Divisione e sistema dei contratti
Divisione e sistema dei contratti
di Angelo Luminoso
Ordinario di Diritto civile, Università degli Studi di Cagliari

La divisione, il sistema dei contratti e l'elaborazione dottrinale

Scopo della presente indagine è quello di analizzare il fenomeno divisionale dall'angolo visuale del sistema dei contratti.

Uno studio così finalizzato comporta, in particolare, la necessità di mettere a confronto le disposizioni speciali sulla divisione con le norme generali in tema di contratto, di accertare, ancora, il livello di integrazione tra il processo di elaborazione del contratto di divisione da parte della dottrina contemporanea e i postulati della teoria generale del negozio, di chiarire, infine, la posizione di questo contratto, sul piano sistematico, rispetto ad altre fattispecie negoziali con funzione lato sensu distributiva che l'ordinamento positivo conosce.

Vale la pena segnalare che è soprattutto negli ultimi settant'anni che sono stati fatti notevoli passi in avanti per una ricostruzione dell'istituto, nel quadro della dottrina generale del contratto; ricostruzione delle cui premesse concettuali siamo debitori ad un illustre studioso, Giommaria Deiana [nota 1], che nella prima metà del secolo scorso ha posto le basi per una revisione in chiave moderna di questo contratto, che fino ad allora veniva confuso dai più con la permuta.

Come già Deiana notava, la divisione è un contratto legalmente tipico. Il codice civile del 1942 dedica alla divisione un intero titolo (il quarto) del secondo libro "Delle successioni", pur non dandone - a differenza di quanto fa per gli altri contratti tipici - una definizione e pur non offrendo di essa una disciplina ordinata.

Proprio perchè la regolamentazione codicistica non risponde a criteri di organicità - intrecciandosi al suo interno disposizioni che riguardano propriamente il contratto e disposizioni che concernono le operazioni divisionali - uno dei primi compiti degli interpreti del nuovo codice è stato quello di mettere ordine nella disciplina positiva e di cercare di enucleare da essa il concetto di divisione.

Scioglimento della comunione e divisione; divisione contrattuale e giudiziale; varietà di negozi divisionali

Occorre riconoscere che la costruzione della divisione presenta alcune peculiarità di ordine sistematico, che fin d'ora debbono essere messe in luce.

Innanzi tutto la divisione non è l'unico strumento capace di sciogliere una comunione, di far venir meno cioè una situazione di contitolarità di diritti. Di qui la necessità di distinguere tale istituto da quegli altri che, pur producendo l'effetto di far cessare la comunione, non possiedono i caratteri della divisione.

Sul punto si registra tuttavia tanto in dottrina quanto in giurisprudenza qualche incertezza. Infatti mentre in relazione ad alcune ipotesi non vi sono esitazioni nell'identificare fattispecie di scioglimento della comunione di natura non divisoria (come, ad es., la rinunzia abdicativa al diritto di uno dei partecipanti nella comunione a due, l'usucapione del diritto da parte di uno solo dei partecipanti o di un estraneo, la vendita separata delle quote ad uno dei partecipanti, il perimento della cosa comune, la donazione della quota, l'acquisto della stessa per successione mortis causa tra coeredi) [nota 2], in relazione ad altre ipotesi permangono tuttora non poche difficoltà. Mi riferisco soprattutto ai cosiddetti atti "equiparati" alla divisione, che vengono anch'essi assoggettati alla rescissione per lesione (art. 764 comma 1 c.c.) ma che non vengono dalla legge né definiti né tanto meno individuati (sui quali tornerò più avanti nel § Gli atti "equiparati" alla divisione).

Secondariamente, il contratto non è l'unica "tecnica divisionale", dal momento che - come è noto - l'ordinamento positivo prevede oltre alla divisione contrattuale (o amichevole) la divisione giudiziale [nota 3].

Di qui i problemi nascenti dalla singolarità di una operazione giuridico-economica che può realizzarsi, con identità di effetti giuridici sostanziali, sia mediante la stipulazione di un contratto sia mediante lo svolgimento di un processo. Di qui ancora gli interrogativi circa la fungibilità fra un risultato divisorio che presuppone necessariamente un intento negoziale comune a tutti i condividenti (parti, appunto, del contratto di divisione) e un risultato divisorio che - prescindendo da una volontà comune di tutti gli interessati - ha alla base l'intento di uno solo di essi che si impone a tutti gli altri.

Deve infine ricordarsi che del fenomeno divisorio la legge offre una varietà di figure [nota 4]: in particolare, la divisione nella comunione ereditaria (artt. 713-768 c.c.), la divisione nella comunione ordinaria (artt. 1111-1116 c.c.), la divisione nella comunione legale tra coniugi (art. 194 c.c.), la divisione nella liquidazione delle società di persone (art. 2283 c.c.), la divisione testamentaria (art. 734 c.c.) e, stando a talune opinioni, la collazione (art. 737 e ss. c.c.) e il patto di famiglia (art. 768-bis e ss. c.c.). La dottrina, specialmente quella più recente, si interroga sulle affinità esistenti tra ciascuna di queste figure negoziali in quanto caratterizzate tutte da una "funzione distributiva", e sulla possibilità di ricondurle entro una categoria concettuale unitaria [nota 5] (sul punto, v. gli ultimi due paragrafi).

L'intento pratico delle parti e l'oggetto del contratto di divisione. I patti preparatori e quelli impeditivi della divisione

Come già ho accennato, la elaborazione del concetto di divisione mediante lo strumentario proprio della teoria generale del negozio giuridico, prende avvio dalla riflessione di Deiana, al quale - come è stato da altri esattamente rilevato [nota 6] - va riconosciuto il merito di aver individuato la funzione tipica del contratto di divisione e di averne altresì colto l'autonomia rispetto ad altri schemi contrattuali ed in particolare rispetto alla permuta, alla quale, fino alla pandettistica tedesca, la divisione in natura era stata assimilata, sulla scia della tradizione del diritto intermedio.

L'analisi dell'illustre studioso prende avvio proprio dalla critica all'opinione, a quel tempo ancora assai accreditata, che identificava nella divisione una permuta di quote indivise tra i coeredi. L'argomentazione dell'Autore è semplice ma decisiva: per stabilire se si tratti di permuta o di divisione bisogna accertare quale sia l'oggetto dell'accordo delle parti. Se l'oggetto è «lo scambio dei diritti di comproprietà» [nota 7] il contratto è una permuta, se invece il contratto «mira a rendere concreta, come si suol dire, la quota astratta di ognuno» [nota 8], se ciascuno dei condomini «desidera ricevere, al posto della sua quota astratta di comproprietà, la proprietà esclusiva di una quantità di beni il cui valore stia a quello dei beni spettanti agli altri nello stesso rapporto delle quote indivise» [nota 9], il contratto è una divisione.

Il metodo applicato da Deiana appare ineccepibile, giacchè nei contratti (tipici) l'intento delle parti decide la natura dell'operazione economica mentre la legge predetermina i modelli astratti, tipizza gli stampi. L'intento pratico delle parti prende corpo e si obiettivizza nel contenuto del contratto; il contenuto della volontà dichiarata fissa l'oggetto del contratto; l'oggetto del contratto, a sua volta, è costituito dall'insieme dei risultati programmati dalle parti [nota 10].

Nella divisione il risultato che i condividenti si propongono di raggiungere è quello di vedere concretata la loro quota astratta di comproprietà nella proprietà solitaria di uno o più beni determinati, di conseguire una porzione di beni di valore corrispondente alla rispettiva quota [nota 11]. Il dato trova perfetto riscontro nelle norme del codice: bastino per tutte le disposizioni degli artt. 726 comma 2 e 1114 c.c. [nota 12], le quali prevedono che la divisione ha luogo mediante la formazione di porzioni corrispondenti e proporzionali alle quote dei partecipanti.

In quel risultato ve ne è incluso un altro: lo scioglimento della comunione, più esattamente il passaggio dalla situazione di contitolarità dell'intera massa alla situazione di titolarità esclusiva delle singole porzioni [nota 13]. Anche questo profilo del contratto trova preciso riscontro nella disciplina positiva, atteso che le norme sulla divisione, per un verso, indicano come presupposto di essa la preesistenza al contratto di una situazione di comunione tra i condividenti (v., fra gli altri, gli artt. 713 e 1111 c.c.) e, per altro verso, additano come esito finale della divisione quello «di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari» (art. 764, comma 1 c.c.) o di «sciogliere la comunione» (artt. 1111, 1112 c.c.) [nota 14].

Per tali motivi ritengo siano da formulare delle riserve in merito all'opinione con la quale di recente - argomentando della fattispecie della divisione testamentaria - si è ritenuto di poter escludere che uno degli elementi che costituiscono il proprium della divisione sia lo scioglimento della comunione [nota 15]. Ho appena notato che il venir meno della contitolarità assume un ruolo centrale nell'economia del contratto di divisione esprimendo uno dei risultati essenziali programmati dalle parti, ed ho altresì richiamato le norme di diritto positivo che avvalorano siffatta conclusione. A mio avviso quella opinione neppure può trovare sostegno nel riferimento alla fattispecie della divisione testamentaria - che non richiede, come è noto, la preesistenza di una comunione - dal momento che, come chiarirò meglio più avanti (v. § Le nuove frontiere dell'indagine dottrinale. Dal contratto di divisione ai negozi con funzione distributiva (in particolare, la divisione testamentaria e il patto di famiglia)), la divisione del testatore non è vera divisione.

Come per la generalità dei contratti, anche quello in esame può essere preceduto da patti con funzione preparatoria della futura divisione o da patti con funzione impeditiva della divisione stessa.

La dottrina non dubita della ammissibilità di un contratto preliminare di divisione o di convenzioni normative con cui le parti regolano in anticipo le modalità e/o le operazioni della stipulanda divisione o anche affidano ad un terzo arbitratore il compito di provvedervi.

