Divisioni soggettivamente parziali e divisioni oggettivamente parziali - Il caso
Divisioni soggettivamente parziali e divisioni oggettivamente parziali - Il caso
di Francesco Paolo Petrera
Notaio in Bari
Ora, accantonato il tentativo di ricostruzione degli elementi più rilevanti della divisione parziale, può passarsi all'analisi del caso pratico.
Inutile dire che la pratica offre, spesso, dei casi che vanno ben oltre le possibilità della più fervida immaginazione; ma il caso che si propone, in realtà, è stato adattato per motivi espositivi. Potrebbe essere arricchito di variabili e complicazioni ma, rispetto alle finalità cui si mira, quanto segue può bastare.
Ovviamente i vari istituti interessati non saranno trattati per i loro risvolti teorici.
Tizio, imprenditore nel settore della ristorazione, decede senza lasciare testamento.
Il patrimonio relitto è formato, oltre che dalla casa di abitazione, da quattro immobili strumentali, ubicati in diverse località, nei quali il de cuius gestiva la propria attività. I quattro figli, unici eredi, che già collaboravano con il padre, intendono continuare ad occuparsi del singolo ristorante al quale erano rispettivamente addetti, intendendo, tuttavia, gestirli senza assumere responsabilità illimitata per l'attività d'impresa.
D'impatto la soluzione che verrebbe da prospettare sarebbe quella di una divisione oggettivamente parziale. Restando in comune la casa di abitazione i quattro fratelli potrebbero dividersi l'azienda attribuendosi ciascuno un singolo ramo di cui la stessa si compone e, quindi, il ristorante già di fatto rispettivamente seguito.
Per effetto della successione dunque, i quattro fratelli si troverebbero ad avere, tra l'altro, in comunione, incidentale, l'intera azienda. Le questioni relative al rapporto tra comunione d'azienda e divisione sono state incentrate, per quanto risulta, sulla necessità di evitare, ove possibile, il frazionamento dell'azienda (in virtù di applicazione analogica dell'art. 727 comma 2 c.c.) e sulla possibilità che il concetto stesso d'azienda non venga meno quand'anche taluni beni, non essenziali, vengano attribuiti o assegnati ad un coerede diverso da quello al quale risulti assegnato il "complesso organico". Ma nel caso all'esame vi è una chiara indicazione in ordine alla possibilità di individuare all'interno del complesso aziendale quattro distinti rami dotati di autonomia, o quanto meno, tali da rispettare i criteri segnalati della dottrina e della giurisprudenza perchè possa individuarsi un ramo d'azienda.
Sostanzialmente dovrà verificarsi che possa ritenersi sussistente una organicità operativa con autonomia funzionale.
Autonomia che deve preesistere concretamente al momento in cui la stessa deve acquisire rilevanza, potendosi così configurare una azienda autonoma, nel caso di specie, per ciascun ristorante.
Nel caso di specie, tuttavia, la possibilità che i vari rami divengano quattro aziende "autonome" è aspetto che costituisce un ulteriore elemento da valutare per definire la disciplina da applicare in tema di responsabilità per i debiti. Concretamente tale disciplina dovrà ricercarsi nel raffronto tra quella propria del regime della circolazione dell'azienda e quella della disciplina successoria con l'eventuale variabile data da una accettazione d'eredità beneficiata.
Ad ogni modo per ottenere il risultato voluto dai quattro fratelli potrebbe, come anticipato, procedersi ad una divisione dell'azienda con attribuzione a ciascuno di un singolo ramo. Aldilà della necessità di descrivere i quattro distinti rami aziendali in "modo da far risultare il collegamento economico" tra i beni che compongono ciascun ramo, non pare vi siano particolari cautele redazionali da segnalare.
Divenuto ciascun fratello titolare di un singolo ramo aziendale (leggasi ristorante) va da se che con il conferimento in una società di capitali unipersonale di nuova costituzione il risultato sarebbe raggiunto. Conferimento che, incidentalmente, potrebbe essere effettuato in neutralità fiscale.
Può, tuttavia, ipotizzarsi una soluzione alternativa. Probabilmente si tratta, più che altro, di una suggestione ma è il caso di indagare se può praticarsi un diverso percorso. Devo premettere, però, che la vena conservatrice che comunque caratterizza gli operatori del diritto (se non proprio i giuristi) mi obbliga a segnalare che in tale tentativo rimangono comunque tutte le perplessità che la dottrina ha manifestato nel commentare talune disposizioni, da applicare nel caso di specie, introdotte dal legislatore della riforma sul diritto societario del 2003.
In sostanza vorrei proporre di verificare se dalla comunione d'azienda instauratasi per effetto della apertura della successione, i quattro coeredi non possano passare alla titolarità di quattro società di capitali unipersonali ciascuna delle quali abbia, come asset, uno dei quattro ristoranti, utilizzando l'istituto della scissione.
Per quanto l'effetto di "separazione" è strettamente connaturato a tale istituto, ed il rapporto con la "circolazione" dell'azienda è pure stato ampiamente analizzato, vi è una prima obiezione che potrebbe essere mossa. L'istituto della scissione è istituto proprio dell'universum società; non può, in altri termini, parlarsi di scissione se non partendo da una società.
