarne la produttività e che esplica la sua funzione sul piano sociale, si arricchisce in questo caso di un elemento ulteriore, rappresentato dalla manovra sulle partecipazioni, manovra che conduce l'operazione ad esplicare i suoi effetti non più sul solo piano sociale, ma anche su un piano extra-sociale che coinvolge gli interessi dei soci.
Infatti nella fusione c.d. "ordinaria" - ove è imprescindibile il rapporto di cambio - ai soci della società incorporata devono essere attribuite partecipazioni sulla base di siffatto rapporto.
Le conclusioni testè formulate pongono alla nostra attenzione taluni interessanti interrogativi: l'attribuzione delle partecipazioni volta ad integrare le collettività sociali partecipanti all'operazione implica sempre un aumento di capitale della società incorporante? L'aumento di capitale rappresenta l'unico strumento attraverso il quale si raggiunge il fine di integrare le varie compagini sociali che partecipano all'operazione? E nel caso in cui la risposta fosse negativa, questo permetterebbe di affermare che la fusione bilaterale, nella sua "struttura minima", non richiede alcun aumento del capitale, manovra quest'ultima che, se prevista, va considerata "ultronea" e pertanto quando questo è previsto rappresenta comunque una operazione ultronea rispetto alla fusione pur se ad essa funzionale?
Ebbene, ai primi due interrogativi formulati va senz'altro data risposta negativa: la dottrina ha più volte chiarito che, se l'aumento di capitale a servizio del rapporto di cambio rappresenta il paradigma più diffuso per realizzare l'integrazione delle collettività di soci coinvolte nella fusione, altre opzioni procedimentali, di "pari dignità", conducono al medesimo risultato. Si deve pensare infatti, in primo luogo, all'attribuzione ai soci dell'incorporata - nel rispetto del rapporto di cambio - di azioni proprie già detenute in portafoglio dalla incorporante (anche se eccedenti il limite di legge) o addirittura azioni della stessa incorporante detenute in portafoglio dalla incorporata, nel quale ultimo caso in realtà è come se queste azioni venissero prima acquisite dalla società incorporante ed poi attribuite ai soci dell'incorporata.
Altra possibile soluzione è quella della redistribuzione delle azioni della società incorporante: le partecipazioni dei soci della incorporante saranno redistribuite tra i soci della medesima incorporante ed ai soci della incorporata, sempre sulla proporzione determinata con il rapporto di cambio. Non essendo attribuite ai soci della incorporata nuove partecipazioni della incorporante, manca qualunque aumento di capitale e la necessaria integrazione tra le collettività di soci si raggiunge attraverso la una mera riassegnazione del capitale della incorporante medesima. A seguito dell'operazione, i soci di quest'ultima vedranno ridursi la propria partecipazione al capitale, in quanto questo è ridistribuito anche ai nuovi soci, ma a ciò corrisponderà un maggior patrimonio di riferimento, costituito dalla somma dei patrimoni delle società partecipanti. Va ricordato, in questa sede, che l'interesse dei soci non si fonda sul valore nominale della partecipazione, ma sulla percentuale di partecipazione al capitale.
Fattispecie assimilabile a quella da ultimo prospettata l'emissione di azioni senza valore nominale: se la società incorporante ha in circolazione azioni prive del valore nominale, senza procedere ad alcun aumento del capitale, potrà distribuire nuovi titoli ai soci della incorporata, ottenendo di fatto il medesimo risultato evidenziato nell'ipotesi che precede, in quanto il valore nominale inespresso, rappresentato dal rapporto tra capitale e azioni in circolazione, si riduce.
Individuazione dei tratti fisionomici dell'istituto della fusione: la fusione come operazione autoreferenziale
Giunti a questo punto dell'analisi, è possibile trarre talune, prime conclusioni del percorso ricostruttivo sin qui sviluppato. In particolare, appare opportuno delineare i tratti fisionomici delle due tipologie di fusione (semplificata e con rapporto di cambio) e, attraverso esse, a tracciare una corretta proposta ricostruttiva in ordine alla configurazione strutturale delle stesse, dando così risposta affermativa all'ultimo dei quesiti che ci siamo posti al paragrafo che precede.
Al riguardo appaiono felici, sempre sul piano ricostruttivo, le sollecitazioni offerte dall'applicazione della sistematica civilistica. La dottrina insegna infatti che, ai fini della ricostruzione strutturale e funzionale di una data fattispecie, occorre partire dalla considerazione dei tratti fisionomici costanti, che si risolve nella compiuta verifica del voluto negoziale e della vicenda effettuale la quale, per essere tipica, colora la causa di un determinato negozio. Provando a riprendere la disamina dell'istituto della fusione attraverso la "lente" delle categorie civilistiche, può dirsi, infatti, che l'aumento di capitale sociale a servizio del rapporto di cambio, non rappresentando un dato costante del procedimento innanzi delineato, non può assurgere al rango degli essentialia negotii, rimanendo sul piano dei naturalia negotii, ossia di quegli elementi che possono, ma non necessariamente devono partecipare ad una determinata fattispecie negoziale e che, per tale ragione, non connotano nè la causa nè la struttura dell'operazione, ma possono arricchire il regolamento negoziale di elementi ulteriori.
L'istituto della fusione, infatti, sia essa semplificata o, in presenza di diverse collettività di soci, portante in sè la determinazione di un rapporto di cambio, espone una causa costante identificabile nella unificazione dei patrimoni delle società partecipanti alla fusione al fine di sfruttarne le sinergie che da essa si sprigionano, che, su un piano squisitamente strutturale, si traduce in una "struttura minima" che non necessita di alcun ulteriore elemento per esplicare i suoi effetti e, nello specifico, non necessita di alcuna manovra sul capitale.
L'aumento di capitale, in altre parole, non può assurgere ad elemento strutturale indefettibile dell'istituto fusorio, ma rappresenta solo uno degli strumenti attraverso il quale, volontariamente, gli organi amministrativi delle società partecipanti possono arricchire il paradigma dell'operazione sussumendo l'aumento stesso nella fattispecie concreta rendendo così un elemento, di per sè ultroneo, funzionale a quella determinata fusione.
La fusione è dunque operazione autoreferenziale, poichè non necessita di alcun ulteriore elemento o altra operazione connessa per esplicare i propri effetti. Depone in tal senso, in modo inequivoco, anche il quadro normativo di riferimento, nel quale il legislatore disegna la fusione quale operazione autosufficiente: in particolare, in alcuna disposizione, l'aumento del capitale assurge a mezzo di realizzazione dell'operazione, diversamente da quanto accade, ad esempio, in materia di obbligazioni convertibili la disciplina dettata dal legislatore è assolutamente autosufficiente e può pertanto notarsi come, in alcune delle norme in sede propria è richiamato l'aumento di capitale come operazione da porre in essere a servizio del rapporto di cambio (diversamente si comporta il legislatore nell'emissione del prestito obbligazionario convertibile). Nella fusione con rapporto di cambio, che abbiamo definito "plurilaterale", ciò che nella struttura minima assume il ruolo di elemento assolutamente indefettibile quale strumento a servizio del rapporto di cambio è la manovra sulle partecipazioni realizzata attraverso la redistribuzione del capitale sociale della società incorporante; esso infatti, annullato il capitale della società incorporata, è il solo capitale a disposizione dell'operazione e che, al perfezionamento dell'operazione, sarà suddiviso tra coloro i quali saranno i soci della società risultante dall'operazione (tutti soci che compongono i gruppi partecipanti all'operazione).
