Contratto definitivo e documentazione notarile della precedente contrattazione preliminare
Contratto definitivo e documentazione notarile della precedente contrattazione preliminare
di Giampaolo Marcoz
Notaio in Aosta
Il concetto ed il duplice oggetto della "documentazione notarile" della precedente contrattazione preliminare
Il presente studio, che consegue alla relazione svolta a Stresa il 27 settembre 2008, si pone nella prospettiva, all'ordine del giorno nei nostri studi professionali, nella quale il ruolo del notaio diventa imprescindibile ed il compito cui egli è chiamato alquanto delicato: la redazione del contratto definitivo che chiude una più o meno articolata contrattazione preliminare della quale egli deve documentare gli elementi essenziali (sottolinea la diffusione della contrattazione preliminare legata a varie esigenze sia della parte promittente venditrice sia della parte promittente acquirente G. RIZZI, La redazione del preliminare. Profili operativi, studio n. 19-2007/C, in Studi e materiali. Quaderni semestrali, anno VI, 2007,1, Milano, p. 13).
Per documentazione notarile della precedente contrattazione preliminare deve quindi intendersi proprio il rilievo, più o meno ampio e marcato, che, nella concreta redazione del definitivo, il notaio ritiene opportuno attribuire alle vicende che hanno caratterizzato la contrattazione preliminare.
Una breve considerazione di carattere non prettamente tecnico giuridico appare opportuna: tale attività di documentazione è di importanza non trascurabile; il notaio viene chiamato al delicato compito di ricostruire in termini tecnici e rigorosi le pattuizioni che le parti, spesso senza ausilio di un professionista qualificato, hanno riprodotto nel preliminare; il notaio è quindi chiamato ad indagare tale volontà delle parti, ad integrarla ove mancante, a riqualificare le pattuizioni non conformi all'esatta volontà dei contraenti ed infine ad adattare l'accordo raggiunto con la realtà di fatto o normativa eventualmente sopravvenuta. Egli nella sua attività non dovrà limitarsi quindi a far emergere gli aspetti che obbligatoriamente devono trovare rilievo nel definitivo, ma dovrà fotografare in modo trasparente e completo la vicenda che ha condotto le parti alla stipula del contratto definitivo.
Sottolineata l'importanza per il Notariato della attività di documentazione, appare evidente come il notaio all'atto della predisposizione del definitivo, possa a mio avviso trovarsi a dover analizzare due fattispecie sensibilmente differenti, in quanto duplice può essere il rapporto che intercorre tra preliminare e definitivo.
Scriveva Francesco Gazzoni sulle pagine della Rivista del Notariato più di vent'anni fa: «la dottrina dominante ha preferito insistere nell'idea che il definitivo di vendita sia una sorta di Giano bifronte: per un verso adempimento, per altro verso negozio traslativo, frutto di autonomia privata, che si costituirebbe come effetto dell'atto dovuto o sarebbe a sua volta causa dell'estinzione dell'obbligo» (F. GAZZONI, «Trascrizione del preliminare di vendita e obbligo di dare», in Riv. not., 1997, p. 19). Tale affermazione rappresentava ovviamente l'incipit di uno dei suoi scritti nei quali Gazzoni illustrava con forza la sua tesi del definitivo quale adempimento di un obbligo di dare, atto di adempimento del preliminare che rappresentava il momento principe della contrattazione nel quale le parti esprimevano compiutamente il loro consenso salvo rinviare ad un momento successivo l'effetto reale traslativo.
Dalla analisi della realtà quotidiana, emerge come il definitivo possa in un certo senso presentarsi come un vero e proprio Giano bifronte in quanto due sembrano essere le fattispecie possibili che si presentano al Notaio:
1) le parti hanno concluso un preliminare il cui oggetto sia completo (il c.d. "preliminare chiuso") e che contenga già al suo interno tutti gli elementi necessari per la produzione dell'effetto traslativo hanno differito, di solito per meri motivi economici, ad un momento successivo la stipula del definitivo, il quale non è chiamato ad alterare in alcunché l'originaria pattuizione, con ciò divenendo atto di adempimento dell'accordo già concluso;
2) le parti hanno concluso il preliminare (c.d. "aperto") al fine di creare un vincolo alla stipulazione del definitivo, ma in un momento in cui non hanno ancora raggiunto un accordo completo sull'assetto dei loro rapporti o con l'intenzione di addivenire alla stipula del definitivo solo a seguito di un rinnovato giudizio di convenienza o di un controllo posto in essere dalla parte promittente acquirente sugli eventuali vizi originari o sulle "sopravvenienze", con possibilità quindi di rifiutare la stipula del definitivo qualora il controllo dia esito negativo (in tal senso G. GABRIELLI, Il contratto preliminare, Milano, 1950, p. 159 e ss., 174 e ss. e 190 e ss.).
Benché solo in tale seconda ipotesi possa riscontrarsi una vera e propria "circolazione" del preliminare, appare evidente l'importanza della documentazione posta in essere dal notaio in entrambe le due diverse fattispecie: nel primo caso infatti egli è chiamato a dare esatto adempimento alla volontà già compiutamente espressa dalle parti, laddove nella seconda ipotesi egli deve porre in essere un autonomo accordo contrattuale che completi quello preliminare e dia conto dell'esito del "controllo delle sopravvenienze" che si siano prodotte tra preliminare e definitivo.
Sarà quindi compito del notaio, sia esso chiamato a redigere un vero e proprio contratto o un mero atto di adempimento con contenuto negoziale, documentare compiutamente tutte le vicende essenziali di carattere sia civilistico sia fiscale che si sono verificate prima della conclusione del definitivo e che in misura più o meno incisiva possono incidere sul contenuto dell'atto stipulando.
Il definitivo quale atto di adempimento esatto del preliminare
Si tratta dell'ipotesi che forse si presenta con maggiore frequenza negli studi professionali: il preliminare è rappresentato da un'articolata e completa manifestazione della volontà delle parti contraenti, né i soggetti né l'oggetto della contrattazione presentano alcuna significativa alterazione rispetto a quanto promesso. Si recano pertanto innanzi al notaio, magari con l'ausilio di un mediatore professionista, le medesime parti che hanno concluso il preliminare stesso, con l'intenzione di adempiere esattamente quanto promesso.
Una precisazione preliminare appare opportuna; nel corso della presente analisi il riferimento al bene "oggetto del contratto" deve essere inteso come relativo alla rappresentazione ideale delle parti, come "bene dovuto" e non semplicemente al «bene reale, quale porzione della realtà materiale sulla quale cadono gli effetti del contratto» (BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, p. 321).
Gli aspetti civilistici
L'attività di documentazione della precedente contrattazione preliminare appare di rilevanza assoluta in quanto deve emergere con chiarezza come il definitivo rappresenti l'esatto adempimento dell'obbligazione (sia essa di dare o di facere) assunta dalle parti contraenti in sede di preliminare, che ha costituito il momento essenziale della contrattazione che si va concludendo tra di esse.
A tale centralità della contrattazione preliminare consegue generalmente la scelta delle parti di anticipare rispetto al momento della conclusione del definitivo alcuni degli effetti negoziali tipici di questo. Ove si verifichi tale fattispecie, l'attività notarile di documentazione appare di assoluta importanza in quanto l'anticipazione degli effetti tipici del definitivo al momento della conclusione del preliminare assume generalmente un rilievo non solo teorico nella stessa determinazione del contenuto del definitivo.
Il notaio dovrà in primo luogo procedere, attraverso una corretta ricostruzione giuridica della natura stessa del preliminare con effetti anticipati, a qualificare propriamente e ad attribuire l'esatta giustificazione causale alle obbligazioni ulteriori che vengono assunte nel preliminare ad effetti anticipati.
