Lo scambio di immobile presente con immobile futuro tra permuta e doppia vendita
Lo scambio di immobile presente con immobile futuro tra permuta e doppia vendita
di Federico Tassinari
Notaio in Imola
Premessa
La presente relazione intende approfondire l'operazione economica unitaria tra un soggetto, che normalmente agisce in qualità di privato, ovvero per scopi estranei all'esercizio di qualsiasi attività imprenditoriale o professionale, pieno proprietario di un immobile, indipendentemente dal fatto che si tratti di un'area edificabile oppure di un fabbricato già esistente destinato ad essere integralmente ristrutturato, ed un altro soggetto, che normalmente agisce nell'esercizio di attività di impresa, interessato ad acquistare la piena proprietà dell'immobile nello stato in cui questo attualmente si trova e a trasferire all'attuale proprietario, a titolo di corrispettivo, una o più delle unità immobiliari che verranno costruite a seguito dell'intervento edilizio che verrà da esso stesso acquirente realizzato [nota 1].
Si tratta di un'operazione assai nota alla prassi immobiliare in genere, e notarile in particolare, destinata tuttavia, nell'attuale periodo di scarsa liquidità del mercato, anche immobiliare, ad essere ancora più largamente praticata rispetto a quanto finora accaduto.
L'appetibilità dell'operazione, per la verità, trae ulteriore impulso e giovamento dall'aspettativa da parte dell'acquirente dell'immobile futuro di beneficiare, nelle more della costruzione, di un generale rialzo dei prezzi degli immobili; ove la scommessa sull'andamento nel breve periodo di tali prezzi, sia, come è ragionevole ritenere che stia oggi accadendo, al ribasso, o perlomeno alla stabilità anche prolungata, l'operazione, da questo ulteriore punto di vista, perde parte della sua attrattiva per il proprietario attuale dell'immobile presente.
Sembra però che il concorso delle due esigenze economiche testé delineate, ovvero, da un lato, la maggiore appetibilità dell'operazione in quanto tagliata su misura per supplire alla mancanza di liquidità e, dall'altro, la minore appetibilità della stessa per l'acquirente dell'immobile futuro in un mercato di prezzi immobiliari calanti o stazionari, non impedirà l'ipotizzata maggiore diffusione dell'operazione medesima, che spesso costituirà l'unica modalità, per l'impresa edilizia, al fine di acquisire un bene edificabile senza compromettere il proprio equilibrio finanziario; il venire meno della generale aspettativa circa il rialzo nel breve periodo del prezzo degli immobili, piuttosto, comporterà un maggior potere contrattuale in capo all'alienante del bene presente, che potrà ottenere in corrispettivo una superficie utile maggiore di quella che il mercato gli avrebbe consentito fino a qualche tempo fa.
L'operazione economica al vaglio, naturalmente, presenta, nella concreta realtà operativa, un numero elevato di possibili varianti, come avviene, per es., nel caso in cui i due contraenti si accordino sull'alienazione di una quota indivisa dell'immobile presente e prevedano, come corrispettivo da parte del costruttore, l'assunzione di un'obbligazione di fare relativamente alla residua quota indivisa rimasta in titolarità dell'originario proprietario [nota 2] oppure, ancora, come avviene, ove l'originario immobile edificabile sia frazionabile senza particolari difficoltà, anche tenendosi conto delle presumibili modifiche al progetto originario che potranno essere richieste dalle parti o imposte dall'autorità in corso d'opera, quando, eseguito l'opportuno frazionamento, l'originario proprietario alieni soltanto una parte materiale del bene di sua proprietà e acquisisca, a titolo di corrispettivo, il diritto alla realizzazione di una determinata costruzione sulla residua porzione materiale rimasta di sua proprietà [nota 3].
Oggetto di analisi in queste note sarà soltanto la c.d. fattispecie elementare.
In particolare, con riguardo a tale fattispecie, si cercherà di individuare, nell'ottica di ciascuna delle due parti, i vantaggi che si possono ottenere attraverso, da un lato, la stipulazione di un unitario negozio di permuta, dall'altro, la "scomposizione" dell'operazione di due distinte vendite.
Prima di procedere in tale direzione, tuttavia, si cercherà di giustificare, anche valutando alcune sollecitazioni che provengono dal diritto comunitario, la piena legittimità della scomposizione dell'operazione economica unitaria al vaglio in due distinti negozi giuridici.
Breve ricognizione della prassi notarile attuale
Nella pratica degli affari, l'operazione economica unitaria appena descritta non si realizza attraverso la stipulazione di un unico atto negoziale preceduta dalle opportune trattative, ma si concreta nella stipulazione di più atti negoziali ordinati tra loro alla stregua di un vero e proprio procedimento di diritto privato.
La prassi notarile, più precisamente, conosce, per realizzare tale operazione economica, tre figure distinte.
La prima figura è costituita dalla c.d. permuta di cosa presente con cosa futura; essa conosce due varianti, a seconda che l'acquirente del bene futuro sia intenzionato ad intestarsi il bene, una volta che lo stesso è venuto ad esistenza, oppure intenda procedere, nelle more della costruzione, alla sua intestazione a favore di uno o più dei propri familiari, oppure a favore di terzi acquirenti che eventualmente troverà sul mercato; in quest'ultimo caso, il negozio, stante la difficoltà di ricorrere alla figura del contratto per persona da nominare ex artt. 1401 e ss. c.c., in considerazione dell'infungibilità della posizione di partenza da parte del proprietario dell'immobile edificabile, assumerà i connotati del contratto a favore di terzo, o di terzi, ex artt. 1411 e ss. c.c., rivestendo l'originario proprietario la posizione di stipulante, il costruttore quella di promittente ed i terzi indicati quella di beneficiari; potrà altresì accadere, almeno nell'ipotizzato caso in cui i terzi non siano familiari già determinati, ma siano acquirenti da reperire sul mercato, che lo stipulante intenda avvalersi, al fine di evitare che la controparte gli imponga l'intestazione diretta del bene futuro, e nell'impossibilità nel contempo di individuare il terzo beneficiario, della facoltà, che sembra legittima alla luce dell'inciso iniziale dell'art. 1411 comma 2 c.c., laddove prevede la possibilità di un patto contrario, di posticipare l'individuazione del terzo, o dei terzi, ad una fase successiva rispetto alla conclusione del negozio di permuta.
La seconda figura è data dalla stipulazione di due negozi giuridici autonomi, seppure tra loro collegati, di vendita dell'immobile presente dall'originario proprietario al costruttore e di retrovendita dei beni futuri da quest'ultimo all'originario proprietario; normalmente, questo secondo negozio sarà costituito da un preliminare di vendita, piuttosto che, come peraltro in alcuni casi avviene, da una vendita di cosa futura ex art. 1472 c.c.; normalmente, inoltre, le due vendite prevedranno il pagamento del prezzo differito, almeno per quella parte che, nell'intenzione delle parti, è destinata a determinare estinzione delle reciproche obbligazioni pecuniarie mediante compensazione legale ex artt. 1241 e ss. c.c.; all'interno di tale seconda figura, ed indipendentemente dalle distinzioni già accennate, dovrà ulteriormente distinguersi, per gli effetti che l'eventuale trascrizione del negozio comporterà sotto vari e distinti e profili, a seconda che l'alienazione avente ad oggetto il bene futuro avvenga in forma di scrittura privata (e quindi non sia trascritta), oppure mediante atto notarile (e quindi sia trascritta); in quest'ultimo caso, ipotizzando che il negozio sia costituito da un contratto preliminare, piuttosto che da una vendita di cosa futura, occorre ulteriormente distinguere a seconda che lo stesso preveda o meno una clausola di postergazione, per gli effetti di cui all'art. 2748 c.c., del privilegio che potrà insorgere a beneficio del promissario acquirente rispetto a determinate ipoteche future che potranno essere costituite dal promittente venditore nel periodo compreso la stipulazione dell'acquisto del bene presente e la venuta ad esistenza del bene futuro, oppure, a scelta, la stipulazione del contratto definitivo esecutivo del preliminare di cui trattasi.
La terza ed ultima figura conosciuta dalla prassi si colloca in una posizione intermedia rispetto alle due precedenti, e si caratterizza per la stipulazione di un contratto preliminare di permuta di cosa presente con cosa futura contenente specifica clausola, attivabile normalmente da parte di ciascuna delle parti entro un termine prestabilito prima della stipulazione del primo contratto definitivo avente ad oggetto l'alienazione dell'immobile presente, ma talora attivabile soltanto da una delle due parti, portante facoltà di novare la permuta, agli effetti degli artt. 1230 e ss. c.c., in due distinti negozi giuridici di vendita, oppure di vendita di cosa presente e di preliminare di retrovendita di cosa futura; alla stregua di una mera variante di tale figura, può sottolinearsi l'eventualità che la clausola che caratterizza tale terza figura negoziale non sia qualificata giuridicamente come facoltà di novazione, ma sia soltanto descritta nel suo contenuto, genericamente parlandosi di "diritto di frazionamento" del negozio giuridico unitario; in via di mera ipotesi, trattandosi di variante che, a quanto consta, non trova riscontro nella attuale prassi negoziale, si può infine ipotizzare che il diritto di novazione o di frazionamento in questione sia esercitato non tra il preliminare di permuta e l'alienazione del bene presente, ma, successivamente a quest'ultima alienazione che avverrà sempre a titolo di permuta, nelle more della venuta ad esistenza del bene futuro.
