Le funzioni degli organi gestionali delle Srl tra disciplina legale e disciplina statutaria
Le funzioni degli organi gestionali delle Srl tra disciplina legale e disciplina statutaria
di Giustino Di Cecco
Associato di Diritto Commerciale, Università di Roma Tre

Premessa

È noto che l'ambito delle funzioni rimesse all'organo di gestione nel modello tipologico delle società a responsabilità limitata non coincide, per difetto, con lo spettro del complesso delle funzioni gestorie dell'organizzazione sociale. Anche, infatti, nell'ipotesi di assenza di qualsivoglia determinazione derogatoria da parte dell'atto costitutivo, la legge attribuisce espressamente (ed in ogni caso) alla competenza dei soci «la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti dei soci» (art. 2479, comma 1, n. 5, c.c.) oltre che ogni determinazione «sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione» (art. 2479, comma 1, prima parte, c.c.).

Peraltro, come è altrettanto noto, l'autonomia statutaria ha, in tale tipo di società, ampia possibilità di dilatare ulteriormente l'ambito delle competenze decisionali demandate direttamente ai soci, per effetto del combinato disposto dell'art. 2463, comma 2, n. 7, c.c. - che attribuisce all'atto costitutivo il compito di dettare «le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione, la rappresentanza» - dell'art. 2479, comma 1, c.c. - che prevede che la collettività dei soci decida di qualsivoglia materia (anche attinente alla gestione) che sia rimessa alla sua competenza dall'atto costitutivo - e dell'art. 2468, comma 3, c.c., che consente allo statuto di attribuire a singoli soci «particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società».

Dal che si trae la pacifica conseguenza che nelle società a responsabilità limitata le competenze gestorie dell'organo amministrativo [nota 1] si desumono per differenza da quelle che la legge (art. 2479, comma 1, n. 5, c.c.), lo statuto (artt. 2479, comma 1 e 2468, comma 3, c.c.), la volontà di una minoranza qualificata dei soci o la volontà di ogni singolo amministratore (art. 2479, comma 1, prima parte, c.c.) rimettono alla decisione della collettività dei soci o anche (nel caso di scelta statutaria in tal senso) a quella di singoli soci dotati di diritti amministrativi particolari.

Un siffatto sistema pone numerosi interrogativi, tra i quali [nota 2], principalmente, anche quelli relativi alla identificazione a) della portata della traslazione legale disposta dall'art. 2479, comma 1, n. 5, c.c.; b) dei limiti che il sistema pone all'autonomia dei soci nella traslazione statutaria di potere gestorio dall'organo amministrativo in favore della collettività dei soci o di singoli soci; c) dei vincoli posti all'esercizio del diritto della minoranza e del diritto di ciascun amministratore di chiedere la decisione dei soci in luogo di quella dell'organo gestorio per materie di competenza di quest'ultimo; d) delle conseguenze che l'esercizio di tali diritti pone in termini di funzioni esecutive degli amministratori connesse e conseguenti alla decisione dei soci e, quindi, in tema di responsabilità degli amministratori.

Poiché l'ultimo dei suddetti quesiti influenza, in parte, anche alcune delle risposte ai precedenti, conviene partire dal problema degli effetti della traslazione di competenze, opportunamente distinguendo il piano delle conseguenze sui rapporti con i terzi da quello inerente i profili intra-societari.

Gli effetti "esterni" della traslazione di competenza: il regime delle operazioni compiute in difetto di potere deliberativo (cenni)

Lo spostamento di competenze decisorie dall'organo gestorio ai soci pone, evidentemente, il problema della individuazione del regime applicabile agli atti compiuti in difetto di potere deliberativo.

Nonostante la questione fosse, già da tempo, oggetto di profonde divisioni tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, il legislatore della riforma ha omesso qualsivoglia indicazione al riguardo, sia nella disciplina delle società per azioni sia in quella delle società a responsabilità limitata.

Sicché, ancor'oggi occorre fare riferimento sul punto alle due linee di pensiero che, sin dagli anni Sessanta, si contendono il campo.

L'una, più tutelante per la società, ritiene che la carenza di potere decisionale sia opponibile a tutti i terzi non in buona fede (al pari di quanto accade in ipotesi di annullamento delle deliberazioni assembleari o consiliari a norma dell'art. 2378, comma 7, c.c. - richiamato espressamente anche dall'art. 2479-ter, ultimo comma, c.c. - e degli artt. 2388, ultimo comma, 2391, comma 3 e 2475-ter, commi 1 e 2, c.c.) [nota 3].

L'altra, più tutelante per i terzi, afferma l'applicabilità anche a tale fattispecie del principio (ora) sancito - dagli artt. 2384, comma 2, e 2475-bis, comma 2, c.c. - in tema di difetto di potere di rappresentanza secondo il quale la carenza di potere è opponibile soltanto ai terzi che abbiano intenzionalmente agito a danno della società [nota 4].

Nella sostanziale equivalenza delle argomentazioni sistematiche, la seconda impostazione pare più coerente con la generale tendenza a riconoscere l'irrilevanza esterna dei vizi degli atti interni alle società di capitali evidentemente al fine di non incidere sulla rapidità e sulla sicurezza degli scambi commerciali e di non imporre oneri di informazione a carico del terzo su documenti non accessibili pubblicamente (quali sono quelli interni relativi al processo decisionale) [nota 5].

Ciò non di meno, non può non dirsi come il problema sia destinato, soprattutto nel contesto delle società a responsabilità limitata, ad assumere una significativa importanza, proprio in considerazione della naturale frammentazione del potere decisionale tra soci ed amministratori. Il che, evidentemente, impone una ben più attenta riflessione [nota 6].

Gli effetti "interni" della traslazione ai soci di taluni poteri gestori e le residue competenze dell'organo amministrativo

Quale che sia la ragione della traslazione del potere decisionale dall'organo amministrativo ai soci (collettività o singoli che siano) - e, dunque, sia in ipotesi di ricorrenza di un limite legale o statutario, sia in caso di esercizio del diritto della minoranza (o di singoli soci dotati di tale singolare diritto statutario) o, ancora, di un singolo amministratore - occorre chiedersi quale ruolo la legge rimetta agli amministratori in presenza di una decisione gestoria assunta, per l'appunto, dai soci.

Il problema dipende dalla concreta portata del combinato disposto delle disposizioni dettate in materia di responsabilità degli amministratori (ex art. 2476, comma 1, c.c.), di responsabilità dei soci (ex art. 2476, comma 7, c.c.) e di legittimazione all'impugnazione delle decisioni dei soci (ex art. 2479-ter, comma 1, c.c.) e, certamente, ruota attorno al fatto che l'esecuzione da parte degli amministratori di una decisione gestionale assunta da uno o più soci (ovviamente non amministratori) può essere fonte di responsabilità (anche o soltanto) per i primi per l'eventuale danno cagionato alla società.

Rilevato che la corresponsabilità dei soci che abbiano «intenzionalmente» deciso o autorizzato singole operazioni dannose (di cui all'art. 2476, comma 7, c.c.) è, per l'appunto, corresponsabilità e non responsabilità esclusiva, non pare esservi dubbio sul fatto che gli amministratori che eseguano una (altrui) decisione dannosa per la società non possano invocare, quale esimente della propria responsabilità, la circostanza che non abbiano assunto la relativa decisione (sulla falsa riga, peraltro, di quanto ora espressamente previsto dall'art. 2364, comma 1, n. 5, c.c. in tema di società per azioni per l'analoga fattispecie delle operazioni autorizzate dall'assemblea dei soci [nota 7]) [nota 8].

Se così è, tuttavia, è giocoforza desumerne la conseguenza che gli amministratori debbano poter legittimamente rifiutare l'esecuzione di ogni decisione dei soci da loro ritenuta dannosa per la società [nota 9].

