Appunti sulle specifiche e giuste cause di esclusione dalle Srl, e sul relativo procedimento
Appunti sulle specifiche e giuste cause di esclusione dalle Srl, e sul relativo procedimento
di Giuseppe Antonio Michele Trimarchi
Notaio in Gragnano

Gli interessi contrapposti nelle "giuste" cause d'esclusione

Generalità

Che il tema dell'esclusione sia centrale nella dinamica degli interessi che il rapporto sociale coinvolge è sufficientemente dimostrato dal numero degli interventi giurisprudenziali anche recenti specie in tema di società cooperative [nota 1] e di società di persone, cui si sono aggiunte le prime schermaglie rinvenienti dal laconico disposto dell'articolo 2473-bis c.c. per la novellata Srl [nota 2].

L'art. 2473-bis c.c., innovando il sistema della società di capitali lucrative, ha introdotto - per le sole Srl - la possibilità che l'atto costitutivo preveda «specifiche ipotesi di esclusione» per «giusta causa», rinviando - quanto alle modalità - al disposto dell'articolo 2473 c.c. adottato per la disciplina del recesso, sia pure espressamente escludendo «la possibilità del rimborso della partecipazione sociale mediante riduzione del capitale sociale».

La circostanza per cui la riforma abbia disciplinato l'esclusione per le sole società a responsabilità limitata suona ad ulteriore conferma del rilievo "personalistico" della figura del socio nella "nuova" Srl.

Il precetto connesso alla necessità della previsione di «specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa» impone di inquadrare l'esclusione nel più ampio quadro della risoluzione per inadempimento [nota 3], ancorché valga la pena ricordare che si tratta di una risoluzione per inadempimento con carattere "speciale"; il che, quanto meno, inibisce l'applicazione della disciplina generale della risoluzione per inadempimento del contratto a prestazioni corrispettive.

È pure evidente che la declinata necessità di specifiche e giuste cause di esclusione suoni a contemperare gli interessi contrapposti che la fattispecie è destinata a disciplinare: quello della società di liberarsi del socio inadempiente - e che, quindi, sia incorso nella "giusta causa" di esclusione - e l'interesse del socio di non essere "vittima" di abusi preconfezionati in clausole statutarie.

A fronte del superamento ad opera del diritto positivo dell'avversione di una lunga tradizione culturale alla cittadinanza dell'esclusione nelle società a base capitalistica, vale la pena chiarire immediatamente che la più volte citata specialità evoca anche la rilevanza dell'attività o del fatto censurati sull'organizzazione sociale e\o sull'esercizio dell'attività comune [nota 4].

Deve, peraltro, considerarsi, in via del tutto preliminare, come il legislatore abbia inteso escludere che l'esclusione possa determinare riduzione del capitale sociale. Circostanza, questa, di non trascurabile importanza giacché implica che il rimborso della partecipazione del socio escluso debba essere eseguito entro centottanta giorni dalla comunicazione e che esso possa avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi o, qualora ciò non avvenga, che sia effettuato utilizzando riserve disponibili. Parimenti sembra applicabile il principio per cui qualora non risulti possibile effettuare il rimborso, la società venga posta in liquidazione.

Insomma, l'esclusione declina la facoltà di acquisto da parte degli altri soci della partecipazione dell'escluso, la redistribuzione tra gli altri soci della partecipazione sociale stessa che venga pagata dalla società con riserve disponibili, ma non può implicare riduzione del capitale ossia modifica statutaria [nota 5].

Il che val quanto dire che l'inadempimento di cui alla giusta e specifica causa non assurgerà mai nel modello Srl a causa di riorganizzazione sociale, fermo restando che essa è destinata ad incidere sulla compagine sociale. In questo contesto la delibazione d'esclusione, intesa come attività volta a considerare la coincidenza tra la fattispecie astratta dedotta tra i patti statutari e la fattispecie concreta ascrivibile al socio, appare attività di gestione assai più di quanto non si mostri incline a rientrare nelle altre competenze sovrane delle decisioni dei soci o dell'assemblea. Il che consente d'assegnarne la competenza naturale all'organo amministrativo, salvo quanto più avanti precisato a proposito della clausola statutaria procedimentale, non risultando, invero, convincente l'acuto richiamo fatto da molti scrittori all'articolo 2479, comma 2, n. 5, c.c. Quest'ultima norma, com'è noto, assegna alla competenza dei soci - tra l'altro - «… la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci …». Il che legittimerebbe la conclusione secondo cui se tale competenza è relativa alle modifiche (rilevanti) dei diritti dei soci, a maggior ragione essa deve contenere anche quella consistente nell'esclusione, applicando la comune regola del buon senso secondo cui il più contiene il meno [nota 6]. Però sembra che la regola, nel fissare detta competenza, presupponga la prosecuzione del rapporto sociale. In altri termini, l'affidamento ai soci del potere di valutare la modificazione dei loro diritti si giustifica solo in quanto più a monte della modifica stia il proseguimento del rapporto, di guisa che la modifica dei diritti del socio sia modifica anche di una regola dell'organizzazione sociale. E ciò giustificherebbe la naturale assegnazione ai soci di ponderare in sede "deliberativa" la novità che essi, come organizzazione appunto, sarebbero destinati a subire.

Al contrario, l'esclusione non si propone come modifica dell'organizzazione, le cui regole, e durante l'esclusione stessa, e dopo la conclusione del relativo procedimento, sono destinate a rimanere immutate. Ciò che muta a causa dell'esclusione è (solo) la persona dell'escluso. Sembra, quindi, che l'esclusione rilevi non tanto come fattispecie destinata ad incidere sulla disciplina dell'organizzazione, quanto come ipotesi di valutazione delle conseguenze di determinati comportamenti o fatti sul rapporto sociale, con scelta - peraltro tutt'altro che scevra da responsabilità - di gestire il rapporto sociale destinandolo o meno a scioglimento.

Non essendo regola destinata ad incidere sull'organizzazione, l'esclusione, oltre che rientrare tra le generali e naturali competenze dell'organo gestorio, sembra anche sottrarsi al principio della parità di trattamento che, pacificamente è regola delle posizioni sociali all'interno dell'organizzazione sociale, oltre ad essere caratterizzata da un elevato tasso di discrezionalità dal momento che gli amministratori potrebbero anche decidere - salva la responsabilità verso i soci, verso la società, ed eventualmente verso i creditori sociali - di non liberarsi del socio "inadempiente". Ciò che pare essere l'immediata applicazione del generale principio civilistico secondo cui il potere di risoluzione è nella disponibilità dell'avente diritto.

Altro rilevante problema preliminare, stante l'oggettiva sinteticità del precetto normativo non colmabile con il tradizionale apporto del contributo giurisprudenziale, risiede nella scelta del modello legale di riferimento da cui attingere per colmare le lacune almeno per la via analogica.

In considerazione del fatto che la disciplina delle società di persone e delle società cooperative contemplava, già prima del 2003, la fattispecie dell'esclusione del socio tra le ipotesi di scioglimento del singolo rapporto sociale, la dottrina e la prassi si sono chieste, in prima istanza, se fosse corretto attingere alla disciplina delle une, delle altre, o di entrambi i "tipi", allo scopo, appunto, di colmare il vuoto normativo. Ho altrove evidenziato che il ricorso al modello delle cooperative risulta sicuramente inibito per quegli aspetti che in quel tipo legale mutuano la propria ragion d'essere dal rilievo del rapporto mutualistico [nota 7], in relazione ai quali non può revocarsi in dubbio l'inapplicabilità (analogica) al modello lucrativo Srl.

Per comprendere quanto la questione possa essere, in punto applicativo insidiosa si consideri l'ipotesi del n. 3 dell'art. 2533 c.c. che contempla, com'è noto, quale causa di esclusione dalla cooperativa la «mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società».

A ben guardare la norma appare la chiara manifestazione dei principi espressi dall'art. 2527 c.c. a proposito dei requisiti dei soci, nonché dal n. 3 dell'art. 2521 c.c. e giova a contemperare, nelle società cooperative la "porta aperta" con la necessità che l'accesso sia regolamentato in "coerenza" con il rapporto mutualistico (art. 2527, comma 1, c.c.).

Rebus sic stantibus la trasposizione tout court della regola de qua all'esclusione della Srl appare difficile, considerato il fatto che il sistema lucrativo non esige la fissazione di "requisiti" per l'accesso alla compagine sociale come regola generale. Ciò nondimeno, se lo statuto fissi regole per l'accesso in società [nota 8], potrebbe apprezzarsi la rilevanza di una clausola statutaria di esclusione ove questi requisiti siano fissati oltre che per l'accesso, appunto, anche per il mantenimento della qualità di socio.

In tale ultima ipotesi, però, più che aver applicato analogicamente il principio di cui all'articolo 2533, n. 3, c.c. alla Srl, si è, viceversa, fatto uso corretto del concetto "d'inadempimento ampliato" di cui s'è ragionato.