La legge (art. 1111), limitatamente alla comunione ordinaria, prevede espressamente il «patto di rimanere in comunione», sancendone la validità per un tempo massimo di dieci anni e riconoscendo ad esso effetti non solo tra le parti ma anche nei confronti degli aventi causa dai paciscenti; effetti di natura non meramente obbligatoria, atteso che l'eventuale azione di divisione che fosse proposta ante tempus da uno dei partecipanti sarebbe improponibile. Evidenti sono le differenze tra la disciplina legale del divieto convenzionale di divisione e quella del divieto convenzionale di alienazione che, ai sensi dell'art. 1379 c.c., è soggetto a più rigorosi limiti di validità ed è munito di efficacia meramente obbligatoria e inter partes (essendo in giuoco in quest'ultima ipotesi il principio di ordine pubblico di libera circolazione dei diritti, mentre nella prima la facoltà del compartecipe di porre fine al regime di comunione).

I confini del contratto di divisione

G. Deiana, nella sua riflessione, era rimasto ancorato ad una concezione naturalistica della divisione. Lo Studioso, nel richiamarsi alla tradizionale distinzione tra divisione naturale (con la quale a ciascuno dei comunisti viene attribuita una porzione in natura di beni comuni proporzionale alla quota indivisa) e divisione civile (con la quale tutti i beni della comunione sono attribuiti ad uno o più partecipi e agli altri sono date somme di denaro estranee alla comunione oppure i beni comuni vengono venduti ad un terzo ed il ricavato viene ripartito proporzionalmente tra i comunisti), era giunto alla conclusione che vera divisione è solo quella in natura [nota 16]. Per Deiana anche la divisione con conguagli in denaro non sarebbe una mera divisione bensì una divisione accompagnata da una vendita di quota ovvero un unico contratto misto di natura non divisoria [nota 17].

La dottrina italiana successiva, in larghissima maggioranza, ha ritenuto eccessivamente riduttivo quel concetto di divisione, ne ha allargato i confini e vi ha incluso anche le ipotesi in cui mediante la divisione si distribuiscono tra i partecipi sia beni ereditari che denaro o beni diversi dal denaro non provenienti dall'eredità.

Fondamentali sono stati a questo riguardo i contributi di alcuni studiosi risalenti alla metà del secolo scorso [nota 18], grazie ai quali la dottrina [nota 19] ha progressivamente maturato il convincimento che, negando la riconducibilità alla divisione di fattispecie in cui alcuni partecipi ricevono beni ereditari ed altri partecipi beni in danaro o altri beni extraereditari, si espungerebbero dall'area di questo contratto ipotesi che non soltanto sono espressamente previste dalla legge come possibili varianti della divisione ma che soprattutto di essa possiedono i tratti distintivi.

Ciò vale per la divisione attuata mediante conguagli (prevista dall'art. 728 c.c.), per le ipotesi di licitazione dei beni in natura ad uno dei condividenti con attribuzione all'altro o agli altri di somme di denaro (previste negli artt. 757, 720 e 719 c.c.), per le ipotesi di vendita di beni ad un terzo con distribuzione del ricavato tra i condividenti (arg. ex art. 720 c.c.), e per le ipotesi di assegnazione convenzionale di beni comuni ad uno solo dei condividenti e attribuzione da parte di questi agli altri di beni in natura estranei alla comunione (arg. ex artt. 719 e 720 c.c.) [nota 20].

Le previsioni normative testè richiamate mostrano come sia lo stesso legislatore, esplicitamente o implicitamente, a riconoscere quelle fattispecie compatibili con il fenomeno divisionale. Ma quel che più conta è che siffatta soluzione legislativa appare del tutto corretta sul piano concettuale. Anche nelle ipotesi in esame, infatti, l'intento delle parti è quello di sciogliere la comunione mediante l'attribuzione a ciascun partecipe di porzioni di valore proporzionale alle quote. Nè la natura divisoria dell'operazione viene alterata dall'assegnazione di somme o beni estranei alla massa comune, giacchè ciò che è decisivo - come si è visto sopra - ai fini della integrazione del tipo contrattuale divisorio è l'attribuzione di beni determinati il cui valore sia voluto e stabilito dai condividenti in proporzione alle rispettive quote.

Il nocciolo duro del negozio divisorio è costituito, in definitiva, dall'apporzionamento proporzionale [nota 21].

Quando ricorra questo carattere l'operazione negoziale non può confondersi con altre figure di contratti, quali la vendita o la permuta, giacchè in queste ultime l'intento delle parti - anche se tra loro contitolari di diritti - è quello di attuare uno scambio, non quello di concretare la quota di contitolarità con l'attribuzione di una porzione di valore corrispondente. Conseguentemente - e il rilievo tornerà utile più avanti in occasione dell'esame degli "atti equiparati" alla divisione (v. infra § Gli atti "equiparati" alla divisione) - deve negarsi natura divisionale a quei contratti misti o complessi - che determinano lo scioglimento di una comunione - nei quali l'intreccio tra funzione distributiva e funzione di scambio (o di transazione) escluda l'elemento dell'apporzionamento proporzionale alla quota. Diverso discorso deve farsi, s'intende, in relazione alle ipotesi nelle quali, pur qualificando le parti il concreto contratto come "vendita", "permuta" o "transazione", l'effettivo significato economico dell'operazione sia rappresentato dall'attribuzione a ciascuna di esse di valori proporzionale alle rispettive quote.

È attraverso questo percorso che già nell'ultimo quarto del secolo decorso si è radicato nella dottrina italiana un concetto unitario di (contratto di) divisione, indipendente tanto dalla provenienza dei beni che ne formano oggetto quanto dalla apparente configurazione giuridica che venga data dalle parti all'operazione [nota 22].

Non può peraltro omettersi di dire che per quanto ampiamente accreditata, questa definizione dei confini del contratto di divisione non trova tutti gli autori concordi. Merita di essere segnalata l'opinione di chi [nota 23] contro un siffatto allargamento ha obiettato che il diritto positivo sembra presupporre una nozione ristretta di divisione - corrispondente in pratica alla sola divisione in natura - poichè la legge delinea una categoria di "atti equiparati alla divisone" (art. 764 c.c.) che non solo hanno l'effetto di far cessare la comunione ma altresì di farla cessare mediante l'attribuzione di beni che rispecchino i rapporti di valore tra le quote, giacchè altrimenti non potrebbe proporsi un problema di lesione e di impugnabilità mediante l'azione di rescissione. L'obiezione non è di poco conto. Peraltro sembra superabile con il rilievo che il legislatore - come dirò più avanti - verosimilmente non aveva ben chiaro che ogni qual volta l'intento delle parti è quello di attribuirsi beni in proporzione alle quote, il negozio assume necessariamente e per ciò solo i caratteri di una divisione e non quelli di una vendita o una permuta (a scopo indiretto di divisione). Una divisione che, come tale - come dirò più avanti (nel § Gli atti "equiparati" alla divisione) -, è soggetta non solo alle regole sulla rescissione ma all'intera disciplina della divisione.

Gli elementi caratterizzanti il contratto divisorio come tipo legale

Ho notato in precedenza che il contratto di divisione costituisce uno schema negoziale tipizzato dal legislatore. Trattandosi di un tipo legale, di esso occorre determinare gli elementi caratterizzanti.

La dottrina si è sforzata di individuare quelli che vengono considerati gli elementi che contrassegnano siffatto modello contrattuale, sui quali non sembra inutile spendere qualche parola.

1) Per quanto attiene ai soggetti del contratto, non si dubita della necessità della partecipazione al contratto di tutti i comunisti e che la mancata partecipazione anche di un solo contitolare determina la nullità del contratto, come pure si desume dalla norma di cui all'art. 784 c.p.c. che, in relazione al processo di divisione, prevede un litisconsorzio necessario tra tutti i compartecipi [nota 24].

La necessaria partecipazione di tutti i contitolari è implicata dalla funzione stessa del contratto di divisione, poichè il risultato distributivo dei beni e quello estintivo della contitolarità postulano il concorso della volontà di ciascuno dei contitolari volta a sostituire alla quota astratta sull'intera massa la titolarità esclusiva di singoli beni.

Quanto ai soggetti di questo contratto la dottrina ha chiarito che, a seconda dei casi, esso assume i caratteri di un negozio bilaterale ovvero plurilaterale - ovviamente senza comunione di scopo - .

I caratteri appena descritti sono compatibili peraltro con una divisione c.d. per gruppi, ossia con un contratto con il quale i beni anziché essere assegnati in proprietà esclusiva ai singoli comunisti, vengono attribuiti a gruppi di condividenti all'interno dei quali è mantenuta la comunione [nota 25]. In queste ipotesi, caratterizzate dalla presenza di parti plurisoggettive [nota 26], ricorrono gli elementi soggettivi ed oggettivi della divisione in quanto, con la partecipazione di tutti i comunisti, vengono assegnate porzioni di valore corrispondente alle quote - o meglio alla somma delle quote individuali dei singoli soggetti che compongono ciascuna parte negoziale - e si produce lo scioglimento della primitiva comunione che all'origine era unica e indistinta fra tutti i partecipi [nota 27].

Del pari, compatibile con i caratteri oggettivi della divisione è anche la c.d. divisione a stralcio, con la quale vengono assegnate porzioni di beni in proprietà esclusiva soltanto ad uno o ad alcuni dei comunisti e i restanti beni rimangono in stato di indivisione fra gli altri [nota 28].

2) Con riguardo ai beni oggetto del contratto, ho ricordato sopra come, in linea di principio, oggetto del riparto divisionale siano i beni comuni. A questo riguardo peraltro devono farsi alcune precisazioni.

L'ipotesi fisiologica è che oggetto di divisione siano solo beni già in comunione tra le parti (c.d. divisione in natura).

Ipotesi normale e statisticamente più frequente è quella in cui con il contratto vengano divisi in un unico contesto tutti quanti i beni comuni. Nessun ostacolo peraltro si frappone ad una divisione parziale, che abbia cioè ad oggetto solo alcuni dei beni in comunione i quali vengono appunto ripartiti - proporzionalmente alle quote - fra tutti i condividenti, lasciando i residui beni in stato di indivisione fra tutti i partecipi [nota 29].

Discende tuttavia da quanto si è chiarito più sopra (nel § I confini del contratto di divisione) in ordine al concetto di divisione che nulla si oppone a che il contratto abbia ad oggetto oltre beni già comuni anche beni estranei alla comunione. Si tratta delle ipotesi in cui le parti prevedono il pagamento di conguagli ovvero l'attribuzione di denaro o di altri tipi di beni non comuni per la formazione delle porzioni. In tali ipotesi si ha divisione solo in quanto le somme e gli altri beni non comuni assegnati ai singoli abbiano la funzione di compensare l'ineguaglianza in natura delle porzioni per renderle proporzionali alle quote ovvero di formare il contenuto di porzioni anch'esse proporzionali alle quote dei condividenti destinatari delle stesse [nota 30].