Ciascuna delle tre figure delineate costituisce, in realtà, come si è visto, un insieme di figure caratterizzate da non irrilevanti varianti e distinguo.
Ciascuna di tali varianti e di tali distinguo dovrà essere ripresa nel prosieguo dell'indagine, anche al fine di verificarne, in primo luogo, la legittimità, in secondo luogo, la corretta qualificazione giuridica, in terzo luogo, alla luce dei risultati raggiunti, l'idoneità a realizzare compiutamente gli interessi che le parti hanno avuto di mira.
Frazionamento della permuta in doppia vendita e limiti all'autonomia privata
La prima osservazione che la ricognizione di tale prassi suggerisce è quella di interrogarsi in merito, in primo luogo, alla circostanza che tale possibilità di frazionamento di un'unica operazione contrattuale in una pluralità di distinti, seppure collegati, negozi giuridici rientri nell'autonomia delle parti, in secondo luogo, se, una volta che si è risposto affermativamente a tale primo interrogativo, si debba ritenere che esistano comunque dei limiti in merito alla praticabilità della soluzione ove la scelta comporti come conseguenza la disapplicazione di norme imperative altrimenti applicabili.
La questione richiederebbe un'approfondita indagine dei confini dell'autonomia privata e del significato attuale del tipo negoziale e delle norme imperative, evidentemente in questa sede non affrontabile.
Pure trattandosi di questione che costituisce il presupposto stesso dell'intero ragionamento che segue, sarà comunque necessario limitarsi a cogliere alcune nuove prospettive derivanti, in favore di una posizione aperta verso l'autonomia privata, dal diritto comunitario.
Esiste un insegnamento tradizionale, proprio non solo del diritto italiano, secondo cui ciò che attiene alla qualificazione del contratto è sottratto all'autonomia privata e rimesso all'esclusiva valutazione dell'interprete che, nella riconduzione di ogni concreta fattispecie al tipo astratto previsto dal legislatore, deve considerare l'operazione sottostante nella sua unitarietà e complessità, senza essere vincolato né dal nomen iuris dato dalle parti, né dall'unicità o pluralità dei documenti dalle stesse impiegati [nota 4].
Coerentemente a tale insegnamento, anche un parte della dottrina che si è occupata della fattispecie al vaglio ha, seppure implicitamente, riconosciuto, ricorrendo una sottostante operazione unitaria come sopra si è ipotizzato, la vincolatività del tipo della permuta e l'inammissibilità di ogni intervento volto a frazionare in due distinte operazioni di vendita tale operazione unitaria [nota 5].
L'idea contraria, tuttavia, secondo cui l'autonomia privata può legittimamente scegliere di frazionare in distinti negozi giuridici un'operazione economicamente unitaria, sembra emergere nella più recente dottrina e giurisprudenza in maniera abbastanza chiara.
Se ciascun tipo contrattuale individua una serie di norme di riferimento per la disciplina dell'operazione ad esso riconducibile, non appare finora sufficientemente dimostrato, ed anzi appare porsi in contrasto con lo stesso principio di apertura all'autonomia privata nell'individuazione sia del contenuto dei contratti riconducibili ai tipi previsti dal legislatore (art. 1322 comma 1 c.c.), sia di nuovi tipi contrattuali non espressamente disciplinati dal legislatore stesso (art. 1322 comma 2 c.c.), ogni conclusione che, in presenza di una consapevole valutazione delle conseguenze normative applicabili nell'uno e nell'altro caso, consideri vietato il c.d. frazionamento negoziale sia in sé considerato, sia in tutti i casi in cui tramite esso le parti sfuggono all'applicazione delle norme imperative che avrebbero regolato l'operazione in mancanza di tale frazionamento, pure assoggettandosi alle diverse norme imperative riferite dal legislatore ai tipi prescelti a seguito dello stesso frazionamento.
Detto in altre parole, non si vede perché il frazionamento negoziale debba essere considerato invalido in nome delle norme imperative che non si applicano più, anziché essere considerato legittimo in nome delle norme imperative che si rendono in tale modo applicabili.
Con riguardo alle figure negoziali descritte nel precedente paragrafo, si pensi alle norme imperative che si applicheranno all'operazione di doppia vendita con riguardo alla decadenza dal beneficio del termine dell'acquirente della cosa presente relativamente al pagamento del prezzo in caso di sua sopravvenuta insolvenza (art. 1186 c.c.), oppure, come meglio si vedrà, alle cause di esclusione dall'azione revocatoria previste in tale caso dalla riformata normativa fallimentare.
Il punto è che l'estraneità di ogni questione di qualificazione tipologica dei tipi negoziali alle facoltà di intervento dell'autonomia privata è espressione di una concezione del ruolo dell'ordinamento giuridico proprio di alcuni ordinamenti nazionali [nota 6], e non anche di altri [nota 7], e di epoche storiche diverse da quella attuale, nella quale si ravvisa nell'autonomia privata un motore sempre più indispensabile per costruire innovazione e per produrre ricchezza.
A favore della piena legittimità, in linea di principio, del frazionamento negoziale si possono in particolare addurre rilevanti argomenti tratti dal diritto comunitario.
Ci si riferisce, in particolare, al diritto comunitario tributario, così come interpretato dalla Corte di Giustizia con le sentenze emesse in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 234 del Trattato.
Tale giurisprudenza, più precisamente, si è domandata, in più occasioni, se la scelta dell'autonomia privata di frazionare un'unitaria operazione economica in più negozi tra loro distinti, anche se collegati, renda altresì legittima la disapplicazione delle norme fiscali che si sarebbero invece applicate ove l'operazione fosse restata unitaria anche sotto il profilo giuridico.
La risposta della Corte è che il frazionamento negoziale è inidoneo ad evitare l'applicazione della norma tributaria imperativa riferita all'operazione unitariamente considerata sotto il profilo giuridico soltanto ove si dimostri che l'aggiramento di tale norma ha costituito lo scopo esclusivo [nota 8], oppure quello principale (definito "essenziale" nel linguaggio della Corte) [nota 9], dello stesso frazionamento negoziale.
La conclusione avallata da tale costante giurisprudenza comunitaria presuppone, evidentemente, non solo che sia legittimo il frazionamento negoziale in sé considerato, ma anche che tale frazionamento resti legittimo quando lo stesso risulta giustificato da ragioni economiche ulteriori oppure prevalenti, a seconda della tesi che si segue all'interno di tale indirizzo, rispetto alla sola esigenza di evitare l'applicazione delle suddette norme tributarie; in caso contrario, e, si deve aggiungere, solo in caso contrario, l'interprete, limitatamente a tali effetti tributari, e, quindi, senza mettere in discussione sotto il profilo civilistico la clausola di frazionamento, è tenuto, in ossequio ad un principio generale del diritto comunitario mutuato dalla maggiore parte degli ordinamenti degli Stati membri, ovvero il principio che reprime il c.d. abuso di diritto [nota 10], a disconoscere gli effetti del frazionamento medesimo, con conseguente piena applicazione della norma imperativa tributaria.
L'analisi di tale giurisprudenza tributaria induce dunque il civilista a ritenere non solo che la clausola di frazionamento negoziale sia di per sé in ogni caso pienamente legittima, ma anche che parimenti legittima deve ritenersi la disapplicazione per effetto del frazionamento negoziale di ogni norma imperativa che sarebbe stata applicabile dal punto di vista civilistico quando, in alternativa: a) il frazionamento negoziale risponde ad interessi ulteriori, o prevalenti, rispetto a tale disapplicazione; b) trattandosi di norme imperative a tutela di un singolo contraente, e non di interessi generali o comunque esterni alle parti (c.d. ordine pubblico di protezione), le stesse norme che vengono disapplicate sono sostituite da altre norme imperative che, sempre con riguardo all'interesse della singola parte, trovano applicazione solo in virtù dell'avvenuto frazionamento negoziale.
I vantaggi e gli svantaggi di ciascuna delle due figure base
L'analisi che si intende compiere nel presente paragrafo, da un lato, non potrà limitarsi ai soli effetti civilistici di ciascuna soluzione, ma dovrà altresì estendersi ai suoi profili di carattere tributario e - almeno quando una delle parti è, come normalmente avviene, un imprenditore commerciale - fallimentare, dall'altro, dovrà in ogni caso distinguere chiaramente l'angolo visuale dal quale si considera ciascun vantaggio o svantaggio, precisando se si tratta dell'angolo visuale dell'alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura o, piuttosto, quello dell'acquirente della cosa presente/alienante della cosa futura.
Normalmente, trattandosi di contratto sinallagmatico, o meglio di un procedimento che si articola attraverso la stipulazione di più contratti sinallagmatici, quella che sarà la soluzione più vantaggiosa di un contraente potrebbe comportare significativi svantaggi per la controparte (approccio c.d. win-loose), con la conseguenza che, in tale caso, il compito del notaio sarà, in primo luogo, quello di informare compiutamente le parti, in secondo luogo, quello di aiutarle a trovare un'adeguata composizione delle rispettive posizioni che tenga conto di tutte le informazioni acquisite, e che appaia quindi consapevole e ponderata.