Appare, quindi, difficile negare che il modello "privilegiato" di riferimento sul piano dell'interpretazione analogica, almeno delle fattispecie di esclusione, non possa che essere quello rinveniente dalla disciplina delle società di persone, ferma, tuttavia, la verifica della compatibilità con il tipo Srl e con la pur laconica formulazione dell'articolo 2473-bis c.c.

La difficoltà derivante dal dato positivo eufemisticamente sintetico ha indotto all'acuta osservazione per cui «in assenza di una completa descrizione statutaria della fattispecie, l'esclusione non possa mai essere azionata» [nota 9], donde l'importanza del ruolo negoziale della formazione della regola statutaria.

Sul piano generale appare, allora, necessario ricordare che il modello legale di riferimento analogico consente di distinguere il piano delle "cause di esclusione", da quello del "procedimento di esclusione", e, infine, da quello degli "effetti dell'esclusione".

Appare utile, già sul piano descrittivo, ricordare che il legislatore, in tema di società di persone, ha ritenuto distinguere l'esclusione del socio:

- per gravi inadempienze di obblighi derivanti dalla legge o dal contratto sociale (art. 2286 c.c.);

- per effetto d'interdizione del socio, d'inabilitazione o di condanne a pene che determinano interdizione anche temporanea dai pubblici uffici (art. 2286 c.c.);

- del socio d'opera o che abbia conferito il godimento allorché egli non sia in grado di eseguire l'opera o il bene sia perito per causa non imputabile agli amministratori (ancora art. 2286 c.c.);

- che sia stato dichiarato fallito, o il cui creditore abbia chiesto la liquidazione della quota (art. 2288 c.c., c.d. "esclusione di diritto").

È agevole - sul piano della qualificazione degli interessi - verificare che tutte le ipotesi ora elencate proteggono la compagine sociale verso il socio sia in ipotesi che possono inquadrarsi come d'inadempimento in senso stretto (com'è il caso del contravvenire ad obblighi di legge o sociali), sia per casi in cui si verificano circostanza nelle quali l'inadempimento è, o può essere, incolpevole (sopravvenuta inidoneità alla prestazione d'opera, o perimento della cosa per causa non imputabile al socio) ovvero è solo eventuale, o può essere la conseguenza di un particolare stato soggettivo che rende, per così dire, difficile la partecipazione del soggetto all'esercizio collettivo dell'impresa (interdizione ed inabilitazione).

Un cenno a parte meritano le c.d. ipotesi di esclusione di diritto, non tanto in ragione della modalità attuativa delle conseguenze della fattispecie, ossia il suo operare ipso iure et facto, quanto per la "sanzione" che colpisce il socio fallito o il debitore esecutato ex art. 2270 c.c., dal momento che, in astratto, nessuna di tali fattispecie determina ex se inadempimento ad obbligazioni sociali o statutarie [nota 10].

Sul piano del procedimento, parimenti, la disciplina delle società di persone prevede che:

- vi sia una "delibera";

- che essa sia adottata a maggioranza;

- che il socio non possa computarsi in tale maggioranza;

- nel caso di società di due soci che l'esclusione debba essere pronunziata dal Tribunale su istanza di uno di essi (art. 2287 c.c.);

- la delibera di esclusione resta sospesa per trenta giorni dalla comunicazione al socio escluso, termine pendente il quale egli può fare opposizione innanzi al Tribunale [nota 11].

Quanto agli effetti a prescindere dalla "sospensione" della delibera d'esclusione in pendenza del termine d'opposizione, giova ricordare che l'esclusione scioglie il singolo rapporto sociale e determina il diritto dell'escluso ad ottenere la liquidazione della quota in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento ferma la valutazione e l'incidenza delle operazioni in corso (art. 2289 c.c.). La quota di liquidazione va pagata entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del singolo rapporto sociale.

Un cenno particolare merita la società in accomandita semplice nel caso in cui ad essere escluso sia il socio o uno dei soci accomandatari, ipotesi, questa che intreccia quanto fin'ora esposto con la disciplina della revoca del socio accomandatario [nota 12].

È evidente che l'interesse protetto sia quello della maggioranza cui il legislatore fa espresso cenno, ed è altrettanto evidente che di fronte ai suoi abusi al socio non spetti altro che il ricorso all'autorità giudiziaria in sede d'opposizione alla delibera d'esclusione.

È facile, allora, intuire che nelle società a responsabilità limitata la posizione del socio risulta rafforzata dalla previsione positiva del duplice "limite" per cui le relative ipotesi devono essere

- specifiche;

- riconducibili ad una giusta causa.

Da ciò l'illegittimità di una previsione generica di esclusione, quand'anche la clausola statutaria ammettesse espressamente e genericamente l'esclusione per giusta causa senza specificare quale sia [nota 13].

Deve, inoltre, escludersi che in questo tipo sociale vi sia un diritto della maggioranza all'esclusione di un socio che sorga dal generico rinvio all'art. 2286 c.c. che, nel sistema delle società di persone, prevede l'esclusione per giusta causa senz'uopo di ulteriori convenzionali "predefinizioni" della stessa. Ciò in quanto deve ritenersi coerente con la sia pure laconica disciplina accordata dal legislatore in materia di Srl l'irrilevanza ai fini dell'esclusione del generico concetto di giusta causa [nota 14].

D'altro canto, anche nelle società cooperative l'esclusione giova a contemperare il rapporto tra socio e società, sia pure nel diverso presupposto causale del conseguimento della mutualità, e le relative clausole sono devono essere il risultato della mediazione tra l'interesse della società a preservare la correttezza e l'efficienza del rapporto di gestione da un lato, e la necessità di evitare l'assoggettamento, dall'altro, del socio ad abusi od eccessi. In questo senso non può non comprendersi l'orientamento di quella giurisprudenza che ha negato cittadinanza a clausole dal contenuto generico pretendo specificità dei comportamenti giustificanti l'esclusione.

Se il rilievo fin qui evidenziato è vero - come sembra incontestabile - appare evidente che il profilo applicativo divenga essenziale, in quanto l'individuazione corretta della specificità, e della nozione di "giusta causa" segnano il limite tra liceità ed illiceità della clausola d'esclusione, con quali effetti sulla stabilità del rapporto sociale nel suo complesso, è facile intuire.

La nozione di "giusta causa" e la specificità della clausola d'esclusione

L'avere ricondotto l'esclusione all'inadempimento "ampliato" consente di superare definitivamente, in tema di qualificazione di giusta causa, le non recenti conclusioni della Suprema Corte [nota 15], secondo cui, il relativo concetto si ricollega alla «… violazione di obblighi contrattuali o di doveri di fedeltà, lealtà diligenza e correttezza che incidono sulla natura fiduciaria del rapporto …», dal momento che il dovere di correttezza, lealtà e diligenza appare aspetto funzionale del rapporto sociale anche a prescindere da ogni connessione con la "natura fiduciaria" del rapporto sociale stesso.

In altri termini, appare un dato oramai acquisito quello per cui il contratto sociale vada eseguito in applicazione del generale principio del rispetto della buona fede oggettiva [nota 16] (a prescindere, dunque, dalla pretesa natura fiduciaria o meno del rapporto sociale). Consegue che si può apprezzare, per l'aspetto che ne occupa, come "giusta" ogni causa di esclusione che sia funzionale alla piena realizzazione degli scopi propri del rapporto societario, ossia che ne favorisca l'esecuzione secondo le regole di buona fede, di correttezza, di lealtà, di diligenza da parte di tutti i soci, presenti e futuri.

Il che consente di condividere, in termini generali, anche l'opinione di quanti hanno sostenuto che, nelle Srl possono prevedersi cause di esclusione che non coincidano con l'inadempimento [nota 17].

Tuttavia resta da considerare se il concetto di giusta causa sia del tutto tautologico finendo per coincidere con l'idea che sia sufficiente a qualificare come giusta una qualunque causa di esclusione purché prevista specificamente nello statuto.

A giudizio di alcuni la non coincidenza tra nozione di giusta causa di esclusione ed inadempimento quale motivazione unicamente idonea a giustificare la previsione dell'esclusione nella Srl dimostrerebbe che «… in conclusione, la clausola di esclusione può assumere portata - sotto questo aspetto - ancora più ampia di quanto accade nelle società di persone, pur essendo operante nei limiti di un'espressa previsione negoziale. Infatti - individuata da parte dei soci una specifica causa di esclusione - non vi è possibilità di un sindacato giudiziale in merito alla gravità dell'addebito, a differenza di quanto accade in tema di società di persone» [nota 18].

In questa stessa direzione s'indirizza chi [nota 19] sostiene che l'ambito dell'autonomia privata nell'individuazione delle cause di esclusione appare molto vasto in quanto «...unico limite riguarda la necessità che le condizioni che legittimino l'estromissione del socio dalla compagine sociale siano specificatamente determinate …» [nota 20].