Ciò impone una sintetica precisazione in merito alla ricostruzione teorica del preliminare con effetti anticipati, stante la presenza di un non sopito dibattito dottrinale in merito. Risalenti pronunce giurisprudenziali e autorevole dottrina, infatti, hanno ricostruito il preliminare ad effetti anticipati in termini di vero e proprio contratto definitivo (Cass. 8 ottobre 1925, in Mon. trib., 1926, p. 455; Cass. 3 agosto 1933, in Mon. trib., 1933, p. 819 e MONTESANO, voce Obbligo a contrarre, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, p. 508 e ss.) condizionato o con differimento del mero effetto traslativo. La giurisprudenza e la dottrina prevalenti, invece, non ritengono che l'anticipazione degli effetti possa alterare la natura di contratto preliminare della pattuizione conclusa dalle parti e qualificano le pattuizioni apposte quali clausole atipiche di un contratto che rimane comunque tipico nella sua essenza di contratto con meri effetti obbligatori (in merito si rinvia a Cass., 16 gennaio 1942, n. 131, in Foro it. Rep., 1942, voce Vendita, n. 10 e 29; Cass. 3 settembre 1947, n. 1561, in Giur. compl. Cass. civ., 1947, p. 640, 433; in dottrina CHIANALE, «Il preliminare di vendita immobiliare», in Giur. it., 1987, I, p. 673; GUGLIELMO, «Contratto preliminare di compravendita ad effetti anticipati e garanzia per vizi», in Riv. not., 1988, p. 675 e ss.; PROTO, «Spunti per una rilettura del contratto preliminare di compravendita con consegna anticipata», in Giust. civ., 1997, I, p. 1895. Isolata, benché autorevolmente sostenuta, è rimasta la posizione espressa di PORTALE, «Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà», in Riv. soc., 1970, p. 938 che ricostruiva il preliminare con effetti anticipati in termini di vero e proprio contratto atipico).
Non è però solamente l'esatta qualificazione giuridica degli effetti già prodotti a coinvolgere l'attività di documentazione notarile; alcune anticipazioni infatti hanno una rilevanza diretta nella concreta redazione del contratto definitivo.
In particolare assumono un particolare rilievo:
1) Preventiva immissione nel "possesso" del promissario acquirente. Il problema è rappresentato innanzitutto dalla corretta qualificazione della situazione di fatto nella quale viene immesso il promissario acquirente prima di addivenire alla conclusione del contratto definitivo con conseguente acquisto della proprietà.
La giurisprudenza di legittimità più recente sembra infatti presentare una teoria ricostruttiva che non viene accolta con favore dalla dottrina prevalente. La Cassazione, in particolare con la pronuncia 11415 del 22 luglio 2003 (in Notariato, 2005, 2, p. 169; sentenza che riprende peraltro il principio già fatto proprio da Cass. 13 luglio 1993, n. 7690, in Rass. dir. e civ., 1994, p. 626), infatti, ha precisato come il preliminare con effetti anticipati, ancorché mantenga una natura di contratto con effetti obbligatori, attribuisca al promissario acquirente cui venga consegnato immediatamente l'immobile promesso in vendita non già la mera detenzione dello stesso, ma una situazione di fatto qualificabile in termini di vero e proprio possesso. Tale contratto, infatti, avrebbe una «funzione anticipatoria degli effetti del trasferimento del diritto che, con la convenzione, le parti si sono ripromesse di realizzare, con la conseguenza che la consegna che ad esso faccia seguito comporta l'attribuzione della disponibilità possessoria del bene, e non della mera detenzione». In particolare la Cassazione - precisando che il possesso si distingue dalla detenzione per lo status psicologico del soggetto che esercita il potere di fatto sulla cosa il quale agisce animus rem sibi habendi e sul presupposto che il possesso non è incompatibile ontologicamente con la conoscenza di un diritto altrui - conclude che il promissario acquirente può essere qualificato possessore in quanto agisce con l'intenzione di esercitare sul bene promesso in vendita con la signoria che è propria del titolare del diritto di proprietà.
Tale impostazione di pensiero non appare peraltro né esente da possibili critiche né pacifica nella stessa giurisprudenza di legittimità. Limitandosi alle pronunce più recenti, infatti, due sono le indicazioni contrarie espresse dal supremo Collegio nel solo anno 2000. Alla fine del mese di maggio, infatti, (Cass. 30 maggio 2000, n. 7142) la Cassazione precisava che, per stabilire se alla consegna del bene conseguisse il possesso o la detenzione dello stesso, fosse necessario valutare l'efficacia reale o obbligatoria del contratto posto in essere dalle parti, escludendo di conseguenza che a seguito di un contratto preliminare, benché ad effetti anticipati, potesse conseguire l'immissione nel possesso del promissario acquirente. Trascorso meno di un mese (Cass. 28 giugno 2000, n. 8796) la stessa Corte sanciva come proprio la natura del contratto preliminare, con la conseguente consapevolezza delle parti contraenti di non dare luogo al trasferimento della proprietà, portasse ad escludere la sussistenza in capo al promissario acquirente dell'animus possidendi.
L'impostazione più recente della giurisprudenza di legittimità appare peraltro criticata dalla prevalente dottrina, secondo la quale in particolare l'elemento soggettivo dell'animus possidendi, anche laddove assuma una rilevanza autonoma per la qualificazione di una determinata fattispecie in termini di possesso, non appare incompatibile con la conoscenza dell'altruità della proprietà di un determinato bene, ma appare certamente inconciliabile con il riconoscimento di tale circostanza da parte del soggetto cui il bene venga consegnato (SACCO, Il possesso. La denuncia di nuova opera e di danno temuto, in Tratt. dir. civ. diretto da Grosso e Santoro Passarelli, III, Milano, 1961, p. 41; BRANCA, nota a Cass. 11 marzo 1960, n. 474, in Foro it., 1961, I, c. 116; FUNAIOLI, «L'animus nel possesso e il dogma della volontà», in Giur. comm., 1951, p. 16 e FEDELE, Possesso ed esercizio del diritto, Torino, 1950, p. 31).
Il promissario acquirente, che riceve il bene promesso in vendita, ma riconosce in sede contrattuale che la proprietà permane in capo all'altro contraente fino alla stipula del contratto definitivo, appare quindi privo dell'elemento soggettivo necessario ai fini dell'acquisto del possesso.
Il notaio sarà chiamato a qualificare correttamente in sede di definitivo l'avvenuta immissione nella detenzione o nella materiale disponibilità del bene laddove ciò possa assumere un rilievo pratico.
La documentazione da parte del notaio, abbiamo precisato, potrebbe però non limitarsi alla sola qualifica dell'avvenuta immissione nella detenzione; in particolare tale attività assumerà un'importanza particolare nella misura in cui si debbano regolare questioni connesse alla pregressa consegna dell'immobile in capo al promissario acquirente. L'esempio più frequente sarà quello dell'onere del pagamento di utenze o di altre spese connesse con la diretta utilizzazione dell'immobile che graveranno non già sul proprietario, ma sull'acquirente fin dalla consegna; le parti potrebbero inoltre voler specificare che eventuali vizi o difetti dell'immobile sono dovuti al cattivo utilizzo dello stesso da parte del promissario acquirente; le stesse spese condominiali potrebbero essere ripartite con decorrenza dalla data del preliminare e non da quella del definitivo. L'ipotesi certamente più rara, sebbene non impossibile, è quella relativa alla sussistenza di liti o richieste di risarcimenti strettamente collegati con l'utilizzazione dell'immobile.