Il che, evidentemente, pone l'ulteriore questione se tale rifiuto di esecuzione debba o meno connettesi all'impugnazione della relativa decisione dei soci tesa ad ottenere la sospensione giudiziale dell'efficacia della stessa ex art. 2378, comma 3, c.c. (espressamente richiamato dall'art. 2479-ter, ultimo comma, c.c.).

Peraltro, qualora si ritenga che la non esecuzione della decisione sia legittima soltanto in ipotesi di sua impugnazione, occorrerebbe risolvere due ulteriori connessi problemi.

Il primo riguarda il significato da attribuire all'esonero previsto dall'art. 2476, comma 1, c.c. a favore dell'amministratore che - essendo esente da colpa - faccia annotare il proprio dissenso, non essendo chiaro, se, nel caso di gestione affidata ad un organo collegiale (cioè in ipotesi di consiglio di amministrazione tradizionalmente inteso [nota 10] o di amministrazione congiuntiva a maggioranza), la mera annotazione del dissenso circa la decisione collettiva di non procedere alla impugnativa sia sufficiente ad ottenere la suddetta esimente, posto che la prescritta necessità dell'assenza di colpa potrebbe imporre al singolo amministratore dissenziente un vero e proprio onere di impugnazione autonoma della decisione dei soci, in coerenza con il fatto che la relativa legittimazione attiva prescritta dall'art. 2479-ter, comma 1, c.c. pare essere individuale [nota 11].

Il secondo, invece, riguarda l'identificazione del teorico presupposto su cui l'impugnazione dell'amministratore o degli amministratori potrebbe o dovrebbe fondarsi.

Come è noto, l'art. 2479-ter, comma 1, c.c. consente l'impugnazione delle sole decisioni non assunte «in conformità della legge o dell'atto costitutivo».

Sicché, delle due l'una: o si ritiene che i soci che assumano una decisione gestoria siano tenuti (per legge) alla medesima diligenza (professionale o no è problema ulteriore) [nota 12] richiesta agli amministratori ed allora l'azione potrà e dovrà fondarsi su tale violazione di legge; ovvero si è costretti a concludere che in ipotesi di decisione colposamente non diligente dei soci l'azione non potrà essere esperita ed allora occorrerà riconoscere agli amministratori il diritto di non dare esecuzione alla decisione dei soci anche senza procedere alla relativa impugnazione.

In dottrina, con non poche tesi intermedie [nota 13], si è rilevato sia che i soci che assumono decisioni gestorie sono tenuti a rispettare un (in vero non chiarissimo) «dovere fiduciario nei confronti della società» che li renderebbe responsabili anche per colpa [nota 14], sia, all'esatto opposto, che - proprio perché ai soci non può essere richiesto alcun obbligo di diligenza - non vi sarebbe alcuna responsabilità se non nell'ipotesi estrema di volontà del socio tesa intenzionalmente ad arrecare un danno alla società, con l'ulteriore conseguenza di dover escludere che lo statuto possa attribuire ai soci poteri decisionali in materia di gestione «vincolanti per gli amministratori» o poteri di gestione diretta senza l'assunzione della carica di amministratori [nota 15].

Ambedue le posizioni, tuttavia, appaiono estreme: la prima dal momento che la lettera della norma di cui all'art. 2476, comma 7, c.c. sembra voler circoscrivere la (co-) responsabilità dei soci ai soli casi di intenzionalità dannosa [nota 16]; la seconda in considerazione del fatto che il tenore letterale degli artt. 2479, comma 1, e 2468, comma 3, c.c. pare consentire espressamente quella traslazione di poteri gestori in favore della collettività dei soci o di singoli soci che si finirebbe per negare del tutto.

In realtà, una diversa soluzione pare potersi individuare facendo leva sulla prescritta co-responsabilità (ancorché a diverso titolo e con diversi presupposti) tra amministratori e soci, posto che un tale regime delle conseguenze suggerisce l'idea che tra i medesimi soggetti sussista un vero e proprio potere di co-gestione [nota 17], nel senso che allorquando ai soci sia sottoposta una decisione di gestione, agli amministratori sarebbe, ex lege, lasciata la funzione di verificarne, con la dovuta diligenza professionale loro ordinariamente richiesta, l'assenza di potenziale dannosità [nota 18].

In quest'ottica, gli amministratori sarebbero titolari di un vero e proprio potere-dovere di controllo di merito della decisione gestoria assunta dei soci al (solo) fine di impedire il compimento di atti dannosi per la società, pena la loro stessa responsabilità [nota 19].

Una simile costruzione ha, peraltro, due distinti pregi ed un corollario di non irrilevante portata.

Il primo merito è quello di consentire di sciogliere in senso negativo il dubbio circa la necessità o meno della correlativa impugnazione della decisione dei soci (e, soprattutto, del relativo presupposto), dal momento che all'organo amministrativo si riconosce la titolarità di un potere di non esecuzione del tutto autonomo rispetto al potere di decisione dei soci.

Il secondo pregio è quello di scongiurare il rischio di dover ammettere che una decisione dannosa assunta con colpa (ma senza dolo) dai soci possa essere fonte di responsabilità per gli amministratori che vi hanno dato esecuzione anche nell'ipotesi in cui questi non abbiano né la possibilità di impugnarla né quella di non eseguirla in una inammissibile situazione di responsabilità senza potere (degli amministratori) e di potere senza responsabilità (dei soci) [nota 20].

Il corollario riguarda il fatto che, conseguentemente, l'organo dotato di potere di rappresentanza ha l'onere di sottoporre la decisione dei soci al vaglio degli amministratori prima di darvi esecuzione, al fine di consentire la verifica dell'organo amministrativo (e del collegio sindacale, ove esistente) circa l'assenza di potenziali effetti dannosi.

Non credo, infine, che l'autonomia statutaria possa derogare ad un simile sistema legale di ripartizione delle competenze e delle responsabilità, trattandosi di un aspetto essenziale del modello organizzativo tipologico delle società a responsabilità limitata [nota 21].

Ciò posto si può passare, rapidamente, ad esaminare qualche questione relativa alle diverse ipotesi di traslazione ai soci di poteri decisionali. Invertendo un ordine che ormai pare consolidato nella trattazione del tema, pare opportuno prendere le mosse dal caso della c.d. provocatio ad populum [nota 22] per poi, in rapida successione, passare ad esaminare sia il caso della traslazione di poteri prevista dallo statuto sia, da ultimo, quello della traslazione imposta dalla legge.

La traslazione dei poteri gestori in favore dei soci per effetto dell'esercizio del diritto della minoranza o di un singolo amministratore

L'art. 2479, comma 1, prima parte, c.c. si limita a prescrivere il diritto della minoranza (titolare di almeno un terzo del capitale sociale) e quello, identico, di «uno o più amministratori» di richiedere la sottoposizione di singoli argomenti alla «approvazione» dei soci.

La norma, pur nella sua apparente linearità, è tutt'altro che di agevole comprensione.

Ancorché il silenzio della legge sul punto non consenta di escludere con certezza ogni dubbio al riguardo, alla prescrizione pare doversi riconoscere natura imperativa, non tanto per l'assenza di ogni riferimento ad una diversa opzione statutaria, quanto piuttosto per la sua rilevanza organizzativa [nota 23] a tutela del buon funzionamento della società. L'istituto in parola, infatti, rappresenta il più efficace contrappeso alla assenza di qualsivoglia diritto di controllo giudiziario sulla gestione, consentendo alla minoranza qualificata (o al singolo amministratore) di imporre ai soci di maggioranza che intendano assumere una certa decisione (oltre l'obbligo di evidenziare i propri eventuali conflitti di interesse) l'onere, rilevantissimo, di assumere una diretta responsabilità patrimoniale per l'ipotesi di danno (a norma dell'art 2476, comma 7, c.c.). Il che, a me pare, sia caratteristica tipologica indisponibile dell'autonomia statuaria [nota 24]. Naturalmente ciò, non significa che l'autonomia statutaria non abbia alcuna possibilità di intervento al riguardo dal momento che nulla vieta che lo statuto detti regole derogatorie in senso più favorevole ai soci (abbassando il quorum previsto dalla legge) o integri la scarna previsione legale con norme procedurali circa le modalità di esercizio dei suddetti diritti, con il solo limite, evidentemente, di non renderne eccessivamente gravosa la relativa fruibilità [nota 25].