In alcuni casi, tuttavia, una determinata soluzione comporterà vantaggi per una parte senza creare alcuno svantaggio per l'altra (approccio c.d. win-win), fermo restando, in fase di trattativa, la piena legittimità di ogni sforzo della parte "neutrale" di concedere la soluzione vantaggiosa per la controparte solo a seguito di adeguate concessioni della medesima vuoi sul piano di altre soluzioni tecniche che possono essere per contro vantaggiose per essa stessa parte "neutrale", vuoi, in ogni caso, sul piano economico.
Non senza trascurare che alcuni effetti derivanti da più di una delle delineate figure negoziali sono allo stato ancora incerti nel panorama giurisprudenziale ed anche dottrinale di riferimento, con la conseguenza che ciascuna soluzione dovrà essere vagliata anche sotto il profilo del suo grado di certezza, o meglio prevedibilità, giuridica.
a) Il vantaggio della "doppia vendita", nell'ottica dell'alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura, ai fini dell'applicazione dell'Iva.
Il profilo fiscale dell'operazione, mentre per l'acquirente della cosa presente/alienante della cosa futura sarà normalmente irrilevante, trattandosi di acquistare un immobile da privato con applicazione dell'imposta di registro [nota 11], per l'alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura potrà divenire rilevante e condizionare la scelta dell'assetto negoziale, al fine di consentirgli di differire al momento dell'acquisto del bene futuro, anziché a quello dell'alienazione del bene presente, l'emissione della fattura da parte della controparte che agisce in regime di impresa e, quindi, il pagamento dell'Iva addebitatagli a titolo di rivalsa.
Più precisamente, per l'acquirente di cosa futura la c.d. doppia vendita sarà preferibile rispetto alla permuta in tutte le ipotesi in cui il prezzo sia indicato nei rispettivi atti come dilazionato, e destinato ad essere pagato in un momento coincidente o successivo (es.: alla stipulazione del necessario atto di identificazione catastale) rispetto a quello di venuta ad esistenza del bene.
Ricorrendo ogni altra ipotesi diversa dall'ultima ipotizzata, infatti, l'acquirente della cosa futura sarà tenuto a versare l'Iva alla controparte già nel momento in cui viene stipulato il contratto di permuta con alienazione della cosa presente, anche se la cosa futura non è ancora venuta ad esistenza, oppure verrà pagato, a titolo diverso da quello di caparra confirmatoria, il corrispettivo del preliminare di retrovendita del bene futuro.
Ai sensi dell'art. 6 del D.P.R. 633/1972 in materia di Iva, infatti, se il differimento dell'effetto traslativo dell'immobile consente, come regola generale ex comma 1 secondo periodo, di differire altresì l'emissione della fattura, e quindi l'addebito al cessionario della relativa Iva, il pagamento del corrispettivo fa sì, ai sensi del successivo comma 4, che l'operazione si consideri effettuata, limitatamente all'importo pagato, già nel momento in cui tale pagamento viene eseguito, quand'anche l'effetto traslativo dell'immobile (futuro, legato alla venuta ad esistenza del bene) non si sia ancora verificato.
Il vantaggio derivante dalla scelta della doppia vendita nei termini indicati, idonei al differimento dell'Iva nel momento successivo in cui si verificherà l'effetto traslativo dell'immobile o il pagamento del corrispettivo, sarà ancora più rilevante per l'alienante del bene presente/acquirente del bene futuro nelle ipotesi, assai frequenti nella pratica negoziale, in cui in quel momento lo stesso non avrebbe ancora i requisiti per l'applicazione dell'aliquota Iva ridotta come prima casa.
b) Il vantaggio della "doppia vendita", nell'ottica dell'acquirente della cosa presente/alienante della cosa futura, ai fini della possibilità di non applicare le garanzie finanziarie di cui al D.lgs. 122/2005.
Ipotizzando, ancora una volta, che l'alienante del bene presente sia un privato e il relativo acquirente sia invece un imprenditore, la doppia vendita appare preferibile rispetto alla permuta, nell'ottica dell'acquirente imprenditore, perché gli consente, a differenza di quanto accade in caso di negozio unitario, di evitare, salvo quanto si dirà in appresso, il rilascio delle garanzie di cui agli artt. 2 e 3 del D.lgs. 122/2005, in materia di tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire.
In caso di permuta, infatti, l'alienazione della cosa futura promessa dall'imprenditore costruttore, che come tale rientra nella definizione di cui all'art. 1 lett. b) del D.lgs. 122 stesso, applicabile non soltanto alla vendita, ma anche ad ogni altro contratto che abbia per effetto il trasferimento non immediato di un diritto reale su immobile da costruire, avviene a fronte del corrispettivo costituito dall'alienazione, già eseguita, dell'immobile presente.
Ne consegue, ai fini del citato art. 2, che il valore dell'immobile presente acquistato dal costruttore attraverso la permuta costituisce l' «importo corrispondente al … valore di ogni altro corrispettivo che il costruttore ha riscosso», che, a sua volta, costituisce il presupposto ed il limite ai fini del rilascio, contestualmente a tale percezione, ed ai fini di evitare che il contratto di permuta sia affetto nel suo complesso da nullità relativa, della fideiussione avente i requisiti di cui agli artt. 2 e 3 del decreto legislativo.
Ove invece le stesse parti decidessero di procedere, in un primo tempo, alla stipulazione di un contratto di vendita dal privato al costruttore avente per oggetto l'immobile presente con prezzo da pagarsi in via differita e, in secondo luogo, alla stipulazione di un preliminare di vendita di cosa futura da quest'ultimo al privato, con corrispettivo parimenti da pagare in via differita al momento della stipulazione del contratto definitivo, si dovrebbe concludere, almeno sul piano della lettera della legge, che si tratta di procedimento negoziale che, pure rientrando, quanto al preliminare, nel perimetro di applicazione del D.lgs. 122, non comporta obbligo di rilascio della fideiussione di cui sopra per mancanza di un corrispettivo pagato o promesso prima del trasferimento della proprietà [nota 12].
Analoga conclusione non potrebbe invece valere ove il procedimento negoziale consistesse, anziché in un contratto preliminare, in una vendita di cosa futura ex art. 1472 c.c., in quanto in tale caso il trasferimento della proprietà, collegato alla venuta ad esistenza del bene, ed il conseguente pagamento del prezzo si produrrebbero senza necessità di un ulteriore atto negoziale da parte del soggetto privato, con la conseguente comprensione dello stesso contratto di vendita di cosa futura all'interno della definizione di cui all'art. 2 del D.lgs. 122, e, quindi, all'interno delle fattispecie per le quali vige obbligo di rilascio da parte del costruttore della fideiussione.
I dati statistici finora disponibili mostrano che, contrariamente alle previsioni del legislatore [nota 13], la maggioranza delle imprese costruttrici ha fino ad oggi evitato, legittimamente o illegittimamente, il rilascio di tale fideiussione.
Tale clamoroso insuccesso, sul punto, della normativa del D.lgs. 122/2005 deriva da più circostanze, tra le quali svolgono un ruolo non secondario, da un lato, la mancanza di serie sanzioni, al di fuori della previsione della nullità relativa, in capo al costruttore inadempiente all'obbligo di legge, dall'altro, la stessa complessità del dato legislativo di cui agli artt. 2 e 3 del decreto, che comporta un'obiettiva difficoltà di compliance, per la tortuosa formulazione del dato legislativo e, quindi, per le numerose questioni interpretative non ancora risolte, anche in capo a quel costruttore che fosse realmente intenzionato a procurarsi il rilascio di una fideiussione conforme a legge.
La recente crisi finanziaria e la maggiore difficoltà per le imprese di ottenere credito bancario (ed anche assicurativo) non hanno fatto altro che ampliare le dimensioni, comunque già tangibili, dell'insuccesso del legislatore.
Oltre a tutto ciò, merita di essere segnalato un ulteriore motivo che, nella prassi negoziale, ha contribuito ad ampliare la portata della disapplicazione della normativa di cui agli artt. 2 e 3 al vaglio: l'acquirente, soprattutto in Italia, ha un'attitudine fortemente emotiva verso il bene casa, essendo portato a valutare con scarsa convinzione quei rimedi di tipo risarcitorio, come la fideiussione in parola, che comunque non gli assicurano l'acquisto della proprietà del bene. Ne deriva che, a fronte di un rimedio spettante per legge, ma, stante tale valore puramente risarcitorio, percepito non risolutivo del bisogno primario che ha indotto alla stipulazione, lo stesso acquirente appare normalmente ben disposto a rinunciare (di fatto, perché in termini giuridici l'obbligazione del costruttore è ritenuta dalla dottrina pacifica come non disponibile) a tale garanzia in cambio dell'offerta da parte del costruttore di un non trascurabile beneficio economico di altra natura (sconto sul prezzo, aggiunta di varianti gratuite, ecc.); il costruttore, da parte sua, sarà portato, normalmente [nota 14], ad accettare tale logica, ritenendo che lo stesso acquirente, proprio perché interessato al bene casa, e non al suo valore, sarà assai restio ad invocare la nullità relativa del contratto, perché ciò gli precluderebbe la possibilità di raggiungere il risultato a cui punta.