2) Garanzia per vizi e assunzione di particolari obblighi. Un altro effetto anticipato che assume una particolare rilevanza per l'attività di documentazione notarile è costituito dalla assunzione da parte del promittente venditore di un'espressa garanzia per vizi del bene oggetto del preliminare o di uno o più obblighi particolari ulteriori rispetto a quello dell'adempimento del preliminare, tra i quali certamente emergono quelli imposti dalla recente normativa in tema di edifici da costruire. Per la dottrina tradizionale (MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale secondo i nuovi codici e la legislazione complementare, 2, Diritti reali, diritto delle obbligazioni, parte generale, Cedam, 1943) il promittente venditore assume infatti in sede di conclusione del contratto preliminare il solo obbligo di stipulare il contratto definitivo; da tale impostazione di pensiero consegue che nessun inadempimento può essere ascritto alla parte promittente prima della conclusione del definitivo vero e proprio.
La dottrina e la giurisprudenza più recenti hanno superato tale restrittiva posizione di pensiero, in particolare in tema di contratto preliminare di vendita. Il promittente venditore assumerebbe, all'atto della conclusione del contratto preliminare, anche l'obbligo di porre in essere una serie di attività preparatorie tali da consentire la realizzazione dell'effetto programmatico reale che è stato determinato nel preliminare stesso. Ben può quindi emergere un inadempimento in epoca anteriore al definitivo stesso, laddove in particolare, si evidenzino vizi della cosa promessa in vendita o il promittente venditore non ponga tempestivamente in essere le attività cui si era impegnato.
In tali ipotesi al promissario acquirente tradizionalmente (Cass. 1 dicembre 1962, n. 3250, in Foro it., 1963, I, c. 1475 e Cass. 24 gennaio 1973, n. 222, in Giur. civ., 1973, I, p. 1781) erano concessi solo rimedi di carattere negativo: egli poteva quindi rifiutarsi di stipulare il contratto definitivo, chiedendo la risoluzione per inadempimento del preliminare, e ovviamente procedere alla domanda di risarcimento dei danni subiti. Gli veniva in particolare negata la possibilità di avvalersi della tutela prevista dagli articoli 1490 e 1492 del codice civile.
La posizione della giurisprudenza cambia però nel 1976 (Cass. 28 novembre 1976, n. 4478, in Foro it., 1977, I, c. 669 seguita da Cass. 5 agosto 1977, n. 3560, ibidem, I, c. 2462) con l'ammissione del promittente acquirente ad ottenere, in sede di condanna ai sensi dell'art. 2932 c.c., l'eliminazione, a cura e spese del promittente venditore, dei vizi della cosa promessa in vendita.
L'attuale posizione della giurisprudenza (Cass. 23 aprile 1980, n. 2679, in Foro it., 1981, c. 181; Cass. 27 febbraio 1985, n. 1720 in Foro it., 1985, I, c. 1697 e, da ultimo, Cass. 5 febbraio 2000, n. 1296, in Notariato, 2002, 1, p. 21), seguita anche dalla dottrina prevalente (BIANCA, Diritto civile, III, Milano, Giuffrè, 1984, p. 200; RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu Messineo, Milano, 1971, p. 32) ha esteso ulteriormente i rimedi posti a carico del promittente acquirente il quale potrà:
- risolvere il contratto preliminare per inadempimento;
- chiedere, con un'estensione dell'applicazione del disposto di cui agli artt. 1490 e 1492, la riduzione del prezzo, stante la presenza di un inadempimento;
- chiedere l'eliminazione dei vizi e l'esatto adempimento degli obblighi assunti in sede di preliminare.
Appare evidente come la documentazione di un inadempimento da parte del promittente venditore agli obblighi specificamente assunti nel preliminare o della presenza di vizi relativi al bene promesso in vendita possa apparire essenziale laddove tali evenienze comportino delle conseguenze concrete nella regolamentazione degli interessi delle parti, comportando un'eventuale differenza di prezzo rispetto a quanto pattuito nel preliminare, l'espressa assunzione in capo al venditore di obblighi di eliminazione dei vizi o di realizzazione di opere.
3) Documentazione per la tracciabilità dei pagamenti. Alla luce della disciplina in merito alla tracciabilità dei pagamenti con la quale ogni giorno dobbiamo confrontarci, appare evidente che la documentazione in sede di atto definitivo dell'avvenuta stipulazione del contratto preliminare, con conseguente trasferimento di denaro a titolo di caparra o di acconto prezzo, permette una più corretta e agevole ricostruzione storica della vicenda negoziale. Laddove infatti le parti abbiano procedano al versamento di somme, anche di ammontare cospicuo, in epoca antecedente al definitivo, le stesse sono solite predisporre contestualmente, in forma scritta, un più o meno completo contratto preliminare.
4) Anticipazione della sussistenza del consilium fraudis. Un ultimo aspetto appare di grande interesse; si tratta di un'anticipazione che consegue, secondo un significativo orientamento giurisprudenziale (Cass. 16 aprile 2008, n. 9970 che riprende Cass. 18 ottobre 1991, n. 11025 e la risalente Cass. 16 maggio 1962, n. 1094) alla conclusione di un preliminare che contenga un consenso negoziale sufficientemente completo. Di fronte ad una richiesta da parte del creditore della parte venditrice di revocatoria ai sensi dell'art. 2901 codice civile, la giurisprudenza di legittimità ha infatti ritenuto corretto anticipare il giudizio in ordine alla sussistenza del consilium fraudis al momento della conclusione del preliminare. Il definitivo non assumerebbe rilevanza sotto tale profilo in quanto «atto dovuto compiuto in adempimento di un'obbligazione»; non sarebbe pertanto soggetto a revocatoria il contratto concluso in esecuzione di un preliminare «salvo che sia provato il carattere fraudolento del negozio con cui il debitore abbia assunto l'obbligo poi adempiuto. E ciò perché la stipulazione del negozio definitivo non è che l'esecuzione doverosa di un pactum de contraendo, validamente posto in essere (sine fraude) cui il promissario acquirente non potrebbe unilateralmente sottrarsi». Appare evidente l'importanza che acquista la documentazione in tale fattispecie della pregressa contrattazione preliminare e della data certa (a seguito di stipulazione con intervento notarile o di mera registrazione del contratto privatamente concluso) di conclusione di tale contratto cui retroagisce l'indagine in ordine alla volontà del debitore di frodare i propri creditori.
Gli aspetti fiscali
Numerose sono le questioni che meritano un interesse e che risultano in particolare connesse con l'interesse e con l'obbligo a carico dei privati alla registrazione del preliminare.
In primo luogo è possibile ricordare anche in tale sede l'assenza, alla luce della presente normativa, di particolari interessi per le parti connessi alla registrazione del contratto preliminare, evento che infatti non ha assunto una particolare diffusione. Viene autorevolmente sottolineato, infatti, come il solo beneficio connesso alla registrazione del preliminare, risulta essere la data certa (PETRELLI, Contratti preliminari di compravendita contenuti, registrazione e trascrizione, in www.gaetanopetrelli.it).
Alla carenza in ordine all'interesse dei singoli alla registrazione del contratto preliminare, il legislatore ha risposto con una precisa imposizione in tal senso per i privati e da ultimo per i mediatori. In relazione a tale obbligo si veda la dottrina notarile (LOMONACO e MASTROIACOVO, I profili fiscali dei nuovi obblighi dei mediatori e la disciplina tributaria del contratto preliminare, studio n. 13/2007/T, approvato dalla Commissione Studi Tributari il 7 settembre 2007).
L'attività di documentazione notarile presenta un contenuto diverso a seconda dell'avvenuta registrazione o meno del contratto preliminare; differenti sono, infatti, le questioni di interesse notarile che devono ricevere adeguato rilievo nel contratto definitivo.