L'impostazione non merita di essere condivisa. E ciò non tanto per la ragione - già di per sé forse assorbente - per cui essa finirebbe per svilire la causa giusta nella nozione di causa specifica che il legislatore mostra di considerare separate, quanto proprio per i diversi piani degli interessi che i due concetti sembrano destinati a servire.

Una causa specifica non per questo è giusta, specie se per giusta si deve intendere la sua idoneità a rafforzare il conseguimento degli scopi sociali.

Se, da un lato, è incontestabile che l'individuazione di una giusta causa deve ritenersi rimessa alla valutazione dei soci, è tutto da dimostrare che per essa il legislatore abbia consentito un'assoluta discrezionalità.

Anzi, è proprio il richiamo alla necessità che esse debbano essere "giuste" ad impedire che si possano formulare clausole d'esclusione meramente discrezionali, ossia svincolate dalla funzione che la legge ha loro assegnato e consistente nell'affidare alla "maggioranza" un potere d'espulsione laddove vi sia taluno che non collabori alla realizzazione corretta ed in buona fede del rapporto sociale. Diversamente, il legislatore avrebbe dovuto licenziare la legittimità di una qualunque (magari specifica) clausola d'esclusione limitandosi a giustapporre all'esercizio discrezionale dell'autonomia i naturali limiti della possibilità, determinatezza, determinabilità e liceità derivanti dall'applicazione dei principi generali.

D'altra parte, anche il sistema è chiaramente indirizzato nel senso precisato:

- nelle società di persone i casi di esclusione appaiono circoscritti ad ipotesi d'inadempienza grave, o ricondotti all'inadempimento (meglio impossibilità sopravvenuta) anche incolpevole della prestazione d'opera o della messa a disposizione del godimento [nota 21] (art. 2286 c.c.);

- nella società cooperativa, oltre a vari casi d'inadempimento (art. 2533, n. 2, e n. 4 che richiama a sua volta l'art. 2286 c.c.), è stabilito che l'esclusione ha luogo anche «nei casi previsti dall'atto costitutivo» (art. 2533, n. 1, c.c.).

Ne emerge un quadro d'insieme abbastanza chiaro: le società di persone e le cooperative sono i due estremi dell'area operativa riservata all'autonomia privata risultando, nelle prime, circoscritta la facoltà di previsione dell'esclusione ai soli casi d'inadempimento grave, e nelle seconde, invece, ammessa liberamente [nota 22].

L'esclusione dalla società a responsabilità limitata si colloca al centro dei citati due estremi: per essa il legislatore ha ammesso una previsione che va oltre il concetto d'inadempimento, ma che non coincide con la discrezionalità, contenendo la norma dell'art. 2473-bis c.c. il chiaro riferimento all'idea che la causa debba essere giusta nel senso ora chiarito e condiviso - dalla stessa giurisprudenza addirittura a proposito delle società cooperative - della funzionalità del comportamento censurato ai fini dell'esclusione al corretto raggiungimento dei fini sociali [nota 23]. L'idea, quindi, che la riforma abbia esaltato l'autonomia privata non risulta svilita dalla lettura che qui si propone, dal momento che l'ampio margine riconosciuto all'autonomia non deve necessariamente considerarsi equivalente alla discrezionalità [nota 24]. Sicché appare preferibile quell'orientamento che pretende dall'autonomia privata l'individuazione di comportamenti da censurare diretti a porre «… remore o intralci al … più profittevole svolgimento dell'attività comune …» [nota 25].

Le differenti opinioni si traducono anche in un diverso modo di articolare l'autonomia privata. L'opinione qui preferita, in particolare, suggerisce di considerare che la migliore tecnica contrattuale sia quella che specifichi l'interesse perseguito con la clausola d'esclusione in modo da consentire, sin dalla genesi, la verifica della coerenza con il rafforzamento degli scopi sociali.

La nozione di "giusta causa" (segue): le clausole di reazione all'inadempimento

Va da sé che con riferimento alle clausole di esclusione concepite in reazione all'inadempimento la prassi statutaria attinga, com'è noto a chi ha frequentazione pratica, e capitalizzerà la lunga esperienza maturata nell'area delle società di persone, non rinunziando, parimenti, ad avvantaggiarsi della tradizione del segmento della cooperazione, avendo cura di tenere ben distinto, in tale ultimo caso, quelle ipotesi d'inadempimento che come già precisato inferiscono i caratteri propri della mutualità.

Così, tra l'altro, l'esclusione, potrebbe utilizzarsi quale sanzione di quei soci che propongano azioni giudiziarie numerose poi rivelatesi infondate e pretestuose [nota 26]. A tale riguardo non deve trascurarsi, tuttavia, che il tema, noto alla giurisprudenza dell'esclusione del socio di cooperative [nota 27], pretende una soluzione prudente, e quanto meno volta a garantire che la clausola non inibisca il corretto esercizio del diritto di difesa ovvero la facoltà di esercitare i propri diritti in giudizio.

In questo senso un'interpretazione restrittiva sembra coerente con la necessità che la causa d'esclusione si possa considerare giusta, perché, appunto, funzionale allo svolgimento in buona fede del rapporto sociale. E così sembra legittima solo se essa preveda l'esclusione allorché il socio abbia proposto un certo numero di azioni contro la società gli amministratori o altri soci, e siano intervenute sentenze definitive che ne abbiano ripetutamente respinto le pretese, o peggio abbiano condannato l'istante per temerarietà.

Non manca di suscitare interesse quella clausola d'esclusione a carico dei soci-amministratori per violazione dei doveri propri della funzione gestoria.

La questione ha suscitato non poche problematiche applicative nelle società di persone specie nel caso di esclusione del(l'unico) socio accomandatario di Sas. In questo tipo sociale,infatti, in assenza di una specifica disciplina dovrebbero trovare applicazione le norme di cui agli artt. 2286 e 2287 c.c. Epperò è noto che il tipo de quo esiga la presenza di (almeno) due soci con caratteristiche e disciplina diversi: l'accomandante e l'accomandatario. È evidente che l'esclusione di quest'ultimo interferisca con la revoca dell'amministratore di cui agli artt. 2319 e 2259, comma 2, c.c. [nota 28].

A tale riguardo giova ricordare che la giurisprudenza ha talora affermato che quando vi sia un solo accomandatario non possa conseguirsi «il consenso di tutti gli accomandatari» richiesto dal richiamato 2319 c.c., con la conseguenza che in tal caso è stato ritenuto necessario, ai fini dell'esclusione, l'intervento del Tribunale.

La questione della legittimità della clausola d'esclusione del socio amministratore è stata oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale anche in caso di società cooperative. Qui la tesi dell'illegittimità della clausola è stata affermata da quella giurisprudenza [nota 29] che ha evidenziato la necessità di tenere distinti i due rapporti quello sociale, e quello degli organi sociali (amministratori, sindaci), per il quale ultimo troverebbero, per il caso d'inadempienze, applicazione le regole proprie: revoca, decadenza, azione di responsabilità ecc.

A ben vedere, però, in tutti i casi ora esaminati - e più specificatamente anche in tema di Srl - non militano ragioni per ritenere che le due discipline non possano sovrapporsi concedendo alla società un'ulteriore protezione contro l'organo "immeritevole": quella di incentivare il rispetto degli obblighi propri dell'attività "organica", mercé la subordinazione, ad esso, del prosieguo del rapporto sociale [nota 30].

Non v'è motivo di non condividere - per le cose dette - l'affermazione secondo cui «… la clausola di esclusione potrebbe servire a sanzionare il comportamento dei soci ai quali vengono attribuiti particolari diritti ex art. 2468 c.c., che abusino degli stessi ovvero non li esercitino correttamente» [nota 31]. Considerato che la causa è giusta ove il comportamento censurato giovi a rafforzare il raggiungimento degli scopi sociali, non v'è alcun motivo di considerare esclusi aprioristicamente da tale finalità comportamenti relativi alla sfera in esame, sempre che risulti chiaro il collegamento con il rafforzamento degli scopi sociali e, in buona sostanza, con la corretta esecuzione del rapporto sociale medesimo.

Nemmeno può dubitarsi della legittimità della clausola di esclusione del socio ove questi sia inadempiente ad un contratto assunto come essenziale al raggiungimento degli scopi sociali: s'è dato, al riguardo, l'esempio dell'inadempimento di un contratto di joint venture collegato al vincolo societario. Il punto, ripetesi, è proprio nell'emersione del collegamento volto ad evidenziare la relazione tra il contratto de quo ed il conseguimento degli scopi sociali.