In secondo luogo, si è soliti affermare che l'uso del diritto di "avocazione" incontri il limite del rispetto delle competenze inderogabili degli amministratori in tema di redazione del progetto di bilancio, di predisposizione del progetto di fusione o di scissione e di aumento del capitale sociale per delega (art. 2475, ultimo comma, c.c.) [nota 26].

Personalmente, ho qualche dubbio sia sulla estensione di tale (presunta) limitazione sia sulla sua esclusività.

Non mi pare, prima di tutto, che vi siano ragioni di principio per vietare che la minoranza qualificata o il singolo amministratore possano chiedere l'intervento della competenza decisoria dei soci con riguardo alla decisione degli amministratori di esercitare il potere loro delegato dall'atto costitutivo di aumentare il capitale sociale, essendo, quello del delegato, pur sempre un potere concorrente e non certo esclusivo rispetto a quello del delegante. Nulla vieta, dunque, che la decisione sia rimessa ai soci, ferma restando, naturalmente, la necessità che sul punto si raggiunga il medesimo quorum richiesto per le modificazioni statutarie (integrandosi, in tal modo, null'altro che una revoca del potere delegato) [nota 27].

Non mi pare, poi, la norma costituisca l'unico vincolo ricavabile dal sistema al libero esercizio della provocatio, stanti le diverse competenze decisorie rimesse dalla legge espressamente (ed in modo esclusivo) all'organo amministrativo sul piano organizzativo, quali quelle in tema di richiamo dei decimi ex art. 2466 c.c., di quantificazione della quota di liquidazione del socio receduto ex art. 2473 c.c., di obblighi di pubblicità [nota 28] e doveri di informazione [nota 29], oltre che di obblighi di tenuta dei libri contabili e sociali norma dell'art. 2478, comma 2, c.c. e di impulso delle decisioni della collettività dei soci [nota 30].

Sotto un diverso profilo, poi va rilevato che - benché un uso abnorme del suddetto diritto può ben essere fonte di danno per il connesso inevitabile ostacolo alla corretta e proficua gestione sociale - non è semplice individuare i possibili rimedi contro una tale eventualità.

Se, di certo, l'abuso del diritto posto in essere da un singolo amministratore può certamente rappresentare una giusta causa di sua revoca, altrettanto certamente, quello compiuto dal socio di minoranza può importare la sua esclusione soltanto nel caso particolare in cui lo statuto contenga una espressa previsione in tal senso [nota 31].

Conseguentemente, al fine di contenere entro i canoni della correttezza e buona fede il comportamento dei soci, potrebbe ammettersi che l'esercizio del diritto da parte del socio non privi gli amministratori del potere di dare comunque esecuzione alla decisione sulla quale sia stato chiesto l'intervento della collettività dei soci [nota 32].

E ciò non soltanto allorquando ricorra la necessità di evitare un danno alla società (nel qual caso detto potere discende, a fortiori, dell'identico diritto riconosciuto a ciascun amministratore in ipotesi di amministrazione congiuntiva dall'art. 2258, ultimo comma, c.c.), ma anche in ogni ipotesi in cui gli amministratori - ferma restando, naturalmente, la loro responsabilità - ritengano che l'esercizio del diritto di provocatio comprometta la utile gestione della società. Il punto, tuttavia, è dubbio.

Da ultimo resta da chiarire se il diritto del singolo amministratore di rimettere l'operazione all'approvazione dei soci resti identico qualunque sia il regime di amministrazione concretamente prescelto ovvero se sia in qualche modo incompatibile con uno o più dei modelli possibili.

Il dubbio, evidentemente, si pone, con particolare evidenza [nota 33], nel caso di adozione di una forma di gestione di tipo personalistico, visto che, in ipotesi di amministrazione disgiuntiva, il meccanismo pare sovrapporsi (parzialmente) a quello della opposizione di cui all'ultimo comma del richiamato art. 2257 c.c. [nota 34] e che, in ipotesi di amministrazione congiuntiva, il mancato consenso di un solo amministratore pare rendere superfluo ogni coinvolgimento dei soci.

A ben vedere, tuttavia, le cose sono più complesse.

Nel caso di amministrazione disgiuntiva, il diritto di ciascun socio-amministratore di opporsi al compimento di un atto da parte di altro amministratore trova la propria definizione in una decisione di tutti i soci circa l'opposizione, i quali, con le maggioranze calcolate sulla base delle quote di partecipazione agli utili, hanno, alternativamente, il potere di impedire definitivamente il compimento dell'operazione contestata facendo propria l'opposizione ovvero la facoltà di rimuovere l'ostacolo rappresentato dall'opposizione rigettandola e così consentendo a ciascun amministratore (ma senza alcuna imposizione) di compiere l'operazione opposta (ed esonerando l'amministratore opponente da ogni responsabilità per l'ipotesi di danno, avendo egli fatto quanto poteva per impedirne il compimento).

In tale ipotesi, dunque, alla maggioranza calcolata secondo il criterio plutocratico è rimessa la funzione di dirimere l'empasse causato dal conflitto di opinioni tra soggetti dotati di identico potere amministrativo, senza tuttavia che vi sia alcun trasferimento di competenze decisorie ai soci in merito all'operazione contestata, come dimostrato dal fatto che essi sono chiamati a decidere del fondamento dell'opposizione dell'amministratore (e, dunque, del buono o cattivo uso del diritto di opporsi alle operazioni che altri vogliano compiere) e non già della sottostante operazione gestoria [nota 35].

Se così è, se ne deve ricavare che, in tal caso, i soci che decidano di rimuovere l'opposizione non autorizzano né decidono l'operazione e, dunque, che non v'è spazio alcuno per l'applicazione della responsabilità di cui all'art. 2476, comma 7, c.c. Il che, evidentemente, è sufficiente per affermare che i due istituti - quello della provocatio e quello della opposizione alle altrui operazioni gestorie - hanno campi di applicazione [nota 36] ed effetti del tutto diversi e sono, quindi, perfettamente tra loro compatibili [nota 37].

Nel caso, invece, di amministrazione congiuntiva (all'unanimità), il diritto di veto riconosciuto a ciascun amministratore sul compimento di ogni operazione gestoria su cui non si dichiari d'accordo rischia di rendere, di fatto, apparentemente inutile il ricorso alla provocatio, stante comunque la necessità che sull'operazione si formi anche il consenso dell'organo amministrativo (finalizzato alla verifica dell'assenza di dannosità) anche in ipotesi di operazione approvata dai soci.

Ciò non di meno, considerato che la richiesta di sottoposizione ai soci della decisione su cui non v'è accordo tra gli amministratori produce comunque l'effetto di consentire ai soci di venire a conoscenza dell'operazione rimessa al loro vaglio e, quindi, anche di conoscere le ragioni del rifiuto del consenso da parte del singolo amministratore, la provocatio permette ai soci l'adozione di altri opportuni provvedimenti (quali la revoca di un amministratore o la modifica del regime di amministrazione). Sicché, ancorché con qualche difficoltà in più, non pare esservi ragione per affermare che l'istituto della provocatio sia del tutto improduttivo di effetti in ipotesi di amministrazione congiuntiva all'unanimità e, quindi, sia con questo incompatibile.