Nell'ipotesi in cui il preliminare non venga registrato infatti si pone in prima battuta la questione della legittimità della sua documentazione da parte del notaio e quindi della sussistenza di un divieto per il notaio di dare rilievo nel definitivo dell'avvenuta conclusione di un contratto preliminare non registrato. La lettera dell'art. 65 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 dispone al riguardo che «i pubblici ufficiali non possono menzionare negli atti non soggetti a registrazione a termine fisso da loro formati ... atti soggetti a registrazione in termine fisso non registrati». Tale divieto, quindi, non sembra trovare applicazione nella fattispecie oggetto di esame, in quanto l'atto definitivo, sia esso redatto per atto pubblico sia per scrittura privata autenticata, è soggetto a registrazione a termine fisso.
Precisata la legittimità della documentazione del preliminare da parte del notaio, occorre affrontare il problema successivo costituito dalla "enunciazione" di atti non registrati, disciplinata dall'art. 22 del citato D.P.R., norma che espressamente dispone che: «Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti ... non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell'atto che contiene l'enunciazione, l'imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l'atto era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all'art. 69». L'enunciazione del preliminare non registrato comporta quindi l'applicazione dell'imposta anche per il contratto preliminare e, essendo quest'ultimo un atto da registrare a termine fisso la sanzione disposta dalla norma in esame. L'applicazione dell'imposta anche per il contratto enunciato non sembra rappresentare un problema per le parti, stante la soggezione del preliminare ad imposta in misura fissa. Più complessa appare l'analisi nella misura in cui in sede di preliminare le parti abbiano versato delle somme a titolo di caparra confirmatoria o di acconto prezzo o abbiano assunto l'impegno a versare in una o più soluzioni intermedie successivi acconti prezzo.
Laddove il preliminare sia stato debitamente registrato, invece, l'attività di documentazione da parte del notaio non comporta ovviamente alcuna sanzione né aggravio di spesa per le parti che stipulino il contratto definitivo.
Essa appare di interesse nella misura in cui, come sovente accade alla luce della prassi ormai pressoché consolidata che prevede la dazione di somme di denaro a titolo di caparra confirmatoria o di acconto, si richieda in sede di definitivo l'imputazione all'imposta dovuta a titolo di registrazione del contratto definitivo di quanto versato nel preliminare.
In merito appare di interesse ricordare la posizione chiarificatrice assunta ancora di recente dall'Agenzia delle entrate (circolare n. 197/E del 1° agosto 2007) in merito alla tassazione della dazione di acconti o di caparre confirmatorie nel preliminare in particolare se soggetto ad Iva. L'Agenzia precisa infatti la natura della caparra confirmatoria la quale «non rappresenta un anticipo del prezzo pattuito, rivestendo natura risarcitoria in caso di inadempimento contrattuale». è solo al momento della conclusione positiva del contratto definitivo che la caparra «muta la propria natura giuridica, assumendosi quale acconto del prezzo di vendita del bene». Viene quindi confermato dall'Agenzia l'orientamento tradizionale (risoluzione Agenzia delle entrate 19 maggio 1977, n. 411673 e 3 gennaio 1985, n. 251127) che addiviene ad una diversa tassazione dell'acconto e della caparra in sede di contratto soggetto ad Iva, con soggezione ad Iva delle somme versate a titolo di acconto e ad imposta proporzionale di registro di quanto versato invece a titolo di caparra confirmatoria, per mancanza del presupposto oggettivo di cui agli articoli 2 e 3 del D.P.R. 633/72.
A tale orientamento, è noto, consegue l'impossibilità per il soggetto acquirente di recuperare quanto versato come imposta di registro per le somme pagate quale caparra.
La risoluzione oggetto di esame, nella parte conclusiva delle sue riflessioni, offre all'interprete uno spunto di grande interesse; essa infatti sembra legittimare le parti, a mezzo di espressa clausola negoziale, ad attribuire alla somma versata a titolo di caparra confirmatoria una rilevanza in termini di «anticipazione del corrispettivo pattuito», come tale soggetta ad Iva fin dal momento della sua corresponsione alla controparte. Le parti, nella loro autonomia contrattuale, potrebbero pertanto attribuire «espressamente alla predetta somma, in aggiunta alla funzione di liquidazione anticipata del danno da inadempimento, anche quella, rilevante a seguito dell'esecuzione, di anticipazione del corrispettivo». Una previsione espressa che preveda nel preliminare il versamento di una determinata somma «mediante imputazione al prezzo a titolo di caparra confirmatoria e acconto prezzo» (tenore letterale del preliminare oggetto dell'interpello che ha condotto alla risoluzione in esame) attribuisce quindi alla caparra tale funzione ulteriore di immediato parziale versamento del prezzo definitivo. Tale previsione non sembra a mio avviso comportare alcun pregiudizio alle parti le quali, in sintonia con il disposto dell'art. 1385 codice civile, già considerano quanto versato a titolo di caparra sia come liquidazione anticipata del danno sia quale anticipo del pagamento del corrispettivo. Stante peraltro l'infungibilità del denaro apparrebbe alquanto incogruo che le somme versate a titolo di caparra non vengano imputate quale acconto ove si addivenga al contratto definitivo.
La proposta interpretativa che emerge dalla risoluzione in commento non è priva di rilievi pratici in quanto ad essa consegue la soggezione all'Iva delle somme versate in sede di preliminare e destinate ad assolvere tale doppia funzione di liquidazione preventiva del danno e di anticipo sul corrispettivo; il preliminare verrebbe conseguentemente, per l'applicazione del principio dell'alternatività Iva-registro, alla sola imposta fissa di registro. Il risparmio in termini economici per il privato, specie all'atto della stipulazione di contratti preliminari di importi significativi, appare evidente e non trascurabile e soprattutto sembra essere assolutamente privo di "controindicazioni" sotto il profilo sostanziale.
La documentazione dell'avvenuta conclusione del preliminare può essere utile anche nella misura in cui si confermi la richiesta, già in tale sede espressa, di particolari agevolazioni fiscali, prima fra tutte quella relativa alle agevolazioni "prima casa". Appare infatti evidente come la richiesta di agevolazioni fiscali che possano comportare un risparmio per il promittente acquirente già in sede di preliminare debba già essere contenuta nel corpo del preliminare, al fine di giustificare agli uffici competenti la minore imposizione fiscale; l'esempio pratico più frequente è certamente rappresentato dal versamento di Iva agevolata nella misura ridotta del 4% sugli acconti versati da soggetto che intenda richiedere le agevolazioni "prima casa".
La documentazione appare ancor più significativa e rilevante nella misura in cui, invece, la volontà di richiedere particolari agevolazioni fiscali sopravvenga alla stipula del contratto preliminare; riprendendo l'esempio testè proposto, si potrebbe ipotizzare che il promittente acquirente manifesti la sua intenzione di godere dei benefici fiscali concessi per la "prima casa" dopo aver già versata l'Iva nella misura ordinaria sugli acconti già pagati. Appare chiara l'importanza di una corretta documentazione nel corpo del contratto definitivo di quanto in precedenza verificatosi, al fine di permettere all'acquirente di versare un importo minore di Iva sul saldo prezzo, imputando quanto già versato in eccedenza in sede di preliminare.
Complessa appare al riguardo l'ipotesi nella quale la maggior somma versata in sede di acconto sia persino superiore a quella totale da versarsi. In tale circostanza, riterrei che l'unica strada percorribile al fine di evitare un danno economico alla parte acquirente che abbia versato un importo eccessivo di Iva sia quello di applicare la procedura di cui all'art. 26 del D.P.R. 633/1972 con conseguente variazione in diminuzione dell'Iva versata dal promittente venditore. La sua applicabilità alla fattispecie in esame appare peraltro dubbia. Appare inoltre necessario valutare, ove si ritenga applicabile la procedura di variazione, se essa possa essere compiuta anche qualora sia trascorso più di anno tra la stipulazione del preliminare e quella del definitivo.