Il superamento della tradizionale identificazione del fenomeno divisorio con la sola divisione in natura consente alla dottrina di ammettere anche ipotesi di divisione aventi ad oggetto unicamente beni non facenti parte della comunione, come accade nei casi di vendita di beni comuni ad un estraneo e di ripartizione del ricavato fra i partecipi in proporzione alle rispettive quote [nota 31].

È appena il caso di notare che nelle ipotesi viste per ultime, non si ha contratto di divisione (bensì, secondo i casi, di vendita o permuta) quando il contratto, pur intervenendo tra più contitolari, programmi l'attribuzione ai compartecipi di beni in proprietà esclusiva il cui valore, nell'intento delle parti, non abbia alcun riferimento al valore della quota.

3) Ho chiarito in precedenza che la distribuzione proporzionale dei beni tra i condividenti comporta di per sè l'effetto giuridico del venir meno della situazione di contitolarità, al posto della quale subentra una situazione di titolarità solitaria sui singoli beni. Trattasi di un effetto necessariamente implicato dal risultato distributivo, essenziale rispetto al tipo contrattuale-divisione, come è confermato da numerose norme di legge (v., ad es. gli artt. 764 comma 1, 1111 e 1112 c.c.) [nota 32].

Occorre tuttavia precisare che il venir meno dello stato di contitolarità costituisce un effetto riflesso (di natura non estintiva) che può avere come sua fonte non un unico tipo di vicenda effettuale ma vicende del più vario contenuto. E così, ad esempio, un effetto di tipo costitutivo (come nel caso di usucapione della cosa comune da parte del singolo compartecipe), un effetto di tipo estintivo (come nel caso di rinuncia abdicativa della propria quota da parte di uno dei due comproprietari), un effetto di tipo traslativo (come nel caso di trasferimento da parte di un comunista all'altro comunista della propria quota sul bene comune o del trasferimento da parte dei condomini ad un terzo di tutte le loro quote).

L'avere individuato, quale effetto essenziale della divisione, il venir meno della contitolarità non esaurisce quindi la questione della natura degli effetti di questo contratto, poichè il problema è proprio quello di capire quale congegno giuridico-formale produca l'effetto di sciogliere la comunione. Chiarirò più avanti, alla luce dell'art. 757 c.c., che con riguardo alla divisione il nostro legislatore ha attribuito, di massima, al c.d. effetto dichiarativo il ruolo di fattispecie dell'effetto "estintivo" della contitolarità.

Deve tuttavia escludersi che costituisca effetto necessario ed immancabile del contratto di divisione la c.d. efficacia dichiarativa prevista dall'art. 757 c.c., ossia l'acquisto con efficacia retroattiva, da parte di ciascun condividente, dei beni assegnatigli, in forza dello stesso titolo costitutivo della comunione. Questo tipo di effetto, come avrò modo di precisare più avanti (nel par. succ.), non accompagna sempre e in tutti i casi la divisione, e appunto per tale motivo non rappresenta un elemento caratterizzante il tipo contrattuale divisorio.

Se quelli sopra indicati sono gli elementi che contraddistinguono il tipo negoziale in esame, sugli stessi occorre basarsi per la ricostruzione del profilo funzionale del contratto. Anche a questo riguardo deve seguirsi il metodo consueto, ossia quello di desumere la funzione del negozio dai suoi effetti giuridici, non già dal risultato pratico o empirico cui il negozio è diretto. Secondo la concezione - che risale a Salvatore Pugliatti - che mi sembra più attendibile, funzione del negozio è infatti la sintesi degli effetti giuridici essenziali dello stesso [nota 33].

Alla luce dei tratti caratteristici sopra individuati, la causa del contratto divisorio sembra consistere nella attribuzione a ciascuno dei compartecipi di una porzione di beni (in proprietà esclusiva) di valore proporzionale alla quota, finalizzata allo scioglimento della comunione [nota 34]. Con una formula di sintesi può dirsi che la funzione divisoria è quella di apporzionare i comunisti in misura proporzionale alle rispettive quote, facendo venir meno la contitolarità originaria.

Gli effetti e la natura della divisione (art. 757 c.c.)

Già sotto il vigore del codice del 1865, le questioni relative agli effetti della divisione si intrecciavano e si fondevano con il problema della natura giuridica della stessa.

La discussione verteva in sostanza, sul dilemma se la divisione avesse "natura dichiarativa" - come sembrava suggerire la disposizione dell'art. 1034 c.c. - o natura costitutiva. Al di là delle specifiche teorie, il dubbio di fondo era se la divisione rendesse effettiva e concreta una ripartizione già esistente [nota 35] oppure trasferisse reciprocamente da un partecipe all'altro le quote di contitolarità sui singoli beni [nota 36]. Dubbio che si è riproposto, sostanzialmente inalterato, con il codice del 1942, essendo stata in esso riprodotta una norma (art. 757) corrispondente all'art. 1034 citato.

In verità, il ventaglio delle opinioni proposte dalla dottrina nel tentativo di offrire una soddisfacente spiegazione teorica della natura della divisione era ben più ampio, e il dibattito, nel passaggio dal codice previgente a quello attuale, anzichè semplificarsi e decantarsi si è allargato ed è divenuto ancor più complicato. Non deve stupire quindi il constatare la fioritura nella dottrina successiva al 1942 di una miriade di tesi in tema di efficacia della divisione, di volta in volta individuata nell'idea di surrogazione reale ex lege [nota 37], nell'effetto di accertamento di una proprietà incerta [nota 38], nell'efficacia tipica di un negozio di accertamento [nota 39], in una vicenda sostitutiva [nota 40], in una efficacia modificativa [nota 41], in un effetto modificativo-traslativo [nota 42], in un effetto al tempo stesso estintivo e costitutivo [nota 43], o tout court ricollegata ad una fictio iuris [nota 44].

Ai fini della ricostruzione della vicenda effettuale che promana dalla divisione, peraltro, tutte queste tesi non sono di molto aiuto, ed è per ciò che in questa sede se ne può prescindere, per indirizzare direttamente l'attenzione sul formante legislativo.

L'interprete, a tal riguardo, deve fare i conti con uno specifico dato normativo, avendo il legislatore dettato una disposizione deputata proprio alla individuazione del congegno effettuale divisorio. Si tratta, come ho anticipato, della norma, dettata in materia di divisione ereditaria, contenuta nell'art. 757 c.c. (corrispondente, nella sostanza, all'art. 1034 c.c. 1865) la quale prevede che «ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all'incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari». La disposizione, in quanto richiamata anche (per la divisione) nella comunione ordinaria (art. 1116 c.c.) - salvo quanto dirò più avanti sulle discussioni che si agitano in dottrina sulla sua applicabilità fuori della divisione ereditaria - assume il valore di un principio generale valido per qualunque contratto divisorio.

Il problema è quello di determinarne il preciso significato e l'esatta portata.

Uno spunto prezioso viene, ancora una volta, da Deiana, il quale - con riferimento all'art. 1034 c.c. 1865 - nello sforzo di cogliere le differenze tra i concetti di «retroattività» e di «dichiaratività» rilevava che il legislatore non ha voluto solo affermare la retroattività del contratto di divisione, ma ha inteso anche attribuirgli la natura di atto dichiarativo. La disposizione - notava l'illustre autore - non stabilisce che l'acquisto della proprietà esclusiva dei beni, a cui dà luogo il contratto di divisione, si debba considerare come avvenuto non nel momento in cui è posto in essere il negozio ma in un momento anteriore, quello cioè in cui è sorta la comunione, ma qualcosa di più, e precisamente «che la divisione non dà luogo ad un acquisto e ad una perdita di diritti» [nota 45] e che quindi «nessun trasferimento di diritti si opera per effetto della divisione dall'uno all'altro dei condomini» [nota 46].

La puntualizzazione appare ineccepibile. In effetti, il legislatore non stabilisce (solo) che il coerede deve essere considerato proprietario solitario della porzione assegnatagli sin dal momento in cui si è aperta la successione, bensì che ciascun coerede è considerato unico e immediato avente causa dal de cuius dei diritti compresi nella porzione assegnatagli (e altresì come se non avesse mai avuto la comproprietà degli altri beni ereditari). La norma dell'art. 757 - come quella dell'art. 1034 c.c. 1865 - non si limita quindi a statuire che l'acquisto dei beni assegnati in proprietà esclusiva a ogni coerede opera con effetto retroattivo dall'apertura della successione, ma stabilisce che il titolo di acquisto di tali beni è rappresentato, con efficacia ex tunc, dalla successione mortis causa. La norma non è diretta quindi solo a influire sul profilo temporale della vicenda acquisitiva dei diritti assegnati ai condividenti, ma va oltre in quanto qualifica anche il titolo dell'acquisto di tali diritti, che viene dalla norma identificato tout court nello stesso titolo acquisitivo della quota di comproprietà, e perciò in caso di divisione ereditaria nel titolo successorio mortis causa.

Le conseguenze, anche pratiche, che ne discendono non sono di poco momento.

Per volontà di legge - ed è chiaro che non si tratta di fictio iuris, ma di una vicenda effettuale e qualificatoria la cui "realtà", sul terreno del diritto, non è diversa da quella di qualsiasi altro tipo di effetto giuridico [nota 47] - il titolo di acquisto dei beni assegnati in proprietà solitaria al condividente non è costituito dalla divisione ma dalla vocazione ereditaria o dal diverso titolo costitutivo della comunione (non ereditaria). La divisione non è considerata e trattata dalla legge quale titolo di acquisto dei diritti che, per effetto di essa, entrano nel patrimonio dei condividenti. Di qui una serie di corollari, tra cui, ad esempio, che la divisione non può costituire "titolo idoneo" ai fini dell'applicazione delle norme sugli acquisti a non domino ed in particolare delle norme degli artt. 1153 e 1159 [nota 48]; che la trascrizione della divisione non produce gli effetti di cui all'art. 2644, ma quelli più limitati dell'art. 2646 [nota 49].