La traslazione statutaria dei poteri gestori dell'organo amministrativo in favore della collettività dei soci o di singoli soci titolari di particolari diritti attinenti l'amministrazione della società

Rilevato che, formalmente, la legge non pone alcun limite espresso alla traslazione statutaria di poteri gestori in favore della collettività dei soci (a norma dell'art. 2479, comma 1, prima parte, c.c.) o anche di singoli soci (a norma dell'art. 2468, comma 3, c.c.), il primo problema che gli interpreti sono stati chiamati ad affrontare all'indomani della riforma del 2003 è stato quello di chiarire se esistono vincoli di sistema che si frappongono alla apparente ampia libertà statutaria sul punto e, in particolare, se l'autonomia statutaria possa giungere sino al limite estremo di trasferire ogni funzione gestoria ai soci, esautorando integralmente i compiti di gestione dell'impresa ordinariamente rimessi all'organo amministrativo (fermi restando, in ogni caso, le inderogabili altre funzioni organizzative di tale organo) [nota 38].

Parte della dottrina afferma che le uniche materie su cui tale sottrazione di potere decisorio degli amministratori non potrebbe esplicarsi sarebbero quelle elencate nell'ultimo comma dell'art. 2475 c.c. [nota 39]

In verità, tuttavia, non pare che detta norma [nota 40] sia l'unico vincolo di sistema alla traslabilità statutaria delle decisioni gestorie dall'organo amministrativo ai soci [nota 41].

Tra le tante opinioni espresse al riguardo, convincente è l'osservazione secondo cui lo statuto non può spingersi sino al punto di affidare direttamente alla collettività dei soci o a singoli soci l'intera gestione dell'attività sociale, per la semplice, ma decisiva, ragione che ai soli amministratori e non anche ai soci è imposto un generale obbligo di azione diligente (e professionale) [nota 42] e - accogliendo l'idea della co-gestione già illustrata - per la connessa ineluttabile ed insopprimibile competenza degli amministratori di verificare (con la dovuta diligenza) la non dannosità delle decisioni assunte dai soci prima di darvi concreta esecuzione.

Se così è, ne consegue che - pur dovendosi ammettere la piena liceità di una clausola statutaria che rimetta alla collettività dei soci (o a singoli soci) ogni decisione per legge non espressamente attribuita alla competenza dell'organo amministrativo [nota 43] - lo statuto non può comunque esautorare integralmente gli amministratori dall'intero processo decisionale.

La traslazione legale in favore della collettività dei soci di alcune funzioni gestorie

Come si è già detto, l'art. 2479, comma 1, n. 5, c.c. rimette inderogabilmente alla competenza dei soci le decisioni di compiere operazioni che comportino una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti dei soci [nota 44].

Il tema evoca, inevitabilmente, quello, assai articolato e complesso, delle c.d. "competenze implicite" dell'assemblea dei soci nelle società per azioni che, dopo la riforma del 2003 è stato, in tale tipo sociale, legislativamente ridotto, per effetto sia dell'aggiunta all'art. 2380-bis c.c. del famoso avverbio «esclusivamente», sia per l'eliminazione della competenza decisoria dell'assemblea sulle materie ad essa riservate dall'atto costitutivo o sottoposte al suo esame dagli amministratori, di cui al previgente art. 2364, comma 1, n. 4, c.c. [nota 45]

Volendo limitare l'attenzione a pochi e limitati profili, occorre sottolineare che mentre pochi dubbi sono avanzabili con riguardo alla portata del limite di competenza posto per le decisioni capaci di incidere indirettamente sull'oggetto sociale [nota 46], il discorso è molto più complesso per ciò che attiene la carenza di potere dell'organo amministrativo per quelle decisioni gestorie capaci di incidere in modo rilevante sui diritti dei soci.

Al riguardo, occorre osservare che mentre l'art. 2479 c.c. fa genericamente riferimento alla competenza dei soci (o meglio dell'assemblea dei soci) per le decisioni che importano una «rilevante modificazione dei diritti dei soci» senza altra specificazione, l'art. 2473 c.c., invece, - nel riconoscere il diritto di recesso legale ai soci che non hanno acconsentito alla relativa decisione - prende in considerazione il compimento di operazioni che comportino una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci «a norma dell'art. 2468, comma 4, c.c.», facendo, dunque, espresso riferimento ai c.d. "diritti particolari" dei soci [nota 47].

Il diverso tenore letterale dell'art. 2479, comma 1, c.c., pone il dubbio se nell'identificare le materie rimesse da tale norma alla competenza legale inderogabile della collettività dei soci debba aversi riguardo alle operazioni modificative in fatto dei soli diritti particolari dei soci (coerentemente con il diritto di recesso attribuito ex lege ai dissenzienti a norma dell'art. 2473 c.c.) ovvero di tutti i diritti dei soci (come, invece, parrebbe richiedere la lettera dell'art. 2479, comma 1, n. 5, c.c.).

La questione incide significativamente sull'ampiezza dei poteri gestori sottratti agli amministratori.

Nell'ipotesi di assenza di attribuzioni statutarie di diritti particolari a singoli soci, l'interpretazione restrittiva della norma (secondo la quale, dunque, essa trova applicazione, nonostante il diverso tenore letterale, soltanto quale correttivo alle modifiche indirette dei soli diritti particolari) induce a ritenere che nessuna eccezione è posta alla competenza generale degli amministratori per qualsivoglia operazione di gestione (ferma restando, naturalmente, la competenza dei soci per le operazioni capaci di incidere sull'oggetto sociale).

Diversamente, accogliendo una opposta lettura (e ritenendo dunque che, in aderenza alla lettera della norma, ogni modificazione indiretta di un qualsivoglia diritto dei soci, anche non singolare, debba essere rimessa ai soci), tutte le decisioni potenzialmente capaci di incidere sui diritti amministrativi o patrimoniali dei soci dovrebbero ritenersi esulanti dalla sfera delle competenze legali dell'organo gestorio (anche nella neutralità degli effetti dell'operazione sull'oggetto sociale) [nota 48].

Ancorché, naturalmente, non è da escludersi la possibilità che lo statuto possa precisare in modo più puntuale i contorni del suddetto limite alla competenza gestoria, è difficile pensare che ciò sia sufficiente a contenere integralmente l'area dell'incertezza.

È vero, infatti, che un utile effetto potrebbe discendere dalla precisazione statutaria relativa alla tipologia di diritti (particolari o meno) la cui modifica di fatto impone la competenza decisoria dei soci.

Ma è vero anche che, qualora la norma di cui all'art. 2479, comma 1, n. 5, c.c. sia riconosciuta come derogabile [nota 49], una tale prescrizione statutaria potrebbe rischiare di essere inefficace (se recante maglie più larghe di quella legale) o semplicemnte integrativa di quella prescritta dalla legge (se a maglie più stringenti di quest'ultima), senza, dunque, minimamente scalfire l'area di dubbio circa la portata della prescrizione legale.

Quale che sia, dunque, la eventuale scelta statutaria sul punto, non pare che la soluzione sia univoca e certa.

Il che, in sintesi, significa che nelle società a responsabilità limitata le funzioni degli organi gestionali, specie in presenza di diritti particolari dei soci, finiscono per essere caratterizzate dall'avere un contenuto estremamente labile e dai contorni particolarmente incerti.


[nota 1] Le due sole norme di portata generale dedicate all'argomento contengono poche, e peraltro non chiarissime, prescrizioni sui compiti di gestione e di rappresentanza ordinariamente affidati agli amministratori, disponendo unicamente che: i) «salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con decisione dei soci presa ai sensi dell'articolo 2479» (art. 2475, comma 1, c.c.); ii) quale che sia il modello organizzativo prescelto, «la redazione del progetto di bilancio e dei progetti di fusione o scissione, nonché le decisioni di aumento del capitale ai sensi dell'articolo 2481 sono in ogni caso di competenza dell'organo amministrativo» (art. 2475, ultimo comma, c.c.); iii) «gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società» (art. 2475-bis, comma 1, c.c.). Al riguardo, come è talmente noto da non essere neppure necessario puntualizzare i necessari riferimenti, le tre norme pongono problemi di non poco conto non essendo chiaro (tra le altre cose) né la portata ed il significato della possibilità che l'atto costitutivo deroghi al principio dell'affidamento della gestione ad uno o più soci "nominati" con decisione dei soci, né il significato dell'espressione "organo amministrativo" in presenza di modelli gestionali personalistici, né, infine, in che modo il potere di rappresentanza spetti agli amministratori nel silenzio dello statuto sul punto.