In ordine al primo aspetto, occorre confrontarsi con la lettera del citato articolo 26 che legittima il ricorso alla variazione Iva nelle ipotesi in cui si riduca la base imponibile «in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili». La sopravvenuta volontà della parte acquirente di richiedere un'agevolazione fiscale di cui ha diritto ritengo possa essere ricondotta alla categoria della fattispecie simili a quelle previste espressamente dalla disposizione normativa in esame.
In ordine alla limitazione temporale della procedura di variazione dell'Iva, è agevole evidenziare come il comma 3 del citato art. 26 - che limita il ricorso alla procedura di variazione al termine di un anno «dall'effettuazione dell'operazione imponibile» nella misura in cui «gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti» - non sembra trovare applicazione nella ipotesi in esame; la scelta di richiedere le agevolazioni "prima casa" non emerge certamente da un "accordo tra le parti", ma in una scelta discrezionale della parte acquirente.
Il definitivo quale atto negoziale integrativo/modificativo della precedente contrattazione
In tale ipotesi il definitivo si presenta quale vero e proprio contratto che chiude un'articolata vicenda negoziale che ha presentato nell'arco temporale intercorso tra preliminare e definitivo delle sopravvenienze significative che hanno alterato la situazione giuridica e fattuale base del preliminare.
Gli aspetti civilistici
Le sopravvenienze che si verificano con maggiore frequenza e che rivestono del resto un più rilevante interesse riguardano i soggetti che hanno dato vita alla contrattazione.
Appare chiaro però che anche l'oggetto della promessa preliminare possa subire delle alterazioni di fatto o di carattere normativo che interessano e non poco l'attività di documentazione che il notaio è chiamato a porre in essere. Il problema riguarda in particolare il limite fino al quale il definitivo può essere efficacemente ricondotto al preliminare che lo ha preceduto, con conseguente estensione degli effetti del primo nei confronti del secondo.
Sopravvenienza oggettiva
Una prima ipotesi di sopravvenienza oggettiva è costituita da tutte quelle fattispecie il bene oggetto del preliminare subisce delle variazioni connesse con la realtà fattuale sottostante al preliminare stesso. L'oggetto del definitivo deve pertanto essere adeguato alla mutata situazione documentando quanto verificatosi medio tempore. Gli esempi possono essere numerosi; si pensi alla promessa in vendita della nuda proprietà di un determinato bene e del sopravvenuto decesso dell'usufruttuario, alla approvazione di un piano regolatore che muti la destinazione di un determinato terreno o alla rovina per cause di forza maggiore di un fabbricato.
In tutte queste ipotesi sarà compito del notaio valutare con attenzione il complessivo contenuto negoziale del preliminare e indagare compiutamente la volontà delle parti, al fine di verificare in particolare se le caratteristiche specifiche del bene oggetto della contrattazione preliminare che sono venute a mancare non abbiano costituito un elemento condizionante del consenso espresso, assurgendo quindi a "presupposizione" e legittimando quindi un eventuale rifiuto alla stipula del contratto definitivo.
Ipotesi di grande interesse pratico e di non agevole soluzione teorica è costituito dalla sopravvenienza di una normativa più restrittiva che impedirebbe la stipulazione del definitivo nei termini che erano stati legittimamente convenuti dalle parti in sede di preliminare; la soluzione impone di affrontare la questione dell'applicazione del principio generale della irretroattività della legge e della applicabilità della normativa sopravvenuta ai rapporti non ancora esauriti.
Un esempio che ha visto coinvolto in modo particolare il Notariato di diverse Regioni è costituito dalla infrazionabilità della proprietà degli edifici già alberghieri destinati delle residenze turistico alberghiere. La fattispecie in esame è rappresentata per esempio dall'ipotesi di un costruttore che abbia intrapreso un'operazione immobiliare, concludendo dei preliminari nei quali aveva promesso in vendita la proprietà esclusiva dell'unità immobiliare da realizzare e che, prima di addivenire al definitivo, si vede approvare una disposizione legislativa regionale che gli vieta di trasferire quanto promesso in vendita.
Secondo l'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale la legge non dispone che per l'avvenire e non ha effetto retroattivo.
La giurisprudenza ha interpretato ed applicato tale principio chiarendo che:
- l'irretroattività opera sui rapporti giuridici nel senso che possono essere incisi quelli ancora pendenti e non anche quelli che esauriti all'entrata in vigore della nuova norma;
- in relazione ai rapporti pendenti, l'applicazione delle norme sopravvenute può attenere non al fatto - atto generatore del rapporto, che non può essere inciso, ma solo ai suoi effetti presi in considerazione in se stessi (in merito si richiamano, tra le altre, le pronunce della Cassazione del 28 settembre 2002, n. 14073 e del 29 novembre 2002, n. 16992).
Le Sezioni Unite del supremo Collegio hanno in merito precisato come «il principio della irretroattività comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, anche a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, se in tal modo si disconoscano gli effetti già verificatesi dal fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future dello stesso» (Cass., S.U., 2926/1967).
Sulla base del principio espresso dalla giurisprudenza della Corte di legittimità le nuove norme quindi non possono incidere né sui rapporti esauriti né sugli effetti de essi generati. La conclusione del contratto definitivo sembra costituire un effetto direttamente conseguente al preliminare, in quanto essa ne rappresenta il naturale adempimento. La legge sopravvenuta non potrà pertanto incidere sugli effetti prodotti medio tempore dal contratto preliminare, primo fra tutti quello di addivenire alla stipula del contratto definitivo nei termini che erano stati pattuiti in sede di preliminare stesso.
Sopravvenienza soggettiva
Più frequente è la fattispecie della modifica soggettiva tra preliminare e definitivo; diverse sono le ipotesi che possono essere proposte all'attenzione del notariato:
1. preliminare per sé o per persona da nominare, con avvenuta nomina in epoca anteriore al definitivo;
2. preliminare con clausola di cedibilità dello stesso e sua cessione prima del definitivo;
3. preliminare di vendita di cosa altrui, con definitivo posto in essere direttamente dal terzo proprietario;
4. preliminare a favore del terzo e definitivo posto in essere direttamente tra promittente e terzo, senza l'intervento dello stipulante.
Prima di procedere all'analisi delle diverse fattispecie è importante precisare come il ruolo di documentazione da parte del notaio assume un'importanza essenziale in quanto appare non facile - sebbene assolutamente imprescindibile per le conseguenze civilistiche e fiscali - correttamente ricondurre l'accordo raggiunto dalle parti nell'una o nell'altra fattispecie, qualificando con una terminologia adeguata e corretta e disciplinando compiutamente tutti i differenti aspetti della figura che si è deciso di applicare. Le diverse ipotesi oggetto di analisi infatti, pur differenti sotto plurimi aspetti, si prestano tutti ad essere applicati efficacemente alla contrattazione preliminare e, in assenza di un adeguato intervento notarile, può aprirsi la strada della qualificazione da parte del Giudice in sede contenziosa. Proprio il supremo Collegio, del resto, non ha mancato di precisare come la clausola contenuta in un contratto preliminare che «preveda che il promissario acquirente acquisti per sé o per persona da nominare può comportare la configurabilità sia di una cessione del contratto, ai sensi degli artt. 1406 e seguenti c.c. con il preventivo consenso della cessione a norma dell'art. 1407 c.c., sia di un contratto per persona da nominare di cui all'art. 1401 c.c.» (Cass. 25 settembre 2002, n. 13923, in Riv. not., LVII, p. 1239).