La dottrina tradizionale qualificava questo tipo di vicenda effettuale in termini di "efficacia dichiarativa" e di qui traeva l'illazione di una pretesa natura dichiarativa della divisione. La dottrina più moderna ha rimosso quasi completamente l'equivoco ed assegna al dogma della dichiaratività della divisione l'unico significato plausibile, ossia che ciascun condividente non può considerarsi un avente causa dalla pluralità dei partecipanti alla comunione sia come universitas sia come singoli [nota 50].

Solo in termini descrittivi possono perciò accettarsi le comuni affermazioni secondo le quali «lo stato di comunione viene totalmente cancellato ... e il condividente nulla riceve che già non avesse fin dal momento in cui la comunione si era formata» [nota 51]. Siffatto rilievo, in verità, come pure dirò più avanti, appare corretto qualora dal terreno degli effetti giuridici ci si sposti sul terreno degli effetti economici, perchè invece dal punto di vista della realtà giuridica il condividente diventa titolare di situazioni giuridiche soggettive nuove e diverse da quelle che a lui facevano capo durante la situazione di comunione.

Non può mettersi seriamente in dubbio, quindi, la natura costitutiva degli effetti della divisione, giacchè la situazione giuridica preesistente alla divisione (ossia la contitolarità indivisa pro quota dei beni ereditari) è diversa dalla situazione che si instaura in conseguenza della divisione (proprietà esclusiva della porzione). D'altro canto, nel senso della costitutività degli effetti divisori si esprime oramai la maggior parte della dottrina [nota 52].

Il regime effettuale testè indicato - salvo quanto diremo sulle discussioni della dottrina in ordine alla estensibilità dell'art. 757 fuori della divisione ereditaria - caratterizza non solo la divisione ereditaria ma anche gli altri fenomeni divisionali (arg. ex art. 1116 c.c.). Anche la divisione nella comunione ordinaria, in particolare, fissa retroattivamente il titolo di acquisto dei beni assegnati a ciascun partecipe identificandolo nello stesso titolo costitutivo della comunione o, secondo i casi, in un titolo anteriore (quando alla comunione preesisteva il diritto esclusivo di uno dei partecipanti) [nota 53] e anticipa l'acquisto della proprietà solitaria al momento del perfezionamento di quel titolo.

Trattandosi di un effetto che si traduce in una vicenda (acquisitiva) di diritti reali, si comprende la ragione per la quale la legge (art. 1350 n. 11 c.c.) prescriva per il contratto di divisione la forma solenne ad substantiam nei casi in cui abbia ad oggetto beni immobili.

Per gli stessi motivi la legge assoggetta, in linea di principio, anche gli atti di scioglimento della comunione al regime delle cosiddette nullità urbanistiche (v. artt. 30 comma 2 e 46 comma 1 del T.U. dell'edilizia [ma con l'eccezione di cui all'art. 30 comma 1 per le divisioni ereditarie]).

La regola dettata dall'art. 757, come emerge dalla stessa disposizione (che si riferisce ai «beni ereditari»), vale unicamente per i beni caduti nella successione o, più in generale, già oggetto di comunione, non già per i beni ad essa estranei. Conseguentemente, i conguagli divisionali (in denaro o in natura), e i beni estranei alla comunione che vengano attribuiti a titolo divisorio per formare o riequilibrare le porzioni costituiscono oggetto di ordinarie vicende traslative da un condividente all'altro [nota 54].

La dottrina ha anche chiarito che l'efficacia retroattiva del negozio divisorio più sopra descritta non è piena ed assoluta ma trova dei limiti [nota 55]. Così ad esempio, è opinione dei più: (a) che non rimangono travolti gli atti di esercizio dei diritti in comunione; (b) che i frutti prodotti dai beni comuni maturati e separati durante la comunione non vanno a vantaggio dell'assegnatario della cosa madre, ma costituiscono una separata massa da dividere fra tutti i compartecipi; (c) che le servitù costituite per destinazione del padre di famiglia durante lo stato di indivisione si conservano.

Quanto al fondamento politico della regola dettata dall'art. 757, si afferma comunemente che l'esigenza che sta a base della stessa è quella di tenere indenni i condividenti dagli effetti dispositivi degli atti compiuti dagli altri coeredi in pendenza della comunione [nota 56]. Con specifico riguardo alla divisione ereditaria, la regola in discorso viene letta soprattutto in chiave di coerente applicazione del principio di retroattività che domina il sistema successorio (art. 459 c.c.), il cui scopo è quello di colmare il vuoto temporale tra il momento dell'apertura della successione e quello dell'acquisto dell'erede al fine di assicurare la "continuità" tra la posizione giuridica del defunto e quella dell'erede [nota 57].

Non mancano tuttavia riserve sulla effettiva opportunità ed utilità della regola in esame, che secondo taluno potrebbe essere sostituita con altre norme del tipo di quella dettata dall'art. 2825 c.c. in materia di ipoteche e comunque dovrebbe rimanere circoscritta alla divisione ereditaria [nota 58]. Il dibattito è tuttora aperto in dottrina, anche se l'orientamento favorevole al mantenimento dell'art. 757 e alla sua estensione alla comunione ordinaria appare oggi quello prevalente [nota 59].

Rimane un altro problema cui occorre fare cenno. Ci si è chiesti se la regola di cui all'art. 757 sia pattiziamente derogabile o inderogabile. Taluno, sia pur senza darne spiegazione, si è espresso nel senso della inderogabilità della norma [nota 60]; altri ritiene invece che quello previsto dalla disposizione in discorso costituisca effetto tipico del contratto di divisione, con la conseguenza che ove non voluto dalle parti il contratto è valido ma dà vita ad un contratto atipico [nota 61].

Contratto di divisione e onerosità, corrispettività, alienazione e abdicazione di diritti

È discusso in dottrina se la divisione possa inquadrarsi nelle categorie generali del contratto oneroso e del contratto a prestazioni corrispettive, e altresì in quelle del contratto di alienazione ovvero del contratto abdicativo.

Le considerazioni fin qui svolte aiutano a sciogliere gli interrogativi che ancora permangono nella nostra dottrina.

Quanto alla onerosità o gratuità della divisone [nota 62], ho già accennato in precedenza che, considerata la funzione distributiva di questo contratto e considerato altresì che il coerede riceve sotto forme giuridiche diverse (ossia sotto forma di titolarità esclusiva) quanto gli è stato già trasmesso dal de cuius (sotto forma di patrimonio indiviso), il contratto di divisione altro non attribuisce al condividente se non lo stesso valore economico che già si trovava nel di lui patrimonio. A mio avviso, la divisione rientra nel novero di quei negozi - noti alla dottrina - che sono "incolori" dal punto di vista economico, in quanto non fanno conseguire un sostanziale vantaggio patrimoniale al loro destinatario nè comportano un sostanziale sacrificio economico per lo stesso. Atti che vengono anche denominati "disposizioni senza attribuzione" o "obbligazioni senza sacrificio" [nota 63]. Di qui una serie di corollari, tra cui, ad esempio l'impossibilità (o quanto meno l'estrema difficoltà) di configurare una impugnazione della divisione mediante azione revocatoria [nota 64], l'inapplicabilità di norme del tipo di quella di cui all'art. 534 comma 2 o all'art. 1445 c.c., e la pratica inapplicabilità (o quasi) della disciplina sulle clausole abusive nei contratti del consumatore (artt. 33 e ss. codice del consumo).

In merito alla corrispettività o meno del contratto di divisione [nota 65], le precisazioni fatte in precedenza sulle differenze esistenti tra causa divisoria e causa di scambio escluderebbero di per se stesse la possibilità di configurare la divisione come contratto a prestazioni corrispettive. Appare comunque decisivo, per escludere la corrispettività, l'osservazione formulata dianzi secondo la quale la divisione appare come un «atto di disposizione senza attribuzione patrimoniale». Quand'anche si ritenesse il contrario, non sembra in ogni caso che si possa assimilare alla interdipendenza che caratterizza le prestazioni del contratto sinallagmatico - comunemente intesa nel senso che ciascuna prestazione costituisce la causa giustificativa dell'altra - la connessione esistente fra le assegnazioni divisorie che, come giustamente è stato notato, è fondata sul rapporto tra ciascuna assegnazione e il tutto come riflesso della proporzionalità distributiva che contrassegna il profilo funzionale della divisione [nota 66]. D'altro canto, anche coloro i quali si pronunciano per la corrispettività della divisione, escludono poi che questo contratto sia suscettibile di risoluzione per inadempimento [nota 67], ciò che conferma la sostanziale sterilità di quella qualificazione.

Quanto agli altri inquadramenti del contratto di divisione nelle categorie della teoria generale del contratto, tentati dalla dottrina, basterà appena qualche cenno.

Si è già chiarito che la divisione non costituisce un contratto di alienazione, e ciò non perchè concettualmente non potrebbe essere tale, ma perché siffatta configurazione effettuale, come emerge dall'art. 757 c.c., è esclusa dal diritto positivo. Ma, come abbiamo precisato in precedenza, questa conclusione vale in relazione ai soli beni facenti parte dell'eredità (o, più in generale, della comunione), poichè i beni estranei assegnati in proprietà esclusiva al condividente formano oggetto di un acquisto derivativo che vede come dante causa uno o più dei compartecipi e come avente causa l'altro o gli altri compartecipi.

Sostanzialmente le stesse considerazioni valgono per escludere che la divisione possa qualificarsi contratto abdicativo [nota 68], emergendo dall'art. 757 un'efficacia diversa e in ogni caso più complessa di quella puramente estintiva, e ciò anche a voler prescindere dalla necessità di spiegare il congegno acquisitivo della proprietà dei conguagli divisionali e degli altri beni estranei alla divisione.

Il sistema delle impugnative del contratto divisorio e delle sue patologie

Anche la disciplina delle impugnative del contratto di divisione e il quadro delle sue patologie suscita notevole interesse teorico e pratico, stanti soprattutto le apparenti peculiarità che si riscontrano nelle soluzioni legislative.

Come è noto, il codice esclude l'annullabilità per errore (art. 761), prevede la rescindibilità per lesione ultra quartum (artt. 763-767) e contempla la garanzia per evizione tra i coeredi (artt. 758-759). Anche queste disposizioni hanno sollevato non poche discussioni tra gli interpreti.

Non potendo in questa sede passare al setaccio l'intera regolamentazione delle patologie della divisone, mi limiterò a mettere in luce come il sistema delle impugnative del contratto divisorio e delle sue patologie sia logicamente consequenziale ai caratteri di questo contratto ed in particolare ai suoi profili funzionali.