Ne consegue, ancora, che, nell'ottica della verifica in corso, il vantaggio derivante dalla non applicabilità degli artt. 2 e 3 del D.lgs. 122/2005 viene percepito normalmente dalle parti come un vantaggio non soltanto del costruttore, che evita i costi e gli effetti creditizi di tale rilascio, ma anche del privato, che, magari non ravvisando nel caso di specie particolari rischi di insolvenza per l'impresa, verso la quale è portato ad un atteggiamento di fiducia, ottiene, avallando il progetto, vantaggi di altra natura ed immediati (approccio c.d. win-win).
A nulla vale rilevare, come pure si deve, che, ove poi le cose vadano male ed il costruttore finisca in stato di insolvenza prima che si verifichi il trasferimento di proprietà, il privato si pentirà fortemente della scelta a sua tempo fatta.
Trattandosi di garantire l'applicazione di norme di ordine pubblico, seppure di protezione del contraente ritenuto più debole o esposto all'insidia di una valutazione emotiva e non sufficientemente prospettica, contro la volontà, normalmente, di entrambe le parti, solo una scelta legislativa di inalveare la contrattazione preliminare degli immobili da costruire, come avviene in altri ordinamenti, nel circuito dell'intervento notarile obbligatorio fin dalla fase preliminare, potrebbe ribaltare l'esito finora verificatosi.
In attesa che il legislatore riveda, sul punto, la normativa del 2005, resta da verificare, ai fini del ragionamento che si sta svolgendo, se il frazionamento di quella che appare un'operazione economica unitaria di permuta in due distinti contratti di vendita, di cui il secondo avente natura preliminare, possa costituire, al di là delle valutazioni più generali che si faranno nell'ultimo paragrafo, un'ipotesi di frode alla legge ex art. 1344 c.c. o, comunque, un'operazione inidonea a garantire la fuoriuscita del secondo negozio preliminare dall'ambito di applicazione dell'art. 2 D.lgs. 122/2005.
Pare a chi scrive che la risposta debba essere negativa.
Quest'ultima conclusione sembra sostenibile con una certa tranquillità laddove la vendita dell'immobile presente dal privato al costruttore con prezzo differito ed il preliminare di retrovendita da quest'ultimo al primo, con prezzo parimenti differito, non siano contestuali, con la conseguente impossibilità di ravvisare tra gli stessi un collegamento negoziale di tipo genetico.
Anche laddove si ipotizzi la contestualità dei due contratti, o, addirittura, l'impiego della doppia vendita in sede di esecuzione di un unitario contratto preliminare di permuta, come nella terza delle figure negoziali sopra delineate, sembra tuttavia a chi scrive che non si possa porre alcuna questione di nullità per frode alla legge, o anche solo di applicazione, sulla base di un ragionamento teleologico, dell'obbligo fideiussorio ex artt. 2 e 3.
Infatti, il frazionamento negoziale, una volta che viene ritenuto come in linea di principio rientrante nella sfera dell'autonomia privata, non può essere ritenuto come privo di effetti, costituendo espressione del diritto delle parti, modificando l'assetto negoziale, di eseguire, all'interno dell'ordinamento giuridico italiano, una choice of law riguardante, come nel caso in esame, dove la mancata assicurazione del pagamento dell'anticipo non comporta effetti esterni rispetto alle parti, esclusivamente i propri personali interessi.
c) Il vantaggio della "doppia vendita", nell'ottica dell'alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura, ai fini della circolazione soggettiva del contratto.
Si è già accennato sopra che, al momento dell'alienazione dell'immobile presente, non vi è ancora certezza, nell'ottica dell'alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura, in ordine all'identità delle persone che si dovranno intestare le varie unità immobiliari che verranno acquisite a titolo di corrispettivo non appena saranno venute ad esistenza.
Si è anche accennato che la specificità del caso, con particolare riguardo all'infungibilità della posizione contrattuale di alienante, renda sostanzialmente inutilizzabile, ove si stipuli un unitario contratto di permuta, lo schema tipico normalmente impiegato a tale fine, ovvero la clausola per sé o per persona da nominare. Si è anche rilevato che, per ovviare a tale inconveniente, la prassi conosce, sempre rimanendo all'interno del tipo negoziale della permuta, l'impiego, in luogo dell'istituto di cui agli artt. 1401 e ss. c.c., del contratto a favore di terzo ex artt. 1411 e ss. c.c.
Tuttavia, perché il meccanismo possa funzionare, occorre che si accolga la tesi secondo cui, in virtù dell'inciso iniziale dell'art. 1411 comma 2 c.c., che consente all'autonomia privata di disporre diversamente, l'alienante della cosa presente /acquirente della cosa futura possa riservarsi, nella sua veste di stipulante, la facoltà di nominare il terzo, o i terzi beneficiari, soltanto in un momento successivo rispetto all'iniziale stipulazione.
Senonché, limitandosi in questa sede ad un ragionamento sulla lettera della legge, l'inciso iniziale al vaglio consente all'autonomia privata di derogare al precetto legislativo secondo cui «il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione». Ove si consideri altresì il successivo periodo dello stesso comma, secondo cui la stipulazione a favore del terzo «non può essere revocata o modificata dallo stipulante, finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente, di volerne profittare», sorge il dubbio che oggetto di facoltà dispositiva delle parti sia il rapporto tra effetti della stipulazione a favore dello stipulante ed effetti della stipulazione a favore del terzo, e non anche l'immediata conoscibilità, fin dal momento della stessa stipulazione, anche in via di semplice determinabilità, del terzo medesimo [nota 15].
Il dubbio risulta rafforzato ove si rifletta sulla circostanza che la possibilità di rimandare la determinazione o determinabilità del terzo ad un momento successivo alla stipulazione del contratto con clausola a favore di terzo sembra prerogativa di altri moduli contrattuali, come il contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo (cfr. art. 1920 c.c.) oppure il contratto di mandato a favore di terzo da eseguire dopo la morte dello stipulante (cfr. art. 1412 c.c.).
Pure non mancando argomenti per accogliere una interpretazione estensiva del citato art. 1411 comma 2 inciso iniziale c.c., il dubbio che l'interpretazione della norma comunque solleva costituisce una valida ragione per le parti al fine di scegliere, in luogo di una permuta unitaria, la doppia vendita, apponendo al preliminare di retrovendita del bene futuro una clausola di acquisto per sé o per persona da nominare, che non solleva alcun dubbio di legittimità.
d) Il vantaggio della permuta, nell'ottica dell'alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura, ai fini della tutela risolutoria in caso di inadempimento della controparte.
A differenza di quanto accade per la doppia vendita, la conclusione di un unitario contratto di permuta di cosa presente con cosa futura garantisce all'alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura la tutela sinallagmatica propria del contratto a prestazioni corrispettive.
Così, in caso di inadempimento da parte del costruttore dell'obbligo assunto in tale contratto di permuta, ovvero di procurare la venuta ad esistenza del bene futuro secondo le modalità costruttive individuate nel contratto di permuta, o nel capitolato a questo allegato, lo stesso alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura potrà fare valere, nei confronti della controparte, il rimedio della risoluzione per inadempimento ex artt. 1453 e ss. c.c.
La tutela di legge potrebbe essere resa ancora più efficace ove, in sede di stipulazione del contratto di permuta, le parti abbiano cura di precisare quali difetti di costruzione comportino, secondo il loro comune apprezzamento, inadempimento di non scarsa importanza ai fini dell'art. 1455 c.c. oppure, anche, quali inadempimenti comportino la possibilità di avvalersi della risoluzione in via automatica, mediante semplice dichiarazione della parte che vi ha interesse, alla stregua di una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c.
La domanda giudiziale di risoluzione, la richiesta stragiudiziale di risoluzione e, ancora di più, la dichiarazione di volersi avvalere di una clausola risolutiva espressa mettono il costruttore acquirente della cosa presente/alienante della cosa futura nella condizione, ove non ne riesca a contestare il fondamento, di perdere l'intero bene a suo tempo acquistato in sede di permuta, potendo soltanto contare sulla tutela possessoria ex art. 1150 c.c. per il rimborso, nei limiti dell'aumento di valore del bene per effetto dei miglioramenti apportati se di buona fede (ciò che vale, normalmente, per tutti i lavori eseguiti prima di rendersi inadempiente), oppure nei limiti della minore somma tra ciò che ha speso ed il valore del miglioramento apportato se di mala fede (ciò che vale, in linea di massima, per tutti i lavori eseguiti successivamente al momento in cui gli sia stata contestata l'inadempienza).
Vale la pena di aggiungere che, forse nella maggiore parte dei casi, il privato alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura ha concluso il contratto di permuta in luogo di un contratto di vendita dell'immobile da costruire o da ristrutturare non per uno specifico interesse al bene futuro che verrà realizzato, ma per venire incontro alle esigenze di liquidità della controparte ed eventualmente, come si è già rilevato, per scommettere, almeno nei momenti in cui vi è un aspettativa di aumento dei prezzi nel mercato immobiliare, sul maggiore valore del bene futuro al momento della sua venuta ad esistenza rispetto al valore per il quale la contrattazione è stata eseguita.
