La responsabilità degli amministratori nelle Srl
La responsabilità degli amministratori nelle Srl
di Bartolomeo Quatraro
Presidente della sezione fallimentare, Tribunale di Milano

Nella disciplina, completamente rielaborata, delle società a responsabilità limitata è scomparso il rinvio, che era formulato nel secondo comma dell'art. 2487 c.c. precedentemente vigente, agli artt. 2392, 2393, 2394, 2395 c.c. Alla responsabilità degli amministratori e al controllo dei soci è ora dedicato l'intero articolo 2476 c.c., che esige di ricevere particolareggiata analisi, e che, nonostante l'ampiezza dell'estensione testuale, lascia adito a non lievi problemi applicativi. Ed invero, dalla relazione illustrativa emerge anzitutto la dichiarata (ma non commendevole, a parere di chi scrive) intenzione del legislatore della riforma di adottare, nella lettera a) del secondo comma dell'art. 146, «una formulazione aperta in virtù della quale è possibile sostenere che le azioni di responsabilità riguardano anche i componenti degli organi sociali delle società a responsabilità limitata e che le stesse sono promuovibili, oltre che nei confronti dei liquidatori, il che era pacifico, anche nei confronti dei componenti degli organi di controllo, sia nei casi di obbligatorietà della loro nomina, sia nelle ipotesi di facoltatività» (Ferro).

Il Trib. di Napoli 10 gennaio 2007 ha statuito che a seguito della riforma del diritto societario, il curatore è legittimato in via esclusiva all'azione sociale di responsabilità ex art. 2476 c.c. nei confronti degli amministratori della Srl fallita.

Il primo comma riproduce sostanzialmente il contenuto dell'art. 2392 c.c., disponendo che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società e che, tuttavia, la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa ed essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere abbiano fatto constare del proprio dissenso (Ferro). Nel secondo comma si stabilisce che i soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all'amministrazione.

Il terzo comma (integrato dal quarto) attribuisce a ciascun socio la legittimazione all'azione di responsabilità, nonché la facoltà di chiedere in caso di gravi irregolarità della gestione che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori, con ciò configurando uno strumento sostitutivo del non più applicabile - in questo tipo di società - art. 2409 c.c.

La maggior tutela prevista oggi per i soci è proprio in funzione del poter chiedere al giudice, previa prova di gravi irregolarità, la revoca degli stessi amministratori. Questo mina chiaramente il principio giuridico enunciato dall'ex art. 2409 c.c., il quale non permetteva si esercitasse in tale contesto questo diritto. Il provvedimento di revoca in oggetto è qualificato dalla legge come cautelare: resta allora da stabilire se sia o no anticipatorio, e se possa essere chiesto anche ante causam, ovvero solo in pendenza di causa di merito. In altre parole, è necessario capire se l'azione di revoca debba ritenersi un mezzo strumentale rispetto all'azione di responsabilità oppure se sia autonoma e, quindi, ante causam.

Tale ultima tesi viene applicata appunto nella sentenza della Corte Costituzionale del 14 dicembre 2005, n. 481, nella quale si delinea il principio secondo cui la tutela cautelare prevista dall'art. 2476 c.c. vuole giungere alla revoca dell'amministratore che abbia compiuto irregolarità potenzialmente dannose per la società, mentre l'azione di responsabilità è volta ad ottenere la reintegrazione del patrimonio sociale, danneggiato dall'attività dell'amministratore. (D. FICO, «La revoca degli amministratori nella Srl», in Le società, 2007, p. 1100).

Trattasi quindi, come sostenuto da autorevole dottrina, di «cautelarità funzionale, intesa come evidente funzione di prevenzione di nuove attività dannose». (C. CONSOLO, «Note sul potere di revoca fra diritto e processo: è vera misura cautelare? Quale disciplina? Ante causam la revoca dell'amministratore, ma non la inibitoria delle delibere?», in Corr. giur., 2005, p. 274).