Qualunque ulteriore operazione sussunta nella struttura della fusione nasce come elemento non necessario; si potrà aumentare il capitale della incorporante per distribuire nuove azioni agli altri soci (anche al fine di non intaccare le partecipazioni in circolazione), allo stesso modo in cui il capitale della incorporante si potrà ridurre (il legislatore della riforma, espungendo dall'art. 2445 c.c. ogni riferimento all'esuberanza ha definitivamente sancito tale possibilità), sempre a condizione di mantenere la proporzionalità tra le varie collettività di soci cristallizzata nel rapporto di cambio (la tutela dei creditori resta assorbita, pur se ridotta temporalmente da novanta a sessanta giorni, attraverso l'opposizione di cui all'art. 2445 c.c.).
Risvolti applicativi della proposta ricostruzione fisionomica dell'istituto
La ricostruzione sin d'ora formulata appare interessante, a parere di chi scrive, non solo ai fini di una chiara definizione dell'istituto fusorio, ma altresì per le implicazioni applicative che essa presenta; in particolare, appare interessante approfondire i corollari della affermata "non centralità" dell'aumento di capitale per realizzare l'operazione di fusione.
Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui in un procedimento fusorio una società di persone sia incorporata da una società di capitali. Ebbene, se quanto sostenuto è condivisibile, prescindendo dalla tipologia di fusione (sia essa semplificata o con rapporto di cambio) e muovendo dal considerare la struttura minima dell'operazione (nella quale non figura, come più volte detto, l'aumento del capitale) in nessun caso la società di persone sarà tenuta a redigere la relazione di stima del proprio patrimonio. Deve infatti notarsi che, rispetto a come normalmente gli operatori pratici sono abituati a ragionare - cioè nel senso che in operazioni di fusione in cui è coinvolta una società di persone deve normalmente procedersi alla perizia di stima tranne talune eccezioni - il principio deve essere invertito.
Nella fusione "semplificata" che determini l'incorporazione di società di persone in società di capitali, eseguendosi l'operazione attraverso l'annullamento del capitale dell'incorporata, il netto della società di persone non sarà in alcun caso imputato a capitale della società incorporante, di talchè viene meno la ratio della relazione peritale.
Del pari, nell'operazione di fusione per incorporazione di una società di persone in una società di capitali, la perizia di stima non sarà mai necessaria a meno che non si scelga, volontariamente, di soddisfare il rapporto di cambio attraverso un aumento di capitale; in tal caso se per l'indicato aumento l'incorporante utilizzerà netto proveniente della società di persone sarà dovuta la perizia di stima al fine di controllarne l'effettività, in tutti gli altri casi. L'operazione farà a meno della perizia di stima.
La valutazione peritale del patrimonio della società di persone in ipotesi di fusione, alla quale sono collegati costi, lungaggini e altre complicazioni, sempre poco gradita agli imprenditori, resta così relegata a ben pochi casi e tutti collegati ad aumenti di capitale espressamente "voluti" degli organi amministrativi delle società partecipanti (ovviamente la perizia sarà necessaria nell'ipotesi in cui più società di persone danno vita ad una società di capitali).
Aumenti e riduzioni di capitale da parte delle società partecipanti alla fusione in pendenza del procedimento: premesse
Passiamo ora ad analizzare se, ed entro quali limiti, le società coinvolte in operazioni di fusione o di scissione possano procedere a deliberare aumenti o riduzioni di capitale in pendenza delle stesse. Riprendendo le premesse ricostruttive formulate al principio della relazione, è opportuno sottolineare come il riferimento vada ora a manovre sul capitale che non abbiano alcun legame genetico con le più ampie operazioni di integrazione o disgregazione societaria: oggetto di analisi, pertanto, saranno i margini di autonomia da riconoscere alle società una volta intrapresi detti procedimenti.
In via preliminare, appare ancora opportuno rilevare come uno studio sistematico delle disposizioni legislative in materia induce a ritenere che, durante il procedimento fusorio o scissorio, le società coinvolte nell'operazione straordinaria, e per esse le rispettive assemblee, non subiscano limitazioni o sospensioni delle loro prerogative. Se, infatti, la società continua ad esistere e ad operare, con essa, e con pieni poteri, permangono l'originaria struttura organizzativa e i rispettivi organi sociali. Un'ultima precisazione: nel corso delle pagine successive, l'operazione di riferimento sarà la fusione per incorporazione, con l'avvertenza però che per semplicità espositiva nell'ambito del ragionamento ci riferiremo alle operazioni di fusione, ma che, mutatis mutandis, analogo discorso può farsi per le operazioni di scissione.
(Segue) Le deliberazioni c.d. incompatibili
Se, dunque, dal quadro normativo non emergono indicazioni tese a mortificare l'autonomia delle società coinvolte, nel prosieguo delle analisi dovrà chiarirsi se alla medesima conclusione conducano anche i connotati fisionomici delle singole delibere che le società possono assumere. Al riguardo, appare opportuno compiere una summa divisio tra delibere teleologicamente incompatibili con il procedimento in corso e delibere che, al contrario, possono essere compatibili con esso. Ebbene, quanto alle prime, a parere di chi scrive, si deve ritenere che l'adozione di esse, sicuramente ammissibile, abbia l'effetto di bloccare l'operazione in corso (si pensi alla trasformazione di una delle società partecipanti in associazione) assumendo, piuttosto, diverse connotazioni a seconda del momento in cui interviene. Laddove intervenga tra la sottoscrizione del progetto di fusione e la delibera di approvazione dello stesso, in essa dovrà ravvisarsi una volontà implicita di non procedere all'operazione da parte dei soci della società deliberante; laddove tale delibera fosse assunta nella successiva fase che va dalla delibera di approvazione del progetto all'atto di fusione, in essa andrebbe individuata una revoca tacita della delibera di approvazione del progetto.
(Segue) Le deliberazioni non incompatibili; divisione in fasi del procedimento
Venendo all'analisi delle altre deliberazioni non tipologicamente incompatibili con la fusione in corso, non possiamo prescindere, come fatto innanzi, dalla suddivisione in due fasi dell'operazione di fusione: una prima che va dalla sottoscrizione del progetto alla delibera di approvazione dello stesso e una seconda che va dalla delibera di approvazione del progetto all'atto di fusione: tale distinzione non ha, ovvero, un ruolo solo di inquadramento cronologico ma conduce in sè, come avremo modo di vedere, molteplici problematiche di ordine procedimentale.
Accogliendo l'idea di analizzare la vicenda "per fasi", e cioè cogliendo le particolarità dei diversi momenti in cui si articola il procedimento di fusione, non può non rilevarsi che nella fase tra la sottoscrizione del progetto e la sua approvazione da parte dell'assemblea, qualunque deliberazione che implichi una modifica dello statuto dell'incorporante e quindi dello statuto che regolerà la vita della società dopo la fusione, si traduce in una modifica del progetto, attuabile nei limiti di cui all'art. 2502, ultimo comma, c.c.
Al riguardo, sia consentito notare come anteriormente al D.lgs. 6/2003 la tesi della immodificabilità del progetto di fusione era collegata alla ripartizione normativa delle competenze tra soci ed amministratori in ordine al progetto stesso, nonchè all'affidamento che la sua pubblicazione nel Registro delle imprese era in grado di ingenerare rispetto ai creditori divenuti tali successivamente alla stessa, ai quali per tale motivo risultava precluso il potere di opposizione. Ebbene, la mancata attribuzione a tali creditori del potere di opposizione veniva giustificata sottolineandosi come essi, a differenza dei creditori anteriori alla pubblicazione del progetto di fusione nel Registro delle imprese, dovevano ritenersi in grado di avere conoscenza, proprio attraverso la pubblicazione, dei termini concreti della operazione di fusione coinvolgente la società debitrice.
(Segue) Brevi cenni sul portato dell'art. 2502 c.c.; i diritti dei terzi
La descritta esigenza di tutela è stata tenuta in debito conto dal legislatore della riforma, il quale, con la disposizione dell'art. 2502 comma II c.c., da un lato, introduce il principio per il quale la "decisione di fusione" può apportare modifiche al progetto pubblicato nel Registro delle imprese (lasciando così intendere che il progetto stesso - nato come proposta degli amministratori ai soci - attraverso la deliberazione assembleare, viene fatto proprio da questi ultimi), dall'altro fissa il limite del necessario rispetto per i diritti dei "terzi" e dei soci.