Quanto alla rescissione, devesi condividere l'opinione che ripone il fondamento di tale rimedio nel principio di proporzionalità delle porzioni alle quote [nota 69]. La lesione rescissoria corrisponde ad un vizio oggettivo della causa [nota 70] del contratto di divisione, che rimane alterato proprio nella sua funzione distributiva. Poichè àncora la rescindibilità al presupposto, meramente oggettivo, che il condividente sia stato leso oltre il quarto, la legge avrebbe potuto prevedere un'ipotesi di nullità del contratto. Verosimilmente si è preferita la soluzione dell'inefficacia successiva, sia per l'esigenza di sottoporre ad una prescrizione breve la relativa azione, sia per consentire al condividente convenuto con questa azione di impedire una nuova divisione dando un supplemento.

In merito alla garanzia per evizione, devesi condividere la comune opinione che ripone il fondamento di tale misura di tutela nel principio di proporzionalità delle porzioni alle quote [nota 71]. Coerente è, d'altro canto, la soluzione legislativa di rendere responsabili pro quota tutti i condividenti della depauperazione subita dal condividente evitto (art. 759 c.c.), dal momento che l'evento evizionale non costituisce un inadempimento imputabile ad uno dei condividenti e postula unicamente una ripartizione del pregiudizio in misura proporzionale fra tutti i partecipi.

Riguardo alla irrilevanza dell'errore (quale emerge dall'art. 761 c.c.), è da approvare l'opinione di coloro che giustificano siffatta irrilevanza sotto il profilo che il contratto divisorio richiede di per sè una corrispondenza tra porzione e quota, tale da rendere irrilevante lo stato soggettivo di errore e da attribuire valore assorbente alle circostanze su cui l'errore può incidere [nota 72]. Si spiega in tal modo:

a. che l'omissione di un bene comune determini, ai sensi dell'art. 762, un supplemento di divisione (dal momento che in tal caso, non essendo compromessa la funzione distributiva del contratto nè alterato il principio di proporzionalità, vanno solo estese le operazioni divisionali sul bene comune);

b. che la lesione nella valutazione o nella formazione delle porzioni, ove superi il quarto, dia luogo - come si è detto sopra - alla rescissione;

c. che la pretermissione di un comunista determini la nullità del contratto, poichè - come ho chiarito in precedenza - impedisce la realizzazione della funzione del contratto;

d. che la partecipazione al contratto di un soggetto estraneo sfoci in una petitio hereditatis o rivendica e susseguente supplemento di divisione [nota 73];

e. che ove venga incluso un bene estraneo alla comunione, si faccia luogo alla garanzia per evizione;

f. che parimenti, qualora nella divisione siano ricompresi beni di proprietà esclusiva di uno dei compartecipi, la divisione sia valida e abbia corso una petitio hereditatis o una rivendica e conseguente garanzia per evizione;

g. che se la divisione abbia ad oggetto beni totalmente altrui, la stessa sia nulla per impossibilità dell'oggetto e di riflesso anche per mancanza di causa, non potendosi con il contratto nè ripartire beni non appartenenti ai condividenti nè sciogliere una comunione che tra gli stessi non sussiste.

Gli atti "equiparati" alla divisione

La legge, agli artt. 764 e 765 c.c., consente l'esercizio dell'azione di rescissione anche contro «ogni altro atto che abbia per effetto di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari», escludendo peraltro «la transazione con la quale si è posto fine alle questioni insorte a causa della divisione (o dell'atto fatto in luogo della medesima)» e «la vendita del diritto ereditario fatta senza frode a uno dei coeredi, a suo rischio e pericolo, da parte degli altri coeredi o di uno di essi».

Queste disposizioni - che, a parte alcuni ritocchi di ordine tecnico, non si discostano sostanzialmente da quanto prevedeva il codice del 1865 all'art. 1039 c.c. [nota 74] - hanno originato e continuano a tener vivo un vivace dibattito in dottrina e in giurisprudenza che in questa sede può essere solo richiamato nelle linee essenziali [nota 75].

Vorrei osservare preliminarmente che la materia è e rimane a tutt'oggi complicata innanzi tutto poichè risente delle incertezze di fondo circa la determinazione dei confini del contratto di divisione, e secondariamente a causa della difficoltà di stabilire a quali specifiche figure abbia inteso riferirsi il legislatore nell'escludere dal rimedio rescissorio le figure di transazione e di vendita descritte nelle disposizioni dianzi richiamate.

Sul primo punto, è del tutto logico che gli autori i quali accolgono una nozione allargata di divisione - che ricomprende cioè le ipotesi ricondotte tradizionalmente alla c.d. divisione civile - identifichino gli "atti equiparati" con le fattispecie negoziali che siano non solo finalizzate alla cessazione della comunione ma anche caratterizzate da una proporzionalità del corrispettivo della partecipazione rispetto al valore del tutto. In particolare, una volta che si parta dalla premessa per la quale costituiscono negozi divisorî tutti gli atti che - comunque qualificati dalle parti - determinano lo scioglimento della comunione attraverso l'assegnazione ai contitolari di valori proporzionali alle quote (v. supra § I confini del contratto di divisione) e altresì si condivida l'opinione comune che ravvisa la ratio della rescindibilità, anche in relazione agli atti di cui all'art. 764 comma 1 c.c., nel principio della proporzionalità delle quote, la conseguenza non può essere che quella di identificare tali atti nei contratti che presentano il requisito dell'apporzionamento proporzionale [nota 76]. In tal modo tuttavia la categoria normativa degli "atti equiparati" finisce con lo scomparire, poichè questi atti, rivestendo i caratteri di veri e propri contratti divisorî, ricadono entro i confini della divisione e rimangono assoggettati non solo alla rescissione ma a tutta la disciplina della divisione.

Ponendosi in questa prospettiva, la conseguenza è che rimangono esclusi dalla tutela rescissoria gli atti che non danno luogo ad una attribuzione di valori proporzionali alla quota, come, ad esempio, la rinuncia abdicativa, la donazione delle quote a favore di un contitolare o di un terzo, e soprattutto gli atti a titolo oneroso in cui le parti non abbiano inteso fissare il corrispettivo in vista di una proporzionalità di valore delle rispettive quote [nota 77], stante la incompatibilità - sopra rilevata (v. § L'intento pratico delle parti e l'oggetto del contratto di divisione. I patti preparatori e quelli impeditivi della divisione) - tra causa di scambio e causa divisoria.

Qualora invece si accogliesse una nozione ristretta di divisione, coincidente in sostanza con la c.d. divisone in natura, gli "atti equiparati" soggetti a rescissione dovrebbero corrispondere, sostanzialmente, alle ipotesi che la tradizione collocava nell'ambito della c.d. divisione civile [nota 78].

Resta da accertare la ragione per la quale il legislatore escluda dall'azione di rescissione le fattispecie della transazione postdivisoria e della vendita di quota fatta a rischio e pericolo del coerede, descritte negli artt. 764 comma 1 e 765. Anche questo "sottotema" registra una notevole frammentazione di tesi sia in dottrina che in giurisprudenza.

Quanto alla vendita è stato notato - esattamente - che quando con il contratto sia voluto un corrispettivo di valore proporzionale alla quota, la vendita è in realtà una divisione; divisione, come tale, soggetta non solo alla disciplina della rescissione ma a tutti gli istituti caratteristici della divisione [nota 79]. La vendita del diritto ereditario «fatta da uno dei coeredi senza frode a suo rischio e pericolo» è invece una vera e propria vendita poichè il diritto di comunione - ossia la quota indivisa - viene venduto senza aver riguardo a un rapporto di proporzionalità tra il corrispettivo e la quota del coerede cedente [nota 80].

In ordine alla transazione, da una parte della dottrina si osserva che l'esclusione della rescissione dovrebbe valere non solo per la c.d. transazione divisoria (concernente cioè questioni insorte a causa di una divisione già posta in essere [art. 764 comma 2]) ma per qualsiasi transazione - compresa la c.d. divisione transattiva - poichè, a parte il limite dell'art. 1970 c.c., non essendo la transazione equiparabile sotto il profilo causale alla divisione, nel concluderla le parti prescindono dal rispetto della proporzionalità tra valore della quota e valore della porzione [nota 81].

Altra parte della dottrina ammette invece la rescindibilità di quel contratto (c.d. divisione transattiva) con cui le parti in concreto non compongono una lite ma "superano amichevolmente" questioni attinenti alle operazioni divisionali [nota 82]. Occorre tuttavia riconoscere che la commistione, in un unico negozio, tra causa transattiva e causa distributiva altera profondamente la funzione distributiva del concreto contratto, sì da sottrarre lo stesso al rimedio rescissorio, che - come si è notato in precedenza - è posto a difesa della proporzionalità delle porzioni alle quote [nota 83].

Forse un'eccezione potrebbe farsi per le transazioni riconducibili all'art. 1965 comma 2 c.c., nelle quali venga posta in essere una divisione per comporre una lite concernente pretese e contestazioni aventi ad oggetto un rapporto diverso da quello di comunione che le parti intendono sciogliere con la transazione.

Le nuove frontiere dell'indagine dottrinale. Dal contratto di divisione ai negozi con funzione distributiva (in particolare, la divisione testamentaria e il patto di famiglia)

Qualche cenno non sembra inutile, prima di concludere, sui temi di indagine verso i quali si indirizzano i più recenti contributi della dottrina.

L'attenzione degli studiosi che da ultimo si sono occupati del fenomeno divisionale appare attratta, per un verso, dall'esigenza di verificare i nessi esistenti, dal punto di vista concettuale, tra contratto di divisione ed altri negozi divisori previsti dal diritto positivo, e per altro verso, dal bisogno di chiarire la posizione in cui la divisione va collocata sul piano sistematico rispetto ad altre fattispecie negoziali con funzione lato sensu distributiva.

La questione è stata riproposta da una dottrina che ha condensato in recenti scritti i risultati di riflessioni variamente collocate nel tempo [nota 84].