Può dubitarsi, invece, dell'esclusione basata sul mancato rinnovo da parte di uno o più soci di fideiussioni da prestarsi alla società. E ciò specie allorché la clausola finisca per imporre una prestazione a carico di uno o più soci consistente nella prestazione di garanzie per tempo indeterminato. Tale è la clausola che preveda la necessità che uno o più soci prestino fideiussione e la rinnovino senza fare riferimento ad un finanziamento specifico. Al contrario, laddove un socio sia chiamato ad una fideiussione per uno specifico finanziamento la cui utilità al conseguimento degli scopi sociali venga opportunamente messa in evidenza, deve concludersi per la legittimità della previsione, non mancando, tuttavia, la necessità di un'ulteriore precisazione. Invero, non tutti gli eterofinanziamenti sono necessari al corretto svolgimento dell'attività sociale: l'esercizio collettivo dell'attività d'impresa esige da parte dei soci l'attività di capitalizzazione che nelle Srl, in particolare, ha determinato l'adozione di una regola del tipo di quella di cui all'articolo 2467 c.c., il che induce a considerare - in ogni caso - con estrema prudenza la legittimità della clausola in considerazione.

È utile, inoltre, ricordare che la legge prevede un'ipotesi di esclusione, per così dire, legale consistente nel diritto d'espulsione del socio moroso di cui all'articolo 2466 c.c. La più macroscopica delle differenze tra l'esclusione convenzionale e quella legale riposa nel fatto che in quest'ultima non spetta al socio la liquidazione della quota, anzi se la vendita della sua partecipazione sociale non può avvenire nel rispetto della procedura fissata dall'articolo 2466 c.c., la società ha, in generale, il diritto di ritenzione delle somme riscosse.

Non è questa la sede per verificare se l'attivazione della polizza o della fideiussione, specie nel caso di prestazione d'opera e servizi, determini automaticamente l'operare o meno dell'esclusione legale [nota 32]; certo è che non vi sono ragioni per escludere la legittimità di una clausola d'esclusione convenzionale connessa all'inadempimento dell'opera e\o del servizio nonostante la "copertura" del capitale offerta dalla polizza. In tal caso è ben evidente l'interesse sociale al mantenimento del rapporto alla solo condizione del conseguimento dell'opera e\o del servizio rispetto al quale l'attivazione della polizza in copertura se, da un lato, soddisfa esigenze connesse all'effettività del capitale sociale, dall'altro non esclude che la società perda l'interesse al mantenimento di un rapporto sociale svuotato dello scopo per cui fu condiviso.

Chiarito, dunque, che una causa di esclusione non si considera giusta o ingiusta in astratto, ma solo avuto riguardo, anzitutto, all'esecuzione del rapporto sociale - e, quindi, in relazione alle regole specifiche di autonomia privata nel contesto negoziale di cui trattasi [nota 33] - appare del tutto coerente che essa causa sia "giusta" quando la regola dell'exit imposto rafforzi un apprezzabile e meritevole interesse della società a vedere meglio eseguito il rapporto stesso secondo le regole di buona fede oggettiva cui s'è fatto cenno.

Devono, allora, considerarsi "ingiuste" quelle clausole che, in generale, assumono a riferimento ontologico comportamenti estranei all'esecuzione di scopi sociali, specie quando non si tratti di clausole che reagiscano ad inadempimento in senso stretto.

Così, ad esempio potrebbero configurarsi come "ingiuste":

- una causa di esclusione connessa alla mancata collaborazione tra soci al di fuori dell'attività dell'impresa collettiva, o relativa a cause che nulla hanno a che vedere con l'esecuzione del contratto;

- l'esclusione basata sulla mancata stipula di contratti tra soci e terzi, salvo che non si faccia espresso riferimento a rapporti specificatamente individuati e di cui si evidenzi la necessità e la coerenza con il conseguimento degli scopi sociali;

- l'esclusione riferita alla mancata adesione a determinate iniziative anche economiche estranee alla società di cui trattasi;

- ovvero ricondotta al conseguimento, da parte dei soci, di determinati ed individuali obiettivi economici, quali il raggiungimento di certi fatturati come imprese individuali.

(Segue): in particolare, le clausole che "obbligano" a determinati comportamenti

In questo contesto si devono esaminare anche le clausole che determinano esclusione di un socio assumendo per rilevanti i comportamenti che il socio abbia in determinati rapporti contrattuali con terzi estranei al rapporto sociale, ma, su questo, ritenuti influenti, determinando l'esclusione del socio se questi non assuma, in qualche modo, la qualità di "inadempiente" in altro rapporto contrattuale.

S'è dato l'esempio in recente giurisprudenza della clausola che preveda l'esclusione delle società fiduciarie che non disvelino il fiduciante, oppure delle clausole che prevedano l'esclusione del socio che intrattenga certi rapporti con i concorrenti, in guisa che la permanenza in societate, di questi soci (fiduciarie o quelli che abbiano rapporti di durata con i concorrenti in itinere) finisca per essere assicurata soltanto dall'inadempimento dei contratti de quibus.

In linea generale, sembra che si possa sostenere la legittimità delle clausole di esclusione che impongano ai soci "l'interruzione a qualsiasi titolo" di certi rapporti giuridici, purché, ripetesi ancora una volta, questa interruzione realizzi per la società un interesse meritevole connesso al corretto raggiungimento degli scopi sociali.

Nelle suesposte esemplificazioni non v'è chi non veda come nel contesto personalistico della nuova Srl assuma rilevanza e meritevolezza l'interesse dei soci a sapere chi compone effettivamente la compagine sociale [nota 34], come egualmente meritevole appare l'interesse sociale ad evitare che taluni soci o tutti intrattengano rapporti commerciali con la concorrenza.

Dal punto di vista dogmatico, peraltro, vale segnalare che clausole siffatte (ossia quelle che deducano l'inadempimento di altri contratti a contenuto rilevante al fine dell'esclusione sociale) appaiono "giuste", nel senso delineato, anche per altre due rilevanti ragioni: anzitutto perché esse non obbligano all'inadempimento, limitandosi a prevedere le conseguenze del suo mancato verificarsi (nell'altro rapporto); ed inoltre, perché non intervengono rendendo "lecito" l'inadempimento, che continuerà - quanto al rapporto di cui trattasi - a produrre gli effetti suoi propri, restando assoggettato alle generali regole. In fin dei conti la circostanza per cui l'inadempimento sia dedotto quale evento discriminante l'esclusione da una società appare questione del tutto "neutra" sotto il profilo della sua disciplina. Tale neutralità consente il pieno dispiegarsi del profilo patologico che gli è proprio senza che si riveli alcuna interferenza con tale aspetto.

(Segue): le clausole di esclusione che non rappresentano reazione ad inadempimento.

L'esclusione per fallimento del socio

Per quanto sin'ora chiarito, appare evidente che un discorso a parte meritino le cause di esclusione che non rappresentino tout court reazione ad un inadempimento.

L'avere ricondotto, infatti, l'esclusione ad un concetto "d'inadempimento allargato" consente di trarre due conclusioni sul piano della legittimità di clausole relative a fattispecie non direttamente riconducibili ad un concetto d'inadempimento in senso stretto, ossia di non ottemperanza o non coerenza con un comportamento dovuto da un soggetto astrattamente qualificabile come parte di un lato passivo di un rapporto giuridico (obbligatorio):

- queste clausole possono essere lecite;

- la loro liceità va commisurata all'esigenza che esse siano giuste e specifiche.

In particolare, se la nozione di giusta causa deve essere ricondotta all'esecuzione in buona fede del contratto sociale e del relativo rapporto, sembra consentito affermare che clausole del tipo di quelle che dichiarino l'esclusione come conseguenza del raggiungimento di una certa età non appaiono legittime, restando piuttosto difficile da dimostrare che sia coerente con la corretta esecuzione in buona fede dei rapporti sociali l'essere parte di una certa fascia d'età. E ciò nemmeno nelle ipotesi di Srl composta da tutti soci d'opera, o di una società di artigiani. In questi casi, infatti, non è affatto detto che una certa età non consenta di espletare l'opera o il servizio promesso. In altri termini, lungi dall'essere dimostrato che il limite d'età sia o possa essere tout court causa d'esclusione, appare, al più, legittimo prevedere l'esclusione del socio d'opera allorché lo stesso non sia più idoneo a svolgere l'opera, analogamente a quanto accade nelle società di persone (art. 2287, comma 2, c.c.).

Per quanto riguarda, invece, le clausole del tipo di quelle relative a fatti determinanti l'esclusione come conseguenza di vicende relative alla persona del socio, si possono ricondurre a questa "categoria" quelle concernenti le ipotesi d'inabilitazione, interdizione, il sopravvenuto protesto a carico dell'escludendo, il suo inserimento nelle centrali rischi di talune (oramai) note banche dati, la perdita di particolari "qualità" personali (si pensi ai requisiti di onorabilità o professionalità del T.U.B.), o il verificarsi di certi eventi patrimoniali, come l'avere subito procedimenti cautelari, sequestri, pignoramenti, ipoteche giudiziali, ecc. Rientrano in quest'ampia rassegna anche le ipotesi di esclusione raccordate a condanne giudiziarie (specie penali) che comportino o meno interdizione da pubblici uffici.