Ricorrendo tale contesto, lo stesso acquirente di cosa futura, che fin dall'inizio ha puntato sulla successiva monetizzazione del corrispettivo in natura, non avrà particolari remore, almeno ove non si prospettino pericoli di insolvenza della controparte, nel fare valere la tutela risolutoria conseguente al verificarsi di un'ipotesi di inadempimento di non scarsa importanza imputabile alla controparte.
Tuttavia, anche nel caso in cui, come indubbiamente avviene non di rado nella prassi contrattuale, l'acquirente di cosa futura abbia contrattato con uno specifico interesse al valore d'uso del bene futuro stesso, la possibilità di fare valer il rimedio risolutorio, che pure verrà esercitata con estrema cautela e come extrema ratio, appare uno strumento idoneo al fine di indurre la controparte a concedere qualcosa in sede di trattative per la definizione della controversia insorta per effetto dell'inadempimento.
Ove invece le parti scelgano di concludere due autonomi contratti di vendita, il primo direttamente traslativo del bene presente, il secondo preliminare di vendita del bene futuro, e si accordino sul pagamento differito di entrambi i prezzi con scadenza del relativo termine in un momento successivo al termine concesso per completare i lavori di costruzione del bene futuro medesimo, il privato alienante del bene presente non potrebbe, stante l'autonomia dei due contratti stipulati, impiegare il rimedio della risoluzione per inadempimento con riguardo al contratto preliminare al fine di riacquistare per tale via la proprietà del bene alienato con la vendita definitiva.
In tale specifica ipotesi, lo stesso acquirente del bene futuro potrebbe limitarsi, in caso di ritardo nell'esecuzione dei lavori di costruzione da parte del promittente venditore del bene futuro medesimo, o comunque in caso di suo inadempimento, a partire dal momento in cui è scaduto il termine per il pagamento del prezzo relativo all'acquisto del bene presente, ad agire in via esecutiva per l'adempimento di tale suo credito pecuniario, eventualmente puntando ad ottenere un provvedimento di sequestro conservativo o un'ipoteca giudiziale sui beni di proprietà di controparte, ivi incluso quello a lui promesso in vendita.
La rilevante tutela che la scelta di concludere il contratto sinallagmatico di permuta in luogo di una doppia vendita consente al soggetto alienante di cosa presente/acquirente di cosa futura resta tuttavia confinata sul piano obbligatorio.
Infatti, da un lato il rimedio risolutorio non è in alcun caso opponibile, ai sensi dell'art. 1458 c.c., ai terzi che, prima della trascrizione della domanda di risoluzione, abbiano acquistato diritti (creditori ipotecari, acquirenti a vario titolo, ecc.) sul bene presente trasferito per effetto del consenso legittimamente manifestato in sede di permuta e curato la conseguente formalità nei registri immobiliari, dall'altro, secondo l'interpretazione accolta finora dalla giurisprudenza di legittimità [nota 16] e di merito [nota 17], oltre che dalla dottrina [nota 18], la trascrizione avente per oggetto il bene futuro, eseguita legittimamente ai sensi degli artt. 1472 e 2643 n. 1) c.c., non è comunque in grado di prevalere, per la diversità del bene che costituisce oggetto di pubblicità, rispetto a colui che, seppure successivamente alla trascrizione dell'acquisto futuro, trascrive o iscrive diritti aventi per oggetto il bene presente.
Ne consegue che il vantaggio garantito al contraente privato ove si ricorra alla permuta anziché alla doppia vendita è destinato a restare confinato al piano meramente obbligatorio e, in ogni caso, a vanificarsi immediatamente laddove, come normalmente avviene, l'acquirente del bene presente/alienante del bene futuro proceda, immediatamente dopo la perfezione del proprio acquisto, a concedere ipoteca volontaria sul bene a favore di una banca finanziatrice.
e) Il vantaggio della "doppia vendita", nell'ottica dell'acquirente della cosa presente/alienante della cosa futura, ai fini della possibilità di ipotecare liberamente il bene in corso di costruzione/ristrutturazione.
La permuta di cosa presente con cosa futura, da parte sua, limita la facoltà del costruttore acquirente dell'immobile presente di impiegare liberamente lo stesso al fine di costituire ipoteca.
L'esistenza di un'immediata trascrizione, ex artt. 1472 e 2643 n. 1) c.c., solleva il problema, considerato sopra sub d), della prevalenza tra colui che ha beneficiato prior tempore di tale trascrizione e colui che, potior tempore, ha beneficiato di un'iscrizione ipotecaria sul bene presente.
Come si è visto, la posizione di dottrina e giurisprudenza è ad oggi sufficientemente certa nel senso di garantire la prevalenza a colui che acquista l'ipoteca sul bene presente, seppure potior tempore.
Tale prevalenza, tuttavia, non si fonda su un inequivocabile dato legislativo, ma deriva comunque, come si è visto, da una valutazione dell'interprete.
Nell'ottica prudenziale del creditore ipotecario, la questione dell'opponibilità dell'ipoteca sul bene presente, in quanto iscritta prima della venuta ad esistenza del bene futuro oggetto di trascrizione, a colui che ha ottenuto a proprio favore una siffatta precedente trascrizione, pure costituendo questione di straordinaria importanza pratica, può apparire come non ancora definitivamente risolta, a partire da quando, ormai più di trent'anni fa, la giurisprudenza, prima ancora del legislatore, aprì le porte a favore dell'immediata trascrizione del negozio avente per oggetto un bene futuro [nota 19].
Tale incertezza, in definitiva, come ogni forma di incertezza, crea pregiudizio ad entrambe le parti: al costruttore, che teme che, al di là dell'interpretazione che oggi appare consolidata, l'anzidetta incertezza si risolva, per il timore del creditore ipotecario che in futuro tale interpretazione venga ribaltata, in una obiettiva difficoltà ad ottenere in tali circostanze credito ipotecario; all'alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura, che, proprio alla luce dell'interpretazione ad oggi consolidata, deve constatare, come si è sopra visto, che, nonostante la trascrizione a proprio favore, la sua tutela è imperfetta, e, almeno finché il bene non sarà venuto ad esistenza, resta confinata su un piano meramente obbligatorio.
Frazionando l'operazione economica in doppia vendita, le parti potranno raggiungere una piena certezza, almeno laddove alla prima vendita del bene presente trascritta si affianchi un preliminare di retrovendita del bene futuro redatto per semplice scrittura privata, e quindi non trascritto, essendo chiaro, in tale contesto, che il costruttore avrà, anche sul piano economico, una piena capacità di ipotecare il bene e l'acquirente privato avrà una tutela giuridica meramente obbligatoria.
La prassi negoziale, fino a qualche anno fa, ha del resto quasi sempre operato seguendo quest'ultimo schema, preferendo il privato stesso rimanere su un piano di certezza del diritto e negoziare in altro modo il proprio vantaggio, sia facendosi rilasciare fideiussioni a garanzia dell'inadempimento, secondo uno schema libero, e senza le difficoltà quindi di dovere ottemperare a qualsivoglia norma di legge, con particolare riguardo al caso sopra considerato degli artt. 2 e 3 del D.lgs. 122/2005, vuoi accettando una tutela meramente obbligatoria priva di garanzie e negoziando, a fronte del relativo rischio, concessioni economiche di altra natura.
Una considerazione particolare merita l'eventualità che l'alienante di bene presente/acquirente di bene futuro accetti lo schema della doppia vendita, pretendendo tuttavia che la retrovendita avvenga attraverso preliminare trascritto.
Alla luce di quanto sopra rilevato sub d), appare ragionevole, in quest'ultimo caso, ipotizzare che la trascrizione del preliminare di vendita del bene futuro sia idonea a garantire al promissario acquirente la prevalenza rispetto a coloro che trascrivono o iscrivono successivamente rispetto alla trascrizione stessa del preliminare, seppure con riguardo al bene presente [nota 20].
Riguardo a tale specifica trascrizione, infatti, è intervenuto lo stesso legislatore, il quale, nell'art. 2645-bis commi 4, 5 e 6 c.c., e soprattutto nell'inciso iniziale del comma 5, ha stabilito che «nel caso previsto dal comma 4 - trascrizione di preliminare di vendita avente per oggetto un bene futuro, da costruire o in corso di costruzione (n.d.r.) - la trascrizione è eseguita con riferimento al bene immobile - presente (n.d.r.) - per la quota determinata secondo le modalità di cui al comma stesso» [nota 21].
Ne deriva, stante la collocazione di tale norma all'interno delle norme sostanziali in materia di trascrizione, e non all'interno delle norme che disciplinano la materiale redazione della nota o della domanda in cui si concretizza la formalità, che il legislatore ha voluto considerare la tutela che deriva al promissario acquirente dalla trascrizione di un preliminare avente ad oggetto un immobile futuro alla stregua di una tutela reale efficace, conformemente ai principi in tema di trascrizione ed ope legis, a prescindere cioè da ogni volontà anche contraria delle parti, con riguardo al bene presente, in relazione alla «quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa all'intero costruendo edificio espressa in millesimi» [nota 22].