Secondo la dottrina in parola non è condivisibile l'opinione comune che individua gli "indici di riconoscimento" della divisione nello scioglimento della comunione e negli apporzionamenti proporzionali alle quote. Si sostiene che la preesistenza di uno stato di contitolarità (e quindi lo scioglimento della comunione) è «dato non necessario ad individuare il fenomeno divisionale», il cui unico "indice di riconoscimento" si ritiene sia costituito dall'apporzionamento proporzionale alla quota. In base alla dottrina in esame, inoltre, la «distribuzione quotativa di una massa patrimoniale» rappresenta «il dato funzionale minimo di ogni tecnica divisionale», che consente di organizzare sistematicamente tutta una serie di ipotesi strutturalmente anomale riconducibili al «genus divisione», quali in particolare la divisione testamentaria, la collazione e le assegnazioni liquidative del patto di famiglia. Di qui la conclusione che «l'interesse alla distribuzione proporzionale qualifica causalmente il procedimento divisorio» e, in termini più generali, la funzione distributiva si presta ad essere vista come «causa di giustificazione degli spostamenti patrimoniali capace (per la sua generalità) di affiancarsi agli schemi della corrispettività e della liberalità».

Lo studio di cui ho brevemente riferito, per l'importanza del tema e in considerazione dei risultati di ordine sistematico generale cui dichiaratamente aspira, merita un sia pur breve commento, con il quale, nel dare atto della condivisione da parte mia di molti aspetti della analisi, desidero tuttavia segnalare alcuni punti di disaccordo.

Ho già dato atto in precedenza (nei §§ L'intento pratico delle parti e l'oggetto del contratto di divisione. I patti preparatori e quelli impeditivi della divisione e Gli elementi caratterizzanti il contratto divisorio come tipo legale) della mia sostanziale adesione alla opinione, pressoché unanimemente accolta dalla dottrina, per la quale la cessazione della contitolarità costituisce uno degli elementi caratterizzanti il contratto di divisione (sia ereditaria che extraereditaria).

Lo scioglimento della comunione deve essere annoverato tra "gli indici di riconoscimento della divisione"- come ho chiarito in precedenza - in quanto in tal senso depongono tutti i dati normativi, che, francamente, mi paiono difficilmente superabili anche alla luce dell'intento pratico che anima i condividenti.

D'altro canto, non mi sentirei di considerare decisivo l'argomento che in senso contrario è stato tratto dalla figura della divisione testamentaria, poichè nonostante la innegabile analogia funzionale tra la stessa e il contratto di divisione, i due istituti sono e rimangono distanti tra loro. Anche da parte degli autori dai quali con maggior profondità è stata analizzata la divisio inter liberos e con lucidità sono state rimarcate le citate analogie funzionali - alludo in particolare a Luigi Mengoni - è stato chiarito che «è inaccettabile il tentativo di accostamento concettuale della divisione testamentaria alla divisione in senso tecnico. L'analogia esiste, ed è positivamente riconosciuta, soltanto sul piano funzionale ... Non essendo correlativa allo scioglimento di una comunione, la divisione del testatore è essenzialmente diversa dalla divisione vera e propria, la quale ha un contenuto meramente dichiarativo» [nota 85].

A mio avviso, non è, quindi, corretto, sul piano metodologico, argomentare dall'istituto della divisione testamentaria per trarne la conclusione di ordine generale che il contratto di divisione non annovera, fra i suoi esiti essenziali, la cessazione della comunione. D'altronde, in termini più generali, costituisce insegnamento comunemente accettato che l'identità di un istituto giuridico va desunta non soltanto dai suoi elementi di ordine funzionale ma anche da quelli di ordine strutturale.

Vorrei aggiungere che, anche dal punto di vista dell'altro indice di riconoscimento del fenomeno divisorio, ossia l'apporzionamento proporzionale alla quota, la divisione testamentaria presenta innegabili anomalie - rispetto alla vera divisione - soprattutto ove si abbia riguardo alla divisione testamentaria senza predeterminazione di quote astratte. In questa figura non si riscontra infatti il dato caratteristico e immancabile del contratto di divisione, costituito dall'attribuzione di beni di valore proporzionale al valore della quota (di coeredità o di comunione). Non essendovi una quota astratta predeterminata, manca per definizione il "nocciolo duro" del fenomeno divisorio, ossia l'elemento costituito dalla proporzionalità dell'apporzionamento alla quota. Anzi, nella figura in esame si verifica il fenomeno opposto. La quota astratta di coeredità può essere determinata solo a posteriori, sulla base del valore dei beni oggetto dell'apporzionamento. Nella divisione testamentaria senza quote predeterminate, in sostanza, il fenomeno che si riscontra è quello di una quota in funzione del valore dell'apporzionamento, non già - come nel contratto di divisione - quello di un apporzionamento in funzione proporzionale alla quota.

Che rispetto alla divisione testamentaria senza predeterminazione di quote i legami concettuali con il contratto di divisione siano assai labili è dimostrato anche dalla circostanza che ad essa non riesce applicabile in alcuna parte la disciplina della divisione ereditaria. In particolare, non si possono applicare le regole sulla rescissione per lesione e quelle sulla garanzia per evizione (che operano invece per l'altro tipo di divisione testamentaria) e neppure opera il principio della nullità per mancata partecipazione di uno dei compartecipi (che il legislatore richiama all'art. 735 comma 1, infatti, per la sola divisione testamentaria con predeterminazione di quote).

Anche in relazione alle analogie tra divisione e patto di famiglia nutrirei più d'una perplessità. Non nego che nel patto di famiglia si riscontri un profilo distributivo, ma non mi sembra che ciò sia sufficiente a consentirne un'assimilazione, neppure sul piano funzionale, al contratto di divisione.

Nella divisione contrattuale, come ho rilevato in precedenza, gli apporzionamenti proporzionali alle quote sono finalizzati allo scioglimento di una preesistente comunione. Nel patto di famiglia invece le attribuzioni commisurate dall'art. 768-quater comma 2 al valore delle quote di legittima, sono finalizzate - nel quadro della successione anticipata e parziale cui dà luogo questo peculiare regolamento di interessi - a soddisfare le aspettative dei legittimari. L'intento delle parti - astrazion fatta per lo scopo liberale che pervade i rapporti tra imprenditore e assegnatario di azienda - è quindi quello di operare una liquidazione dei diritti dei legittimari attraverso l'attribuzione di beni di valore proporzionale alle quote di riserva. Proprio siffatta finalità [nota 86] fa emergere un profilo causale del contratto e un assetto degli interessi regolati che collocano il patto di famiglia a notevole distanza - anche sul terreno funzionale - dalla divisione.

Che le attribuzioni con finalità satisfattiva delle aspettative successorie dei legittimari, che si riscontrano nel patto di famiglia, diano vita sotto il profilo funzionale ad un fenomeno differente da quello della divisione mi sembra trovi un'importante conferma nella norma (art. 768-quater, comma 2) che consente ai legittimari che partecipano al patto di rinunziare in tutto o in parte al diritto alla liquidazione delle somme loro spettanti. Una siffatta possibilità di rinunzia, infatti, è inconcepibile nell'ambito del contratto di divisione, poichè se uno dei compartecipi dichiarasse di voler rinunziare - non al diritto che gli spetta pro quota, con conseguente accrescimento a favore degli altri partecipi, ma - all'apporzionamento, resterebbe impedita la realizzazione della causa del contratto, con conseguente nullità dello stesso.

Discorso diverso riterrei invece possa valere per la collazione, giacchè - una volta chiarito (v. supra, § Gli effetti e la natura della divisione (art. 757 c.c.)) che il profilo funzionale distributivo della divisione non è incompatibile a priori con alcun tipo di vicenda effettuale - nella collazione (in natura) sembrano effettivamente ricorrere gli elementi caratterizzanti il fenomeno divisorio, ossia l'apporzionamento proporzionale alle quote finalizzato allo scioglimento di una comunione.

II contratto divisorio nel sistema

Rimane da dire qualcosa sull'idea centrale del contributo dottrinale di cui sto riferendo e sulla proposta di ordine generale formulata in esso.

Quanto alla riconduzione nell'ambito di un'unica categoria concettuale, designata "distribuzione proporzionale" o "funzione distributiva", delle varie figure negoziali ricordate - divisione contrattuale, divisione testamentaria, patto di famiglia - ho già rilevato sopra che, a mio avviso, tra ciascuno di questi negozi sussistono differenze significative.

Con specifico riguardo alla configurabilità e utilità della "distribuzione proporzionale" come categoria funzionale di carattere generale, vorrei osservare che la dottrina, nel catalogare i diversi "genera" di cause giustificative degli spostamenti patrimoniali, già da tempo ha raggruppato i varii titoli giustificativi in altrettanti schemi funzionali generici (si pensi alle iustae causae di scambio, di liberalità, creditizia, di garanzia, gestoria, e via dicendo). Se ciò è vero, è anche vero però che occorre non perdere di vista che ciascuna delle figure negoziali riconducibili alle diverse "famiglie" di cause giustificative delle attribuzioni patrimoniali è caratterizzata da una sua causa specifica e soprattutto che a ognuna di esse corrisponde un diverso tipo negoziale, identificato da suoi elementi peculiari e caratterizzanti che segnano la differenza tra un tipo e gli altri appartenenti alla stessa "famiglia".

Nulla in contrario quindi ad aggiungere - come viene proposto da parte della dottrina citata - alla lista delle iustae causae la "funzione distributiva" - intesa come causa di giustificazione di spostamenti patrimoniali, al pari della funzione di scambio, di quella liberale, e via dicendo - purchè però non si arrivi a identificare in toto lo schema funzionale generico (che funge da criterio unificatore del raggruppamento) con la causa specifica che contrassegna ciascun tipo negoziale.

Avendo riguardo ai fenomeni distributivi in esame, può anche proporsi quindi l'inclusione delle diverse figure negoziali sopra ricordate - e di altre ancora - entro un unico generico "schema funzionale distributivo", purchè tuttavia non si perda di vista che ognuna di tali figure corrisponde ad un distinto tipo negoziale in ragione degli elementi specializzanti che lo caratterizzano e che trovano la loro sintesi nella causa "specifica".

In questa diversa prospettiva il contratto di divisione, a mio modo di vedere, presenta una sua identità tipologica che impone di distinguerlo, tra gli altri, dal negozio testamentario divisorio e dal patto di famiglia.