Occorre analizzare nello specifico le singole fattispecie, al fine di evidenziarne le caratteristiche e le differenze che meritano una precisa documentazione da parte del notaio:
1) preliminare per sé o per persona da nominare, con avvenuta nomina in epoca anteriore al definitivo: ipotesi di rilevante frequenza costituita appunto dalla previsione in sede di contrattazione preliminare di una riserva di nomina da parte del soggetto promittente acquirente, salvo che si tratti di contratto intuitus personae o che abbiano per oggetto beni determinati infungibili (sulla piena legittimità dell'apposizione di una pattuizione di tal genere al preliminare si rinvia a VISALLI, «Contratto per persona da nominare e preliminare», in Riv. dir. civ., 1998, II, p. 361; PATTI, «Contratto preliminare per persona da nominare», in Riv. not., 2001, p. 1341 e ss.; GISOLFI, «Preliminare per persona da nominare: osservazioni in tema di contratto per persona da nominare, cessione del contratto e contratto a favore del terzo», in Riv. not., 2003, p. 1241 e ss.).
Quali pertanto le questioni di maggiore interesse delle quali il notaio deve fornire documentazione nel contratto definitivo:
A) l'esistenza di un'espressa riserva contenuta nel contratto preliminare: in relazione a tale aspetto occorre evidenziare come la disciplina della riserva di nomina richieda che questa venga esercitata nel termine di tre giorni o in diverso termine stabilito dalle parti; appare pertanto importante richiamare l'attenzione sull'importanza che tale diverso termine venga indicato con precisione e non con un generico richiamo all'epoca precedente al contratto definitivo;
B) l'avvenuta nomina in epoca successiva da parte del promissario acquirente e l'accettazione del terzo o la eventuale precedente procura: il notaio dovrà in tal senso documentare che si è addivenuti alla dichiarazione di nomina, che il terzo nominato aveva già rilasciato procura in tal senso o che ha provveduto ad accettare la nomina in suo favore e che il promittente venditore è stato correttamente informato del subentro di un terzo nella originaria posizione contrattuale con mezzi idonei tra i quali certamente è consigliabile la raccomandata con ricevuta di ricevimento. Il notaio ovviamente dovrà occuparsi anche della pubblicità immobiliare della nomina che il legislatore impone venga eseguita «agli stessi effetti». Tale precisazione, che condurrebbe ad attribuire alla trascrizione della nomina una funzione dichiarativa ai sensi dell'art. 2644, viene criticata dalla migliore dottrina anche notarile (GAZZONI, La trascrizione immobiliare, in Comm. diretto da Shlesinger, Giuffrè, 1993 e G. MARICONDA, Le pubblicità, Esi, 2005) che attribuiscono alla trascrizione della nomina (necessaria stante la base personale dei registri immobiliari) efficacia di annotamento e non di risoluzione di conflitti tra titolari di diritti incompatibili.
Un ultimo aspetto di grande interesse è rappresentato dalla forma della dichiarazione di nomina che il legislatore impone sia la stessa dell'atto in cui è contenuta la riserva anche laddove questa non sia stata scelta liberamente dalle parti e non sia imposta dalla legge.
C) le generalità del terzo nominato e la sua necessaria esistenza al momento della conclusione del contratto preliminare: problema di grande interesse relativo alla clausola assai diffusa della riserva di nomina in favore di una società che viene costituita in epoca successiva alla conclusione del preliminare stesso. Sul punto si veda Cass. 22 marzo 2006, n. 6405, in I contr., 2007, 2, p. 133 con nota di GIAMMARINO, «Il meccanismo sostitutivo soggettivo nel contratto per persona da nominare». Il supremo Collegio espressamente afferma che «nel contratto per persona da nominare ... non è richiesto che all'atto della stipulazione ex art. 1401 c.c. la persona da nominare sia già esistente, essendo invece necessaria tale esistenza solo nel successivo momento della designazione ex art. 1402 c.c., in virtù della quale il terzo nominato subentra nei diritti ed obblighi assunti dall'originario contraente». Tale impostazione di pensiero appare, a mio avviso, parzialmente criticabile nella misura in cui non si sottovaluti la retroattività dell'istituto della riserva di nomina che sembra confliggere con la legittimità della nomina di un soggetto non ancora esistente all'atto della conclusione del contratto in cui si procede alla riserva (in dottrina si veda in tal senso COSTANZA, «Le clausole contrattuali per sé o per persona da nominare», in Vita not., 1990, III, XCVII e VISALLI, op. cit., p. 367).
D) la possibilità di una nomina parziale: la dottrina prevalente (in tal senso GRAZIADEI, voce Contratto per persona da nominare, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, Torino, 1989, p. 262) ammette la nomina parziale con la quale lo stipulante aggiunga a sé un altro contraente o sostituisca a sé una pluralità di contraenti; viene peraltro richiesta un'espressa previsione in tal senso in sede di riserva in quanto è imprescindibile un consenso preventivo alla modificazione del soggetto contraente che si colloca tra gli elementi essenziali del contratto (TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1993, p. 128 e ss. e GRAZIADEI, op. cit., p. 263).
E) la possibilità che venga pagato un corrispettivo per la nomina: un ultimo aspetto che merita una breve analisi è costituito dalla possibilità che venga da parte del notaio documentato il rapporto sottostante che intercorre tra terzo nominato e stipulante alla base del quale spesso sussiste un interesse economico in termini di provvigione. Appare importante al riguardo una precisazione: il meccanismo della nomina fa subentrare il nominato nel contratto originariamente concluso e pertanto non è possibile che il contenuto di tale accordo sia modificato, specie nel prezzo originariamente fissato. è importante quindi che l'eventuale corrispettivo incassato dallo stipulante sia correttamente ricondotto a tale sua posizione e non intacchi il contenuto del contratto nel quale il terzo retroattivamente subentra. In relazione alla legittimità di una tale pattuizione, la dottrina evidenzia come alla base del rapporto tra terzo e stipulante possa sussistere un rapporto rappresentativo la cui fonte potrebbe essere costituita da un contratto di mandato che si presume, per espressa disposizione normativa, oneroso in assenza di un patto contrario (in tal senso DE MATTEIS, «Il contratto per persona da nominare», in Contr. impr., Padova, 1993, p. 537). In relazione a tale aspetto appare importante distinguere il corrispettivo versato allo stipulante per ottenere la nomina da un eventuale rimborso di quanto questi abbia versato all'atto della conclusione del preliminare; appare infatti frequente, come abbiamo sopra specificato, che in sede di preliminare il promissario acquirente versi una somma anche considerevole al promittente venditore. Ove si addivenga alla nomina appare chiaro che tali somme, versate dallo stipulante, debbano essergli restituite senza che assumano però natura di corrispettivo della nomina.
2) preliminare con eventuale clausola di cedibilità dello stesso e sua cessione prima del definitivo: tale fattispecie, che si differenzia da quella precedente per la natura derivativa dell'ingresso del terzo cessionario nella posizione giuridica del cedente e per la conseguente efficacia ex nunc, impone di documentare i seguenti aspetti:
A) previsione della cedibilità nel preliminare: in particolare sarà necessario evidenziare se le parti abbiano già previsto, ai sensi dell'art. 1407, un consenso preventivo alla cessione del contratto;
B) conclusione di un successivo accordo e ruolo delle parti: il notaio deve certamente documentare l'accordo di cessione che richiede una forma simmetrica a quella del contratto principale; sarà in particolare interessante evidenziare il ruolo assunto dal contraente ceduto che potrà non limitarsi a esprimere il proprio consenso. Non si dimentichi infatti che la disciplina della cessione del contratto attribuisce al contraente ceduto la facoltà di incidere sul rapporto in misura significativa:
- ai sensi dell'art. 1408 comma 2, potrebbe non liberare il cedente;
- ai sensi dell'art. 1409, potrebbe riservarsi di opporre al cessionario eccezioni fondate su rapporti con il cedente diversi da quelli nascenti dal contratto ceduto;
- potrebbe, come vedremo, richiedere una somma di denaro per acconsentire alla cessione;
C) legittimità della cessione laddove le prestazioni siano già adempiute parzialmente: la lettera dell'art. 1406 limita l'ambito di applicazione dell'istituto della cessione del contratto ai contratti a prestazioni corrispettive che non siano state eseguite. Laddove si accolga l'impostazione prevalente che ammette la cessione anche qualora le prestazioni siano state in parte eseguite, sarà compito del notaio documentare correttamente l'accordo delle parti in ordine ad eventuali rimborsi a carico del cessionario. Come già precisato in ordine alla riserva di nomina, tali possibili trasferimenti di danaro si differenziano sensibilmente, sia sotto il profilo civilistico che sotto quello fiscale, da eventuali corrispettivi che venissero versati per la cessione.