Chi trascrive a proprio favore un preliminare di acquisto di bene futuro può dunque vantare, ai fini dell'art. 2644 c.c., una immediata tutela reale con riferimento al bene presente, seppure nei limiti dei millesimi a cui devono corrispondere, nell'intenzione delle parti, le porzioni materiali alienate, e quindi una tutela reale estesa al periodo anteriore al momento in cui l'edifico verrà ad esistenza, secondo la definizione all'uopo dettata dallo stesso art. 2645-bis comma 6 c.c. [nota 23]
Acquisito ciò, il problema, restando alla questione al vaglio nel presente punto e), si sposta dalla utilità dello strumento del preliminare di retrovendita trascritto ai fini della tutela reale di chi acquista il bene futuro, in tale modo garantita, pure con il pregiudizio che potrà derivare dalla creazione di una situazione di comunione per le quote millesimali indicate nel preliminare stesso, alla sua utilità ai fini della esistenza, di fatto, di una concreta ipotecabilità del bene da parte dell'acquirente di cosa presente/alienante di cosa futura.
La trascrizione di tale preliminare crea invero per quest'ultimo soggetto, ai fini della negoziazione dell'operazione ipotecaria successiva alla trascrizione stessa, due distinti pregiudizi, ovvero, da un lato, quello anzidetto dell'opponibilità dell'acquisto del promissario acquirente al creditore ipotecario per i millesimi "prenotati", dall'altro lato, l'eventualità, al di là delle modalità di pagamento convenute nel preliminare trascritto, sempre modificabili dalle parti e comunque anticipabili dal debitore nel cui esclusivo interesse il termine per l'adempimento si considera posto (art. 1184 c.c.), che sorga a favore dello stesso promissario acquirente, nell'ipotesi di successiva risoluzione del preliminare, privilegio speciale sull'immobile (presente, finchè il bene non è venuto ad esistenza) oggetto del preliminare, ex art. 2775-bis c.c.
Come è noto, infatti, la giurisprudenza [nota 24], disattendendo le posizioni espresse dalla dottrina maggioritaria per quanto riguarda le ipoteche anteriormente iscritte [nota 25], che tuttavia non rilevano in relazione al problema in oggetto, ha finora interpretato tale privilegio, sulla base del principio generale di cui all'art. 2748 comma 2 c.c., come destinato a prevalere su tutte le ipoteche, diverse da quelle specificamente regolate dall'art. 2825-bis c.c., iscritte sul medesimo bene, non importa se prima o dopo rispetto alla trascrizione del preliminare stesso.
Così stando le cose, le parti dell'operazione economica unitaria di scambio di immobile presente con immobile futuro, scegliendo l'esecuzione attraverso vendita della cosa presente e preliminare di vendita della cosa futura debitamente trascritto, dovranno cercare, attraverso un'attenta contrattazione, di trovare un punto di equilibrio tra la tutela che la trascrizione stessa garantisce all'acquirente della cosa futura e il limite ad un'efficace possibilità di ipotecare il bene che tale tutela importa per l'acquirente della cosa presente.
Un utile strumento giuridico al fine di agevolare tale negoziazione sarà costituito, secondo un'indicazione che già emerge da una parte della prassi negoziale in materia, dalla previsione, il cui fondamento sembra potersi individuare nella facoltà per l'autonomia privata di disporre del grado dell'iscrizione ipotecaria (arg. ex art. 2843 comma 1 c.c., applicato estensivamente anche al privilegio ex art. 2775-bis c.c. che, al pari dell'ipoteca, non può sorgere se non in dipendenza di una formalità nei registri immobiliari), di una postergazione del privilegio eventualmente derivante dalla successiva risoluzione del preliminare trascritto rispetto all'ipoteca che verrà iscritta dal promittente venditore successivamente alla trascrizione del preliminare, nei limiti e nel rispetto dei requisiti che lo stesso contratto preliminare avrà, per circoscrivere la libertà del promittente venditore entro margini giudicati accettabili per il promissario acquirente, adeguatamente individuato (es.: ipoteca da iscriversi solo dopo che il costruttore avrà eseguito lavori migliorativi sul bene per almeno un certo importo; solo ipoteca a favore di banca, da iscriversi comunque entro un certo importo ed a garanzia di un debito non superiore ad un certo ammontare, e, eventualmente, purchè l'importo per cui viene iscritta l'ipoteca non superi una determinata percentuale del valore del bene come risultante da perizia redatta secondo modalità parimenti convenute, ecc.).
Le parti non dispongono certamente della possibilità di ampliare il valore di garanzia che il bene presente rappresenta per ciascuna di esse.
è comunque opportuno che le parti, in primo luogo, si chiariscano perfettamente al riguardo con l'introduzione di apposite clausole nel contratto preliminare, senza giocare sull'equivoco che può nascere dalla complessità del quadro legislativo di riferimento, in secondo luogo, decidano consapevolmente, impiegando lo strumento giuridico qui suggerito, se ed in che misura il valore del bene presente può essere impiegato dall'acquirente del bene presente/alienante del bene futuro per finanziarie la propria attività.
f) Il vantaggio della "doppia vendita", nell'ottica dell'alienante della cosa presente/acquirente della cosa futura, ai fini della tutela in caso di fallimento della controparte.
Il ricorso alla doppia vendita appare preferibile rispetto alla stipulazione di un unitario contratto di permuta anche ai fini di garantire una tutela all'alienante di cosa presente/acquirente di cosa futura nell'eventualità che sopravvenga una dichiarazione di fallimento del costruttore controparte, o comunque una trascrizione (pignoramento o sequestro conservativo) oppure una iscrizione (ipoteca giudiziale o legale del concessionario della riscossione fiscale) contro la volontà dell'acquirente di cosa presente/alienante di cosa futura [nota 26].
Tale vantaggio, per la verità, presuppone, ancora una volta, che la retrovendita per garantire l'acquisto del bene futuro avvenga mediante un preliminare debitamente trascritto.
Il preliminare trascritto, per l'attuale formulazione delle norme fallimentari, consente inoltre una tutela più ampia laddove il bene futuro promesso in vendita sia costituito da unità immobiliari ad uso abitativo e relative pertinenze.
In termini generali, applicabili cioè ad ogni ipotesi di preliminare trascritto, qualsiasi ne sia il relativo oggetto, si tratta di stabilire, con riferimento alle formalità pregiudizievoli non volontarie qui considerate, se, ipotizzando che le parti, anche a costo di perdere il vantaggio fiscale in materia di Iva descritto sopra al punto a), abbiano eseguito in tutto o in parte, anche avvalendosi della compensazione legale, i pagamenti relativi alle due operazioni di vendita già in sede di stipulazione del secondo contratto o, comunque, prima del verificarsi dell'insolvenza del contraente costruttore, il promissario acquirente del bene futuro possa fare valere, in quanto prevalente, il privilegio speciale a lui riconosciuto dall'art. 2775-bis c.c.
Rispetto a tale questione, sulla quale non constano ancora precedenti giurisprudenziali, deve rilevarsi che una parte della dottrina [nota 27] ritiene che il privilegio ex art. 2775-bis c.c., almeno con riguardo alle formalità pregiudizievoli ora al vaglio, possa essere fatto valere solo una volta che il bene è venuto ad esistenza.
A sostegno di tale conclusione, la stessa dottrina sottolinea come ogni diversa conclusione, da un lato, si porrebbe in contrasto con la prescrizione, non derogata nel caso di specie, di cui all'art. 2914 n. 1) c.c., secondo cui, al fine di estendere all'espropriazione forzata lo stesso meccanismo di soluzione di conflitti posto in sede sostanziale dall'art. 2644 c.c., «non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento, … le alienazioni di beni immobili … che siano state trascritte successivamente al pignoramento» [nota 28], dall'altro, sarebbe sistematicamente inaccettabile, essendo incoerente che il promissario acquirente che non è tutelato, in linea generale, in ipotesi di dichiarazione di fallimento del promittente venditore e successiva scelta del curatore di sciogliersi dal contratto (cfr. la scelta del legislatore desumibile dall'art. 72 L. fall.), lo sia invece in caso di esecuzione individuale nei suoi confronti.
In senso contrario, la dottrina dominante [nota 29], ha invece rilevato che la deroga all'art. 2914 n. 1) c.c. deve ravvisarsi, seppure implicitamente, nello stesso art. 2645-bis c.c. e che la differenza di trattamento rispetto all'ipotesi di fallimento, che pure risulta ridimensionata, come si vedrà in appresso, rispetto all'originaria impostazione, può trovare giustificazione nei diversi interessi, anche di rilievo pubblicistico, che la procedura di insolvenza intende tutelare.
Pure con un residuo margine di incertezza, almeno finché non consteranno pronunce giurisprudenziali in materia, sembra possibile concludere nel senso che la tutela reale di colui che trascrive a proprio favore l'acquisto di un bene futuro nei confronti di chi iscrive o trascrive successivamente, ma comunque prima che il bene futuro sia venuto ad esistenza, con riferimento al bene presente, se è da negare con riferimento alla trascrizione del contratto definitivo ex artt. 1471 e 2643 n. 1) c.c., deve comunque ammettersi per quanto riguarda la trascrizione eseguita ex art. 2645-bis) c.c., con sufficiente certezza, come si è già visto sopra, per quanto concerne le formalità volontarie riconducili alla specifica regola di conflitto di cui all'art. 2644 c.c., ma anche, seppure, in tale caso, con un residuo margine di incertezza, per quanto concerne le formalità involontarie, riconducibili alla diversa norma di conflitto di cui all'art. 2914 c.c.