In questo contesto mi pare da considerare anche quella clausola che preveda l'esclusione del socio ente (persona giuridica o non poco importa) in conseguenza della sua messa in liquidazione.

Il legislatore, disciplinando alcune delle ipotesi ora menzionate per le società di persone, ha considerato che le relative fattispecie integrino legittime cause di esclusione (art. 2286 c.c.). In generale, quindi, il giudizio di congruità per molte di queste fattispecie potrebbe ritenersi assorbito nella disciplina della corrispondente vicenda delle società di persone con conseguente ammissibilità delle fattispecie al vaglio tra le legittime cause d'esclusione da società a responsabilità limitata. A questa conclusione, coerentemente, perviene chi assume che l'art. 2473-bis c.c. celebri l'ampiezza dell'autonomia privata. Anzi, di solito si conclude con l'affermare che l'idea di una simile previsione altro non faccia che avvicinare il tipo società a responsabilità limitata al modello tipico delle società di persone, a conferma della flessibilità del tipo Srl ad assumere formule organizzative in astratto riferibili ad un range ampio che corre dalle società di persone fino alla società per azioni.

La ricostruzione non sembra, ad una più approfondita analisi, del tutto convincente.

Innanzitutto l'inquadramento dell'esclusione nell'alveo dell'inadempimento sebbene "ampliato", fondato sulla circostanza che il legislatore abbia preteso per la legittimità dell'esclusione la specificazione statutaria di cause giuste, obbliga a considerare che l'esclusione non equivalga ad un'ipotesi di disinvestimento ex parte societatis. Se, infatti, la causa di esclusione deve essere specifica e giusta ciò non solo deve voler significare che la limitazione legislativa protegge il socio dagli abusi della maggioranza, ma anche che essa protegge la società dalla scomposizione dei suoi assets proprietari senz'uopo di specifiche e giuste ragioni. Insomma, la norma ha lo scopo d'impedire che la società perda "pezzi" senza adeguati motivi. Quest'ulteriore ratio potrebbe indurre a pensare che le cause di esclusione da Srl quando hanno a che fare con fatti relativi alle persone dei soci, difficilmente possono raccordarsi con il loro presupposto di legittimità consistente nel dover essere giuste nel senso di coerenti con il raggiungimento dello scopo sociale, o, più in generale, con la necessità di eseguire con correttezza e buona fede il rapporto sociale. A che titolo, infatti, un provvedimento d'interdizione di un socio, ovvero la nomina allo stesso di un curatore in caso d'inabilitazione, ovvero di un amministratore di sostegno, possono impedire al socio in questione, sebbene a mezzo o con l'ausilio dei suoi rappresentanti o assistenti, di eseguire correttamente il rapporto sociale? Quale reale svantaggio può subire l'ente, la sua organizzazione, la sua efficienza, avendo soci a capacità d'agire limitata?

In altri termini, salvo a non sostenere che l'autonomia statutaria tutto possa in funzione di un'elasticità che a me pare compromessa dalla formulazione della norma e dalla sua ratio, deve dubitarsi che le fattispecie ora evocate costituiscano giuste cause di esclusione nel senso che qui si va delineando.

Il sistema appare coerente con l'altra ipotesi di generale disinvestimento che il legislatore ha inteso introdurre con la riforma del 2003: il recesso. Nelle società per azioni il disinvestimento connesso al recesso appare circoscritto ad ipotesi specifiche. Anche laddove la legge ha consentito il recesso «convenzionale» (art. 2437, comma 4, c.c.) ha preteso la necessità della previsione di «ulteriori cause di recesso», a voler segnalare che il disinvestimento debba essere legato ad ipotesi circostanziate e non semplicemente volontarie o arbitrarie [nota 35]. Nelle società responsabilità limitata il legislatore s'è limitato a prevedere che lo statuto possa prevedere «quando il socio possa recedere», con ciò legittimando l'idea di una maggiore libertà. Sempre nelle Srl, invece, la disciplina dell'esclusione torna ad essere non solo più rigida del recesso (in Srl) ma anche della disciplina del recesso in SpA in quanto, qui, il legislatore non solo ha preteso che le cause di esclusione fossero specifiche, ma anche giuste.

Tutto ciò non ha alcun senso? È veramente sostenibile il criterio del trionfo dell'autonomia statutaria in materia d'esclusione?

Riterrei di no. Anzi, dovrebbe dubitarsi che possa costituire giusta causa di esclusione finanche la perdita di speciali requisiti, come pure la circostanza che il socio abbia subito azioni, gravami, o condanne salvo:

- quanto ai requisiti soggettivi, che essi non fossero previsti nell'atto costitutivo come necessari per comporre la compagine sociale;

- quanto alle condanne penali che esse non siano, nella previsione della clausola statutaria lesive della "dignità" e della "professionalità" della società in relazione specifica all'attività svolta.

Ne consegue anche che l'avere subito provvedimenti giudiziari civilistici (sequestri, pignoramenti, ipoteche legali o giudiziali) non appare in alcun modo idoneo a compromettere la capacità del socio ad eseguire il rapporto sociale correttamente ed in buona fede, posto che, in linea generale, tali circostanze incidono sulla capacità patrimoniale del soggetto che ne sia colpito; circostanza questa cui l'organizzazione sociale resta, per principio, indifferente, non potendo, la società, pretendere dal socio altro che il conferimento sottoscritto.

Una considerazione a parte merita la specifica ipotesi di esclusione concretizzata nel fallimento del socio [nota 36].

Si suole ricondurre la disciplina della clausola d'esclusione del socio di Srl fallito (in proprio) all'analoga previsione della corrispondente disciplina in materia di società di persone. È stato, per contro, condivisibilmente osservato [nota 37] che ogni valutazione della legittimità della clausola andrebbe rimeditata alla luce di un duplice ordine di considerazioni:

a. che dall'esclusione discende la modifica della composizione dell'attivo fallimentare, nel quale in luogo del "bene" partecipazione, entrerebbe il credito alla quota di liquidazione;

b. che ogni decisione in ordine al proseguimento dei rapporti giuridici del fallito è assegnata agli organi fallimentari (il curatore) e non ad altri, tant'è che il novellato art. 72 della legge fallimentare stabilisce l'inefficacia delle clausole negoziali che facciano dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento del socio.

E se l'attuale normativa sembra essere in ogni caso coerente con la disciplina dell'esclusione del socio di società di persone, dal momento che il fallimento del socio illimitatamente responsabile, di fatto, impedisce ai creditori della società in bonis di avvalersi della illimitata responsabilità svuotandola di contenuti [nota 38], nella società a responsabilità limitata la previsione di una causa d'esclusione coincidente con il fallimento del socio, non avendo alcuna attinenza con la sua responsabilità, finirebbe di essere eversiva dei principi di diritto fallimentare sinteticamente elaborati nelle lettere a. e b. che precedono. Da qui il convincimento che una clausola d'esclusione per fallimento del socio di Srl «sia tutt'altro che giusta o comunque legittima».

Un cenno al concetto di specificità della causa d'esclusione

Chiarito l'ambito operativo dell'individuazione di causa "giusta" di esclusione, resta da verificare il grado di specificità che la clausola deve assumere per essere legittima.

Per questo profilo giova rimarcare il richiamo alla species della giusta causa operato dal dato normativo, richiamo che non può essere trascurato in ordine alla sua ratio: l'exit imposto trova equo bilanciamento nella conoscibilità della fattispecie che ne dà origine.

La specificità appare, quindi, elemento a garanzia del socio che, così, è in grado di conoscere in modo "specifico" le eventuali ipotesi giuste che potrebbero determinare lo scioglimento del singolo rapporto sociale, ma è anche norma che protegge l'interesse sociale e dei terzi alla conservazione dei rapporti con i soci, da un lato, ad evitare facili abusi delle maggioranze, e dall'altro, a non vedere "evaporazioni" imprevedibili del capitale sociale.

Appare, quindi, principio di ordine pubblico giacché funzionale ad interessi che trascendono quelli dei soci in quanto tali, ovvero uti singuli.

Ed è, peraltro, principio operativo di non facile definizione perché resta all'operatore l'ingrato compito di valutare quando una giusta causa è (sufficientemente) specifica.

La difficoltà è evidente: vale sottolineare la contraddizione delle prime pronunzie giurisprudenziali al riguardo per comprenderne la portata: da un lato, ad esempio, la citata sentenza del Tribunale di Treviso che considera generica (e quindi invalida) la clausola statutaria che preveda come ipotesi di esclusione: «lo svolgimento di attività atte ad arrecare pregiudizio alla vita sociale», dall'altro la soprarichiamata sentenza del Tribunale di Milano [nota 39] che, al contrario ha giudicato specifica una clausola di esclusione del seguente letterale tenore: «è escluso il socio che con la sua condotta renda impossibile il funzionamento dell'ente».