[nota 2] Al pari, evidentemente, dei centrali quesiti, esulanti dal tema che qui si indaga, relativi alla natura "sociale" o meno di eventuali diritti particolari attribuiti a singoli soci e alla loro concreta determinazione statutaria, su cui, per tutti, cfr. M. MAUGERI, «Quali diritti particolari per il socio di società a responsabilità limitata», in Riv. soc., 2004, p. 1483 e ss. e L. ABETE, «I diritti particolari attribuibili ai soci di Srl: taluni profili», in Soc., 2006, p. 395 e ss., ove gli ulteriori necessari riferimenti.

[nota 3] Sul punto, per tutti, cfr. G. MINERVINI, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956, p. 125 e 130; P. SPADA, La tipicità della società, Torino, 1974, p. 148 e ss., nota 92; G. LAURINI, «Statuti di società e certezza dei poteri rappresentativi», in Riv. soc., 1981, p. 921, per i quali la dissociazione dei poteri è una delle limitazioni della rappresentanza «che risultano dalla legge» e, di conseguenza, debbono considerarsi escluse dal campo di applicazione dell'art. 2384, comma 2, c.c. In senso conforme, seppure con diversa motivazione, v. anche C. SILVETTI, Rappresentanza e collegialità dell'organo amministrativo nella società per azioni, Milano, 1984, p. 16 e ss., e F. GALGANO, Diritto commerciale. Le Società, Bologna, 1992, p. 279 e, in giurisprudenza, di recente, Cass. 26 gennaio 2006, n. 1525, in Riv. not., 2006, p. 1077 in tema di rilevanza esterna del conflitto di interessi quale limite legale rientrante nel disposto del primo (e non già del secondo) comma dell'art. 2384 c.c.

[nota 4] Nel senso che il procedimento deliberativo non assume rilievo esterno, con la sola eccezione dell'ipotesi prevista dall'art. 2391 c.c. e fermo restando il rimedio dell'exceptio doli per evitare che il terzo possa abusare della protezione accordata dalla società, cfr., tra gli altri, F. BONELLI, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1985, p. 110 e ss.; V. CALANDRA BUONAURA, Potere di gestione e potere di rappresentanza degli amministratori, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 1991, p. 160 e ss.; F. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1995, p. 498; B. QUATRARO - L.G. PICONE, La responsabilità di amministratoti, sindaci, direttori generali e liquidatori di società, Milano, 1998, p. 16 e ss., p. 110 e ss. In giurisprudenza, ex multis, v. Cass. 30 maggio 2000, n. 7180, in Giust. civ. Mass., 2000, p. 1144.

[nota 5] V., soprattutto, V. CALANDRA BUONAURA, Potere di gestione e potere di rappresentanza degli amministratori, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G.B. Portale, cit., p. 169 e, in giurisprudenza, cfr. Cass. 28 novembre 1992, n. 12741, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 11, secondo cui «le disposizioni dello statuto di una società di capitali che attribuiscano all'assemblea dei soci il potere di licenziare dipendenti di una determinata categoria configurano limitazioni al potere sia deliberativo che rappresentativo dell'amministratore avente la rappresentanza legale della società e, pertanto, ai sensi dell'art. 2384, comma 2, c.c., …, non hanno effetto nei confronti dei terzi, fra i quali rientra anche il lavoratore licenziato».

[nota 6] Sul punto, anche per i necessari riferimenti, v., per tutti, C. CACCAVALE, «Modelli di amministrazione nella società a responsabilità limitata», in Riv. dir. impr., 2007, n. 1, p. 93 e ss., ove l'affermazione secondo cui al difetto di potere decisionale sarebbe applicabile il regime di opponibilità ai terzi non in buona fede dei vizi delle delibere consiliari e assembleari e da I. DE MURO, «Distribuzione e spostamento di competenza tra amministratori e (decisioni dei) soci nella Srl», in Giur. comm., 2005, p. 860, per il quale il difetto di potere deliberativo sarebbe opponibile ai terzi quale limitazione legale al potere di rappresentanza. In quest'ultimo senso già M. SANDULLI, Le decisioni dei soci, in AA.VV., La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, Milano, 2003, p. 230.

[nota 7] E di quanto, peraltro, si riteneva a proposito della identica ipotesi precedentemente prevista dal vecchio testo dell'art. 2364, comma 1, n. 4, c.c., perlomeno per quanto riguardava la responsabilità verso i creditori sociali. Per tutti, sul punto, v. G. MINERVINI, «Sulla legittimazione degli amministratori all'impugnativa delle deliberazioni assembleari di società per azioni», in Riv. dir. comm., 1955, I, p. 207 e ss. e G. OPPO, «Amministratori e sindaci di fronte alle deliberazioni assembleari invalide», in Riv. dir. comm., 1957, I, p. 216 e ss. In forma dubitativa anche per quanto concerne la responsabilità nei confronti della società, F. CORSI, «Poteri dell'assemblea e poteri del consiglio d'amministrazione in rapporto all'art. 2364, n. 4, c.c.», in Foro it., 1974, I, c. 238. Sull'argomento si vedano anche F. BONELLI, Gli amministratori di società per azioni, cit., p. 7 e ss.; P. ABBADESSA, Competenza dell'assemblea: casistica e principi, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 3, t. *, Torino, 1994, p. 13.

[nota 8] Diversamente orientato è G. GUERRIERI, Commento agli artt. 2479-2479-ter, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, vol. III, Padova, 2005, p. 2028, per il quale la decisione dei soci deve ritenersi vincolante per gli amministratori sulla base del fatto che la prescritta responsabilità dei soci dovrebbe consentire agli amministratori di esonerarsi da responsabilità «perlomeno nei confronti della società, facendo constare del proprio dissenso, a norma dell'art. 2476, comma 1, c.c.», ferma restando, invece, la loro corresponsabilità in assenza di una tale formalità. Il tal modo, rileva l'Autore (ivi, nota 44) «il rapporto fra soci e amministratori di Srl dovrebbe oggi essere ricostruito in termini molto simili a quello fra assemblea e amministratori nel codice di commercio del 1882, o fra consigli di amministrazione e organi delegati nel nuovo art. 2381 c.c.», potendo i soci in ogni tempo avocare a sé operazioni gestionali e impartire direttive vincolanti agli amministratori.

[nota 9] In tal senso, tra molti, cfr. F. PARRELLA, Commento all'art. 2475, in AA.VV., La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, vol. 3, Torino, 2003, p. 133 e, soprattutto, V. MELI, La responsabilità dei soci nella Srl, e in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 3, Milano, 2007, p. 673 e ss., ove ulteriori riferimenti.

[nota 10] Peraltro, in tal caso, occorrerebbe anche chiedersi se detto organo possa, anche in assenza di espressa autorizzazione statutaria o della collettività dei soci, delegare le proprie funzioni ad uno o più dei propri componenti e, in caso affermativo, con quali conseguenze in punto di responsabilità. Per i necessari riferimenti sul tema, per tutti, v. C. CACCAVALE, «Modelli di amministrazione nella società a responsabilità limitata», cit., p. 72 e ss., e G. BARALIS, «La nuova società a responsabilità limitata: hic manebimus optime. Spunti di riflessione sul problema delle lacune di disciplina», in Riv. not., 2004, p. 1099 e ss.