Problema diverso, di cui in questa sede non è possibile occuparsi, è quello di accertare se e in qual misura rivesta utilità anche pratica, oltre che scientifica e classificatoria, la configurazione di una generica "funzione distributiva", e se la stessa sia in grado di fornire un effettivo ausilio all'interprete per individuare la disciplina applicabile alle singole figure e per colmare le eventuali lacune normative [nota 87].


[nota 1] G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica del contratto di divisione», in Riv. dir. civ., 1939, p. 15 e ss.; dello stesso A., «Problemi e riforma in tema di divisione», in Riv. dir. comm., 1946, I, p. 420 e ss.

[nota 2] Sulle fattispecie ricordate nel testo, v. fra i tanti, G. MIRABELLI, voce Divisione, dir. civ., in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1964, p. 33; A. BURDESE, voce Comunione e divisione ereditaria, in Enc. giur. Treccani, VII, Roma, 1988, p. 4; A. LENER, La comunione, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, 8, Torino, 1982, p. 328; A. MORA, Il contratto di divisione, Milano, 1995, p. 86.

[nota 3] V., per tutti, P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, Della divisione, Art. 713-768, nel Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, , Bologna-Roma, 2000, p. 3 e ss.

[nota 4] Sul punto e sulle problematiche conseguenti, v. M. SESTA, Comunione di diritti. Scioglimento Lesione, Napoli, 1988, spec. p. 53 e ss.; G. BONILINI, voce Divisione, in Digesto, disc. priv., sez. civ., VI, Torino, 1990, p. 482 e ss.

[nota 5] Sulle questioni richiamate nel testo, v, per ora, G. AMADIO, «Patto di famiglia e funzione divisionale», in Riv. not., 2006, p. 867, spec. p. 872 e ss.; per spunti sul medesimo senso, M. SESTA, Comunione di diritti…, cit., passim.

Occorre altresì considerare che le varie specie di comunione ricordate nel testo, al di là del generico elemento comune dell'essere tutte forme di contitolarità di diritti, possiedono caratteri differenti, a partire dalla diversa conformazione e struttura dalla contitolarità (ad es., proprietà plurima parziaria, proprietà plurima integrale, contitolarità per quote, contitolarità solidale) e dalle diverse situazioni giuridiche soggettive che ne formano oggetto (ad esempio, la comunione ordinaria riguarda solo diritti reali (arg. ex art. 1100 c.c.); la comunione ereditaria concerne qualunque tipo di diritto e posizione giuridica che faceva capo al defunto, con l'eccezione dei debiti (arg. ex art. 752) e forse dei crediti; la comunione legale fra coniugi ha ad oggetto diritti reali, diritti su beni immateriali mentre è dubbio se concerna anche crediti e debiti) per arrivare alla differente disciplina positiva dettata per l'esercizio della contitolarità, i rapporti con i terzi e per le operazioni divisionali.

[nota 6] E. MOSCATI, voce Divisione: I) profili generali, in Enc. giur. Treccani, XI, Roma, 1989, p. 5.

[nota 7] G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 49.

[nota 8] G. DEIANA, op. ult. cit., p. 29.

[nota 9] G. DEIANA, op. ult. cit., p. 18 e 27.

[nota 10] Per la nozione di oggetto del contratto indicata nel testo, v., fra i tanti, M. ALLARA, Principî di diritto testamentario, Torino, 1957, p. 42, 100 e ss.; A. LUMINOSO, La compravendita5, Torino, (ristampa) 2007, p. 44.

[nota 11] A questa conclusione perviene oramai quasi tutta la dottrina italiana: v., per tutti, G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 18; G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 34; A. BURDESE, voce Comunione…, cit., p. 6; P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, op. cit., p. 24 e ss.; E. MOSCATI, voce Divisione…, cit., p. 3; A. FEDELE, La comunione, nel Tratt.dir. civ. diretto da Grosso e Santoro-Passarelli, Milano, 1967, p. 368.

[nota 12] Cfr. A. MORA, op. cit., p. 215 e ss.; C. MIRAGLIA, La divisione ereditaria, Padova, 2006, p. 32.

[nota 13] Trattasi di affermazione comunemente condivisa: v., per tutti, gli AA. citt. supra nella nota 11.

[nota 14] Cfr. gli AA. citt. supra nella nota 12.

[nota 15] Per l'opinione criticata, v. G. AMADIO, «Patto di famiglia…», cit., p. 874 e ss.; dello stesso A., «Funzione distributiva e tecniche di apporzionamento nel negozio divisorio», in questo volume.

[nota 16] G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 28.

[nota 17] G. DEIANA, op. ult. cit., p. 31.

[nota 18] Cfr. in particolare, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 34; A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria2, nel Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1961, p. 403 e ss.

[nota 19] V., fra i tanti, P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, op. cit., p. 31 e ss.; A. BURDESE, voce Comunione…, cit., p. 4; C. MIRAGLIA, La divisione ereditaria, cit., p. 34 e ss.; G. BONILINI, voce Divisione, cit., p. 484. V. pure A. FEDELE, La comunione, cit., p. 368 e ss.

[nota 20] Per un'analisi delle fattispecie ricordate nel testo, v. gli aa. citt. supra nelle note 18 e 19; adde, A. BURDESE, La divisione ereditaria, nel Tratt. dir. civ. it. diretto da Vassalli, Torino, 1980, p. 200 e ss.

[nota 21] V. in tal senso, A. CICU, op. loc. ult. cit.; G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 34; A. BURDESE, voce Comunione…, cit., p. 4; L.V. MOSCARINI, «Gli atti equiparati alla divisione», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1963, p. 538, 546 e ss.; A. MORA, op. cit., p. 86.

[nota 22] V., fra i tanti, G. MIRABELLI, A. CICU, A. BURDESE, L.V. MOSCARINI, P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, E. MOSCATI, G. BONILINI, C. MIRAGLIA (nelle opere sopra citate).

[nota 23] Cfr., in particolare, A. LENER, La comunione, cit., p. 328.

[nota 24] Così, per tutti, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 4; A. BURDESE, voce Comunione e divisione…, cit., p. 6; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, II, Milano, 1983, p. 706; A. MORA, Il contratto…, cit., p. 241 e ss.

[nota 25] Cfr., fra gli altri, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 54; A. BURDESE, voce Comunione e divisione…, cit., p. 36; G. BONILINI, voce Divisione, cit., p. 484.

[nota 26] Così già G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 19, 29.

[nota 27] Cfr. sul punto, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 34.

[nota 28] V., per tutti, A. BURDESE, La divisione ereditaria, cit., p. 36; dello stesso A., voce Comunione e divisione…, cit., p. 6.

[nota 29] V. A. BURDESE, La divisione ereditaria, cit., p. 36; G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 35; G. BONILINI, voce Divisione, cit., p. 484.

[nota 30] Cfr. G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 35.

[nota 31] V. G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 35. V. però G. DEIANA («Concetto e natura giuridica…», cit., p. 28 e ss.), il quale osserva - esattamente - che nell'ipotesi esaminata nel testo si forma una nuova comunione sul denaro ricavato dalla vendita del bene comune.

[nota 32] V. gli AA. cit. supra nella nota 11. In senso contrario si pronuncia G. AMADIO (op. loc. cit. supra nella nota 15).

[nota 33] V. A. LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Milano, 1980, p. 40 e ss., ivi ulteriori citazioni.

[nota 34] Quella indicata nel testo è la conclusione della dottrina più attenta: v., in particolare, G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 28; G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 35; A. BURDESE, «Nuove prospettive per la qualificazione del contratto di divisione», in Riv. dir. civ., 1982, II, p. 634.

[nota 35] Per questa tesi, v., fra gli altri, N. COVIELLO, Della trascrizione, I, Napoli, 1907, p. 226 e ss.

[nota 36] Per l'opinione ricordata nel testo, v. G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 66, nel quadro di una indagine di natura squisitamente concettuale.

[nota 37] Così A. CICU, Le successioni…, cit., p. 394 e ss.

[nota 38] Così G. BRANCA, Comunione. Condominio negli edifici5, Art. 110-1139 in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972, p. 342 e ss.

[nota 39] Così F. CARNELUTTI, «Nota sull'accertamento negoziale», in Riv. dir. proc. civ., 1940, I, p. 20 e ss.

[nota 40] Così R. CORRADO, Il negozio di accertamento, Torino, 1942, p. 23 e ss.

[nota 41] Così L. MOSCO, Onerosità e gratuità degli atti giuridici, Milano, 1942, p. 163 e ss.; G. CAPOZZI, op. cit., p. 708.

[nota 42] Così A. BURDESE, «Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 629; dello stesso A., voce Comunione e divisione…, cit., p. 10.

[nota 43] Così C. MIRAGLIA, La divisione ereditaria, cit., p. 48 e ss.

[nota 44] Così G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 81; G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 35.

[nota 45] G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 71 e ss.

[nota 46] G. DEIANA, Problemi e riforma…, cit., p. 421.

[nota 47] Sulla questione v., da ultimo, A. MORA, Il contratto…, cit., p. 306 e ss.

[nota 48] Cfr. L. MENGONI, Gli acquisti "a non domino"3, Milano, 1994, p. 226 e ss.

[nota 49] Sugli effetti della trascrizione - intesi ad assicurare la mera continuità - di cui all'art. 2646 c.c., v. A. BURDESE, voce Comunione e divisione…, cit., p. 6; A. MORA, Il contratto…, cit., p. 285 (ivi, a p. 276 e ss., l'esame dell'art. 1113 e degli effetti della trascrizione regolata dalla norma).

[nota 50] Cfr., fra gli altri, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 340 e ss.; M. DOSSETTO, «Comunione e divisione», in Riv. dir. comm., 1949, I, p. 490 e ss.; A. LENER, La comunione, cit., p. 329; L.V. MOSCARINI, op. cit., p. 548 e ss.; C. MIRAGLIA, La divisione ereditaria, cit., p. 38; A. MORA, Il contratto…, cit., p. 324 e ss.

[nota 51] G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 35.

[nota 52] V., fra i tanti, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 35; A. BURDESE, «Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 629 e ss.; P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, op. cit., p. 58 e ss.; E. MINERVINI, Divisione contrattuale ed atti equiparati, Napoli, 1990, p. 59 e ss.

[nota 53] V. A. LENER, La comunione, cit., p. 329.

[nota 54] Cfr. sul punto, M. SESTA, Comunione di diritti…, cit., p. 132; e da ultimo G. AMADIO, «Funzione distributiva e tecniche di apporzionamento…», cit.