È importante osservare che, riguardo all'ultima clausola in esame, il Tribunale milanese, pur riconoscendone l'elevato grado di genericità, ha deciso nel senso che la clausola stessa si specifichi nel fine; circostanza, questa, da cui ha ricavato un giudizio di legittimità. In altri termini, s'è considerato legittimo il generico riferimento "alla condotta del socio" purché risulti chiaro dal contesto della clausola la specificità del fine: non ogni condotta pregiudizievole è causa d'esclusione, ma solo quella che impedisca il funzionamento dell'ente: ossia quella che impedisca i deliberati assembleari.

Dal ragionamento si ricava un importante indirizzo esegetico: al fine della specificità della clausola d'esclusione (e, dunque, della sua validità ex art. 2473-bis c.c.) non è indispensabile che essa riguardi la fattispecie comportamentale che può comportare l'esclusione, ma è necessario che, almeno, concerna il risultato finale che un comportamento, pur genericamente contemplato, produca. E ciò solo se lo specifico risultato coincida con l'interesse sociale protetto dalla clausola d'esclusione.

Questa la ragione del riconoscimento da parte del Tribunale di Milano della legittimità anche di ipotesi del tipo:

a. «è escluso il socio che abbia commesso gravi inadempienze che non solo impediscano il raggiungimento dello scopo sociale ma che abbiano inciso negativamente sulla situazione della società rendendone meno agevole il perseguimento del fine»;

b. «è escluso il socio che abbia assunto obbligazioni in nome e per conto della società senza averne i poteri».

Se le conclusioni sub b appaiono coerenti con la premessa, non appare condivisibile, al contrario, l'indicazione di cui al punto a.

In essa, infatti, appaiono generiche non solo le fattispecie comportamentali (le gravi inadempienze), ma anche i risultati (che rendono meno agevole il perseguimento del fine "sociale").

Clausole statutarie e procedimento di esclusione. Cenni all'ipotesi in cui la clausola taccia sul procedimento

Un cenno a sé merita il procedimento di esclusione posto che l'articolo 2473-bis c.c. sul punto tace, praticamente, del tutto salvo a precisare che trova applicazione l'art. 2473 c.c., in tema di recesso, ad eccezione del caso in cui la quota del socio vada liquidata con riduzione del capitale sociale.

Va da sé che inserita una clausola d'esclusione nello statuto, il medesimo debba farsi carico della disciplina del procedimento dal momento che la sua assenza, mancando disposizioni ordinamentali a carattere suppletivo, renderebbe, a dir poco, complessa l'eventuale attuazione.

Vale, innanzitutto, sciogliere il nodo in ordine al generale profilo di legittimità di una clausola statutaria che taccia, del tutto, sul procedimento.

Deve opinarsi per la legittimità di una siffatta previsione statutaria.

In particolare, ritenendo che la competenza naturale alla decisione di esclusione sia dei soci, sembra che il modello "privilegiato" di riferimento, cui supra s'è fatto cenno, appare sufficiente a colmare, per via analogica, le lacune di disciplina: l'art. 2287 c.c. prevede, infatti, che «l' esclusione è deliberata a maggioranza dei soci, non computandosi nel numero il socio da escludere, ed ha effetto decorsi trenta giorni dalla data di comunicazione del socio escluso».

Ma anche laddove si opini - come chi scrive - per la sostanziale natura gestoria dell'esclusione, la legittimità di una clausola che taccia sul procedimento appare fuori discussione: in tal caso, infatti, sarà l'organo amministrativo secondo le regole dell'amministrazione sue proprie che provvederà ad adottare la decisione d'esclusione.

Ove si dia preferenza alla prima ricostruzione, se ne ricava che la competenza alla decisione è dei soci, e che non v'è ragione di affidare la sua modalità operativa al sistema collegiale, non versando in alcuna delle ipotesi di cui all'art. 2479, comma 4, c.c. Piuttosto la scelta della natura deliberativa e non gestoria comporta altre conseguenze applicative di non poco conto. Giova ricordare, infatti, che il «modello di riferimento» (art. 2287 c.c.) richiede una maggioranza per capi e non per quote. Se ne deve desumere che, in assenza di una clausola di specificazione della procedura, la norma dovrebbe trovare piena applicazione, con la conseguenza che, pur trattandosi di società di capitali, la maggioranza si calcolerà per capi e non per quote (escluso il voto dell'escludendo). Il che varrebbe a sottolineare, ulteriormente, l'importanza di una clausola che si preoccupi di disciplinare il procedimento di esclusione.

Di particolare delicatezza è il caso in cui la Srl sia composta da due soci, vi sia clausola d'esclusione che taccia in punto procedimentale.

Molti autori [nota 40], muovendo dal presupposto della competenza dell'organo "deliberativo" ritengono di poter ricorrere all'applicazione del generale principio di cui all'articolo 2287 c.c. secondo cui, in tal caso, l'esclusione è pronunziata dal Tribunale. Risulta - cionondimeno - trascurata la circostanza secondo cui la ratio della norma citata va rintracciata nella circostanza che nella società di persone con due soci è impossibile raggiungere la maggioranza per capi di cui al primo comma dell'articolo 2287 c.c. [nota 41] Occorrerebbe, infatti, considerare che, in linea di principio, la maggioranza nella Srl sarebbe per quote e non per capi. Peraltro, recente ed incontrastata giurisprudenza ha avuto occasione di sottolineare [nota 42] che «la previsione di cui all'art. 2287, comma 3, c.c., secondo la quale nelle società di persone composte da due soli soci l'esclusione di uno di essi può essere disposta solo dal Tribunale a conclusione di un ordinario giudizio di cognizione, è previsione eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica …».

In realtà, aderendo alla ricostruzione che assegna alla competenza gestoria la naturale sovranità alla decisione d'esclusione si darà il caso di quest'alternativa sempre nell'ipotesi di Srl composta da due soci:

- che da escludere sia il socio unico amministratore;

- che da escludere sia il socio amministratore di un organo collegiale composto da due soggetti;

- che da escludere sia il socio amministratore di un organo che possa agire con poteri disgiunti;

- che da escludere sia il socio amministratore di un organo che possa agire con poteri congiunti;

- che da escludere sia il socio non amministratore.

Può concludersi ritenendo che ogniqualvolta l'organo amministrativo non sia in grado di funzionare - vuoi per la sua monocraticità, vuoi per le regole di funzionamento sue proprie (si pensi ad un'amministrazione plurima congiunta) - si potranno attivare alternativamente i diritti di controllo dei soci (non amministratori) di cui all'articolo 2476, comma 2, c.c., o lo scioglimento della società per impossibilità di funzionamento (articolo 2484, n. 3, c.c.), con conseguente intervento dell'autorità giudiziaria per le competenze.

Tuttavia, laddove da escludere sia il socio non amministratore, non sembra in alcun modo preclusa la facoltà del socio amministratore di provvedervi, né si rivela necessario l'intervento dell'autorità giudiziaria ex art. 2287 c.c. non ricorrendo in alcun modo la ratio lì contemplata e stante la condivisa eccezionalità della sua natura, come sottolineata in giurisprudenza.

Resta da considerare come in tal caso, e più in generale, possa proteggersi il socio avverso il quale sia adottato il provvedimento d'esclusione.

Chi opina per la natura deliberativa dello stesso è tendenzialmente portato ad applicare analogicamente il potere d'opposizione mutuandolo dall'applicazione dell'articolo 2287 comma 2 c.c. Vale comunque segnalare che anche la disciplina delle società cooperative prevede che avverso la decisione dell'organo che abbia deliberato l'esclusione (di norma l'organo amministrativo salvo che lo statuto diversamente non disponga) l'escluso possa fare opposizione ricorrendo al Tribunale [nota 43].

Insomma, il sistema non consente a nessun organo di escludere senza riconoscere all'escluso il diritto d'opporvisi, diritto che, poi, è la manifestazione del più generale potere di difesa processuale di fronte alla risoluzione per inadempimento.

Resterebbe da considerare se al socio di Srl debba riconoscersi un potere analogo a quello del socio di SpA leso nei suoi diritti dalle decisioni dell'organo amministrativo di cui all'art. 2388, comma 4, c.c. [nota 44]

In ogni caso, il ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria non sembra in alcun modo potersi escludere.

La più ampia libertà sembra da riconoscersi relativamente alle forme di comunicazione al socio del provvedimento d'esclusione.

Il contenuto della clausola statutaria che disciplini il procedimento d'esclusione. Un cenno all'efficacia dell'esclusione

Occorre in questa sede preliminarmente chiedersi se sia legittima la clausola che assegni il potere di deliberare l'esclusione ai soci o all'organo amministrativo.

Condividendo l'idea della natura gestoria della decisione de qua, entrambe le clausole appaiono valide.