Occorre quindi individuare in dettaglio - in considerazione delle istanze sottese al dato normativo - quali tra gli elementi che costituiscono il contenuto del progetto siano intangibili e quali emendabili, distinguendo tra la tutela dei soci e quella dei terzi.
Quanto a questi ultimi, sebbene il disposto normativo si riferisca genericamente ai terzi, vengono in considerazione i creditori sociali e, tra questi, quelli successivi alla pubblicazione del progetto, privi del diritto di opporsi alla fusione. Peraltro, come autorevolmente sostenuto, il pregiudizio delle ragioni di questi ultimi diventa giuridicamente rilevante allorquando esso abbia gli stessi caratteri del pregiudizio rilevante ai fini dell'opposizione ex art. 2503 c.c.: deve trattarsi, cioè, di un pregiudizio che deriva dalla diminuzione della garanzia patrimoniale offerta da ciascuna società ai rispettivi creditori derivante dalla confusione dei patrimoni. Assunta tale ottica, delibere lesive dei diritti dei creditori possono essere quelle che conducono alla alterazione del numero e/o della identità delle società coinvolte (art. 2501-ter n. 1 c.c.) o alla attribuzione ai soci di conguagli in denaro di importo superiore a quello originariamente previsto, provocandosi in tal modo il decremento del patrimonio della società post-fusione atteso dai creditori con conseguente riduzione della garanzia offerta loro.
(Segue) Brevi cenni sul portato dell'art. 2502 c.c.; i diritti dei soci
Passando alla trattazione dei diritti dei soci, devono ritenersi in linea di principio consentite quelle modifiche che incidano esclusivamente su aspetti organizzativi della struttura contenuti nel progetto, quali le modificazioni statutarie (o almeno la gran parte di esse) della società incorporante o di quella risultante dalla fusione, attraverso le quali possono essere effettuati "aggiustamenti" al programma progettato. Tali modifiche possono essere deliberate a maggioranza dai soci di ciascuna società senza che con ciò si debba ritenere lesa l'informazione pre-assembleare dei soci, fornita dal progetto e dai documenti che lo accompagnano, sulla considerazione che le variazioni al progetto possono emergere dallo stesso dibattito assembleare (modificazioni che ovviamente non potranno essere di portata tale da stravolgere l'operazione stessa). Va ancora evidenziato come la norma che ci occupa non può riferirsi all'intangibilità di posizioni individuali di singoli soci in quanto il procedimento fusorio non fa emergere interessi connessi a singole posizioni; il riferimento normativo ai soci è correlato alle colletività di soci considerate nel loro insieme, ciascuna delle quali è in contrapposizione con le altre collettività in un gioco di rapporti di forze tra gruppi e non tra singoli.
Acquisito alla nostra analisi il dato della tendenziale ammissibilità di delibere modificative che incidano su aspetti organizzativi - e dunque propriamente "sociali" che non rendono il progetto modificato un nuovo progetto - deve invece escludersi l'ammissibilità di quelle delibere che incidano direttamente sui diritti patrimoniali o amministrativi delle singole collettività di soci e cioè che producano l'effetto di alterare il valore della partecipazione di un gruppo rispetto agli altri; si pensi, oltre al già citato esempio del mutamento delle società partecipanti, alla modificazione del rapporto di cambio (nel senso chiarito nel paragrafo che segue), al trattamento riservato a particolari categorie di soci, all'eventuale conguaglio in danaro, alla determinazione della sorte degli utili in formazione, collegata alla regolazione degli effetti contabili della fusione (art. 2501-ter n. 3, 5 e 6). Tutti elementi che disciplinano la sorte della partecipazione nella società incorporante e gli ulteriori effetti patrimoniali della fusione stessa, non sui singoli soci, ma sulle collettività dei soci di ciascuna società partecipante, modifiche queste che pertanto devono considerarsi riconducibili al divieto posto dalla norma.
La differenza intercorrente tra modifica e adeguamento del rapporto di cambio; rapporto di cambio riferito
alle partecipazioni e rapporto di cambio riferito al capitale post-fusione
Appare opportuno chiarire sin d'ora la profonda differenza, non sempre avvertita in dottrina, che deve farsi tra modifica del rapporto di cambio e adeguamento del rapporto stesso.
Una modifica del rapporto di cambio determina una alterazione "economica" del rapporto di forze tra le collettività di soci che sono in correlazione, in quanto si modifica il rapporto proporzionale fra i gruppi di soci stessi: un gruppo rispetto alla situazione ante modifica risulterà economicamente avvantaggiato rispetto agli altri i quali, viceversa, soffriranno la corrispondente posizione deteriore rispetto al patrimonio sociale della società risultante dalla fusione.
Attraverso l'adeguamento del rapporto di cambio, al contrario, si vuole impedire che, a seguito di un evento sopravvenuto alla fissazione dell'originario rapporto di cambio, tale evento possa determinare un'alterazione del rapporto di forze tra le collettività di soci. L'adeguamento del rapporto di cambio, al contrario della modifica dello stesso, tende, infatti, a neutralizzare gli effetti devianti di una vicenda che colpisce l'operazione in vista della quale il rapporto stesso è fissato ed a mantenere inalterate le originarie posizioni di forza delle collettività di soci tra le quali era stato fissato.
Giova in questa sede fare un altro chiarimento circa il modo in cui può esprimersi il rapporto di cambio; infatti detto rapporto può essere espresso ponendo in contrapposizione la porzione di capitale post-fusione destinata ai soci della società incorporante e la porzione destinata ai soci delle società incorporande (prescindendo così dal far riferimento al numero e al valore delle partecipazioni della società incorporante da attribuire in concambio ai soci dell'incorporata). Ad esempio se il rapporto di cambio è fissato nella proporzione di 2:1, tali entità numeriche rappresentano, la prima la proporzione del capitale post-fusione (che complessivamente sarà 3), di spettanza dei soci della società incorporante e la seconda la proporzione del capitale da assegnare alla collettività dei soci dell'incorporata (ciò significa che i soci dell'incorporante avranno una partecipazione al capitale e quindi al patrimonio sociale post-fusione pari al doppio di quella spettante ai soci della incorporata).
Formulando in tal modo il rapporto di cambio si avrà modifica dello stesso qualora si intenda alterare volontariamente la proporzione di partecipazione dei gruppi di soci al capitale post-fusione (ad es. passando da 2:1 a 3:1). Qualora invece, nell'ipotesi in cui la società incorporante ad esempio procedesse ad un aumento gratuito del proprio capitale, non dovrà effettuarsi alcun adeguamento del rapporto di cambio espresso nei termini suddetti, perchè il rapporto rimarrà lo stesso (il doppio per i soci dell'incorporante) a prescindere dall'entità del capitale post-fusione.
È evidente, invece, che - come accade normalmente nella pratica - se il rapporto di cambio viene espresso nel progetto di fusione facendo riferimento al numero delle partecipazioni della società incorporante che vengono assegnate in concambio ai soci dell'incorporata (ad es. una azione della società incorporante ogni due azioni della società incorporata), qualora il capitale della società incorporante fosse, medio tempore, oggetto di modifica (ad es. aumento gratuito) occorrerà procedere ad un adeguamento del rapporto di cambio; tale adeguamento si rende necessario al fine di non procurare alterazioni dei rapporti di forza a danno dei soci dell'incorporata (si faccia il seguente esempio: capitale della società incorporante 200, capitale post-fusione 250, capitale incorporata 100, rapporto di cambio una azione della società incorporante ogni due azioni della società incorporata; se il capitale della incorporante fosse aumentato gratuitamente a 400 prima del perfezionamento della fusione, al fine di mantenere inalterati i rapporti di forze tra i gruppi di soci il rapporto di cambio andrebbe adeguato come segue: una azione della società incorporante ogni azione della società incorporata, portando ad es. il capitale post-fusione a 500).