Ne consegue che, anche ai fini di tali formalità involontarie, la scelta della doppia vendita, nella configurazione sopra prospettata, lascia aperta per l'alienante di cosa presente/acquirente di cosa futura una possibilità di tutela che, invece, la scelta della permuta precluderebbe definitivamente.
Rilevato ciò in termini generali, occorre aggiungere che, nella specifica ipotesi in cui la promessa di acquisto di cosa futura sia stata trascritta ed abbia per oggetto "un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o dei suoi parenti o affini entro il secondo grado», l'art. 72 comma 8 L. fall., come da ultimo introdotto con il D.lgs. 169/2007, prevede l'inapplicabilità della regola generale che attribuisce al curatore la facoltà di scioglimento unilaterale del contratto.
Al di là delle difficoltà di ottenere per il contraente in bonis l'esecuzione della prestazione a lui dovuta dopo la dichiarazione di fallimento del costruttore, che comunque la riforma del 2005-2007 intende superare, attraverso la cessione in blocco dell'azienda o il suo affitto, resta il fatto che l'acquirente di immobile futuro destinato ad abitazione in forza di un contratto preliminare trascritto acquisisce, mettendo in fuorigioco la facoltà del curatore di sciogliersi unilateralmente dal contratto (ciò che, fino al 31 dicembre 2007, costituiva la principale remora per l'acquirente stesso al fine di riporre le proprie aspettative nella trascrizione del contratto preliminare), un vantaggio significativo in caso di fallimento della controparte prima della conclusione del definitivo non riscontrabile in relazione a strumenti negoziali diversi dal preliminare trascritto.
La tutela dell'acquirente di immobile futuro destinato ad abitazione è completata dall'esclusione, applicabile, questa volta, non soltanto al caso del preliminare di vendita di bene futuro trascritto, ma anche alla stessa vendita conclusa una volta che il bene sia venuto ad esistenza, con la precisazione tuttavia che si tratta di una sicurezza che viene garantita dal legislatore soltanto ove l'operazione sia avvenuta "a giusto prezzo", della possibilità per il curatore fallimentare di esperire ogni azione revocatoria [nota 30] relativamente a tale negozio (art. 67 comma 3 lett. c, L. fall., come introdotto ad opera del D.l. 35/2005 convertito in L. 80/2005, e successivamente modificato con il D.lgs. 169/2007).
La stessa tutela di cui all'art. 67 comma 3 L. fall., per contro, risulta di dubbia estensione [nota 31] all'ipotesi della permuta di immobile presente con immobile abitativo futuro, in quanto l'estensione alla permuta di tutte le norme dettate dal legislatore per la vendita, ai sensi dell'art. 1555 c.c., potrebbe da un lato trovare il proprio ambito esclusivo di riferimento all'interno del codice civile, dall'altro urtare contro il chiaro carattere eccezionale della norma fallimentare al vaglio.
La nuova normativa fallimentare è pertanto idonea, limitatamente all'ipotesi del ricorso alla doppia vendita nei termini sopra prospettati, a differenza di quanto accade per il caso della permuta, a garantire, ricorrendo presupposti di legge, una piena stabilità dell'assetto negoziale, anche di fronte all'ipotesi di fallimento del costruttore controparte successivamente alla venuta ad esistenza del bene e all'acquisto della proprietà da parte del privato.
I vantaggi della terza figura intermedia rispetto alle due sopra considerate
Il complesso delle osservazioni svolte consente di valutare con particolare interesse la figura negoziale delineata nel secondo paragrafo alla lett. c), che, tenuto conto di quanto sin qui verificato, prevede la stipulazione di un contratto preliminare di permuta di cosa presente con cosa futura contenente specifica clausola portante facoltà di novare la permuta, agli effetti degli artt. 1230 e ss. c.c., in due distinti negozi giuridici rispettivamente di vendita di cosa presente e di preliminare trascritto di retrovendita di cosa futura.
Tale specifico assetto negoziale consente invero di combinare la tutela sinallagmatica propria della permuta per la fase in cui l'alienante di cosa presente/acquirente di cosa futura conserva ancora la titolarità del bene presente (quella appunto del preliminare di permuta) con la tutela, assai più incisiva per tutte le ragioni che sono state sopra evidenziate, propria della doppia vendita successivamente a tale alienazione.
[nota 1] In tema, cfr. C. CACCAVALE, «Problemi specifici della permuta di cosa presente con cosa futura alla luce del D.lgs. 112/2005», in Tutela dell'acquirente degli immobili da costruire: applicazione del D.lgs. 122/2005 e prospettive, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2005, p. 57 e ss.
[nota 2] L'operazione, inquadrata tradizionalmente dalla dottrina nell'ambito dei c.d. negozi di precostituzione del condominio negli edifici, implica, per evitare che, con la venuta ad esistenza del bene, si crei, per accessione, una contitolarit; tra i diversi soggetti, che, contestualmente, le parti, avvalendosi della facolt; genericamente riconosciuta all'autonomia privata dall'art. 1348 c.c., stipulino un contratto di divisione di cosa futura.
[nota 3] Se la conservazione in capo all'alienante dell'immobile presente della piena propriet; di quella parte dell'area (eventualmente comprensiva di immobile da demolire o comunque ristrutturare) sulla quale il costruttore acquirente dello stesso immobile intende eseguire la propria opera, assunta quale corrispettivo negoziale dell'alienazione, impone all'interprete di qualificare l'operazione quale contratto atipico do ut facias, con conseguente applicazione analogica alla prestazione dell'appaltatore, in quanto compatibili, delle norme in materia di appalto, la stessa conclusione può valere, ad avviso della Suprema Corte (cfr. Cass., 24 gennaio 1992, n. 811, in Giust. civ., 1993, I, p. 239 e ss. con nota di M. DE TILI, che ribadisce, anche con riferimento al contratto di scambio in natura, una conclusione giurisprudenziale consolidata in materia di distinzione tra vendita di cosa futura ed appalto), la mancanza della conservazione di parte della propriet; in capo all'alienante non esclude di per sé la stessa qualificazione dell'operazione di scambio secondo il paradigma atipico del do ut facias, con conseguente esclusione della sua riconducibilit; al contratto di permuta di cosa presente con cosa futura, tutte le volte in cui consti, con apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimit;, che la volont; delle parti era di considerare prevalente la prestazione di fare rispetto a quella traslativa della propriet;.
[nota 4] Cfr., per una ragionata esposizione del c.d. metodo tipologico, anche per i necessari riferimenti di diritto tedesco, e per il ruolo svolto in tale contesto dalla qualificazione negoziale, G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974.
[nota 5] C. CACCAVALE, op. cit., p. 66 e ss. Lo stesso A. ammette tuttavia la piena validit; della doppia vendita, nei termini considerati nel presente scritto, laddove tra la vendita della cosa presente e la retrovendita della cosa futura intercorra un sostanziale lasso temporale.
[nota 6] Ci si riferisce soprattutto agli ordinamenti germanici, che, non a caso, sono il riferimento culturale della dottrina c.d. tipologica.
[nota 7] Ci si riferisce soprattutto agli ordinamenti anglosassoni che praticano da tempo, senza porsi alcun dubbio di principio in ordine alla loro legittimit;, le clausole di frazionamento di un contratto unitario in più distinti contratti (c.d. step transaction doctrine, in ordine alla quale cfr. U. MORELLO, Frode alla legge, in Dig. disc. priv., sez.civ., VIII, Torino, 1992, p. 503 e ss., soprattutto p. 547, e E. GABRIELLI, «Il contratto e l'operazione economica», in Riv. dir. civ., 2003, p. 2003, p. 93 e ss. e, più recentemente, ID., «Il "contratto frazionato" e l'unit; dell'operazione economica», in Giust. civ., 2008, I, p. 738 e ss.).
[nota 8] Così Corte Giustizia Ce 21 febbraio 2006, in causa C-223/00, University of Huddersfield Higher Education Corporation e a. c. Commissioners of Customers & Excise.
[nota 9] Così Corte Giustizia Ce 21 febbraio 2006, in causa C-255/02, Halifax e a. c. Commissioners of Customers & Excise (sentenza coeva dell'altra sopra citata alla nota precedente ed emessa nei confronti della stessa parte convenuta) ; e Corte Giustizia Ce 21 febbraio 2008, in causa Min. Finanze c. Part Service.