Il sistema Srl pacificamente, infatti, consente l'assegnazione di poteri amministrativi ai soci.

In tal caso deve ritenersi legittima la clausola che assegni il calcolo delle maggioranze alle quote e non ai capi, con la conseguenza, in tal caso, che se l'escludendo è socio di maggioranza la delibera sarà assunta dalla maggioranza della minoranza ammessa al voto.

Parimenti legittima è la clausola che fissi la regola di una maggioranza per capi.

Escluso che possano considerarsi operative tout court le ipotesi di esclusione cd. "di diritto" disciplinate dall'art. 2288 c.c. per le società di persone, deve sottolinearsi come taluni non dubitino che esse possano invocarsi statutariamente quali ipotesi di esclusione automatica nel modello Srl [nota 45].

Vale, per contro, quanto sopra specificato per la nozione di causa giusta di esclusione quale elemento che differenzia la disciplina delle società di persone da quella delle società a responsabilità limitata, e segnatamente ad escluderne la configurabilità pure nell'ipotesi di espresso richiamo statutario.

Nessun dubbio in ordine alla compromettibilità in arbitrato per le controversie derivanti dall'esclusione e\o dal relativo procedimento [nota 46]. In linea generale, infatti, ogni controversia in materia societaria può formare oggetto di clausola compromissoria con la sola esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi.

Da taluno s'è, con interessante prospettiva di vedute, ammessa la clausola che fissi a carico del socio escluso una "penale" con un'articolata pluralità di funzioni sia a carattere risarcitorio che sanzionatorio [nota 47]. E non può che condividersi anche la prevista tecnica redazionale indirizzata tanto nel senso di assegnare al socio escluso il valore della partecipazione a valori ex art. 2473 c.c. al netto di un X % da decurtarsi a titolo di penale, sia con il tradizionale sistema dell'obbligo a corrispondere una somma.

Di difficile inquadramento è la questione dell'efficacia dell'esclusione. Senza qui entrare nel merito del rapporto tra efficacia del recesso ed efficacia dell'esclusione, non si può fare a meno di notare che sarebbe quanto meno paradossale rinviare oltre misura nel tempo l'effetto dell'esclusione dal momento che essa si apprezza come reazione dell'ente ad una vicenda lato sensu d'inadempimento. Giova, a tale riguardo, ricordare che ai sensi dell'art. 2287 c.c. l'esclusione nelle società di persone ha effetto decorso il termine di 30 giorni concesso al socio per fare opposizione. L'aver considerato quello delle società di persone - sia pure, per il vero meno di quanto non sembri a prima lettura - il modello privilegiato di riferimento della disciplina analogica dell'esclusione nelle Srl impone di considerare per quest'aspetto l'applicazione del precetto lì stabilito, non inferendo quest'ultimo sui segnalati caratteri d'eccezionalità della norma.


[nota 1] Cfr., ad esempio, Cass. civ. 25 giugno 2008, n. 17337.

[nota 2] Tribunale di Treviso, 17 giugno 2005, in Riv. not., 2, 2007, parte II, p. 452 e ss., con nota critica di G.M. MICELI, e G.A.M. TRIMARCHI, «I limiti all'autonomia statutaria nella Srl. in tema di esclusione per giusta causa e di obblighi dei soci tra silenzio ed ermetismo legislativo»; Tribunale di Milano, 31 gennaio 2006, in Soc., 11, 2006, p. 1403 e ss., con nota di A. FUSI; Corte di Appello di Napoli, 9 -11 maggio 2007 inedita; Tribunale di Lucca, 11 gennaio 2005, in Vita not., 2007, 2, p. 756 e ss.

[nota 3] Così, tra gli altri, M. MALTONI, «Il recesso e l'esclusione nella nuova società a responsabilità limitata», in Notariato, 3, 2003, p. 314.

[nota 4] Il che conferma che l'esclusione è concetto più ampio del "semplice" inadempimento: mentre l'inadempimento, infatti, consiste nella non esatta esecuzione della prestazione da parte dell'obbligato-debitore, le ipotesi di esclusione assorbono anche fattispecie diverse dall'astratta non coincidenza del comportamento dell'obbligato con la prestazione prevista. Fattispecie la cui rilevanza, in termini di esclusione, diventa assorbente in quanto la specificità consente d'individuare comportamenti non direttamente derivanti dalle pretese che tipicamente la società può avanzare verso il socio.

[nota 5] In precedenza non avevo considerato adeguatamente tale circostanza concludendo che, al pari del recesso, anche l'esclusione finisse per interferire con l'organizzazione sociale nel suo complesso. Sia consentito sottolineare tale mia riconsiderazione rispetto a quanto sostenuto in La Giurisprudenza del "post-riforma" per la Srl - Diritti particolari ed esclusione del socio: clausole, delibere e responsabilità notarile, in AA. VV., Professione e Ricerca. Attualità e problematiche in materia di società, famiglia e relativi profili fiscali, Convegno di Trani, 22 - 23 giugno 2007, Monopoli - Bari, 2008, p. 15 e ss.

[nota 6] Sul punto cfr. V. PAPPA MONTEFORTE, «L'esclusione del socio nella nuova Srl», in Notariato, 2003, p. 651. Così anch'io ritenevo nel mio La Giurisprudenza del "post-riforma" per la Srl…, cit., p. 35.

[nota 7] Si pensi, a mò d'esempio, alle inadempienze relative al regolamento o al rapporto mutualistico di cui all'art. 2533, n. 2, ultima parte, c.c. Sia consentito, a tale riguardo il rinvio al mio La Giurisprudenza del "post-riforma" per la Srl …, cit., p. 15 e ss.

Quanto alla compatibilità tra le ipotesi di cui ai numeri 1, 4 e 5 dell'articolo 2533 c.c. e la Srl, in verità, non v'è motivo di dubitare poiché quella di cui al numero 1 (casi previsti dall'atto costitutivo), risulta generica e, forse, espressamente assorbita nel disposto del 2473-bis c.c. Né appaiono incompatibili le fattispecie di cui ai numeri 4 e 5 della citata norma dal momento che i richiami agli artt. 2286 e 2288 c.c., ossia a norme proprie di società lucrative di persone, mostrano piena sovrapponibilità con il modello della Srl.

[nota 8] Si pensi ad una clausola di gradimento non mero, ma oggettivo, ossia che fissi dei requisiti al conseguimento della qualità di socio, come ad esempio all'esercizio di certe attività da un certo periodo.

[nota 9] D. GALLETTI, Sub art. 2473-bis, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A.M. Maffei Alberti, Padova, 2005, p. 1916.

[nota 10] Singolare, per quest'atto, è la previsione dell'ottenimento della liquidazione della quota da parte del creditore, la quale, più che l'esclusione in senso stretto, determina scioglimento del rapporto sociale in ragione della necessità di monetizzare - a beneficio del creditore procedente - il valore corrispondente alla partecipazione sociale, in guisa che l'esclusione appare l'effetto finale della liquidazione della quota, piuttosto che il suo presupposto com'è nelle altre fattispecie.

[nota 11] Che può "sospendere" l'esecuzione.

[nota 12] In relazione alla quale si vedano anche le norme degli artt. 2319 e 2259 c.c.

[nota 13] A. BUSANI, Srl, Milano, 2004, p. 388.

[nota 14] Vale sottolineare che nelle società cooperative riformate non ricorrono ipotesi di esclusione di diritto. In esse si distinguono le cause legali dalle cause statutarie. Tra le prime si rintracciano: il socio moroso (art. 2531 c.c.); il socio che sia inadempiente ad obbligazioni a suo carico stabilite dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento, o dal rapporto mutualistico; il socio originariamente mancante o nel quale siano venuti meno i requisiti soggettivi per l'ingresso in società; il socio che si trovi nelle ipotesi previste dall'articolo 2286 c.c. o che sia stato dichiarato fallito.

Le seconde sono quelle previste nell'atto costitutivo. Risulta centrale in questa disciplina la rilevanza del procedimento di esclusione che attribuisce un ruolo centrale all'organo amministrativo, salvo che l'atto costitutivo non lo affidi all'assemblea, fermo, in ogni caso, il diritto del socio d'opporsi con procedimento (giudiziario) innanzi al Tribunale.

[nota 15] Cass. 13 maggio 1957, n. 2212, in Giur. it. Mass., 1957, p. 495 e ss.

[nota 16] Ex multis, di recente, cfr. Cass. 12 dicembre 2005, n. 27387, in Giust. civ. Mass., 2005, VII e VIII.

[nota 17] Cfr., ex multis, C. ESPOSITO, «L'esclusione come strumento generale di exit societario», in Riv. not., 2004, p. 261.

[nota 18] C. ESPOSITO, op. ult. cit., p. 264.

[nota 19] P. PISCITELLO, Recesso ed esclsuione nella Srl, in Il nuovo diritto delle società - Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 3, Torino, 2007, p. 736.