Estensibilità dell'applicazione del portato del comma 2 dell'art. 2502 c.c. anche alla fase del procedimento successiva alla deliberazione di approvazione del progetto
Così chiariti i limiti entro i quali le società partecipanti possano adottare delibere modificative del progetto di fusione, se pur brevemente corre l'obbligo di verificare, in mancanza di qualunque riferimento normativo, se ed entro quali margini l'articolo 2502, comma 2 c.c. sia di ausilio nel tracciare i limiti di deliberazioni assunte nel periodo che va dalla delibera di approvazione del progetto di fusione alla sottoscrizione del relativo atto: in questo caso, il silenzio legislativo lascia all'interprete il compito di stabilire l'ammissibilità e l'incidenza sul procedimento di tali modificazioni.
In dottrina si è talvolta negata la validità di un intervento modificativo in questa fase, ritenendo che la disciplina dell'art. 2502, ultimo comma, c.c., oltre a fissare i limiti "contenutistici" di una modifica del progetto, ne stabilisca anche i limiti "cronologici" e per ciò stesso preclusivi di ulteriori modifiche: approvato il progetto, le società partecipanti perderebbero la facoltà di incidere su un assetto già definitivamente delineato e i rispettivi organi amministrativi potrebbero solo decidere di non portare a compimento, astenendosi dalla stipula, il relativo atto di fusione.
Questa ricostruzione, come abbiamo già avuto modo di chiarire, oltre ad apparire ingiustificatamente rigida, si scontra con la considerazione che le assemblee delle società partecipanti "medio tempore" non subiscono limitazioni o sospensioni delle loro prerogative e non vedono limitati i rispettivi poteri. Ciò posto, occorre sottolineare come il legislatore, nella disposizione dell'articolo 2502, comma 2 c.c., ponga un principio destinato ad operare anche in questa fase, riassumibile nella tendenziale ammissibilità di delibere modificative con il solo limite del rispetto della posizione dei soci e dei terzi, le cui istanze non sembrano porsi in termini sostanzialmente diversi rispetto al momento cronologicamente antecedente, innanzi analizzato. Se infatti, il legislatore ha espressamente fissato questo limite per la "decisione di fusione", cioè per la deliberazione delle società partecipanti di approvazione del progetto, a maggior ragione il principio si impone in una più avanzata fase del procedimento, qual'è quella in cui le varie collettività di soci si sono già pronunciati, appunto approvando il progetto.
Quanto alla tutela dei creditori sociali, appare interessante sottolineare come le delibere modificative, assunte in questa fase, siano in grado di ledere gli interessi anche dei creditori anteriori all'iscrizione del progetto, che potrebbero veder ridotto o addirittura vanificato (in caso di delibera assunta dopo i sessanta giorni dall'approvazione del progetto ma prima dell'atto) il termine di cui all'art. 2503 del c.c. è evidente, tuttavia, che il problema neppure si pone se la delibera modificativa non incide sui diritti di tutti i creditori, rientrando tra quelle che non avrebbero giustificato ab origine il diritto di opposizione.
Con riguardo, invece, ai diritti dei soci, rinviamo a quanto innanzi esposto sopra anche per questa fase. Tuttavia, una volta assunto tale dato, appare doveroso sottolineare come, rispetto ai soci, l'approvazione del progetto rappresenti un elemento di ulteriore cristallizzazione degli assetti programmati, che non può certo essere oggetto di attenzione e tutela minore rispetto alla fase caratterizzata dal mero deposito presso il Registro delle imprese del progetto di fusione. Aderendo infatti all'opinione per la quale l'operazione di fusione concretizza una modificazione dei rispettivi statuti delle società coinvolte, le società partecipanti approvando il progetto di fusione deliberano, oltre alle altre pattuizioni della fusione, di stabilire che la vita della società derivante dalla fusione sia regolata da uno statuto che, in ipotesi di fusione propria, sarà totalmente nuovo, laddove nella fusione per incorporazione potrà essere - secondo le diverse operazioni procedimentali - quello della società incorporante senza alcuna modifica, quello della società incorporante con talune modifiche o uno statuto del tutto diverso da quello della società incorporante (ben potrebbe essere infatti lo statuto dell'incorporata). Da ciò deriva che qualsiasi delibera successiva alla delibera di approvazione del progetto di fusione, esplicitamente (come modifica statutaria diretta) o implicitamente (come un aumento di capitale della società incorporante), modificherà lo statuto allegato al progetto e quindi il progetto stesso e come tale dovrà essere approvato dai soci delle altre società partecipanti alla vicenda fusoria.
Appare, infatti, palese l'interesse dei soci delle società incorporata a non vedersi assoggettati, a seguito della fusione, ad uno statuto diverso da quello degli stessi approvato con il progetto di fusione; per tale motivo che non sarà sufficiente il controllo rimesso al legale rappresentante della società incorporata al momento della sottoscrizione dell'atto di fusione, ma deve essere approvata anche dai soci della stessa società incorporata.
Le deliberazioni di aumento e riduzione assunte dalla società incorporante nella fase tra la sottoscrizione del progetto di fusione e la delibera di approvazione del progetto
Senza soffermarci su tutte le possibili deliberazioni che le società partecipanti all'operazione di fusione possono assumere, che inevitabilmente ci condurrebbero fuori dal tema oggetto di questa relazione, il nostro compito è adesso di analizzare partitamente l'impatto sull'operazione fusoria degli aumenti e delle riduzioni di capitale deliberate dalle società partecipanti all'operazione.
In linea con le premesse ricostruttive formulate nelle pagine che precedono, saranno analizzate le varie operazioni sul capitale deliberate nell'ambito di un procedimento di fusione dalla società incorporante (discorso per gran parte speculare potrà farsi se le operazioni dovesse porle in essere la società incorporata) distinguendo temporalmente se la delibera sia assunta nella fase tra la sottoscrizione del progetto di fusione e la delibera di approvazione del progetto o tra la delibera di approvazione del progetto e la sottoscrizione dell'atto di fusione.
(Segue) La deliberazione di aumento del capitale sociale a pagamento
In primo luogo, se risponde al vero tutto quanto fin qui detto, non v'è dubbio che l'assemblea della società incorporante è legittimata ad assumere una deliberazione di aumento del capitale a pagamento; tale delibera, prescindendo dall'entità dell'aumento, sia esso di importo inferiore o superiore rispetto al capitale sociale fissato nel progetto di fusione quale capitale post-fusione, determina, sul presupposto che esso sia portato a compimento, un incremento patrimoniale della società che vi procede. Se tale vicenda incrementativa del patrimonio incide indubitabilmente in senso favorevole per qualunque creditore (sia esso anteriore o posteriore all'iscrizione del progetto di fusione nel Registro delle imprese, sia esso della società incorporante o delle società incorporate) in quanto la garanzia patrimoniale complessiva ne esce ovviamente rafforzata, non v'è chi non veda che una manovra sul capitale di tal genere abbia quale effetto l'alterazione dei rapporti tra le varie collettività di soci partecipanti all'operazione. Invero, essendo solo uno il gruppo di soci destinatari dell'aumento, si realizza un incremento di uno solo dei patrimoni destinati alla confusione post-fusione; ciò determina, ad avviso di chi scrive, una modificazione dei presupposti economici sulla base dei quali è stata organizzata l'intera operazione fusoria.