[nota 10] Il contrasto all'abuso di diritto trova una disciplina legislativa nella maggioranza degli Stati membri dell'Unione europea e, anche negli Stati membri in cui siffatta normativa non esiste, come nel caso dell'Italia, è tuttavia ammesso dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
[nota 11] Un possibile interesse dell'acquirente di cosa presente in regime di imposta di registro può risiedere nel rinvio dell'atto traslativo di tale cosa presente ad un momento successivo a quello in cui il bene che si acquista presenta tutti i requisiti per essere considerato immobile compreso «in piani urbanistici particolareggiati diretti all'attuazione dei programmi di edilizia residenziale comunque denominati», secondo la definizione dell'art. 1 ultimo comma della Tariffa parte I allegata al T.U. 131/1986 in tema di imposta di registro, così come introdotto ad opera dell'art. 1 commi 25-28 della L. 244/07 (c.d. Finanziaria 2008), a sua volta sostitutivo della precedente agevolazione contenuta nell'art. 33 comma 3 L. 388/2000 e successive modificazioni ed integrazioni; alla luce della normativa oggi vigente, che tiene conto della modificazione al T.U. 347/90 in materia di imposte ipotecarie e catastali avvenuto ad opera della stessa L. 244/07 (imposta ipotecaria elevata in tale caso al 3% in luogo dell'ordinario 2%, ai sensi dell'art. 1-bis della Tariffa Allegato 1 al predetto T.U.; imposta catastale invariata all'1%), l'imposta di registro viene applicata, rientrandosi nella fattispecie in oggetto, all'1% in luogo dell'ordinario 7% (trattandosi di fabbricato) oppure 8% (trattandosi di terreno), con risparmio in capo all'acquirente medesimo di un 5% o di un 6% (sempre a seconda che si tratti di fabbricato o di terreno) sulla base imponibile.
[nota 12] In senso contrario, sulla base di un'interpretazione teleologica e non formalistica della L. 122/2005, cfr., tuttavia, C. CACCAVALE, op. cit., p. 58 e ss.
[nota 13] Ma non del Notariato: cfr. deliberazione adottata con riguardo alla legge delega 2 agosto 2004, n. 210 dal Consiglio Nazionale del Notariato gi; nel novembre 2004.
[nota 14] Non vi è dubbio che, così operando, il costruttore assume tuttavia un rischio, per il caso che il privato cambi successivamente idea circa il proprio interesse verso quel tipo di immobile. Non essendo per contro frequente, stante la corrispettivit; economica tra bene presente e bene futuro, che l'acquirente di cosa futura debba finanziare il proprio acquisto con un mutuo ipotecario, il costruttore non correr; l'ulteriore rischio che la nullit; relativa venga invocata a seguito della mancata concessione di un finanziamento indispensabile per l'acquisto.
[nota 15] In tema, cfr. P. CALICETI, Contratto e negozio nella stipulazione a favore di terzi, Padova, 1994, e, più recentemente, senza tuttavia distinguere tra l'ipotesi (certamente legittima) del terzo determinabile in base a criteri che non siano meramente rimessi alla potest; dello stipulante e quella (di dubbia legittimit;), rilevante nel testo, in cui la determinazione del terzo sia invece rimessa ad una successiva volont; negoziale unilaterale dello stipulante medesimo, F. ANGELONI, Contratto a favore di terzo, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 2004, p. 121 e ss.
[nota 16] Cass. 10 marzo 1997, n. 2126, in Corr. giur., 1997, p. 1092 e ss.
[nota 17] Trib. Ivrea, 9 giugno 2003, in Giur. mer., 2003, n. 2173.
[nota 18] A. ZACCARIA - S. TROIANO, Gli effetti della trascrizione, Torino, 2005, p. 67 e ss.; G. CIAN, «Alcune questioni in tema di trascrizione del contratto preliminare», in Riv. dir. civ., 1997, p. 377 e ss.; G. BARALIS, «Considerazioni sparse sul decreto delegato conseguente alla L. 210 del 2004; spunti in tema di: variet; di contratti "garantiti", prestazione di fideiussione "impropria", riflessi sulla trascrizione, contenuto "necessario" del contratto, invalidit; speciale sue conseguenze», in Riv. not., 2005, p. 723 e ss.
[nota 19] La trascrizione dei negozi di alienazione di bene futuro, in forza di un'intepretazione non restrittiva dell'art. 2643 n. 1) c.c., fu ammessa, per la prima volta, da Cass. 8 ottobre 1973, n. 2520, in Giust. civ., 1974, I, p. 1143 e ss., poi seguita da Cass. 10 luglio 1986, n. 4497, in Riv. not., 1987, p. 1219 e ss. L'orientamento giurisprudenziale così affermatosi ha superato le originarie posizioni dottrinali restrittive (cfr. L. FERRI, Della trascrizione immobiliare, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1955, p. 64; R. TRIOLA, «Alienazione di cosa futura e trascrizione», in Giust. civ., 1974, p. 1144). In materia è poi intervenuto lo stesso legislatore, con gli artt. 1 e 13 della L. 27 febbraio 1985, n. 52 che, rispettivamente, sostituendo l'art. 2659 c.c. in materia di nota di trascrizione, e l'art. 2826 c.c., in materia di nota di iscrizione, hanno previsto che «per i fabbricati in corso di costruzione devono essere indicati i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono». L'apertura legislativa, pure riferibile, in via teorica, anche alla sola trascrizione di cosa presente, appariva di fatto giustificata proprio dalla ritenuta ammissibilit; della trascrizione di cosa futura, rispetto alla quale l'impossibilit; di una attuale identificazione del bene costituiva uno degli argomenti tradizionalmente addotti contro la sua stessa ammissibilit;. Le modalit; di esecuzione della trascrizione della alienazione di beni futuri sono illustrate, da ultimo, da Circ. min. Finanze 2 maggio 1995, p. 128.
[nota 20] La conclusione, come si vedr; meglio oltre sub f), appare più incerta nel caso in cui la trascrizione che viene eseguita sul bene presente successivamente alla trascrizione del preliminare di acquisto del bene futuro sia costituita non da una formalit; ex artt. 2643-2645 c.c., agli effetti di cui all'art. 2644 c.c., bensì da un pignoramento immobiliare secondo il codice di rito, agli effetti di cui all'art. 2914 c.c.
[nota 21] Nel senso del testo, G. GABRIELLI, op. cit.
[nota 22] Tale indicazione non coincide, secondo diritto, con gli eventuali futuri millesimi condominiali ai sensi delle disposizioni di attuazione del codice civile, in quanto, da un lato, potrebbe trattarsi di edificio non in regime di condominio, rispetto al quale l'indicazione resta comunque obbligatoria ai fini dell'efficacia della trascrizione del contratto preliminare, per gli effetti propri di quest'ultima, dall'altro, non occorre alcuna coincidenza, laddove di edificio in condominio invece si tratti, tra i millesimi condominiali, regolati da norme ad hoc, e quelli ai fini della trascrizione.
[nota 23] Quest'ultima definizione deve intendersi comunque derogabile dalle parti, entro il limite minimo dell'esistenza di uno spazio materiale gi; delimitato dalla costruzione eseguita e massimo della dichiarazione di fine lavori prodotta ai fini edilizi.
[nota 24] Cass. 14 novembre 2004, n. 17197.
[nota 25] Per riferimenti, cfr. A. ZACCARIA, op. cit., p. 148.
[nota 26] Deve tuttavia sottolinearsi, proprio con riferimento alla permuta di immobile presente con immobile futuro, ed allo scopo di offrire una più adeguata tutela con riferimento al caso di specie alla posizione dell'acquirente del bene futuro di fronte al fallimento del relativo alienante, l'interpretazione restrittiva dell'art. 72 L. fall., nel testo allora vigente, accolta, seppure con riferimento ad una fattispecie non chiaramente delineata nel testo della sentenza, da Cass. S.U., 7 luglio 2004, n. 12505, in Contratti, 2005, p. 121 e ss.
[nota 27] G. CIAN, op. cit.
[nota 28] G. CIAN, op. cit., p. 382 e ss.
[nota 29] G. GABRIELLI, «Pubblicit; immobiliare del contratto preliminare», in Riv. dir. civ., 1997, p. 529 e ss.; F. CAMILLETTI, «Alcune considerazioni sull'obbligo a contrarre e sulla trascrizione del contratto preliminare», in Vita not., 2004, p. 1141 e ss.
[nota 30] Pure trattandosi di norma inserita nel corpo dell'art. 67 L. fall. in tema di revocatoria fallimentare, la formulazione letterale della norma stessa, secondo cui i contratti indicati «non sono soggetti all'azione revocatoria», lo stretto collegamento che l'art. 66 L. fall. pone tra azione revocatoria fallimentare ed azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore fallimentare, oltre al rilievo che la ratio della norma presuppone una tutela piena, che a sua volta può essere garantita soltanto dall'esclusione di ogni azione revocatoria anche ordinaria, inducono, con la dottrina dominante, a ritenere che, ricorrendo i presupposti di legge, la tutela dell'acquirente o del promissario acquirente trascrivente sia piena (in senso contrario, cfr., tuttavia, N. NISIVOCCIA, «L'acquirente dell'immobile ad uso abitativo di fronte al fallimento del venditore», in Giur. comm., 2008, p. 826 e ss., sulla base soprattutto del rilievo secondo cui, essendo i presupposti delle due azioni tra loro diversi, ogni limitazione all'esercizio dell'una non può essere applicato "a maggiore ragione" anche all'altra).
[nota 31] Ammettono invece tale estensione, non solo alla permuta, ma anche a tutti gli altri atti a titolo oneroso, consapevolmente svalutando il tenore letterale della norma, P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, p. 427.
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