L'ammissibilità della revoca dell'amministratore di Srl con misura ante causam viene ribadita anche da un'ordinanza del Tribunale di Milano che il 18 gennaio 2006 riprende la sopra citata sentenza della Corte Costituzionale, sottolineando, ancora una volta, la necessità del ricorrere delle gravi irregolarità compiute degli amministratori e del pericolo di danno per la società interessata. (CASABURI, «Il commento», in Le società, 2007, p. 1142).

Il sesto comma dell'art. 2476 c.c. statuisce che «le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori», riproducendo la previsione dell'art. 2395 operante in tema di società per azioni.

Particolare rilievo assume la disposizione di cui al settimo comma, secondo cui «sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori ai sensi dei commi precedenti i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi», che ha indotto i primi commentatori (Iannello) a interrogarsi sul significato da attribuire alla locuzione "intenzionalmente": il problema non sembra di difficile soluzione, ove si tenga presente che la nozione di intenzionalità non è riducibile a quella della mera volontarietà del comportamento ma postula altresì l'orientamento non solo conoscitivo ma teleologico ad un risultato specifico come tale perseguito dall'agente (potendo essere utilmente richiamati al riguardo i concetti penalistici del dolo diretto o intenzionale e di dolo eventuale nelle due forme che questo può assumere di dolo alternativo e di dolo eventuale). Sembra perciò peccare di superficialità chi opina essere evidente che «chi decide e autorizza lo fa intenzionalmente» e che quindi il riferimento alla intenzionalità può risultare superfluo o pleonastico. La sussistenza dell'animus nocendi ridurrà l'area di applicazione della norma a pochi casi marginali. Comunque, la disposizione del settimo comma dell'art. 2476 c.c. esige di essere letta anche alla luce dell'art. 2479 c.c. che disciplina l'oggetto e le modalità di formazione delle decisioni dei soci (Ferro). A differenza della responsabilità configurata nel sesto comma dell'art. 2476 c.c., che al pari di quella delineata nell'art. 2395 ha sicuramente carattere extracontrattuale, la responsabilità prevista nel settimo comma dello stesso articolo trova espressa menzione nella lettera b) del secondo comma del nuovo articolo 146 della legge fallimentare novellata. Nella relazione illustrativa si dice che «quanto alla responsabilità degli amministratori della società a responsabilità limitata e al dibattito in ordine alla sussistenza di una loro specifica responsabilità verso i creditori sociali, si è preferito, considerato che la delega legislativa è muta al riguardo, adottare una formula "aperta" che lasci all'interprete il compito di stabilire se il curatore possa esercitare nei confronti degli amministratori di società a responsabilità limitata solo l'azione di responsabilità sociale o anche quella verso i creditori sociali».

Sembra appena il caso di sottolineare che tale soluzione non potrebbe essere affidata puramente e semplicemente alla dizione: "società a responsabilità limitata" contenuta nella rubrica dell'art. 146, la quale esige di essere letta non già in senso delimitativo della materia disciplinata dall'intero articolo rispetto alla più generale formulazione precedente (quasi che ad essa dovessero essere escluse le società per azioni alle quali invece risulta riferibile la menzione dei componenti degli organi di controllo), ma in senso di chiarificatrice contrapposizione alla dizione «società con soci a responsabilità illimitata» di cui all'art. 147: ed invero, la relazione illustrativa dà atto che «è stato ritenuto opportuno ripartire la struttura del secondo comma dell'art. 146 in due parti, rispettivamente concernenti: la prima, le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti gli organi sociali e i liquidatori; la seconda, l'azione di responsabilità contro i soci di società a responsabilità limitata». Prescindendo dall'argomento che alcuni fondano sulla ritenuta qualificazione dell'azione dei creditori alla stregua di azione surrogatoria della legittimazione della società (con impostazione dalla quale che scrive decisamente dissente), possono invece essere legittimamente valorizzate: la non decisività del mancato rinvio che era precedentemente rinvenibile nel secondo comma dell'art. 2487 c.c., la permanenza in vigore dell'art. 2394-bis c.c., la considerazione delle esigenze dell'organicità del sistema, e l'assenza di qualsiasi razionale giustificazione di una disparità di trattamento che risulterebbe suscettibile di dar luogo a fondato dubbio di illegittimità costituzionale (Ferro).