Infatti, nel caso di specie, l'aumento del capitale non determina la modificazione di una pattuizione del regolamento fusorio ma l'incremento di uno dei patrimoni delle società coinvolte nell'operazione; cambia, cioè, uno degli elementi sulla base dei quali è stata organizzata l'intera operazione e sono state assunte le decisioni in ordine all'opportunità e alle modalità della sua realizzazione.
In conseguenza ci sembra di poter affermare che una volta legittimamente deliberato (ed eseguito) l'aumento di capitale a pagamento da parte di una delle società coinvolte nell'operazione, le società che intendano proseguire nell'intento di procedere alla fusione dovranno ricominciare l'intera procedura sin dall'inizio: sarà, pertanto, necessario un nuovo progetto di fusione redatto sulla base di nuove situazioni patrimoniali, ove in quella della società che ha proceduto all'aumento emergerà la nuova entità del patrimonio sociale, nuove relazioni degli amministratori con il nuovo rapporto di cambio e nuova relazione degli esperti che ne rivaluti la congruità, fornendo ai soci un ulteriore periodo valutativo di trenta giorni al fine di garantire una corretta informativa pre-assembleare.
(Segue) La deliberazione di aumento del capitale sociale con passaggio di riserve
La fattispecie ora in esame è quella dell'aumento del capitale sociale con passaggio di riserve operato dalla società incorporante, ipotesi nella quale, come è a tutti noto, non si determina alcun incremento del patrimonio sociale della società che vi procede, ma unicamente un maggior vincolo delle poste di netto utilizzate, che da disponibili e/o distribuibili vanno ad incrementare la posta del capitale sociale.
Sempre nell'obbligo di confrontarci con il portato dell'art. 2502, comma 2 c.c., possiamo affermare che anche in tali ipotesi non appare leso alcun diritto riconducibile ai creditori sociali, siano essi anteriori o posteriori all'iscrizione del progetto di fusione nel Registro delle imprese, siano essi della società incorporante o delle incorporate, in quanto la garanzia patrimoniale complessiva non viene in alcun modo intaccata. Può, al contrario, evidenziarsi un risvolto positivo per costoro, in quanto essi possono godere del un maggior livello di vincolatività offerta dal capitale sociale rispetto alle poste di netto utilizzate.
Maggiori problemi devono riscontrarsi in relazione ai diritti dei soci: se, da un lato, con assoluta certezza può dirsi che in assenza di incremento patrimoniale viene a mancare qualunque elemento che possa turbare i rapporti economici tra i gruppi di soci sottesi all'operazione, è pur vero che il rapporto di cambio necessita di adeguamento. Infatti, se il rapporto di cambio fissato nel progetto, come avviene normalmente, è strutturato nel senso di porre in correlazione le partecipazioni nelle mani dei vari gruppi di soci, l'aumentare del capitale sociale di una delle società partecipanti comporterà giocoforza la necessità di modificare la relazione numerica in forza della quale al socio della società incorporata, a fronte della partecipazione in quest'ultima, saranno attribuite quel numero di azioni o quote dell'incorporante aumentato di un valore sufficiente a rendere ininfluente l'intervenuto aumento gratuito del capitale.
Occorre in questa sede operare un chiarimento tra modifica del rapporto di cambio ed adeguamento dello stesso. Una modifica del rapporto di cambio determina una alterazione "economica" del rapporto di forze tra le collettività di soci che sono in correlazione, in quanto si modifica il rapporto proporzionale fra i gruppi di soci stessi; attraverso l'adeguamento del rapporto di cambio, al contrario, si vuole impedire che, a seguito di un evento sopravvenuto alla fissazione dell'originario rapporto, tale evento possa determinare un'alterazione del rapporto di forze tra le collettività di soci. L'adeguamento del rapporto di cambio, al contrario della modifica dello stesso, tende, infatti, a neutralizzare gli effetti devianti di una vicenda che colpisce l'operazione in vista della quale il rapporto stesso è fissato ed a mantenere inalterate le originarie posizioni di forza delle collettività di soci tra le quali era stato fissato.
Corollario delle affermazioni testè formulate è che l'adeguamento aritmetico del rapporto di cambio non modifica in nulla la struttura dell'operazione di fusione e dunque non rappresenta una modifica incidente sui diritti dei soci ex art. 2502, comma 2 c.c.
Fissati tali principi generali, appare interessante analizzare talune opzioni procedimentali cui l'aumento gratuito del capitale può dar luogo. Non sempre, infatti, siffatta operazione può ritenersi irrilevante per i soci della società incorporata; infatti se l'aumento di capitale gratuito della società incorporante porta il capitale della stessa ad un ammontare inferiore al capitale fissato nel progetto quale capitale post-fusione, attraverso l'adeguamento aritmetico del rapporto di cambio potrà giungersi a non alterare la somma ipotizzata nel progetto di fusione come capitale post-fusione ed il progetto risulterà "modificato" solo nel rapporto di cambio come adeguato.
Laddove, invece l'aumento di capitale gratuito della società incorporante porti il capitale della stessa ad un ammontare superiore al capitale fissato nel progetto quale capitale post-fusione, pur attraverso l'adeguamento aritmetico del rapporto di cambio e/o la redistribuzione del capitale della stessa società incorporante, a fusione avvenuta il capitale sarà di un ammontare diverso da quello fissato nel progetto: quest'ultimo, pertanto, risulterà "modificato" oltre che nel rapporto di cambio, come adeguato, anche nell'ammontare del capitale post-fusione. Di tale modifica del capitale sociale post-fusione, pur se nominale, potrebbero però dolersi i soci dell'incorporata, in quanto la prospettazione di un capitale aumentato, con corrispondente diminuzione di poste di netto disponibili e/o distribuibili potrebbe ad esempio impedire una distribuzione di utili sperata o rendere necessaria la nomina di un collegio sindacale prima non obbligatorio. Se tali notazioni possono non essere di poco momento, è pur vero che, visto che l'indicato aumento di capitale sostanzialmente non incide direttamente sui contenuti economico-strutturali dell'operazione, ma su elementi di fatto esterni ad essa, l'esigenza di informativa pre-assembleare non appare di tale pregnanza da richiedere un ulteriore periodo valutativo di trenta giorni a favore dei soci, e le valutazioni del caso possono ben esaurirsi nell'ambito della discussione assembleare, restando così assorbite nella deliberazione di approvazione o meno del progetto di fusione.
(Segue) La deliberazione di riduzione del capitale sociale per perdite
L'ipotesi sulla quale fissiamo la nostra attenzione è ora quella della deliberazione di riduzione per perdite operata dalla società incorporante; ovviamente ipotizziamo che tale perdita sia intervenuta nelle more tra la sottoscrizione del progetto di fusione e la delibera di approvazione.
Preliminarmente, occorre precisare che le perdite che qui consideriamo sono quelle rilevanti ai sensi di legge (superiori ad 1/3 del capitale) e pertanto non a quelle c.d. fisiologiche. Se in entrambi i casi deve rilevarsi un decremento del patrimonio della società incorporante, in caso di perdita fisiologica, che peraltro non impone alcuna operazione sul capitale, non si determina una alterazione dell'operazione percepibile per tabulas.
Infatti i patrimoni impegnati nell'operazione costituiscono aziende cui consegue il dinamismo proprio dall'attività di impresa che porta in sè le variazioni derivanti dalle correnti attività gestionali; se tali variazioni normalmente hanno solo carattere surrogatorio non modificando nella sostanza il valore del patrimonio stesso, portano anche incrementi e decrementi patrimoniali e questi ultimi, se considerati determinanti nell'economia dell'operazione condurranno le assemblee delle società partecipanti a non approvare il progetto di fusione.
Il problema sorge invece in caso di perdita che comporta una deliberazione di riduzione del capitale sociale; in questo caso il decremento del patrimonio della società che procede alla riduzione determina, data la sua rilevanza, una evidente alterazione dei patrimoni sulla base dei quali è strutturata l'operazione sostanzialmente speculare all'aumento di capitale a pagamento.