D) presenza in tale caso di due distinti corrispettivi: nell'ipotesi della cessione di contratto, a differenza di quanto avvenga per la riserva di nomina, il cessionario potrebbe essere costretto, per ottenere il consenso dei contraenti originari, a versare un duplice corrispettivo, in quanto anche il contraente ceduto potrebbe richiedere un compenso per "accettare" il nuovo contraente;
E) assunzione di garanzie da parte del cedente ai sensi dell'art. 1410: un ultimo aspetto che merita di essere documentato, in quanto distingue la fattispecie in esame da quella della riserva di nomina, concerne l'obbligo di garanzia che il legislatore impone al cedente in ordine alla validità del contratto ceduto e alla possibilità che egli assuma anche la garanzia dell'adempimento del contratto stesso, rispondendo pertanto quale fideiussore per le obbligazioni del contraente ceduto.
3) preliminare di vendita di cosa altrui, con definitivo posto in essere direttamente dal terzo proprietario: il notaio in questa fattispecie è prevalentemente chiamato ad descrivere con la dovuta trasparenza ed analiticità la stretta connessione tra i due preliminari e come il definitivo rappresenti l'esecuzione di entrambi i precedenti accordi negoziali. Egli quindi dovrà documentare:
A) il ruolo attivo del promittente venditore per la conclusione del definitivo: in primo luogo il notaio dovrà documentare che il proprietario del bene conclude il definitivo non liberamente, ma a fronte di accordi presi con il promittente venditore di cosa altrui, evidenziando quindi come tale contratto costituisca l'adempimento dell'originario preliminare di vendita di cosa altrui;
B) assunzione da parte del promittente venditore di specifiche garanzie relative al bene: appare importante evidenziare altresì se il promittente venditore di cosa altrui assuma nei confronti del definitivo acquirente delle garanzie in ordine al bene che viene trasferito, garanzie che del resto avrebbe dovuto assumere se avesse acquistato direttamente il bene e poi lo avesse trasferito personalmente all'acquirente finale;
C) presenza di un corrispettivo per tale attività: un ultimo aspetto che appare di grande interesse e di difficile documentazione in quanto il proprietario del bene si vedrà corrispondere il prezzo pattuito con il promittente venditore di cosa altrui, al quale dovrà essere corrisposto, per l'attività svolta, un corrispettivo indipendente del quale però dovrà emergere chiara traccia nel definitivo notarile.
4) preliminare a favore del terzo e definitivo posto in essere direttamente tra promittente e terzo: ipotesi certamente più marginale stante la discussa applicabilità della figura del contratto a favore del terzo nei contratti ad effetti reali. Sarà comunque compito del notaio documentare la completa struttura che viene posta in essere evidenziando l'interesse dello stipulante, se la contrattazione produca immediati effetti nella sfera giuridica del terzo, quale efficacia abbia la dichiarazione del terzo di "voler profittare" della stipulazione conclusa in suo favore.
Gli aspetti fiscali
Sotto il profilo fiscale, i problemi appaiono simili per tutte le fattispecie e meritano pertanto una trattazione congiunta, con l'aggiunta di specifici approfondimenti per ipotesi determinate.
Esso riguarda in primo luogo la variazione oggettiva; un'ipotesi al riguardo mi pare possa presentare un interesse notarile notevole. Si tratta non proprio di una vera e propria variazione oggettiva quanto diversa imposizione fiscale del bene che esce dal campo Iva per entrare in quello registro. Esempio può verificarsi nella prassi quotidiana è rappresentato da un bene abitativo (non strumentale) che all'atto della stipula del contratto preliminare rientra nella categoria dei beni ristrutturati da non più di 4 anni dalla fine lavori e che, magari per uno slittamento imprevisto del contratto definitivo, viene rogitato decorso tale termine. L'acquirente deve quindi pagare l'imposta di registro e dovrà recuperare, con la procedura di variazione che vedremo infra, quanto già versato a titolo di Iva.
Esso riguarda in particolare la variazione soggettiva.
Un primo aspetto, relativo al solo contratto con riserva di nomina riguarda la limitazione temporale della stessa disposta dal legislatore fiscale.
Abbiamo visto come il preliminare venga soggetto all'imposta fissa di registro ai sensi dell'art. 10 Tariffa parte prima allegata al citato D.P.R. 131/86 (FEDELE, «Trascrizione del preliminare e disciplina tributaria», in Riv. not., 1998, p. 1115; TASSANI, op. cit., p. 220.); soggetta ad imposta proporzionale, nella misura che abbiamo sopra indicato, è invece la dazione di somme di denaro che avvenga in sede di conclusione del preliminare, sia essa a titolo di caparra confirmatoria sia di acconto prezzo. Il tutto ove tali pagamenti non siano soggetti ad Iva (sulla soggezione ad Iva delle somme versate a titolo di caparra, si veda la risoluzione sopra richiamata).
Tale generale trattamento impositivo trova applicazione anche nell'ipotesi di contrattazione preliminare con riserva di nomina di soggetti terzi.
La nomina, ai sensi dell'art. 32 del citato D.P.R. 131, avviene anch'essa assoggettata all'imposizione in misura fissa sia essa esercitata nel termine di tre giorni previsto da tale norma fiscale sia esercitata in epoca successiva purché efficace sul piano civilistico (in merito alla ragioni che sorreggono l'inderogabile e rigido termine fiscale e l'onerosità di tale previsione per la nomina seguente a contratto definitivo si rinvia a T. TASSANI, op. cit., p. 224).
Un secondo aspetto che riguarda tutte le ipotesi è quello relativo all'imposizione fiscale dei corrispettivi pagati al promittente venditore che non addiviene alla stipulazione del definitivo. Fattispecie di ordine generale che può trovare applicazione per tutte le ipotesi sopra indicate.
Un ultimo aspetto è relativo all'imposizione fiscale ove vi sia un corrispettivo per la nomina. Abbiamo innanzi precisato, analizzando i profili civilistici della riserva di nomina, della astratta legittimità della previsione di un corrispettivo da versare da parte del terzo electus. Appare evidente l'importanza che in sede di definitivo il notaio documenti tale circostanza sia per esigenze connesse all'antiriciclaggio sia sotto il profilo prettamente fiscale. Relativamente all'imposizione indiretta del trasferimento di denaro che avvenga in sede di contratto definitivo, appare sostenibile che debba essere applicata l'aliquota dello 0,50% relativa al rilascio di quietanze, avendo tale natura la dichiarazione di colui che riceve il denaro in cambio della nomina del terzo.
Un terzo ed ultimo aspetto riguarda l'imputazione delle somme versate dal soggetto che poi non acquista e la loro imputazione da parte dell'acquirente finale. Più complessa ancora è l'ipotesi nella quale vi sia un cambiamento di regime fiscale da Iva a registro. Ovviamente non trova applicazione nel 1411 perché il terzo beneficiario non paga mai nulla.