Gli amministratori della società a responsabilità limitata devono adempiere gli obblighi ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo e sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri. La società a responsabilità limitata può dunque agire nei confronti degli amministratori per ottenere una sentenza di condanna al risarcimento dei danni che abbia subito a seguito dell'inadempimento di uno dei numerosi obblighi a contenuto specifico previsti dalla legge o dall'atto costitutivo ovvero dal generale dovere di curare con diligenza la gestione della società. Pur in assenza di un'espressa previsione normativa, esigenze di coerenza sistematica inducono a ritenere che anche agli amministratori delle società a responsabilità limitata sia richiesta una diligenza di carattere professionale, determinata in funzione della natura dell'incarico e delle loro specifiche competenze (così, per le SpA, l'art. 2392 c.c.).

La responsabilità degli amministratori verso la società si configura, come nelle SpA, quale responsabilità risarcitoria, di natura contrattuale, che grava in solido su tutti gli amministratori. Peraltro si tratta pur sempre di una responsabilità per fatto personale: la legge precisa infatti che essa non si estende agli amministratori che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a conoscenza che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso (art. 2476, comma 1). Il tenore letterale della norma pare implicare un'inversione dell'onere probatorio, imponendo all'amministratore la dimostrazione di essere andato esente da colpa. La clausola di esenzione va comunque interpretata e adattata in relazione al sistema di amministrazione previsto nell'atto costitutivo: così, ad esempio, l'annotazione del dissenso non è configurabile in ipotesi di amministrazione disgiuntiva o congiuntiva (con riferimento alle quali l'amministratore dissenziente potrà, rispettivamente, esercitare l'opposizione preventiva o precludere con il proprio veto l'operazione). In presenza di deleghe sembra inoltre destinato a trovare applicazione il più pregnante criterio dettato in tema di società per azioni dall'art. 2392: qualora l'inadempimento degli obblighi gestori rientri nell'ambito di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori (o proprie del comitato esecutivo), i consiglieri non investiti di funzioni esecutive non possono pertanto considerarsi esenti da colpa ove, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbiano fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze pregiudizievoli.

Se i presupposti della responsabilità verso la società sono in gran parte coincidenti con quelli previsti per le SpA, un più netto scostamento rispetto alla corrispondente disciplina dettata per la società per azioni è dato registrare con riferimento alla legittimazione all'esercizio dell'azione. Il legislatore infatti, in considerazione della struttura contrattuale che caratterizza la società a responsabilità limitata, riconosce la legittimazione a promuovere l'azione sociale di responsabilità ad ogni socio: ciascun socio, indipendentemente dal valore della quota di capitale posseduta, può agire in giudizio per ottenere la condanna degli amministratori a risarcire alla società il danno da essa subito in conseguenza della loro mala gestio (art. 2476, comma 3). Lo stesso comma, peraltro, concede la legittimazione all'azione di responsabilità al singolo socio, quale che sia l'entità della sua partecipazione. Tuttavia, poiché nella Srl il frazionamento del capitale è, tipicamente, molto ridotto, dovrebbero essere assai poche le Srl in cui sia presente un socio che abbia una partecipazione inferiore ad un quinto del capitale (V. DI CATALDO, I sistemi di amministrazione e di controllo; le responsabilità degli amministratori, dei sindaci e dei liquidatori, in Il punto sulla riforma del diritto societario, 2005, p. 13).

In caso di gravi irregolarità nella gestione della società, il socio attore può inoltre chiedere al Tribunale la revoca dalla carica degli amministratori convenuti in giudizio. Si tratta di un provvedimento cautelare la cui adozione può essere subordinata dal giudice alla prestazione di una cauzione e che, in quanto inserito nell'ambito dell'azione di responsabilità, presuppone comunque la sussistenza di irregolarità gestorie lesive del patrimonio sociale (rimanendo per contro irrilevanti irregolarità che, per quanto gravi, non risultano pregiudizievoli per la società).