[nota 11] Tuttavia, per V. SALAFIA, «L'assemblea dei soci nella società a responsabilità limitata», in Soc., 2005, p. 828, «gli amministratori, salvo che formino un consiglio con competenza solo collegiale, possono agire separatamente l'uno dall'altro». Considerato, però, che anche in ipotesi di amministrazione congiuntiva al singolo amministratore è data azione allorquando vi sia urgenza di evitare un danno alla società (ex art. 2258, ultimo comma, c.c.), l'assolutezza dell'affermazione può, forse, essere ridimensionata. Peraltro, occorre segnalare che il problema, in ipotesi di amministrazione congiuntiva all'unanimità, si pone in modo assai peculiare, posto che tanto la decisione di dare esecuzione alla decisione dei soci quanto quella di impugnare la medesima necessitano del consenso unanime degli amministratori, con l'unico limite dell'azione riconosciuta al singolo (come appena detto) per impedire (ove vi sia urgenza) il compimento di operazioni dannose. All'opposto, in ipotesi di amministrazione disgiuntiva, il nodo interpretativo trova un ulteriore elemento di complicazione nel potere di ciascun amministratore di opporsi alla decisione di qualunque altro. Sul problema, v. tuttavia, infra nel teso.

[nota 12] In senso affermativo, v., tra molti, V. ALLEGRI, L'amministrazione della società a responsabilità limitata dopo la recente riforma, in AA.VV., La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, Milano, 2003, p. 164, nonché B. QUATRARO, «La responsabilità degli amministratori nella Srl», in questo volume.

[nota 13] Una sintetica ed efficace ricognizione delle diverse opinioni è quella di A. ANGELILLIS - G. SANDRELLI, Commento all'art. 2476, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, 2008, p. 802 e ss.

[nota 14] Se ben si intende il pensiero di M. RESCIGNO, «Eterogestione e responsabilità nella riforma societaria fra aperture ed incertezze: una prima riflessione», in Soc., 2003, p. 333, per il quale l'avverbio «intenzionalmente» andrebbe riferito alla condotta (e sarebbe, pertanto, pleonastico) e non alla volontà di arrecare danno (nello stesso senso v. anche S. DI AMATO, «Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata», in Giur. comm., 2003, I, p. 305 e ss., e C. RUGGIERO, «La revoca dell'amministratore nella nuova Srl», in Soc., 2004, p. 1095 il quale, tuttavia, pare escludere qualsivoglia obbligo di diligenza in capo ai soci).

[nota 15] Così, in particolare, G.C.M. RIVOLTA, I regimi di amministrazione nella società a responsabilità limitata, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 3, Milano, 2007, p. 539; ID., «Profilo della nuova disciplina della società a responsabilità limitata», in Banca, borsa, tit. cred., 2003, p. 697, per il quale la contraria lettura, tuttavia, presta il fianco all'obiezione che, interpretativamente, non si può privare di significato e contenuto una espressione centrale di una norma di legge. In tal senso, v. anche, B. QUATRARO, «La responsabilità degli amministratori nella Srl», in questo volume, ove la condivisibile affermazione secondo cui è irrilevante sul piano ermeneutico «la sussistenza dell'animus nocendi ridurrà l'area di applicazione della norma a pochi casi marginali».

[nota 16] Non pare condivisibile l'idea - ben rappresentata da S. DI AMATO, «Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata», cit., p. 305 - secondo cui l'intenzionalità andrebbe riferita alla condotta (divenendo così un requisito del tutto superfluo) e non agli effetti dannosi della stessa in considerazione del fatto, diversamente, si «finirebbe sostanzialmente per relegare la responsabilità al caso in cui il socio abbia agito con l'intenzione di spogliare la società», non essendo consentito all'interprete di leggere una norma in modo tale da renderne superflua una parte solo perché non se ne condivide l'estensione della effettiva portata. Per una più ampia critica alla suddetta tesi cfr. V. MELI, La responsabilità dei soci nella Srl, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., p. 687 e ss.

[nota 17] Rileva, condivisibilmente, sul punto A. IRACE, La responsabilità per atti di eterogestione, in AA.VV., La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, Milano, 2003, p. 190, che la norma di cui all'art. 2476, comma 7, c.c. prevede «a carico dei soci una responsabilità per il "concorso" nell'operazione, concorso che può aversi sia lì dove l'atto sia stato oggetto di autorizzazione, sia lì dove esso derivi da una decisione presa grazie ai poteri riconosciuti direttamente ai soci sul piano statutario; in entrambe le ipotesi, infatti, l'atto troverà piena attuazione solo con l'intervento degli amministratori». Il che, peraltro, dà altresì ragione del «perché la responsabilità del socio sia prevista solo in presenza dell'intenzione del socio di determinare un danno alla società. È, infatti, il fatto stesso che l'operazione è compiuta da un soggetto che ha i poteri di gestione, ma non quelli di amministrazione, che fa sì che di responsabilità possa parlarsi solo lì dove questi poteri siano illegittimamente esercitati, solo, cioè, se si inducono "intenzionalmente", rectius "consapevolmente", gli amministratori a compiere atti dannosi per la società».

[nota 18] Fa generico riferimento alla "cogestione" anche N. ABRIANI, Commento all'art. 2476, in AA.VV., Codice commentato delle Srl, a cura di P. Benazzo e S. Patriarca, Torino, 2006, p. 379, senza, tuttavia, chiarire in che termini detto potere congiunto si distribuisce tra soci e amministratori.

[nota 19] L'impostazione non è lontana da quella proposta da R. VIGO, Decisioni dei soci: competenze, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 3, Milano, 2007, p. 472-473, sulla base del significato letterale dell'espressione "approvazione" di cui all'art. 2479, comma 1, c.c. dalla quale l'Autore desume che «sulla decisione si forma sia il consenso degli amministratori, sia il consenso dei soci», con la conseguenza che «se i soci approvano una delibera respinta dagli amministratori, la fattispecie deliberativa non si perfeziona» e che «se i soci [i quali ovviamente «non sono tenuti a prendere posizione sulla richiesta degli amministratori»] si esprimono negativamente in ordine all'approvazione richiesta, gli amministratori non possono più assumere la delibera» o non devono darvi esecuzione o devono sospenderne, se possibile, l'esecuzione. Ritiene, invece, che la locuzione sia usata in senso «atecnico» M. DE PAOLI, Commento all'art. 2479, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, 2008, p. 889.

[nota 20] Ritiene che la norma di cui all'art. 2476, comma 7, c.s. risponda ad un «modello ispirato al tendenziale equilibrio tra poteri e responsabilità» anche P. RAINELLI, Commento all'art. 2479, in AA.VV., Codice commentato delle Srl, a cura di P. Benazzo e S. Patriarca, Torino, 2006, p. 403.

[nota 21] In senso diverso, v. la massima del Comitato interregionale dei Consigli Notarili del Triveneto (citata da M. DE PAOLI, Commento all'art. 2479, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, cit., p. 891, nota 29) secondo cui nell'ipotesi di traslazione statutaria di poteri decisionali ai soci sarebbe «opportuno che la clausola che attribuisce tale competenza preveda espressamente il diritto degli amministratori di manifestare il loro eventuale dissenso rispetto alla decisione … nonché la facoltà di non eseguirla qualora il dissenso sia manifestato non da singoli amministratori ma dall'organo amministrativo».

[nota 22] L'efficace espressione è di I. DE MURO, «Distribuzione e spostamento di competenza tra amministratori e (decisioni dei) soci nella Srl», cit., p. 856 e ss.

[nota 23] Osserva sul punto M. SANDULLI, Le decisioni dei soci, in AA.VV., La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, cit., p. 225 che il potere di ingerenza dei soci trova necessario ed armonico completamento nel diritto di informazione e controllo dei soci non amministratori (art. 2476, comma 2, c.c.), nella responsabilità personale dei soci per le decisioni dannose assunte od autorizzate (art. 2476, comma 7, c.c.) e nella legittimazione attiva all'azione di responsabilità riconosciuta al singolo socio (art. 2476, comma 3, c.c.).

[nota 24] Visto che, diversamente, il diritto della minoranza e del singolo amministratore potrebbe essere facilmente sterilizzato (o soppresso) durante societate con una opportuna modifica statutaria a maggioranza al primo accenno di uso non gradito.