[nota 55] Sui limiti della efficacia retroattiva dell'acquisto del condividente, v., in particolare, A. MORA, Il contratto…, cit., p. 348 e ss.

[nota 56] Cfr. G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 82; L.V. MOSCARINI, op. cit., p. 548 e ss.

[nota 57] V. M. DOSSETTO, op. cit., p. 486 e ss.; A. LENER, La comunione, cit., p. 329; A. MORA, Il contratto…, cit., p. 303 e ss.; E. MOSCATI, voce Divisione, cit., p. 2 e ss.

[nota 58] Per le opinioni ricordate nel testo, v. G. DEIANA, Problemi e riforme…, cit., p. 441 e ss.; M. DOSSETTO, op. cit., p. 486 e ss., 492 e ss.; G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 36; A. LENER, La comunione, cit., p. 329.

[nota 59] V., anche per citazioni ulteriori, E. MOSCATI, voce Divisione, cit., p. 20; A. MORA, Il contratto…, cit., p. 346.

[nota 60] Così L.V. MOSCARINI, op. cit., p. 548 e ss.

[nota 61] Così A. BURDESE, «Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 636.

[nota 62] Si pronunziano per la natura onerosa del contratto, ad. es., G. DEIANA, «Concetto e natura giuridica…», cit., p. 67, 89 e ss.; A. BURDESE, voce Comunione e divisione…, cit., p. 6; A. MORA, Il contratto…, cit., p. 241. In senso contrario, C. MIRAGLIA, La divisione ereditaria, cit., p. 164 e ss.

[nota 63] V. in generale, A. LUMINOSO, Mandato. Commissione. Spedizione, nel Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1984, p. 148 e ss. Sostanzialmente nello stesso senso, G. OPPO, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, p. 294 e 301 e ss., che, esattamente, qualifica la divisione atto neutro con effetti non dispositivi.

[nota 64] Sulla questione, v. A. MORA, Il contratto…, cit., p. 403 e ss., ivi ulteriori citazioni.

[nota 65] Nel senso della natura corrispettiva del contratto di divisione, v., ad es., G. DEIANA, op. loc. ult. cit.; A. BURDESE, op. loc. ult. cit. In senso opposto, A. MORA, Il contratto…, cit., p. 238; C. MIRAGLIA, La divisione ereditaria, cit., p. 162.

[nota 66] V. G. AMADIO, «Funzione distributiva e tecniche di apporzionamento…», cit.

[nota 67] V., per tutti, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 36; G. CAPOZZI, op. cit., p. 720; A. MORA, Il contratto…, cit., p. 238 e ss.; A. CICU, op. cit., p. 400 e ss.

[nota 68] Per la tesi che si critica nel testo, v. A. LENER, La comunione, cit., p. 329.

[nota 69] Così, fra gli altri, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 36; A. BURDESE, «Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 626; L.V. MOSCARINI, op. cit., p. 539; E. MOSCATI, voce Divisione, cit., p. 6.

[nota 70] Cfr. già M. SESTA, Comunione di diritti…, cit., p. 3, 56.

[nota 71] Così, A. BURDESE, «Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 632; G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 36; A. LENER, La comunione, cit., p. 329; G. BONILINI, voce Divisione, cit., p. 453. In senso diverso, C. MIRAGLIA, Divisione contrattuale e garanzia per evizione, Napoli, 1981, p. 168, la quale rinviene il fondamento della garanzia per evizione (anche nella divisione) in una responsabilità per inattuazione dell'effetto reale.

[nota 72] Così, efficacemente, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 36; L.V. MOSCARINI, op. cit., p. 565 e ss.

[nota 73] V. L.V. MOSCARINI, op. cit., p. 566.

[nota 74] Così A. CICU, Successioni…, cit., p. 403 e ss.; E. MOSCATI, voce Divisione, cit., p. 6.

[nota 75] Tra i tanti studiosi che si sono occupati del problema in esame, v. A. CICU, Successioni…, cit., p. 403 e ss.; G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 36 e ss.; A. BURDESE, «Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 626 e ss.; L.V. MOSCARINI, «Gli atti equiparati…», cit., p. 533 e ss.; M. SESTA, Comunione di diritti, cit., p. 132 e ss.; C. MIRAGLIA, Gli atti estintivi della comunione ex art. 764 cod. civ., Milano, 1995; E. MINERVINI, Divisione contrattuale ed atti equiparati, Napoli, 1990.

[nota 76] Per l'impostazione ricordata nel testo, v., in particolare, A. CICU, Successioni, cit., p. 403 e ss.; G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 36-37; M. SESTA, Comunione di diritti, cit., p. 132 e ss. (per il quale l'art. 764 comma 1 si riferisce a negozi complessi o collegati); E. MOSCATI, voce Divisione, cit., p. 6; G. BONILINI, voce Divisione, cit., p. 495; P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, op. cit., p. 31 e ss. V. pure A. BURDESE («Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 626 s.), il quale, pur aderendo all'impostazione riferita nel testo, ritiene che quando le parti abbiano scelto una struttura negoziale, diversa dalla divisione, di cessione dietro corrispettivo (come una vendita o una permuta) della propria quota di comunione, deve presumersi fino a prova contraria che non abbiano inteso fissare quel corrispettivo in vista di una proporzionalità di valore delle rispettive quote.

[nota 77] Cfr. in tal senso, A. BURDESE, «Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 626 e ss.; E. MOSCATI, voce Divisione, cit., p. 6.

[nota 78] Cfr., per tale impostazione, A. LENER, La comunione, cit., p. 328.

[nota 79] V. in tal senso, G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 37.

[nota 80] Così, ancora, G. MIRABELLI, op. loc. ult. cit. Nel medesimo ordine di idee, cfr. A. BURDESE, «Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 629.

La vendita, nei casi in esame, sarebbe eventualmente rescindibile in base alla disciplina generale dell'art. 1448 e ss. c.c., ma non lo sarebbe più (ex art. 1448 comma 4 c.c.) qualora rivestisse i caratteri di un contratto aleatorio ("a rischio e pericolo").

[nota 81] Per questa tesi, v. G. MIRABELLI, voce Divisione, cit., p. 37; M. SESTA, Comunione di diritti…, cit., p. 175 e ss.; E. MOSCATI, voce Divisione, cit., p. 7.

[nota 82] Per l'opinione in parola, v. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 723; G. BONILINI, voce Divisione, cit., p. 495; C.M. BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano, 1999, p. 498 e ss. V. pure A. BURDESE («Nuove prospettive per la qualificazione…», cit., p. 629), per il quale occorre accertare «se l'intento transattivo concerna soltanto la concreta determinazione di ciò che si riceve a seguito di un atto indirizzato pur sempre a sciogliere la comunione in funzione di un criterio di proporzionalità a quote predeterminate», nel qual caso si avrà atto divisionale sia pur transattivo, soggetto a rescissione.

[nota 83] Contro l'accoglimento della tesi criticata nel testo si è altresì rilevato come «non sempre risulti facile "pesare" la preponderanza della causa divisoria rispetto a quella transattiva» per poter decidere tra l'applicabilità del primo o del secondo comma dell'art. 764: v. G. TRIMARCHI, «Divisione transattiva e transazione divisoria», in questo volume, il quale ritiene maggiormente attendibile la soluzione attualmente prevalente in giurisprudenza (v., in particolare, Cass. 6 agosto 1997, n. 7219), secondo cui ricorre la divisione transattiva - soggetta a rescissione - quando i contraenti superano e compongono in via amichevole controversie insorte in sede di divisione e l'atto negoziale di scioglimento della comunione comunque assegna ai condividenti parti concrete corrispondenti alle quote di diritto (anche mediante conguagli in danaro), in guisa che vi sia la corrispondenza tra porzione materiale assegnata e parte ideale detenuta dal condividente, mentre ricorre la transazione divisoria - non rescindibile - quando i contraenti, al fine di comporre o prevenire una lite concernente l'esistenza o la misura del diritto dei condividenti procedono all'attribuzione di beni o di un bene senza tener conto delle quote di partecipazione, conseguendo l'effetto solutorio della comunione.

Non sembra tuttavia che la tesi giurisprudenziale sia in grado di superare gli ostacoli che si frappongono all'accoglimento dell'analoga opinione della dottrina ricordata nel testo.

[nota 84] V., in particolare, i citati saggi di G. AMADIO, «Patto di famiglia…», cit., p. 867 e ss., e «Funzione distributiva e tecniche di apporzionamento…», cit.; saggi nei quali l'A. richiama un suo precedente scritto monografico dal titolo, Divisione ereditaria e collazione, Padova, 2000, ed. provv. (che in quanto pubblicato in edizione provvisoria non ho potuto consultare).

L'impostazione teorica in parola, risulta condivisa da altri autori, specie nell'ambiente del notariato: v. G. TRIMARCHI, «Divisione transattiva», cit.

Per qualche spunto nella direzione di un'analisi delle varie figure negoziali distributive al fine di coglierne le affinità e soprattutto decidere dell'applicabilità alle stesse del rimedio rescissorio regolato all'art. 763 e ss., v. M. SESTA, Comunione di diritti…, cit., passim, spec. p. 53 e ss.

[nota 85] Così L. MENGONI, La divisione testamentaria, Milano, 1950, p. 79 e 81.

[nota 86] Appaiono significative le analogie esistenti, sotto il profilo considerato nel testo, con i c.d. accordi di reintegrazione della legittima, sui quali v., in generale, A. GENOVESE, «L'atipicità dell'accordo di reintegrazione della legittima», in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 507 e ss. (nota a Trib. Milano, 10 maggio 2006); e da ultimo G. TRIMARCHI, «Divisione transattiva», cit.

[nota 87] Basti solo notare che, sotto il profilo indicato nel testo, le indagini, sia pur allo stato ancora iniziale, condotte dalla dottrina soprattutto in relazione all'azione di rescissione di cui all'art. 763 e ss. c.c. sembrano mostrare che il rimedio è applicabile in linea di principio, anche fuori della divisione vera e propria, ai negozi aventi funzione distributiva, come d'altronde mostrano le norme che ne estendono espressamente l'operatività alla divisione testamentaria con predeterminazione di quote (art. 763 comma 2) e agli atti equiparabili alla divisione (art. 734 comma 1).

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