Siamo in presenza di un provvedimento: sommario, in quanto reso dal giudice nell'ambito di un procedimento a cognizione piena, ma prima dell'istruzione completa della causa; strumentale, ma nello speciale senso che la sua funzione pare quella di evitare che la permanenza nella carica, nel corso del giudizio dell'autore delle gravi irregolarità che hanno prodotto i danni dei quali si chiede il risarcimento, possa aggravare la situazione, procurando ulteriori danni alla società con la prosecuzione di una gestione irregolare; quanto alla esecutorietà immediata sembra che il legislatore abbia voluto prendere atto del fatto che nel mondo degli affari sovente la migliore tutela è garantita dai provvedimenti d'urgenza, che intervengano in modo tempestivo, ancorchè sommario, sulle situazioni denunciate.

Varie sono le caratteristiche di questa innovativa tutela, che può essere subordinata alla prestazione di una cauzione da parte del socio richiedente:

a) analogamente a quanto avviene nell'impugnazione delle delibere assembleari in relazione alla richiesta di sospensione della decisione impugnata, si è ritenuto di responsabilizzare i soci vincolando l'istanza di revoca all'esercizio dell'azione di responsabilità, ove la prima diviene dunque strumentale alla seconda;

b) risulta inammissibile il ricorso al rimedio cautelare atipico dell'art. 700 c.p.c. al fine di ottenere ante cusam il provvedimento di revoca degli amministratori, cioè senza il contestuale esercizio dell'azione di responsabilità in sede di cognizione ordinaria;

c) essendo la tutela in parola strumentale al giudizio di responsabilità, la revoca può essere richiesta solo in presenza di gravi irregolarità gestionali lesive del patrimonio sociale, quali la mancata adozione degli adempimenti previsti nei casi di riduzione del capitale per perdite (artt. 2482-bis e seguenti), la realizzazione di operazioni in conflitto di interessi (art. 2475-ter) e così via, mentre risultano di per sé irrilevanti a questo scopo irregolarità inidonee a cagionare danno alla società, quali ad esempio le omissioni in materia di informazione verso i soci;

d) il provvedimento di revoca dovrebbe essere reclamabile, secondo la disciplina generale dei provvedimenti cautelari.

Nel caso di accoglimento della domanda di condanna, la società è tenuta al rimborso a favore del socio delle spese di giudizio e di quelle sostenute per l'accertamento dei fatti, salvo il diritto di regresso nei confronti degli amministratori soccombenti.

Il riconoscimento ad ogni socio della legittimazione ad esperire nel proprio interesse l'azione sociale di responsabilità, non esclude la legittimazione concorrente della società stessa, che è pur sempre la creditrice dell'obbligo gestorio inadempiuto e la titolare del relativo diritto al risarcimento (e può, in quanto tale, transigere o rinunciare all'azione, anche quando promossa dai soci individualmente). Del resto, sebbene la promozione dell'azione sociale di responsabilità non sia contemplata tra le materie di competenza dei soci dall'art. 2479, quest'ultima disposizione permette ai soci titolari di un terzo del capitale di sollecitare in qualunque momento una deliberazione dell'assemblea (o una decisione extracollegiale) al riguardo.

Trattandosi di un'azione sociale, il codice lascia alla società stessa una disponibilità dell'azione, sia pure con maggioranze particolarmente qualificate: l'art. 2476, comma 5 c.p.c., prevede infatti che l'azione di responsabilità contro gli amministratori, indipendentemente dal soggetto che l'ha promossa (e salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo), possa essere rinunciata o transatta da parte della società, purchè tale decisione sia approvata con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale sociale e non vi si oppongano soci che rappresentano, almeno il decimo del capitale stesso. L'approvazione del bilancio da parte dei soci non implica comunque liberazione degli amministratori e, ove vi siano, dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale (art. 2476, ult. comma).