[nota 25] La dottrina, sul punto, è divisa. Ritengono lecita una diminuzione del quorum ma non il suo aumento A. BUSANI, La riforma delle società. Srl, in Il nuovo ordinamento dopo il D.lgs. 6/2003, Milano, 2003, p. 504; P. BENAZZO, «Competenze di soci e amministratori nelle Srl: dall'assemblea fantasma all'anarchia?», in Soc., 2004, p. 808; G. LAURINI, Manuale breve della Srl e delle operazioni straordinarie, Padova, 2004, p. 63; S. MARCIANO, I processi decisioni dei soci e le modifiche statutarie nella Srl (tecniche di verbalizzazione), in La riforma delle società. Aspetti applicativi, a cura di A. Bortoluzzi, Torino, 2004, p. 67; S. SANZO, Le decisioni dei soci, in AA.VV., Le nuove Srl diretto da M. Sarale, Bologna, 2008, p. 354. Ritengono, invece, che l'autonomia statutaria possa derogare in ogni senso e senza limiti alla prescrizione legale (anche sopprimendo il diritto), G. GUERRIERI, Commento agli artt. 2479-2479-ter, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, cit., p. 2026, nota 33; N. ABRIANI - M. MALTONI, Elasticità organizzativa della società a responsabilità limitata e diritti dei soci di avocare decisioni gestorie: sulla derogabilità dell'art. 2479, comma 1, c.c., in Consiglio Nazionale del Notariato (a cura di), Milano, 2006; F. MAGLIULO, Le decisioni dei soci, in F. TASSINARI, C. CACCAVALE, M. MALTONI, F. MAGLIULO, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, p. 435, nota 288; M. DE PAOLI, Commento all'art. 2479, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, 2008, p. 889. Solo dubbioso sul punto è P. RAINELLI, Commento all'art. 2479, in AA.VV., Il nuovo diritto societario diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso e P. Montalenti, vol. **, Bologna, 2004, p. 1907, p. 1919.

[nota 26] Fermo restando, altresì, il limite delle decisioni riservate dalla legge ad altri organi: così G. GUERRIERI, Commento agli artt. 2479-2479-ter, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, cit., p. 2027.

[nota 27] Identico discorso vale anche per la competenza eventualmente rimessa dallo statuto all'argano amministrativo in tema di emissione di titoli di debito (art. 2483 c.c.) e di esclusione (art. 2473-bis c.c.).

[nota 28] Ad esempio, in tema di iscrizione nel Registro delle imprese dei fatti riguardanti la uni-personalità della società (art. 2470 c.c.), dell'attestazione avente ad oggetto l'avvenuta esecuzione dell'aumento di capitale (art. 2481-bis, ultimo comma, c.c.), dell'emissione dei titoli di debito (art. 2483 c.c.) e, più in generale, dei fatti concernenti l'inizio o la cessazione della soggezione ad altrui attività di direzione e coordinamento (art. 2497-bis c.c.).

[nota 29] Conseguenti all'eventuale esercizio da parte di singoli soci che non partecipano all'amministrazione del loro diritto di avere «notizie sullo svolgimento degli affari sociali» o, anche, connessi alla eventuale soggezione della società ad una altrui attività di direzione e coordinamento (stante l'obbligo, in tal caso, di specifica motivazione e di sintetica menzione nella relazione sulla gestione di cui all'art. 2497-ter c.c. delle decisioni "influenzate" dalle società o dagli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento).

[nota 30] In tale categoria di funzioni rientrano certamente, oltre ai noti obblighi di convocazione dell'assemblea dei soci per l'approvazione del bilancio d'esercizio (art. 2478-bis c.c.) e per gli eventuali opportuni provvedimenti in ipotesi di perdite significative (artt. 2482-bis e 2482-ter c.c.), anche il potere-dovere di richiedere la riduzione giudiziale del capitale sociale in ipotesi di inerzia dell'assemblea dei soci (artt. 2482-bis, comma 4, c.c.).

[nota 31] Cfr., sul punto, per tutti A. NUZZO, L'abuso della minoranza, Torino, 2003, p. 272 e ss. e, con specifico riferimento alle società a responsabilità limitata, v., per tutti, M. MALTONI, «Il recesso e l'esclusione nella nuova società a responsabilità limitata», in Notariato, 2003, p. 314; D. FICO, «L'esclusione del socio di società a responsabilità limitata», in Soc., 2004, p. 956; C. ESPOSITO, «L'esclusione come strumento generale di exit societario», in Riv. not., 2004, p. 275, per il quale la decisione di esclusione impone una formale delibera assembleare, trattandosi di decisione che comporta «una rilevante modificazione dei diritti dei soci».

[nota 32] Identici problemi si hanno anche per l'ipotesi di abuso del diritto di informazione del singolo socio su cui, per tutti, cfr. G.M. BUTA, I diritti di controllo del socio di Srl, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 3, Milano, 2007, p. 608 e ss.

[nota 33] Non è neppure chiaro come il suddetto diritto sia compatibile con la possibilità della c.d. "amministrazione arbitrata" di cui all'art. 37 del D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, su cui, per tutti, C. CACCAVALE, «Modelli di amministrazione nella società a responsabilità limitata», cit., p. 89 e ss., ove ampi riferimenti.

[nota 34] R. VIGO, Decisioni dei soci: competenze, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., p. 472.

[nota 35] Per tutti, cfr. F. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1995, p. 123; F. FERRARA Jr. - F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2007, p. 296, ove l'osservazione che l'esercizio del "potere di veto" non fa diventare l'operazione contestata di competenza dei soci realizzando una diversa ripartizione di competenze tra questi ultimi e gli amministratori, ma si limita a paralizzare il potere di amministrare sino a che la collettività dei soci non abbia controllato il modo nel quale il potere di veto è stato usato. In argomento, naturalmente, cfr. altresì, tra molti, G. FERRI, Della società semplice, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 156, ove ulteriori riferimenti alla dottrina anteriore. Il problema, invero, si è posto con particolare riguardo alla ammissibilità o meno del voto degli accomandanti nella società in accomandita semplice in relazione al divieto di ingerenza di cui all'art. 2320 c.c., su cui, per tutti, cfr., in senso affermativo, A. VENDITTI, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, Napoli, 1955, p. 76; P. MONTALENTI, Il socio accomandante, Milano, 1985, p. 311 e, per l'opposta conclusione, M. BUSSOLETTI, voce Società in accomandita semplice, in Enc. dir., Milano, 1990, p. 974 e G.C.M. RIVOLTA, «In tema di società in accomandita», in Giur. comm., 2003, p. 115 e ss. (il quale, proprio in ragione di tale necessaria mancata partecipazione, ritiene incompatibile il modello della amministrazione disgiuntiva con il tipo società in accomandita semplice).

[nota 36] Senza contare, peraltro, che mentre il diritto di provocatio spetta anche ad una minoranza qualificata di soci, il diritto di opposizione è riconosciuto unicamente a ciascun socio-amministratore e che le maggioranze chiamate a decidere sono potenzialmente diverse (in ipotesi di differenziazione tra diritti patrimoniali e diritti amministrativi). Su tale ultima affermazione, v., tuttavia, N. ABRIANI, Commento all'art. 2475, in AA.VV., Codice commentato delle Srl, a cura di P. Benazzo e S. Patriarca, Torino, 2006, p. 341, per il quale in tal caso è dubbio se le maggioranze siano quelle del 2257, ultimo comma, c.c. o quelle previste (dalla legge o dall'atto costitutivo) in tema di decisioni dei soci.

[nota 37] Il che, tuttavia, non toglie che difficilmente si potrà non condividere la sensazione di V. BUONOCORE, Considerazioni riassuntive, in AA.VV., La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, Milano, 2003, p. 332, secondo cui «la possibilità di adottare i sistemi di amministrazione propri delle società di persone sa di appiccicaticcio».