Per i soci, infatti, data l'entità della perdita portante in sè l'alterazione dei presupposti economici sulla base dei quali è fondato il procedimento di fusione (valutazione degli amministratori, determinazione del rapporto di cambio, controllo sulla congruità di quest'ultimo da parte degli esperti ecc.) è necessario riavviare un nuovo procedimento garantendo loro una corretta informativa pre-assembleare.
È opportuno anche notare che, per un verso, può ritenersi che i creditori della società che subisce la perdita, siano esso anteriori o posteriori all'iscrizione del progetto di fusione nel Registro delle imprese, non possano dolersi della riduzione del capitale, trattandosi di riduzione del capitale sociale obbligatoria e nominale.
I creditori delle altre società anteriori all'iscrizione del progetto di fusione nel Registro delle imprese sono adeguatamente tutelati dal diritto di opporsi successivamente all'approvazione; più delicata è, invece, la posizione dei creditori successivi all'iscrizione del progetto di fusione nel Registro delle imprese, privi dell'opposizione: da un lato, potrebbe ritenersi che non possano incidere sull'operazione subendo anch'essi le vicende negative di tutte le società partecipanti; dall'altro, che viceversa dovrebbe essere attribuito anche a loro il diritto di opposizione.
(Segue) La deliberazione di riduzione del capitale sociale ex art. 2445 c.c.
Venendo, infine, ad analizzare la riduzione del capitale volontaria ex art. 2445 c.c., è opportuno muovere dalla valutazione dell'impatto di tale delibera con il portato dell'art. 2502, comma 2 c.c.
Se la società incorporante procede a deliberare una riduzione del capitale ex art. 2445 c.c., tanto mediante liberazione dei soci dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti quanto con rimborso del capitale ai soci, o ancora mediante l'appostazione a riserva della porzione del capitale ridotto (ipotesi ammessa dalla maggioranza della dottrina alla luce del D.lgs. 6/2003), in tutti i casi i creditori della società incorporante (sia quelli anteriori che quelli successivi alla sottoscrizione del progetto di fusione) avranno la possibilità di opporsi alla riduzione ai sensi dell'art. 2445 c.c. oltre, per i soli creditori anteriori all'iscrizione del progetto, ad opporsi alla fusione ex. art. 2503 c.c.
Al contrario i creditori delle altre società, in relazione alla riduzione del capitale, non potrebbero dolersi di nulla in quanto la loro garanzia patrimoniale complessiva ne uscirà (pur se in misura minore) comunque rafforzata, ferma restando per i soli creditori anteriori all'iscrizione del progetto la possibilità di opporsi alla fusione ex. art. 2503 c.c.
Quanto ai soci è necessario distinguere se alla riduzione del capitale ex art. 2445 c.c., si procede mediante liberazione dei soci stessi dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti o con rimborso ad essi del capitale, ovvero se si procede riservizzando la porzione di capitale ridotta. Per quanto riguarga i primi due casi, determinandosi, alla stregua di quanto detto per l'aumento del capitale a pagamento, un decremento del patrimonio della società la deliberazione appare preclusiva del prosieguo della fusione stante la modificazione del presupposto economico sulla base del quale è stata decisa l'intera operazione; se ancora voluta la fusione si realizzerà ricominciando l'intero iter procedimentale.
Ad una soluzione diversa, ad avviso di chi scrive, si può giungere se la riduzione ex art. 2445 c.c. si effettui appostando a riserva la porzione di capitale ridotta, non procedendo quindi al decremento del patrimonio della società che riduce il suo capitale, ma rendendo l'operazione meramente nominale. In tal caso la situazione è speculare rispetto all'aumento del capitale gratuito al quale si rinvia per le conclusioni, con la sola precisazione che, essendo stato il capitale della società incorporante ridotto mediante riservizzazione, più facilmente potrà giungersi ad adeguare aritmeticamente il solo rapporto di cambio senza dover modificare il capitale post-fusione, immaginando che quest'ultimo sia fissato a cifra uguale o superiore al capitale della società incorporante (ovviamente in questo caso non si scorge alcuna apprezzabile utilità alla riduzione del capitale realizzata medio tempore).
Le deliberazioni di aumento e riduzione assunte dalla società incorporante nella fase tra la delibera di approvazione del progetto e la sottoscrizione dell'atto di fusione
A seguito della decisione dei soci di tutte le società partecipanti di approvare il progetto di fusione, da una fase sostanzialmente "preparatoria" dell'operazione si passa ad una fase più avanzata del procedimento, ove gli assetti e le condizioni dell'operazione, nonchè le pattuizioni contenute nello statuto post-fusione, sono condivisi quanto meno dalla maggioranza dei soci delle società partecipanti. Da questo momento, come abbiamo avuto modo di osservare, sorge l'evidente interesse dei soci delle società partecipanti a non vedersi assoggettati, al momento in cui avrà efficacia la fusione, ad una convenzione diversa o ad uno statuto diverso da quello da loro approvato con deliberazione. Per gli esposti motivi, dal momento dell'approvazione del progetto di fusione eventuali ulteriori modifiche all'operazione, siano esse espresse (modifica di una clausola dello statuto post-fusione) o implicite (diverso ammontare del capitale rispetto a quello fissato nello statuto post-fusione), saranno possibili, solo nei limiti dell'art. 2502, comma 2 c.c., e con l'approvazione anche delle assemblee delle altre società coinvolte nell'operazione.
(Segue) La deliberazione di aumento del capitale sociale a pagamento
L'ipotesi della quale ci occupiamo è quella di un aumento del capitale sociale a pagamento posto in essere dalla società incorporante una volta che il progetto di fusione sia stato approvato da tutte le società partecipanti all'operazione. Anche in questo caso è opportuno muovere valutando l'incidenza di una tale deliberazione sul disposto dell'art. 2052, comma 2 c.c.
Tale delibera, come abbiamo già osservato per l'aumento a pagamento effettuato prima della deliberazione, prescindendo dall'entità dell'aumento determina un incremento patrimoniale della società che vi procede; ancora una volta possiamo dire che tale vicenda non può essere in nessun caso considerata sfavorevole per i creditori di qualunque società in quanto la garanzia patrimoniale complessiva ne esce sempre rafforzata.
Anche qui il gruppo di soci destinatari dell'aumento attraverso la loro deliberazione, la sottoscrizione ed il versamento del controvalore nelle casse sociali, determinano un incremento di uno solo dei patrimoni destinati alla confusione post-fusione; tale situazione - come detto anche a proposito del simmetrico aumento anteriore alla delibera di approvazione - determina una alterazione dei rapporti tra i vari gruppi di soci partecipanti. Tuttavia, se l'ipotesi di aumento a pagamento posto in essere prima della decisione dei soci determina certamente un'alterazione degli interessi (incidendo sugli assetti così da condurre a dare inizio ad un nuovo procedimento di fusione su basi diverse) nell'ipotesi in oggetto potrebbe anche immaginarsi, con tutte le cautele che un argomento così delicato ci induce ad assumere, un percorso che possa consentire di progredire nel procedimento di fusione senza essere costretti ad abbandonarlo.