Anche nelle società a responsabilità limitata la legge prevede la responsabilità degli amministratori per danni arrecati direttamente a terzi o ai singoli soci (art. 2476, comma 6). Come già si è osservato con riferimento alle società per azioni, tale azione ha natura e presupposti distinti rispetto all'azione sociale: si tratta infatti di un'azione di carattere extracontrattuale il cui esperimento presuppone che l'atto doloso o colposo realizzato dagli amministratori nell'esercizio delle loro mansioni abbia arrecato un danno diretto al patrimonio del terzo o del socio (considerato, sotto questo profilo, alla stregua di un terzo). In questi casi, a fianco della responsabilità degli amministratori ai quali sia ascrivibile l'illecito, è normalmente configurabile una responsabilità concorrente della società in nome della quale essi hanno operato: i soggetti direttamente danneggiati possono pertanto estendere la domanda di risarcimento nei confronti dell'ente, che godrà a sua volta di un'azione di rivalsa sugli amministratori.

Non è invece espressamente disciplinata l'azione di responsabilità dei creditori sociali. Più precisamente, il codice non contempla una norma di carattere generale, corrispondente a quella dettata, per le SpA, dall'art. 2394 c.c., l'azione dei creditori sociali è però prevista per le società a responsabilità limitata in fase di liquidazione (artt. 2485, 2486 e 2491) e per quelle soggette ad attività di direzione e di "coordinamento" (art. 2497). Anche al di fuori di queste ipotesi deve comunque riconoscersi la possibilità per i creditori di agire nei confronti degli amministratori che abbiano violato gli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale, rendendolo insufficiente al soddisfacimento dei crediti. Verso tale conclusione convergono infatti sia l'interpretazione che afferma il carattere meramente surrogatorio dell'azione in esame rispetto all'azione sociale, sia la diversa ricostruzione ermeneutica che la riconduce piuttosto nell'alveo della clausola generale contenuta nell'art. 2043 c.c.

Di notevole rilievo è infine la disposizione che afferma la responsabilità solidale con gli amministratori dei «soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi» (art. 2476 comma 7). È questa una norma "di chiusura", che rappresenta un logico corollario, sotto il profilo della responsabilità, delle peculiari articolazioni che il potere di amministrazione può assumere nella società a responsabilità limitata: come si è visto, l'atto costitutivo può deferire alla volontà dei soci qualunque decisione in materia amministrativa (artt. 2475 e 2479) e riconoscere ad essi, collettivamente o individualmente, poteri di veto o di istruzione nei confronti di determinate operazioni gestorie (artt. 2468 e 2479); inoltre, ogni socio che possieda un terzo del capitale sociale può sottrarre agli amministratori la competenza a decidere sulle operazioni inerenti alla gestione, sollecitando in qualunque momento una decisione vincolante dei soci. La legge chiarisce dunque che la devoluzione (statutaria o volontaria) delle competenze amministrative ai soci determina la loro responsabilità, in solido con gli amministratori, per i danni conseguenti agli atti dannosi che essi abbiano autorizzato o concorso a decidere. Analoga responsabilità è peraltro configurabile anche in capo ai soci che abbiano influenzato il compimento dell'operazione dannosa in assenza di una previsione statutaria che ne legittimasse l'intervento.

Tale estensione dei soggetti responsabili è prevista dalla legge per l'azione sociale (indipendentemente dalla circostanza che essa sia esercitata su iniziativa individuale dei soci o della società) e per l'azione dei soci direttamente danneggiati; essa potrà tuttavia essere fatta valere anche dai creditori sociali, non solo ove si configuri la relativa azione in chiave surrogatoria, ma anche qualora le si assegni natura aquiliana, in applicazione delle regole sulla responsabilità per dolosa o colposa compartecipazione al fatto dannoso (artt. 2043 e 2055).