[nota 38] Poiché nessuna norma consente di affermare che le altre funzioni organizzative (non attinenti alla gestione dell'impresa) rimesse espressamente dalla legge all'organo amministrativo possano essere affidate ad altri, non pare esservi spazio per ritenere che detto organo possa essere statutariamente eliminato (essendo, ancora, elemento organizzativo necessario del tipo sociale società a responsabilità limitata). Del resto, a meno di non volere intendere in senso (erroneamente) lato il concetto di "organo gestionale" forzandone artificiosamente il significato, tanto la collettività dei soci quanto i singoli soci non possono essere considerati tali, pur avendo la prima e ben potendo avere i secondi concrete funzioni gestionali.

[nota 39] Tra molti, cfr. G. CAPO, «Il governo dell'impresa e la nuova era della società a responsabilità limitata», in Giur. comm., 2003, p. 503; O. CAGNASSO, Commento agli artt. 2475-2475-bis, in AA.VV., Il nuovo diritto societario diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso e P. Montalenti, vol. **, Bologna, 2004, p. 1855; G. CARCANO, Commento all'art. 2475, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Milano, 2008, p. 583; M. DE PAOLI, Commento all'art. 2479, ibidem, p. 906. Ritiene, invece, se ben si intende, del tutto irrilevante la norma sul punto, P. BENAZZO, «Competenze di soci e amministratori nelle Srl: dall'assemblea fantasma all'anarchia?», cit., p. 808 e ss., ove si afferma la possibile "soppressione" dell'organo amministrativo. Per l'inderogabilità dell'organo amministrativo, v. invece G.C.M. RIVOLTA, I regimi di amministrazione nella società a responsabilità limitata, cit., p. 523 e ss.

[nota 40] La quale, peraltro, ben potrebbe essere letta, pur con le inevitabili difficoltà interpretative in ipotesi di amministrazione disgiuntiva, quale semplice divieto di delega a singoli amministratori delle relative decisioni: in tal senso, tra gli altri, cfr. D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, p. 216 (anche se con riferimento al testo originario); G.C.M. RIVOLTA, I regimi di amministrazione nella società a responsabilità limitata, cit., p. 536 e ss.; C. CACCAVALE, «Modelli di amministrazione nella società a responsabilità limitata», cit., p. 51; R. VIGO, Decisioni dei soci: competenze, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., p. 471.

[nota 41] Contra, nel senso che non vi sarebbero altri limiti all'autonomia statutaria, A. SANTUS - G. DE MARCHI, «Sui "diritti particolari" del socio nella nuova Srl», in Riv. not., 2004, p. 78; P. RAINELLI, Commento all'art. 2479, in AA.VV., Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso e P. Montalenti, cit., p. 1905-1906.

[nota 42] In questo senso già G.C.M. RIVOLTA, I regimi di amministrazione nella società a responsabilità limitata, cit., p. 538, per il quale dal sistema discende la necessità che la funzione gestoria e quella rappresentativa dell'ente sia attribuita «a soggetti che siano tenuti alla particolare diligenza propria della veste di amministratori e ne assumano incondizionatamente la responsabilità».

[nota 43] Sul punto cfr., per tutti, M. SANDULLI, Le decisioni dei soci, in AA.VV., La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, cit., p. 226.

[nota 44] Osserva M. SANDULLI, Le decisioni dei soci, in AA.VV., La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, cit., p. 229 che «solo una espressa previsione statutaria può attribuire tali materie alla competenza dei soci» indipendentemente dagli oscuri contorni della sostanzialità o rilevanza delle modificazioni.

[nota 45] Vale la pena segnalare, tuttavia, che il problema non può dirsi tramontato neppure nelle società per azioni, come è presto dimostrato dal fatto che anche in Germania, ove il modello "tecnocratico" è consolidato, vi è ampio consenso circa la necessità di rimettere all'assemblea dei soci tutte le decisioni che hanno come effetto la "trasformazione" della società da operativa in holding (per effetto dell'assunzione di partecipazioni in altre imprese e/o di scorporo aziendale) o la «trasformazione dei poteri diretti dei soci in poteri indiretti o mediati» (così, in particolare, G.B. PORTALE - A. DACCò, «Accentramento di funzioni e di servizi nel gruppo e ruolo dell'assemblea della società controllata», in Riv. dir. priv., 2006, p. 463 e ss.). Sul punto cfr. il commento di M. MAUGERI, «Sulle competenze "implicite" dell'assemblea nelle società per azioni», in Riv. dir. soc., 2007, 1, p. 86 e ss. a due distinte interessanti decisioni della Corte federale tedesca del 2004.

[nota 46] Classiche sono le ipotesi di assunzione di partecipazioni in altre imprese e di cessione dell'intera azienda a terzi: cfr., ex multis, F. MAGLIULO, Le decisioni dei soci, in F. TASSINARI, C. CACCAVALE, M. MALTONI, F. MAGLIULO, La riforma della società a responsabilità limitata, cit., p. 255; P. RAINELLI, Commento all'art. 2479, in AA.VV., Il nuovo diritto societario diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso e P. Montalenti, cit., p. 1907; I. DE MURO, «Distribuzione e spostamento di competenza tra amministratori e (decisioni dei) soci nella Srl», cit., p. 858.

[nota 47] Peraltro, occorre rilevare che l'art. 2468 c.c., nel prevedere la regola dell'unanimità per le variazioni dirette dell'atto costitutivo che modifichino i diritti dei singoli soci, fa salvi sia la possibilità che lo statuto opti per la regola maggioritaria, sia «in ogni caso» il diritto di recesso per i soci dissenzienti previsto dal comma 1 dell'art. 2473 c.c. per le modifiche indirette dei diritti dei soci. Sicché, testualmente, parrebbe non essere posto alcun diritto di recesso legale per il socio dissenziente dalla eventuale decisione maggioritaria di modifica diretta del diritto particolare. L'incongruenza in parola, tuttavia, è superabile in via interpretativa posto che se il diritto di recesso è espressamente attribuito dalla legge per ogni modifica indiretta dei diritti particolari dei soci, a fortiori, eguale diritto deve ritenersi sussistente ex lege a favore dei soci assenti o dissenzienti anche per le modifiche dirette delle previsioni statutarie aventi ad oggetto tali diritti particolari dei soci assunte, per scelta statutaria, a maggioranza: così, in particolare, M. PERRINO, «La "rilevanza del socio" nelle Srl: recesso, diritti particolari, esclusione», in Giur. comm., 2003, p. 821, ma, sul punto v. anche A. SANTUS - G. DE MARCHI, «Sui "diritti particolari" del socio nella nuova Srl», cit., p. 80, ove l'ulteriore questione se il diritto di recesso spetti ad ogni socio dissenziente o soltanto ai soci i cui diritti particolari siano modificati.

[nota 48] In tale ottica, ad esempio, l'affitto di un ramo d'azienda anche ad una società controllata, pur nell'ipotesi in cui non alteri la tipologia di attività sociale della affittante, finisce per incidere indirettamente sul fascio dei diritti amministrativi dei soci in considerazione delle conseguenti limitazioni del diritto di controllo individuale di ciascun socio sulla gestione del ramo affittato alla controllata (ove il socio non ha alcun diritto di controllo diretto).

[nota 49] Nulla vieta, naturalmente, di arrivare ad una diversa conclusione qualora si dimostri che, nel silenzio della legge, ogni norma dettata in tema di organizzazione della società a responsabilità limitata è derogabile. In argomento, v., tra molti, N. ABRIANI - M. MALTONI, Elasticità organizzativa della società a responsabilità limitata e diritti dei soci di avocare decisioni gestorie: sulla derogabilità dell'art. 2479, comma 1, c.c., in Consiglio Nazionale del Notariato (a cura di), cit., passim e F. MAGLIULO, Le decisioni dei soci, in F. TASSINARI, C. CACCAVALE, M. MALTONI, F. MAGLIULO, La riforma della società a responsabilità limitata, cit., p. 435.

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