Soccorrono, però, due diversi tipi di argomentazioni; l'una di carattere positivo e l'altra data dall'elaborazione della dottrina. Il supporto positivo è dato dall'art. 2500-octies che, nell'ambito delle trasformazioni eterogenee, prevede la possibilità che le comunioni d'azienda si trasformino in società: si tratta di una delle disposizioni maggiormente innovative della riforma societaria e della cui coerenza sistemica si è ampiamente discusso. Ma nonostante le perplessità si tratta di norma che apre a talune applicazioni in passato non ipotizzabili ed in quanto tale in questa sede viene considerata. Il secondo supporto è fornito dalla dottrina che ha, invece, argomentato credo in modo ineccepibile in ordine alla possibilità di combinare i procedimenti di trasformazione eterogenea e di fusione, e, per quanto rileva ai nostri fini, di scissione.
Quanto alla disposizione che consente la trasformazione delle comunioni d'azienda in società, considerata l'occasione in ragione della quale la si sta valutando, deve segnalarsi la particolare ricostruzione di chi dubita che, nonostante il tenore letterale, possa in effetti parlarsi di trasformazione in senso tecnico. Con specifico riferimento alla scissione riferita ad una comunione di azienda, la fattispecie, viene letta, piuttosto, come un conferimento dell'azienda comune, seguito da divisione fra i comunisti conferenti del pacchetto azionario ricevuto in cambio, si da far cessare lo stato di contitolarità. Come potrà notarsi, in questo modo, accantonata poichè ritenuta inapplicabile la scissione ad una comunione d'azienda, si inverte l'ordine dell'operazione come inizialmente prospettata: a fronte di una divisione dell'azienda per effettuare singoli conferimenti, si avrebbe un unico conferimento seguito dalla divisione delle partecipazioni.
Sfugge tuttavia la considerazione che in questo modo alle partecipazioni emesse a fronte del conferimento non corrisponderebbe la titolarità esclusiva di una società e quindi di un'autonoma azienda. Per potersi avere tale effetto non già alla divisione delle stesse partecipazioni si dovrebbe procedere, quando le stesse si dovessero ritenere comuni (ma come, imputandole a chi, forse riconoscendo soggettività alla comunione?) bensì ad una scissione totale non proporzionale. Inutile dire che, indipendentemente da tale ultimo aspetto, l'obiezione è legata alla difficoltà di superare la prospettiva "soggettiva" che ha sempre caratterizzato la trasformazione, per leggerla, invece, in una prospettiva oggettiva ossia valutando la continuità rispetto all'azienda stessa. D'altronde questo totale cambiamento della prospettiva dovrebbe, coerentemente, pure condurre a ritenere consentita la trasformazione dell'impresa individuale in società. Tale operazione il più delle volte analizzata nell'opposta direzione di "trasformazione da società in impresa individuale", correttamente valutata non coerente con il sistema ante riforma, forse, oggi, per quanto "obtorto collo" deve essere riconsiderata. Anche in questo caso, come è emerso valutando il rapporto tra stralcio di quota e divisione in gruppi, viene spontaneo chiedersi quale differenza c'è tra uno e due; perchè in altri termini, l'azienda che "evolve" in società se nelle titolarità di più soggetti (nel caso di comunione d'azienda) può utilizzare il meccanismo della trasformazione e se invece nella titolarità di un solo soggetto non può prescindere dal "trasferimento" insito nel conferimento.
Ritornando, così, al caso concreto all'esame deve segnalarsi che, altri due aspetti devono essere considerati per operare una valutazione completa della questione. Per un verso bisogna valutare correttamente il rapporto tra comunione d'azienda e società di fatto.
Difatti se l'azienda in comune venisse utilizzata per l'esercizio di una attività economica si dovrebbe configurare, in ragione dell'attività imprenditoriale svolta, una società di fatto. Ma, secondo talune ricostruzioni, peraltro non da tutti condivise, sfuggirebbe al fenomeno la gestione "temporanea" da parte degli eredi in attesa di prendere provvedimenti; in tale fase gli stessi non diverrebbero imprenditori e quindi soci. Una siffatta interpretazione potrebbe tornare utile per gestire tutto il periodo degli effetti sospesi ex art. 2500-novies.
Diversamente nel momento stesso in cui si dovesse poter configurare una società - salve le questioni di carattere pubblicitario - la scissione non sarebbe più "eterogenea".
Resterebbe, però in tal caso da esaminare un altra questione comune all'ipotesi che si sta valutando. Si tratta del problema degli adempimenti pubblicitari che sono previsti come obbligatori per i soli imprenditori commerciali e, quindi, per definizione incompatibili con una semplice comunione d'azienda.
Sullo sfondo emerge, quindi, la necessità di definire, ma il problema dovrà essere valutato nelle relative sedes materiae, se a questi fini la "notizia" del procedimento di scissione possa esser data ai creditori con sistemi alternativi o se possa comunque esser utilizzata una forma di pubblicità volontaria nel Registro delle imprese anche tenendo conto che la comunione d'azienda è comunque soggetta a forme di pubblicità in talune sezioni (es. Albo Imprese Artigiane).
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