Appare corretto affermare, come abbiamo sostenuto, che in questa fase del procedimento di fusione le modifiche del progetto o dello statuto post-fusione, rispettando i limiti di cui al comma 2 dell'art. 2502 c.c., e quindi non incidendo sui diritti dei creditori e sui diritti dei soci partecipanti, sono ammissibili solo con l'approvazione anche delle assemblee delle altre società coinvolte nell'operazione con ciò di fatto raccogliendo il consenso organizzato delle altre società partecipanti; ma è altrettanto vero che l'alterazione patrimoniale di una sola delle società partecipanti determinata dall'aumento di capitale a pagamento può apparire a prima vista insuperabile. Ad avviso di chi scrive invece, potrebbe ipotizzarsi, sulla scorta della convinzione che, una volta approvato il progetto di fusione da parte di tutte le assemblee delle società partecipanti l'assetto complessivo dell'operazione è deciso ed è "voluto" da tutte le collettività sociali, l'indiscutibile alterazione degli assetti determinato dall'aumento versato da una compagine di soci potrebbe trovare un correttivo che consenta di proseguire in questo procedimento. Proviamo, infatti, ad analizzare partitamente quelli che sono gli effetti di una deliberazione di aumento di capitale a pagamento in pendenza di fusione: tale decisione comporta in primo luogo la richiesta di un esborso ai soci, che si traduce in un aggravio della loro posizione individuale; in secondo luogo una eventuale modifica del capitale sociale post-fusione nell'ipotesi in cui il capitale a seguito dell'aumento sia di ammontare superiore a quello fissato nello statuto unito al progetto ed in terzo luogo un incremento patrimoniale di una sola società e precisamente di quella che procede all'aumento.
Ad avviso di chi scrive senza che questa analisi abbia la pretesa di essere esaustiva, la vicenda costituita dall'aumento di capitale voluto dalla società incorporante, sempre con l'obiettivo di evitare l'interruzione del procedimento, potrebbe essere gestita come segue:
a) la società incorporante che intende aumentare il capitale sociale (e sempre che a tale particolare procedimento voglia accedere) delibera il prospettato aumento fino all'ammontare desiderato, offrendo in opzione detto aumento di capitale non solo ai propri soci come normalmente accade, ma a tutte le collettività di soci partecipanti all'operazione sulla base del rapporto di cambio già stabilito e cristallizzato nel progetto di fusione approvato; tale aumento sarebbe in primo luogo subordinato all'adesione al programma di aumento del capitale da parte di tutte le società partecipanti all'operazione di fusione (di cui è parola al punto "b" che segue) ed in secondo luogo verrebbe in parte offerto in opzione ai soci della società che procede all'aumento ed in parte a tutti i soci delle società partecipanti all'operazione di fusione (da considerare terzi, rispetto ai soci della società che effettua l'aumento, ai fini della disciplina dell'esercizio del diritto di opzione);
b) le società incorporande, a loro volta, procederanno ad esprimere, sempre mediante deliberazione, il loro assenso al programmato aumento di capitale così come prospettato dalla società incorporante e tale delibera rappresenterà l'altra espressione di volontà necessaria per procedere all'aumento.
Una tale soluzione, ad una prima analisi, appare potersi attagliare al procedimento fusorio in corso ed appare inoltre capace di garantire gli interessi coinvolti nella vicenda. Infatti, se da un lato la posizione dei soci delle società che non procedono all'aumento è aggravata dalla richiesta di un esborso di danaro che gli stessi non avevano preventivato nell'ambito dell'operazione di fusione e dall'altro si determina la modifica dello statuto allegato al progetto conseguente dall'aumento del capitale sociale post-fusione (nell'ipotesi in cui il capitale a seguito dell'aumento sia di ammontare superiore a quello fissato nello statuto unito al progetto), è pur vero che tale posizione appare sufficientemente tutelata dall'espressione di volontà collettiva che, gli stessi soci devono preventivamente esprimere quale assenso all'operazione di aumento. Talchè, nell'ipotesi in cui anche una sola delle società non deliberasse nel senso di assentire all'aumento di capitale voluto dalla società incorporante solo due appaiono le strade percorribili: o la società che intende procedere all'aumento non vi dà più corso rinunciando a portarlo a compimento (revocando la delibera o non sottoscrivendolo nei termini) ed il procedimento di fusione non risulterà così in nulla modificato proseguendo il suo normale iter, oppure la società stessa ritiene prevalente l'interesse all'aumento del capitale rispetto alla fusione e dà corso all'aumento. Naturalmente ciò sarà preclusivo per la prosecuzione dell'iter procedimentale della fusione.
Ancora, l'offerta dell'aumento di capitale in opzione, non solo ai soci della società incorporante, ma anche a tutte le collettività di soci partecipanti all'operazione, oltre a scongiurare l'alterazione dei valori economici dei patrimoni coinvolti nell'operazione, impedisce qualunque possibilità di alterazione delle posizioni dei soci che ovviamente, dopo aver dato l'assenso all'aumento di capitale lo sottoscrivono; situazione non molto dissimile da quella che potrebbe verificarsi se alla delibera di aumento di capitale si giungesse successivamente alla conclusione dell'atto di fusione.
Uno dei punti di maggiore criticità della prospettata soluzione appare quella che porta ad una sostanziale limitazione del diritto di opzione per i soci della società che procede all'aumento con conseguente offerta in opzione di porzione dell'aumento a soggetti terzi; terzi però potenzialmente soci o destinati a divenire soci. Altra assimilazione possibile, infatti, appare quella all'aumento di capitale deliberato dalla società in pendenza di un prestito obbligazionario convertibile. Ben consci delle differenze intercorrenti tra le due fattispecie, appare possibile enucleare taluni elementi comuni e pertanto assimilabili, per l'aumento di capitale a pagamento in presenza di obbligazionisti convertibili il legislatore non ha richiesto (come invece ad es. ha fatto nello stesso articolo per la riduzione volontaria del capitale) la conversione anticipata delle obbligazioni pena la preclusione dell'operazione, bensì ha preferito la strada dell'offerta in opzione del deliberato aumento anche ai possessori di obbligazioni convertibili, nella consapevolezza di fornire a soggetti non soci il diritto di sottoscrivere in proporzione al rapporto di cambio l'aumento di capitale della società, nonostante che l'obbligazionista convertibile può ben sottoscrivere l'aumento di capitale deliberato in pendenza del prestito e poi non convertire alcuna delle sue obbligazioni in azione (rimanendo così socio solo per le azioni sottoscritte in virtù dell'aumento). Infatti, appare opportuno precisarlo, che a situazione simile a quest'ultima si può pervenire anche nell'ipotesi dell'aumento del capitale in pendenza di operazione di fusione in quanto i soci delle società che non hanno deliberato l'aumento, ma che hanno dato l'assenso ad esso e lo hanno sottoscritto, nell'ipotesi in cui all'atto di fusione non si giungesse, rimarrebbero soci della società per la sola porzione dell'aumento sottoscritta. è evidente che in questo ambito il discorso non può che condurre l'analisi all'ampio dibattito dottrinale tuttora aperto, ma nel quale non intendiamo addentrarci, sul rapporto intercorrente tra delibere di approvazione del progetto di fusione e atto di fusione, precisando l'ipotesi proposta in queste pagine meglio potrà essere ripensata da coloro i quali svalutano la portata dell'atto di fusione dando maggiore pregnanza alle delibere. In ogni caso a quanto detto da ultimo comunque potrebbe ovviarsi apponendo una condizione risolutiva all'offerta di opzione ai soci delle società partecipanti, non prima di notare che il legislatore tale soluzione non ha inteso assumerla nell'ipotesi dell'aumento di capitale in pendenza di prestito obbligazionario convertibile.
(Segue) La deliberazione di aumento del capitale sociale con passaggio di riserve
Passando ora ad analizzare l'aumento del capitale sociale con passaggio di riserve operato dalla società incorporante, gran parte di quanto detto per il medesimo aumento operato anteriormente alle delibere di approvazione del progetto è anche qui riproponibile.
Abbiamo infatti sottolineato come la deliberazione di aumento gratuito non leda alcun diritto riconducibile ai creditori sociali, non determini alcun incremento del patrimonio sociale della società che vi procede, ma unicamente un maggior grado di vincolo delle poste di netto utilizzate, conducendo all'adeguamento aritmetico del rapporto di cambio che non modifica in nulla la struttura dell'operazione di fusione e quindi non rappresenta una modifica incidente sui diritti dei soci ex art. 2502 comma 2 c.c.