Va comunque osservato che la responsabilità solidale dei soci contemplata dalla disposizione ora esaminata rimane pur sempre circoscritta al pregiudizio derivato dalle operazioni gestorie alla cui realizzazione essi abbiano, legittimamente o illegittimamente, concorso. Se però si dimostri che un soggetto, pur non rivestendo la carica di amministratore, abbia esercitato in modo continuativo i poteri tipici inerenti a tale funzione, questi sarà qualificabile come amministratore di fatto e sarà pertanto chiamato a rispondere, insieme agli amministratori di diritto, per l'inadempimento dell'insieme di prescrizioni che la legge pone a presidio della corretta gestione della società di capitali: dal dovere di amministrare diligentemente la società, al divieto di operare in conflitto di interessi, ai numerosi obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale, sino al divieto di compiere operazioni di gestione non funzionali alla conservazione dell'integrità del valore del patrimonio della società, posto a carico degli amministratori al verificarsi di una causa di scioglimento (art. 2486 c.c.).

Pur potendosi configurare in tutte le società di capitali, l'istituto dell'amministratore di fatto trova il suo campo elettivo di applicazione nelle società a responsabilità limitata, nelle quali, come si osserva nella Relazione, «molto spesso l'effettivo potere di amministrazione non corrisponde all'assunzione della relativa veste formale» e nelle quali tuttavia «la mancata assunzione della prima non può divenire un facile strumento per eludere la responsabilità che deve incombere su chi la società effettivamente gestisce» (così ancora la Relazione; per la parallela estensione della responsabilità penale all'amministratore di fatto vedi l'art. 2639, nonché, con riferimento alla responsabilità amministrativa delle società, l'art. 5, comma 1, lett. a, D.lgs. 231/2001).

Per le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società a responsabilità limitata il codice non prevede un'autonoma disciplina in termini di prescrizione.

Restano pertanto applicabili le regole generali, in base alle quali il diritto della società al risarcimento si prescrive in cinque anni dal momento in cui è percepibile il danno conseguente all'inadempimento dei doveri amministrativi (art. 2949, comma 1), con sospensione della prescrizione fino a che gli amministratori rimangono in carica (art. 2941, n. 7); mentre l'azione dei terzi (o dei soci) direttamente danneggiati soggiace al termine prescrizionale stabilito in materia di responsabilità extracontrattuale dall'art. 2947 (cinque anni dal perfezionamento dell'illecito, ovvero, qualora esso integri gli estremi di una fattispecie delittuosa o contravvenzionale, la più lunga prescrizione stabilita per il reato). Dalla qualificazione in termini surrogatori o autonomi discende l'applicazione del primo o del secondo regime dei creditori sociali.

La giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. I, 21 marzo - 25 maggio 2005, n. 11018) ha statuito che «il risarcimento del danno cui sono tenuti gli amministratori, ai sensi dell'art. 2393 del codice civile - sia che derivi da responsabilità per illecito contrattuale, sia che si ricolleghi a responsabilità extracontrattuale, sia che si configuri più genericamente come effetto di responsabilità ex lege - riveste natura di debito di valore e non di valuta ed è pertanto sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione, ancorchè il danno consista nella perdita di una somma di denaro, consistendo tale perdita solo un elemento per la commisurazione dell'ammontare del danno, privo di incidenza rispetto la natura del vincolo. Di tale danno rispondono in solido tutti gli amministratori, secondo il principio generale previsto dall'art. 2055 del codice civile, applicabile sia nel caso in cui si consideri che la responsabilità degli amministratori abbia carattere contrattuale sia nel caso in cui si consideri abbia carattere extracontrattuale (nella specie, la curatela aveva esperito l'azione di responsabilità ex art. 146 della legge fallimentare, che cumula l'azione sociale ex art. 2393 del codice civile prev., solitamente ritenuta di natura contrattuale, e l'azione dei creditori, ex art. 2394 del codice civile prev., sulla quale si controverte circa la sua natura contrattuale o extracontrattuale)».

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