[nota 20] P. PISCITELLO, op. ult. cit., p. 737.

[nota 21] Salve le ipotesi specifiche nel precetto normativo non riconducibili alla nozione d'inadempimento nemmeno in senso lato (interdizione, inabilitazione, fallimento, assoggettamento a procedura d' "esproprio" della propria quota da parte del creditore individuale).

[nota 22] Peraltro nel limite, come anticipato, della legittimità. E così, ad esempio, non può non condividersi quell'orientamento che ha ritenuto l'illegittimità della clausola di esclusione fondata sulla proposizione di azioni giudiziarie da parte del socio verso altri soci, o verso la società o suoi organi, trattandosi di clausola che riduce - o addirittura mira a precludere - il diritto alla difesa ed il libero esercizio delle proprie azioni da parte di chi ne è titolare (cfr. Corte di Appello di Milano, 14 ottobre 1988, in Soc., 1989, p. 266 e ss.). Nello stesso contesto è stata, invece, correttamente ritenuta legittima la clausola che colleghi l'esclusione alla mancata partecipazione del socio alla vita sociale per un certo periodo e la riconnetta alla mancata partecipazione alle assemblee, così come lo sono quelle che lasciano dipendere il provvedimento di esclusione dalla violazione del rapporto di mutualità o anche dalla violazione di obblighi extra sociali funzionalmente connessi alla realizzazione di scopi sociali (cfr. Cass. 29 ottobre 1996, n. 9445, in Foro it., 1996, I, c. 3673 e ss. Ivi, in particolare, afferma la S.C. che: «… neppure può sostenersi, d'altronde, che l'invalidità di detta clausola deriverebbe dal suo riferirsi anche a situazioni … non … ricollegabili direttamente al rapporto sociale, ma derivanti anche da rapporti … che il socio può intrattenere con la società alla stessa stregua di qualsiasi terzo. Nelle cooperative i rapporti che i soci intrecciano con la società, in relazione a quanto forma oggetto dell'attività di questa, hanno sempre un legame funzionale con il rapporto sociale, la cui ragion d'essere sta, appunto, nel consentire o facilitare l'instaurazione di quegli ulteriori rapporti. E questo già vale a spiegare come, in termini generali, l'eventuale crisi di uno di tali rapporti possa riflettersi anche sul rapporto sociale …»).

[nota 23] Corte di Cassazione, 29 ottobre 1996, n. 9445, in Foro it., cit. È stato, inoltre, autorevolmente affermato nel senso del testo che «... lo statuto può prevedere specifiche cause di esclusione che potranno riguardare, per esempio, la correttezza del comportamento relativo all'adempimento degli obblighi sociali ... ». V. SALAFIA, «Statuti e riforma societaria: organizzazione, rapporti fra i soci, attività sociali, patti parasociali», in Soc., 2003, p. 414. Parimenti pure s'è precisato che «... devono ritenersi invalide quelle clausole che consentano l'esclusione per cause genericamente riconducibili all'interesse sociale …». A. CARESTIA, Sub art. 2473-bis, in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, AA.VV., Società a responsabilità limitata, Milano, 2003, p. 155 e ss.; nello stesso senso del testo, sia pure con minore convinzione, appare indirizzato F. ANNUNZIATA, Sub art. 2473-bis, in Commentario alla riforma delle società diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Società a responsabilità limitata, a cura di L.A. Bianchi, Artt. 2462 - 2483 c.c., Milano, 2008, p. 538 e ss.

[nota 24] Contra F. MAGLIULO, in C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F. Tassinari, La Riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2007, p. 298.

[nota 25] M. PERRINO, «La rilevanza del socio nella Srl: recesso, diritti particolari, esclusione», in Giur. comm., 2003, 6, p. 837.

[nota 26] L'esempio è ripreso da C. ESPOSITO, op. cit., p. 263.

[nota 27] Cfr. Corte d'Appello Milano, 14 novembre, 1988, cit.

[nota 28] Di recente sul tema si veda C. CHIOZZI, «L'esclusione dell'unico socio accomandatario», in Riv. not., 2007, 4, p. 973 e ss.

[nota 29] Tribunale di Napoli, 16 marzo 1989, in Dir. fall., 1989, II, p. 765 e ss.

[nota 30] Così, per le cooperative, Cass. 17 gennaio 1983, n. 343, in Soc., 1983, p. 891 e ss.; per le società di persone cfr. F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Tratt. dir. comm. dir. pubbl. ec., vol. XXIX, 2003, p. 327. Contra M. MALTONI, «Il recesso e l'esclusione nella società a responsabilità limitata», in Notariato, 2003, 3, p. 316, secondo cui la causa d'esclusione deve riguardare la persona del socio e non il rapporto di gestione.

[nota 31] C. ESPOSITO, op. ult. cit., p. 264.

[nota 32] Il dibattito esigerebbe quantomeno un chiarimento in ordine al complesso problema della natura, e quindi della disciplina del conferimento di opere e servizi in Srl ciò che risulta estraneo agli scopi del presente lavoro. Qui giovi solo ricordare che secondo alcuni essendo il richiamo di cui all'ultimo comma dell'articolo 2466 c.c. in funzione dell'interesse dei terzi, in conseguenza della acquisizione del valore garantito risulterebbe soddisfatto l'interesse protetto, e non vi sarebbe ragione di non considerare il socio d'opera non soggetto alla medesima esclusione del socio moroso in senso stretto: V. SALAFIA, op. cit., p. 5. Contra F. MAGLIULO, op. cit., p. 330, ad avviso del quale l'applicazione del procedimento d'esclusione di cui all'articolo 2466 c.c. in tale caso apparirebbe eccessivo.

[nota 33] Tornando a quanto in precedenza precisato, meglio si comprende ora la ragione per cui una clausola di esclusione per mancanza di requisiti dei soci, in una Srl, in astratto non può giudicarsi configurare una causa giusta o ingiusta di esclusione, eppur tuttavia, si apprezza senz'altro giusta se, nel contesto negoziale di cui trattasi, l'autonomia privata inserisca un gradimento per l'ingresso di soci in società. Gradimento legato, magari, a certi requisiti soggettivi, di guisa che quella clausola (d'esclusione appunto) miri, in sostanza, alla conservazione dei detti requisiti manente societate.

[nota 34] Altrove s'è dimostrato che la normativa di società fiduciarie non impone come inderogabile il principio della "riservatezza" ma solo come funzionale ai rapporti tra fiduciante e fiduciario. Sul punto Tribunale di Treviso, 17 giugno 2005, in Riv. not., 2, 2007, parte II con nota critica di G.M. Miceli, e G.A.M. TRIMARCHI, op. cit., p. 461.

[nota 35] Il che porta ad escludere l'ammissibilità del recesso ad nutum da SpA.

[nota 36] Sul punto O. CAGNASSO, «L'esclusione del socio nelle società di persone», in NDS, 2008, 22, p. 6 e ss.

[nota 37] O. CAGNASSO, op. ult. cit., p. 6.

[nota 38] Donde, appunto, la legittimità dell'esclusione di che trattasi.

[nota 39] Tribunale di Milano, 31 gennaio 2006, in Soc., 11, 2006, p. 1403 e ss.

[nota 40] Cfr., ex multis, F. ANNUNZIATA, Sub art. 2473-bis, in Commentario alla riforma delle società diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, cit., p. 543. Io stesso ho ritenuto che così potesse articolarsi la soluzione del problema in La Giurisprudenza del "post-riforma" per la Srl…, cit.

[nota 41] Così, recentemente, Cass. civ. 19 settembre 2006, n. 20255.

[nota 42] Cass. civ. 10 gennaio 1998, n. 153, in Giur. it., 1998, p. 721 e ss.

[nota 43] È stabilito un termine di sessanta giorni.

[nota 44] Soluzione che esigerebbe un approfondimento del sistema del controllo dei soci e dei poteri connessi nel nuovo sistema della Srl estraneo allo scopo di questa indagine e cionondimeno non del tutto peregrina solo se si tiene in conto che la disciplina speciale della Srl consente al socio «in caso di gravi irregolarità nella gestione» di attivarsi in Tribunale per ottenere la revoca giudiziale dell'amministratore o degli amministratori responsabili.

[nota 45] Sembra orientato nella stessa direzione L. BARCHI, «L'esclusione del socio nella società a responsabilità limitata», in Notariato, 2, 2006, p. 149 e ss. Dello stesso avviso anche F. ANNUNZIATA, Sub art. 2473-bis, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, cit., p. 544.

[nota 46] Ex multis, Tribunale di Napoli, 26 marzo 2003, in Giur. mer., 2003, 1, p. 1021 e ss.; e più di recente Tribunale di Bari, 07 febbraio 2007, n. 327.

[nota 47] L. BARCHI, «L'esclusione del socio nella società a responsabilità limitata», cit., p. 149 e ss.

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