È necessario, tuttavia, chiarire se pur brevemente, quale ruolo giochi la differente situazione che può determinarsi con l'aumento gratuito del capitale sociale una volta che il progetto sia stato approvato dalle società partecipanti. Infatti, se l'aumento di capitale gratuito della società incorporante porta il capitale della stessa ad un ammontare inferiore al capitale fissato nel progetto quale capitale post-fusione, attraverso il mero adeguamento aritmetico del rapporto di cambio combinato con una redistribuzione del capitale della stessa società incorporante, potrà giungersi a non alterare la somma ipotizzata nel progetto di fusione come capitale post-fusione; se invece l'aumento di capitale gratuito della società incorporante porta il capitale della stessa ad un ammontare superiore al capitale fissato nel progetto quale capitale post-fusione pur attraverso l'adeguamento aritmetico del rapporto di cambio e la redistribuzione del capitale della stessa società incorporante, a fusione avvenuta il capitale sarà di un ammontare diverso da quello fissato nel progetto e quindi il progetto stesso risulterà "modificato" oltre che nel rapporto di cambio, come adeguato, anche nell'ammontare del capitale post-fusione.
Sembrerebbe potersi avanzare una ipotesi nella quale nonostante la società incorporante deliberi un aumento gratuito del capitale le altre società non subiscono alcuna sostanziale modifica dell'architettura della fusione così da non doversi procedere ad una loro deliberazione per portare a compimento l'operazione. Mi riferisco all'ipotesi in cui la società incorporante procede ad un aumento del capitale gratuito che porti il suo capitale sociale ad un importo non superiore o pari al capitale fissato quale capitale post-fusione (si pensi al caso in cui la società ha necessità di anticipare l'esposizione di un capitale più alto avendo un patrimonio netto congruo). In tale evenienza, non verificandosi alcuna modifica del capitale post-fusione che rimarrebbe dell'ammontare stabilito nel progetto l'unica manipolazione del progetto riguarda il rapporto di cambio; sarebbe infatti necessario, al fine di non alterare i rapporti di forza tra le collettività di soci unicamente adeguare aritmeticamente il rapporto di cambio il quale, come abbiamo già avuto modo di chiarire, non costituisce una modifica del progetto, bensì il sistema per evitare che risultino modificati i rapporti tra ai soci. Si faccia il seguente esempio: la società incorporante procede ad un aumento del capitale gratuito portando il proprio capitale al medesimo ammontare stabilito per il capitale post-fusione; in questo caso, adeguando il rapporto di cambio nel senso di prevedere la redistribuzione delle partecipazioni detenute dai soci dell'incorporante a tutti i soci coinvolti nell'operazione giungendo così ad attribuire a tutti i soci la medesima partecipazione che avrebbero avuto se all'aumento gratuito la società incorporante non avesse proceduto, l'operazione di fusione non ha subito alcuna modificazione nei contenuti, ma solo negli strumenti attuativi, strumenti assolutamente non incidenti sui diritti e prerogative delle collettività di soci partecipanti alla fusione.
In questo caso, forse, può giungersi a sostenere che le società partecipanti all'operazione, che non abbiano aumentato il capitale, possano non procedere ad alcuna delibera, non fosse altro perchè nulla sarebbero chiamate a decidere; dovrebbero solo prendere atto di una modifica dei sistemi attuativi dell'operazione che però non ha alcuna incidenza sui loro diritti.
Laddove, al contrario, all'adeguamento del rapporto di cambio facesse seguito anche la modifica dell'ammontare del capitale sociale post-fusione, sulla scorta delle motivazioni già espresse in precedenza, sarebbe necessario, al fine di portare a compimento l'aumento del capitale gratuito, acquisire anche le delibere di assenso all'operazione assunte da tutte le società partecipanti alla fusione.
(Segue) La deliberazione di riduzione del capitale sociale per perdite
Anche in relazione alla deliberazione di riduzione per perdite operata dalla società incorporante dopo l'approvazione del progetto è possibile fare riferimento al bagaglio agromentativo sviluppato per l'ipotesi in cui tale delibera sia assunta nelle more tra la sottoscrizione del progetto di fusione e la delibera di approvazione.
Anche in questa ipotesi, infatti, sul presupposto che tale perdita sia intervenuta dopo la delibera di approvazione del progetto di fusione dobbiamo occuparci delle perdite rilevanti ai sensi di legge (superiori ad 1/3) e pertanto non a quelle c.d. fisiologiche. Queste ultime, infatti, se il decremento patrimoniale che le ha causate, abbia esso un rilievo qualitativo o quantitativo (che comunque non impone alcuna operazione sul capitale), è considerato determinante nell'economia dell'operazione, i rappresentanti legali, invocando tali sopravvenienze, saranno legittimati a non sottoscrivere l'atto di fusione.
Il problema sorge invece in caso di perdita che comporta una deliberazione di riduzione del capitale sociale. Due considerazioni: in primo luogo non è possibile non rilevare come nella fase successiva alle delibere di approvazione il livello di vincolo tra le società partecipanti alla fusione sia giunto ad uno stadio decisamente più avanzato, vincolo però non sufficiente da indurre a ritenere che le vicende di una società si riverberano a tal punto sulle altre partecipanti all'operazione da obbligare queste ultime alla stipulazione dell'atto di fusione. In secondo luogo non può ritenersi che la scelta sull'opportunità di portare a compimento la fusione, rilevata l'alterazione dei presupposti sulla base dei quali è organizzata l'operazione determinata dalla perdita rilevante, possa essere attribuita al rappresentante legale.
Non può non concludersi che anche per questa ipotesi sarà necessario riavviare un nuovo procedimento garantendo a tutti i soci una corretta informativa pre-assembleare.
(Segue) La deliberazione di riduzione del capitale sociale ex art. 2445 c.c.
Quanto, infine, alla riduzione del capitale volontaria ex art. 2445 c.c., le problematiche rilevate nella speculare ipotesi di deliberazione assunta prima dell'approvazione del progetto possono, ad avviso di chi scrive, riproporsi quasi integralmente.
Vale infatti tutto quanto detto in relazione sia alla posizione dei creditori sociali sia alla posizione dei soci, alla luce del portato dell'art. 2502, comma 2 c.c., sia all'effetto preclusivo alla prosecuzione dell'iter procedimentale se alla riduzione del capitale ex art. 2445 c.c., si procede mediante liberazione dei soci stesso dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti o con rimborso ad essi del capitale.
Ancora una volta, invece, si deve ritenere possibile che alla riduzione ex art. 2445 c.c. si proceda appostando a riserva la porzione di capitale ridotta, non procedendo quindi al decremento del patrimonio della società che riduce il suo capitale, ma rendendo l'operazione meramente nominale. In tale ipotesi potrebbe poi farsi il medesimo discorso proposto nel caso di aumento del capitale gratuito; infatti procedendo all'adeguamento aritmetico del rapporto di cambio, se il capitale post-fusione risulterà modificato rispetto all'ammontare determinato del progetto, la delibera da parte delle altre società partecipanti di assenso alla modifica sarà dovuta concretandosi anche una modifica del progetto, se viceversa il capitale post-fusione risultasse inalterato (peraltro ipotesi plausibile ritenendo che sia stato fissato a cifra uguale o superiore al capitale della società incorporante) nessuna modifica sarà apportata al progetto di fusione e della delibera di assenso delle società partecipanti si potrebbe fare a meno. Come sopra detto, infatti, le altre società partecipanti in assenza di modifica del progetto o dello statuto post-fusione (l'unico elemento di novità sarebbe rappresentato dall'adeguamento del rapporto di cambio) al momento in cui sarà efficace la fusione non si registrerà nessuna modifica rispetto al programma originariamente stabilito.
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