Questa ultima ipotesi riguarda in particolare la possibilità - in merito all'imposta di registro - di recuperare quanto versato all'atto del preliminare o di imputare in sede di definitivo quanto già e - nel campo Iva - di recuperare l'imposta versata.
Ove le parti decidano di versare integralmente quanto dovuto (sia a titolo di registro che Iva) la documentazione si limiterà a dare conto dell'avvenuto versamento da parte dell'originario promissario acquirente per soli fini di completezza.
Di grande interesse è invece l'imputazione all'imposta di registro e la variazione Iva.
In relazione alla facoltà concessa al nominato di procedere all'imputazione di quanto versato in sede di preliminare a titolo di caparra e/o di acconto, la dottrina appare orientata ad ammettere tale legittimazione alla luce della retroattività della nomina del terzo, il quale, ai sensi dell'art. 1404 codice civile, acquista «i diritti ed assume gli obblighi derivanti dal contratto». In particolare tra i diritti che acquista il terzo nominato è ricompreso anche quello di procedere all'imputazione delle somme versate da colui che ha proceduto alla nomina (conclude in tal senso il citato studio 32-2007/T). Del resto è stato evidenziato come l'imposizione proporzionale di cui all'art. 10 della Tariffa relativa agli acconti ed alle caparre «non attenga al contratto preliminare in quanto tale, bensì ad elementi negoziali che risultano autonomi ai fini della tassazione e che assumono rilevanza, ai sensi della norma citata, in funzione della portata anticipatoria e prodromica rispetto al contratto defintivo» (così il citato studio 32).
Benché il preliminare sia normalmente estraneo all'ambito di applicazione Iva, il comma 4 dell'art. 6 del decreto 633/72 dispone che l'operazione si considera effettuata se viene pagato in tutto o in parte il corrispettivo (e viene emessa la relativa fattura). Avviene pertanto che all'atto del pagamento dell'acconto venga versata dal promissario acquirente la corrispondente Iva su quanto già pagato.
Quali effetti produce la nomina di un soggetto terzo nei confronti della somme versate a titolo di Iva? Tre possono le soluzioni ipotizzabili:
1) propendere per la "definitività" dell'Iva assolta dal promittente acquirente ed affermare che, all'atto del definitivo, al nominato acquirente debba essere emessa fattura per l'intero corrispettivo con corrispondente pagamento dell'Iva totale; in questa ipotesi la documentazione notarile del pregresso versamento Iva da parte del promittente venditore appare di importanza limitata in quanto non incide sull'obbligazione cui è tenuto il definitivo acquirente;
2) propendere comunque per la "definitività" dell'Iva assolta, ritenendo però che il nominato acquirente debba versare solo l'Iva residua con corrisponde emissione di una nuova e definitiva fattura solo per tale ultima somma; l'adozione di tale soluzione impone una completa documentazione dell'attività preliminare nel definitivo al fine di giustificare il minor importo di Iva versato dall'effettivo acquirente del bene e per regolare i rapporti tra colui che ha proceduto alla nomina e che ha anticipato un versamento Iva del quale ha tratto beneficio l'acquirente finale.
è opportuno precisare che entrambe dette soluzioni non appaiono soddisfacenti alla dottrina notarile in quanto esse non rappresentano «correttamente, dal punto di vista tributario, l'essenza giuridica del preliminare per persona da nominare», rappresentando in termini non accettabili di "definitività" il rapporto tra venditore e promittente acquirente, senza dare il rilievo corretto all'efficacia risolutiva/sostitutiva della dichiarazione di nomina (in questo senso il citato studio 32-2007/T);
3) una terza soluzione viene quindi proposta: per effetto della dichiarazione di nomina sorge in capo al venditore il diritto di attivare la procedura di variazione relativamente all'imposta pagata ed addebitata allo stipulante sull'acconto versato. Nel definitivo l'acquirente verserà l'intero importo previsto in contratto. Tale impostazione sembra essere quella preferibile e quella sembra aderire l'Amministrazione finanziaria. Il venditore, ai sensi dell'art. 26 del D.P.R. 633/72, potrebbe procedere alla variazione in diminuzione dell'Iva versata, con corrispondente diritto del promittente acquirente alla restituzione dell'importo pagato a titolo di rivalsa nei confronti del venditore.
La legittimità del ricorso alla variazione in diminuzione nel caso in esame comporta la risoluzione in senso positivo di due ordini di problemi che potrebbero impedire l'applicazione del citato art. 26.
Preliminarmente occorre infatti riuscire a ricondurre, con un sufficiente grado di certezza, la fattispecie in esame a quelle astrattamente previste dal citato art. 26 che legittima il ricorso alla variazione Iva per le ipotesi in cui si riduca la base imponibile «in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili». è opportuno in merito ricordare come sul punto sussista un importante precedente in tal senso contenuto nella risoluzione dell'Agenzia delle entrate, Direzione regionale Emilia Romagna in data 9 maggio 2002; la nomina di un terzo viene ricondotta alle ipotesi previste dal citato art. 26 sulla base della ricostruzione civilistica dell'istituto in esame. L'Agenzia sostiene l'indubitabile efficacia risolutivo-sostitutiva della nomina del terzo, attesa la portata retroattiva della nomina stessa. Tale impostazione di pensiero è apparsa alla dottrina notarile pienamente condivisibile nel proprio percorso argomentativo (in questo senso il citato studio 32-2007/T e la prevalente dottrina che si è occupata specificamente del problema oggetto di esame; si rinvia in particolare a DEL NERO, «Edilizia. Note di variazione Iva in presenza di contratto preliminare per persona da nominare», in Il fisco, 2006, p. 6208 e a NESSI, «Contratti con clausola per persona da nominare: problematiche Iva», in Il fisco, 2006, p. 7479. Non mancano peraltro posizioni di pensiero difformi espresse; si veda RICCA, «L'Iva nel contratto per persona da nominare», in Il fisco, 1994, p. 2906 e COPPOLA, «Iva. Il contratto per persona da nominare», in Boll. trib., 1988, p. 1185).
L'altro aspetto che merita una particolare attenzione è quello relativo alla possibilità di effettuare la variazione Iva anche ove sia già trascorso un anno dall'operazione. Il comma 3 del citato art. 26 limita infatti il ricorso alla procedura di variazione al termine di un anno «dall'effettuazione dell'operazione imponibile» nella misura in cui «gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti». Proprio tale ultimo riferimento legislativo ad un sopravvenuto accordo tra le parti permette di fornire al quesito oggetto di esame una risposta sufficientemente sicura. L'esercizio della dichiarazione di nomina, infatti, non costituisce alcun accordo sopravvenuto, proprio in quanto essa trova la sua fonte negoziale, costituita dalla riserva contenuta nel preliminare, nel contratto preliminare originariamente pattuito (in termini analoghi si è espressa proprio la stessa Agenzia delle entrate nella risoluzione sopra citata della Direzione regionale della Emilia Romagna).
Ovviamente di tutto ciò il notaio dovrà dare adeguata documentazione in sede di atto definitivo attesa l'assenza, in tale circostanza di rapporti tra nominato e nominante, e la presenza di un rimborso di denaro da parte del venditore. In particolare la documentazione notarile assumerà un particolare rilievo proprio nella misura in cui si addivenga alla variazione in diminuzione dell'Iva versata originariamente dal promissario acquirente; il notaio dovrà infatti dare conto dell'avvenuto originario versamento dell'Iva, della sua restituzione al promittente acquirente e, laddove sia già decorso il termine annuale, dello stretto ed importante legame che sussiste tra la riserva di nomina contenuta nell'originario contratto e la modifica soggettiva del soggetto tenuto al pagamento dell'Iva.
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